Scarica Riassunto "Introduzione ai media digitali" di Adam Arvidsson e Alessandro Delfanti e più Dispense in PDF di Sociologia Della Comunicazione solo su Docsity! RIASSUNTO “INTRODUZIONE AI MEDIA DIGITALI” Cap.1 media e tecnologie digitali I media digitali sono diffusi nelle attività umane più disparate. Per comprenderli non basta studiarne le caratteristiche tecnologiche: occorre analizzare anche quelle sociali, politiche ed economiche. Attraverso la diffusione di massa di personal computer, smartphone, tablet e altre tecnologie mobili, e con la possibilità di connettersi alle reti ovunque, le persone vivono immerse in flussi di comunicazione continui. Questo fenomeno, che è stato definito mediatizzazione, rende la presenza dei media ubiqua. I cambiamenti innescati dalla diffusione delle tecnologie digitali stanno trasformando in profondità il modo in cui produciamo e distribuiamo informazione e conoscenza. La diffusione dei media digitali è cresciuta costantemente a partire dagli anni ’80 del XX secolo. I media digitali sono un insieme di mezzi di comunicazione basati su tecnologie digitali e che hanno caratteristiche comuni che li differenziano dai mezzi di comunicazione che li hanno preceduti. L’idea che i media digitali siano “nuovi” è per certi versi problematica. Il termine “nuovo” implica una visione lineare dell’evoluzione dei media, che porta le persone a trascurare il contesto in cui sono emersi e a pensare che essi in qualche modo siano migliori di quelli “vecchi”. Ma come avviene spesso quando un nuovo media viene introdotto, esso non sostituisce i “vecchi” media ma piuttosto li integra o li modifica senza per questo condannarli all’estinzione ( rimediazione ) . L’introduzione della televisione non ha causato la scomparsa dei giornali, così come l’introduzione del tablet non causa la scomparsa del libro ma piuttosto lo affianca. Quindi tra vecchio e nuovo non c’è una radicale rottura ma aggiustamenti, ibridazioni, riposizionamenti. I nuovi media non nascono dal nulla ma piuttosto evolvono da pratiche e tecnologie mediali preesistenti. Inoltre, il concetto di rimediazione permette di riconoscere che l’evoluzione dei media è un processo continuo e non lineare che può avvenire in diverse direzioni. Le prime fasi della vita dei media emergenti sono caratterizzate dall’incertezza sul loro ruolo sociale: questa fase è stata definita crisi d’identità dei nuovi medi. Dopo la sua introduzione, il significato e le funzioni di una nuova tecnologia sono lentamente plasmati dalle abitudini di uso dei media preesistenti e dai desideri dei nuovi utenti, oltre che dalle sue caratteristiche tecnologiche. La fase di crisi si risolve quando una nuova tecnologia diviene un prodotto di consumo di massa. In un processo di domesticazione , la nuova tecnologia viene accettata all’interno della società. Multimedialità e personalizzazione: due termini che solitamente, nell’opinione generale, si associano a questa rivoluzione dei social media. Si pensa ai media digitali come a media rivoluzionari perché hanno portato con sé queste due caratteristiche, come caratteristiche specifiche nate con questa rivoluzione. Ma Arvidson e Delfanti dicono che in fondo erano già presenti nei cosiddetti vecchi media. Multimedialità: combinazione su un unico supporto di contenuti di diversa natura sensoriale ed espressiva (suoni, immagini fisse e in movimento, testi scritti). In questo senso sono multimediali il cinema, la TV, le riviste, ma anche i codici copiati dagli amanuensi e illustrati dai miniatores nel XIII/XIV secolo. Nei media digitali questa combinazione diventa molto più spinta e articolata. Esempi: enciclopedie multimediali degli anni ’70. Personalizzazione: i media digitali (chiamati significativamente personal media) permettono una “customizzazione” de contenuti e delle pratiche di fruizione. E i vecchi media? Si pensi ai sistemi di distribuzione del contenuto come il cavo e il satellite (broadcasting vs. narrowcasting). Quindi anche in questo caso, i media digitali amplificano processi già in atto. La definizione “media digitali” è dunque più accurata rispetto a “nuovi media”. I media digitali possiedono alcune caratteristiche principali che li differenziano dai media tradizionali e che sono cruciali per comprendere il loro legame con le dinamiche sociali, economiche e politiche con le quali interagiscono. Essi sono: Digitali i media digitali trasportano informazione rappresentata da una sequenza numerica. Una volta digitalizzata, l’informazione può essere elaborata, archiviata, conservata e trasportata con estrema facilità. Può essere anche facilmente combinata con altri prodotti mediali, secondo un processo noto come “convergenza” (un esempio tra mass media e telecomunicazioni per cui la stessa trasmissione televisiva può arrivare allo spettatore via etere, via cavo, via fibra ottica o via telefono). Convergenti diversi tipi di contenuti (scritti, sonori, visivi…) convergono in un unico supporto. Il pc, ad esempio, è una macchina in cui convergono televisore, macchina da scrivere, radio, telefono e innumerevoli altre tecnologie. Ipertestuali l’ipertesto è un testo che non può essere stampato su una pagina cartacea ma ha una struttura più complessa, fatta di rimandi ad altri testi o contenuti. I media digitali permettono di fruire dei contenuti in modo non lineare. In un ipertesto, ad esempio una pagina web, non occorre leggere i contenuti come quelli di un libro, sfogliandone le pagine secondo l’ordine in cui sono stampate. Grazie al sistema dei link un utente può personalizzare il proprio percorso di fruizione. Distribuiti nei mass media tradizionali l’informazione viene trasmessa da una struttura centrale, come una redazione di un giornale, a un pubblico di numerosi lettori. Nei media digitali i mezzi di produzione e di distribuzione dell’informazione non sono più solo centralizzati ma anche nelle mani di milioni di individui che comunicano in una struttura orizzontale a rete. Interattivi anche i mass media configurano forme rudimentali di interazione utente- macchina, ma l’interattività digitale è altro. Per essere più precisi, se definiamo l’interattività come “la misura della potenziale capacità di un medium di lasciare che l’utente eserciti un’influenza sul contenuto e/o sulla forma della comunicazione mediata”, possiamo distinguere tre livelli crescenti di interattività: struttura a rete rendendola aperta (e quindi accessibile e modificabile da chiunque). La tecnologia non è però neutrale, dato che incarna i valori e i bisogni di una parte della società. Le tecnologie hanno una “politica”: il modo in cui sono progettate oppure la decisione di adottarle o meno possono avere il fine di ribadire una forma di potere o di autorità. Infine, altre teorie parlano della coproduzione di tecnologia e società: non è la società a plasmare le tecnologie e non sono le tecnologie a determinare la società, ma società e tecnologie si influenzano e modificano a vicenda, in un processo di coevoluzione in cui i cambiamenti dell’una producono le altre e viceversa. Cap.2 la società dell’informazione La produzione e la gestione dell’informazione hanno assunto un ruolo chiave nelle società avanzate, tanto da far emergere la definizione “società dell’informazione”. Ciò è stato possibile grazie all’evoluzione dei computer e delle reti. L’espressione “società dell’informazione” indica una forma di società caratterizzata dall’importanza della produzione e gestione dell’informazione, sapere e conoscenza. Nella società dell’informazione le tecnologie informatiche sono pervasive e influenzano i processi produttivi, sociali, identitari e politici. La capacità di produrre, manipolare e distribuire informazione diventa il fattore principale di ricchezza e potere. La nascita e l’affermazione della società dell’informazione non sono legate solo alla diffusione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione digitali, ma anche a cambiamenti economici e politici epocali avvenuti negli ultimi decenni del XX secolo. A partire dagli anni ’60 nasce la consapevolezza di un nuovo paradigma fondato sull’informazione e sulla conoscenza che diventano fattori produttivi chiave della produzione, dell’economia e dell’organizzazione delle società contemporanee. Il concetto di “società dell’informazione” comincia a diffondersi negli anni ’90. Si arriva a parlare della nascita della soc. dell’inf. come di una terza rivoluzione industriale. Il cambiamento non è limitato alla crescita dell’importanza del settore terziario. Le tecnologie dell’inf. cambiano in profondità anche i settori agricolo (macchine agricole, fertilizzanti, sistemi di trasformazione e distribuzione di derrate alimentari) e industriale (nuove possibilità di gestione dei processi produttivi). L’informazione è un bene intangibile diverso dai beni materiali, e necessita di essere regolato da forme di proprietà apposite: nella società dell’inf. i diritti di proprietà intellettuale acquistano un’importanza inedita. Le risorse principali dell’impresa smettono di essere le fabbriche e i macchinari, per diventare quelle legate all’informazione. Aziende come Nike o Apple non possiedono le fabbriche dove vengono prodotti le scarpe o gli smartphone: la produzione dei beni materiali è appaltata a produttori esterni mentre le imprese madri possiedono la proprietà intellettuale (i brevetti sui prodotti e i diritti sul marchio) e gestiscono la ricerca tecnologica, il marketing, la comunicazione, le reti di fornitori e quelle commerciali. L’economia in rete infine è caratterizzata da forme di produzione più flessibili. Dalle gerarchie rigide del lavoro di fabbriche e delle organizzazioni burocratiche della società industriale si passa alle tecnologie dell’informazione che permettono di organizzare in modo estremamente efficiente attori che non rispondono a una gerarchia piramidale ma hanno parziale autonomia di decisione. Sociologo Manuel Castells: nella società dell’inf. sono i beni informazionali o intangibili, come i brand, l’innovazione e il sapere a determinare il successo economico, e di conseguenza le possibilità di successo di un individuo. È il capitalismo informazionale . In più C. descrive la società dell’inf. come una società strutturata in reti (infatti userà l’espressione network society ). Le reti diventano dominanti anche nella dimensione sociale. Siamo davanti una rete aperta, in cui le frontiere e i limiti fra stati, organizzazioni, comunità e gruppi sono sempre meno importanti ma la spaccatura principale della soc. dell’inf. avviene tra chi resta tagliato fuori perché non ha accesso a internet o non sa usarlo e chi appartiene invece alla nuova classe dei lavoratori del sapere che possiedono dimestichezza con i media digitali e una mentalità cosmopolita basata su una cultura di consumo ormai globalizzata. I computer e l’automazione delle macchine utensili permettono di superare l’organizzazione rigida e gerarchica della fabbrica fordista per dar vita a forme di produzione più flessibili. Le nuove macchine sono facilmente riconfigurabili e possono rispondere alle richieste di un mercato in continuo mutamento. Quando tutto è ridotto a informazione, tutto può essere rivisto, manipolato e rimaneggiato, e nulla è stabile. Il teorico dei media Marshall McLuhan fu uno dei propugnatori del ruolo dei nuovi media come strumenti di mutamento sociale. Secondo McLuhan i media elettronici come la televisione erano destinati a trasformare l’umanità in un villaggio globale, cioè un modo in cui i media elettronici rimpiccioliscono il mondo permettendo di comunicare in tempo reale a grande distanza. L’individui in rete è un consumatore o un imprenditore che vive negli spazi digitali e in un mercato libero da condizionamenti statali. Questa ondata di tecnoliberismo venne in seguito riassunta nella formula “ideologia californiana”, una denuncia della visione secondo la quale la diffusione di internet porterà a un accesso diffuso a sapere e informazione e quindi cancellerà le differenze di potere fra consumatori e produttori, fra lavoratori e datori di lavoro, e fra stato e cittadini. Questa formula è stata usata per criticare l’idea, radicata nel capitalismo della Silicon Valley, secondo la quale il flusso libero dell’informazione porterà con sé una democratizzazione della politica. Si assiste all’emergere di un nuovo spirito del capitalismo fondato sui valori delle controculture degli anni ’60 del XX secolo. Le macchine calcolatrici sono il prodotto di una storia millenaria. L’abaco, la prima macchina per aiutare gli individui a fare i conti, era già utilizzato dai sumeri circa 4500 anni fa. Tuttavia la prima definizione del computer come una macchina con le specificità che oggi vi attribuiamo viene dal matematico inglese Alan Turing, che negli anni ’30 del XX secolo nella sua tesi di dottorato propose il modello di un computer come di una macchina “capace di imitare tutte le altre macchine”, ovvero programmabile. Un computer contemporaneo è l’insieme di una serie di macchine, che prima vivevano vite distinte. Seguendo questa definizione il primo computer potrebbe essere considerato il telaio inventato da Joseph-Marie Jacquard nel 1801. Cambiando il rotolo di carta (il programma) si poteva cambiare il modello di pizzo prodotto. I primi passi verso i computer moderni intrapresi nel XIX secolo erano fortemente legati ai processi di industrializzazione e all’espansione della portata e della complessità delle burocrazie e delle amministrazioni. Hollerit inventò una macchina che processava dati in forma di schede perforate, un formato derivato da quello di Jacquard. Vennero diffusi così computer a schede perforate nella maggior parte delle amministrazioni statali e delle grandi società commerciali. Nel 1924 la Nascono le prime “comunità virtuali”: The Well (Whole Earth ‘Lectronic Link, solo testo), 1985. La rete permetteva alle persone di comunicare e propagare anche contenuti poco ortodossi, senza un controllo o una censura centrale. Negli anni ’90 alcune innovazioni diedero vita alla rete che conosciamo oggi. Nel 1991 Tim Berners-Lee, uno scienziato del Cern, scrisse e condivise con il resto della rete i linguaggi e gli standard che costituiscono il World Wide Web . Il sito info.cern.ch fu il primo sito a basarsi sull’Html (Hyper Test Mark-up Language), usato per mettere online documenti ipertestuali. Gli Url ( Uniform Resource Locator ) sono indirizzi riconoscibili che identificano un contenuto presente su un server e permettono a un computer che ne faccia richiesta di accedervi. Infine il protocollo Http ( Hyper Text Transfer Protocol ) è il sistema di trasmissione delle informazioni utilizzato sul web. Berners-Lee, in accordo con il Cern, decise di rilasciare queste innovazioni senza restrizioni, di modo che chiunque potesse utilizzarle. Nel www non occorre sapere su quale server fisico è collocata una particolare informazione, e la navigazione avviene tramite interfacce grafiche grazie anche a browser come Mosaic, che cambiò nome in Netscape, e divenne, già nel 1993, il primo browser di uso di massa. Queste innovazioni permisero l’unificazione delle varie reti in internet, la rete delle reti. Berners-Lee lanciò il World Wide Web Consortium (W3C), l’organizzazione che gestisce gli standard per l’interoperabilità della rete. Negli anni ’90 il web si diffuse nelle case americane ed europee e cominciò a rappresentare un’industria in espansione basata soprattutto su quelle che allora venivano chiamate dot- com, cioè portali commerciali come Amazon e eBay. Era la cosiddetta new economy: alla fine del decennio, qualsiasi attività online con il suffisso “.com” (commerciale) era in grado di attirare investimenti spropositati. Questa situazione diede luogo a quella che in termini finanziari si chiama bolla speculativa. Lo scoppio di questa avvenne nel marzo del 2000 e causò il fallimento di gran parte delle aziende della rete. Cap.3 culture e identità Le relazioni sociali sono sempre state influenzate dalle tecnologie della comunicazione. Senza un mezzo di comunicazione in grado di attraversare distanze fisiche e di conservare le comunicazioni nel tempo sarebbe molto difficile organizzare un sistema sociale complesso. I media sono fondamentali anche per la creazione e il mantenimento di gruppi informali, così come per la costruzione dell’identità individuale. I media digitali hanno avuto una velocità di penetrazione senza precedenti: sono passati da poche migliaia a diversi miliardi di utenti in soli 20anni e sono stati caratterizzati dal rapido succedersi di nuove piattaforme di comunicazione. Le piattaforme dei media sociali come Facebook e Twitter facilitano forme di socialità simili alle comunità basate sulla conoscenza reciproca, ma fanno da supporto anche a relazioni meno strette. Due visioni contrapposte sembrano dominare il dibattito sui media digitali: da un lato, si afferma che essi rappresentano un mondo sociale estraneo alla vita reale quotidiana; dall’altro, che hanno effetti dirompenti sulle forme di socialità. Tuttavia i media digitali odierni sono caratterizzati dalla forte integrazione tra la vita online e quella offline, al punto che queste distinzioni sembrano perdere di significato. Oggi gli individui in rete tendono a postare sui media sociali contenuti legati alle attività, alle emozioni o agli avvenimenti che appartengono alla loro vita quotidiana. Inoltre, le tecnologie mobili (smartphone, tablet…) favoriscono uno stile di vita “always on”, cioè continuamente online, in cui le relazioni sociali sono sì mediate, ma non per questo meno significative. In questo senso la differenza tra online e offline tende a scomparire: le attività online sono una parte dell’identità complessiva delle persone. I media sociali tendono anche ad affievolire la distinzione tra pubblico e privato, dato che i dettagli delle vite private degli utenti sono condivisi in pubblico tramite le piattaforme digitali. Social network/media sociali: si intendono quei servizi telematici atti ad ospitare una rete sociale ovvero per riferirsi alle nuove configurazioni socio-tecniche. Sono siti web basati sulla costruzione e sul mantenimento di legami sociali. Nel corso degli anni 2000 questi servizi hanno conosciuto una vera e propria esplosione che li ha posizionati tra i principali intermediari fra gli individui in rete e con i contenuti in rete. Anzitutto per il numero enorme di persone che raggiungono e per l’uso quotidiano che esse ne fanno. Facebook da alcuni anni è il social network più grande, supera il miliardo e mezzo di utenti attivi. Esistono però numerose piattaforme diverse, usate per organizzare i gruppi sociali più differenti, per gli scopi più vari e con modalità eterogenee (Linkedin, uso professionale; Twitter, microblogging; Badoo, dating…). Secondo Boyd ed Ellison (2007) i SN sono servizi web che consentono alle persone di: - Costruire un profilo pubblico o semipubblico all’interno di un sistema definito - Articolare una rete di contatti, una lista di altri utenti con cui istaurare connessioni - Creare o aderire a comunità tematiche, gruppi di discussione … La maggior parte dei siti di social network permette agli utenti di pubblicare e condividere con i propri contatti contenuti mediali di vario tipo (foto, video, testi o link) che sono pubblicati sulla pagina personale dell’utente, la sua bacheca o timeline. Inoltre, le piattaforme dei media sociali integrano tipicamente servizi che permettono agli utenti di comunicare in forme non legate soltanto alla pubblicazione di contenuti, ma molti siti forniscono chat, instant messaging, email, sistemi di commenti. L’integrazione di questi servizi e l’ampia diffusione dei media sociali li hanno resi competitivi con i motori di ricerca come gatekeeper, ovvero come strumenti attraverso i quali gli individui accedono ai contenuti della rete. Fb ad esempio, viene usato sia per comunicare in forma privata attraverso il servizio di chat, sia per informarsi tramite i link a contenuti giornalistici. Fin dall’inizio, molte di queste piattaforme sono state sviluppate per facilitare l’organizzazione di relazioni sociale intorno a interessi comuni. Ma per arrivare a un esempio di media sociale in senso stretto, nato con l’emergere del web collaborativo degli anni 2000, bisogna menzionare Fb: sviluppato inizialmente per rispondere al bisogno di mettere in connessione gli studenti di Harvard, solo in seguito ha raccolto capitali che lo hanno trasformato in un’impresa commerciale. I social network non sono sempre globali ma spesso si articolano su base territoriale e linguistica. I social media (e la Rete in generale) sono egualitari, aperti, democratici, gratuiti! Ma sono solo questo? Oggi i media sono in grande maggioranza sviluppati da aziende private che hanno sviluppato modelli economici che permettono loro di assicurarsi guadagni a partire dalle informazioni che gestiscono[: un altro caso, molto più subdolo e sofisticato, di sfruttamento commerciale (come per la televisione: mi viene offerto “gratuitamente” un programma. Ma è proprio così?) l’audience televisiva è la ricchezza della televisione. Tramite lo share vengono fissati i costi degli spot pubblicitari che rappresentano il vero guadagno delle emittenti commerciali.] La maggior parte di questi servizi è gratuita: la principale ricchezza detenuta dalle piattaforme dei media sociali non è costituita dagli introiti provenienti dagli utenti bensì dalla possibilità di utilizzare le informazioni che questi forniscono al sito. Questi dati vengono aggregati da software di profilazione , che permettono di creare profili degli utenti in base ai loro interessi. Le informazioni raccolte dalle piattaforme possono essere vendute a terzi, ad es. ad agenzie di marketing, oppure possono essere usate direttamente sul sito per fornire agli utenti pubblicità personalizzata. Alcuni servizi invece hanno modelli misti, cioè richiedono il pagamento di una quota di iscrizione agli utenti che vogliono usare tutte le funzioni e i servizi del sito. Non tutti i media sociali sono a scopo di profitto. I media digitali, e in particolare i media sociali, sono importanti strumenti in cui gli individui mettono in atto strategie attive di costruzione della propria identità. Goffman usava la metafora del teatro per descrivere il modo in cui le persone costruiscono la propria identità in pubblico. Seguendo questa metafora possiamo sostenere che i media digitali, e soprattutto quelli sociali, siano uno dei palcoscenici contemporanei da cui gli individui rappresentano la propria identità tramite un lavoro di continua costruzione (decidere la foto profilo, scegliere gli amici, aderire ad un gruppo, postare immagini connotate politicamente…). Pensiamo ad un adolescente con il suo cellulare in classe che sta messaggiando: il cellulare lo porta nello spazio del retroscena pur trovandosi fisicamente - Persistenza significa che ciò che viene comunicato sui media sociali e in rete tende a restare nel tempo, e che quindi eventi o scelte del passato possono avere un impatto continuo sulla propria identità. - La replicabilità dei contenuti fa sì che comunicazioni avvenute in un ambiente particolare possano essere modificate o combinate con comunicazioni avvenute in un altro ambiente, generando qualcosa di nuovo. - Scalabilità significa che i contenuti possono diffondersi molto rapidamente. Questa può essere una risorsa per chi cerca visibilità, ma non sono necessariamente i contenuti desiderati a essere diffusi. - Infine i contenuti sono facilmente ricercabili, cioè facili da trovare. Gli indici della capacità di influenzare possono essere determinanti per le opportunità di lavoro in alcuni settori: ad es., i cosiddetti influencer sono individui con indici di impatto molto elevati che sono in grado di mobilitare un gran numero di altri utenti. Questi utenti della rete sono considerati risorse cruciali al momento di lanciare una campagna di marketing. Le forme di socialità basate sui media digitali contemporanei offrono il fianco a molte critiche. Il tecnopessimismo non è una novità: le paure legate al ruolo sociale di internet sono parte di una storia molto più antica di diffidenza rispetto ai nuovi media. La più nota sostiene che le relazioni in rete tendano ad essere più fredde e meno coinvolgenti. Tuttavia, non avere legami forti con le persone con cui si condividono alcuni interessi e con cui ci si limita a discutere o fare cose insieme non impedisce di soddisfare altri aspetti della propria vita e della propria affettività con altre. L’argomento principale di altre critiche rivolte alle tecnologie digitali è che la natura immersiva dell’esperienza online tende ad assorbire le persone in un mondo parallelo, e in questo modo isolarle anche da chi hanno accanto (Turkle). In realtà le persone che usano la rete tendono ad avere reti sociali più estese e diversificate rispetto alle persone che non utilizzano tecnologie digitali. Gli utenti di internet hanno in media una vita associativa più ricca rispetto alle persone che non usano i media digitali. L’utilizzo di internet non tende ad allontanare le persone dallo spazio pubblico, ma al contrario può essere considerato un fattore che alimenta la ricchezza della vita sociale delle persone. È piuttosto il modo in cui le persone interagiscono tra loro a cambiare con l’uso di queste tecnologie. La proliferazione delle appartenenze a diversi ambienti mediatici può avere degli effetti importanti anche sulla privacy delle persone. Tutti dovremmo essere responsabili di ogni aspetto della nostra esistenza. Cap. 4 collaborazione online Fra le trasformazioni tecnologiche, economiche e organizzative della società dell’informazione un posto di rilievo è occupato dai fenomeni di partecipazione attiva e collaborazione alla produzione di contenuti e informazione che coinvolgono gli utenti della rete. Il web è caratterizzato da software e piattaforme semplici da usare e che si basano su processi di cooperazione. Molti fenomeni di collaborazione online non sarebbero possibili senza forme di proprietà intellettuale alternative al tradizionale diritto di autore. Queste forme di comunicazioni in rete si caratterizzano per le possibilità offerte agli utenti di diventare produttori di contenuti in prima persona o di contribuire direttamente a valutare e migliorare i contenuti forniti dall’azienda: si parla infatti di contenuti creati dagli utenti (Prosumer neologismo che nasce da producer e consumer). Secondo teorici come H. Jenkins, la cultura della partecipazione si basa sull’abbattimento delle barriere all’espressione della creatività, sull’importanza della condivisione dei contenuti creati, e sulla sensazione che il proprio contributo abbia un valore per la comunità. Il fenomeno è esploso a partire dagli anni 2000 con il passaggio da forme più statiche e unidirezionali di comunicazione al web collaborativo. Il pubblico dei media broadcast (televisione, stampa) può scegliere quali contenuti leggere o guardare, ma non può contribuire in prima persona né fornire un feedback ai produttori di contenuti. Oggi invece la rete è costituita da applicazioni e servizi online che rendono possibile un livello di interazione maggiore tra gli utenti e il servizio stesso. Esempi: blog, software wiki, servizi commerciali come YouTube o Instagram, o come eBay e Amazon, piattaforme di mashup come Google Maps, tecnologie che permettono il tagging e i sistemi di rating. Anche le comunità di fan sono state oggetto di studi importanti sul cambiamento del sistema dei media. I media tradizionali, pur permettendo la creazione di comunità di fans, davano loro scarse possibilità di creazione e condivisione di contenuto. I media digitali hanno amplificato queste possibilità. Sono sempre più spesso coinvolti attivamente nella produzione di contenuti alternativi a quelli ufficiali (fanzine, mashup, fansubbing…). Una caratteristica delle culture partecipative espresse dai fan è il coinvolgimento emotivo molto forte nei confronti del prodotto mediale cui fanno riferimento. La partecipazione attiva dei fan può costituire un problema per le aziende dell’industria culturale. Ad esempio, la gestione del copyright può diventare un fattore cruciale: i fan si sentono spesso autorizzati a violarlo in nome del diritto a elaborare e raccontare storie legate al prodotto culturale originario. Se alcune aziende scelgono approcci flessibili e permissivi, altre assumono invece atteggiamenti proibizionisti e cercano di reprimere chi usa o rielabora i contenuti in forma non autorizzata. Le prime ricerche sul web collaborativo e sulla cultura della partecipazione tendevano a dipingere questi processi di produzione collettiva tramite i media digitali come forme di democratizzazione dell’ambiente dei media. Autori che hanno utilizzato la teoria democratica per analizzare il web collaborativo hanno sottolineato la differenza tra accesso, interazione e partecipazione. In questo modello, la semplice abilità di accedere all’informazione tramite i media digitali è differente dalla possibilità di interagire per scambiare contenuti, come avviene tramite i sistemi di rating di Yelp o gli hashtag di Instagram; forme di partecipazione caratterizzano invece servizi come Wikipedia, i cui utenti possono decidere almeno parzialmente l’evoluzione dell’enciclopedia. Si possono analizzare alcuni fattori organizzativi e politici che determinano la differenza tra semplice condivisione e produzione di contenuti da parte degli utenti e forme di collaborazione in cui si può parlare di vera e propria partecipazione a un progetto collettivo: intenzionalità , controllo delle modalità , proprietà , accessibilità e uguaglianza . Analizzare i processi di condivisione e collaborazione tramite la rete secondo queste variabili permette di distinguere tra reale partecipazione democratica e fenomeni differenti in cui il lavoro individuale e collettivo degli utenti viene aggregato da aziende privati a fini di profitto senza che l’utente abbia alcun potere decisionale un merito. Creatività e partecipazione ai processi di produzione collettiva online fanno però parte di un’ideologia alimentata a scopi commerciali. Le stesse strategie economiche messe in atto da questi servizi si basano infatti sullo sfruttamento dei contenuti prodotti dagli utenti, come foto, video, commenti o testi. Inoltre questi servizi usano la retorica della neutralità per evitare di essere ritenuti responsabili per eventuali contenuti illegali pubblicati dagli utenti. Il successo delle pratiche di cooperazione in rete, in particolare nel campo del software, ha imposto all’attenzione delle scienze sociali la produzione peer-to-peer (P2P), che consiste in una forma di produzione affidata alla libera collaborazione di individui online. Si parla di “gestione orizzontale”, in cui le decisioni non sono prese da una struttura verticale, ma con la partecipazione di tutti gli utenti. Il caso più conosciuto di creazione cooperativa di informazione è quello del free software o software libero (SL), e in particolare del sistema operativo Gnu/Linux creato inizialmente dalla comunità hacker nordamericane ed europee. Il software libero, nasce alla fine degli anni ’80 da un’intuizione di Richard Stallman, è basato su licenze che permettono a chiunque di usarlo, modificarlo e redistribuirlo. Inoltre a differenza dei software proprietari, come ad es. Microsoft Windows, il SL deve mettere a disposizione di chiunque il suo codice sorgente , cioè il testo del programma scritto nel linguaggio di programmazione . Per spiegare il significato della definizione di free software S. ha usato lo slogan free as in free speech, not as in free beer: è libero perché si basa su una concezione liberale del diritto di parola, che nel caso del software si fonda sul diritto a modificare, adattare e redistribuire un programma. Secondo S., un software libero deve garantire quattro “libertà fondamentali”: - Libertà 0: di eseguire il programma, per qualsiasi scopo. - Liberta 1: di studiare il programma e modificarlo. L’accesso al codice sorgente ne è un prerequisito. - Liberta 2: di redistribuire copie in modo da aiutare il prossimo - Libertà 3: di migliorare il programma e distribuirne pubblicamente i miglioramenti apportati dall’utente (e le sue versioni modificate in genere), in modo tale che tutta la comunità ne tragga beneficio. L’accesso al codice sorgente ne è un prerequisito. Negli anni ’70 il sistema operativo Unix, di proprietà dell’azienda telefonica statunitense AT&T circolava liberamente ed era aperto alla collaborazione. Solo a partire dal 1984 le scelte commerciali di AT&T, o meglio delle compagnie in cui venne smembrata in seguito a una sentenza antitrust, cambiarono radicalmente. Unix venne “chiuso”. In seguito a questo social network, gli utenti svolgerebbero “lavoro gratuito”, fornirebbero infatti all’azienda forza lavoro a costo zero ogni volta che postano una foto o un commento. Questo si traduce in profitti per l’azienda stessa. Tuttavia lo studio della produzione di valore tramite la partecipazione online presenta diverse contraddizioni: - l’esperienza d’uso, ad es., di Fb è molto diversa dall’esperienza del lavoro salariato: l’utilizzo dei social media non viene vissuto da parte degli utenti come una forma di sfruttamento simile a quello subito dai lavoratori; - l’idea di una relazione lineare fra valore e tempo di lavoro, sulla quale si basa la teoria del valore di Marx, si scontra con la natura non lineare della creazione di valore online; - il valore realizzato direttamente dal lavoro degli utenti di internet è piuttosto ridotto: le imprese del web si basano principalmente sulla capacità di raccogliere capitali finanziari, e non sulla capacità di generare profitti. Uno degli autori che sottolinea gli aspetti negativi della cooperazione è Jaron Lanier (2010) in Non sei un gadget lancia una forte critica al populismo insito nella cosiddetta “saggezza della folla” rispetto a forme più canoniche di produzione del sapere fondate su un sistema di gatekeeping (studiosi che parlano di un contenuto) che ne garantisce la qualità. Altri studiosi criticano lo sfruttamento da parte dei proprietari delle piattaforme del lavoro gratuito degli utenti: l’ipotesi secondo la quale la cooperazione in rete è guidata da un’economia del dono in cui i guadagni materiali sono poco importanti ignora il fatto che le nuove economie collaborative rimangono molto inique per quanto riguarda la distribuzione della ricchezza. Pochi riescono ad avere successo e garantirsi introiti sostanziali, mentre l’assoluta maggioranza degli utenti vede i suoi sforzi poco o per nulla remunerati. Emergono in posizione dominante alcune piattaforme (a scapito della concorrenza delle più piccole) che fanno profitti sfruttando chi “lavora” per esse. Es. Uber. Lo sharing economy o economia della condivisione è composta da piattaforme online tramite le quali le persone possono instaurare processi di scambio di beni, servizi o saperi. Vieni infatti presentata come possibile soluzione sia alla crisi, dato che genera nuove imprese e nuove forme di occupazione, sia all’alienazione sociale della società contemporanee, poiché crea nuove forme di solidarietà e nuove reti relazionali. Tuttavia il fenomeno si è presto evoluto verso il consolidarsi di pochi giganti multinazionali. Queste imprese usano algoritmi sofisticati per controllare e strutturare le transazioni tra persone dotate di un bene o disposte a fornire un servizio e i possibili clienti. Ad es., gli autisti di Uber sono proprietari dell’automobile ma non possono decidere il prezzo delle corse, che è controllato da algoritmi aziendali. Più che comunità di condivisione, queste imprese rappresentano piattaforme di mercato centralizzate e controllate da interessi privati dove lo “sharing” si riduce alla condivisione di commenti e valutazioni rispetto l’esperienza interpersonale, mentre l’attività economica rimane strutturata dall’alto e dominata da interessi aziendali. Cap.5 sfera pubblica e potere I media digitali sono in grado di favorire nuove forme di interazione e arricchire la vita sociale degli individui. Ma possono essere anche strumenti che creano nuovi problemi di privacy e controllo sociale. Nella tradizione degli studi sui media e sulla comunicazione il pubblico è considerato attivo. Se questo è vero per i media broadcast, cioè quelli distribuiti da pochi a molti, con i media digitali il pubblico si diversifica ulteriormente (si parla ormai di pubblici dei media) e acquista un ruolo sempre più diretto non solo nella scelta o nell’interpretazione dei contenuti provenienti dai media, ma anche nella stessa produzione e distribuzione di informazione. I media broadcast sono strutture ad architettura centralizzata e unidirezionali, i media digitali e le tecnologie di rete intervengono a modificare radicalmente questa situazione: l’effetto principale della rete è la nascita di un sistema mediatico decentrato e distribuito. La transizione verso una sfera pubblica in rete si basa su diverse caratteristiche dei media digitali: 1. Accessibilità- a costi bassissimi o nulli - di spazi come blog, giornali online, forum, social network, spazi wiki. 2. Struttura distribuita: struttura decentralizzata che favorisce il dibattito che favorisce il dibattito tramite sistemi di commenti, rating e condivisione. 3. Commistione tra pubblico e privato: si partecipa alla vita pubblica attraverso il proprio privato. Le conversazioni dei pubblici in rete non sono interamente né pubbliche né private ma assumono caratteristiche ibride. L’agire collettivo si basa sulla condivisione di identità e relazioni personali piuttosto che sull’adesione a ideologie politiche. 4. Sorveglianza: ciò che facciamo in rete è soggetto a un controllo diffuso, continuo, sistematico da parte delle grandi imprese del web e/o dei governi. Alcuni tipi di pubblici, infine, non si limitano a produrre e distribuire informazione, ma intervengono attivamente su tutti i livelli dell’ambiente digitale: sull’infrastruttura tecnologica della rete, sulle piattaforme software e sulle forme di gestione dell’informazione. C. Kelty definisce pubblici ricorsivi quei gruppi di individui che producono e mantengono le piattaforme che utilizzano per produrre attivamente informazione e conoscenza. I cambiamenti nella distribuzione delle risorse e nell’accesso alla produzione e distribuzione di informazione che sono resi possibili dalla diffusione dei media digitali sono alla base di quella che Y. Benkler chiama “sfera pubblica in rete”. La sfera pubblica è il luogo in cui le persone si incontrano per discutere nelle società moderne, questa metafora include spazi fisici come una piazza o un bar, e spazi mediati come la stampa o gli ambienti digitali. Habermas (1981) colloca nel XVIII sec. l’emergere di una sfera pubblica nel mondo occidentale, indipendente dai poteri statale e religioso, e fondata sul sistema dei media basati sulla stampa, ma anche su luoghi di ritrovo e lettura come i caffè. È in questa dimensione, in cui gli individui che compongono la società civile sono liberi di criticare ed elaborare temi politici senza subire la direzione dell’autorità, che avviene la formazione dell’ opinione pubblica . Mass media indipendenti da governo e partiti contribuiscono a creare una sfera pubblica critica e a controllare l’operato del potere stesso, una funzione democratica indispensabile. Tuttavia, la concentrazione di potere nelle mani dei produttori di informazione (il cosiddetto quarto potere) fa sì che i mass media controllino il flusso di informazione, con la possibilità di filtrarlo e dirigerlo secondo scopi particolari. Inoltre, la loro indipendenza dal controllo governativo corrisponde di norma all’aumento dell’influenza degli interessi economici degli inserzionisti. Gli individui hanno accesso a una molteplicità di fonti, anche indipendenti o alternative a quelle del sistema dei mass media, che possono essere difficilmente controllate dall’autorità statale o dalle grandi imprese dell’informazione. Uno dei processi di trasformazione della sfera pubblica nell’era digitale è quello della disintermediazione , cioè l’aumento di indipendenza da figure professionali che hanno storicamente un ruolo di intermediarie tra il pubblico e l’informazione. Grazie alle tecnologie digitali e alla rete, gli individui hanno accesso diretto a una mole immensa di informazioni. Questo fenomeno comprende trasformazioni nel mondo del giornalismo, e più in generale della produzione e distribuzione di informazioni. La disponibilità di strumenti per pubblicare contenuti di uso semplice e accessibile a chiunque ha reso possibile la nascita di fenomeni di produzione di informazione (news) di nuovo tipo, che hanno arricchito l’ecologia dei media. Il citizen journalism è la produzione e distribuzione di notizie da parte di individui che non sono giornalisti professionisti e attraverso canali alternativi a quelli delle istituzioni comunicative broadcast. Indymedia è uno dei primi esempi di successo di piattaforma per la pubblicazione di contenuti informativi da parte degli utenti. Gli stessi giornali tradizionali si sono adattati al cambiamento in atto, aprendo edizioni online in cui non solo cambia lo strumento utilizzato ma l’interazione con i lettori è al centro dell’attività comunicativa. Una delle funzioni principali dei giornali è il gatekeeping, cioè il potere di selezionare quali notizie raggiungeranno il pubblico e quali no. Secondo diversi autori, la funzione di gatekeeping non è più saldamente nelle mani delle istituzioni dei media broadcast, ma piuttosto è distribuita tra gli utenti della rete che producono, selezionano e vagliano notizie e informazioni. Infine, è cambiato anche il ruolo dei mass media tradizionali come detentori del potere di agenda setting , cioè la capacità di dettare l’agenda del dibattito pubblico scegliendo le notizie e i temi di cui si parlerà. Le notizie rilevanti possono emergere tramite diffusione dai media sociali o dai blog fino a raggiungere le gran di testate online o i mass media. La sfera pubblica in rete sarebbe così in grado di garantire i filtri di attendibilità e rilevanza un tempo riservati ai mass media che oggi non sono più gli unici intermediari tra cittadini e informazione. La rete ha anche favorito l’emergere di attori come WikiLeaks, una piattaforma per la pubblicazione di leak, cioè “perdite” o “fughe” di notizie. W. È un’organizzazione non profit internazionale basata su un sistema di raccolta di documenti coperti da segreto di stato o industriale che le persone possono fornire in anonimato grazie ai sistemi di criptazione. L’organizzazione si occupa poi di verificare l’autenticità dei documenti e di pubblicarli mantenendo l’anonimato delle sue fonti e allo scopo di portare alla luce “comportamenti non etici di governi e aziende”. Per diffondere queste moli enormi di informazioni, W. Ha operato in collaborazione con alcuni importanti quotidiani come “The Guardian”, “New lavorano nell’anonimato e non si incontrano mai di persona ma comunicano sulle reti Irc, una forma di chatroom anonima. Le reti sono caratterizzate da uno stato di “ partecipazione passiva ” in cui la gran parte delle informazioni prodotte non è nelle mani degli utenti. Qualsiasi attività in rete lascia delle tracce che vengono raccolte e monitorate. I dati degli utenti sono registrati, analizzati e utilizzati per scopi di controllo sociale o di profitto. Questa forme di partecipazione passiva è creata da due processi distinti ma legati tra loro: - La cattura dei dati è un regime di controllo che usa le informazioni estratte dall’analisi dei comportamenti e delle interazioni in rete per aumentare l’efficienza delle forme di produzione tipiche delle aziende del web. - La sorveglianza è invece un processo di raccolta e analisi dei dati da parte di attori pubblici o privati al fine di controllare il comportamento degli individui. È messa in campo soprattutto dagli stati per controllare i propri cittadini. Mentre la cattura dei dati da parte delle aziende permette di modificare l’esperienza mediale degli utenti, la sorveglianza è surrettizia e avviene in forma segreta e non percepibile. Negli anni ’70 Michel Foucault ha descritto la nascita nell’era moderna della “società disciplinare”, caratterizzata dalla pervasività di istituzioni dedicate a osservare il comportamento dei cittadini per normalizzarlo. Per descrivere il potere disciplinare F. ha usato l’esempio del panopticon, un carcere ideato nel Settecento dal filosofo e giurista Bentham. L’architettura di questo edificio permettere a una sola persona di controllare tutti i detenuti, che sono sempre visibili ma non sono in grado di sapere se in quel momento sono osservati. Gilles Deleuze ha proposto che nell’era contemporanea sia avvenuto il passaggio a una “società del controllo” in cui il potere è esercitato tramite un controllo continuo e istantaneo della popolazione. Sappiamo che diversi governi occidentali gestiscono sistemi di sorveglianza che permettono di registrare tutte le interazioni online e telefoniche dei propri cittadini e spesso sono usati indistintamente, senza il mandato di un giudice. Questi sistemi dipendono dalla collaborazione delle grandi imprese del web. Le agenzie di sorveglianza possono per esempio accedere dal remoto la telecamera e il microfono di un computer portatile o smartphone e usarli per spiare un individuo a sua insaputa. La sorveglianza è presentata dai governi come utile per proteggere la società da attività criminali o terroristiche. Tuttavia le tecnologie digitali hanno ampliato la sorveglianza a tutta la popolazione, in un certo senso rendendo concreta la società del controllo preconizzata da Deleuze. Specularmente, la resistenza alla sorveglianza si basa su tecnologie o azioni che permettono di non produrre dati oppure di renderli non tracciabili o non analizzabili. L’emergere di forme di organizzazione politica tramite strumenti e piattaforme online ha fatto parlare della nascita di una nuova cultura civica . Politologi come R. Putnam sottolineano che il coinvolgimento civico delle popolazioni dei paesi occidentali è in declino da decenni. P. attribuisce al consumo televisivo una responsabilità importante nel declino della partecipazione politica. Tuttavia il rapporto tra media e partecipazione politica è più complesso. Un’obiezione alla sua tesi si basa sull’analisi di produzione collaborativa, che fornisce anche un’educazione civica in quanto abitua i membri alle virtù di condivisione, solidarietà e impegno per una causa comune. Queste forme di collaborazione spesso coincidono con la creazione di opinioni etiche e politiche e quindi possono dar luogo a un coinvolgimento molto profondo. D’altra parte pretendono a esasperare i conflitti e a ridurre l’interazione con persone diverse che era considerata un fondamento della sfera pubblica moderna. Il confronto e la diversità possono così venire meno. La politica online tenderebbe quindi a produrre una polarizzazione della società, una tendenza ad agire solo con i simili.