Scarica Riassunto "Introduzione alla storia greca" e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Lingua Greca solo su Docsity! INTRODUZIONE ALLA STORIA GRECA: CAPITOLO 1: Arcaica, classica, ellenistica. Dare un nome alla storia greca: Divisione storia greca in tre periodi: - ARCAICA (archàion, antico), periodo in cui l’identità greca venne a costuirsi, che va dalla metà del VIII secolo a.C al 479 a.C (anno conclusivo della spedizione di Serse). Altri datano dal 1200 a.C, includendo i 400 anni dell’ “età oscura” che si caratterizza per la frammentazione dei centri del potere micenei e per l’assenza di scrittura. In questa “età oscura”, Ioni, Dori e Eoli, i tre ceppi fondamentali del mondo greco, presero spazio nella penisola balcanica. Scrittura: 770 a.C / Nella seconda metà del VIII secolo polis sono già formate: aumento degli scambi commerciali, effervescenza socio-politico-economica porta a “seconda colonizzazione”: polis sperimentano mutamenti costituzionali e affrontano conflitti interni ed esterni per il controllo della terra. Superamento dei limiti della documentazione frammentaria per gli eventi dalla seconda metà del VI secolo al 479 a.C à racconto continuo delle vicende con Erodoto, pur essendo posteriore. L’ultima fase dell’epoca arcaica si sviluppa attorno a due nodi focali: Ascesa di Sparta e Atene al rango di città più potenti del mondo greco Guerre Persiane, concluse con la vittoria della coalizione greca guidata da Sparta - CLASSICA: Dal 478 a.C al 336 a.C (morte di Filippo II di Macedonia) o, secondo alcuni, al 323 a.C (morte di Alessandro Magno). A fornire un ordine per le vicende classiche del V secolo è Tucidide. È il tempo del conflitto Sparta- Atene: grande focus su Atene, egemone della Lega delioattica, protagonista di guerre ora contro la Persia, ora contro Sparta e la lega peloponnesiaca. Sviluppo della potenza ateniese in un cinquantennio: pentecontetìa, poi guerra Peloponneso, conclusasi nel 404 a.C con la disfatta di Atene. 404 a.C è una cesura per Tucidide: tempo successivo è colmo di disagi, crisi economiche e diffusione della povertà e del mercenariato. La storia politica è fornita da Senofonte, nell’Anabasi e nelle Elleniche. Focus su egemonia solitaria di Sparta. È il tempo che produce la fine delle autonomie delle città greche, dal 386 a.C di nuovo sotto la Persia (pace di Antàlcida), che produce la breve egemonia tebana. La perdita di cronache storiografiche coeve a Filippo e Alessandro è compensata dalla sopravvivenza di racconti continuativi come quello di Diodoro Siculo Divisione politica e particolarismo divengono elementi caratterizzanti nel mondo greco più di quanto lo fossero stati pre 478 a.C. “Classico” è il modello imitato per i suoi pregi: fioriscono arte e letteratura, generando esemplari di perfezione e durevoli modelli di imitazione. L’epoca classica rappresenta l’apogeo del mondo greco: la politica delle egemonie competitive ci appare compensata dalla pienezza dell’armonia culturale e dalla definizione compiuta del cittadino all’interno della polis e dall’affinamento delle sue istituzioni politiche. - ELLENISTICA: Dal 336/323 a.C al 30 a.C, anno dell’acquisizione romana dell’Egitto tolemaico, oppure al 138 d.C, anno della morte di Adriano, imperatore di Roma filoelleno. Ellenismo viene da hellenìzein, “parlare greco”, ad enfatizzare (Droysen denomina il periodo per primo) la diffusione della cultura greca in Oriente, seguita dalla creazione dell’impero universale da parte di Alessandro, con conseguente commistione di elementi greci e non. Caratterizzata dall’ampiezza geografica: dal Mediterraneo all’Indo, perciò inclusivo di molte realtà etniche. NO UNIFORMITA’. Complessità priva di un denominatore comune anche dal punto di vista politico. A generare complessità sono complici anche la perdita di racconti storiografici e il policentrismo politico post-mortem di Alessandro. Dalla seconda metà del III secolo a.C la vicenda dei tre regni principali (Macedonia, Egitto, Siria) si intrecciano con l’ascesa di Roma, da cui vengono, tra il II e il I secolo a.C, assorbiti. CAPITOLO 2: La memoria e la tradizione: Reimpostazione della metodologia della ricerca storica relativa all’arcaismo greco: 1. Memoria e storia: Scopo degli storici greci è scrivere historìe per garantire la memoria delle imprese degli uomini che non meritavano di rimanere aklea, privi di kleos, fama. Tendenza a monumentalizzare la memoria di eventi mitici. Solo con ricerca positivista dell’Ottocento c’è spaccatura storia- memoria: la seconda viene relegata ai margini della prima perché ascientifica. *resto del capitolo non fatto* CAPITOLO 3: Erodoto, Tucidide e colleghi. Gli storici greci e il passato: Spesso allo scrupolo primario di preservare si associava quello di accertare à operazione complessa che esigeva attento vaglio delle informazioni disponibili: concetto di ponos, fatica. Storici greci ricordati come syngraphéis, “scrittori”, e quindi storiografi, poiché basavano attività su inchiesta, racconto e scrittura: presupponeva un intellettuale autonomo, autore di un’indagine; l’adozione consapevole di un preciso metodo di ricerca. Tuttavia, di questa storiografia sopravvive poco: Erodoto, Tucidide, Senofonte e Polibio. à Selezione è quantitativa, non qualitativa: scomparsa di opere è frutto di fattori occasionali. 1. Lo storico greco e il passato: la sua opera, il suo metodo: Radici della storiografia greca affondano nell’epica, ma l’inizio putativo si registra solo nel VI-V secolo a.C con Ecateo di Mileto nelle perdute Genealogiche. Egli trasformazione che è caratterizzato anche dalla mobilità di diversi gruppi umani non provvisti di una precisa identità etnica. Già prima dell’anno Mille, nell’Egeo ripresero diversi movimenti migratori a piccoli gruppi che implicavano forme di scambio culturale. Tale prospettiva – processuale e non essenzialista – favorisce anche una migliore comprensione dei meccanismi che regolano la formazione delle diverse comunità etniche della Grecia metropolitana. Distinzione è esito di spostamenti e scambi molto intensi. *Tra gli aspetti cruciali dei primi secoli del I millennio ci sono i centri santuariali come luoghi privilegiati della formazione dei Greci: qui avvengono gli scambi che contribuiscono alla formazione dei gruppi regionali, sorgono nuove strutture e vengono introdotte nuove pratiche, rendendo visibile la profonda interconnessione con il Mediterraneo. * 4. La Polis entra in scena: Tutta una serie di sviluppi tipici del “Rinascimento greco” va retrodatata dall’VIII al IX secolo a.C. A lungo apparsi come “rottura storica”, tali sviluppi rivelano in realtà “radici lunghe”. à viene meno concomitanza rinascimento greco/nascita della polis, e quindi la possibilità di vedere in quest’ultima il fattore scatenante dello sviluppo. La polis si inserisce in un contesto di vari processi differenti: - La formazione degli insediamenti di tipo “urbano” - La costituzione delle varie categorie di unità statali del mondo greco - La configurazione della polis come forma particolare di comunità politica. In questo senso, la polis risulta essere l’esito di più processi come la territorializzazione, ovvero la definizione dei limiti spaziali della comunità; l’integrazione tra nucleo insediativo centrale e territorio agricolo circostante; la strutturazione della comunità politica dei cittadini, con le istituzioni funzionali alla gestione della decisionalità comune, e la configurazione di una coesione comunitaria e di un’identità civico-politica formale. Ognuna di questi processi andò configurandosi nel tempo, in forme differenti e con modalità diversificate da polis a polis: impossibile guardare alla “nascita della polis” come ad un processo unitario à vicenda lunga e plurisecolare. La polis fu un processo che finì per trasformare le collettività locali in comunità provviste di identità e capacità di decisione collettiva, attraverso tre dinamiche cruciali: - La definizione dei limiti del gruppo, ovvero dell’appartenenza di individui e gruppi alla collettività - La progressiva istituzionalizzazione della vita pubblica - Il controllo della conflittualità interna e la normazione della vita collettiva. Se si ammette pure che le varie poleis arcaiche siano state precedute da comunità di tipo omerico, tuttavia l’iniziale configurazione delle cerchie civiche non riprodusse quella che appare la onnicomprensività della comunità omerica. In realtà, la polis più arcaica conosce fenomeni di rigida delimitazione della propria compagine. In certi casi essa appare nelle mani di gruppi elitari molto ristretti, come Corinto, altrove sembra aver configurato una dimensione comunitaria, o ancora in alcuni casi – come a Sparta – presuppone una comunità configurata come sodalizio esclusivo di cittadini- guerrieri, privilegiati rispetto tanto ai liberi, che non partecipano alla sfera politica, quanto allo strato servile cui è demandata la produzione agricola. Connesse alla definizione della comunità politica sono i processi di istituzionalizzazione della polis. In sostanza, il consiglio e l’assemblea si definiscono come organismi formali, con competenze definite, attivi con regolarità e idonei ad indirizzare l’agire collettivo. Contestualmente, le magistrature vanno configurandosi come dei ruoli formali, non personali. 5. La stratificazione della società: Stratificazione della società ebbe un carattere processuale à gli equilibri socio-politici del mondo greco non si costituirono a partire dall’affiancamento dal predominio di un’aristocrazia preesistente. Lo status sociale è conseguenza dell’agire individuale e perciò non si trasmette automaticamente alle generazioni successive. Non risulta definito uno stile di vita proprio di un’élite esclusiva e distinta rispetto al resto della società. Questo quadro socio-culturale si lascia spiegare solo ammettendo che la tradizione epica abbia le sue radici in una società caratterizzata da una notevole fluidità e intercambiabilità delle posizioni di potere. La società arcaica non ricevette in eredità dal mondo omerico un’aristocrazia. Ricevette la cultura e i valori simbolici di un individualismo competitivo, esposto a grandi successi e a grandi scacchi, che aveva bisogno di un contesto sociale e politico che riconoscesse la preminenza e se ne lasciasse guidare. CAPITOLO 5: Le dinamiche della mobilità: 1. La colonizzazione: Le origini della cosiddetta colonizzazione greca in Occidente vanno ricondotte alla mobilità mediterranea dell’inizio del I millennio. Dopo la fine delle civiltà palaziali, nel X e IX secolo la mobilità marina si estese. Nel VIII secolo a quei circuiti mediterranei si legarono fenomeni di spostamento e insediamento, le cosiddette colonizzazioni, in Fenicia e in Grecia. X-VIII secolo à forte dinamismo euboico egeo (apertura a culture diverse, multilinguismo, lavorazione metalli, uso precoce scrittura nella vita sociale). Con la seconda metà del VIII secolo vennero fondate le corinzie Corcìra e Siracusa, le euboniche Nasso, Lentini. Ad iniziare il movimento coloniale furono due tra gli ambienti più ricchi e avanzati: l’Eubea da un lato e Corinto dall’altro. 2. Mercenariato, commercio internazionale, insediamento: Parte integrante della mobilità tra Mediterraneo, Egitto e Vicino Oriente. La sua origine è collegata all’ambiente di naviganti, pirati e mercanti euboici e ionici che si muovevano tra il Mar Egeo, la Cilicia e le coste siro-fenice e palestinesi e che combattevano contro Assiri, Siriani e Fenici. Il caso cruciale di un massiccio impiego a fini militari di cospicue risorse umane fuori dal mondo ellenico si colloca intorno alla metà del VII secolo: mercenari e pirati greci che aiutarono il faraone egiziano Psammètico I. Siamo di fronte a forme di mobilità multifunzionali, disponibili a esperienze stanziali. La vicenda del mercenariato greco ebbe una sua continuità nel tempo: tutta una serie di aspetti invita a considerare il fenomeno del mercenariato una delle forme più significative della mobilità e della ridislocazione delle risorse umane su scala mediterranea in età arcaica, in quanto tale non separabile dalla circolazione dei flussi coloniali e dalle motivazioni che ne erano alle spalle, Un aspetto significativo delle reti di movimenti e relazioni tra Oriente e Occidente nel VI secolo è costituito dal commercio ionico nel Tirreno. Empòria: spazi riservati allo scambio, dove spesso confluivano correnti commerciali provenienti da diversi ambienti, greci e non. à spiega il carattere composito del commercio ionico. Appare evidente una certa indistinzione, o sovrapponibilità, di azioni di stampo personale, fatti coloniali a più ampia valenza comunitaria e iniziative commerciali. CAPITOLO 6: Le élite arcaiche: Elite, non aristocrazia/nobili à termine più neutro e più appropriato. 1. Vecchio modello dell’aristocrazia gentilizia: Gli studiosi hanno basato lo status aristocratico su tre elementi principali: il potere, la nascita e la ricchezza. Tuttavia, questi tre elementi di definizione dell’aristocrazia, hanno subito negli ultimi decenni profondi riadattamenti. - Il potere politico: Aristocrazia come regime politico legato alla vita delle città arcaiche è una concezione che ha origine in Erodoto, Tucidide, Aristotele à 6 possibili forme di governo, 3 base e 3 generazioni, che si susseguono in maniera ciclica: ai re succedono le aristocrazie in seguito ad un atto rivoluzionario; dunque, una volta che i governanti iniziano, inebriati dal potere, a pensare solo ai loro interessi, sopraggiunge un tiranno che apre la strada alla democrazia. Ma re, tiranni e oligarchi non sono che designazioni teoriche a posteriori, che non corrispondevano ad alcuna particolare posizione istituzionale. (Tiranni ad esempio erano i basilèus, sacerdoti). - Una nobiltà di stirpe: In greco, la parola “aristocrazia” non si è mai riferita a nulla di più di una costituzione, senza alcuna associazione a individui particolari. Nella storiografia si è trasformata in un ordine sociale basato sulla nascita. à struttura portante delle élite regnanti delle città arcaiche era il ghénos, definito come un insieme di famiglie nobili, struttura immutabile che si è poi rivelata una costruzione artificiale: nella Grecia antica non esisteva una struttura familiare più grande dell’oikos. No aristocrazia chiusa e immutabile di nobili, ma spazio aperto di competizione tra tutti coloro che miravano ai vertici della società. Esempio è il termine Eupàtridi, che territoriale, nonché l’ossatura della cittadinanza dello Stato, poiché ogni cittadino, in quanto iscritto in un demo, aveva i medesimi diritti e doveri di fronte allo stato. Avevano uno spiccato carattere comunitario più che spaziale. Il sistema trasformava le unità abitative naturali, villaggi e abitati, in strutture della polis provviste di una cruciale funzione politico-istituzionale. L’istituzionalizzazione dei demi significò la creazione di un’embrionale struttura di autogoverno a livello locale, che si intrecciò con la riorganizzazione del corpo civico e insieme con il nuovo Consiglio dei Cinquecento. Il modo più ovvio di ripartire i demi era assegnare a ogni tribù quelli appartenenti a una certa area dell’Attica, ottenendo così tribù territoriali in senso stretto. Identificate tre aree dell’Attica, una costiera (la paralìa), una comprendente Atene e il luogo circostante (l’asty) e una comprendente le aree interne (mesogeios), vennero create 30 unità dette trittie, a ognuna delle quali venne attribuito un certo numero di demi. A ognuna delle tribù vennero assegnate tre trìttie diverse, in modo che ad ogni tribù appartenessero cittadini residenti in zone differenti. Ogni tribù forniva 50 consiglieri, ogni demo contribuiva con un certo numero di demòti: c’era un rapporto tra numero di consiglieri e numero di cittadini dei demi. Clistene non ricopriva una carica pubblica: le “leggi” di Clistene furono approvate dall’ekklesìa di Atene, probabilmente quando fu arconte Isagora, nel 508/7. L’insediamento del Consiglio dei Cinquecento coincise con l’anno dell’introduzione del solenne giuramento buleutico, nel 501. La corrispondenza tra cittadinanza della polis e inserimento nei registri dei demi realizzava integrazione dei centri locali nel quadro della comunità civica. Tutta l’Attica diveniva la polis degli ateniesi ed era coinvolta nel quadro politico- istituzionale: partecipazione, integrazione e consolidamento della comunità politico- statale procedevano di pari passo, e Atene cresceva in potenza. CAPITOLO 8: La terra, il lavoro: 1. Un mondo di agricoltori: La terra era alla base dell’economia delle città: i Greci hanno sempre tentato di ottimizzare le scarse risorse a disposizione praticando uno sfruttamento intensivo delle terre (scelta delle colture, terrazzamenti, alternanza). Circa i quattro quinti della popolazione praticava l’agricoltura: nella riforma di Solone di inizio VI secolo a.C, la suddivisione in gruppi sociali era definita in base alla capacità di produrre una certa quantità di frutti della terra, spesso utilizzata anche per la coltivazione volta al commercio e all’esportazione. Ricca è la documentazione sull’economia della terra e sulle modalità di sfruttamento del suolo. 2. Terra pubblica, terra della divinità, terra privata: Comunità cittadine disponevano di un territorio distinguibile per tre tipologie: pubblico, di proprietà della polis o delle sue suddivisioni; le terre delle divinità; le terre private. Distinzione si trova già nella Politica di Aristotele, nel descrivere la costituzione del legislatore Ippodamo di Mileto. - Le terre pubbliche: Ciascuna polis esercitava la sua autorità in modo diverso sulle tre tipologie di terre: demanio pubblico era formato da terreni indivisi e non assegnati, dunque incolti e spesso posti in zone di confine. Dal demanio pubblico venivano ricavati lotti da destinare a individui che avevano compiuto opere meritorie per la pòlis o a nuovi cittadini che vi si erano integrati. - Le terre delle divinità: Terreni associati a un santuario, la cui gestione non è dissimile da quelli pubblici. I proventi erano volti a finanziare lavori di ristrutturazione dei santuari o a nuove costruzioni e feste religiose. Talvolta sottoposti a controlli per verificare che, in seguito a periodici stati di abbandono, non fossero illegalmente coltivati da privati. Situazioni di questo genere da un lato generavano anche aspri conflitti (Terza e Quarta guerra sacra), dall’altro richiedevano un lavoro costante da parte degli hieromnàmones, magistrati del santuario delfico. - Le terre dei privati: I terreni dei privati ricoprivano la parte più estesa della chora della pòlis. La procedura dell’assegnazione dei kleroi è ben esemplificata nei casi di primo insediamento in un territorio à grande documentazione (Erodoto, libro IV). Il rapporto tra diritto di cittadinanza e possesso della terra rimane una costante delle realtà insediative greche. L’accesso al lotto di terra è considerato un requisito imprescindibile per la partecipazione politica già nella riflessione filosofica antica. La terra non era necessariamente prerogativa dei cittadini: accadeva spesso che privati cittadini alienassero le loro proprietà agrarie per le necessità più varie à la terra poteva essere acquisita da chiunque avesse i mezzi per farlo. In casi eccezionali, la polis poteva decidere di attuare dei programmi di redistribuzione agraria. 3. Terra e lavoro: Proprietà fondiaria = base della vita economica dell’individuo nella polis. à spesso distribuita in modo diseguale. Nell’Atene soloniana di inizio VI secolo a.C, la divaricazione tra ricchi possidenti e piccoli agricoltori aveva generato una categoria particolare di lavoratori: gli hektèmoroi (“quelli della sesta parte”) à piccoli proprietari terrieri il cui lotto di terra era insufficiente alla sopravvivenza. à impiegati come braccianti dai ricchi possidenti dell’Attica in cambio di un sesto del raccolto. Il lavoro sulle terre dei privati prevedeva la collaborazione tra proprietario, uno o più dipendenti salariati (teti) e un certo numero di schiavi. Nonostante il ricorso frequente a personale salariato, la schiavitù agraria era piuttosto diffusa nel mondo rurale. Le origini di questi soggetti in alcuni casi derivavano da un inasprimento delle condizioni del lavoro dipendente e da un conseguente stato di necessità, più frequentemente era spesso condizionata dalla conquista di nuovi territori e l’assoggettamento della popolazione che vi risiedeva. Sfruttamento della terra da parte dei proprietari dei fondi agricoli aveva come obiettivo primario la lotta contro le carestie, per garantire la sussistenza ai nuclei familiari coinvolti nell’attività agraria. I mezzi per ottimizzare le risorse disponibili consistevano nella diversificazione delle colture, nella divisione efficace dei compiti tra i lavoratori della terra (da cui l’utilizzo del maggese, che consentiva di alternare il pascolo alle colture, e di impiegare la forza lavoro nel dissodamento e nell’aratura del terreno). CAPITOLO 9: Diritto e società: 1. Società, statuti giuridici e funzione economica: Nel VII libro della Politica, Aristotele sostiene che, al fine di definire quale debba essere la popolazione della città ideale, non è sufficiente considerare il numero degli abitanti da solo, ma su quello dei suoi membri (+ schiavi, meticci, stranieri). à Gruppi caratterizzati da statuti differenti: i cittadini (politai), i soli abilitati – seppur con criteri differenti nelle diverse città – alla partecipazione politica, con le loro famiglie, e quindi gli stranieri residenti (meteci), e gli schiavi. Bisognerebbe poi affiancare ulteriori condizioni giuridiche che si vengono a collocare lungo un continuum. I fattori di natura giuridica sono decisivi e hanno un peso superiore rispetto a quelli economici. 2. Essere partecipi della comunità: la polis e i cittadini: L’emergere dell’idea di cittadinanza, politeia, fu il risultato di un processo parallelo a quello del loro definirsi comunità “politiche”. Il criterio fondamentale per l’appartenenza alla comunità politica era costituito dalla discendenza: ad Atene dopo la legge periclea del 451/50, così come a Sparta, si era politai a pieno titolo in quanto figli legittimi e riconosciuti, attraverso un lungo processo di integrazione, di padre e madre di condizione cittadina. Il criterio della residenza non era quindi considerato valido. Lo Status di cittadino dava accesso, almeno sul piano teorico, alla partecipazione all’assemblea, ai tribunali della città e alla tutela giudiziaria, alle magistrature e, in generale, alla vita istituzionale della polis, ritenuta una proprietà esclusiva dei cittadini. No “club chiuso” perché “gruppo di interesse”: i cittadini avevano il privilegio di essere gli unici a poter detenere la proprietà della terra. Il fatto che la terra fosse prerogativa dei cittadini aveva conseguenze anche sul piano dei rapporti economici perché gli stranieri, se anche residenti e impegnati in attività bancarie e finanziarie, non potevano erogare ai cittadini prestiti garantiti da beni immobili, da cui non avrebbero mai potuto venire in possesso. 3. Stranieri e meteci Lo xenos non godeva di tutela giuridica nella polis à realtà caratterizzata da grande mobilità. Per far fronte alla situazione, vennero introdotti diversi strumenti quali i legami di ospitalità (xenia), la prossenia , con cui una città attribuiva formalmente ad un individuo di un’altra polis il compito di curare gli interessi dei suoi cittadini all’interno di quella città, e gli accordi interstatali bilaterali che regolavano il diritto di rappresaglia (syle), secondo cui chi avesse subito un danno economico da parte di riserve finanziarie fecero ricadere sempre più sulle spalle dei privati il costo del conflitto. - Voci di spesa: Esigenze vita comunitaria à ad Atene ha ruolo fondamentale il funzionamento delle istituzioni democratiche à mithòs, indennità destinata ai cittadini volontari sorteggiati per sedere come giudici nei tribunali popolari. Alle spese per le indennità si aggiungeva quella per gli schiavi di proprietà della città, che svolgevano funzioni più varie, e quella rappresentata dalle spese per la celebrazione dei festival religiosi, particolarmente numerosi ad Atene. - Guerra e pace: Spese militari erano quelle maggiormente dispendiose: mantenimento della flotta e soldo per gli equipaggi era molto oneroso. In caso di campagne prolungate i costi si facevano molto più onerosi. Nel IV secolo, la dissoluzione dell’impero compromise il perseguimento di una politica di egemonia: dopo la sconfitta nella guerra degli alleati (357-355), ad Atene si afferma una tendenza al disimpegno in politica estera. 4. Le Attività economiche: l’agricoltura: La popolazione dell’attica raggiunse il suo massimo picco alla fine del V secolo, a cui si aggiungevano un elevato numero di meteci, attratti dalle opportunità di guadagno offerte dal settore artigianale, e di schiavi, impiegati nei lavori domestici e in ogni settore della vita economica. Chi era impegnato nell’artigianato, e i meteci, che non potevano possedere della terra, non producevano direttamente ciò di cui necessitavano à scambi commerciali hanno un ruolo fondamentale. Il rapporto con il mercato fu quindi fondamentale per determinare le caratteristiche dell’agricoltura attica di età classica: contando su esso, la maggior parte degli agricoltori poteva destinare alla vendita una parte della propria produzione, procurandosi il denaro per ciò che non poteva produrre. Gli Ateniesi, grazie alla supremazia navale e alla centralità del Pireo nei traffici egei, erano in grado di importare da altre aree del Mediterraneo il grano e gli altri prodotti senza i quali non si sarebbe potuto provvedere al sostentamento. Gestione dell’oîkos, (casa, beni, famiglia), affidata a uno schiavo intendente, necessitava di grande rigore nel tenere la contabilità à oikonomia, intesa come scienza mirante all’accrescimento dell’oikos del capofamiglia, il kyrios. In Attica, la proprietà terriera non era concentrata nelle mani di pochi, ma era diffusa: la maggior parte degli opliti possedevano appezzamenti di circa cinque ettari, lavorati dal capofamiglia e da un paio di schiavi. Le grandi proprietà erano spesso frazionate in lotti diversi, sparsi nel territorio attico, non solo in conseguenza di spartizioni ereditarie, ma anche per una precisa strategia: minimizzare i rischi legati alle intemperie, che spinse gli agricoltori a diversificare la produzione. L’intenso sfruttamento della terra a fini agricoli lasciava meno spazio all’allevamento, non praticato in forma estensiva, ma come integrazione. Clima semiarido à bestiame minuto (ovini e caprini), che pascolavano le terre marginali, solitamente di proprietà demaniale e lasciate allo sfruttamento comune. Il consumo di carni animali era limitato a occasioni particolari, al contrario del pesce che veniva consumato abitualmente e pescato da pescatori professionisti. 5. Le attività economiche: l’artigianato: Nel V secolo, circa un quarto dei cittadini praticavano mestieri non agricoli. à Testimonianze letterarie ed epigrafiche rivelano l’esistenza di una grande varietà di occupazioni specializzate (circa 170 mestieri). Impulso notevole proviene da industria navale. La maggior parte degli artigiani risultano essere meteci, benché spesso dietro al nome di un meteco potesse celarsi un cittadino ateniese che aveva affidato la gestione dell’attività ad altri. 6. Le attività economiche: gli scambi commerciali: Anche se la pratica delle attività commerciali era nelle mani dei privati – dai bottegai, i kàpeloi, che animavano il mercato interno, ai grandi mercanti, gli émporoi, che si occupavano di commercio internazionale. Creazione dell’agorà, spazio tutelato dalla legge per mettere in comunicazione venditori e compratori. L’uso della moneta coniata, la cui bontà era garantita dall’autorità cittadine, serviva a facilitare gli scambi e ad assicurarne l’equità à circolava presso tutti gli strati sociali e attraverso il mercato si redistribuiva capillarmente su tutto il territorio. Molti cittadini abbienti contribuivano al commercio internazionale attraverso il prestito marittimo, ovvero finanziando i viaggi dei mercanti con propri capitali. à investimenti rischiosi dati i imprevisti. CAPITOLO 11: SOCIETÀ ED ECONOMIA NEL REGNO DEI TOLOMEI: Quando, alla morte di Alessandro Magno (323 a.C), Tolomeo divenne governatore d’Egitto, il paese era sotto il dominio dei Macedoni da 9 anni. Da quel momento, l’Egitto divenne non solo una parte del mondo greco, ma una regione proiettata verso il Mediterraneo. à Egitto grandi ricchezze, Tolomeo diventa uno dei più forti e temuti successori di Alessandro. Grande estensione territoriale sotto il suo regno, che consentiva non solo di disporre di grandi risorse economiche, ma anche della capacità di controllarne lo sfruttamento e la diffusione commerciale. à Esiste documentazione, di natura pubblica e privata, capillare e abbondante datata all’epoca ellenistica. 1. Una società composita: identità etniche variabili: Dopo le conquiste di Alessandro, le nuove realtà politiche che si formarono, si caratterizzarono per una popolazione molto diversificata: accanto agli indigeni egiziani, vi erano gruppi di origine diversa, provenienti da tutto il bacino del Mediterraneo. Il veicolo più comune di immissione per questi nuovi abitanti fu l’esercito, anche se presto i militari vennero affiancati da Greci che cercavano fortuna nei nuovi regni. Fondate nuove città (Alessandria/Tolemaide), con struttura istituzionale greca: una vera polis. Popolazione a maggioranza greca à abitanti originari esclusi dalla vita pubblica, riservata ai greci. Altro modo di integrazione era rappresentato da matrimoni misti: uomini greci con donne egiziane. La coesistenza di una cultura meno rigida nei confronti delle donne e più pragmatica di fronte alle esigenze di tipo economico, portò ad una trasformazione delle strutture familiari, meno “ingessate” di quelle della Grecia classica. Istruzione diventò un modo per tenere separati i Greci da chi non lo fosse. à Ellenizzazione nuova, che attraverso contatti con le altre “province del regno”, diede origine ad una grecità non meno “greca”, ma piuttosto rinforzata dall’esigenza di restare distinta dalla cultura egiziana, pur dovendo quotidianamente dialogare con essa. 2. L’articolazione della società: Popolazione libera identificata attraverso uno status, corrispondente all’attività principale svolta, e un’origine. Popolazione dell’Egitto oggetto di un attento controllo per le tasse à fondamentale avere un quadro sempre ben aggiornato delle disponibilità di forza-lavoro e di contribuenti. Un aspetto peculiare del regno tolemaico è rappresentato dalla scarsissima presenza di schiavi, sebbene i Tolomei controllassero i principali centri di mercato di schiavi. Mai usati a scopo economico, ma quasi solo in ambito domestico. 3. La ricchezza economica: Terra considerata di proprietà del re, in ragione del diritto di conquista e sulla scia della concezione faraonica e accentratrice della monarchia in Egitto. Il re poteva intervenire con confische o espropriazioni, ma soltanto entro i limiti di alcune norme simili a quelle che si applicavano nelle pòleis. La fertilità dell’Egitto ne fece la “terra del grano” e dei cereali, grazie al suo clima e al suolo concimato annualmente dal limo lasciato dalla piena del Nilo. Lo sfruttamento di questa piena, attraverso lavori di canalizzazione e dighe, garantiva un’abbondante disponibilità. 4. I monopoli: Con l’eccezione dei cereali, il resto dei prodotti era sottoposto al monopolio dello stato, secondo il sistema già collaudato in Grecia. à prestabilito il prezzo di commercializzazione e l’estensione di terreno che doveva essere seminata. La commercializzazione era poi affidata ad appaltatori. Per sostenere un impegno organizzativo di tale portata era di conseguenza indispensabile disporre di un’amministrazione efficiente, ragionevolmente onesta e capace di adeguarsi ai cambiamenti che venivano richiesti da Alessandria. CAPITOLO 12: IL POTERE: 1. I tiranni greci: Tuttavia, anche nella condanna dei regimi tirannici, le fonti, anche quelle arcaiche, presentano spesso obtorto collo il tiranno come portatore di giustizia: primitiva e brutale, ma che si riconosce esser stata provocata dagli eccessi sregolati dei cittadini. à Tiranni arcaici ascesi al potere sfruttando – in modo eversivo e conflittuale – la medesima richiesta di giustizia che in altri casi risultò nomina di un legislatore, nell’ambito di una mentalità politica più incline ad accettare le forme di potere individuale non ben definite – caratteristica che si ritrova nella Grecia arcaica e non più in quella classica. Le condizioni di partenza che avevano facilitato la denominazione di un cittadino a tiranno non paiono chiare nelle fonti rimaste (probabilmente lo erano all’epoca): l’accumulo di ricchezze o di prestigio tramite comandi militari o la raccolta di milizie private. 5. La pratica del potere tirannico: luci e ombre: La chiara rottura rappresentata dall’ascesa al potere del tiranno non sembra aver avuto conseguenze di tipo costituzionale: la tirannide esisteva in parallelo alle istituzioni politiche delle poleis, il tiranno avrebbe solo controllato e manipolato i processi di selezione delle magistrature, assicurandosi che toccassero a individui di sua fiducia. Ai tiranni sono in genere associate fasi particolarmente aggressive ed espansive delle loro polis: le iniziative militari sono associate al reclutamento di mercenari; la sfera egemonica di queste tirannidi comportava il dominio indiretto su altre poleis. Le poleis sottoposte erano sfruttate in termini economici. La tirannide non moriva di morte naturale: i tentativi di rovesciarla, tipicamente ad opera delle élite cittadine esiliate ed espropriate dai tiranni, non sempre ebbero successo (Pisistrato e gli esuli ateniesi sconfitti a Lipsidrio), tuttavia, la cacciata o l’uccisione del tiranno era la conclusione naturale di questa esperienza politica. CAPITOLO 13: LA DEMOCRAZIA: 1. Il nome e la cosa: «Modalità di potere collettivo, assetto in cui a essere investito della massima autorità è un corpo sociale, non le istituzioni, e a rigore, almeno nel V secolo, nemmeno la legge». Tutte le vicende ateniesi dalla fine della tirannide di Ippia a Efiàlte, e tra queste in particolare le guerre persiane, furono tali da incentivare la consapevolezza della possibilità di azione che si aprivano all’insieme dei cittadini: al demos. Svolta nella cultura politica, che in età arcaica aveva espresso le nozioni di “buon ordine” (eunomìa) e di “parità politica” (isonomia). Entrambe non mettevano in gioco l’idea della manipolazione o trasformazione della vita associata à no concettualizzazione di una nozione di potere politico, né configurazione di un regime politico inteso come una forma astratta delle relazioni di potere che poteva concretizzarsi all’interno di una comunità politica. NOMOS (Isonomìa) vs KRATOS (Demokratìa) Democrazia e potere che compete al demo, come corpo civico e dunque come polis. Essa non risale a Clistene. Il nome di persona Demokràtes è attestato fuori di Atene già nella seconda metà del VI secolo, quando di democrazia non poteva esservi traccia. Vi sono tuttavia tracce di una cultura civico-politica imperniata sul tema della natura e dell’efficacia del potere del demo che si trovano già nelle Supplici, di Eschilo. Polis à funzione comunitaria, non conosce autorità pubblica sovrapposta alla collettività. Hansen, il miglior conoscitore della democrazia ateniese oggi, ha condiviso l’idea che per riconoscere un regime democratico, anche arcaico, basterebbe o l’uso del termine demokratìa da parte di un qualsiasi autore antico, o il coinvolgimento del demos nella vita politica. Tuttavia, per nessuna delle due presunte democrazie arcaiche la documentazione fornisce elementi sufficienti, e anche quando vi sono iscrizioni che suggeriscono un ruolo rilevante della cittadinanza, siamo di fronte alla costruzione di una comunità dei cittadini e di una funzionalità comunitaria, non di un governo del popolo. Approcci differenti insistono sulla svolta impressa da Efiàlte e Pericle come momento di affermazione della demokratìa. à VI secolo il demo sarebbe stato disponibile a sollevarsi contro gli assetti di potere tradizionali, conferendo il potere a un legislatore, quindi a un tiranno. La democrazia del V secolo avrebbe le sue radici in questo. Alla fine del VI secolo le poleis adottano assetti politici di tipo isonomico: parità politica tra cittadini. Di essi, il meno restrittivo fu quello di Clisetene. Tuttavia, la documentazione non autorizza ad ammettere una spinta dal basso, nell’età arcaica, alla partecipazione politica. La vicenda di Clistene ad Atene mostra che in momenti particolarmente gravi, la disponibilità di individualità d’élite a promuovere la rifondazione dell’ordine collettivo si sia accompagnata a una capacità di mobilitare strati sociali più larghi. Soprattutto, la democrazia intesa come modalità di potere collettivo fondata sulla piena integrazione politica dei ceti minuti e nullatenenti presuppone almeno due profonde svolte di ordine socio-politico: una rottura strutturale dell’ordine sociale bloccato delle comunità aristocratico-oligarchiche, e la formazione di assetti comunitari in cui più ampie cerchie di liberi fossero integrate politicamente. No sviluppo graduale verso l’uguaglianza politica, ma crollo degli assetti arcaici e costruzione di nuovi equilibri civici. 2. Clistene e la democrazia: No inizio della democrazia ateniese con Solone: mito del padre legislatore presuppone che la polis in quanto comunità politica dei cittadini abbia di per sé natura democratica. Solone, abolendo la servitù rurale e la schiavitù per debiti, riorganizzando il corpo civico e le modalità di accesso alle cariche pubbliche, fu il vero fondatore della comunità politica ateniese. Ma non della democrazia, spesso confusa con un corpo politico che si autogoverna. Su Clistene il discorso è complicato e bisognerebbe distinguere - Riorganizzazione della polis e del suo corpo civico - Fondazione della democrazia Con Clistene la comunità politica ateniese ha conosciuto un profondo rinnovamento: la ripartizione dei cittadini nelle nuove dieci tribù (phylài) organizzava una polis nella quale erano parte integrante i liberi di tutta l’Attica. L’istituzionalizzazione dei villaggi nella regione come strutture di autogoverno a livello locale (i demi) chiamava i cittadini residenti nei demi (demòti) a decidere sugli affari comuni nella locale Assemblea. La distribuzione dei demòti faceva in modo che ognuna di esse si trovasse a comprendere cittadini provenienti da ogni parte dell’intera regione. à Veniva configurata per la prima volta nella storia ateniese una comunità politica a base regionale. Tuttavia, non vi è alcun segno di un’attiva presenza civica dei ceti non proprietari o nullatenenti, né di un loro coinvolgimento istituzionale: non cariche istituzionali per i teti, dunque, dubbia la partecipazione alla selezione dei membri del Consiglio dei Cinquecento, scarsa la partecipazione all’Assemblea di quanti risiedevano lontani da Atene. L’assemblea non era l’istanza istituzionale cui competeva un potere superiore a quello di altre istanze: il demos nella sua interezza non ancora era giunto a determinare le scelte politiche ed esercitare il controllo sugli affari collettivi. Invece l’Areòpago e gli arconti avevano un peso negli equilibri politici interni che rimase maggiore di quello dell’Assemblea per almeno 20anni. Anche la libertà politica conquistata con la fine della tirannide tendeva ad assumere i tratti della isonomìa, ovvero di un’ideale parità politica all’interno delle cerchie dirigenti che ha radici nella cultura delle aristocrazie ostili alla tirannide. Per i protagonisti dell’abolizione della democrazia nel 411, l’ordine politico clistenico non era “popolare” (demotikòs), ma affine a quello soloniano. Lo strumentale richiamo a una democrazia ancestrale in cui Clistene si era posto sulla scia di Solone risultava utile a mettere da parte la democrazia postpericlea, e a limitare pesantemente il numero di cittadini. È comunque innegabile che Clistene pose alcune premesse di assoluto rilievo: la pratica della deliberazione comune, le procedure partecipative, la presenza politica dei cittadini all’interno del Consiglio dei Cinquecento. 3. La rivoluzione ateniese Ad avere aspetti rivoluzionari fu il periodo successivo a quello di Clistene, con la comparsa sulla scena politica di Efiàlte nei tardi anni Sessanta. La collettività aveva iniziato ad esprimersi con forza, e dovettero attivarsi forti esigenze di una ridefinizione dell’ordine politico. Leggi di Efiàlte minarono i poteri all’Areòpago, venne ostracizzato Cimone e Atene ruppe con Sparta e si alleò con Argo. à Stasis alle porte. Vennero ridistribuiti i poteri dell’Areòpago: al Consiglio dei Cinquecento sarebbe toccato esaminare gli arconti in procinto di entrare in carica e di prendere in esame le denunce presentate da un cittadino contro un magistrato uscito di carica. L’Assemblea avrebbe dovuto scrutinare l’operato degli strateghi ed esercitare un potere giurisdizionale nel caso che essi fossero riconosciuti colpevoli. à accresciuti i poteri giudiziari dei cittadini. Originariamente antimacedone, sino alle rivolte civili di Sparta: timorosi di rivolte sociali peloponnesiache innescate dagli eventi a Sparta, si avvicinano agli Achei in chiave antispartana. Gli scontri con Cleòmene, re spartano, e contro gli Etòli, provocano lo scioglimento della Lega, cui segue una ricostituzione e alcune riforme militari e finanziarie. à Quadri istituzionali differenti tra 280-217 da quelli segnati dalle due riforme successive: o Prima del 255 à Un segretario e due strateghi, che diventano uno solo a partire dal 255. à Ekklesìa è l’assemblea dei cittadini, coadiuvata e preparata da un consiglio, la boulé. o Dopo il 217 à Organo più importante è il consiglio, che sembra aver assunto anche le funzioni dell’assemblea oltre che funzioni giudiziarie. Relativamente alle finanze federali, non ci sono documentazioni riguardanti forme di tassazione diretta, mentre vengono citati dei pagamenti a carattere straordinario, gli eisphoraì. C’è quindi un’articolazione e un esercizio su base locale di competenze che sono pur sempre federali. - La lega etolica: La natura del koinon etolico parte dal IV secolo ed è diversa rispetto alla comunità etnica precedente. Originariamente divisa in tre sottotribù, lo stato federale degli Etòli defunzionalizza le sottotribù e dota di una funzione amministrativa inedita le sottunità. A livello istituzionale, sul piano della politicizzazione, poche fonti. La prima attestazione di una magistratura risale alla fine del IV secolo: i bularchi (che sembrano presupporre l’esistenza di un consiglio, la boulé). Non sono, però, rqappresentanti delle comunità locali all’interno degli organi centrali, bensì figure nominate a livello centrale aventi diverse funzioni. I consiglieri della boulé di III e II secolo, i bouleutaì vengono eletti nelle comunità d’origine secondo quote proporzionali prestabilite su base demografica, che determinano anche gli oneri fiscali. CAPITOLO 15: RE, REGINE, DINASTIE: LA MONARCHIA ELLENISTICA: L’esperienza politica inizia con sei re alla fine del IV secolo a.C. 1. La vittoria militare: Alla morte di Alessandro il Grande, i suoi successori, i Diadochi, gestirono con difficoltà il complesso e vario impero. Essi rivendicarono le proprie vittorie militari come forme di legittimazione a regnare. La dorìktetos chòra, la “terra ottenuta con la lancia”. Il carisma militare nella creazione della monarchia ellenistica fu parte integrante di un dialogo aperto e immediato fondato sul do ut des tra sovrano e abitanti della basìleia. La vocazione militare della monarchia ellenistica era dunque elemento formale e strutturale: non solo giustificava l’autorità che il sovrano esercitava poiché conseguente a una conquista, ma la legittimava nel lungo termine poiché garanzia di protezione e salvezza. 2. Gli affari dello Stato: Se, però, il carisma militare fu uno dei comuni denominatori del fenomeno, non fu l’unico né esaustivo dell’articolazione storica della basilèia. Motivo evidente è la sua instabilità nel lungo periodo, in contrasto con la longevità di molti sovrani e delle loro dinastie. La fondazione delle colonie e di vere e proprie città è la manifestazione più evidente del coinvolgimento dei sovrani ellenistici negli affari economici, amministrativi e giuridici del proprio territorio. L’interazione tra Re e istituzioni locali era un processo collaborativo tra tutti gli attori del regno, frutto di una costante attività di contrattazione tra le componenti sociali e politiche, nel tentativo di rafforzare la struttura monarchica e rispondere alle istanze di gruppi etnici, religiosi e comunità civiche. Le istituzioni locali si impegnavano all’adempimento di oneri fiscali e militari, integravano le leggi del sovrano negli statuti e adeguavano le proprie legislazioni alle direttive reali. Le istituzioni greche, sia poleis che stati federali, avevano già avuto esperienze di interazione col re, come i sovrani persiani o istituzioni egemoniche sovrapoleiche, come l’impero ateniese à Iniziarono a trovare soluzioni autonome per integrare il sovrano ellenistico nelle proprie realtà. Si formò quindi geografia variopinta e complessa: ogni realtà locale godeva di uno status giuridico-amministrativo differente e determinato non solo dalla propria natura istituzionale ed etico-culturale, ma dalle proprie peculiari relazioni con i sovrani. La collaborazione tra le componenti del regno aveva una duplice funzione: la realtà locale diventava parte della basilèia, ma questa a sua volta assorbiva forme della prima. 3. La diplomazia: Anche politiche matrimoniali furono elemento caratterizzante dei regni ellenistici, fondamentale elemento di politica estera. CAPITOLO 16: SPARTA NEL PELOPONNESO: 1. L’espansione arcaica: Nel V secolo la maggioranza degli abitanti del Peloponneso riconosceva l’egemonia esercitata da Sparta – per quanto distribuita in una moltitudine di comunità politiche -. Sparta emerse all’inizio del I millennio come il principale centro dell’area sud- orientale del Peloponneso, la Laconia, dove aveva già avuto sede nella tarda età del bronzo un regno miceneo. Secondo la tradizione, sovrano di questo regno era stato, al tempo della guerra di Troia, Menelao; in seguito, i Dori, abbandonate le loro sedi originarie nella Grecia centrale, erano scesi nel Peloponneso sotto la guida degli Eraclidi, i discendenti di Eracle, e avevano occupato la Laconia. Attraverso questo racconto tradizionale gli Spartani di età storica rivendicavano di essere Dori e consideravano l’arrivo dei Dori come il vero atto di fondazione della propria città. Dopo l’avanzata verso occidente, in Messenia, la conquista permise loro di controllare tutto il Peloponneso meridionale e determinò le condizioni socio- economiche che consentirono a Sparta di esercitare un ruolo egemonico nel Peloponneso. Alla vittoria, infatti, fece seguito la distribuzione delle terre conquistate tra quanti avevano partecipato alla guerra e si venne a formare il corpo cittadino, il dàmos spartano. Le loro terre erano coltivate da un’ampia massa di servi. I cittadini erano detti Spartiati, ma è frequente anche Lacedemoni. Gli abitanti delle comunità situate ai margini delle terre possedute dagli Spartiati o lungo le coste erano noti come perieci, ed erano uomini liberi, ma le loro comunità non si erano sviluppate nelle forme delle poleis autonome, perché precocemente assorbite nell’orbita di influenza spartana. Non essendo cittadini di Sparta, i perieci erano esclusi dalla partecipazione alla vita politica della città e nondimeno vi era, tra gli spartiati e i perieci, una relazione molto stretta, di natura culturale e identitaria, che ne spiega la duratura fedeltà: in quanto Lacedemoni, essi combattevano in battaglia accanto agli Spartiati e riconoscevano il re di Sparta come il proprio Re. 2. La lega del Peloponneso La politica espansionistica Spartana di età arcaica non si limitò alla Messenia: nella prima metà del VI secolo gli Spartani rivolsero le loro attenzioni verso l’area centrale del Peloponneso, con l’intenzione di annettere l’Arcadia. La vittoria su Tègea, però, non comportò l’asservimento dei suoi abitanti né si accompagnò alla spartizione del territorio conquistato: i cittadini spartani si limitarono ad includere Tègea, in qualità di alleata, nella sua sfera di influenza: questo episodio segnò, alla metà del VI secolo, l’inizio di un sistema di alleanze, che già in epoca antica veniva definito “I Lacedemoni e gli alleati”, a sottolineare il rapporto di forze asimmetrico tra la città egemone e le altre: la Lega del Peloponneso. Dopo le città arcadi, la Lega attrasse nella sua orbita le città del Peloponneso Nord- Orientale, ad eccezione di Argo. à Trattati bilaterali tra Sparta e le singole città alleate: gli alleati erano tenuti ad avere “gli stessi amici e gli stessi nemici degli Spartani”. Argo à Contrasta egemonia spartana. I primi conflitti appartengono al VII secolo; nel 494, nella battaglia di Sèpeia, benché il re spartano Cleomene avesse rinunciato alla conquista di Argo, essa si trovò però, di fatto, accerchiata da Sparta e dai suoi alleati. In più occasioni Sparta intervenne insieme ai suoi alleati negli affari di altre città, spesso allo scopo di abbatterne i regimi tirannici: spedizione fallimentare contro Policrate di Samo, la cacciata dei Pisistratidi da Atene nel 511/10. La coalizione ellenica formata per respingere l’attacco dei Persiani nel 480 riconobbe il ruolo egemonico di Sparta: era essenzialmente una lega del Peloponneso allargata agli ateniesi. 3. Idealizzazione di Sparta e trasformazioni di VI secolo: In questo contesto, la Lega del Peloponneso cessò di esistere. Successivamente aumentò l’isolamento della città, dimostrato dalla mancata adesione alla Lega di Corinto, strumento con cui Filippo il Macedone nel 337 unì i Greci sotto la sua egemonia, con l’intento di attaccare i Persiani. Ad un Peloponneso incentrato su Sparta se ne sostituisce uno multipolare, instabile e costretto a confrontarsi con la presenza invasiva dei re macedoni. Durante il III secolo, il vuoto di potere lasciato da Sparta fu parzialmente riempito dalla Lega achea. CAPITOLO 17: La macedonia da Filippo II ai Romani: 1. Da terra di conquista a potenza mondiale: Rapidissima ascesa della Macedonia nei decenni centrali del IV secolo a.C ha diverse motivazioni: i meriti di Filippo II e Alessandro, le risorse naturali e geografiche del paese (ricca di foreste e dunque di legno), e le prime conquiste verso est, che portarono i filoni auriferi e argentiferi della Tracia. Con Filippo II la Macedonia riesce ad ampliare i propri confini, acquisendo il controllo delle risorse contese e capovolgendo i rapporti di forza con le potenze greche. Nel 348, il regno acquisisce altre aree ricche di risorse naturali e Filippo pone fine alla dipendenza dalla Macedonia per lo smercio delle sue risorse dai porti del koinòn e contemporaneamente si inserisce nei conflitti tra le poleis greche, abilmente coinvolte nel progetto di conquista dell’impero persiano. 2. Ai margini dell’hellenikòn Macedonia rimane per i Greci del Sud e per gli Ateniesi una regione di barbari à pregiudizi ed eco della propaganda di Demostene hanno aiutato a costruire immagine di terra “ellenizzata”. Nelle parole di Erodoto, la “grecità”, la “comunanza di sangue” era, in concreto, la discendenza dei popoli greci da un progenitore comune (Elleno). I pregiudizi che portavano a respingere la Macedonia ai margini dell’hellenikòn vanno spiegati, oltre che con la distanza fisica dai luoghi simbolici della grecità, anche con una cultura politica avvertita dai “greci delle città” come differente: la Macedonia appare come uno stato in cui il re decide tutto da solo. In età ellenistica, in campo politico-diplomatico, la differenza si attenuò: diversamente dalla Lega di Corinto, la “lega ellenica” di Antigono Dosòne e Filippo V, nel III secolo, non era cosa distinta dai Macedoni, ma li includeva. Ma nessun sovrano pretese mai di imporre il proprio titolo ad una città greca: re dei macedoni si, dei Greci no à Al massimo venivano definiti col titolo di heghemòn. 3. Stato territoriale e guerra permanente. Il re, l’éthnos, le città: La “Macedonia” corrisponde quindi alla terra conquistata e distribuita a coloni che prestano servizio nella falange. Il termine Makedònes fa riferimento agli abitanti di nuove poleis o colonie militari à ogni nuovo territorio conquistato significava nuovi makedònes arruolabili e nuove terre da assegnare. Meccanismo di conquista che si autoalimenta. I Makedònes, quindi, sono una categoria giuridica definita dal servizio militare e dai privilegi che ne derivano. In ampie aree del paese caratterizzate da scarso sviluppo degli insediamenti urbani, l’identità delle popolazioni è quella “etnica” di Makedònes, ma in tutto il resto del paese l’identità di un individuo è duplice: include anche il livello di cittadino. 4. Dall’impero mondiale al sistema degli stati ellenistici in conflitto: Partendo alla conquista dell’Asia, Alessandro aveva affidato l’”Europa” al governo di un generale (strategòs), Antìpatro. Nonostante le insofferenze europee e gli occasionali tentativi di rivolta dei Greci del sud, il quadrante europeo rimane stabile sotto la guida di Antìpatro. Le due “Macedonie”, quella in viaggio alla conquista del mondo e quella stanziale, mantenevano tra loro una regolare comunicazione. I testi epigrafici confermano che il re continuava a trattare in prima persona affari minuti del suo regno lontano. Nonostante la competizione con altri regni ellenistici per l’influenza della Grecia continentale, la Makedonia non cambia volto mai in modo sostanziale: geograficamente, corrisponde al regno esteso dalle conquiste di Filippo II. 5. La Macedonia e Roma: uno scontro alla pari? In “Europa” i romani si erano affacciati per la prima volta con le guerre illiriche (230- 33 a.C). Per le poleis greche, il grande scontro tra Roma e Annibale prefigurava «l’addensarsi di nubi da occidente» (Polibio). Dopo la vittoria di Lucio Emilio Paolo a Pidna nel 168 à riduzione della Macedonia e della Grecia in province: proprio la vittoria sul regno macedone aveva reso incontestabile il dominio mondiale di Roma à ciò comporta che gli storici greci e romani abbiano inteso la grandezza macedone come il frutto effimero di una stagione eccezionale. 6. Dimenticare i re: la Macedonia sotto i romani: Dopo la conquista della Macedonia da parte dei romani, iniziò un’era nuova, l’era provinciale, di grande efficacia simbolica. Inizialmente, i saccheggi romani contribuirono a un impoverimento complessivo del paese, e bisognerà aspettare la metà del I secolo a.C, con l’esodo di molti romani verso la provincia di Macedonia, per trovare una vera e propria inversione di tendenza. La memoria del passato macedone non fu sradicata: Alessandro rimase per secoli oggetto di culto e devozione, le cui espressioni vennero incoraggiate e ben accettate dai romani. CAPITOLO 18: L’ASIA MINORE ELLENISTICA: 1. Asìa, Asia Minore e l’alta età ellenistica: Periodo: Imprese di Alessandro. L’Asia che ne costituisce l’oggetto non è l’Asìa che il re macedone conquistò e che già Erodoto identificava con il luogo del dominio persiano abitato dai barbari, comprendente la penisola anatolica, la Siria, e l’Egitto. In questo capitolo solo spazio sud-occidentale dell’Asia attuale, la cosiddetta «Asia minore». In età ellenistica à i confini naturali del territorio spesso ricorrono nelle fonti che fanno riferimento al succedersi dei poteri in un’area che, dopo la conquista di Alessandro, divenne centrale, sia geograficamente che politicamente, rispetto agli equilibri del Mediterraneo. Il mondo asiatico in cui entrò Alessandro nel 334 a.C, con la Battaglia di Granico, era una realtà variegata. Lontano dalla costa, l’interno della penisola aveva subìto in modo disomogeneo l’influenza greca sia nell’area pontica (Bitinia), sia a Sud. L’arrivo di Alessandro in Asia Minore innescò una serie cospicua di rivolgimenti politici: dopo la sua morte, si affermarono, da un lato, i nuovi poteri dei successori macedoni in lotta per il controllo delle aree occidentali e meridionali dell’area, dall’altro, i regni indigeni parzialmente ellenizzati di Bitinia e Cappadocia. Nel tempo che sta tra la dissoluzione di un impero universale fondato sulle satrapìe, quello Persiano (334a.C), e l’avvio del sistema provinciale di Roma (129 a.C), l’Asia minore vide il succedersi di poteri instabili e non duraturi. 2. Città e insediamenti dell’Asia Minore: Ambienti assai differenti: zona mediterranea costiera vs zona interna continentale dominata da un altopiano. à Elevato numero di insediamenti in età ellenistica. - Mileto vs Pidasa: o Mileto: Antica città ionica in posizione strategica sul golfo a ovest del monte Latmo, caratterizzata dalla propensione ad estendere il proprio territorio inglobando insediamenti vicini. Insediamento fiorente e ragguardevole per dimensioni già in età classica à oggetto di attenzioni e cure da parte dei successori di Alessandro e dei sovrani ellenistici. o Pidasa: La sua storia in età ellenistica à solo poche testimonianze epigrafiche. Membro della lega navale ateniese, fu sottoposta al satrapo Asandro dopo la morte di Alessandro. Il suo potere si esercitava localmente tramite funzionari, ma la presenza del satrapo era istituzionalmente sancita dalla menzione del suo nome nelle formule di datazione dei documenti ufficiali. à Nel 322/321 e il 313 à sympolitéia, fusione tra Pidasa e Latmo à alcuni decenni più tardi, inglobata da Mileto. In modo esemplare, la storia di Mileto e Pidasa richiama una caratteristica tipica dell’Asia Minore alto-ellenistica: la persistente lotta delle città piccole che aspirano all’ autàrcheia – insieme autosufficienza economica e indipendenza politica – e delle città medio-grandi che rincorrono l’egemonia in una continua tensione strutturale che caratterizza l’evolversi delle poleis ellenistiche. Contemporaneamente, Pidasa rappresenta al meglio un’altra realtà tipica dell’epoca: è una delle molte città modeste, insignificanti nel quadro della grande storia, che la documentazione epigrafica contribuisce a svelare. Al di là dell’aspetto letterario, la conoscenza del greco a vari livelli gode di una certa diffusione in quanto lingua dell’amministrazione delle varie dinastie che esercitano il loro potere in quest’area geografica. Le lingue locali non scompaiono, ma risultano più o meno visibili a seconda delle circostanze: in Mesopotamia, ad esempio, l’uso dell’Accadico e dell’aramaico è preponderante rispetto al Greco. Nell’India nord-occidentale i sovrani greci adottano una monetazione bilingue caratterizzata da una leggenda in greco al dritto e la sua traduzione in pracrito al rovescio. Il prestigio culturale del greco e la permanenza di comunità ellenofone nella regione iraniana, ad esempio, ha fatto sì che la lingua e la scrittura battriana abbiano conosciuto una lunga fase di evoluzione prima id potersi imporre come nuovo mezzo di comunicazione dell’amministrazione. 4. La religione: Nell’Oriente ellenistico assistiamo a un diffuso fenomeno di sincretismo di elementi greci e locali à variegate forme di culto. Forti di una tradizione millenaria, i culti locali mantengono la loro vitalità e ottengono il supporto delle dinastie regnanti, che utilizzano la religione per legittimare il proprio potere e ottenere il consenso delle popolazioni autoctone. PARTE SECONDA: CAPITOLO 20: ALLE ORIGINI: 1. Potere debole e processi di formazione: l’età proto-geometrica: Civiltà “palaziale” dell’età del Bronzo (civiltà micenea), dominò la Grecia e Creta, scomparendo tra il 1200 e il 1050 a.C. La grecità del I millennio fu diversa da quella dei precedenti: no poteri centrali, monarchici o palaziali, ad amministrare società ed economia. La civiltà greca è novità del I millennio à no eredità storica, né ci furono decisivi apporti esterni (Dori, Ioni e Eoli). Tra II e I millennio à svariati spostamenti di gruppi umani verso le coste dell’Asia Minore e verso la Tessaglia, la Beozia e il Peloponneso. Gradualmente si delinearono le premesse della polis e delle altre comunità politiche: crescita demografica, incremento del numero degli insediamenti e loro crescente organizzazione, complessità della vita sociale. Formazione della civiltà greca à inizia nell’era “protogeometrica” (1050/900) e procedette lungo il corso dell’età “geometrica” (900-700 a.C). Formazione della civiltà greca nasce dalla crisi del modello di sovranità sostenuto dal potere religioso nel II millennio: proprio dall’assenza di istanze di potere politico o religioso derivò questo processo à le “monarchie” precedenti la polis erano deboli e instabili. Non era possibile l’aggregazione della società intorno a un’autorità religiosa, e non vi erano le condizioni ambientali o forze esterne che spingessero a una concentrazione del potere. Così si delinea contesto in cui collocare due caratteristiche cruciali della civiltà greca: dimensione personale, comunitaria e partecipativa delle comunità politiche e il fatto che la religione fosse parte della vita collettiva e non strumento di dominio sociale. X secolo à incremento popolazione, trasformazioni religiose ed economiche. L’età proto-geometrica vede l’insediamento di Sparta in Laconia, area della civiltà palaziale micenea che dal XIII secolo conobbe una crisi demografica. à da ipotizzare infiltrazione di elementi infiltratisi da nord-ovest, ma non l’arrivo di un popolo (Dori) portatore di istituzioni, costumi, lingua e religione preesistente. Anche la formazione di un’identità politica occupò due o tre secoli. Verso la fine del VIII secolo, Sparta era in grado di espandersi verso la Messenia: ciò costituì la vera premessa storica e strutturale del suo sviluppo. Atene invece non era una novità proto-geometrica come Sparta: aveva origini micenee. Nel X secolo era l’unico insediamento di rilievo in tutta l’Attica, benché le fonti suggeriscano che sia esistita un’unità culturale tra Atene e il resto della regione. à Con la seconda metà del secolo, processo di popolamento dell’Attica. La forma di insediamento sembra essere quello di piccoli nuclei abitativi sconnessi tra loro, disposti intorno all’Acropoli. 2. Mobilità mediterranea (IX – VII secolo): Tra i processi formativi del mondo ellenico, alla base c’è l’insediamento nelle aree costiere dell’Asia minore di gruppi umani di svariate provenienze. No colonizzazione: non vi era in Grecia alcuna entità politica in grado di inviare colonie. In alcuni insediamenti già micenei, non si registra una netta interruzione; “nuove fondazioni” sono pochissime. Nel X secolo prese avvio una vicenda che disegnò il quadro delle aree e delle poleis d’Asia Minore che sarebbero diventate “eoliche”, “doriche” e “ioniche”. La cosiddetta “seconda colonizzazione” (VIII-VI secolo a.C) fu aperta dall’insediamento di Pitecusa, sull’isola di Ischia. La mobilità umana acquistava consistenza numerica e complessità e nascevano comunità radicate in uno spazio, composte da membri titolari di un lotto di terreno, avviate ad acquisire un’identità e dimensioni civico-politiche: le apoikìai , termine che significa “insediamenti lontani”. Le apoikìai erano autonome e indipendenti dalla metropoli à no imperi coloniali né competizioni per il predominio politico o commerciale sulle colonie di un’altra potenza, sebbene esistano altri “scenari” che il lessico coloniale tende a suggerire: i disegni coloniali delle metropoli, o la sistematica aggressività contro gli “indigeni” installati nelle terre “conquistate”. 3. Oriente e Grecia: la “rivoluzione orientalizzante”: Nel contesto di profonde interazioni tra Grecia e oriente, gli aspetti culturali ne furono parte integrante. I greci impararono la scrittura alfabetica dai Fenici. È necessario presupporre un contesto locale “cosmopolita” e multilingue in cui circolavano la tecnica scrittoria e le modalità del suo insegnamento. Incerta rimangono la data e il luogo di creazione dell’alfabeto greco. à inventato non per mettere per iscritto la poesia epica, ma come strumento semplice, idoneo a potenziare la comunicazione. (tecnica scrittoria non fu mai confinata a un gruppo sociale o a scribi professionisti. Anche altre sfere sociali e culturali furono interessate da influenze orientali: quella dell’economia, militare, delle “relazioni interstatali”. Lo stile di vita stesso delle élite greche è segnato da influenze orientali. E lo stesso vale per l’ambito religioso: dai miti delle origini del cosmo, all’immagine delle figure divine. 4. Comunità politiche: la polis, l’ethnos: Polis: termine antico, di origine indoeuropea. Letteralmente “borgo fortificato”, in età classica ha due significati prevalenti: centro abitato ed entità politica, tra loro intrecciati. Ne derivano due conseguenze fondamentali: - La polis si configura come un’organizzazione politica, non un semplice abitato: “gli uomini sono la polis” - Il territorio era parte integrante della polis come entità politica. In essa la “città” non è uno spazio politico separato dalla “campagna”, e la cittadinanza prescinde dal luogo di residenza. Spiccato carattere di gruppo, concettualizzato dai Greci come una “comunità”, una koinonìa, gruppo in cui tutti condividevano qualcosa. à Spesso designate da un etnico, ovvero il nome collettivo dei cittadini che le abitavano. Più che “città-stato”, vere e proprie “comunità politiche di cittadini”. Caratteristica significativa è la piccola dimensione territoriale e demografica, benché risulti difficile stimarla con precisione. Il grande sviluppo che segna le origini della storia greca è sicuramente la formazione della polis. NO accettare visione della “nascita” come rivoluzionario sviluppo che poneva fine a “secoli bui” NO accettare visione di “nascita” perché non si tratta di un evento collocato in un momento preciso. Oggi si ritiene la polis il frutto di un insieme di differenti processi che occuparono almeno tre secoli: dal IX secolo al VII. Tra questi processi, ruolo fondamentale è la formazione di una comunità provvista di un’identità capace di azione collettiva. L’istituzionalizzazione, a partire dalla “polis omerica”: non consiste di agglomerati privi di coesione: nell’Iliade e nell’Odissea si riflettono immagini di una polis che ha la forma di una comunità di vita sociale e religiosa regolata. Tuttavia, questa polis è diversa da quella arcaico-classica: - Abitato, non unità di città e campagne. - NO entità politico-statale, né sono definiti i suoi limiti come gruppo: non è chiaro chi vi appartenga, con quale status e con quale ruolo. Fu necessario tempo perché le poleis consolidassero la vita comunitaria nel sito centrale, e poi si dessero strutture istituzionali per gestire gli affari della collettività, compresa l’amministrazione della giustizia. Le poleis svilupparono una struttura istituzionale che aveva fondamentalmente elementi in comune: un’assemblea, un organo consiliare ristretto e dei titolari di cariche pubbliche. - L’assemblea raccoglieva il corpo civico, vale a dire i cittadini maschi adulti, si riuniva periodicamente, in genere una volta al mese, in uno spazio stabilito, e una quarta. à No politica “anti-dorica”, ma intercvento sulle articolazioni interne della comunità. 3. La città e la legge: Seconda metà VII à prime iscrizioni pubbliche di carattere legale: non riguardano la definizione del reato, quanto la procedura da seguire per perseguirlo. Introdotte le prime norme sulle cariche pubbliche: da un lato venivano fornite ai magistrati della comunità le possibilità di regolare aspetti della vita collettiva che era diventato difficile gestire nel quadro delle pratiche consuetudinarie, dall’altro venivano affrontati i problemi legati alla distribuzione del potere tra e individualità minenti che accedevano alle cariche. L’esercizio delle funzioni pubbliche nelle poleis più arcaiche rappresentava di fatto una forma di predominio sulla comunità da parte delle élite: differenziazione delle magistrature da un lato rispondeva ad esigenze di gesione, dall’altro soddisfava le ambizioni dei potenti della comunità à obiettivo era trovare equilibrio tra i titolari delle funzioni pubbliche, al fine di evitare forme di monopolio. Tra VII e VI secolo à Diffusione dell’intervento finalizzato alla redazione e pubblicazione di insiemi di leggi da parte di individualità investite di poteri speciali: i legislatori . La prima legislazione è attribuita a Zaleuco di Locri, 662 a.C. Più certe à Atene con Draconte e Solone. Draconte diede ad Atene le prime leggi scritte (621/620). Importanti le norme sull’omicidio, la cui punizione era sottratta dall’arbitrio dei parenti della vittima, ma introdusse differenziazione tra premeditazione, e non premeditazione e azione giustificata. A Solone, eletto Arconte nel 594/593, legiferazione per la città: a lui risale insieme di leggi che spaziavano dal penale al politico al diritto familiare. Altre disposizioni riguardavano morale pubblica, diritto agrario e commerciale, materie d’ordine sacrale. Interventi Solone contribuirono a trasformare Atene da società tradizionale e comunità politica con struttura istituzionale. Il punto essenziale, è che il ricorso ai legislatori si colloca in un contesto di profonde tensioni interne alle poleis , di contese inter-elitarie e di ambizioni personali al dominio sulla comunità à contributo per definizione di un sistema di regole pubbliche. CAPITOLO 22: IL MONDO GRECO DEL VI SECOLO: 1. L’età di Solone: All’inizio del VI secolo à Atene vede crescere tensioni interne à portano a poteri speciali nel 594/593 (Solone Arconte con pieni poteri). In quel tempo, Atene in preda all’avidità e alla violenza prevaricatrice dei potenti: ordine civico non valesse né per i “valentuomini” (agathòi) né per “le persone dappoco” (kakòi). Sullo sfondo vi erano serie difficoltà socioeconomiche, che riguardavano soprattutto gli ettèmori, coltivatori di terra altrui, formalmente di condizione libera, ma soggetti a pesanti obbligazioni nei confronti dei possessori del fondo; vi erano poi quei debitori che avevano posto a garanzia del prestito la propria èpersona e venivano ridotti in schiavitù se insolventi; in fondo alla scala sociale dei liberi vi era la manodopera agricola giornaliera e stagionale. Dipendenza e asservimento degli strati inferiori rischiavano di mettere la comunità dei liberi nelle mani dei magnati. à Solone abolì la schiavitù per debiti: non migliora la loro condizione, ma rimangono liberi e non esclusi dalla comunità civica in quanto schiavi. Divisione della società in quatttro classi censitarie (pentacosiomedìmni, cavalieri, zeugìti, teti), basate su produzione annua di orzo. L’accesso alle magistrature veniva regolato in rapporto a queste classi censitarie: all’arcontato e alla massima carica finanziaria ebbero accesso solo i pentacosiomedìmni. NO passaggio da stato aristocratico fondato su prestigio a stato timocratico- censitario fondato su ricchezza. Evidente tentativo di stabilizzazione attraverso misure che potenziavano la funzionalità e la coesione rispecchia insomma un’esigenza di costruzione della comunità politica. à Interrompe trasformazione ateniese in una società di servi rurali oppressi e di grandi signori. 2. In Grecia centrale: la prima guerra sacra: NO. 3. L’ascesa di Sparta: VI secolo à Sparta allarga influenza in Arcadia e verso Argo. A cavallo del 700 a.C fu occupato il principale insediamento messenico; poi iniziò un lungo periodo di conflittualità e di estensione del controllo spartano. 561/560: Pisisteato acquisì controllo della città: “prima tirannide”, finita in poco perché la fazione di Licurgo lo allontanò. Sparta iniziò a premere contro la polis di Tegea, in Arcadia meridionale à entrò solo nella sfera di influenza, non asservita. Nel corso del VI secolo: Lega peloponnesiaca, sistema di città alleate. Sparta stava, da un lato, contenendo eventuali proiezioni verso sud di Argo, dall’altro cercava di assicurarsi una via che potesse condurre l’esercito spartano nel Peloponneso settentrionale, senza passare dal territorio argivo. Sparta NON prepara conquista del Peloponneso, ma elabora un’ideologia dell’egemonia e una strategia di acquisizione di un ruolo leader in politica estera. Il nome originale era “i Lacedemoni e i loro alleati”: rete di alleanze bilaterali tra Sparta e una serie di città non alleate tra loro à ognuna di esse riconosceva l’egemonia spartana. 4. La tirannide di Pisistrato: Post-Solone à istituzioni erano debole. à Poteri locali di natura familiare o personale. A Pisistrato facevano capo gli ambienti dell’Attica nord-orientale. Nel 561/560 Pisistrato acquisì il controllo della città. Allontanato e ritornato diverse volte, intorno al 550 abbandona la città e raccoglie ricchezze e soldati in diversi ambienti, per poi rientrare, nel 546/545 con la forza ad Atene. NO potere dispotico, NO stravolgimenti delle istituzioni. à No contrasti con le grandi personalità d’élite. à Politica di centralizzazione della polis , investimenti sul prestigio culturale di Atene . Viene costruita una politica estera all’insegna di una rete di relazioni e alleanze. Alla morte di Pisistrato, il potere passò ai figli (Ippia e Ipparco), che ne continuarono la politica. Quando Ipparco venne ucciso, Ippia si inasprì e il meglio delle élite ateniesi andò in esilio (Clistene tra tutti) à 510, Cleòmene assedia Ippia sull’acropoli, finché il tiranno non accettò di evacuare la città. 5. Policrate di Samo: Contemporanea all’ultima tirannide di Pisistrato, negli anni ’40 del secolo, quella di Ligdami a Nasso e di Policrate, a Samo. à cooperazione tra tiranni diventa il modo per emergere nella competizione interelitaria cittadina e sulla scena internazionale. Sotto Policrate, grande fioritura culturale ed economica di Samo, punto di incontro di poeti, artisti e architetti. Venne costruita una gigantesca flotta navale, e attraverso razzie, commerci e spedizioni militari acquisì grandi risorse in uno spazio che andava dall’Egeo al Mediterraneo orientale e all’Egitto. Alla fine degli anni trenta, i suoi rapporti con le élite si deteriorarono: gli insorti chiesero aiuto a Sparta, che nel 525 intervenne con il sostegno di Corinto. Policrate riuscì a farcela,ma qualche anno dopo venne ucciso da un satrapo persiano e Samo dovette soggiacere al controllo Persiano. 6. Clistene ad Atene: Quando Ippia fuggì à Atene nel caos. Istituzioni non riuscivano a svolgere un ruolo significativo. Scoppia la lotta civile, che vede contrapposte due personalità di altissimo rango: Isagora, in stretti rapporti col re spartano, e Clistene, nipote di Clistene di Sicione, perfetto esponente delle élite internazionali di più elevata condizione. Isagora – pur di assicurarsi il potere – era pronto a fare di Atene un protettorato spartano. Clistene intuì la necessità di far uscire dal vicolo cieco delle lotte intestine le diverse fazioni: - 508/507: Isagora sembra prevalere e fu eletto Arconte, ma Clistene reagì, promuovendo un rimaneggiamento dell’organizzazione civica: creazione di dieci nuove tribù e la distribuzione tra esse dei demi. Isagora fece ricorso a Cleomene e si impadronì del potere; ma il Consiglio oppose resistenza e gli Ateniesi si sollevarono, costringendo Isagora e Cleomene alla resa à rientro di Clistene. Grandi innovazioni legislative: 10 tribù, con ciascuna un capo (filarco). Tra le tribù vennero distribuiti i demi. Le unità abitative esistenti nella regione venivano trasformate in strutture civiche su base associativa, e assumevano fondamentali funzioni politico-istituzionali: comunità che si autogovernavano, con un’assemblea che prendeva decisioni e delle cariche pubbliche. Tribù erano aggregati di cittadini appartenenti ai demi: questi ultimi NON erano dei “distretti territoriali” delle tribù. Il sistema dei demi funzionava sulla loro Versi la metà del VII secolo, i Medi e i Babilonesi si collegarono tra loro e nel 612 una grande operazione militare congiunta abbatté l’impero assiro. La Media lasciò in eredità ai Persiani la titolatura regale e aspetti dell’amministrazione, fornì membri eminenti della società e la sua capitale divenne una delle residenze dei re persiani. In Erodoto i Persiani entrano in scena solo con la vittoria di Ciro il Grande sui Medi, benché nelle fonti essi figurino già precedentemente: anch’essi iranici, erano un insieme di “stirpi” che nel tardo II millennio si erano insediate sull’area centrale dell’altopiano. NON C’È ANCORA identità culturale che avrebbe molti secoli dopo connotato l’impero persiano ed è incline a intendere l’origine dei Persiani in termini di una “etnogenesi” stimolata da intensi processi di contatto e scambio culturali. L’organizzazione politica persiana è il risultato di secoli di stretti contatti personali e culturali, con la sofisticata civiltà elamita; la sua lingua e il suo patrimonio di esperienze politiche e amministrative. I Persiani si definirono gradualmente in questo contesto, e il rapporto coi Medi fu successivo, anche se favorito dalle origini iraniche di entrambi i gruppi. I re persiani si ritenevano tutti Achemènidi, discendenti di Achèmene. Il potenziale militare e la complessità organizzativa raggiunta dal regno persiano di Ciro post metà VI secolo era notevole à Acquisizione del controllo sulla Media à 546 soggiogata la Lidia à 539 soggiogata Babilonia. Il figlio di Ciro, Cambise II, estese l’impero fino all’Egitto e alla Libria, e Dario I all’Asia centrale sino all’Indo. Dopo la morte di Cambise à crisi dinastica, ma Dario assume l’assoluto controllo dell’impero. L’ascesa al trono di Dario assunse caratteristiche particolari, ma in linea col principio di successione ereditario e spettante al figlio maggiore maschio del re. Dario si impegnò a consolidare e allargare i confini dell’impero, tanto a occidente (Macedonia, Tracia, Egitto), quanto ad oriente. Egli è noto per aver rinnovato l’organizzzione amministrativa e burocratica e per la creazione di varie infrastrutture. Nello specifico, creò il sistema delle grandi unità in cui si articolava l’impero, che i Persiani chiamavano “paesi”, i Greci “satrapìe”. Nel corso del regno di Dario scoppiò la “rivolta ionica”: sollevazione delle città greche d’Asia Minore che condusse alla prima guerra persiana. 2. Dalla rivolta ionica (499-494) a Maratona: la Prima guerra persiana: All’epoca dello scoppio della rivolta dei Greci d’Asia Minore, le città della Ionia erano governate da tiranni nominati dal satrapo i Sardi. Secondo Erodoto, al tiranno di Mileto, Aristagora, andrebbe imputato l’antefatto della rivolta: nel tentativo di guadagnare maggiore considerazione presso il Gran Re, Aristagora, istigato da Istieo, suocero e predecessore, nel 500 aveva promosso la conquista dell’isola cicladica di Nasso, in cui era in corso una stasis interna alla locale élite. Il re decise di allestire una grande flotta. La spedizione iniziale fallì, dopo un inutile assedio di Nasso, e, nel 499, Aristagora, temendo di cadere in disgrazia presso Dario, decise di incitare Ionia a ribellarsi, ottenendo l’adesione di molte città. Aristagora, conscio dell’inferiorità delle forze dei ribelli rispetto a quelle persiane, cercò rinforzi in Grecia continentale: chiese aiuto a Sparta, che per conto di Cleomene rifiutò, e ad Atene, la quale accettò e inviò 20 navi. L’opera di Erodoto echeggia la memoria orale dei vinti, quanto l’immagine degli Ioni costruita dai vincitori delle Guerre persiane, gli Ateniesi. Si riflette in lui la crisi di identità degli sconfitti e la svalutazione del loro ruolo che entrò a far parte della loro memoria collettiva, ma vi si intreccia una rappresentazione della mollezza ionica che molto doveva alla Atene che trionfava sulla Persia dall’epoca delle Guerre persiane a quella del suo dominio imperiale sull’Egeo in età periclea. Nel 498 Ioni, Ateniesi e Eretriesi riuscirono a raggiungere e incendiare Sardi; la rivolta si allargò: altre regioni dell’Asia Minore si unirono temporaneamente ai ribelli. Ben presto, tuttavia, la guerra volse a favore dei Persiani. I Persiani non solo presero a riorganizzare il loro controllo dell’Asia Minore, ma allargarono all’Egeo il raggio della loro presenza. Prima guerra persiana --> Erodoto la definisce archè kakon, “l’inizio dei mali”: dall’intervento ateniese in Asia Minore scaturì una catena di eventi nefasti, sino alla Guerra del Peloponneso (431-404). Nel 492/491 Dario inviò dei messi a chiedere ai greci di fare un formale atto di sottomissione: molte città accettarono, con l’eccezione di Atene e Sparta, in entrambe le quali gli ambasciatori persiani vennero uccisi. Dario ordinò allora una spedizione militare per l’anno successivo. La campagna, svoltasi nel 490 a.C, comandata da Dati e Artaferne (il figlio del satrapo di Sardi con lo stesso nome), vide la flotta attraversare il basso Egeo e conquistare le isole Cicladi (Nasso fu presa e bruciata nel 499 a.C). Raggiunta l’Eubea, l’esercito sbarcò a Eretria, che fu assediata, conquistata e rasa al suolo. L’esercito persiano si volse all’Attica e sbarcò nei pressi di Maratona. A guidare i persiani, secondo Erodoto, era stato Ippia, figlio di Pisistrato cacciato dalla città nel 510, che sperava di recuperare il potere. --> Pericolo ateniese di cadere sotto il dominio di un tiranno filo-persiano, benché le fonti portino a credere che le intenzioni di Dario non fossero la conquista della Grecia. La battaglia di Maratona, evento fondante dell’Europa nella cultura occidentale moderna e contemporanea, non fu l’avvenimento epocale inteso come scontro ideologico tra Oriente e Occidente, ma rappresentò l’esito della spedizione punitiva contro le uniche due poleis, Atene e Eretria, intervenute nella rivolta ionica. A Maratona si affrontarono l’esercito oplitico ateniese e quello persiano. I Plateesi furono gli unici greci ad accorrere in aiuto agli Ateniesi. Secondo Erodoto, questi ultimi avrebbero chiesto aiuto anche agli Spartani, che però avrebbero temporeggiato e sarebbero arrivati a Maratona a battaglia finita. Gli Ateniesi attaccarono i Persiani, lasciando che il centro del loro schieramento arretrasse sotto la pressione dei nemici, i quali a loro volta furono attaccati alle spalle dalle ali. La vittoria degli Ateniesi fu schiacciante. 3. Serse contro la Grecia: la Seconda guerra persiana: Alla salita al trono persiano di Serse, figlio di Dario --> sedazione rivolta in Egitto. Atene post Maratona --> Milziade coinvolto in ostracismo insieme ad altre personalità eminenti. Anche Temistocle, arconte nel 493/492, fu uno dei candidati all’ostracismo nel corso degli anni ottanta, ma vi sfuggì e riuscì a convincere gli Ateniesi a prendere una decisione di grande portata: la sua proposta di utilizzare i proventi dell’argento delle miniere per costruire una flotta venne accolta. Che Temistocle pensasse già ai Persiani viene ipotizzato in Tucidide; è certo invece che sarebbe stata la flotta ateniese, nella battaglia di Salamina, a salvare Atene e la Grecia dalla conquista persiana. Dal 484 i Persiani iniziarono i preparativi per una spedizione contro i Greci: costruirono un grande ponte di barche sull’Ellesponto, quindi uno sullo Strimòne, per mettere in campo una spedizione via terra, affiancata e supportata dalla flotta. L’esercito, dopo aver svernato a Sardi, con la primavera attraversò l’Ellesponto: ai popoli che incontravano, i persiani chiesero “terra e acqua”, formale sottomissione. Atteggiamento diversificato dei Greci: alcuni “medizzarono”, altri rimasero neutrali (Argivi), molti – Ateniesi e Spartani in testa – inviarono delegati a due riunioni nelle quali si diede vita a un’alleanza giurata permanente, indicata nelle fonti come Hoi Héllenes , “Lega ellenica” . Il comando, sia dell’esercito che della flotta, dell’alleanza, venne affidato a Sparta, nella persona di Euribiade, sancendo quindi la sospensione di tutti i conflitti interni in corso, e proponendosi di punire coloro che non si erano opposti ai Persiani. Nel 480: duplice linea di difesa --> A terra, tra la Tessaglia e la Grecia centrale, nel passo delle Termopile, e sul mare presso Capo Artemisio, all’estremo Nord dell’Eubea. Alle Termopile i Greci subirono una memorabile sconfitta: secondo la leggenda, grazie ad un traditore di nome Efiàlte che indicò ai Persiani uno scosceso percorso secondario, riuscirono ad aggirare il passo e a sorprendere i Greci. Leonida e i suoi uomini si sacrificarono eroicamente. La flotta persiana era arrivata dalla Cicladica all’estremità settentrionale dell’Eubea. Nelle acque dell’Artemisio lo scontro con la flotta greca avvenne in più riprese: entrambi finirono per ritirarsi, benché i Persiani sembra abbiano subito maggiori danni alla flotta rispetto ad Atene. Cionondimeno, gli Ateniesi celebrarono gli aventi dell’Artemisio come una vittoria. Solo pochi giorni dopo, la flotta persiana circumnavigò l’Attica e si affacciò nel Golfo Saronico, dove si sarebbe combattuta la battaglia di Salamina. Intanto gli Ateniesi, secondo il decreto di Temistocle (conservato nella “Stele di Terzène”, evacuarono la città. Nell’estate del 480 i Persiani saccheggiarono e incendiarono la città, Acropoli compresa. Nel frattempo, la flotta greca, comandata da Euribiade, si concentrò a Salamina, antistante Atene. Nel settembre del 480, la flotta persiana non poté sfruttare la propria superiorità numerica e la maggiore capacità manovriera delle sue navi nello stretto canale tra Salamina e l’Attica: le navi persiane ebbero la peggio rispetto alle più pesanti triremi greche. Dopo la sconfitta, i Persiani ritornarono in Asia Minore e Serse si trasferì a Sardi, lasciando l’esercito persiano a svernare in Tessaglia, con l’incarico di riprendere “Prima guerra del Peloponneso”, che sarebbe terminata nel 446 con la “Pace dei Trent’anni”, fu contro i peloponnesiaci, in particolar modo Corinto, ancor prima che contro Sparta, e derivò da un atteggiamento aggressivo ed espansionista di Atene, che da un lato interveniva a Megara contro Corinzio, ma nel frattempo era impegnata nel sostegno offerto dalla Lega delio-attica in Egitto in rivolta contro la Persia. Tra il 451 e il 449 vennero stretti degli accordi di pace tra Sparta e Corinto e Sparta e Argo, e anche la Persia stipulò la “Pace di Callia”, dal nome dell’ateniese che guidò la spedizione dal re Artaserse: le ostilità tra la Lega delio-attica e i Persiani cessarono, così come quella tra Sparta e Atene: quest’ultima cedeva i porti di Megara, e le parti si impegnavano a non attaccarsi se vi era la possibilità di un arbitrato. 5. Il “primo” e il popolo. Il tempo di Pericle: Figura di altissimo livello socio-politico, considerato un Alcmeònide, che da un lato ne accresceva il prestigio, dall’altro ne offuscava l’immagine a causa della fama di “sacrileghi” di cui godeva la dinastia. Nel 451 fece approvare la legge sulla cittadinanza, che fu un punto fermo della democrazia ateniese. Nel 446 ebbe un ruolo chiave per Atene: fermò l’intervento di Sparta e schiacciò con la massima durezza la sollevazione dell’Eubea. Un’Atene potente per terra e per mare, in capo a un’alleanza di città dalle quali riscuoteva un tributo, circostanza inaudita in Grecia, era pronta a dispiegare una marcatissima identità e di proporsi come modello (programma edilizio pericleo, che ampliava la ricostruzione della città intrapresa con Cimone) à Acropoli ne esce trasformata, diventando uno straordinario monumento architettonico alla dea Atena, e uno straordinario simbolo della comunità e della sua identità. Pericle stratego per quindici anni consecutivi, sino alla sua morte nel 429. à Egli poteva contare sul suo axioma, un complesso intreccio di carisma, consenso civico e autorità personale. Tucidide: “di nome era una democrazia, di fatto un governo (arché) posto sotto la guida del primo cittadino (pròtos anér). 6. L’impero: Non più volontaria alleanza delle città con Atene, ma dominio di Atene su una serie di stati soggetti. Non alleanza egemoniale, ma impero, arché. (“Le città “soggette” (hypekooi)). In seguito, la libertà giudiziaria degli alleati venne ulteriormente limitata, e anche i diritti proprietari furono lesi, perché i ricchi Ateniesi potevano acquistare terra nelle città alleate, pur non essendo cittadini. Col “decreto di Clearco” imponeva che le città alleate non battessero più moneta propria, ma utilizzassero quella di Atene. CAPITOLO 26: LA GUERRA DEL PELOPONNESO: 1. Sparta, Atene, Tucidide e noi: Distinzione tra “cause e contese” da un lato, e la “motivazione più vera” dall’altro: le prime erano il sostegno offerto da Atene a Corcìra contro Corinto, la seconda era la crescita della potenza ateniese e il timore che incuteva ai Lacedemoni. Secondo Tucidide, la guerra era inevitabile, benché lo storico non sottolineasse il ruolo in primo piano di Corinto, che spinse fortemente Sparta ad entrare in guerra contro Atene. Così, dopo l’intervento ateniese a Megara e le vicende di Corcìra e Potidea (VEDERE!!!), in un congresso della Lega peloponnesiaca si decise per la guerra ad Atene. 2. La guerra dei dieci anni: Nell’estate del 431 l’esercito peloponnesiaco, guidato dal re spartano Archidàmo, invase l’Attica: gli Spartani volevano provocare gli Ateniesi a battaglia aperta per sfruttare la loro superiorità nello scontro oplitico. Per non fare il gioco di Sparta, Pericle decise di concentrare la popolazione delle campagne all’interno dell’area delimitata dalle Lunghe Mura, rifiutare battaglia campale e sfruttare il dominio sul mare per approvvigionare la città e per fare incursioni su punti nevralgici delle coste del Peloponneso. à Pestilenza ad Atene nel 430. Dopo la lunga invasione spartana, Pericle venne identificato come il responsabile delle difficoltà di Atene, messo sotto processo e rimosso dalla carica di stratego, morendo poco dopo. La guerra si ampliò per molti anni. Nel 428/427 molte città dell’isola di Lesbo si ribellarono ad Atene. L’anno successivo, sparta riesce ad avanzare e stabilirsi in Grecia centro-settentrionale, luogo chiave in una guerra sempre più globale. Sconfitta ateniese a Delio, in Beozia, dopo aver perso Megara. A Nord, in Calcidia, Atene perse terreno dopo la decisione spartana di estendere a quella regione – nevralgica per l’impero ateniese – la guerra. Dopo anni di guerra, nel 421 si fece spazio un’inclinazione alla trattativa, finché nella primavera del 421 venne stipulata una pace cinquennale tra la Lega peloponnesiaca da un lato, e Atene e i suoi alleati dall’altro: la “Pace di Nicia”, dal nome dell’influente politico ateniese che ne fu firmatario. Tra Sparta e Atene fu stretta un’alleanza bilaterale di difesa reciproca in caso di aggressione; Atene si impegnava a soccorrere Sparta in caso di una rivolta servile. CERCARE VICENDE GUERRA DEL PELOPONNESO SU INTERNET Atene non capitolò immediatamente: offrì una pace inizialmente rifiutata da Sparta, che però non seguiva la volontà di Corinto e Tebe che ne volevano la distruzione: un’Atene debole e legata a Sparta sarebbe stata un buon compromesso alle ambizioni di Corinto e Tebe. PAGINA 337 à 343 da rivedere. CAPITOLO 27: POTERE PERSIANO, NUOVI PROTAGONISTI, CRISI DELLE EGEMONIE: Sconfitta di Atene nella Guerra del Peloponneso implica la posizione dominante di Sparta e la forte influenza persiana nell’Egeo e in Grecia. Un ricorso alla forza, alla politica e alla corruzione permise ad Artaserse II, re persiano, di divenire con la “Pace del Re” (386) l’arbitro dei rapporti tra le poleis. IV secolo: fine del bipolarismo à ruolo predominante di Sparta sino agli anni Settanta, ma nel quadro di una pesante ingerenza persiana. Protagonisti nuovi: Ascesa di Tebe ebbe conseguenze di rilievo ai danni di Sparta: Tra la fine degli anni settanta e gli anni cinquanta, Tebe arrivò ad essere la potenza predominante in Grecia: dal nuovo multipolarismo emerse una situazione in cui le potenze cittadine erano tutte indebolite, gli equilibri del Peloponneso fortemente mutati con l’ascesa degli Arcadi e la nascita dello stato messenico, sino alla salita di Filippo II re di Macedonia, con cui nessuna di esse fu in grado di confrontarsi. 1. Sparta domina: da Lisandro ad Agesilao: (404-394): Strapotere di Sparta derivò da politica di Lisandro: (cercare). Nel 401 il principe persiano Ciro (il giovane), che aveva combattuto al fianco di Sparta ed era legato a Lisandro, si rivoltò contro Artaserse II, chiedendo aiuto a Sparta, che lo appoggiò nella ribellione, conclusasi con la sconfitta di Cunassa. Le città dell’Asia Minore si erano schierate con Ciro, e dopo la sua morte Sparta veniva richiamata a quel ruolo di “liberatrice” che aveva con successo rivendicato per sé allo scoppio della Guerra del Peloponneso. La Persia, così come Atene, Corinto e Tebe, si accorsero presto dei potenziali pericoli che il controllo dell’Egeo e dell’Asia Minore da parte di Sparta avrebbero comportato. Artaserse, risolutamente antispartano, intervenne e ordinò che fosse apprestata una flotta. Nel 396 viene inviato, da Sparta, in Asia Minore, Agesilao con lo scopo di assicurarsi l’amicizia di alcuni satrapi. 2. Il primato persiano: dalla guerra di Corinto (395-386) alla Pace del Re (386): Guerra di Corinto à Agesilao, dopo aver vinto a Sardi nel 395, fu costretto a tornare in Grecia, dove Lisandro aveva attaccato i Beoti ma era stato sconfitto e ucciso. Con la sconfitta di Cnido (394) la flotta persiana mise fine alla presenza di Sparta nell’Egeo. In definitiva, post-guerra di Corinto, Sparta non controllava più l’Istmo, né aveva prospettive sull’Egeo o in Asia Minore, tanto da chiedere la fine del conflitto. Artaserse era diffidente nei confronti degli Spartani, e questi per parte loro non intendevano fare concessioni a Tebe, né tollerare l’unione Argo-Corinto: cominciava ad emergere un’interpretazione spartana dell’autonomia delle città della penisola greca che mirava a impedire che si collegassero tra loro in qualsiasi forma. à non si arrivò alla pace. Le attività militari ripresero nel Peloponneso tra Corinto e Argo, in Asia Minore e nell’Egeo tra Atene e Evagora di Cipro, alleanza che, però, poteva rappresentare un pericolo per i Persiani, che aiutarono Antalcida, navarco della flotta spartana, a prendere il controllo dell’Ellesponto. à Atene fu costretta ad accettare le condizioni di pace. Venne così conclusa la Pace del Re, nel 368, che fu una “pace comune” tra le città greche sotto l’egidia della Persia: era uno strumento diplomatico nuovo e non si limitava a intervenire tra due parti belligeranti, ma era in linea di principio valido per tutti gli stati greci, perché i termini dell’accordo erano definiti dal re persiano, da lui comunicati e accettati dalle poleis. Il ruolo di custode della “Pace del Re” consentì a Sparta di bloccare la nascita di alleanze interstatali o confederazionali che potessero mettere in discussione la sua egemonia sulla Grecia. 3. Sparta, Atene e il federalismo tebano: