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Riassunto INTRODUZIONE AI MEDIA DIGITALI di Adam Arvidsson e Alessandro Delfanti, 2a edizione, Sintesi del corso di Sociologia Dei Media

Tecnologie webMedia e ComunicazioneTecnologie dell'InformazioneSociologia

Riassunto dettagliato del libro INTRODUZIONE AI MEDIA DIGITALI di Adam Arvidsson e Alessandro Delfanti, 2a edizione.

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

In vendita dal 10/04/2020

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Scarica Riassunto INTRODUZIONE AI MEDIA DIGITALI di Adam Arvidsson e Alessandro Delfanti, 2a edizione e più Sintesi del corso in PDF di Sociologia Dei Media solo su Docsity! INTRODUZIONE AI MEDIA DIGITALI 1 CAPITOLO: MEDIA E TECNOLOGIE DIGITALI. I media digitali sono diffusi in molteplici attività umane. Per comprenderli non basta studiarne le caratteristiche tecnologiche, ma anche quelle sociali, politiche ed economiche. I media stessi, inoltre, non sono neutrali, ma sono caratterizzati da una storia e da una politica complessa. Le scienze sociali hanno sviluppato diversi approcci per comprendere il rapporto tra tecnologie e società e i modi in cui esse si influenzano a vicenda . 1. L'ambiente digitale. Le società contemporanee sono caratterizzate dalla pervasività crescente dei media nelle vite quotidiane: con la possibilità di connettersi alle reti ovunque: le persone vivono immerse in flussi di comunicazione continui. Questo fenomeno è stato definito mediatizzaazione, producendo una sottovalutazione degli effetti che producono la presenza dei media. La società dell'informazione e della conoscenza in cui viviamo è permeata dai media digitali e quindi si trova di fonte alla necessità di ripensare in profondità il significato di parole come 'libertà', 'democrazia, 'partecipazione' alla luce delle trasformazioni che queste tecnologie rendono possibili o di cui sono l'espressione. La diffusione dei media digitali è cresciuta a partire degli anni '80 del '900, con la messa in commercio di computer basati su microprocessori a basso prezzo, di facile uso e pensati per un mercato di massa, e dall'introduzione del World Wide Web negli anni '90, che ha portato la rete nelle case e nelle imprese. Negli anni 2000 si è assistito all'emergere del web collaborativo, cioè di software e piattaforme online che permettono agli utenti di produrre e distribuire contenuti in prima persona, e dall'introduzione di tecnologie mobili, che hanno trasformato al rete in un esperienza quotidiana. Oggi la pervasività dei media è talmente grande che nessun attività umana è esclusa dai cambiamenti che essi portano. Tutti questi cambiamenti hanno un diretto impatto sull’ECOLOGIA DEI MEDIA seguendo questa metafora, si assiste all’evoluzione di nuove forme di vita, come i motori di ricerca, i social network…ecc.; inoltre l’ecologia si arricchisce di nuove strategie di sopravvivenza: ad esempio I social network forniscono servizi gratuiti in cambio dei dati degli utenti; i partiti politici usano la rete per sperimentare nuove forme di comunicazione…ecc. la metafora ecologica rende l’idea di un mondo dove non vi è un luogo centralizzato di controllo, ma piuttosto un insieme di relazioni e interazioni che costituiscono e trasformano l’ecosistema. Y. Benkler parla della nascita di 'un ambiente digitale di rete' caratterizzato dalle maggiori possibilità a disposizione degli individui per assumere un ruolo più attivo all'interno del sistema dei media. Allo stesso tempo però questo ambiente è terreno di scontro tra gli organismi che lo compongono es il copyright etc. Per questo i media digitali sono un oggetto di ricerca rilevante per le scienze sociali. Le tecnologie digitali mediano le relazioni sociali e sono determinanti nella costruzione delle identità degli individui. L'ecologia della comunicazione rappresenta un terreno di scontro per le dinamiche di potere politico ed economiche, tra diverse visioni del mondo che spesso si contrappongono. Da un lato le tecnologie sono dipinte come portatrici di democrazia; dall'altro come minaccia all'ordine sociale. I media digitali sono dotati di un potere trasformativo, ma essi possono anche ostacolare il cambiamento e riprodurre modelli sociali ed economici esistenti. Gli ambienti digitali, sono spazi privatizzati, commercializzati e sorvegliati. Le interazioni sociali mediate dalla rete si svolgono in gran parte in proprietà di grandi conglomerati come Google o Fb che permettono al potere statale di esercitare un controllo pervasivo di nuovo tipo. 2. Nuovi e vecchi media. I media digitali hanno caratteristiche che li differenziano dai mezzi di comunicazione che li hanno preceduti. Con la definizione nuovi media vengono identificate le tecnologie di comunicazione basate sui computer e sulle reti che si sono diffuse dagli ultimi decenni del 900 affiancandosi e poi integrandosi con i media tradizionali, come tv giornali o radio. Tuttavia l'idea che i media digitali siano nuovi è problematica. I media basati sui computer sono diventati gli strumenti predominanti fino a interagire con tutti quelli precedenti e quindi è impreciso chiamarli 'nuovi'. Inoltre, tutti i media sono sono nuovi quando vengono introdotti. Studiare i nuovi media significa studiare anche il momento in cui essi emergono e si affermano in un contesto storico. Il termine nuovo implica anche una visione lineare dell'evoluzione dei media, che porta le persone a pensare che essi siano migliori dei vecchi. Al contrario, altri ritengono che i vecchi media siano migliori di quelli più recenti. Infine, i media recenti presentano similitudini con i media precedenti. Quando un nuovo media viene introdotto integra il vecchio. Questo processo di rimediazione comporta una relazione di competizione, di coevoluzione e cooperazione tra media diversi. Così, i nuovi media si evolvono da pratiche e tecnologie preesistenti. Inoltre, il concetto di rimediazione permette di riconoscere che l'evoluzione dei media è un processo continuo e non lineare che avvenire in diverse direzione: nuove e vecchie forme mediali continuano a influenzarsi a vicenda. Se ci focalizziamo sulla loro evoluzione continua la loro novità diventa un fattore importante. Infatti parte dell'esperienza dei media digitali risiede nella continua successione di rapidi cicli tecnologici che portano sul mercato nuovo gadget, applicazioni e servizi. Le prime fasi della vita dei media emergenti sono caratterizzate dall'incertezza sul loro ruolo sociale: i nuovi media non sono subito accettati come naturali e questa fase è definita crisi di identità dei nuovi media. Dopo la sua introduzione essi sono lentamente plasmati dalle abitudini di uso dei media preesistenti e dai desideri dei nuovi utenti. La fase di crisi si risolve quando una nuova tecnologia sorpassa la fase di novità iniziale e diviene un prodotto di consumo di massa. In un processo di domesticazione la nuova tecnologia viene accettata all'interno della società. Infine, se tutti i vecchi media sono stati nuovi, tutti i nuovi media sono destinati a diventare vecchi e a essere superati. L'archeologia dei media si occupa di studiare tecnologie un tempo dimenticate o cadute in disuso che vengono rivitalizzate. 3. I media digitali. La definizione 'media digitali' è quindi più accurata rispetto a 'nuovi media', infatti, non si presta ad ambiguità e indica una delle caratteristiche principali di queste tecnologie. I media digitali possiedono alcune caratteristiche principali che li differenziano dai media tradizionali. Essi sono digitali ma anche convergenti, interattivi, ipertestuali, distribuiti, mobili, effimeri e sociali. • Digitali: i media digitali trasportano l'informazione rappresentata da una sequenza numerica che viene poi rielaborata. Il codice binario che caratterizza i computer moderni è basato su 2 soli simboli: 0 e 1. I linguaggi analogici sono invece continui e possono essere divisi in parti più piccole. Le tecnologie digitali possono trasportare molto rapidamente quantità immense di info. I media digitali possono trasformare codici analogici in digitali e viceversa. ( es una fotocamera digitali trasforma un segnale analogico, la luce che entra nell'obiettivo, in un codice digitali, il file). Le tecnologie digitali non sono composte solo da hardware, componenti fisiche come i microchip, ma anche da software, programmi e codici costituiti da informazione. • Convergenti: diversi tipi di contenuti convergono in un unico supporto (scritti, sonori, visivi etc). Inoltre internet rappresenta una convergenza tra l'industria culturale e l'industria delle telecomunicazioni. • Ipertestuali: l'ipertesto è un testo che non può essere stampato su una pagina cartacea ma ha una struttura più complessa, fatta di rimandi ad altri testi o contenuti. I media digitali permettono di fruire di contenuti in modo non lineare. Grazie al sistema dei link un utente può personalizzare il proprio percorso di fruizione. • Distribuiti: i media tradizionali sono centralizzati e unidirezionali. I media digitali sono invece caratterizzati da un modello distribuito di gestione delle tecnologie dell'informazione che si basa su 3 particolarità: ◦ la diffusione di microprocessori a basso costo e quindi l'arrivo sul mercato di computer accessibili ◦ la diffusione dell'accesso alle reti telematiche, in particolare internet e il world wide web ◦ i software e le piattaforme che permettono agli utenti di creare contenuti. I mezzi di produzione e distribuzione dell'info quindi non sono più solo centralizzati ma anche nelle mani di milioni di individui che comunicano in una struttura orizzontale a rete. • Interattivi: nell'ambiente digitale gli utenti hanno la possibilità di interagire direttamente con i contenuti, modificarli o produrli in prima persona. Gli individui possono selezionare le info che ricevono; produrre info legate ai contenuti; produrre in proprio i contenuti mediali. • Sociali: essi si basano sullo sfruttamento di dinamiche sociali. I social network permettono agli utenti di creare un profilo personali pubblico tramite il quale è possibile entrare in contatto con altri individui e con essi condividere contenuti e creare interazioni. Attraverso i media gli individui costruiscono la propria identità, la propria relazione e reputazione e sono anche luoghi dove nascono nuove comunità. • Mobili: le tecnologie mobili di rete rendono pervasivi i media digitali, dato che permettono agli individui di accedere alla rete da qualsiasi luogo e in qualsiasi momento. • Effimeri: media diversi hanno durata e persistenza diversa. Nel caso delle info prodotte e trasmesse tramite media digitali, la durata del tempo dipende da vari fattori. Gli hard disk tendono a non durare di trasformazione economica si aggiungono speranze di natura utopica che attribuiscono alla natura democratica, trasparente e aperta di internet effetti sociali più ampi. Si arriva a parlare della nascita della società dell’informazione come di una terza rivoluzione industriale, basata sulle tecnologie di gestione e trasmissione dell’informazione. Il cambiamento non è limitato solo al settore terziario ma si estende anche ai settori agricolo e industriale. Il sistema economico che emerge da questa trasformazione si caratterizza per essere, nella definizione di Castells, informazionale, globale e a rete. 2. Economia in rete e globalizzazione. In un’economia informazionale, cioè basata sull’informazione, la produttività, la competitività e la reddittività dipendono dalla capacità di generare e gestire informazione e conoscenza. La ricerca e lo sviluppo diventano cruciali per l’impresa. L'informazione è un bene diverso dai beni materiale e necessita di essere regolato da forme di proprietà apposite:nella società dell’informazione i diritti di proprietà intellettuale acquistano importanza. Per un’azienda che produce beni ad elevato contenuto di informazioni, possedere brevetti o diritti d’autore diventa cruciale. A partire dagli anni ’80 i diritti di proprietà intellettuale si espandono. Le risorse principali dell’impresa smettono di essere le fabbriche e i macchinari, per diventare quelle legate all’informazione : brand, brevetti, design, marketing. Aziende come nike o apple non possiedono fabbriche dove vengono prodotti scarpe o cellulari: la produzione di beni materiale è di produttori esterni mentre le imprese madri possiedono la proprietà intellettuale e gestiscono la ricerca tecnologica , il marketing, la comunicazione, le reti di fornitori e quelle commerciali. Nell’economia globale (o globalizzata) le grandi istituzioni economiche hanno la capacità organizzativa e tecnologica di operare su scala globale. Con la società dell’informazione la globalizzazione diventa uno dei fenomeni economici principali e si basa anche sulla nascita di nuovi soggetti: si affermano le imprese multinazionali, che usano i media digitali per controllare i processi produttivi e organizzativi complessi e transnazionali. Nasce così una cultura di consumo globale in cui merci, stili di vita, e forme di consumo si diffondono in tutto il mondo e vengono adattati in contesti locali diversi. Si affermano i mercati finanziari globali, che vengono gestiti tramite media digitali e tecnologie di rete. Aumenta l’importanza di entità e trattati sovranazionali che comprendono insiemi di nazioni o intere regioni. L’economia in rete è caratterizzata da forme di produzione più flessibili. Dalle gerarchie rigide del lavoro di fabbrica e delle organizzazioni burocratiche della società industriale si passa ad un paradigma di organizzazione dei processi produttivi a rete, basato su un decentramento e autonomia delle unità produttive. Nascono reti di imprese formate da fornitori, subfornitori, produttori, imprese di distribuzione e reti commerciali. Con l’avvento della società industriale nell' 800, le economie di scala basate su organizzazioni burocratiche e centralizzate si sono dimostrate più efficienti delle reti preesistenti e si sono affermate come la principale forma di organizzazione economica. Con l’emergere della società dell’informazione, le reti sono tornate ad essere competitive. Le tecnologie dell’informazione permettono di organizzare in modo estremamente efficiente attori che non rispondono ad una gerarchia piramidale ma hanno parziale autonomia di decisione. Le reti tornano così ad essere un’alternativa alle organizzazioni burocratiche. Quadro 2.1 : i diritti di proprietà intellettuale. La proprietà intellettuale è un apparato di principi giuridici che permettono a creatori di esercitare diritti di proprietà sui frutti dell'inventiva e dell'ingegno. Questi diritti concedono un monopolio sullo sfruttamento di un bene immateriale e permettono di escludere soggetti terzi dal suo uso. I diritti di proprietà intellettuale di dividono in 3 tipologie: • il diritto d'autore (copyright) tutela a proprietà delle opere artistiche letterarie e scientifiche; • il brevetto tutela le invenzioni industriali, cioè invenzioni che siano riproducibili in attività industriali; • il marchio contraddistingue un prodotto o un azienda rendendoli riconoscibili da parte del consumatore. La proprietà intellettuale è una concessione temporanea che ha il compito di incentivare l'attività creativa ed inventiva. Dopo una periodo di tempo, le opere o le invenzioni diventano di dominio pubblico, di modo che tutta la società possa trarne beneficio. L'informazione è diversa dai beni materiali. Per gli economisti l'info è un bene non rivale, e ha un costo marginale pari a 0. Non rivale significa che il fatto che una persona acolti una canzone non impedisce ad altri di fare lo stesso. Il costo marginale di riprodurre una info è infatti tendente a 0: una volta sostenuti i costi iniziali per registrare una canzone, produrre copie ah un costo irrisorio. I diritti di proprietà intellettuale instaurano invece costi marginali artificiali da pagare epr produrre una copia di un bene immateriale. 3. Le teorie sulla società dell'informazione. La figura di maggior rilievo sul dibattito sulla società dell’informazione è stata il sociologo Manuel Castells, la cui teoria risulta influenzata dal concetto di determinismo tecnologico. Teorizza l’importanza economica, sociale e politica dell’informazione in una società di trasformazione. Si passa dall’importanza degli oggetti, in una società industriale, all’importanza dei beni informazionali o intangibili nella società dell’informazione. Il brand, l’innovazione e il sapere determinano il successo economico, anche dell’individuo. È il capitalismo informazionale. Castells, inoltre, descrive la società come divisa in reti network society – le reti diventano fondamentali anche nella dimensione sociale. Lo spazio dei flussi è costituito dagli spazi, fisici e mediatici, dove circolano saperi, competenze denaro e persone. Questo spazio si configura come rete aperta. Gli individui che hanno accesso allo spazio dei flussi e che quindi possiedono le competenze necessarie per plasmare l'info in modo efficiente collaborano senza ostacoli. Restano invece tagliati fuori gli individui che non hanno accesso a internet o non sanno usarlo. Per lui la spaccatura principale della società dell'info non è legata più solo al conflitto di classe fra capitale e lavoro ma tra chi ha accesso ai flussi e chi no. Questi ultimi tendono a contrapporsi alla cultura cosmopolita e globalizzata dello spazio dei flussi rinforzando identità territoriali che diventano modalità di resistenza e di opposizione. Al contrario nello spazio dei flussi che trainano la società dell'info i conflitti sono smorzati competono liberamente per un successo. L'espressione società dell'informazione ha una storia che comincia nel dopoguerra ed è caratterizzata da alcuni elementi ricorrenti. Il determinismo tecnologico spinge molti teorici a enfatizzare gli effetti delle innovazioni sulla società. Inoltre, versioni utopistiche di democratizzazione universale convivono con visioni pessimiste in cui le tecnologie mettono a rischio l'ordine sociale. Storicamente il primo ad indagare il potere dell’informazione e della conoscenza come fattore produttivo fu l’economista Fritz Machlup che negli anni ’60 introdusse l’espressione economia della conoscenza. Peter Drucker faceva notarle come l'importante ruolo dei lavoratori della conoscenza si affermasse man mano che le organizzazioni dell'economia capitalista si facevano più complesse e il valore si spostava verso l’innovazione e l’organizzazione complessa. Egli fu anche uno dei primi ad usare il termine postmoderno per descrivere il modello sociale che stava evolvendo intorno all'importanza economica dell'informazione. Il sociologo marxista Daniel Bell, ampliò questa visione, suggerendo che l’importanza della produzione e della circolazione di informazione come fattore economico e quindi i lavoratori della conoscenza avrebbero reso meno influenti le grandi ideologie della modernità, come il comunismo, che erano organizzate intorno al conflitto tra capitale e lavoro. Secondo lui i nuovi lavoratori della conoscenza sentivano di non avere nessun legame con le visione ideologiche, ma erano, in quanto membri del ceto medio, interessati alla propria autorealizzazione consumista. Queste idee influenzarono anche sociologi italiani come Alberoni e Alessandro Pizzorno che sostenne che il peso crescente del nuovo ceto medio avrebbe portato l’Italia ad essere una società in cui il collante sociale sarebbe stato la crescita economica e la possibilità di produrre nuove opportunità di consumo e non le grandi ideologie. Nel 1971 Alain Touraine definì il modello sociologico della società post-industriale composto da 3 fondamenti: • la riduzione del peso economico della produzione materiale effettuata nelle industrie e il consolidarsi di una nuova economia dell'informazione e dei servizi; • la centralità della produzione del sapere e della ricerca scientifica, come motore dello sviluppo sociale ed economico; • il ruolo di potere assunto dalla pianificazione dell’organizzazione di processi complessi e la sostituzione della vecchia classe dirigente con un ceto di burocrati e tecnici che esercitavano il potere in modo anonimo e in apparenza senza interessi politici. Negli stessi anni i teorici del postfordismo ponevano l'accento sulle trasformazioni delle forme di produzione. I pc e l'automazione delle macchine permettevano di superare l'organizzazione rigida e gerarchica della fabbrica fordista per dar vita a forme di produzione più flessibili. Negli anni '80 il concetto di società postindustriale si affianca a un altra idea di società postmoderna, espressione utilizzata da Lyotard secondo il quale i cambiamenti nella produzione di cultura e di sapere avrebbero come conseguenza un effetto profondo nelle società moderne. Mcluan fu uno dei più importanti teorici del ruolo dei nuovi media come strumento di mutamento sociale e scriveva negli anni '60. Secondo lui i media erano destinati a trasformare l'umanità in un villaggio globale cioè un mondo in cui i media elettronici rimpicciolissero il mondo permettendo di comunicare in tempo reale a grande distanza. La sua utopia oltre alla liberazione dalle società centralizzate e burocratiche prevedeva anche la cancellazione delle differenze tra paesi ricchi e poveri, come una comunità globale. Con internet, negli anni '90 ci furono aspettative simili. Attorno alla rivista Wired si radunarono un gruppo di opinionisti, tra i quali Negroponte che dipingeva la rete come una tecnologia che permette di trascendere le barriere spaziali e burocratiche che caratterizzano gli stati. L'individuo in rete è un consumatore o imprenditore che vive negli spazi digitali e in un mercato libero da condizionamenti statali. Questo tecnoliberismo venne riassunto nella formula di 'ideologia californiana', secondo cui la diffusione di internet porterà ad un acceso diffuso a sapere e informazione e quindi cancellerà le differenze. Questa ideologia esaspera il potenziale liberatorio di internet e coglie l'importanza di movimenti e idee nello sviluppo della rete. I movimenti sociali legati a questa evoluzione sono per esempio gli hacker. Pekka Himanem parla di una nuova etica del capitalismo basata su flessibilità, creatività, indipendenza delle gerarchie e dalle burocrazie industriali. Questa posizione viene ripresa da autori che riprendono le idee di Weber sulla nascita del capitalismo, e descrivono l'emergere di un nuovo spirito del capitalismo fondato sui valori delle controculture degli anni '60 nel 900. Secondo questa teoria alla base del capitalismo contemporaneo vi sono elementi culturali provenienti da movimenti di opposizione che vengono riadattati come parte della cultura di un capitalismo flessibile e consumistico. Negli anni ’90 si fa strada l’idea dell’intelligenza collettiva, che per Pierre Lévy è una mobilitazione delle intelligenze distribuite, coordinate e valorizzate grazie alle tecnologie dell’informazione. Da teorici marxisti emerge invece il capitalismo cognitivo cioè una forma di organizzazione della produzione che grazie ai media digitali si basa sullo sfruttamento delle capacità cognitive degli individui. Secondo Marx l'intelletto generale era destinato a diventare la principale forza di produzione nelle società avanzate. La società dell'info ha in un certo senso realizzato la profezia di Marx, dimostrando che il sapere concentrato nelle tecnologie informatiche ha assunto un ruolo guida nell'economia. I teorici del capitalismo cognitivo sottolineano come l'intelligenza collettiva e la cooperazione sociale siano sfruttate dal capitalismo e costituiscono anche la possibilità di una nuova alternativa. 4. Storia delle tecnologie informatiche. L’evoluzione della società dell’informazione è in relazione molto stretta con le modalità di produzione e di distribuzione del sapere che si affermano con la diffusione dei computer prima, e di internet poi. La prima definizione di computer viene attribuita al matematico inglese Turing che,negli anni '30, lo definisce come: una macchina capace di imitare tutte le altre macchine (dal lettore dvd, alla fotocamera, calcolatrice, consolle…), ovvero programmabile. • Il primo computer potrebbe essere invece considerato il telaio inventato da Jacquard nel 1801. Il telaio utilizzava un rotolo di carta perforata (simile a quello utilizzato nei pianoforti automatici) che conteneva un programma di istruzioni per l’esecuzione di un particolare modello; cambiando il rotolo di carta (programma) si poteva cambiare il modello di pizzo prodotto. Sulla base del telaio di Jacquard, Babbage sviluppò due progetti per computer meccanici : macchina delle differenze (1822) e la macchina analitica (1837) , entrambe destinate a calcolare gli orari per le ferrovie. La matematica inglese Ada Lovelace fu la prima ad immaginare che i calcolatori potessero essere programmati (1843). Sia il telaio di Jacquard, sia i progetti di Babbage furono orientati ad aumentare l'efficienza della produzione industriale e del controllo e gestione di organizzazioni complesse come le ferrovie. • I primi passi verso i moderni computer furono fortemente legati ai processi di industrializzazione e all’espansione della complessa burocrazia e delle amministrazioni. Si sviluppa così, un atteggiamento scientifico che viene applicato alle vicende umane e da questa nuova mentalità scientifica ha origine l’idea che la società possa essere misurata e che gli avvenimenti sociali ed economici possano essere calcolati e in una certa misura programmati. È un effetto a catena, infatti, questo modo di pensare fu fortemente rinforzato dallo sviluppo della statistica la quale misurava e controllava gli avvenienti sociali da parte degli stati. Nei secoli successivi la statistica generò una forte pressione per lo sviluppo di nuovi metodi di calcolo e di nuove macchine calcolatrici. La macchina più diffusa fu quella di Hollerith, (1899) inventata per risolvere il problema del censimento americano. Questa funzionava sullo stesso modello di quella di Jacquard, processava dati in forma di schede perforate. La tabule machine company di Hollerith diffuse i primi computer a schede perforate nella maggior parte delle amministrazioni statali e delle grandi società commerciali; successivamente la compagnia di Hollerith assunse il nome di Ibm: International Business Machines. ◦ La produzione divenne progressivamente automatizzata, e macchine programmabili come il telaio Jacquard potevano aumentare la produttività dei lavoratori industriali e semplificarne il lavoro da qui, gli operai qualificati tendevano a essere anche politicamente attivi, l’automazione permetteva di sostituirli con immigrati appena arrivati dalle campagne. Il reclutamento di operai disuguaglianza salariale, con la discesa della classe operaia industriale e la sua sostituzione con il nuovo proletariato dei servizi concentrato nei call center, nelle vendite e nei servizi alla persona. Vi è anche una disuguaglianza globale, con l’accentuarsi della divisione del lavoro tra le regioni che producono materie prime o beni materiali e quelle che gestiscono i processi di innovazione. Il futuro della società dell’informazione dipende da molte variabili e lo sviluppo tecnologico è solo una tra le tante; un campo altrettanto importante è quello delle politiche pubbliche a livello nazionale e sovranazionale riguardante le regolamentazioni sulle telecomunicazioni, sull’architettura della rete e i diritti sulla proprietà intellettuale. Inoltre l'evoluzione della società dell'informazione è legata agli attori che ne guidano lo sviluppo. La società dell'info è un progetto che continua a svilupparsi e oggi evolve in nuove direzioni. 3. CAPITOLO: CULTURE E IDENTITA' Le attività che si svolgono in rete hanno un effetto sulla vita e l'identità delle persone. I media digitali sono in grado di favorire nuove forme di interazione e arricchire la vita sociale degli individui. Le forme di socialità mediate dalla rete non sono neutrali ma dipendono da fattori culturali e identitari. Inoltre possono creare problemi d privacy e controllo sociale. 1. Socialità e media digitali. Le relazioni sociali sono sempre state influenzate dalle tecnologie della comunicazione. Senza un mezzo di comunicazione in grado di attraversare distanze fisiche e di conservare le comunicazioni nel tempo sarebbe molto difficile organizzare un sistema sociale complesso. I media sono fondamentali per la creazione e il mantenimento di gruppi informali, così come per la costruzione dell’identità individuale. L’arrivo sulla scena dei “nuovi” media digitali e delle tecnologie mobili permette nuove e ulteriori riflessioni sul legame tra tecnologie mediatiche e relazioni sociali. Ci sono due visioni contrapposte sul dibattito sui media digitali: 1) si afferma che essi presentano un mondo sociale estraneo alla vita reale quotidiana; 2) che hanno effetti dirompenti sulle forme di socialità. I media digitali odierni sono caratterizzati dalla forte integrazione tra la vita online e quella offline, al punto che non c’è più una distinzione tra le due. Negli anni ’90 si poteva parlare di un’esperienza della rete come distinta da quella del mondo reale, una distinzione tra mondo <<virtuale>> e <<cyberspazio>> dove era possibile nascondere la propria identità reale usando nomi e identità alternative. Oggi gli individui in rete tendono a postare sui media sociali contenuti legati alle attività e agli avvenimenti che appartengono nella loro vita quotidiana. Le tecnologie mobili favoriscono uno stile di vita <<always on>>, cioè continuamente online. In questo modo la distinzione tra online e offline tende a scomparire: le attività online sono una parte della vita sociale quotidiana e i profili sui media sociali sono una parte dell'identità complessiva delle persone. I media tendono ad affievolire la distinzione tra pubblico e privato, dato che i dettagli delle vite private degli utenti sono condivisi in un pubblico tramite le piattaforme digitali e fanno parte di strategie di costruzione della propria identità che avvengono nel contesto di una connessione continua e onnipresente alla rete. Anche per questo oggi è possibile effettuare ricerche sociali online. Infine i media sociali non sono sempre responsabili di nuove forme di socialità, ma anzi possono tendere a diventare strumenti per riprodurre fenomeni sociali esistenti. Quadro 3.1: metodi digitali per la ricerca sociale. La ricerca sociale ha sviluppato un insieme di nuovi metodi di studio, i metodi digitali. • Le piattaforme social media, cosi come i siti di e-commerce, raccolgono masse di dati sul comportamento degli utenti. Queste quantità enormi di dati diventano big-data, gradi insiemi di dati da cui si cerca di estrarre informazioni e di predire trend. Essi dando accesso a grandi quantità di dati su intere popolazioni rendono possibile studiare molti fenomeni. • La network analysis è un altro metodo basato su masse di dati che usa software per rappresentare pubblici, individuare le connessioni tra individui e scoprire chi sono le persone più influenti. • L'analisi semantica permette di studiare i discorsi che si sviluppano in rete. • Il sentiment analysis è quando il marketing usa queste tecniche per analizzare il contenuto di commenti e capire se sui media un brand o un prodotto è associato a termini positivi o negativi. • L'etnografia digitale è usata per comprendere i modi di ragionare e comunicare, ovvero le culture che caratterizzano alcune forme di vita online. Studiare queste culture vuol dire analizzare comunicazioni strutturate dalla piattaforme su cui avvengono. 2. I media sociali. Tra i servizi che dominano il panorama dei media digitali vi è una serie di piattaforme chiamate social network o media sociali. I media sociali sono siti web basati sulla costruzione e sul mantenimento di legami sociali. Nel corso del 2000 questi servizi hanno conosciuto una vera e propria esplosione. Esistono però anche piattaforme diverse, usate per organizzare i gruppi sociali più differenti per gli scopi più vari e con modalità eterogenee. I media sociali sono servizi web che permettono di : – creare un profilo pubblico o semipubblico secondo le possibilità e i vincoli offerti dalla piattaforma stessa; – costruire una rete di contatti in cui si possono vedere i contenuti e le informazioni dei profili; – creare o di aderire a una comunità tematiche, gruppi di discussione o reti che non sono strettamente legate alla propria cerchia di contatti. La maggior parte dei siti di social network permette agli utenti di pubblicare e condividere con i propri contatti contenuti mediali di vario tipo, come fotografie, video, testi o altro. I contenuti sono pubblicati sulla pagina personale dell’utente, la sua bacheca o timeline. Gli utenti possono interagire con i contenuti degli altri utenti condividendoli, commentandoli o assegnando loro un rating che esprima giudizio. Alcuni media sociali sono generalisti, altri sono specifici. Le piattaforme dei media sociali integrano servizi che permettono agli utenti di comunicare in forme non legate solo alla pubblicazione di contenuti. Molte di queste piattaforme sono state sviluppate per facilitare l’organizzazione di relazioni sociali intorno ad interessi comuni ,Facebook inizialmente era stato sviluppato per rispondere al bisogno di mettere in connessione gli studenti di Harvard, solo in seguito ha raccolto capitali che lo hanno trasformato in un’impresa commerciale. I diversi servizi e piattaforme si rivolgono a pubblici diversi, anche se in parte possono essere sovrapposti. I media sociali forniscono un insieme di servizi che sono usati per altri scopi e da altri gruppi. I social non sono sempre globali ma spesso si articolano su base territoriale e linguistica. Oggi i media sociali sono in gran maggioranza gestiti e sviluppate da aziende private. Queste aziende hanno sviluppate modelli economici che permettono loro di assicurarsi guadagni a partire dalle informazioni che questi forniscono al sito. Questi dati vengono aggregati da software di profilazione, che permettono cioè di creare profili degli utenti in base ai loro interessi, alle loro comunicazioni, ai siti che visitano e alle loro reti di amicizie. Le piattaforme dei media sociali si basano sulla loro capacità di inserire pubblicità compatibili con gli interessi e gli stili di vita di un utente come componenti naturali degli ambienti comunicativi in cui svolge la sua vita relazionale. Alcuni servizi hanno modelli misti, cioè richiedono il pagamento di una quota di iscrizione agli utenti che vogliono usare tutte le funzioni e i servizi del sito. Non tutti i media sono creati a scopo di profitto. Lo studio dei social network permette di comprendere come questi assumono un loro ruolo nello strutturare nuove forme di relazioni sociali e contribuiscono alla costruzione delle identità personali e di gruppo che avvengono in rete. Tuttavia i media sociali hanno il potere di strutturare il tipo di azione che gli utenti possono mettere in atto, dato che le tecnologie che li costituiscono offrono possibilità ma anche limiti entro i quali è possibile utilizzarli. 3. Media e identità. I media digitali sono importanti strumenti in cui gli individui mettono in atto strategie attive di costruzione della propria identità. I rituali di presentazione del sé, studiati dal sociologo Goffman, attraverso i quali le persone si rappresentano in pubblico e costruiscono nelle pratiche la propria identità, devono essere ricalibrati per adattarli ai media digitali e alle possibilità offerte dalle piattaforme sociali. Goffman usava la metafora del teatro per descrivere il modo in cui le persone costruiscono la propria identità in pubblico. Seguendo questa metafora possiamo sostenere che i media digitali, e soprattutto quelli sociali, siano uno dei palcoscenici contemporanei da cui gli individui rappresentano la propria identità tramite un lavoro di continua costruzione. I media digitali forniscono agli individui un controllo elevato su questa continua costruzione identitaria. Rivelando qualcosa di se gli individui effettuano un lavoro di costruzione della percezione che gli altri hanno di essi. Il tipo di informazioni che vengono pubblicate può variare all’interno di contesti diversi, cioè piattaforme rivolte a scopi e pubblici diversi. Nei media sociali, che sono basati sulla capacità di attivare e rendere visibili i legami sociali degli individui, il contenuto dell’informazione pubblicata può essere meno rilevante rispetto al contesto in cui avviene la comunicazione. Tuttavia i media sociali non determinano completamente l’identità di una persona ma piuttosto la incorniciano. Molti dei comportamenti di costruzione dell’identità in rete sono identici a quelli offline. Nel passato erano molto usati i nickname (o pseudonimi), in modo da mascherare la propria identità o crearne altre, oggi, invece, la maggior parte degli utenti della rete usa il suo vero nome. I media sociali sono anche degli spazi utilizzati spesso per esprimere in forma anonima lati della propria identità ritenuti socialmente inaccettabili o censurati (es. uso di Tumblr Instagram). Questo fenomeno, chiamato thinspiration, si è dimostrato resistente ai tentativi di censura dato che gli individui usano una miriade di # che cambiano di continuo per evitare che le piattaforme web blocchino i post contenenti un # segnalato come improprio. L’importanza dei media sociali per l’identità delle persone è evidenziata anche da fenomeni come il cosiddetto aldilà digitale. È divenuto comune utilizzare il proprio profilo per annunciare il decesso, questo processo può creare una sorta di immortalità in cui l'identità digitale della persona deceduta sopravvive alla sua morte. L'uso delle reti come spazi di socialità è influenzato da fattori culturali e sociali, come il genere, l'etnia e la classe sociale. Con la definizione nativi digitali sono stati descritti i giovani nati a stretto contatto con i computer e internet, con cellulari, tablet e console per i videogiochi connesse alla rete. I <<nativi>> sarebbero abituati a leggere su schermi, a interagire online con i loro coetanei, a scrivere, giocare, imparare, interagire per mezzo della rete, dato che sono la generazione che non ha mai conosciuto il mondo come esisteva prima della diffusione di massa delle tecnologie digitali. I migranti digitali sono le persone che sono nate prima dell’avvento di internet e si sono formate in un mondo dominato da carta stampata e televisione. Ad un certo punto della loro vita adulta hanno dovuto adattarsi alle tecnologie digitali e imparare questo linguaggio. Tuttavia il concetto di nativi digitali è stato accantonato, in quanto tendeva a nascondere le differenze nel come le persone usano internet, anche fra colo che sono nati in un mondo dominato da queste tecnologie, le differenze di classe sociale, genere ed etnicità, per concentrarsi su quelle generazionali. 4. Pubblici o comunità? La teoria sociologica classica distingue due forme di relazioni sociali : • Relazioni comunitarie : caratterizzate da alti livelli i fiducia e di conoscenza reciproche. Queste si articolano nella forma della comunità, in cui il gruppo viene prima dell’individuo e le norme che regolano la vita sociale sono molto forti e a volte oppressive. • Relazioni sociali tipiche della modernità : caratterizzate dall’importanza di associazioni dotate di regole formali ed esplicite, come le organizzazioni burocratiche, i partiti politici, i sindacati o le associazioni professionali. I diritti e i doveri sono regolati da leggi e regole formalizzate e l’equilibrio tra autonomia individuale e norme sociali è più bilanciato. La diffusione dei media sociali è stata interpretata come l’emergere di una terza forma di relazioni sociali, che è stata chiamata individualismo in rete. Questo è il risultato della coordinazione di una grande quantità di opportunità e scelte individuali abilitate dai media digitali. L’individuo tende ad appartenere ad una moltitudine di reti sociali diverse, spesso non connesse tra loro. In ogni rete l’individuo può mostrare o sviluppare un aspetto particolare della sua identità. Le persone hanno la possibilità di agire attraverso le proprie scelte per definire una serie di riferimenti plurali che le caratterizzano e danno forma alla loro identità complessiva. Simmel, studiando le relazioni sociali che si sviluppavano nelle grandi città agli inizi del XX secolo, evidenzia come l’esperienza individuale tipica della modernità sia caratterizzata dalla contemporanea appartenenza a diverse cerchie. Le persone costruiscono la propria dimensione identitarie sull’appartenenza a gruppi anche molto differenti tra oro, caratterizzati da codici e norme distinti. Internet rende molto più facile identificare e contattare persone con cui si condividono passioni, interessi e valori e organizzare con loro una rete di interazioni. Esso rende più semplice la proliferazione di gruppi organizzati intorno ad interessi o stili di vita comuni, tanto da far parlare di nuove forme di collettivismo in rete in cui gruppi di persone sono tenute assieme da legami deboli. Per sottolineare la differenza rispetto a gruppi che condividono legami più forti altri autori hanno descritto queste nuove forme di socialità basate sui media digitali come pubblici connessi, invece che come comunità. In sociologia il termine <<comunità>> implica una forte densità relazionale : i membri di una comunità interagiscono gli uni con gli altri e condividono significati, pratiche, valori e norma anche vincolanti. Non tutte le appartenenze costruite attraverso i media digitali possono essere descritte con i termini della comunità. spesso si tratta di individui che non si conoscono direttamente e condividono solo alcuni interessi o comportamenti. Castells ha chiamato queste forme di interazione autocomunicazione di massa: ognuno comunica con il pubblico che lo circonda, generando un’opinione e informazioni comuni. Le forme di interazione di questi gruppi somigliano a quelle di un pubblico caratterizzato da legami comunicativi effimeri. Il termine pubblico indica che queste collettività sono meno dense e totalizzanti rispetto alle comunità. Allo stesso tempo, però, i pubblici connessi sono più densi delle reti. Una <<rete>> è semplicemente un termine tecnico che indica un insieme di legami. Il pubblico può essere caratterizzato da un immaginario sociale Gli esempi di questo fenomeno precedono la rete. Tuttavia alcune trasformazioni tecnologiche ed economiche hanno favorito forme di interazione attiva con i contenuti dell'industria dei media. Il fenomeno è esploso dagli anni 2000 con il passaggio da forme più statiche e unidirezionali di comunicazione al web collaborativo. I media broadcast, come la televisione e la stampa, sono diretti da un centro che invia il messaggio a molti ricevitori, qui il pubblico può scegliere quali contenuti leggere o guardare, ma non può contribuire a fornire feedback e produrre contenuti. Oggi invece la rete è costituita da applicazioni e servizi che consentono un livello di interazione maggiore tra gli utenti e il servizio stesso e l’utente assume un ruolo centrale. Gli esempi di applicazioni collaborative sono molti, e diversi tra loro, ma tutti esaltano la partecipazione, la creazione di contenuti e la condivisione di informazione. I blog sono diari o giornali online, che danno vita alla blogosfera, cioè un ambiente a rete formato da blog in comunicazione dove troviamo anche i social network, i sistemi di rating e piattaforme di microbloging.La pubblicazione online non è più riservata soltanto agli informatici, giornalisti o scrittori ma a tutti gli utenti. I wiki, software di scrittura collettiva, permettono a più persone di lavorare contemporaneamente a uno stesso testo o documento, l’esempio più concreto è Wikipedia, un enciclopedia online scritta in modo collaborativo, allo stesso modo troviamo anche Youtube anche se in forma differente. Il successo di questi servizi è dovuto oltre che all’uso di software collaborativi, anche alla diffusione di strumentazione a basso costo come telecamere o macchine fotografiche. Altri servizi commerciali sono Ebay, Amazon che usano informazioni prodotte dagli utenti per migliorare il proprio servizio. In modo simile funzionano le piattaforme mashup che permettono di aggregare info prese da fonti diverse per creare un sito o un applicazione, come ad esempio GoogleMaps. Attraverso altre tecnologie, come quelle che permettono il tagging, gli utenti possono aggiungere a un contenuto un tag. I sistemi di rating sono i sistemi tramite i quali gli utenti possono fornire una valutazione rispetto un contenuto, come ad esempio Tripadvisor. Il risultato è un aggregato dei vari voti. Il web collaborativo non è solo una questione tecnologica. Con la nascita di software e piattaforme collaborative si assiste anche ad una cultura della partecipazione, che spinge gli utenti a contribuire alla produzione di informazione in forma libera svincolata dalle dinamiche canoniche dell’industria culturale. Il pubblico che prima riceveva i messaggi passivamente veicolati dai media broadcast, si trasforma in una pluralità di pubblici attivi che non si limitano a esercitare una scelta rispetto ai contenuti di cui vogliono fruire ma partecipano in prima persona alla loro produzione. Da consumatori passano a prosumers (letteralmente si riferisce ad un utente che, svincolandosi dal classico ruolo passivo, assume un ruolo più attivo nel processo che coinvolge le fasi di creazione, produzione, distribuzione e consumo), cioè produttori/consumatori. Anche le comunità di fan sono state oggetto di studi importanti sul cambiamento del sistema dei media. I fan sono sempre più spesso coinvolti attivamente nella produzione di contenuti alternativi a quelli ufficiali. Una caratteristica è il coinvolgimento emotivo forte nei confronti del prodotto mediali a cui fanno riferimento. La partecipazione attiva dei fan può costituire un problema per le aziende dell'industria culturale. Ad esempio la gestione del copyright. Tuttavia le aziende possono decidere di seguire strategie diverse di interazione con i propri pubblici. Se alcune aziende scelgono approcci flessibili e permissivi, altre assumono atteggiamenti proibizionisti e cercano di reprimere chi usa o rielabora i contenuti in forma non autorizzata. In molti casi le industrie cercano di sfruttare il fenomeno a proprio vantaggio tramite piattaforme private che incanalano la creatività delle comunità di riferimento in modo da incentivare la produzione di contenuti e info che possono poi essere incorporati nei loro prodotti. In questo caso il copyright assume un ruolo di modulatore della partecipazione ed è usati per controllare i contenuti prodotti dai fan piuttosto che proibirli. 2. Il dilemma della partecipazione. Le prime ricerche sul web collaborativo e sulla cultura della partecipazione tendevano a dipingere questi processi di produzione collettiva tramite i media digitali come forme di democratizzazione dell’ambiente dei media. Nella teoria politica moderna, il concetto di partecipazione sottointende una distribuzione del potere verso i cittadini tramite processi decisionali democratici e relazioni di potere egualitarie. Però gli utenti contribuiscono solo marginalmente ai processi decisionali, e quindi le forme di collaborazione gestite dalle industrie culturali o dalle grandi imprese del web non sono pienamente partecipative. Vari autori hanno utilizzato la teoria democratica per analizzare il web collaborativo e hanno sottolineato la differenza tra accesso (semplice modalità di accedere ai contenuti); interazione (interagire per scambiare i contenuti); partecipazione (in cui gli utenti possono partecipare decidendo almeno parzialmente la formazione dei contenuti). Nel dettaglio si possono analizzare alcuni dei fattori organizzativi e politici che determinano la differenza tra semplice condivisione o produzione di contenuti da parte degli utenti e forme di collaborazione in cui si può parlare di vera e propria partecipazione ad un progetto collettivo: • Intenzionalità : i partecipanti sono consapevoli di prendere parte ad una collaborazione e hanno obiettivi condivisi oppure i contenuti da loro creati vengono aggregati o gestiti da altri? • Controllo delle modalità : gli utenti possono mettere in discussione le regole della partecipazione oppure le accettano passivamente? • Proprietà : chi può partecipare e come? • Uguaglianza : ci sono delle gerarchie o tutti i partecipanti hanno lo stesso peso nei processi decisionali? Analizzare con queste variabili ci permette di distinguere tra partecipazione reale e lavoro collettivo degli utenti che viene aggregato da aziende private a fini di profitto senza che l'utente abbia potere decisionale in merito. Le imprese web tendono a definirsi piattaforme non solo per descrivere il proprio funzionamento dal punto di vista tecnologico, ma anche per ribadire l’apertura di questi servizi agli utenti, che possono usarli per produrre o condividere contenuti creati da loro stessi. La parola <<piattaforma>> richiama uno spazio aperto, sopraelevato e orizzontale su cui salire. Tramite questa metafora i servizi basati sui contributi degli utenti si presentano esplicitamente come spazi neutrali e democratici che facilitano la comunicazione. Creatività e partecipazione ai processi di produzione collettiva online fanno parte di un’ideologia alimentata a scopi commerciali. Le stesse strategie economiche messe in atto da questi servizi si basano sullo sfruttamento dei contenuti prodotti dagli utenti, come foto, video, testi. Questi servizi usano la retorica di neutralità per evitare di essere ritenuti responsabili per eventuali contenuti illegali pubblicati dagli utenti. Le piattaforme si basano sulla partecipazione collettiva degli utenti in rete rendono possibili nuove forme di cooperazione che possono essere messe in atto per fini non commerciali da masse di individui connessi, ma che possono essere sfruttate dalle imprese. 3. Dal software libero al peer-to-peer. Il successo delle pratiche di cooperazione in rete ha imposto l'attenzione delle scienze sociali sulla produzione peer to peer (P2P), o produzione sociale basata su beni comuni, che consiste in una forma di produzione affidata alla libera collaborazione di individui online. Nei progetti di produzione P2P, molti individui possono collaborare in forma coordinata, ma non organizzata in forme di gerarchie tradizionali. Appunto per questa si parla di <gestione orizzontale>, in cui le decisioni sono prese con la partecipazione di tutti gli utenti. Il caso più conosciuto di creazione cooperativa di info è quello del free software o software libero, è in particolare del sistema operativo Gnu/Linux. Il software libero, nato alla fine degli anni '80 da R.Stallman, è basato su licenze che permettono a chiunque di usarlo, modificarlo e redistribuirlo. Esso deve mettere a disposizione di chiunque il suo codice sorgente, cioè il testo del programma scritto nel linguaggio di programmazione. Questo permette agli utenti di usare un programma e anche di studiarlo e modificarlo. Questi programmi sono soggetti a specifiche licenze. Per spiegare il significato di 'free software', Stallman ha usato lo slogano 'free as in free speech, not as in free beer'. Dove il free software può essere gratuito o a pagamento, ma libero, perchè si basa su una concezione liberale del diritto di parola, che si fonda sul diritto a modificare, adattare e redistribuire un programma. Secondo lui, un software libero deve garantire 4 libertà fondamentali: • libertà (0) di eseguire il programma, per qualsiasi scopo; • libertà (1) di studiare come funziona il programma e la possibilità di modificarlo in base alle proprie necessità. L’accesso alla sorgente è dunque un prerequisito; • libertà (2) di redistribuire copie in modo da aiutare il prossimo; • libertà (3) di migliorare il programma e distribuire pubblicamente i miglioramenti dall’utente in modo tale che tutta la comunità ne tragga beneficio. Negli anni '70 il sistema operativo Unix, di proprietà At&T, circolava liberamente ed era aperto alla collaborazione. Unix poi venne chiuso e si pose un freno alla libera circolazione del suo codice sorgente. In seguito Stallman cominciò a lavorare a un sistema operativo simile a Unix ma basato sui principi di condivisione dell'etica hacker. Nasce cosi Gnu (acronimo di Gnu is Not Unix). Contemporaneamente, Stallman e altri programmatori si dedicarono alla scrittura di licenze che traducono in termini legali gli ideali scritti nelle libertà fondamentali del free software e impediscono la chiusura e la privatizzazione di Gnu: La General Public license (Gpl) dacui derivano licenze che costituiscono il copyleft. Negli anni'90 Linus sviluppo un nuovo kernel, una parte importante del sistema operativo, per Gnu e lanciò il progetto Gnu/Linux. La sua intuizione fu quella di coinvolgere membri della comunità hacker nel debugging, cioè nella ricerca di problemi da risolvere. I miglioramenti del sistema operativo l'hanno reso un prodotto flessibile. Oggi i sistemi operativi Linux rappresentano la maggioranza nel settore dei server e ancora solo una piccola fetta, ma in crescita, in quello dei personal computer, e sono alla base di sistemi operativi, come Android di Google. Nel corso degli anni i programmatori di prodotti Gnu e Linux sono cresciuti e hanno dato vita a molti progetti tramite il sistema del forking: le licenze Gpl usate per proteggere il software libero permettono a chiunque di deviare dal progetto originario e lavorare una propria versione senza dover partire zero. Dai forking nascono progetti come Debian. La storia e il funzionamento di Gnu e Linux vengono spesso presi come esempio delle forme di cooperazione online per diversi motivi: • i sistemi operativi basati su questi programmi si sono mostrati competitivi con sistemi sviluppati secondo logiche tradizionali; • il software libero ha dimostrato l'esistenza di una nuova forma di cooperazione mediata dalle tecnologie digitali; • la licenza Gpl ha creato nuove forme di proprietà intellettuale alternative a quelle canoniche. Insieme a Wikipedia, negli anni 2000, il software libero è stato usato come esempio dell'emergere di nuove forme di cooperazione in cui individui partecipano volontariamente alla produzione di contenuti che non hanno uno scopo commerciale.Alla base di queste forme di peer to peer vi sono delle premesse legate alla nascita di un ambiente digitale in rete: • Il costo marginale della produzione di informazione tende allo zero: una volta creato un contenuto digitale, il costo affrontato per produrre una copia è molto basso; • la diffusione ubiqua (capacità di trovarsi in più luoghi nello stesso momento) dei computer connessi alla rete, che permette a milioni di utenti di collaborare a distanza; • l’emergere di strategie non proprietarie della gestione dell’informazione, cioè forme di protezione dei contenuti alternative al copyright, che rimuovono le barriere all'accesso e danno vita ai beni comuni dell'informazione, ovvero i commons. L’esempio più noto di forme alternative di copyright sono le licenze Creative Commons (Cc); • le innovazioni tecnologiche rappresentate da software che permettono la collaborazione online tramite i quali gli utenti possono lavorare in forma collaborativa e a distanza; • la diffusione di produzione non a scopi commerciali ma per valore d’uso, servizi gratuiti e accessibili a chiunque. • L'espansione di forme di organizzazione orizzontali, flessibili e non gerarchiche che vengono rese possibili ed efficienti dalla rete ma corrispondono anche alla volontà politica di non sottostare alle gerarchie rigide tipiche della società industriale. Una caratteristica del P2P è al sua capacità di intercettare motivazioni individuali che spingono le persone a contribuire. Queste forme di cooperazione aumentano il controllo individuale sui processi produttivi. Altre caratteristiche sono la modularità e la granularità dei processi. La prima è la possibilità di suddividere un progetto in parti, moduli, che possono essere sviluppati indipendentemente dalle altre e il modulo così sviluppato può essere integrato nel complesso del progetto; la seconda è la possibilità di dividere un compito in parti. Un utente può decidere di dare un contributo molto piccolo che sarà comunque utile epr lo sviluppo complessivo. Queste caratteristiche invogliano più persone a contribuire al progetto. La volontà di partecipare a progetti no profit rientra in una nuova forma di economia del dono, in cui la remunerazione per la cooperazione non è solo economica ma crea anche legami sociali. La maggior aprte di persone che vi partecipano sono acne motivate dalla prospettiva di accumulare reputazione. Partecipando a progetti di software libero i programmatori accrescono le proprie competenze tecniche e la reputazione all'interno delle comunità. La metafora del peer-topeer (P2P) deriva dall'informatica. Le reti P2P sono reti di computer usate per scambiare file e hanno la particolarità di non avere dei luoghi centralizzati in cui risiedono le informazioni, ad esempio un server. Ogni computer del P2P funziona grazie alla sua ridondanza: il contributo di molti computer individuali fa si che anche lo spegnimento di un nodo della rete non ne comprometta il funzionamento, dato che le stesse informazioni sono disponibili su molte macchine e possono viaggiare seguendo percorsi alternativi. Bauwens parla di una nuova economia politica basata sulla produzione P2P riferendosi a reti di individui che collaborano in modo distribuito e orizzontale cioè senza gerarchie e condividono il prodotto. Un altra metafora per descrivere queste forme di produzione di cultura e informazione è quella del <bazar> contrapposto alla <cattedrale>, quest’ultima ha bisogno di un progettista e a sua volta dei coordinatori e altri lavoratori per esser costruita, abbiamo quindi una struttura centralizzata e piramidale al contrario del bazar Quadro 4.4 : Blockchain e bitcoin. Il bitcoin, lanciato nel 2009, è la moneta elettronica più diffusa al mondo. Essi sono conservati in portafogli digitali che permettono il trasferimento anonimo di valuta via internet. Il bitcoin non è basato su un attore istituzionale ma su una rete di computer che usano una tecnologia P2P progettata per garantire l'autenticità di un oggetto digitale. Si tratta di Blockchain, un registro pubblico degli eventi interni a un sistema, in questo caso le transazioni di bitcoin, basato sui computer degli utenti stessi. Il registro è suddiviso in blocchi di informazione che sono conservati su tutti i computer che partecipano al sistema. Con un certo intervallo le info del sistema vengono aggiornate e trasformate in un nuovo blocco che contiene un hash, ovvero una sequenza numerica unica che rappresenta il blocco precedente. Gli aggiornamento avvengono simultaneamente sull'intera rete dei computer degli utenti, quindi nessun individuo è in grado di manipolare il sistema. Blockchain potrebbe garantire l'autonomia giuridica e decisionale dei robot o automatizzare il lavoro giuridico e finanziario sostituendolo con i registri pubblici che non possono essere manipolati. 5 CAPITOLO: SFERA PUBBLICA E POTERE. Le trasformazioni della società dell'informazione sono legate a cambiamenti che coinvolgono il sistema dei media e la politica. La sfera pubblica si è aperta a nuove pratiche e nuovi attori. In questa sfera, il confine tra pubblico e privato è messo in discussione e la comunicazione è sottoposta a forme di controllo e sorveglianza. L'evoluzione politica delle società odierne si basa sulla capacità di gestire il potere delle reti di comunicazione. 1. Dal pubblico ai pubblici attivi. Il pubblico è attivo, riceve un messaggio ed è in grado di interpretarlo, valutarlo e rispondere in forme differenti. Con l’arrivo dei media digitali il pubblico si diversifica ancora di più, si parla di pubblici dei media, e acquista un ruolo sempre più importante e diretto anche nella stessa produzione e distribuzione dell’informazione. I media broadcast sono strutture ad architettura centralizzata e unidirezionale, le decisioni, su notizie o sulle informazioni da comunicare, sono prese da poche persone che lavorano in ruoli gerarchici prestabiliti. I mass media possono essere commerciali, sostenuti da vendite e pubblicità, pubblici oppure no profit. Nei primi due casi il controllo economico e politico di molti canali mediatici può essere assunto da un gruppo di potere o una sola persone. I media digitali e le tecnologie di rete modificano radicalmente questa situazione. L’effetto principale della rete è appunto la nascita di un sistema mediatico più complesso e diversificato, accessibile ad attori non commerciali e non statali, è decentrato e distribuito. I media hanno caratteristiche che rendono possibile la transazione verso la sfera pubblica: • l’accessibilità: il costo dell’apertura di un canale di comunicazione, così come la produzione e distribuzione stessa è ormai quasi a zero. Strumenti come blog, giornali online, forum, social network e piattaforme ne sono un esempio, hanno un bastissimo costo, sono facilmente accessibili da parte di attori non dotati di mezzi finanziari necessari per aprire un’attività nel campo dei mass media, perciò le tecnologie digitali forniscono strumenti che mettono la capacità di produzione nelle mani di chiunque possegga un computer connesso alla rete. • la struttura distribuita: si passa da una struttura di tipo gerarchico, centralizzata dei mass media commerciali, all’architettura distribuita e non gerarchica della rete, dove l’informazione può circolare senza passare da un centro di distribuzione. Dai media broadcast (da pochi a molti) si passa a quelli sociali e distribuiti (da molti a molti). • La commistione tra pubblico e privato : la partecipazione alla vita pubblica è espressa tramite la condivisione di contenuti personali attraverso i profili privati sui media sociali. Le conversazioni dei pubblici in rete assumono caratteristiche ibride, né strettamente private né completamente pubbliche. • La sorveglianza: la maggior parte delle attività che avvengono in rete sono sottoposte ad una sorveglianza sistematica. Le imprese del web e i governi raccolgono informazioni sulla maggior parte delle comunicazioni digitali e ne conservano copie. Alcuni tipi di pubblici intervengono attivamente su tutti i livelli dell’ambiente digitale, ad esempio sull’infrastrutture tecnologica della rete, piattaforme software, sulle forme di gestione dell’informazione. Christopher Kelty definisce pubblici ricorsivi quei gruppi di individui che producono e mantengono le piattaforme che utilizzano per produrre attivamente informazioni e conoscenza. In questo contesto Castells parla della capacità di riprogrammare le reti di comunicazione, una delle attività cruciali per il successo dei movimenti sociali. L'attivismo dei pubblici è reso possibile dall'emergere di un ambiente digitale ricco di informazione a cui attingere e di strumenti di comunicazione connessi, interattivi e ad accesso universale, cioè i computer in rete e i servizi di pubblicazione. Questi cambiamenti incidono su molti aspetti della sfera comunicativa della società dell'informazione. 2. La sfera pubblica. Grazie ai media digitali un numero sempre maggiore di persone ha la possibilità di partecipare direttamente alla produzione di sapere e conoscenza aumentando così il pluralismo. Le piattaforme e il web partecipativo cambiano in profondità il ruolo degli intermediari nell’industria culturale. I cambiamenti nella distribuzione delle risorse e nell'accesso alla produzione e distribuzione di informazione che sono resi possibili dalla diffusione dei media digitali sono alla base di quella che Yochai Backler chiama <<sfera pubblica in rete>> : il luogo dove le persone si incontrano per discutere nelle società moderne. Questa metafora include spazi fisici e mediati, o digitali. La sfera pubblica non nasce con i media digitali, essa ne viene trasformata in profondità e secondo Hannah Arendt è un luogo dove è possibile radunarsi e agire insieme per negoziare e creare le regole di vita comune. Arendt si riferiva agli spazi della città, però bisogna notare che senza un sistema dei media indipendente non esisterebbe la sfera pubblica democratica moderna. Habermas colloca nel 18esimo secolo l'emergere di una sfera pubblica nel mondo occidentale fondata sul sistema dei media basati sulla stampa e su luoghi di ritrovo ed è in questa dimensione in cui gli individui formano l'opinione pubblica. Mass media indipendenti da governo e partiti contribuiscono a creare una sfera pubblica critica e a controllare l'operato del potere stesse, una funzione democratica indispensabile. Tuttavia, la concentrazione di potere nelle mani dei produttori di informazione (il cosiddetto quarto potere) fa si che i mass media controllino i flussi di informazione, con la possibilità di filtrarlo e dirigerlo secondo i loro benefici e scopi politici. In questo senso i media digitali, come ogni nuovo media, hanno trasformato il funzionamento della sfera pubblica. La rete diversifica le fonti di informazione. Gli individui hanno accesso ad una molteplicità di fonti, anche indipendenti da quelle alternative dei mass media, che possono essere difficilmente controllate dalle autorità statali o dalle grandi imprese di informazione. La sfera pubblica in rete può essere guidata dagli interessi di gruppi di utenti e non solo da singoli punti di controllo. I cittadini possono assolvere in forma nuove la funzione di sorveglianza democratica che tradizionalmente compete alla stampa. La sfera pubblica in rete fornirebbe una più ampia raccolta di info e un filtro più partecipato e aperto all'attività dei singoli individui per scegliere i temi da mettere all'ordine del giorno e le opinioni rilevanti. Nei processi di trasformazione della sfera pubblica dell’era digitale troviamo vari fenomeni: • la disintermediazione: cioè l’aumento di indipendenza da figure professionali che storicamente hanno avuto un ruolo di intermediari tra il pubblico e l’informazione. Grazie alle tecnologie digitali, gli individui hanno accesso diretto a una mole immensa di informazioni che prima erano nelle mani di pochi esperti. Questo fenomeno ha trasformato anche il mondo del giornalismo, soprattutto nella produzione e distribuzione dell’informazione. La diponibilità di pubblicare contenuti da chiunque e in maniera semplice ha portato alla nascita di nuovi fenomeni di produzione di informazione quali news, che hanno arricchito l’ecologia dei media; • il citizen journalism: è la produzione e la distribuzione di notizie da parte di individui che non sono giornalisti professionisti e che si muovono su canali alternativi da quelli istituzionalizzati dai broadcast. Uno degli strumenti principali è il blog, ma troviamo anche i siti di informazione e quest’evoluzione ha portato cambiamenti nei giornali tradizionali che si sono dovuti adattare al cambiamento, aprendo sezioni online, cambiando strumenti (siti web, edizioni per smartphone e tablet) e portando l’interazione con i lettori al centro dell’attività comunicativa. I giornali integrano le news online con sistemi di interazione con i lettori, come blogging, rating, commenti agli articoli e uso dei social network. Questi strumenti e queste pratiche hanno modificato in profondità il sistema con cui le notizie vengono prodotte e distribuite. • il gatekeeping: cioè il potere da parte dei principali giornali (o broadcast) di selezionale quali notizie rendere visibili al pubblico e quali no. Ora il gatekeeping non è più così saldamente nelle mani di questi colossi dell’informazione, ma è piuttosto distribuita nelle mani degli utenti; • anche il ruolo dei mass media è cambiato, da detentori di agenda setting: cioè la capacità di dettare l’agenda del dibattito pubblico scegliendo le notizie su cui si parlerà. La sfera pubblica in rete sarebbe così in grado di garantire i filtri di attendibilità e rilevanza un tempo riservati ai mass media che oggi non sono più gli unici intermediari tra cittadini e informazione. Gli strumenti di produzione e condivisione di info utilizzati da masse sempre maggiori di utenti sarebbero adatti a far emergere, tramite processi distribuiti e non controllati dalle gerarchie dei media, notizie e contenuti rilevanti per il dibattito pubblico, nonché attendibili e verificati. La rete ha anche favorito l’emergere di attori come WikiLeaks: (nata nel 2006) si tratta di una piattaforma per la pubblicazione dei “leaks”, cioè perdite o fughe di notizie; WikiLeaks è un’organizzazione no-profit internazionale basata sulla raccolta di documenti riservati o coperti dal segreto di stato che le persone possono fornire in maniera anonima, grazie ad un programma di criptazione. Dopo aver verificato l’autenticità della notizia, questa viene pubblicata in forma anonima sul portale. I suo scopo è quello di aumentate la trasparenza dei governi e delle imprese tramite una forma di controllo del loro operato messa in atto d tutti gli utenti della rete. Esempi come citizien journalismi o WikiLeaks non bastano però a dettare la democraticità della sfera pubblica in rete. Analizzando il ruolo delle imprese private e le forme di controllo e censura che caratterizzano la rete, diversi critici hanno sottolineato l'importanza di evitare di rappresentare la nuova sfera pubblica come perfettamente democratica. La maggior parte delle interazioni all’interno della sfera pubblica in rete avvengono su piattaforme digitali sviluppate, possedute e controllate da attori privati. Tramite gli algoritmi che reggono le piattaforme digitali, le grandi aziende del web come Google, FB, decidono le forme di interazione in rete e ne ricavano profitti. Si tratta di nuove forme di gatekeeping spesso di tipo monopolistico. Ricerche sui blog effettuate negli anni ’90 hanno dimostrato che la cosiddetta blogosfera era caratterizzata da fenomeni opposti come l’omofilia: i blog tendono a linkare fonti di informazione del proprio campo politico, riducendo così la diversità e il confronto tra idee. Questi spazi tendono a favorire la polarizzazione del dibattito, dando vita a rischi di cyberbalcanizzazione cioè la creazione di piccole enclave fortemente omogenee al proprio interno e in perenne lotta tra loro. La blogsfera politica americana è fortemente polarizzata : chi legge i blog di orientamento repubblicano, generalmente tende a non leggere i blog democratici. In questo modo possono venire a mancare il confronto e il dibattito fra orientamenti e prospettive diversi che caratterizzano una sfera pubblica virtuosa. 3. Politica e democrazia. Le relazioni di potere sono ormai sistematicamente organizzate anche intorno alle reti, alla capacità di determinare chi vi può accedere, alla loro programmazione e alla gestione dei flussi di informazione. Nella società in rete, il potere diventa <<potere della comunicazione>> e si incarna nell’architettura stessa della rete. Questo fenomeno è trasformato e rafforzato dell’emergere della sfera pubblica in rete. A partire dagli anni ’90 c’è stato un aumento progressivo di cittadini che si informano o partecipano al dibattito politico tramite i media digitali ma sono diminuiti coloro che utilizzano soltanto altri media come i giornali, la radio e la televisione. Questo cambiamento è graduale e non omogeneo nelle diverse aree del mondo e nei diversi gruppi sociali. Gli effetti di questi cambiamenti sulla sfera pubblica dipendono anche dal tipo di società in cui si verificano. Nei paesi autoritari l’architettura distribuita della rete può rendere difficile il controllo dei flussi di informazione e quindi quello della sfera pubblica. Questa difficoltà può tradursi in un aumento della libertà di espressione a sostegno di movimenti sociali che possono prendere la parola in contesti in cui il dibattito pubblico è completamente controllato da un regime, ma questo cambiamento può anche dare ai regimi autoritari nuove forme di controllo, in quanto le attività in rete sono facilmente tracciabili. Inoltre, l’accesso alle tecnologie digitali è diseguale: il divario digitale è la differenza di accesso alle tecnologie di rete che si verifica tra paesi ricchi e poveri, o tra diverse classi sociali o generazioni all’interno dello stesso paese. Importanti sono divenute le politiche legate ai problemi dell’accesso e della trasparenza dell’informazione. I governi mettono in campo iniziative per controllare l’accesso alle informazioni e sono spesso riluttanti a concedere maggiore trasparenza. I governi non democratici, come quello cinese, possono arrivare ad esercitare un controllo molto stretto sull’informazione. Agli utenti della rete di quel paese, inoltre, è precluso l’accesso a diversi siti e risorse online. Anche i paesi democratici possono ricorrere a censure, filtri e provvedimenti che limitano la libertà di espressione tramite i media digitali. Per rispondere alle restrizioni all'accesso e alla libertà di info alcuni paesi hanno discusso iniziative per tutelare la libertà di espressione e la trasparenza dell'info. L'islanda, con una serie di leggi negli anni 2010, si è posta l'obiettivo di diventare un porto franco che protegga giornalisti, utenti della rete ed editori di tutto il mono, e impone massima trasparenza alle amministrazioni pubbliche. La stessa attività politica è influenzata da media e sistemi di gestione dell’informazione. Nelle società avanzate, le pratiche politiche dipendono in modo rilevante dalla capacità di analizzare l’elettorato con tecniche derivate dalle scienze sociali al fine di produrre strategie di marketing politico mirate sui diversi media utilizzati. Le tendenze più ottimiste vedono in internet un mezzo per creare forme di democrazia diretta destinate a soppiantare le istituzioni della democrazia rappresentativa, mentre quelle più pessimiste vi vedono solo un rinforzo delle gerarchie esistenti, è probabilmente più corretto affermare che la rete rende possibili nuove e diverse strategie di mobilitazione e partecipazione. Inoltre i partiti sviluppano le proprie 1. Modelli economici del web. Internet e i media digitali hanno una grande rilevanza economica. Le tecnologie di rete rappresentano un mercato di prodotti di consumo a diffusione globale. Questo mercato sostiene le economie dei paesi di produttori di componenti e hardware, come quelli asiatici e nordici, e dei paesi che gestiscono i processi di innovazione e marketing, come gli Stati Uniti o la Cina. Inoltre sui media digitali si basa un’economia sviluppata direttamente della rete, in termini di servizi venduti o mercato pubblicitario. Con la diffusione di massa dall’accesso a internet avvenuta nella seconda metà degli anni ’90 si sono scatenate ondate successive di investimenti e sono sorti nuovi modelli economici che sostengono le imprese del Web. La coda lunga è il modello su cui si basano giganti come libreria online Amazon, e si riferisce alla massa di opportunità marginali che con i media digitali diventa possibile gestire. Amazon realizza gran parte dei suoi guadagni vendendo poche copie ciascuno di moltissimi libri che rappresentano la <<coda>> del mercato e non la sua vetta. Il loro insieme costituisce una massa da contribuire ai guadagni dell'azienda. Il successo della coda lunga per la società online dipende dal fatto che internet facilita la scoperta e l’integrazione di informazioni e permette all’azienda di accumulare i libri in giganteschi magazzini automatizzati e gestiti per via informatica, dato che il consumatore non deve recarsi in libreria ma può effettuare acquisti dal catalogo online. L’idea alla base delle aziende cosiddette <<dot-com>> degli anni ’90 era che la rete fosse una sorta di <<biblioteca di contenuti>> che potevano essere visionati dagli utenti ma solo raramente prodotti da loro. L’idea dei content provider, cioè fornitori di contenuti, era quindi quella di far pagare l’accesso ai contenuti online. I sistemi di file sharing ( come eMule e i torrent), e i siti di streaming video online hanno reso difficile il controllo della diffusione e circolazione dei contenuti prodotti dall’industria culturale come musica e film. Con la nascita del web collaborativo all’inizio degli anni 2000 la rete non si fonda più solo sul sito come raccoglitore di contenuti, ma anche su altre piattaforme come siti di streaming video, wiki e media sociali, che invitano ad una maggiore partecipazione da parte degli utenti non solo in termini di architettura tecnologica ma pure come modello di business. I modelli economici di molte aziende del web si basano sulla cocreazione da parte degli utenti. TripAdisor chiede agli utenti di creare gran parte dei contenuti principali del suo sito, come le recensioni e i rating, cioè i voti alla qualità di un servizio o di un esercizio commerciale. Il sistema dei videogiochi ha un impatto sull'economia dei media digitali non solo tramite la vendita dei giochi stessi ma anche per il mercato di hardware. I videogiochi sono strumenti usati per il marketing e si integrano nei processi di consumo. Anche innovazioni nel cinema come il 3d sono parte dello sviluppo dei videogiochi. Un altro ramo dell’economia del web è composto dai motori di ricerca. Se la prima impresa commerciale di successo fu Netscape all’inizio degli anni ’90, oggi il mercato è dominato da Google. Alla base del funzionamento di Google vi è un software chiamato page rank che analizza i link creati dagli utenti del web per determinare la rilevanza di un sito rispetto ai termini e alle parole chiave cercate dall’utente. Google fornisce una classifica in cui il sito che è più in alto nei risultati di ricerca è quello più linkato da parte di altri siti. Google è in grado di offrire servizi gratuiti perché usa le informazioni raccolte sugli utenti. Grazie a questa attività di profilazione i software di Google conoscono l’età, i gusti, le abitudini di consumo dei suoi utenti, perciò tiene conto delle storie di ricerca individuali. Per questo google può vendere spazi pubblicitari ad alto valore perchè è in grado di inviarli ad utenti specifici. Quindi esso non è solo un fornitore di servizi: dal punto di vista economico si tratta della più grande agenzia pubblicitaria al mondo. Gran parte dei siti web che popolano la rete dipende dagli investimenti pubblicitari. Il mercato pubblicitario sostiene che l’economia del web è profondamente diverso da quello tradizionale. Inizialmente i siti web pubblicavano annunci il cui costo dipendeva dal numero di visitatori del sito, esattamente come accade nell’editoria. Oggi però attraverso sistemi di click through gli inserzionisti pagano sulla base di quanti visitatori di un sito cliccano sulla pubblicità e accedono effettivamente ai suoi contenuti. Uno dei modelli prevalenti di sostentamento economico del web è la fornitura di servizi gratuiti resi possibili dalla raccolta di introiti pubblicitari massicci. Le tecnologie digitali hanno permesso anche l’emergere di grandi imprese che si basano sulla cosiddetta sharing economy, o economia della condivisione. Queste imprese sono basate su applicazioni web o mobili che mettono in contatto domanda e offerta e trattengono un profitto su tutte le transazioni economiche. Queste imprese utilizzano le tecnologie digitali per organizzare forme di lavoro e produzione distribuita, sfruttando la posizione di intermediari per evitare le regolazioni a cui sono sottoposte le imprese tradizionali. Il crowdfunding, letteralmente <<finanziamento della folla>>, è un sistema di raccolta fondi per progetti no profit o per imprese start-up basato su piattaforme online. I servizi basati su questo modello offrono la possibilità di pubblicizzare progetti per cui vogliono raccogliere un capitale di partenza. Gli individui possono contribuire con finanziamenti anche molto limitati, dato che questi servizi puntano su grandi numeri di persone disposte a donare piccole somme e non su grandi finanziatori. Quadro 6.1: l'economia delle start-up. L'economia startup, è un un economia basata su nuove imprese emergenti. • Sono lanciate da giovani, con un prodotto in mente, per lo più digitale, o l'applicazione di una tecnologia che ancora non esiste. Molte si basano su una combinazione di e-commerce, social media , smartphone e big data. • Il percorso delle startup spesso passa per un incubatore (un luogo che fornisce un percorso di formazione in cui l'impresa viene assistita nel realizzare la sua idea di partenza) sviluppando un business plan e coltivando un pitch (una breve narrazione che presenta l'idea a investitori in un modo sintetico e attraente). Alla fine del percorso le startup sono pronte a competere per investimenti. • Molte fanno uso di Kickstarter o altre piattaforme di crowdfunding per accumulare un piccolo capitale iniziale. • I fondi di venture capital (capitalismo di ventura) puntano su investimenti privati ad alto rischio, soprattutto nel settore dell'alta tecnologia. Questi fondi selezionano molte piccole startup scommettendo sul fatto che le poche che avranno successo guadagneranno maggiormente rispetto gli investimenti iniziali. • Questa logica fa si che il successo non sia misurato in termini di crescita sul mercato, ma di valutazione finanziaria. Il sistema delle startup è organizzato in 2 parole che illustrano la sua posizione nell'economia digitale: • 'ideas are cheap': cioè il successo di una start up dipende dalle persone e dal team. • 'disruption': un concetto che dice che i guadagni non si fanno con innovazioni cumulative o graduali ma con capacità di capovolgere industrie. Un impresa disruption è in grado di creare nuovi bisogni. 2. Produzione immateriale: brand e finanza. Nell’economia dell’informazione la creazione di valore si sposta dalla produzione di beni materiali alla produzione di beni immateriali. Nell’economia dell’industria l’attività centrale era la lavorazione e la trasformazione delle materie prime in oggetti materiali (frigoriferi, automobili) destinati ad un mercato di massa; nell’economia dell’informazione questa centralità è occupata dalle risorse intangibili, ciò non significa che non si producono beni materiali, anzi se ne producono di più, ma le maggiori fonti di lavoro diventano attività che richiedono particolari competenze di elaborazione dell’informazione: • l’innovazione: è la capacità di creare continuamente novità sia tecnologiche, sia design e di stili di consumo (questo è il segreto e il successo di Apple); • la flessibilità: è la capacità di rispondere rapidamente alla domanda di mercato in modo che il numero pressoché esatto di merci necessarie si trovi al posto giusto nel momento giusto (questo è il segreto di Ikea); • il brand: non è solo il marchio di un prodotto ma piuttosto la capacità di generare la percezione pubblica di una differenza fra prodotto e un altro. (Nike ad esempio è in grado di creare la percezione che le sue scarpe siano radicalmente diverse da altre scarpe da ginnastica). L’importanza economica del brand è cresciuta con la standardizzazione della produzione; prima della rivoluzione industriale i beni di uso quotidiano erano prodotti localmente e in modo artigianale, il processo di industrializzazione ha standardizzato i prodotti. Diventa dunque importante introdurre tecniche di branding per creare la percezione che esista una differenza tra i vari prodotti, formati a livello industriale: investendo in pubblicità o sponsorizzando eventi da quello sportivo a quello musicale per legare il prodotto venduto ad uno stile di vita, cioè ad un insieme riconosciuto di comportamenti e valori, in modo da creare una distinzione con gli altri prodotti. Il brand è un elemento utile per catalizzare l’attenzione, l’affettività e la creatività dei consumatori. La creazione di risorse intangibili come il brand è sempre più socializzata, nel senso che si poggia sulla capacità di mettere al lavoro la socialità, il sapere e le capacità comunicative degli individui instaurando relazioni nell'ambiente digitale. Negli anni 80 le imprese hanno iniziato a mettere in campo strategie come il customer relations management, cioè la gestione delle relazioni con i clienti in cui la centralità dell’impresa si sposta dal valore estetico dell’immagine del brand al livello sociale, cioè le relazioni che la marca è in grado di intrattenere con il cliente (ad esempio le carte fedeltà degli ipermercati, con le quali riescono a generare legami e conoscere i clienti e le loro abitudini). In tutto questo i media digitali hanno permesso di allargare queste pratiche. Oggi i consumatori discutono e si confrontano in rete, su blog, piattaforme, creando delle brand communities create nell’interesse di un brand tipo Apple, Harley Davidson, che possono nascere spontaneamente ma vengono osservate dalle aziende per trarne informazioni utili o possono essere le stesse imprese a dar vita a blog e piattaforme per stimolare comunità attorno al proprio brand, per raccogliere informazioni ed idee che possono essere usate nelle campagne di marketing o addirittura nell’innovazione del prodotto, come ad esempio la Barilla che ha lanciato la campagna “nel mulino che vorrei” dove i clienti possono fornire suggerimenti all’azienda, votare e discutere le idee. Il brand è una risorsa intangibile e non può essere separata dalle proprietà materiali di un prodotto: l’esperienza Apple è inseparabile dall’esperienza touch; come viene presentato e il contesto in cui viene servito ’hamburger fa parte dell’esperienza del McDonald’s. l’innovazione è inseparabile dal prodotto innovato e la flessibilità non si può separare dal bene o dal servizio sui quali è esercitata. Si può parlare dei beni dell'economia dell'informazione come dei beni ibridi composti da un livello materiali e uno informazionale per diventare un entità unica. (la Bmw produce automobili e motociclette, ma più della metà del suo valore di mercato è dovuta al suo marchio, cioè ad un artefatto culturale). Un altra dimensione importante dell'economia dell'informazione è quella dei mercati finanziari. I media digitali hanno un ruolo importante nell'espansione della finanza. I mercati finanziari sono diventati luoghi molto importanti per la determinazione del valore delle risorse prodotte tramite le nuove forme di collaborazione facilitate dai media digitali. È avvenuto un processo di informatizzazione della finanza stessa. A partire dagli anni 90 è esploso l'uso di trading bot cioè programmi di trading (come il trading pit dove gli operatori si scontrano fisicamente per vendere e comprare titoli) basati su forme di intelligenza artificiale. 3. Lavoro e precarietà. I media digitali sono legati alle trasformazioni nelle dinamiche di lavoro e consumo e hanno stimolato la creazione di nuovi termini per definire i processi di interazione tra lavoro, consumo e produzione facilitati dalla rete. A un livello superficiale, questi cambiamenti sono legati all’emergere di nuovi mestieri e professioni connesse ai media digitali come: web designer, programmatori, amministratori di rete, pubblicitari. Le professioni esistenti sono cambiate grazie all’integrazione dei computer e delle reti di pressoché ogni lavoratore. Lo stesso vale per le attività di consumo, che avvengono sempre più spesso attraverso al rete come i siti di acquisti online che beneficiano di sistemi digitali come carte di credito o sistemi di pagamento. A un livello più profondo, nell'economia dell'informazione la creazione di valore si sposta dal controllo dei processi di produzione materiale e dalle organizzazioni burocratiche verso i beni immateriali e la gestione di processi informali. Questi processi si svolgono tramite relazioni che emergono nella vita quotidiana e si appoggiano su saperi taciti. È mutata anche la natura del lavoro. Si passa ad un organizzazione più fluida orizzontale e flessibile. Il lavoro viene organizzato in squadre o team. Il nuovo lavoratore è un individuo più flessibile, capace di spostarsi da un team all’altro, che ha nuove capacità e competenze, di relazione. Si comincia a porre l'enfasi sulle capacità sociali dei lavoratori.Il compito del management diventa non solo quello di comandare e controllare, ma anche di stimolare entusiasmo e passione da parte dei lavoratori. L’azienda viene presentata come un’impresa comune, diretta non semplicemente dal profitto ma anche dal raggiungimento di mete sociali ed eticamente condivisibili. Nasce la classe creativa, espressione diffusa tra '90 e 200, che descrive nuove forme di lavoro della conoscenza messe in atto da professionisti urbani che lavorano nelle cosiddette industrie creative legate ai media digitali, cioè alla produzione di brand, comunicazione, eventi e design. Le persone più produttive nella nuova economia della conoscenza sono membri del ceto medio. Non sono attratte dalle 3 T di Florida (talento, tecnologia e tolleranza) ma dalle 3 S (sole, sobborghi e scuole). La creazione di valori intangibili si sposta al di fuori delle grandi organizzazione e tende ad avvenire tramite l'impiego di lavoratori freelance che non godono della sicurezza dei lavoratori di aziende di una generazione precedente. I lavoratori della conoscenza perdono l'accesso a diritti come la continuità del lavoro, le vacanze pagate mentre le imprese risparmiano sul costo di lavoro. Questi fenomeni di aumento della flessibilità o di precarizzazione hanno effetti diversi su tipologie diverse di lavoratori. Inoltre i lavoratori più precarizzati devono spesso farsi carico di alcuni dei costi tradizionalmente sostenuti dalle imprese. Ad esempio gli spazi di coworking sono una risposta all'esigenza di collettivizzare alcune spese sostenute dai freelance delle industrie creative. Questi spazi inizialmente creati dai lavoratori sono sempre più privatizzati. Il lavoro digitale ha creato anche gruppi di settori di lavoro esternalizzato e sottopagato, organizzato tramite la rete e messo a profitto da piattaforme web gestite da un impresa centralizzata, come ad esempio Amazon. Le imprese della sharing economy si basano su questo modello, ovvero che non assumono dipendenti ma organizzano il lavoro di migliaia di persone dotati di mezzi di produzione ma sottoposti al controllo