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Riassunto-INTRODUZIONE AI MEDIA DIGITALI-Adam Arvidsson, Alessandro Delfanti, Dispense di Sociologia Dei Media

Riassunto dettagliato libro: INTRODUZIONE AI MEDIA DIGITALI-Adam Arvidsson, Alessandro Delfanti

Tipologia: Dispense

2021/2022

Caricato il 11/09/2022

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maria-gaia-spadaro 🇮🇹

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Scarica Riassunto-INTRODUZIONE AI MEDIA DIGITALI-Adam Arvidsson, Alessandro Delfanti e più Dispense in PDF di Sociologia Dei Media solo su Docsity! INTRODUZIONE AI MEDIA DIGITALI Adam Arvidsson, Alessandro Delfanti CAPITOLO 1- MEDIA E TECNOLOGIE DIGITALI I media digitali sono diffusi nelle attività umane più disparate. Per comprenderli non basta studiarne le caratteristiche tecnologiche: occorre analizzare anche quelle sociali, politiche ed economiche. Questo fenomeno è stato definito mediatizzazione. La società dell’informazione e della conoscenza in cui viviamo è permeata dai media digitali e quindi si trova di fronte alla necessità di ripensare in profondità il significato di parole come libertà, democrazia, partecipazione, proprietà e potere alla luce delle trasformazioni che queste tecnologie rendono possibili. In Italia oramai più del 60% della popolazione accede regolarmente ad internet e più della metà possiede un telefono che consente di navigare in rete. I media digitali hanno assunto un ruolo chiave anche nell’organizzazione della produzione e nell’economia delle società contemporanee. I media digitali sono un grande terreno di scontro tra diverse visioni del mondo che spesso si contrappongono violentemente. Da un lato le tecnologie sono dipinte come portatici di democrazia, uguaglianza e abbondanza economica, dall’altro invece come minaccia all’ordine sociale, come potenziali distruttori degli equilibri in cui si fondano le società complesse. Con la definizione nuovi media vengono identificate in modo onnicomprensivo le tecnologie di comunicazione basate sui computer e sulle reti, che si sono diffuse a partire dagli ultimi decenni del XX secolo affiancando e poi integrandosi con i mass media tradizionali, come televisione, giornali o radio. Come avviene spesso quando un nuovo media viene introdotto, esso non costituisce “i vecchi media” ma piuttosto li integra o li modifica senza per forza condannarli ad estinzione. L’archeologia dei media si occupa di studiare tecnologie un tempo dimenticate o cadute in disuso che vengono rivitalizzate, spesso pratiche di valenza artistica o politica. La definizione “media digitali” è dunque più accurata rispetto a “nuovi media”. I media digitali posseggono alcune caratteristiche principali: essi sono digitali, ma anche convergenti, interattivi, ipertestuali, distribuiti, mobili, effimeri e sociali. (Manovich 2002) • DIGITALI: I media digitali trasportano informazione rappresentata da una sequenza numerica che viene poi elaborata. I codici digitali sono basati su unità discrete, es. il codice binario è basato su due soli simboli: 0 e 1. Le tecnologie digitali non sono composte solo da hardware, ovvero tutte le componenti fisiche (microchip, schermi o dischi), ma da software, cioè da programmi e codici costituiti da informazione. • CONVERGENTI: Diversi tipi di contenuti (scritti, sonori, visivi…) convergono in un unico supporto. I computer sono macchine universali, possono svolgere svariati compiti. • IPERTESTUALI: L’ipertesto è un testo che non può essere stampato su una pagina cartacea, ma ha una struttura complessa, fatta di rimandi ad altri testi o contenuti (link). Una pagina web è un ipertesto. • DISTRIBUITI: I media digitali sono caratterizzati da un modello distribuito di gestione delle tecnologie dell’informazione che si basa su tre peculiarità: 1. La diffusione di microprocessori a basso costo e quindi l’arrivo sul mercato di computer accessibili per i consumatori e oggi anche di strumenti come smartphone e tablet; 2. Diffusione dell’accesso alle reti telematiche, in particolare Internet e il World Wide Web; 3. I software e le piattaforme permettono agli utenti di creare contenuti. • INTERATTIVI: nell’ambiente digitale gli utenti hanno la possibilità di interagire direttamente con i contenuti, modificarli o produrli in prima persona. • SOCIALI: I social network sites o media digitali come Facebook, YouTube, Linkedin, Instagram o Twitter permettono agli utenti di creare un profilo personale e pubblico, tramite il quale è possibile entrare in contatto con altri individui, e con essi condividere i contenuti o dar vita interazioni di vario tipo. • MOBILI: Le tecnologie mobili di rete, come cellulari, smartphone e tablet rendono pervasivi i media digitali, dato che permettono agli individui di accedere alla rete, per scrivere, pubblicare contenuti o ricercare informazioni, da qualsiasi luogo in qualsiasi momento vincolandoli dalla plasmare le tecnologie e non sono le tecnologie a determinare la società, ma piuttosto la società e tecnologie si influenzano e modificano a vicenda in un processo di coevoluzione in cui i cambiamenti dell’una producono le altre e viceversa. Lo studio delle tecnologie e dei cambiamenti a cui sono legate non può prescindere da quello del contesto sociale in cui sono immerse e dei gruppi sociali che danno loro forma, le diffondono e le utilizzano. CAPITOLO 2 LA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE La storia dei computer è legata a quella dell’idea che sia possibile applicare un metodo scientifico alle vicende umane. La produzione e la gestione dell’informazione hanno assunto un ruolo chiave nelle società avanzate, tanto da fare emergere la definizione “società dell’informazione”. Ciò è stato possibile grazie all’evoluzione dei computer e delle reti e al contributo di attori sociali eterogenei. La società dell’informazione è un progetto che continua a svilupparsi in nuove direzioni. L’espressione società dell’informazione indica una forma di società caratterizzata l’importanza della produzione e gestione dell’informazione sapere e conoscenza. Nella società dell’informazione le tecnologie informatiche sono pervasive e influenzano i processi produttivi, sociali, identitari e politici. Si comincia così a parlare di “società postindustriale”, “società postmoderna”, “postfordismo”, “società della conoscenza” e “società di rete”. Il concetto di “società dell’informazione” comincia a diffondersi negli anni 90’, sia nel dibattito pubblico che in quello accademico. Si arriva a parlare della nascita della società dell’informazione come di una terza rivoluzione industriale: se la prima è stata quella della macchina a vapore e la seconda quella dell’elettricità e del motore a scoppio la terza sarebbe basata sulle tecnologie di gestione e trasmissione dell’informazione. Il sistema economico che emerge da questa trasformazione si caratterizza per essere, nella definizione di Manuel Castells (1996), informazionale, globale e a rete. In un’economia informazionale, cioè basata sull’informazione la produttività, la competitività e la redditività, dipendono dalle capacità di generare e gestire informazioni e conoscenza. Nella società dell’informazione i diritti di proprietà intellettuale acquistano un’importanza inedita. Per un’azienda che produce beni a elevato contenuto di informazione, come le imprese tecnologiche o quelle dell’industria culturale possedere brevetti o diritti d’autore e diventa cruciale. Le risorse principali dell’impresa smettono di essere le fabbriche e macchinari, per diventare quelle legate all’informazione brand, brevetti, capacità di gestire reti di fornitori, sub fornitori e distributori, design e marketing. Aziende come Nike o Apple non possiedono le fabbriche dove vengono prodotti le scarpe o gli smartphone, la produzione dei beni materiali è appaltata a produttori esterni- spesso in Asia- mentre le imprese madri possiedono la proprietà intellettuale, gestiscono la ricerca tecnologica, il marketing, la comunicazione, le reti dei fornitori e quelle commerciali. DIRITTI DI PROPRIETÀ La proprietà intellettuale è un apparato di principi giuridici che permettono a creatori e inventori di esercitare i diritti di proprietà sui frutti dell’inventiva e dell’ingegno. Si dividono in tre tipologie principali: 1. Diritto d’autore o copyright, tutela la proprietà delle opere artistiche, letterarie o scientifiche; 2. Il brevetto, tutela le invenzioni industriali, cioè invenzioni che oltre ad essere nuove e originali siano riproducibili e applicabili in attività industriali; 3. Il marchio contraddistingue un prodotto o un’azienda rendendola riconoscibile al consumatore. L’economia in rete è caratterizzata da forme di produzione più flessibile. Dalle gerarchie rigide del lavoro di fabbrica e delle organizzazioni burocratiche della società industriale si passa a un paradigma di organizzazione dei processi produttivi a rete basato sul decentramento e autonomia delle unità produttive. TEORIE SULLE SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE Il dibattito sulla società dell’informazione è stato dominato dalla figura del sociologo Manuel Castells, che negli anni 90’ ha articolato una visione dettagliata di quella che nelle sue opere viene definita come una nuova epoca nell’evoluzione della società, così come dell’economia e della politica. Castells formalizza l’importanza economica, sociale e politica dell’informazione in una società in trasformazione. Nella società industriale, il potere economico e politico era legato alla produzione di oggetti materiali. Nella società dell’informazione sono i beni informazionali o intangibili, come i brand, l’informazione e il sapere a determinare il successo economico, e di conseguenza la possibilità di successo di un individuo. In più Castells descrive la società dell’informazione come una società strutturata in reti. Infatti, con l’evolversi della sua opera egli tende usare l’espressione “network society”. Secondo lui le reti diventano dominanti anche nella dimensione sociale. Lo “spazio dei flussi” è costituito dagli spazi fisici e mediatici, dove circolano saperi, competenze, denaro e persone. Questo spazio si configura come una rete aperta, in cui le frontiere e i limiti fra stati, organizzatori, comunità e gruppi sono sempre meno importanti, e in cui una parte crescente della ricchezza viene creata tramite scambi fra persone appartenenti a diversi stati, organizzazioni o comunità. Restano tagliati fuori gli individui che non hanno internet o non sanno usarlo. Per Castells infatti, la spaccatura principale della società dell’informazione non è più legata solo al conflitto di classe fra capitale e lavoro ma avviene piuttosto fra chi ha accesso ai flussi e chi ne resta escluso. Peter Drucker, pensatore del management contemporaneo, faceva notare come la centralità dei lavoratori della conoscenza- ricercatori, manager, ingegneri e tecnici- si affermasse man mano che le organizzazioni dell’economia capitalistica si facevano più complesse e la fonte del valore si spostava sempre di più verso l’innovazione e l’organizzazione di processi complessi. Drucker fu uno tra i primi ad utilizzare il termine postmoderno. Daniel Bell (1973) ampliò questa visione di un nuovo ordine economico e sociale suggerendo che l’importanza della produzione e circolazione di informazione come fattore economico e quindi la centralità politica e culturale dei lavoratori della conoscenza avrebbero reso meno influenti le grandi ideologie della modernità, come ad esempio il comunismo che erano organizzate intorno al conflitto tra capitale e lavoro. A suo parere i nuovi lavoratori della conoscenza sentivano di non avere alcun legame con le visioni ideologiche di destra o di sinistra, ma erano, in quanto membri del nuovo ceto medio principalmente interessati alla propria autorealizzazione consumista. Nel decennio successivo queste tesi si consolidarono, convergendo verso l’idea di una nuova società post-industriale. Proposto dal sociologo Alain Touraine nel 1971, e da Daniel Bell poco tempo dopo, il modello della società postindustriale si fondava su tre componenti principali: 1. La riduzione del peso economico della produzione materiale effettuata nelle industrie e il consolidarsi di una nuova economia dell’informazione e dei servizi; 2. La centralità della produzione di sapere, e in particolare della ricerca scientifica come motore dello sviluppo economico e sociale. 3. Il ruolo di potere assunto dalla pianificazione e dall’organizzazione di processi complessi, e di conseguenza la sostituzione della vecchia classe dirigente con un ceto di burocratici tecnici che esercitavano il potere in modo anonimo e in apparenza senza interessi politici. Il teorico dei media Marshall McLuhan fu uno dei propugnatori del ruolo dei nuovi media come strumenti di mutamento sociale. Secondo lui i media elettronici come la televisione erano destinati a trasformare l’umanità in un villaggio globale, cioè un mondo in cui i media elettronici rimpiccioliscono il come il Basic della nascente Microsoft di Bill Gates e l’Apple II lanciato nel 1977, il primo computer con un sistema operativo ad interfaccia grafica basato sull’uso del mouse e diretto al mercato di massa che si stava sviluppando in quegli anni. EVOLUZIONE DELLE RETI Negli anni 50’ e 60’ si comincia a pensare computer come strumenti non solo per effettuare calcoli ma anche per comunicare. Il progetto di comunicazione che rappresenta l’antenato di Internet fu infatti la rete Arpanet, basata sulle idee di Licklider, a partire dal 1969 collegava i supercomputer presenti nelle università americane e in alcuni centri militari. Si tratta di un’architettura distribuita, dato che non esiste un nodo centrale che funga da passaggio obbligato, e ridondante, poiché le informazioni possono viaggiare lungo molto molti percorsi possibili. Arpanet però non era l’unica rete, le Bbs nate negli anni 70’, erano banche dati di messaggi e informazioni contenenti in personal computer individuali, cui si poteva accedere mettendosi in comunicazione con un singolo utente tramite le nuove tecnologie Modem. La rete non era più una semplicemente una tecnologia per connettere i computer, ma permetteva alle persone di comunicare e propagare anche contenuti poco ortodossi, senza un controllo o una censura centrale. Negli anni 90’ alcune innovazioni diedero vita alla rete che conosciamo oggi. Nel 1991 Tim-Berners-Lee scienziato del Cern di Ginevra che stava lavorando a un sistema di comunicazione per i fisici del centro di ricerca, scrisse e condivise con il resto della rete i linguaggi e gli standard che costituiscono il World Wide Web. Il sito info.cern.ch fu il primo sito a basarsi sulla HTML, usato per mettere online documenti ipertestuali in cui, un tratto di testo può essere contrassegnato inserendo delle etichette o tag che ne possono descrivere tra le altre cose la funzione, il colore, le dimensioni o il link a cui puntano. Gli URL sono indirizzi riconoscibili che identificano un contenuto presente su un server e permettono a un computer, che ne faccia richiesta di accedervi. Il sistema URL rende i siti indipendenti dalla collocazione fisica dell’informazione su un particolare computer o server. IL FUTURO DELLE SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE Il futuro della società dell’informazione è aperto e dipende naturalmente da molte variabili. Quella dello sviluppo tecnologico è solo una tra le tante, o meglio va Letta nel contesto sociale ed economico in cui ha luogo. Come abbiamo visto, i computer e le reti digitali sono il frutto delle scelte e delle ideologie di attori molto diversi tra loro. Nella società dell’informazione è un progetto che continua a svilupparsi, non un fenomeno storico del passato. Per esempio, la Smart City è un progetto di controllo dei flussi di persone, cose e informazioni tramite l’uso di sensori e processori digitali all’interno di un contesto urbano. La Sharing economy espande il controllo delle imprese a lavoratori che restano proprietari dei mezzi di produzione, per esempio, l’automobile dei lavoratori di Uber, ma sono organizzati da piattaforme digitali in grado di estrarre valore dal loro lavoro. CAPITOLO 3 CULTURE E IDENTITÁ Le attività che si svolgono in rete, ad esempio, sui siti di social network hanno un effetto complessivo sulla vita e l’identità delle persone. I media digitali sono in grado di favorire nuove forme di interazione e arricchire la vita sociale degli individui. Le forme di socialità mediate dalla rete non sono neutrali ma dipendono da fattori culturali e identitari. Inoltre, possono creare problemi di privacy e controllo sociale. Le relazioni sociali sono sempre state influenzate dalle tecnologie della comunicazione. Le prime organizzazioni politiche come le città-stato dell’antichità nacquero in parallelo alla scrittura senza un mezzo di comunicazione in grado di attraversare distanze fisiche e di conservare le comunicazioni nel tempo, sarebbe stato molto difficile organizzare un sistema sociale complesso raccogliere le tasse o assicurare la continuità delle leggi o le usanze di culto. Lo stesso vale per le organizzazioni moderne. I media digitali hanno avuto una velocità di penetrazione senza precedenti, sono passati da poche migliaia a diversi miliardi di utenti in soli vent’anni e sono stati caratterizzati da un rapido succedersi di nuove piattaforme di comunicazione. Le piattaforme dei media sociali come Facebook e Twitter facilitano forme di socialità simili alle comunità basate sulla conoscenza reciproca, ma fanno da supporto anche a relazioni ma non strette. Divisioni contrapposte sembrano dominare il dibattito sui media digitali: • da un lato si afferma che essi rappresentano un mondo sociale estraneo nella vita reale quotidiana; • dall’altro che hanno effetti dirompenti sulle forme di socialità. Negli anni 90’ quando si accedeva a Internet tramite un modem telefonico, si usavano spesso nomi o identità alternative, in quanto si poteva ragionevolmente parlare di un’esperienza della rete come distinta da quella del mondo reale. Oggi individui in rete tendono a postare sui media sociali contenuti legati all’attività, alle emozioni o agli avvenimenti che appartengono alla loro vita quotidiana. L’etnografia digitale, usata per comprendere in profondità i modi di ragionare e comunicare, cioè le culture che caratterizzano alcune forme di vita online. Studiare le culture e le forme di interazione che si sviluppano online non significa però studiare le persone che vi partecipano. Questa è una distinzione importante: studiare il pubblico degli appassionati di Il trono di Spade vuol dire analizzare comunicazioni strutturate dalla piattaforma su cui avvengono. Le tecnologie mobili favoriscono uno stile di vita <<always on>> cioè continuamente online, in cui le relazioni sociali sono sì mediate ma non per questo meno significative. In questo senso la differenza tra online e offline tende a scomparire: le attività online sono una parte di vita sociale quotidiana e i profili sui media sociali sono una parte dell’identità complessiva delle persone. I media sociali tendono anche ad affievolire la distinzione tra pubblico e privato. MEDIA SOCIALI Tra i servizi che dominano il panorama dei media digitali via una serie di piattaforme chiamate il social network o media sociali. I media sociali sono i siti web basati sulla costruzione sul mantenimento di legami sociali. Nel corso degli anni 2000 questi servizi hanno conosciuto una vera e propria esplosione che li ha posizionati tra i principali intermediari fra gli individui rete con i contenuti della rete. Si calcola che il solo Facebook, che da alcuni anni è il social network più grande nel 2016 abbia superato il miliardo e mezzo di utenti attivi. Esistono però numerose piattaforme diverse usate per organizzare i gruppi sociali più differenti: • LinkedIn: usato in tutto il mondo per mettere in contatto reti professionali; • Twitter: che è diventata in pochi anni la principale piattaforma di microblogging; • Badoo: è un sito di dating usato per conoscere incontrare il possibili partner sentimentali; • Renren: è l’equivalente asiatico di Facebook; • Instagram: è un sito dove è possibile condividere fotografie o altre immagini. Secondo una delle definizioni più diffuse in media sociali, sono servizi web che permettono di: 1. Creare un profilo pubblico o semi pubblico; 2. Costruire una rete di contatti; 3. Creare o aderire a comunità tematiche. Se alcuni media sociali sono generalisti, nel senso che sono basati principalmente sulla condivisione di contenuti molteplici, altri sono dedicati a scopi o tipologie mediali specifici. Accademia.edu, ad esempio, è un servizio diretto a ricercatori, che permette di condividere e commentare articoli e studi, mentre su Instagram, gli utenti possono creare bacheche in cui raccolgono immagini che vengono aggregate in base ai temi e ai contenuti che le caratterizzano. Molti di questi siti forniscono chat, instant messaging, e-mail, telefonia VoIP e sistemi di commenti. L’integrazione di questi servizi e l’ampia diffusione dei media Ricerche più recenti hanno dimostrato come anche in Italia le differenze di classe sociale, genere, tradizione culturale, area geografica di appartenenza siano più importanti dell’età nell’influenzare i modi diversi in cui le persone utilizzano i media digitali. PUBBLICI O COMUNITÀ? La teoria sociologica classica distingue due forme di relazioni sociali. 1. Da un lato ci sono le relazioni comunitarie, caratterizzate da alti livelli di fiducia e di conoscenza reciproca. Queste relazioni si articolano nella forma della comunità: ad esempio il piccolo paese italiano di provincia dove tutti si conoscono e dove vigono regole informali ma condivise. Nella comunità il gruppo viene prima dell’individuo e le e le norme che regolano la vita sociale sono molte forti e a volte oppressive. 2. Dall’altro lato, le relazioni sociali tipiche della modernità sono caratterizzate l’importanza di associazioni dotate di regole formali ed esplicite, come le organizzazioni burocratiche, i partiti politici, i sindacati o le associazioni professionali. I diritti ai doveri sono regolati da leggi e regole formalizzate e l’equilibrio tra autonomia individuale e norme sociale è più bilanciato. La diffusione dei media sociali è stata interpretata col come l’emergere di una terza forma di relazioni sociali, che è stata chiamata individualismo in rete. L’individualismo in rete è il risultato della coordinazione di una grande quantità di opportunità e scelte individuali abilitate dai media digitali. In ogni re dell’individuo può mostrare o sviluppare un aspetto particolare della sua identità. Limite l’individualismo in rete mutua la sua impostazione dalla teoria di George Simmel. Studiando le relazioni sociali che si sviluppavano nelle grandi città agli inizi del ventesimo secolo, Simmel evidenzia come l’esperienza individuale tipica della modernità sia caratterizzata dalla contemporanea appartenenza a diverse cerchie. Le persone costruiscono la propria dimensione identitaria sull’appartenenza a gruppi anche molto differenti tra loro, caratterizzati da codici e norme distinti. Internet rende molto più facile identificare e contattare persone con cui si condividono passioni, interessi e valori e organizzare con loro una rete di interazioni. Le forme di interazione di questi gruppi somigliano a quelle di un pubblico caratterizzato da legami comunicativi effimeri, meno duraturi e spesso tre estranei. Questo naturalmente non esclude che all’interno di questi pubblici si possano formare comunità più ristrette dotati di elevati livelli di interazione interpersonale. Il termine è pubblico indica quindi che queste collettività sono meno dense e totalizzanti rispetto alla comunità. Ma allo stesso tempo i pubblici connessi sono più densi delle reti. Una rete è semplicemente un termine tecnico che indica un insieme di legami. Quindi i pubblici, anche se meno densi e meno vincolanti per la costruzione delle identità personali, offrono ai propri membri la possibilità di identificarsi con una causa comune e di ottenere dagli altri membri un riconoscimento del proprio contributo a questa causa comune. I pubblici dei media digitali possono essere entità sociali dotati di una particolare visione del mondo. Infine, le comunità tendono a durare nel tempo conservando gli stessi membri. Uscire da una comunità può essere difficile, proprio a causa dei legami profondi che vi si creano punto al contrario, i pubblici connessi possono essere molto più fluidi e transitori. REPUTAZIONE E INFLUENZA L’emergere dei pubblici connessi e l’importanza dei media digitali come strumenti di costruzione di relazioni sociali sono intimamente legati a cambiamenti nel mondo in cui si forma la reputazione personale degli individui. La reputazione è un giudizio sulle qualità di una persona, anche sconosciuta che viene espressa sulla base di informazioni pubbliche. I media digitali amplificano e trasformano il modo in cui le reputazioni vengono create e alimentate, e forniscono alle persone nuovi strumenti per gestire la propria reputazione. I membri di un pubblico acquistano reputazione sulla base del modo in cui gli altri membri giudicano i loro contributi, ad esempio sulla base della rilevanza dei contenuti che pubblicano sul proprio blog oppure sull’adesione sul oppure dell’aderenza delle loro opinioni o azioni, rispetto ai codici etici del pubblico in questione. Molti servizi e piattaforme hanno sistemi informatici per calcolare e comunicare la reputazione dei propri membri virgola che a sua volta ne determina lo status. Questi sistemi si basano su forme di rating: gli utenti possono valutare un altro utente, attribuendogli un punteggio che ne descriva l’adesione alle norme sociali che permettono il corretto funzionamento della piattaforma. La reputazione garantisce una posizione migliore all’interno del gruppo. Nel sito di aste online eBay i membri con una reputazione più alta concludono più facilmente le transizioni, dato che gli acquirenti o venditori tendono a fidarsi di individui che, secondo il rating espresso da altri utenti hanno sempre pagato i loro acquisti con puntualità. Ma la reputazione influenza anche il godimento e la soddisfazione che si possono trarre dall’interazione con un determinato pubblico. La reputazione tende a determinare l’intensità dell’interazione di un individuo con un determinato pubblico, e in modo analogo quanto quel pubblico sia importante per la sua identità complessiva. La natura comunicativa di questi pubblici e la struttura delle piattaforme dei media sociali fanno sì che l’identità non possa essere semplicemente vissuta ma deve debba essere anche comunicata. In questo senso l’individuo può trovarsi costretto a creare una versione comunicabile della sua identità, una sorta di brand personale che includa certi aspetti della sua vita e se possibile ne escluda altri. L’identità diventa quindi una costruzione ragionata e riflessiva destinata a essere comunicata, in particolare sui media sociali. Ai fini del self-branding queste caratteristiche hanno implicazioni precise: 1. Persistenza, significa che ciò che viene comunicato sui media sociali e in rete tende a restare nel tempo, e che quindi eventi ho scelte del passato possono avere un impatto continuo sulla propria identità. 2. La replicabilità dei contenuti fa sì che comunicazioni avvenute in un ambiente particolare possano essere modificate o cambiate con comunicazioni avvenute in un altro ambiente, generando qualcosa di nuovo. 3. Scalabilità, significa che i contenuti possano diffondersi molto rapidamente. 4. I contenuti sono facilmente ricercabili, cioè facili da trovare. CRITICHE ALLA SOCIALITÀ IN RETE Le forme di socialità basate sui media digitali contemporanei offrono il fianco a molte critiche. La più nota sostiene che le relazioni in rete tendono ad essere più fredde e meno coinvolgenti. In ogni caso occorre tenere presente che l’arrivo di nuove tecnologie di comunicazione genera sempre ondate di critica e addirittura di panico morale. L’argomento principale di altre critiche rivolte alle tecnologie digitali è che la natura immersiva dell’esperienza online tende ad assorbire le persone in un mondo parallelo in modo da isolarle. I media sociali ci proietterebbero così in un mondo in cui saremo insieme ma soli. Le interazioni umani diventerebbero così sempre più scarse per essere sostituite da interazioni con macchine che cercano di simularle, con vari gradi di successo, il calore e l’autenticità della dell’effettività umana. Le ricerche empiriche effettuate fin dagli anni ‘90 però concordano nel tracciare un quadro molto differente. Le persone che usano la rete tendono ad avere reti sociali più estese e diversificate rispetto alle persone che non utilizzano tecnologie digitali. Gli utenti di Internet non sono di per sé meno inclini a far visita ai vicini e hanno in media una vita associativa più ricca rispetto alle persone che non usano i media digitali. L’utilizzo di Internet non tende ad allontanare le persone dallo spazio pubblico, ma al contrario può essere considerato un fattore che alimenta la ricchezza della vita sociale delle persone così come il loro capitale sociale. IL DILEMMA DELLA PARTECIPAZIONE Le prime ricerche sul web collaborativo e sulla cultura della partecipazione tendevano a dipingere questi processi di produzione collettiva tramite i media digitali come forme di democratizzazione dell’ambiente dei media. L’uso stesso della parola “partecipazione” è stato visto come problematico. Autori che hanno autorizzato la teoria democratica per analizzare il web collaborativo hanno sottolineato la differenza tra accesso, interazione e partecipazione. In questo modello la semplice modalità di accedere all’informazione tramite i media digitali è differente dalla possibilità di interagire per scambiare contenuti; forme di partecipazione caratterizzano invece servizi come Wikipedia, i cui utenti possono decidere almeno parzialmente l’evoluzione dell’enciclopedia, o le piattaforme digitali strettamente politiche come quelle usate dai partiti per organizzare i propri militanti. Scendendo nel dettaglio si possono analizzare alcuni fattori organizzativi e politici che determinano la differenza tra semplice condivisione o produzione di contenuti da parte degli utenti: • Intenzionalità: i partecipanti sono consapevoli di prendere parte a una collaborazione e hanno obiettivi condivisi oppure contenuti da loro creati vengono aggregati o gestiti da altri? • Controllo delle modalità: gli utenti possono mettere in discussione le regole della partecipazione oppure le accettano positivamente? • Proprietà: chi possiede il frutto della collaborazione e ne ricava un profitto? • Accessibilità: chi può partecipare e come? • Uguaglianza: ci sono delle gerarchie oppure tutti i partecipanti hanno lo stesso peso nei processi decisionali? Analizzare i processi di condivisione e collaborazione tramite la rete secondo queste variabili permette di distinguere tra reale partecipazione democratica e fenomeni differenti in cui il lavoro individuale e collettivo degli utenti viene aggregato da aziende private a fini di profitto e senza che l’utente abbia alcun potere decisionale in merito. La parola piattaforma richiama infatti uno spazio aperto, sopraelevato e orizzontale su cui salire. Tramite questa metafora dei servizi basati sui contributi degli utenti, come i social media o servizi di condivisione di contenuti, si presentano esplicitamente come spazi neutrali e democratici che facilitano la comunicazione. DAL SOFTWARE LIBERO AL PEER-TO-PEER Il successo delle pratiche di cooperazione in rete, in particolare nel campo del software, ha imposto all’attenzione delle scienze sociali la produzione peer-to- peer, o produzione sociale basata sui beni comuni, che consiste in una forma di produzione affidata alla libera collaborazione di individui online. Nei progetti di produzione peer-to-peer molti individui possono collaborare in forma coordinata, ma non organizzata in forma e gerarchie tradizionali. Per questo si parla di gestione orizzontale, in cui le decisioni non sono prese da una struttura verticale, ma con la partecipazione di tutti gli utenti. Il caso più conosciuto di creazione cooperativa di informazione e quello del Free software o software libero, e in particolare del sistema operativo Gnu/Linux creato inizialmente dalle comunità hacker nordamericane ed europee. Il software libero nato alla fine degli anni ‘80 da un’intuizione di Richard Stallman, è basato su licenze che permettono a chiunque di usarlo, modificarlo e ridistribuirlo. Il software libero deve mettere a disposizione a chiunque il suo codice sorgente, cioè il testo del programma scritto in un linguaggio di programmazione. Per spiegare il significato della definizione di free software Stallman ha usato uno slogan “free as in free speech, not as in free beer”, cioè <<free>> nel senso della libertà di parola, non nel senso di birra gratis. Infatti, la parola free in inglese ha il doppio significato di libero e gratuito. Secondo Stallman, un software libero deve garantire quattro libertà fondamentali: 1. Libertà di eseguire il programma, per qualsiasi scopo; 2. Libertà di studiare come funziona il programma e di modificarlo in modo da adattarlo alle proprie necessità; 3. Libertà di redistribuire copie in modo da aiutare il prossimo; 4. Libertà di migliorare il programma e distribuirne pubblicamente i miglioramenti apportati all’utente. Copyleft: il termine nasce da un gioco di parole tra right e left. Infatti, si tratta di una forma di copyright alternativo, che in italiano si potrebbe definire come permesso d’autore invece di diritto d’autore. Il copyleft è una forma di proprietà intellettuale che tutela l’autore di un’opera ma, allo stesso tempo, permette a chiunque di compiere alcune azioni senza chiedere permesso pagare royalty all’autore, in modo da eliminare gli ostacoli alla diffusione e condivisione delle informazioni create da leggi sul copyright. Negli anni 90 fu un giovane programmatore finlandese, Linus Torvalds, a sviluppare un nuovo kernel- una parte molto importante del sistema operativo- per Gnu e a lanciare il progetto Gnu/Linux. L’intuizione di Torvalds fu quella di coinvolgere centinaia di membri della comunità hacker nel debugging, cioè nella ricerca di problemi da risolvere. I miglioramenti successivi del sistema operativo lo hanno reso un prodotto flessibile e un concorrente diretto e di sistemi operativi sviluppati da grandi multinazionali come Microsoft. Oggi i sistemi operativi Linux rappresentano la maggioranza nel settore dei server e una fetta piccola, ma significativa, in quello dei personal computer, e sono alla base di sistema operativi per tecnologie mobili come Android di Google. La storia e il funzionamento di Gnu e Linux vengono presi spesso, ad esempio, delle forme di cooperazione online per diversi motivi: • I sistemi operativi basati su questi programmi si sono dimostrati in grado di competere con sistemi operativi sviluppati secondo logiche proprietarie e organizzative tradizionali; • Il software libero ha dimostrato l’esistenza di una nuova forma di cooperazione mediata dalle tecnologie digitali; Quali scienza GPL ha creato nuove forme di proprietà intellettuale alternative a quelle canoniche. • I software libero è quindi un interessante esperimento sociale e insieme a Wikipedia negli anni 2000, è stato usato come esempio dell’emergere di nuove forme di cooperazione, in cui le masse di individui partecipano volontariamente alla produzione di tecnologia, contenuti o informazioni che non hanno uno scopo commerciale. La produzione peer-to-peer aumenterebbe l’efficienza dei processi produttivi, in particolare grazie ai bassissimi costi di transizione e alla capacità di coinvolgere un numero elevato di individui disposti a collaborare in cambio di incentivi non monetari. Una caratteristica importante è infatti la sua capacità di intercettare motivazioni individuali che spingono le persone a contribuire. Secondo Benkler, questa caratteristica è anche il motivo per cui queste forme di produzione possono rivelarsi più efficaci di altre. Altre caratteristiche sono la modularità e la granularità dei processi. La modularità è la possibilità di suddividere un progetto in parti, moduli appunto, che possono essere sviluppate indipendentemente dalle altre. La granularità è invece la possibilità di dividere un compito in parti. Più un progetto e granulare più è facile dividerlo in piccole parti. In questo modo un utente può decidere di dare un contributo molto piccolo, che sarà comunque utile per lo sviluppo complessivo del progetto. OPEN SOURCE E INNOVAZIONE Dall’esperienza del software libero è nato l’open source (letteralmente “sorgente aperta”), un movimento che alla fine degli ’90 ha cercato di rendere appetibile per le imprese commerciali il modello aperto rappresentato dal copyleft e dall’innovazione distribuita, evitando al contempo di usare la terminologia politica legata al diritto di espressione tipica del software libero. Il successo di questo modello è infatti andato ben oltre la comunità di volontari tipiche dei progetti non commerciali basati su Linux, e molte imprese informatiche hanno adottato principi open source per i loro prodotti. Negli anni ’70, il fondatore della Microsoft, Bill Gates, divenne il “cattivo” del software. Gates in riteneva che fosse impossibile produrre software senza un’organizzazione che pagasse i programmatori, e che quindi la condivisione diversifica ulteriormente e acquista un ruolo sempre più diretto, non solo nella scelta o nell’interpretazione dei contenuti provenienti da media, ma anche nella stessa produzione distribuzione di informa. DA INTERNET: Il termine broadcasting indica una modalità di trasmissione di un messaggio da un emittente o un media a una vasta platea di riceventi. In pratica si tratta di trasmissioni televisive o radiofoniche appunto a larga diffusione. I media broadcast come i giornali e le televisioni sono strutture ad architettura centralizzata e unidirezionali. La comunicazione viaggia da un solo punto, come uno studio televisivo la relazione di un giornale, ha un numero potenzialmente illimitato di ricevitori che non possono fornire alcun feedback immediato. I mass media invece possono essere commerciali, e quindi sostenuti principalmente da vendite e pubblicità, pubblici oppure no profit. Il fatto principale della rete e la nascita di un sistema mediatico molto più complesso e diversificato, accessibile da attori non commerciali e non statali, decentrato e distribuito. La transizione verso una sfera pubblica in rete si basa su diverse caratteristiche dei media digitali: • Accessibilità: il costo dell’apertura di un canale di comunicazione, così come la produzione e distribuzione di informazione stessa, si è abbassato al punto da diventare quasi nullo. La tecnologia digitali favoriscono strumenti che mettono le capacità produttive nelle mani di chiunque possegga un computer connesso alla rete. • La struttura distribuita: architettura distribuita e non gerarchica della rete, nella quale tutti i nodi hanno pari dignità e l’informazione può spostarsi da uno all’altro senza bisogno di passare per un nodo centralizzato di distribuzione. • La commissione tra pubblico e privato: la partecipazione alla vita pubblica espressa tramite la condivisione di contenuti personali attraverso i profili privati sui media sociali. Le conversazioni dei pubblici in rete, quindi, non sono né strettamente private né completamente pubbliche ma assumano caratteristiche ibride. • La sorveglianza: la maggior parte delle attività che avvengono in rete sono sottoposte ad una sorveglianza sistematica. Infatti, le imprese del web e i governi raccolgono informazioni sulla maggior parte delle comunicazioni digitali o ne conservano copie. Questi attori sono in grado di determinare quando, con chi e attraverso quali contenuti interagiamo. Alcuni tipi di pubblici, non si limitano a produrre e distribuire informazione, ma intervengono attivamente su tutti i livelli dell’ambiente digitale: non solo sui contenuti, dunque, ma anche sull’infrastruttura tecnologica della rete, sulle piattaforme software e sulle forme di gestione dell’informazione. Christopher Kelty definisce pubblici ricorsivi quei gruppi di individui che producono e mantengono le piattaforme che utilizzano per produrre attivamente informazione e conoscenza. LA SFERA PUBBLICA Grazie media digitali un numero sempre maggiore di persone alla possibilità di partecipare direttamente al sistema dei media, aumentandole il grado di pluralismo. I cambiamenti nella distribuzione delle risorse e nell’accesso alla produzione e distribuzione di informazioni che sono resi possibili dalla diffusione dei media digitali sono alla base di quella che Ychai Benkler chiama “sfera pubblica in rete”. La sfera pubblica il luogo dove le persone si incontrano per discutere nelle società moderne. Questa metafora include spazi fisici, quali le piazze, e spazi immediati quali la stampa ho gli ambienti digitali. Hannah Arendt ha definito la sfera pubblica come un luogo dove è possibile radunarsi e agire insieme per negoziare le regole di vita comune. Jurgen Hebermas colloca nel diciottesimo secolo l’emergere di una sfera pubblica nel mondo occidentale, indipendente dai poteri statali e religiosi, è fondata sul sistema dei media basati sulla stampa, come giornali, libri e riviste, ma anche sui luoghi di ritrovo e lettura come i caffè. E in questa dimensione, in cui gli individui che compongono la società civile sono liberi di criticare ed elaborare temi politici senza subire la direzione dell’autorità, che avviene la formazione dell’opinione pubblica. I media digitali hanno trasformato il funzionamento della sfera pubblica, preservandone alcune dinamiche cruciali. La rete permette anzitutto di diversificare le fonti di informazione. La sfera pubblica in rete può essere guidata dagli interessi dei gruppi di utenti e non solo da singoli punti di controllo. Uno dei processi di trasformazione della sfera pubblica nell’era digitale e quello della disintermediazione, cioè l’aumento di indipendenza da figure professionali che hanno storicamente un ruolo di intermediarie tra il pubblico e l’informazione. Grazie alle tecnologie digitali alla rete, individui hanno accesso diretto a una mole immensa di informazioni che erano prima appannaggio di esperti, tecnici o professionisti. La disponibilità di strumenti per pubblicare contenuti di uso semplice e accessibile a qui chiunque ha reso possibile la nascita di fenomeni di produzione di informazione di nuovo tipo, che hanno arricchito l’ecologia dei media. Il Citizen journalism è la produzione e distribuzione di notizie da parte di individui che non sono giornalisti professionisti e attraverso canali alternativi a quelli delle istituzioni comunicative broadcast. Indymedia, è un sito di informazione nato durante le mobilitazioni contro l’organizzazione mondiale del commercio nel 1999, fu uno dei primi esempi di successo di piattaforma per la pubblicazione di contenuti informativi da parte degli utenti. Chiunque, senza il bisogno di essere un giornalista professionista o di avere accesso alle testate giornalistiche poteva pubblicare news o commenti. I confini fra mass media e le nuove forme di comunicazione scompaiono, e i giornali integrano le news online con sistemi di interazione con i lettori, come blogging, commenti agli articoli, sistemi di rating e uso di social network. Una delle funzioni principali dei giornali è il gatekeeping, cioè il potere di selezionare quali notizie raggiungeranno il pubblico e quali no. Infine, è cambiato anche il ruolo dei mass media tradizionali come detentori del potere di agenda setting, cioè la capacità di dettare l’agenda del dibattito pubblico scegliendo le notizie e i temi di cui si parlerà. Le notizie rilevanti possono emergere tramite diffusione dei media sociali o dai blog minori a quelli più linkati e importanti, fino a raggiungere le grandi testate online o mass media. La sfera pubblica in rete sarebbe così in grado di garantire i filtri di attendibilità e rilevanza un tempo riservati ai mass media che oggi non sono più gli unici intermediari tra cittadini e informazione. La rete ha anche favorito l’emergere di attori come WikiLeaks, una piattaforma per pubblicazione di leak, cioè perdite o fughe di notizie, che hanno un ruolo importante nella ridefinizione della sfera pubblica in rete. WikiLeaks è un’organizzazione non-profit internazionale basata su un sistema di raccolta di documenti coperti da segreto di Stato o industriale che le persone possono fornire in forma anonima grazie a sistemi di criptazione. L’organizzazione si occupa poi di verificare l’autenticità dei documenti e di pubblicarli mantenendo l’anonimato delle sue fonti e allo scopo di portare alla luce “comportamenti non etici di governi e aziende”. Lo scopo di Wikileaks e quindi quello di aumentare la trasparenza dei governi e delle imprese tramite una forma di controllo del loro operato messa in atto da tutti gli utenti della rete. Esempi come Citizen journalism o WikiLeaks non bastano però a decretare la democraticità della sfera pubblica in rete. Analizzando il ruolo delle imprese private e le forme di controllo e censura che caratterizzano la rete, diversi critici hanno sottolineato l’importanza di evitare di rappresentare la nuova sfera pubblica come perfettamente democratica. POLITICA E DEMOCRAZIA Non è possibile limitare lo studio dal potere alla sfera della comunicazione; tuttavia, le relazioni di potere sono oramai sistematicamente organizzate anche intorno alle reti, alla capacità di determinare chi vi può accedere, alla loro programmazione e alla gestione dei flussi di informazione. Nella società in rete, il potere diventa così “potere della comunicazione”. A partire dagli anni 90 si è assistito a un aumento progressivo del numero di cittadini che si informano o partecipano al dibattito politico tramite i media digitali, mentre sono diminuiti coloro che utilizzano soltanto altri media come i giornali, le radio o la televisione. Gli effetti di questi cambiamenti sulla sfera pubblica dipendono anche dal tipo di società in cui si verificano. • La cattura dei dati è un regime di controllo che usa le informazioni estratte dall’analisi dei comportamenti e delle interazioni rete per aumentare l’efficienza delle forme di produzioni tipiche delle aziende del web. Per esempio, Google usa i dati degli utenti per generare un profilo del consumatore e quindi presentare pubblicità personalizzate ad ogni singolo utente; • La sorveglianza e invece un processo di raccolta e analisi dei dati da parte di attori pubblici o privati al fine di controllare il comportamento degli individui. La sorveglianza è messa in campo soprattutto dagli Stati per controllare i propri cittadini e si basa su accordi con le imprese del web o sul controllo di parte dall’infrastruttura della rete. Negli anni ’70 Michel Foucault ha descritto la nascita nell’era moderna della società disciplinare, caratterizzata dalla pervasività di istituzioni dedicate a osservare il comportamento dei cittadini per normalizzarlo. Un altro filosofo, Gilles Deleuze, ha proposto che nell’era contemporanea si è avvenuto il passaggio a una società del controllo in cui il potere è esercitato tramite un controllo continuo e istantaneo della popolazione e quindi “diffuso nel cervello e nei corpi dei cittadini”. Nel 2013 l’informatico statunitense Edward Snowden ha rivelato al mondo l’esistenza di programmi segreti di spionaggio messi in campo dalla National Security Agency, un organismo governativo USA. Grazie alle rivelazioni di Snowden ed a informazioni emerse successivamente, sappiamo che diversi governi occidentali e in particolare quello americano, gestiscono sistemi di sorveglianza che permettono di registrare tutte le interazioni online e telefoniche dei propri cittadini e spesso sono usati indistintamente senza il mandato di un giudice. RESISTERE ALLA SORVEGLIANZA La consapevolezza crescente della pervasività della sorveglianza negli ambienti digitali dà vita a forme di resistenza. La crittografia utilizza un insieme di tecniche di codifica che permettono di leggere un testo solo a chi possiede la chiave di interpretazione. Tecnica di offuscamento si basa invece sulla produzione di informazioni fuorvianti, false o ambigue che rendono la cattura dei dati più difficile e meno affidabile. Anche scegliere di non partecipare ad alcuni dei servizi web commerciali potrebbe essere una forma di resistenza alla sorveglianza ed altre forme di potere sugli utenti alla rete. CULTURA CIVICA E INFORMAZIONE L’emergere di forme di organizzazione politica tramite strumenti e piattaforme online ha fatto parlare della nascita di una nuova cultura civica. Politologi come Robert Putnam sottolineano che il coinvolgimento civico delle popolazioni dei paesi occidentali è in declino da decenni. Le organizzazioni di massa come i sindacati hanno sempre meno partecipanti e sempre meno persone che votano alle elezioni o partecipano attivamente alla vita dei partiti politici. Putnam attribuisce al consumo televisivo una responsabilità importante nel declino della partecipazione politica. Tuttavia, queste forme di collaborazione non si limitano a riunire individui che hanno uno scopo in comune, ma spesso coincidono con la creazione di opinioni etiche e politiche e quindi possono dar luogo a un coinvolgimento molto profondo. La politica online tenderebbe quindi a produrre una polarizzazione della società. Ma se il futuro dei media digitali e del loro ruolo politico ha ripercussioni sull’evoluzione della società contemporanea, questo avviene sia nella ridefinizione della libertà politica e dell’autonomia individuale, sia nella possibilità di controllo sociale che sono nelle mani dei governi e imprese private. Molte critiche fanno notare che la rete non è per sua natura democratica nonostante la sua architettura distribuita ai suoi protocolli aperti, ma che molti fattori contribuiscono a definire gli usi possibili e gli effetti. CAPITOLO 5 ECONOMIE DIGITALI E LAVORO La rete rappresenta un settore economico vitale dominato da nuovi attori. Inoltre, le tecnologie digitali hanno favorito fenomeni di organizzazione della produzione basati su innovazioni e flessibilità, e hanno contribuito a trasformare lavoro e consumo. L’accesso all’economia dell’informazione non è omogeneo. Nel settore dei media digitali esistono fenomeni di concentrazione, monopoli, squilibri nella conoscenza e diseguaglianza tra regioni povere regioni ricche del mondo. Internet e media digitali hanno una grande rilevanza economica. Le tecnologie di rete, come personal computer, smartphone televisori digitali o tablet, rappresentano un mercato di prodotti di consumo a diffusione oramai globale. Le innovazioni tecnologiche basate sulla rete hanno introdotto nuove possibilità e nuovi vincoli alle imprese che producono informazione, che in alcuni settori si sono viste obbligate a modificare in profondità i propri modelli di produzione, distribuzione e finanziamento. La coda lunga è il modello su cui si basano giganti come la libreria online Amazon, e si riferisce alla mossa di opportunità marginali che è con i media digitali diventa possibile gestire. Invece di vendere solo pochi titoli molto popolari, Amazon realizza gran parte dei suoi guadagni vendendo poche copie ciascuno di moltissimi libri che rappresentano la “coda” del mercato e non da sua vetta. L’idea alla base delle aziende cosiddette dot.com negli anni 90 era che la rete forse una sorta di biblioteca di contenuti che potevano essere visionati dagli utenti ma solo raramente prodotti da loro. L’idea dei content provider, cioè fornitori di contenuti era quindi quella di far pagare l’accesso ai contenuti online. Questo modello di business esiste ancora in alcuni settori professionali ma è diventato sempre meno sostenibile in altri. L’arrivo di servizi come YouTube o social network come Facebook ha dato agli utenti nuove possibilità di distribuire contenuti prodotti da loro stessi, che rappresentano un’alternativa ai contenuti prodotti dalle industrie culturali. Le app oggi offrono una comodità di accesso che sui telefoni rappresenta un valore aggiunto rispetto ai soli contenuti. Anche l’editoria, per esempio, si trova di fronte un cambiamento simile. Gli ebook per tablet e personal computer stanno conquistando fette di mercato a discapito del libro stampato. Con la nascita del web collaborativo all’inizio degli anni 2000, la rete non si fonda più solo sul sito come raccoglitore di contenuti, ma anche su altre piattaforme come siti di streaming video, wiki e media sociali, che invitano ad una maggiore partecipazione da parte degli utenti non solo in termini di architettura tecnologica ma pure come modello di business. Queste piattaforme facilitano la creazione di contenuti. Il settore dei videogiochi ha un impatto sull’economia dei media digitali non solo tramite la vendita dei giochi stessi, ma anche per il mercato di hardware come computer e console. I videogiochi sono anche strumenti usati per il marketing e si integrano nei processi di consumo: l’industria dei videogiochi alimenta in modo significativo quella dei giocattoli o dei fast food, che usano personaggi dei videogiochi o producono giochi legati ai propri prodotti. Un altro ramo dell’economia del web è composto dai motori di ricerca. Se la prima impresa commerciale di successo fu Netscape all’inizio degli anni 90, oggi il mercato è dominato da Google. Google fornisce una classifica in cui il sito che sta più in alto nei risultati di ricerca è quello più linkato da parte di altri siti. È in grado di offrire servizi gratuiti perché usa informazioni raccolte sugli utenti, cioè le loro ricerche o altre informazioni per essere servizi di sua proprietà come Gmail, YouTube, Google Maps o Android, per fornire pubblicità personalizzata. Uno dei modelli prevalenti di sostentamento economico del web e quindi la fornitura di servizi gratuiti resi possibili dalla raccolta di introiti pubblicitari massicci. Ma si tratta di un modello sostenibile? Finora poche aziende, su tutte Google, sono riuscite ad attrarre investimenti pubblicitari sufficienti a dare sostanza alle loro valutazioni di mercato. In questo scenario emergono modelli parzialmente diversi come quello di LinkedIn, un social per professionisti che richiede il pagamento di una quota di abbonamento agli utenti che vogliono usufruire dei suoi servizi Premium, cioè quelli più specializzati. Le tecnologie digitali hanno permesso anche l’emergere di grandi imprese che si basano su la cosiddetta sharing economy o economia della condivisione. Ad