Scarica Riassunto Introduzione ai Media Digitali di Arvidsson e Delfanti e più Sintesi del corso in PDF di Comunicazione Dell'industria Culturale solo su Docsity! INTRODUZIONE AI MEDIA DIGITALI CAP. 1 Media e Tecnologie Digitali. 1.L’AMBIENTE DIGITALE Le società contemporanee sono caratterizzate dall’onnipresenza e pervasività crescenti dei media nelle vite quotidiane degli individui. Attraverso la diffusione di massa di tecnologia e la possibilità di connettersi ovunque alle reti, le persone vivono immerse in flussi di comunicazione continui. Questo fenomeno, che è stato definito mediatizzazione, rende la presenza del media talmente ubiqua da indurci a sottovalutarne gli effetti, a spingerci cioè a dare per scontata la presenza della tecnologia e viverne la mancanza come stressante. I cambiamenti innescati dalla diffusione delle tecnologie digitali stanno trasformando in profondità il modo in cui produciamo e distribuiamo informazione e conoscenza. La società si trova di fronte alla necessità di ripensare in profondità il significato di parole come “libertà, democrazia, partecipazione, proprietà e potere.” La diffusione dei media digitali è cresciuta costantemente a partire dagli anni ’80 del XX sec. con la messa in commercio di computer a basso prezzo per il mercato di massa e dall’introduzione del World Wide Web negli anni ’90. Negli anni 2000 si è assistito all’emergere del Web collaborativo.
Nessuna attività umana è esentata dai cambiamenti che essi portano con sé. A livello globale, gli utenti della rete hanno superato i tre miliardi e rappresentano ormai il 50% della popolazione mondiale. Grazie alla capacità di integrarsi e interagire con la maggior parte delle tecnologie preesistenti, i media digitali hanno assunto un ruolo chiave anche nell’organizzazione della produzione e nell’economia delle società contemporanee. Questi cambiamenti hanno un impatto anche sull’ecologia dei media. Oltre a popolarsi di nuove specie, l’ecologia dei media si arricchisce di nuove strategie di sopravvivenza: i social network forniscono servizi gratuiti in cambio di dati degli utenti, i partiti usano la rete per sperimentare nuove forme di comunicazione, i governi mettono in atto nuove strategie di censura. Rende l’idea di un mondo dove non vi è un luogo centralizzato di controllo ma piuttosto un insieme di relazioni e interazioni che Benkler chiama ambiente digitale di rete. Questo ambiente è denso di scontri proprio sul futuro delle relazioni ecologiche tra gli organismi che lo compongono (ad esempio sul copyright). L’emergere di una sfera pubblica in rete e l’affermazione di forme di cooperazione sociale che permettono a masse di individui di collaborare alla produzione di informazione sono legati a cambiamenti sociali che vanno ben al di là delle innovazioni tecnologiche. I media digitali sono il terreno di scontro tra diverse visioni del mondo che spesso si contrappongono violentemente. Da un lato, le tecnologie sono dipinte come portatrici di democrazia, dall’altro come minaccia all’ordine sociale. Gli ambienti digitali sono spazi altamente privatizzati, commercializzati e sorvegliati. Le interazioni si svolgono in gran parte in una cornice di proprietà di grandi conglomerati come Facebook o Google che raccolgono e monetizzano le informazioni prodotte dagli utenti. 2. NUOVI E VECCHI MEDIA Con la definizione nuovi media vengono identificate in modo onnicomprensivo le tecnologie di comunicazione basate sui computer e sulle reti che si sono diffuse a partire dagli ultimi decenni del XX secolo affiancando e poi integrandosi con i mass media tradizionali. I cosiddetti nuovi media sono costituiti da tecnologie eterogenee e molto diverse tra loro. Studiare i nuovi media non significa studiare solo i nuovi media di oggi, ma il momento in cui una nuova tecnologia emerge e si afferma. La stampa è certamente una tecnologia datata, ma al momento della sua introduzione ha avuto un ruolo importante. Del resto i discorsi sui cambiamenti radicali che i nuovi media sarebbero destinati a causare ritornano ogni volta che un nuovo media viene introdotto. I media basati su nuove tecnologie conservano similitudini e analogie con i media precedenti. Come avviene spesso quando un nuovo media viene introdotto, esso non sostituisce i vecchi media ma piuttosto li integra o li modifica senza estinguerli: è un processo di rimediazione. Una pratica, contenuto o formato possono essere ri-mediati tramite una nuova tecnologia. I nuovi media insomma non nascono dal nulla ma piuttosto evolvono da pratiche e tecnologie mediali preesistenti. L’evoluzione dei media è un processo continuo e non lineare. Parte dell’esperienza dei media digitali risiede proprio nella continua successione di rapidi cicli tecnologici. I nuovi media non sono accettati subito come naturali, e il loro significato resta inizialmente aperto e contestato. Questa fase è stata definita crisi di identità dei nuovi media. La fase di crisi si risolve quando una nuova tecnologia sorpassa la fase di novità iniziale e diviene un prodotto di consumo di massa. In un processo di domesticazione la nuova tecnologia viene accettata all’interno della società. Spesso i media scomparsi lasciano tracce in media più recenti. In altri casi può invece sopravvivere in nicchie di mercato (ad esempio il vinile). Infine, media abbandonati possono essere riportati in vita (cosiddetti zombie media) e assumere nuovi significati. L’archeologia dei media si occupa di studiare tecnologie un tempo dimenticate che vengono rivitalizzate (ad esempio il Gameboy per la 8bit techno). Secondo la definizione di Langdon Winner, “le tecnologie hanno una politica”: il modo in cui sono progettate oppure la decisione di adottarle o meno possono avere il fine di ribadire una forma di potere o di autorità Altre teorie sociali parlano della coproduzione di tecnologia e società, invitando a non focalizzarsi su un solo legame di causa/effetto: non è la società a plasmare le tecnologie e non sono le tecnologie a determinare la società, ma piuttosto società e tecnologie si influenzano e si modificano a vicenda. La sociologia utilizza un termine preso dall’ingegneria, affordance, per descrivere le possibilità offerte e i limiti imposti da uno strumento tecnologico a chi lo utilizza. Le piattaforme come Twitter sono quindi tecnologie abilitanti, cioè permettono agli utenti di dar vita ad alcuni tipi di azioni secondo precise forme di produzione di informazione. Con il termine algocrazia viene descritto un ambiente digitale di rete in cui il potere viene esercitato in modo sempre più profondo dagli algoritmi, cioè i programmi informatici che sono alla base delle piattaforme mediatiche, i quali rendono possibili alcune forme di interazione e di organizzazione e ne ostacolano altre. Le tecnologie si caratterizzano per diversi livelli di apertura o chiusura: possono essere facilmente accessibili e modificabili, oppure possono avere limitazioni e sbarramenti come i sistemi Apple (con il conseguente fenomeno del jailbreaking). CAP. 2 La società dell’informazione. La storia dei computer è legata a quella dell’idea che sia possibile applicare un metodo scientifico alle vicende umane. La produzione e la gestione dell’informazione hanno assunto un ruolo chiave nelle società avanzate tanto da far emergere la definizione di società dell’informazione. 1.INFORMAZIONE E SOCIETÀ L’espressione società dell’informazione indica una forma di società caratterizzata dall’importanza della produzione e gestione di informazione, sapere e conoscenza. Le tecnologie informatiche sono pervasive e influenzano i processi produttivi, sociali, identitari e politici. La capacità di produrre, manipolare e distribuire informazione diventa il fattore principale di ricchezza e potere. La nascita e l’affermazione della società dell’informazione non sono legate solo alla diffusione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, ma anche a cambiamenti economici e politici epocali avvenuti negli ultimi decenni del XX secolo, come la fine del mondo bipolare, l’affermarsi dei fenomeni di globalizzazione e la nascita di nuovi paradigmi produttivi. Si comincia così a parlare di società postindustriale, postmoderna, postfordista, della conoscenza, in rete o capitalismo cognitivo. Le tecnologie per produrre, gestire e distribuire l’informazione sono caratterizzate da grande diffusione e costi decrescenti: strati sempre più vasti della popolazione possono accedere ad internet. Il concetto di società dell’informazione comincia a diffondersi negli anni 90, sia nel dibattito pubblico che in quello accademico. Secondo questa visione la rete porterà ad un accesso diffuso al sapere e a una democratizzazione radicale della politica, oltre che a una nuova economia basata su comunicazione e flessibilità. Le tecnologie dell’informazione cambiano in profondità anche i settori agricolo e industriale. La rivoluzione dell’informazione trasforma l’industria, introducendo nuove possibilità di gestione dei processi produttivi. Il sistema economico che emerge da questa trasformazione si caratterizza per essere, nella definizione di Manuel Castells, informazionale, globale e a rete. 2.ECONOMIA IN RETE E GLOBALIZZAZIONE In un’economia informazionale, cioè basata sull’informazione, la produttività, la competitività e la redditività dipendono dalla capacità di generare e gestire informazione e conoscenza. L’informazione è un bene intangibile diverso dai beni materiali, e necessita di esser regolato da forme di proprietà apposite: possedere brevetti o diritti d’autore diventa cruciale. Le risorse principali dell’impresa smettono di essere le fabbriche e i macchinari, per diventare quelle legate all’informazione: brand, brevetti, capacità di gestire reti di fornitori, subfornitori e distributori, design e marketing. La produzione dei beni materiali è appaltata a produttori esterni mentre le imprese madri possiedono la proprietà intellettuale e gestiscono la ricerca tecnologica, la comunicazione, etc. Nell’economia globale (o meglio, globalizzata), la globalizzazione diventa uno dei fenomeni economici principali e si basa anche sulla nascita dei nuovi soggetti coe le imprese multinazionali. Nasce una cultura di consumo globale in cui merci, stili di vita e forme di consumo si diffondono in tutto il mondo e vengono adattati in contesti locali diversi. Aumenta l’importanza di trattati ed entità sovranazionali come l’Unione Europea. L’economia in rete è infine caratterizzata da forme di produzione più flessibili. Si passa a un paradigma di organizzazione dei processi produttivi a rete, basato su decentramento e autonomia delle unità produttive. Le reti sono una forma arcaica di organizzazione sociale. Con l’avvento della società industriale nel XIX sec., le economie di scala basate su organizzazioni centralizzate si sono dimostrate più efficienti delle reti preesistenti. Con l’emergere della società dell’informazione, le reti sono tronate ad essere competitive. 3.LE TEORIE SULLA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE Manuel Castells negli anni 90 formalizza l’importanza economica sociale e politica dell’informazione in una società in trasformazione. Nella società dell’informazione sono i beni informazionali o intangibili, come i brand, a determinare il successo economico e di conseguenza le possibilità di successo di un individuo. È il capitalismo informazionale. Castells descrive la società dell’informazione come una società strutturata in reti, la network society. Le reti diventano dominanti anche nella dimensione sociale. Lo spazio dei flussi è costituito dagli spazi, fisici e mediatici, dove circolano saperi, competenze, denaro e persone. Questo spazio si configura come una rete aperta. Gli individui che hanno accesso allo spazio dei flussi si spostano liberamente fra un’organizzazione e l’altra. Per Castells non è più legata solo al conflitto di classe fra capitale e lavoro ma avviene piuttosto tra chi ha accesso ai flussi e chi ne è escluso. Visioni utopistiche di democratizzazione universale e creatività distribuita convivono con visioni pessimiste in cui le tecnologie mettono a rischio l’ordine sociale: un paradosso che Umberto Eco racchiuse nella divisione fra apocalittici e integrati. L’economista Fritz Machlup negli anni 30 studio l’effetto dei brevetti e negli anni 60 introdusse l’espressione economia della conoscenza nel linguaggio comune. Peter Drucker faceva notare come la centralità dei lavoratori della conoscenza si affermasse man mano che le organizzazioni dell’economia capitalista si facevano più complesse. Fu uno dei primi ad usare il termine postmoderno per descrivere il modello sociale che stava evolvendo attorno alla nuova importanza economica dell’informazione. Il sociologo marxista Daniel Bell ampliò questa visione di un nuovo ordine economico e sociale suggerendo che l’importanza della produzione e circolazione di informazione avrebbero reso meno influenti le grandi ideologie della modernità, come ad esempio il comunismo, organizzate intorno al conflitto fra capitale e lavoro. I nuovi lavoratori della conoscenza non hanno, per lui, alcun legame con le visioni ideologiche di destra e sinistra in quanto membri del nuovo ceto medio interessato principalmente alla propria realizzazione consumista. Alessandro Pizzorno suggerì che il peso crescente del ceto medio emerso dal boom economico degli anni 60 stesse trasformando l’Italia in una società in cui il collante sociale erano la crescita economica e la possibilità di generare nuove opportunità di consumo e non le grandi ideologie. Nel decennio successivo queste idee si consolidarono convergendo verso l’idea di una nuova società postindustriale proposto da Alaine Touraine fondato su tre principali componenti: • La riduzione del peso economico della produzione materiale • La centralità della produzione di sapere e della ricerca scientifica • Il ruolo di potere assunto dalla pianificazione e dall’organizzazione di processi complessi, e di conseguenza la sostituzione della vecchia classe dirigente con un ceto di burocrati e tecnici che esercitavano il potere in modo anonimo e in apparenza senza interessi politici. In quella che sarebbe diventata la Silicon Valley nacquero i primi personal computer. Di quel grande gruppo facevano parte hacker famosi oltre che i fondatori di Apple e Microsoft. 5. L’EVOLUZIONE DELLE RETI Negli anni 50 e 60 si cominciò a pensare ai computer come strumenti non solo per effettuare calcoli ma anche per comunicare. Il progetto di comunicazione che rappresenta l’antenato di internet fu la rete ARPANET che nel 1969 collegava i supercomputer presenti nelle università americane e in alcuni centri militari. Il leader sovietico Chruscev aveva anche costruito in Siberia una città accademica per lo studio della cibernetica, la scienza dei sistemi autoregolati che fu cruciale per lo sviluppo delle tecnologie informatiche. Il protocollo Tcp/Ip che nel 1974 diventò lo standard della rete, era un protocollo libero nato per decentralizzare il controllo delle comunicazioni ai singoli computer. Le reti BBS nate negli anni 70 erano banche di dati e messaggi contenuti in computer individuali cui si poteva accedere tramite i nuovi modem. The Well, nato nel 1985, utilizzò le tecniche Bbs per creare una comunità virtuale che raccolse in un unico luogo le informazioni sulle controculture di San Francisco. Nel 1991 Berners-Lee, uno scienziato del Cern di Ginevra, scrisse e condivise con il resto della rete i linguaggi e gli standard che costituiscono il World Wide Web.
Decise di rilasciare queste innovazioni senza restrizioni, di modo che chiunque potesse utilizzarle. Alla diffusione delle reti contribuirono anche scelte politiche, con la prima ondata di liberalizzazioni del mercato delle comunicazioni negli anni 80. Al G7 del 1995 i paesi riuniti sottoscrissero un documento che auspicava l’affermarsi di una società globale dell’informazione. Negli anni 90 il Web si diffuse nelle case americane ed europee, dando inizio all’espansione della new economy. Questa situazione diede luogo però ad una bolla finanziaria, cioè un aumento sconsiderato del costo delle azioni delle aziende del commercio online 6.IL FUTURO DELLA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE Nella produzione industriale rendono possibile l’automazione e l’organizzazione della produzione in reti globali di piccole fabbriche connesse tra loro e localizzate per lo più in paesi con bassi costi salariali. Questo tende a diminuire il costo della produzione materiale sia il potere contrattuale della classe operaia. Si rinforza la natura globale della cultura di massa. Le identità e i riferimenti politici e culturali diventano globali e locali allo tesso tempo, ma sempre meno legati alle culture nazionali. L’ipotesi della natura egualitaria della nuova società dell’informazione riemerge ciclicamente ma risulta spesso utopistica. Si assiste ad una crescente disuguaglianze salariale ed un nuovo proletariato dei servizi oltre che una evidente disuguaglianza globale fra i paesi che producono materie prime e quelli che gestiscono i processi dell’innovazione. CAP. 3 Culture e identità. I media digitali sono in grado di favorire nuove forme di interazione e arricchire la vita sociale degli individui. Le forme di socialità mediate dalla rete non sono neutrali ma dipendono da fattori culturali e identitari. Inoltre possono creare problemi di privacy e controllo sociale. 1.SOCIALITÀ E MEDIA DIGITALI Le relazioni sociali sono sempre state influenzate dalle tecnologie della comunicazione. Senza un mezzo di comunicazione sarebbe difficile organizzare un sistema sociale complesso. Lo stesso vale per le organizzazioni burocratiche moderne.
Negli anni 60 il boom delle culture giovanili dipendeva da tecnologie come i giradischi portatili, la tv e il telefono. I media digitali hanno avuto una velocità di penetrazione senza precedenti. Le piattaforme dei media sociali come Facebook e Twitter facilitano forme di socialità simili alle comunità basate sulla conoscenza reciproca, ma fanno da supporto anche a relazioni meno strette. I media digitali odierni sono caratterizzati dalla forte integrazione tra la vita online e quella offline al punto che queste distinzioni sembrano perdere di significato. Le tecnologie mobili favoriscono uno stile di vita always on: le attività online sono una parte della vita sociale quotidiana e i profili sui media sociali sono una parte dell’identità complessiva delle persone. I media sociali tendono anche ad affievolire la distinzione tra pubblico e privato. 2.I MEDIA SOCIALI Tra i servizi che dominano il panorama dei media digitali vi è una serie di piattaforme chiamate social network o media sociali. Nel corso degli anni 2000 questi servizi hanno conosciuto una vera e propria esplosione che li ha posizionati tra i principali intermediari fra gli individui in rete e con i contenuti della rete. I media sociali sono servizi web che permettono di: • Creare un profilo pubblico o semipubblico • Costruire una rete di contatti • Creare o di aderire a comunità telematiche In base a questa definizione il primo social network è stato SixDegrees nel 1997. Le piattaforme dei media sociali integrano tipicamente sevizi che permettono agli utenti di comunicare in forme non legate soltanto alla pubblicazione di contenuti. I social network non sono sempre globali ma spesso si articolano su base territoriale e linguistica. Oggi i media sociali sono in grande maggioranza gestiti e sviluppati da aziende private. Queste aziende hanno sviluppato modelli economici che permettono loro di assicurarsi guadagni a partire dalle informazioni che gestiscono. La principale ricchezza è costituita dalla possibilità di utilizzare le informazioni che questi forniscono al sito. Questi dati vengono aggregati da software di profilazione che permettono di creare profili degli utenti in base ai loro interessi. 3.MEDIA E IDENTITÀ I media digitali sono importanti strumenti in cui gli individui mettono in atto strategie attive di costruzione della propria identità. Goffmann usava la metafora del teatro: i media digitali sono dei palcoscenici. I media digitali forniscono agli individui un controllo elevato su questa continua costruzione identitaria. Rivelando qualcosa di sé, gli individui effettuano un lavoro di costruzione della percezione che gli altri hanno di essi. I media sociali incorniciano l’identità di una persona. Molti dei comportamenti di costruzione dell’identità in rete sono identici a quelli offline: ad esempio, il conformismo e la necessità di essere accettati dai gruppi di pari. L’importanza dei media sociali per l’identità delle persone è evidenziata da fenomeni come il thinspiration e l’aldila digitale. L’uso delle reti come spazi di socialità non è neutrale, ma è influenzato da fattori culturali e sociali come il genere e la classe sociale. Con la definizione nativi digitali sono stati descritti i giovani nati a stretto contatto con i computer ed internet.
Questa definizione serve a distinguerli dai migranti digitali, cioè dalle persone che sono nate prima dell’avvento di internet e si sono formate in un mondo dominato da carta stampata e televisione. I nativi si distinguerebbero anche per essere portatori di nuove forme di socialità e identità marcate dalle caratteristiche di queste tecnologie. Ricerche recenti hanno dimostrato come anche in Italia le differenze di classe sociale, genere, tradizione culturale, area geografica di appartenenza siano più importanti dell’età nell’influenzare i modi diversi in cui le persone utilizzano i media digitali. 4.PUBBLICI O COMUNITÀ La teoria sociologica classica distingue due forme di relazioni sociali: • Da un lato ci sono le relazioni comunitarie, caratterizzate da alti livelli di fiducia e di conoscenza reciproca. Ad esempio, il piccolo paese italiano di provincia dove tutti si conoscono. • Dall’altro lato, le relazioni sociali tipiche della modernità sono caratterizzate dall’importanza di associazioni dotate di regole formali ed esplicite come le organizzazioni burocratiche, i partiti politici, i sindacati o le associazioni professionali. Il senso di identificazione è meno intenso, le forme di interazione meno calde ma anche meno opprimenti. CAP. 4 Collaborazione online. La rete facilita la partecipazione attiva degli individui ai media, e permette processi di cooperazione tra pari come il peer to peer. Il valore creato tramite processi di cooperazione è spesso appropriato dalle imprese. 1.I MEDIA COLLABORATIVI Fra le trasformazioni tecnologiche, un posto di rilievo è occupato dai fenomeni di partecipazione attiva e collaborazione alla produzione di contenuti e informazione che coinvolgono gli utenti della rete. Gran parte dei servizi in rete sono infatti interattivi e permettono la partecipazione del pubblico. Questa trasformazione si avvale anche di cambiamenti nella sfera legale e sociale. Infatti molti fenomeni di collaborazione online non sarebbero possibili senza forme di proprietà intellettuale alternative al tradizionale diritto d’autore.
Secondo teorici come Henry Jenkins la cultura della partecipazione si basa sull’abbattimento delle barriere all’espressione della creatività, sull’importanza della condivisione dei contenuti creati. Forme di partecipazione del pubblico alla produzione mediale sono da decenni al centro della proposta di media alternativi come le radio comunitarie o i giornali indipendenti. Il pubblico dei media broadcast può scegliere quali contenuti guardare ma non può contribuire in prima persona né fornire un feedback. Oggi invece la rete è costituita da applicazioni e servizi online che rendono possibile un livello di interazione maggiore tra gli utenti e il servizio stesso. I blog sono diari o giornali online che danno vita a quella che è stata chiamata blogosfera, cioè un ambiente formato da blog in comunicazione tra loro e che oggi è resa ancora più complessa dal legame coi social network. I wiki sono software di scrittura collettiva, che permettono a più persone di lavorare contemporaneamente ad uno stesso testo o documento (es. Wikipedia). Le piattaforme di mashup permettono di aggregare informazioni prese da fonti diverse per creare un sito o un’applicazione. Un esempio sono le Google Maps, mappe interattive a cui gli utenti possono aggiungere informazioni. I sistemi di rating sono invece sistemi tramite i quali gli utenti possono votare (es. TripAdvisor). Da consumatori diventano così prosumer, vale a dire produttori/consumatori. I fan, per esempio, sono sempre più spesso coinvolti attivamente nella produzione di contenuti alternativi a quelli ufficiali, come video, fiction, videogiochi. La gestione del copyright può diventare cruciale: i fan non accettano una gestione rigida del diritto d’autore e spesso lo violano.
Se alcune aziende scelgono approcci flessibili, altre assumono invece atteggiamenti proibizionisti. 2.IL DILEMMA DELLA PARTECIPAZIONE Le prime ricerche sul web tendevano a dipingere questi processi di produzione collettiva tramite i media digitali come forme di democratizzazione dell’ambiente dei media.
Nella teoria politica moderna, il concetto di partecipazione sottintende una distribuzione del potere verso i cittadini tramite processi decisionali democratici e relazioni di potere egualitarie. Ci accorgiamo quindi che gli utenti possono contribuire solo marginalmente ai processi decisionali. Scendendo nel dettaglio si possono analizzare quindi alcuni fattori che determinano la differenza tra semplice condivisone o produzione di contenuti: • Intenzionalità: i partecipanti sono consapevoli di prendere parte a una collaborazione o i loro contenuti sono aggregati o gestiti da altri? • Controllo delle modalità: gli utenti possono mettere in discussione le regole della partecipazione oppure le accettano passivamente? • Proprietà: chi possiede il frutto della collaborazione e ne ricava un profitto? • Accessibilità: chi può partecipare e come? • Uguaglianza: ci sono delle gerarchie oppure tutti i partecipanti hanno lo stesso peso nei processi decisionali? La parola piattaforma richiama uno spazio aperto, sopraelevato e orizzontale su cui salire. Creatività e partecipazione fanno però parte di una ideologia alimentata a scopi commerciali. Le stesse strategie economiche messe in atto da questi servizi si basano infatti sullo sfruttamento dei contenuti prodotti, 3.DAL SOFTWARE LIBERO AL PEER-TO-PEER Il successo delle pratiche di cooperazione in rete ha imposto all’attenzione delle scienze sociali la produzione peer-to-peer basata sui beni comuni. Nei progetti di produzione P2P molti individui possono collaborare in forma coordinata ma non organizzata in forme gerarchiche tradizionali. Per questo di parla di gestione orizzontale. Il caso più conosciuto di creazione cooperativa di informazione è quella del free software e in particolare del sistema Gnu/ Linux nato alla fine degli anni 80, basato su licenze che permettono a chiunque di modificarlo, usarlo e redistribuirlo. Il software libero deve mettere a disposizione di chiunque il proprio codice sorgente. Secondo Stallman il software libero deve garantire quattro libertà fondamentali: • Libertà di eseguire il programma • Libertà di studiare come funziona il programma e di modificarlo • Libertà di redistribuire copie in modo da aiutare il prossimo • Libertà di migliorare il programma e distribuirne pubblicamente i miglioramenti apportati dall’utente Contemporaneamente allo sviluppo di Gnu, Stalmann si dedica alla scrittura di licenze che traducano in termini legali gli ideali iscritti nelle libertà fondamentali: la General Public Licence da cui derivano altre licenze che costituiscono il copyleft. Negli anni 90 il giovane programmatore finlandese Torvalds ebbe l’intuizione di coinvolgere centinaia di membri della comunità hacker nel debugging, cioè nella ricerca di problemi da risolvere. La storia e il funzionamento di Gnu e Linux vengono presi spesso a esempio delle forme di cooperazione online per diversi motivi: • I sistemi operativi basati su questi programmi si sono dimostrati in grado di competere con sistemi operativi tradizionali • Il software libero ha dimostrato l’esistenza di una nuova forma di cooperazione mediata dalle tecnologie digitali • La licenza GPL ha creato nuove forme di proprietà intellettuale. Alla base di queste forme di p2p vi sono alcune premesse tecnologiche, ma anche sociali ed economiche: • L’informazione costituisce sia l’input sia l’output dei processi p2p • La diffusione pressoché ubiqua dei computer connessi alla rete • L’emergere di strategie non proprietarie di gestione dell’informazione • Le innovazioni tecnologiche • La diffusione di fenomeni di produzione non commerciale • L’espansione di forme di organizzazione orizzontali, flessibili e non gerarchiche. Altre caratteristiche sono la modularità e la granularità dei processi (es. Wikipedia) La modularità è la possibilità di suddividere un progetto in parti. La granularità è invece la possibilità di dividere un compito in parti. Le reti p2p sono reti di computer usate per scambiare file. Il p2p funziona grazie alla sua ridondanza: il contributo di molti computer individuali fa si che lo spegnimento di un nodo della rete non ne comprometta il funzionamento. É importante sottolineare come queste forme di organizzazione non siano completamente orizzontali: le gerarchie esistono, e gli squilibri di potere all’interno dei progetti collaborativi restano importanti. 4.OPEN SOURCE E INNOVAZIONE Dall’esperienza del software libero è nato l’open source. Negli anni 70 Bill Gates scrisse la Lettera aperta agli hobbisti per lamentarsi della circolazione di copie illegali del software che lui stesso produceva. Riteneva che fosse impossibile produrre software senza un’organizzazione che pagasse i programmatori, e che quindi la condivisione gratuita avrebbe impedito lo sviluppo di software di qualità. Il software libero e open source produce lavoro per migliaia di programmatori, è competitivo o addirittura fornisce la base per molti programmi di successo. Questi spazi tendono a favorire la polarizzazione del dibattito dando vita a rischi di cyber-balcanizzazione, cioè creazione di piccole enclave fortemente omogenee al proprio interno e in perenne lotta tra loro (es. dem e rep in USA). 3.POLITICA E DEMOCRAZIA Le relazioni di potere sono ormai sistematicamente organizzate intorno alle reti. Nella società in rete, il potere diventa così potere della comunicazione e si incarna nell’architettura stessa della rete (castells) A partire dagli anni 90 si è assistito a un aumento progressivo del numero di cittadini che si informano o partecipano al dibattito politico tramite i media digitali. L’Italia ha vissuto con ritardo l’emergere di una sfera pubblica in rete rispetto al nord Europa o agli USA. Nei paesi autoritari l’architettura distribuita della rete può prendere difficile il controllo dei flussi di informazione e quindi quello della sfera pubblica. Questa difficoltà può tradursi in un aumento della libertà d’espressione a sostegno di movimenti sociali così come può dare ai regimi nuove forme di controllo. Il divario digitale è la differenza di accesso alle tecnologie di rete che si verifica tra paesi ricchi e poveri o tra diverse classi sociali o generazioni all’interno dello stesso paese. I governi non democratici possono arrivare ad esercitare un controllo molto stretto sull’informazione, come il Great Firewall of China. Agli utenti della rete cinesi è precluso l’accesso a diversi siti e risorse online, spesso quello di giornali non filo-governativi. Tramite una serie di leggi sviluppate dal 2010, l’Islanda si è posta l’obiettivo di diventare un porto franco che protegga giornalisti, utenti della rete ed editori di tutto il mondo. Negli USA, Partito Democratico e Partito Repubblicano gestiscono imponenti database contenenti informazioni su decine di milioni di potenziali elettori. 4.I MOVIMENTI SOCIALI Se il potere politico risiede nella capacità di programmare le reti, i movimenti che vogliono contrastare quel potere o agire per il cambiamento sociale devono basare la propria azione sul tentativo di riprogrammare le reti, cioè utilizzarle per comunicare i propri contenuti e i propri valori modificandone lo scopo originario. Questa forma di attivismo, azione connettiva, avrebbe sostituito le classiche forme di azione collettiva. I movimenti sociali sono sempre stati sperimentatori nel campo dell’azione politica tramite i media digitali, come il Movimento Zapatista Messicano, Primavera araba, il No Berlusconi Day. Critici del ruolo dei media digitali riguardo alla partecipazione politica hanno sottolineato che la maggior parte degli utenti della rete si limita a mettere in campo attività di slacktivism (attivismo pigro). Tuttavia in molti casi i media digitali non si rivelano sostituivi di mobilitazioni di piazza ma sono utili per far viaggiare rapidamente informazioni. Rheingold ha chiamato smart mob i gruppi di utenti della rete che coordinano comportamenti collettivi tramite l’uso di dispositivi mobili, mentre Castells li ha definiti comunità insorgenti istantanee. Ricerche empiriche sui movimenti sociali emersi a partire dalle occupazioni di piazza del 2011 hanno contestato l’idea che i movimenti basati sulla rete corrispondano a forme di organizzazione non gerarchiche. Piuttosto si tratterebbe di movimenti che creano nuove forme di potere e metodi decisionali. 5.SORVEGLIANZA E CONTROLLO Le reti sono caratterizzate da uno stato di partecipazione passiva in cui la gran parte delle informazioni prodotte non è nelle mani degli utenti ma viene utilizzata da attori e per scopi al di fuori del loro controllo. Questa forma di partecipazione passiva è creata da due processi distinti ma legati: • La cattura dei dati è un regime di controllo che usa le informazioni estratte dall’analisi dei comportamenti e dalle interazioni in rete per aumentare l’efficienza delle forme di produzione tipiche delle aziende del web. • La sorveglianza è invece un processo di raccolta e analisi dei dati da parte di attori pubblici o privati al fine di controllare il comportamento degli individui. Negli anni 70 Foucault ha descritto la nascita nell’era moderna della società disciplinare caratterizzata dalla pervasività di istituzioni dedicate a osservare il comportamento dei cittadini per normalizzarlo. Deleuze ha proposto che nell’era contemporanea sia avvenuto il passaggio a una società del controllo in cui il potere è esercitato tramite un controllo continuo e istantaneo della popolazione. 6.CULTURA CIVICA E INFORMAZIONE L’emergere di forme di organizzazione politica tramite strumenti e piattaforme online ha fatto parlare della nascita di una nuova cultura civica. Politologi come Putnam sottolineano che il coinvolgimento civico delle popolazioni dei paesi occidentali è in declino da decenni. Le organizzazioni di massa hanno sempre meno partecipanti e sempre meno persone votano alle elezioni. La politica online tenderebbe a produrre una polarizzazione della società. In Usa, per esempio, sono sempre meno gli swing States. La democratizzazione della produzione di informazione non è il fine delle aziende che gestiscono i social media ma piuttosto è una strategia di legittimazione. Cap. 6 Economie digitali e lavoro. 1.I MODELLI ECONOMICI DEL WEB Internet e i media digitali hanno una grande rilevanza economica. Questo mercato sostiene le economie dei paesi produttori di hardware e dei paesi che gestiscono i processi di innovazione. Le innovazioni tecnologiche basate sulla rete hanno introdotto nuove possibilità e nuovi vincoli alle imprese che producono informazione. La coda lunga è il modello su cui si basano giganti come la libreria online Amazon, e si riferisce alla massa di opportunità marginali che con i media digitali diventa possibile gestire. Amazon realizza gran parte dei suoi guadagni vendendo poche copie ciascuno di moltissimi libri che rappresentano la coda del mercato. L’idea dei content provider era quella di far pagare l’accesso ai contenuti online, L’industria discografica ha visto crollare i guadagni ottenuti tramite le vendite di supporti fisici come i CD sotto l’attacco della pirateria o delle piattaforme legali come YouTube. Altri settori come la televisione hanno visto l’emergere di attori di successo come Netflix. Il settore dei videogiochi ha un impatto sull’economia dei media digitali non solo tramite la vendita dei giochi stessi, ma anche per il mercato di hardware, come computer e console. Un altro ramo dell’economia del web è composto dai motori di ricerca. Alla base del funzionamento di google vi è un software chiamato page rank che analizza i link creati dagli utenti per determinare la rilevanza di un sito rispetto ai termini e alle parole chiave cercate dall’utente. I software di Google conoscono i gusti e le caratteristiche dei propri utenti attraverso un’attività di profilazione. 2.PRODUZIONE IMMATERIALE: BRAND E FINANZA Nell’economia dell’informazione questa centralità delle merci materiali è occupata da risorse intangibili. La capacità di produrre beni materiali è molto diffusa e i suoi margini di profitto tendono a contrarsi. Al contrario, le maggiori fonti di valore diventano attività che richiedono competenze di elaborazione dell’informazione che sono meno diffuse. L’innovazione è la capacità di creare continuamente novità sia tecnologiche, sia di design e di stili di consumo. La flessibilità è la capacità di rispondere rapidamente alla domanda di mercato in modo che il numero pressoché esatto di merci necessarie si trovi al posto giusto e al momento giusto. Il brand è la capacità di generare la percezione pubblica di una differenza fra un prodotto e l’altro. L’importanza economica e sociale del brand è cresciuta con la standardizzazione della produzione dato dal processo di industrializzazione.