Scarica Riassunto "Introduzione alla Storiografia Greca" e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Greca solo su Docsity! INTRODUZIONE alla STORIOGRAFIA GRECA Marco Bettalli CAPITOLO 1 – Storici antichi e moderni: una breve introduzione I) La nascita dello storico La storiografia nasce all’incirca 2.500 anni fa e si sviluppa nella società della polis, ma esisteva già in Mesopotamia. Sono i Greci ad avere inventato la figura dello storico come soggetto scrivente, che autonomamente decide di compiere ricerche sul passato. Attività che non raggiunge uno status particolarmente prestigioso. II) Differenze Gli storici del passato avevano strumenti più limitati, erano assai meno emancipati dalla retorica, in quanto dovevano rispettare determinati canoni. Ciò comporta: mancanza di note, carenza di riferimenti alle fonti usate, cura dell’omogeneità stilistica, presenza di discorsi diretti. Non è facile distinguere opere storiche e opere biografiche, memorialistiche, encomiastiche,… Solo in minima parte le opere storiche erano basate su documenti scritti, perché in una cultura ancora largamente orale. Mancava ancora la visione diretta degli avvenimenti e tali opere sono ancora largamente basate sulla raccolta di testimonianze. Ciò rendeva inevitabile la preminenza della storia contemporanea o quasi. III) Storia immediata e orale Quella descritta sopra si potrebbe chiare oggi “storia immediata”, (istant history) e risente di una pregiudiziale negativa, in quanto la condizione di contemporaneità (~50 anni) può interferire con il lavoro di uno storico. Per quanto riguarda la storia orale, si tratta di un genere che presenta grosse potenzialità, favorito da chi preferisce un approccio antropologico, fondamentale per esplorare tematiche relative a gruppi marginali. Genere particolare che può essere di supporto alla ricerca storica più tradizionale IV) Tucidide è un collega? Il debito verso gli storici antichi Gli storici moderni sono eredi di una tradizione basata sull’istituzione universitaria che si sviluppa nel XVIII sec. È dal superamento di un pregiudizio di inferiorità nei confronti dei grandi storici dell’antichità che nasce la storiografia moderna sul mondo antico. Molti dei temi ancora attuali oggi sono una eredità della storiografia greca: la scoperta del passato, la considerazione del passato come qualcosa di legato al presente, l’acquisizione di una progressiva familiarità con concetti storiografici fondamentali (causa), la consapevolezza che lo storico ha a che fare con dei fatti realmente accaduti CAPITOLO 2 – Lo storico nel mondo antico: storia e retorica I) Un intellettuale solitario? CICERONE propone un omaggio alla dignità letteraria della storia nel suo “DE ORATORE”: la cultura antica registra un’apertura della storiografia alla retorica, una giurisdizione del retore sulla composizione della storia. Tramite Antonio espone i principi fondamentali della storia (dire la verità) e consta di non trovare, nei trattati di retorica, norme specifiche per la storia, perché queste si possono desumere per similarità od opposizione a quelle per l’oratoria (giudiziaria). Si ispira alla cultura greca per proporre l’identificazione dello storico. La particolare cura stilistica che l’oratore deve mettere nel comporre la storia implica che egli lavori anche sui contenuti. E non viene detto che lo storico, in quanto distinto dall’oratore, debba servirsi a soli fini di efficacia stilistica delle astuzie formali. A partire dal IV secolo la retorica era centrale e coordinante per la cultura greca. A Roma la storia era stata, accanto all’oratoria, l’attività letteraria liberale per eccellenza: uomini che trattano gli affari del presente che amministrano per la comunità anche la memoria dei fatti passati. II) Agli inizi della storia ECATEO nel proemio delle sue “GENEALOGIE” esalta il proprio sapere: un pensatore fa valere il prestigio di una ricerca personale intorno alla memoria collettiva dei Greci. È l’atto di nascita della storia come genere autonomo, il momento in cui la storia partecipa alla formazione di uno spirito critico nuovo. La condizione di viaggiatore o esule che almeno in certi momenti interessò alcuni di loro (ERODOTO e TUCIDIDE) simboleggia in maniera efficace l’attitudine allo sguardo da lontano sulle cose che fu la loro vocazione. Lo storico parla della sua posizione di libero pensatore. Le modalità fondamentali di pubblicazione delle opere storiografiche nell’antichità sono le conferenze o letture pubbliche, con sofisti che rivaleggiano con storici per conquistarsi il gradimento del pubblico. Ovviamente era improponibile una recita completa dell’opera. Alcuni passi erodotei sembrano riferirsi ad avvenute letture. TUCIDIDE mette in chiaro che la sua storia risulterà forse poco gradevole in una pubblica lettura per il trattamento rigoroso, che non è composto per un consumo effimero. Affermazione della parola scritta del libro contro la parola orale. I primi storici rimangono sospesi tra la consapevolezza del proprio isolamento nella cultura contemporanea e il desiderio di trovare un pubblico cui rivolgersi. Il pubblico d’elezione della storiografia greca è il pubblico panellenico. Lo storico vuole offrire la propria opera di rinnovamento del patrimonio memoriale dei Greci. Ai suoi inizi, lo storico è un intellettuale diviso: conosce la propria impotenza intellettuale e insieme tende verso un’udienza, vuole essere ascoltato da quella che è stata dei rapsodi. La storia aspira ad uno statuto letterario che non ha ancora. Attacco dei proemi: sono la parte delle opere più esposta al destinatario, ciò che salda l’impulso del lettore a entrare nel racconto con quello dell’autore ad aprirsi ad un pubblico. La terza persona fa negli attacchi una breve comparsa, prima di essere sostituita dal pronome io, come firma dell’opera col proprio nome e sostituisce la garanzia soprannaturale della Musa con quella, umana e personale, della propria ricerca. L’archetipo, il proemio di ECATEO, richiama nell’incipit una delle forme epistolari più diffuse in Grecia nel V secolo (x dice a y così/queste cose). Non è probabile che ECATEO riecheggiasse la formula introduttiva dei documenti persiani Quando ECATEO scrisse il suo proemio, il modulo introduttivo doveva suonare, a lui e al suo pubblico, perfettamente greco: un riferimento persiano sarebbe stato inintelligibile per il pubblico. In ERODOTO, ANTIOCO di SIRACUSA e TUCIDIDE la natura epistolare è più offuscata, però rimane la struttura fondamentale: il fatto che la parola venga data la testo medesimo. Con questi autori le storie si iniziano come quelle lettere irregolari che non rinunciano a mettere la terza persona. La natura epistolare dei scritti storiografici ha una sua precisa funzionalità in rapporto al clima di cultura in cui la storiografia si sviluppa. Lo storico scrive “da lontano”, in assenza provvisoria di destinatario: vuole essere innanzitutto un mezzo di collegamento tra il suo autore e il pubblico. È appunto una lontananza che la forma epistolare dei proemi storiografici esprime: gli intellettuali inviano alle città quelle grandi lettere aperte rese possibili solo da un’esperienza di distacco dal politico. L’epos era la poesia letta, ascoltata; la storiografia greca ne prosegue la missione consapevole dei limiti socio culturali che la condizionano. Il tono con cui dobbiamo immaginare pronunciato il nome dell’autore è quello trionfalistico, ma c’è anche la pacatezza, la cautela,… in quanto entra come novità nella cultura contemporanea. La presentazione incipitaria dello storico è la spia di una posizione di inferiorità rispetto ai protagonisti legittimati della cultura, come i rapsodi. II) Dopo Tucidide L’incipit storiografico di tipo epistolare ricorre di nuovo, forse, all’inizio del IV secolo, per poi scomparire. SENOFONTE, che continuò TUCIDIDE, non compose nemmeno più proemi di tipo metodologico. Nel IV secolo si respira un’aria di stagnazione: la tangente fra storia e retorica sarà d’ora in poi sempre più sensibile. L’elogio proemiale della storia verrà usato nell’Ellenismo. Una grande virtù che viene celebrata è l’utilità generale, la storia è per tutti. Il nesso implicito è quello tra storia e democrazia, per una fruibilità di massa. È notevole che il topos dell’utilità universale venga fatto proprio anche da storici che si rivolgono a una élite. POLIBIO nel primo proemio si rivolge a politici, filosofi e lettori comuni, nel secondo proemio restringe la visuale. Queste contraddizioni sono prodotte da un conflitto tra retorica e storia: POLIBIO e DIONIGI progettano il rinnovamento politico di una Greci messa in crisi dal confronto e dal rapporto con Roma, designano sì il loro lettore ideale e specifico, ma lo fanno in un luogo che non ha l’evidenza del proemio a tutta l’opera. CICERONE ricorda la possibilità di sottolineare l’interesse generale dell’argomento. DIONIGI chiarisce come la storia raggiunga la retorica sul terreno della politica e fondi con questa la sua ambizione a un uditorio largo. Il destinatario potenziale dello storico è la Grecia intera IV) Retorica, storia, verità Il problema essenziale è stabilire in quale misura la contiguità con la retorica e con la politica leda lo specifico della storia. Si può dimostrare che nel mondo antico lo studio della storia sia stato troppo scolastico e presuppone che l’istituzionalizzazione della disciplina abbia sgretolato le pretese degli storici alla verità. Alcuni studi sui rapporti tra storiografia, retorica e discorso poetico hanno cercato di riportare la storiografia antica in quanto genere letterario dove conta di più l’efficacia del racconto istruttivo che non lo scrupolo documentario. L’affidamento della storia al retore/politico corrisponde a una realtà greca/romana: quest’ultima avrebbe costituito il maggiore ostacolo per i difensori di una storia pura. Dai passi di CICERONE è evidente come egli includesse la norma della verità tra le competenze dell’oratore. Occorre liberarsi dal preconcetto che la retorica sia in primo luogo un repertorio di trucchi equivoci per il depistamento dell’uditorio. L’oratore ideale porta il suo pubblico verso l’opinione giusta e vera. Nei dibattiti, la verità non è semplicemente affare del giudice, ma anche dell’avvocato/oratore. Il discorso produce persuasione nel momento in cui viene mostrata, attraverso le prove, la verità o il verosimile. Si tratta di un uso dell’èthos e del pàthos con cui certo si manipola la capacità di decisione dell’uditorio. La retorica è un aiuto dell’affermazione del vero e del giusto. Nella prassi, la storia, non meno della retorica registrava delle eccezioni alla regola di dire la verità; esisteva un cattivo uso della retorica, come della storia, e anche un cattivo uso della retorica nella storia. IV) Retorica, storia, verità Dopo il IV secolo il cerimoniale di apertura delle opere storiografiche celebra il magistero educativo dello storico, rivolto ai larghi strati, che ha spezzato il cerchio in cui oscillava tra un massimo relativo e un minimo di adattamento all’uditorio. E ha raggiunto anche il suo posto in un sistema culturale che fa perno attorno alla retorica, in cui lo storico esercita la professione di non greci, redigendo monografie. Solo in un secondo tempo, tali ricerche su singoli temi verranno a saldarsi in un progetto unitario; => UNITARI = concordano invece sulla sostanziale unità dell’opera e sul fatto che l’autore ha sempre concepito il suo lavoro fin dall’inizio. Le diverse ipotesi di questa corrente riguardano l’individuazione del motivo unificatore. Questa posizione sembra preferibile: a favore di ciò sta l’impossibilità di distinguere, in quel periodo, il geografo o l’etnografo, dallo storico, e la sostanziale unità dell’opera; => sembra valida l’ipotesi che separa un primo ERODOTO, viaggiatore e aedo in prosa, da un secondo ERODOTO, determinato a mettere per iscritto quanto appreso nel corso della sua vita. La frattura non andrebbe individuata tra due diverse ispirazioni alla redazione di opere scritte, ma semmai tra l’ERODOTO che accumula conoscenze e le trasmette in parte oralmente e il redattore delle “STORIE”; => il motivo unificatore rimane la storia dell’Impero Persiano e la sua progressiva espansione nel corso della seconda metà del IV secolo. Da quest’ottica il mondo greco non è che l’ultimo con il quale i Persiani entrano in contatto con intenti di conquista. IV) ERODOTO al lavoro ERODOTO è storico in un periodo che ancora non conosce la storia; fini e metodi sono diversi da quelli di uno storico moderno. Egli limita le sue ricerche ad un periodo relativamente breve: per il mondo greco, si arriva a tre generazioni prima delle Guerre Persiane (“passato prossimo”): una scelta di storia quasi “contemporanea”. La visione diretta (“òpsis”, autopsia) era ritenuta, nella Grecia antica, il modo migliore per assumere informazioni e acquisire conoscenze. Tale preferenza è penalizzante: era impossibile vedere, rendersi conto di persona di tutto ciò che era degno di nota e comunque una tale opzione escludeva ogni reale conoscenza storica. Le descrizioni di ciò che ERODOTO afferma di aver controllato di persona sembrano avere un elevato grado di attendibilità. Egli appare dipendente da altri, anche quando afferma il contrario. La fonte di gran lunga più impiegata nelle “STORIE” è la testimonianza orale (“akoè”): ERODOTO riferisce di conversazioni con moltissime persone, egli non può garantire l’attendibilità di tutti i suoi informatori, in quanto in alcuni casi fa anche uso di interpreti. Lo storico è parzialmente consapevole dei limiti della sua ricerca. ERODOTO si avvicina così ai moderni antropologi. Però egli utilizza anche fonti scritte: la citazione di alcune iscrizioni. Egli non manca in vari casi di esprimere la propria opinione con decisione, mentre a volte il compito di giudicare viene lasciato ai posteri. Il livello di attendibilità raggiunto nell’opera è altissimo: l’autore fornisce un quadro della storia persiana coerente ed accettabile. Resta da affrontare il problema degli autori in prosa, degli storici contemporanei o precedenti che potrebbero essere stati utilizzati da ERODOTO. Egli cita solo ECATEO di MILETO, che viene tratteggiato in modo ironico e non privo di critiche. Decidete entro quali limiti sia stato utilizzato ECATEO e se ERODOTO abbia fatto uso di una serie di scrittori è ancora materia di discussione. Bisogna anche considerare che esistevano opere poetiche che contenevano informazioni sulle Guerre Persiane, ma il loro utilizzo da parte di ERODOTO è ancora solo ipotetico. Ma l’originalità delle “STORIE” e la loro complessità sono troppo evidenti per poter essere messa in dubbio. V) La concezione erodotea del mondo <<Questa è l’esposizione delle ricerche di Erodoto di Alicarnasso perché le imprese degli uomini con il tempo non siano dimenticate, né le gesta grandi e meravigliose così dei Greci come dei Barbari rimangano senza gloria, e inoltre per mostrare per qual motivo vennero a guerra fra loro>> Già dal proemio è possibile capire le motivazioni che hanno spinto ERODOTO nel portare a termine la sua opera: accenna ad uno scopo tanto vasto e vago da essere irrealizzabile: impedire che certe vicende cadano nell’oblio, comprendere per quali motivi Greci e Barbari si sono affrontati. È stato notato come il primo degli scopi sia talmente ambizioso da superare l’ambito che noi riserviamo alla ricerca storica. Molto più rispondente alle finalità storiche è in effetti il secondo obiettivo che si riallaccia all’esperienza delle Guerre Persiane. ERODOTO è il primo che abbia affrontato una ricerca così ampia, che abbia cercato delle connessioni profonde tra avvenimenti. Riesce a superare uno dei limiti dei suoi predecessori: l’accedere solamente al proprio punto di vista, quello di una comunità ristretta. Egli considera sullo stesso piano i Greci e i Barbari, con le loro peculiarità ,… in un relativismo privo di goni pretesa di superiorità del suo mondo sugli altri. Un atteggiamento del genere non poteva che suscitare sospetto nella società greca: ciò portò a sempre più esplicite accuse di essere “philobàrbaros”, amico dei barbari. Nell’occuparsi di temi tanto vasti e complessi, ERODOTO è guidato da un atteggiamento equilibrato e disincantato verso le vicende umane, profondamente religioso e ricco di una fortissima tensione etica. Alla base della visione erodotea del mondo c’è la coscienza della fragilità dei destini umani, in balia della volontà degli dei: la divinità è imperscrutabile, non è in ogni caso possibile opporsi ad essa. Molte delle storie narrate nell’opera sono ispirate al concetto di misura e alla necessità, per l’uomo, di non superare i limiti per non incorrere nella vendetta degli dei. ERODOTO si eleva senza sforzo ad una dimensione filosofica universale: le sue riflessioni sono tutt’altro che banali e ancor meno superficiali. Impossibile definire la posizione erodotea in campo politico (forse c’era un’adesione alla democrazia ateniese, ma bisogna ricordare le numerose critiche che egli muove verso tale sistema nel corso dell’opera). VI) ERODOTO oggi Non manca una corrente di studiosi che vede in Erodoto un grande scrittore, ma un pessimo storico, accusato di inventare le sue fonti e di travestire un’opera di fantasia con i panni di un’opera storica. A prevalere è un giudizio di ammirazione, sia verso il narratore che verso lo storico: le osservazioni e le notizie raccolte da ERODOTO sono sostanzialmente attendibili, con un modo di fare storia così libero, molto più vicino alle moderne concezioni storiografiche di quanto non lo sarà il metodo di TUCIDIDE. Gli studi su ERODOTO sono particolarmente attenti alla sua dimensione filosofica: questa figura di curioso, rispettoso della dimensione religiosa dell’uomo ma pur tuttavia conscio della solitudine di quest’ultimo nel cosmo e pronto a capire e ad accettare quanto proveniva da altre civiltà. // Problema => ricerche => fonti => fonti attendibili => attendibilità, osservazione diretta, rispetto delle fonti, raccolte e presentate anche se non degne di fede, ma per studio e confronto Procedimento metodologico => constatazione dei fatti de cisu, testimone oculare => importanza della verifica valutativa => svolgere ulteriori ricerche => riferire ad altri quanto altri hanno detto => integrare quanto si riferisce con elementi desunti ERODOTO => (curioso -> ricerca) / (senso del temo -> oblio, eventi vicini) / (comparare civiltà diverse) / (ricerca delle cause) / (confronto vivo con la gente) // CAPITOLO 5 – Tucidide Con TUCIDIDE l’esperienza storiografica greca conosce un’accelerazione verso la creazione di un suo ambito specifico, regolato da scelte e norme più chiaramente definite, rappresenta un modo nuovo di intendere la scrittura storica: monografica, selettiva, incentrata sulle vicende politico-militari. Si deve riconoscere un debito importante di TUCIDIDE verso l’opera di ERODOTO: ma l’erudizione che trapela dalla narrazione erodotea, la vastità dell’orizzonte dei suoi interessi sono in TUCIDIDE abbandonati a favore di un’attenzione minuziosa al dettaglio, alla precisione della ricostruzione, dell’accuratezza e alla profondità dell’indagine,… Storia come magistra vitae, severa maestra di lezioni politico-militari,.. TUCIDIDE era il “nomothètes”, il legislatore, il codificatore delle regole fondamentali della storia. I) La vita Le notizie sulla sua vita derivano per lo più da un tradizione tarda e scarsamente verificabile. I principali riferimenti che possediamo sono un testo di critica stilistica di DIONIGI di ALICARNASSO (I secolo d.C.) e la biografia dedicata allo storico da MARCELLINO (~V secolo d.C.), che presenta contraddizioni. Il punto di partenza per le tradizioni antiche è rappresentato dai riferimenti autobiografici nell’opera di TUCIDIDE. Sappiamo che era di stanza a Taso nel 424 come “strategòs” e che fallì nel salvare la colonia di Anfipoli, perdita che fu un duro colpo per Atene e di cui TUCIDIDE ci fornisce i dettagli. TUCIDIDE, cittadino ateniese, del demo di Alimunte, doveva avere quindi nel 425/4 almeno 30 anni. L’ipotesi è che sia nato nel 460 circa. Le tradizioni biografiche più tarde hanno elaborato una ricostruzione della famiglia che ha suscitato diverse perplessità, ma che indicherebbero legami diretti con due tra le famiglie della più alta aristocrazia ateniese (avversari di Pericle) e forse con una dinastia regnante tracia. In Tracia aveva dei possedimenti e diritti di sfruttamento di miniere d’oro. Lo storico ci informa di aver assistito alla peste scoppiata ad Atene nel 430/429 e di esserne stato contagiato, esperienza che ci fornirà una memorabile testimonianza dell’epidemia. Inoltre afferma di essere stato costretto ad un esilio ventennale, consumato nel Peloponneso, che si sarebbe protratto fino all’anno finale della Guerra del Peloponneso (404). A guerra finita TUCIDIDE sarebbe rientrato in patria, dove sarebbe stato assassinato. La tradizione antica non mette in dubbio il dato dell’esilio, cosa che invece fa Canfora, che ha voluto riferirlo a SENOFONTE, editore del testo tucidideo, cui andrebbero ascritte la paternità del “secondo proemio” e le indicazioni biografiche. Alla base di tale teoria vi sono considerazioni relative alla composizione dell’opera, alla storia del testo, a indizi sulla presenza dello storico ad Atene in anni che sarebbero coperti dall’esilio. Una possibile indicazione sulla data di morte si ricava da un’iscrizione del 398/7 trovata a Taso. Sono presenti altri aneddoti biografici, ma sono poco credibili. Il tema dell’esilio ha assunto un valore simbolico nel presentare le premesse ideali per la realizzazione dell’attività di storico. II) La formazione di uno storico Ricevette un’educazione accurata, di altissimo livello, che muoveva da forme di conoscenza tradizionali, ma che abbracciava anche elementi più moderni, caratteri innovativi, capaci di suggerire un ripensamento della tradizione. TUCIDIDE conosceva bene e utilizzò bene i sussidi della retorica, ne assimilò le tecniche di presentazione e di argomentazione. Si interessò anche all’approfondimento delle potenzialità del linguaggio della sofistica. Inoltre conobbe e utilizzò l’elaborazione metodologica della medicina ippocratica e il relativo lessico, adottando l’analisi sintomatologica come categoria di comprensione storica. TUCIDIDE era politicamente un aristocratico conservatore, ma culturalmente permeabile alle più avanzate elaborazioni intellettuali di Atene. Nella sua opera cogliamo l’incidenza di suggestioni culturali a lui coeve: nozioni di razionalismo, di ricerca delle cause, di individuazione di un apparato di strumenti concettuali nella definizione e descrizione. L’elezione a “strategòs” nel 425/4 indica una presenza attiva nella vita politica della democrazia ateniese. Ciò fornisce un elemento nuovo nella caratterizzazione dello storico (l’aver preso parte direttamente alle vicende che poi racconterà) ma spiega la focalizzazione sui fatti politici e militari. TUCIDIDE si muoveva nella democrazia ateniese con un atteggiamento critico verso le forme più radicali dell’esperienza democratica. Da storico seppe riconoscere i meriti di Pericle, ma anche approvare il programma oligarchico dei promotori del colpo di stato del 411. La sua visione non lasciava margine all’intervento divino: non certo per una forma di ateismo, quanto per l’individuazione del campo di indagine possibile per lo storico, ossia la natura umana e le forze che ne muovono l’agire nella loro dimensione politica, sociale, economica, psicologica,….. Assente ogni concessione a letture etico-morali. La sua storia è tutta attraversata da spinte terrene: non c’è lezione che non appartenga alla sfera umana. III) <<TUCIDIDE ha scritto>>: le STORIE e la questione tucididea Le “STORIE” di TUCIDIDE si compongono di otto libri. La Guerra del Peloponneso viene concepita come un evento unitario dallo scoppio nel 431 fino alla disfatta ateniese nel 404. - LIBRO (I) = lunga introduzione alle premesse del conflitto (“archaiologìa”, “pentecontaetìa”); - LIBRI (II -> V-24) = narrazione della Guerra Archidamica; - LIBRO (V 25-83) = fragile pace 421-416; - LIBRO (V 84-116) = dialogo tra Ateniesi e Melii; - LIBRI (VI-VII) = spedizione ateniese in Sicilia; - LIBRO (VIII) = vicende degli anni 412-411, colpo di stato dei Quattrocento. L’attuale divisione in libri risale alla tradizione erudita tarda, probabilmente alessandrina. La narrazione è organizzata seconda la successione diacronica degli anni di guerra. All’interno di ogni segmento cronologico, il materiale è ripartito in forza dei teatri geografici nei quali l’azione progressivamente si svolge. La narrazione si interrompe bruscamente nel 411, dopo la battaglia di Cizico: ciò si collega con le ipotesi di una morte improvvisa dell’autore qualche anno dopo la fine della guerra. L’incompiutezza dell’opera spiega anche l’incipit di uno dei continuatori di TUCIDIDE, SENOFONTE, le cui “ELLENICHE”, che si ricollegano al momento finale delle “STORIE” tucididee (<<Dopo questi avvenimenti…>>). Il lavoro storiografico prese avvio dal 431/0, anno dello scontro Corinto-Corcira per Epidamno. Si è posta una “questione tucididea”: se il testo a noi pervenuto è una stesura protrattasi nel tempo, con sezioni più recenti, rivisitate e corrette, e altre ferme a uno stato originario, come distinguere i vari stadi? Il padre di questo dibattito, Ullrich, immagina due fasi compositive: la prima dopo la Pace di Nicia e una seconda, dopo la vera conclusione della guerra. Alla base di questa ipotesi vi è la presenza di passi in cui l’autore conosce l’esito della guerra e altri in cui pare ignorarlo. Ciò sta in forte rapporto con il fatto che si tratta di un lavoro incompiuto, con molte stesure provvisorie. I passi più legati a una prima stesura si addensano nei primi quattro libri. La descrizione della peste e alcune digressioni paiono rifarsi a una descrizione distesa dei primi anni di guerra come se essa dovesse considerarsi chiusa con la pace del 421, benché alcune sezioni contengano riferimenti alla vera conclusione del conflitto. Vi è inoltre l’ipotesi che TUCIDIDE abbia reso pubbliche singole sezioni del suo lavoro attraverso letture. Che poi TUCIDIDE non amasse questa modalità di fruizione non impedisce che abbia dovuto sottoporvisi. Aleatorio pare ogni tentativo di utilizzare le eventuali diverse fasi compositive per ricercare presunti percorsi evolutivi nella prospettiva storica dell’autore, indicando numerosi ripensamenti, cambi di indirizzo o di lettura dei fatti, in una messa a fuoco lenta e progressiva della prospettiva. Si coglie nel discorso storico di TUCIDIDE una complessiva unità e coerenza nell’intento, nella prospettiva generale, nella struttura, nelle tematiche,… IV) “Ktèma es aièi”: la scelta di TUCIDIDE La questione tucididea pone un problema: quanto abbia influito su di lui l’uso del medium della scrittura nelle opzioni compositive e nella organizzazione del lavoro, e quali conseguenze abbia avuto sulla prevalente destinazione dell’opera. TUCIDIDE sa che la rinuncia a ogni concessione al diletto (“hedonè”) della narrazione e agli elementi che ne enfatizzano il fascino (“mythòdes”, fascinazione affabulatoria) inibirà in gran parte, che caratterizzava la ricezione acroamatica (si dice degli scritti di Aristotele costituiti da lezioni destinate esclusivamente ai discepoli) dell’opera storica e che ERODOTO sapeva con maestria suscitare nell’uditorio. Ma vi contrappone la nozione di utilità come perno della sua opera. Sottrarsi alle regole della fruizione acroamatica dell’opera rappresentava un’innovazione che ridefiniva il rapporto tra storico e pubblico. Superando la durata effimera delle performances, egli intende fornire un’acquisizione che duri nel tempo. La sua scelta non si prestava ad allettare un pubblico che non fosse mosso da interessi simili a quelli dell’autore. Il destinatario principale sembra individuato dalla scelta tucididea: in questo senso non è imprudente affermare che egli selezioni il potenziale, un uditorio in grado di apprezzare la capacità dello storico di scoprire e trasmettere un senso universale dietro gli eventi che innervano la narrazione. - scruta i sintomi dei vissuti storici, ne ricerca le cause strutturali; - gli è estraneo il principio di confronto sia orale che testuale delle fonti: fornisce la propria esegesi senza possibilità di scelta da parte del lettore, al contrario di ERODOTO; - il principio della “guerra di tutti contro tutti”, del “ogni uomo è lupo ad ogni uomo” che Hobbes esplicita nel Levitano trae uno dei suoi riferimenti fondamentali dall’opera di TUCIDIDE => funzione educativa della storia. // CAPITOLO 6 – Senofonte e il IV secolo I) Introduzione Le opere storiche di SENOFONTE si sono conservate tutte e per intero. Egli doveva la sua fortuna nell’antichità al suo stile e alla fama di allievo di Socrate, che per la sua statura di storico. Per quanto riguarda la storiografia greca del IV secolo sono presenti ampie e irrimediabili lacune e il carattere frammentario di quanto possediamo che si sono trasformate negli studi in implicito criterio per una valutazione di tipo qualitativo dell’apporto di singoli storici all’interno della storiografia greca, che riparte da TUCIDIDE, ne riconosce l’alto magistero e lo continuo. Al tempo stesso però, molto della sua riflessione e dei contribuiti metodologici più profondi non sempre pare recapito. L’invenzione sofistica della scuola di retorica trova nel IV secolo la sua massima fioritura, il sapere storico e il metodo storiografico passano attraverso questo filtro, che comprende anche le scuole di filosofia. Ciò diventa particolare con Isocrate: la riflessione sulla storia aveva un ruolo importante nel pensiero e nell’insegnamento del retore. Tale situazione si tradusse in una maggiore attenzione, da parte dello storico a fattori stilistici e agli aspetti letterari. Non meno importante il ruolo delle scuole filosofiche come punto di riferimento nella cultura di alcuni storici. II) SENOFONTE II/1) La vita Nasce ad Atene introno al 430, in una famiglia appartenente al ceto dei cavalieri e nella cavalleria inizierà la sua carriera militare. Riceve un’educazione raffinata, entrando in relazione con Socrate. Schierato dalla parte degli oligarchici, si trova costretto ad allontanarsi da Atene nel 403. Nel 401 già gravita nella sfera d’influenza di Sparta: partecipa alla spedizione dei Diecimila che doveva aiutare Ciro il Giovane contro Artaserse II. Nel 396 è ancora in Asia Minore a fianco del re spartano Agesilao. Ciò gli frutta l’esilio da Atene. Segue un periodo di venti anni a Scillunte, presso Olimpia. La sconfitta spartana a Leuttra (371) lo obbliga a trasferirsi a Corinto, dove probabilmente morì. Nell’ultima parte della sua vita si verificò il riavvicinamento con Atene. SENOFONTE scrisse molto e su molti temi: + arte militare e cavalleria: “L’EQUITAZIONE”, “IL COMANDANTE di CAVALLERIA”,… + tematiche economiche: “ECONOMICO”. “ENTRATE”,… + opere biografiche: “AGESILAO”, “IERONE”, “CIROPEDIA”,… + memorie socratiche: “MEMORABILI”, APOLOGIA di SOCRATE”, “SIMPOSIO”,… + opere storiche: “ELLENICHE”, “ANÀBASI”,… II/2) Le ELLENICHE Nelle “ELLENICHE”, Senofonte racconta, in sette libri, la storia della Grecia dal 411 al 362. - LIBRI (I – II 3.9) = ultimi anni della Guerra del Peloponneso (narrazione annalistica); - LIBRO (II) = Trenta Tiranni e il ritorno della democrazia ad Atene; - LIBRO (III) = eventi del 401 al 395, campagne spartane in Asia; - LIBRO (IV) = Guerra di Corinto; - LIBRO (V) = Pace del Re (386) - LIBRI (VI – VII) = declino di Sparta, ascesa di Tebe, battaglie di Leuttra e Mantinea L’opera inizia nel momento in cui si interrompe la narrazione delle “STORIE” di TUCIDIDE. La dipendenza dal modello tucidideo è chiara soprattutto nella parte iniziale: manca un vero e proprio proemio. Poi si pongono come elementi di continuità il tono impersonale e l’organizzazione annalistica: inoltre è deducibile un atteggiamento filo-ateniese. Dopo la fine della guerra l’organizzazione cronologica è meno precisa, il tono si fa più personale, quasi memorialistico, prospettiva filo-laconica. Queste difformità hanno alimentato il dibattito sulla “questione senofontea”, in cui ha prevalso l’atteggiamento analitico. Luciano Canfora ha ipotizzato che Senofonte abbia usato per i primi due libri materiale inedito di TUCIDIDE. L’asse della narrazione dal terzo libro in poi è fornito principalmente dalla storia militare di Sparta: le lacune principali appaiono dettate da una selezione non disinteressata del materiale. La sconfitta spartana a Cnido (394) è ricordata in breve, non si pronuncia sui success dell’ateniese Timoteo e manca qualsiasi riferimento alla costituzione della Seconda Lega Marittima di Atene. In quest’ottica può risultare istruttivo il confronto con altre versioni di altri storici. Nella visione della storia di SENOFONTE, quando le vicende umane arrivano a un crocevia, decisivo, lì bisogna scorgere la manifestazione e l’operato di forze sovraumane. Le trame più profonde della storia tornano ad essere determinate dal volere degli dei, dalla loro benevolenza o dalla loro ira. SENOFONTE si mette sulle trace di TUCIDIDE, ma sul livello più profondo del ragionamento storico, dell’individuazione delle cause degli avvenimenti, non vuole seguirlo. Si ha un ritorno ad una visione della storia come determinata da una dialettica fra mondo umano e mondo divino. Le “ELLENICHE” vanno viste come una precisa ed efficace descrizione di battaglie e tattiche. II/3) L’ANÀBASI Possiamo considerare l’”ANÀBASI di CIRO” come capostipite di un genere letterario a metà strada tra storia e autobiografia: il memoriale di guerra. SENOFONTE in sette libri narra le vicende fra il 401 e il 399 dei mercenari greci arruolati da Ciro il Giovane. Anàbasi indica il percorso verso l’interno dell’Asia, ma questa fase occupa solo la parte iniziale del primo libro. - LIBRO (I) = arruolamento dell'armata da parte di Ciro, marcia verso Babilonia e battaglia di Cunassa; - LIBRI (II-IV) = lunga ritirata verso il Mar Nero; - LIBRI (V – VII) = la figura di SENOFONTE assume ancora più rilievo, rapporti con le colonie greche del Mar Nero, la storia termina con il ricongiungimento con l’esercito di Tibrono Il racconto è aperto a sollecitazioni e all’influsso di generi letterari diversi, conferendogli caratteristiche storiografiche peculiari. Lo storico in alcuni frangenti si fa anche etnografo incuriosito dall’incontro con popolazioni barbare. Narrazione dal tono molto partecipe. Si ritrova il gusto del ritratto già presente nelle “ELLENICHE”. Nel tono diaristico va individuato anche un intento apologetico rispetto ad altre narrazioni di quegli eventi, oppure un desiderio di riscattarsi davanti agli Ateniesi che lo avevano bandito. SENOFONTE fece circolare l’opera con lo pseudonimo di Temistogene di Siracusa, parlando di sé in terza persona. Pare probabile che la stesura definitiva dovette avvenire non pochi anni dopo la spedizione. II/4) Le altre opere + “AGESILAO” = frutto della particolare devozione di SENOFONTE per il re spartano è questo scritto biografico- encomiastico, in cui si esaltano le maggiori imprese militari, in un impostazione retorica; + “COSTITUZIONE degli SPARTANI” = trattazione con toni encomiastici della storia della nascita e dello sviluppo dello stato spartano, con attenzione alla costituzione licurgica e ad aspetti politici, militari e pedagogici. Non vengono risparmiati biasimi e critiche; + “CIROPEDIA” = opera assai originale al cui centro è posta la figura (mitizzata) del fondatore dell’impero persiano: Ciro il Grande. L’intento dell’autore nel ricostruire gli anni giovanili, la vita e le imprese è di natura moralistica e pedagogica, non tanto storica III) La storiografia di IV secolo III/1) CTESIA di CNIDO Nacque a Cnido, costa meridionale dell’Asia Minore nella seconda metà del V secolo. Fu avviato alla professione di medico e trascorse tutta la vita sotto l’influenza dell’Impero Persiano e fu medico della regina, oltre ad avere incarichi diplomatici. + “STORIE PERSIANE” (“PERSIKÀ”) = 23 libri dove narra le vicende di Persiani, Assiri e Medi fino al 398; + “INDIKÀ” = un libro sull’India; + “PERÌPLOUS” o “PERÌODOS” (“DESCRIZIONE della TERRA) = opera geografica in tre libri; + “SUI TRIBUTI d’ASIA” = opuscolo di carattere economico Della produzione di CTESIA ci sono giunti una cinquantina di frammenti, con atmosfere di tipo erodoteo: l’elemento straordinario e favoloso riceve notevole spazio e spesso l’autore indulge al gusto per l’esotico. Già nell’antichità non godeva di buona fama e venivano mosse critiche sulla veridicità e al suo stile enfatizzante. È giusto però riconoscerne la vivacità e l’originalità, insieme agli aspetti stilistici. III/2) Le “ELLENICHE” di Ossirinco Due papiri rinvenuti ad Ossirinco (1906/1934) hanno restituito 20 pagine di narrazione storica con la descrizione di eventi del 407/6 e del 396/5, fornendo dati altrimenti sconosciuti. Particolare è la qualità della narrazione: modo di esporre impersonale, organizzazione della materia in campagne militari estate/inverno, importanza dell’osservazione diretta e alla affidabilità delle fonti. Questi elementi richiamano TUCIDIDE, che viene menzionato. Plausibile la paternità di TEOPOMPO e di CRATIPPO di ATENE (altro continuatore dell’opera tucididea). III/3) EFORO di CUMA Poche notizie sulla sua vita: nacque a Cuma (Eolide) intorno al 400, poi si trasferì ad Atene, dove fu allievo di Isocrate. Rifiuta l’invito a seguire la spedizione di Alessandro in Asia. La sua opera sono i 29 libri di “STORIE” che coprivano il periodo dal ritorno degli Eraclidi fino agli inizi del regno di Filippo II di Macedonia. Il figlio scrisse il trentesimo libro, dedicato al periodo 357-346. Dell’opera rimangono 230 frammenti. Caratteristica è la scelta di raccontare la storia della Grecia a partire da un lontano passato, con una visuale spaziale molto allargata. Già POLIBIO vedeva in EFORO il primo scrittore di storia universale. Particolare la scelta di escludere l’età mitica. L’organizzazione della materia era per temi e blocchi omogenei di narrazione. Atteggiamento di critica razionalistica, nutrendo sospetti per indagini che vogliono risalire troppo indietro nel tempo. È interessante vedere come il fondatore della storiografia retorica sapesse difendere la storia e le sue finalità dagli abusi che poteva farne una retorica di second’ordine. Egli cercava di epurare la storia da ogni elemento che non fosse strettamente finalizzato alla comprensione delle sue dinamiche e leggi interne. Importantissimo il ruolo che ebbe la retorica per EFORO: secondo POLIBIO la sua opera è ammirevole per lo stile, la composizione e l’elaborazione. Le critiche si focalizzano sulla ricorrenza di errori, incongruenze nelle descrizioni, scarsa propensione al controllo autoptico. III/4) TEOPOMPO di CHIO Nacque intorno al 380 sull’Isola di Chio da una famiglia agiata e politicamente in vista. Fu discepolo di Isocrate. Viaggiò molto in Grecia e Macedonia. Molto controversa è la data dell’esilio per laconismo. Nel 324 poté far ritorno in patria, ma dopo la morte di Alessandro fu nuovamente allontanato e si rifugia in Egitto. Carriera di retore e vasta produzione storiografica. Le suo opere principali sono le “ELLENICHE” e le “STORIE di FILIPPO” o “FILIPPICHE” (“PHILIPPIKÀ”). + “ELLENICHE” = rimangono una ventina di frammenti e scarsissime citazioni. Continua l’opera tucididea, narrando le vicende della Grecia dal 411 al 394, fino alla battaglia navale di Cnido, che doveva apparire come il fallimento dell’ambizione spartana di un’egemonia sull’Egeo. + “FILIPPICHE” = per la prima volta si mette al centro di una narrazione la personalità di un singolo individuo. Opera in 58 libri che coprono tutto il regno di Filippo (359-336), ma viene affrontata anche la storia generale dei Greci, ma anche di Persiani, Traci, Illiri,… ma sempre in funzione della vicenda di Filippo. L’autore si indirizza su una formula diversa a quella tucididea, ormai non più funzionale alla descrizione di una realtà assai mutata, che gli permette di allargare il campo di osservazione a fenomeni al di là dell’ambito politico e militare: rinnova Erodoto, utilizzando aneddoti, descrizioni di uomini e paesi, con ritratti spesso foschi e caricaturali. È presente anche una sezione sulla storia antica del Peloponneso. La parte fondante dell’opera rimane la figura di Filippo (~15 libri), con le sue imprese militari e politiche: TEOPOMPO esordisce affermando che realizzò quest’opera perché l’Europa non aveva mai prodotto un uomo come Filippo. Ma l’autore ricorda anche i difetti del sovrano, facendo emergere un ritratto ricco di luci e ombre. È qui all’opera il lavoro di approfondimento psicologico, la volontà di ricerca nella sfera delle passioni. Emergono con chiarezza la vivacità dello stile e l’atteggiamento moralistico. L’arte del ritratto e la ricerca degli aspetti psicologici sono i nuclei fondamentali e caratteristici del metodo di TEOPOMPO, ma bisogna considerare anche la sua formazione retorica che certamente ha contribuito a sviluppare un’attenzione all’espressività stilistica ma anche allo studio della caratterizzazione dei personaggi. III/5) ANASSIMENE di LAMPSACO I rapporti tra storiografia e retorica trovano una testimonianza peculiare nell’opera di ANASSIMENE. L’educazione del IV secolo passava attraverso le scuole retoriche o filosofiche: da tali strumenti nasceva la capacità di creare un prodotto stilisticamente rifinito. Ma giocavano un ruolo centrale anche gli elementi che permettevano di soddisfare la necessità dimostrativa e persuasiva del testo. ANASSIMENE fu retore, logografo, storico, critico e poeta. Nacque a Lampsaco intorno al 380, ma la formazione si compì ad Atene, seguendo il cinico Diogene. Strettamente legato alla monarchia macedone e personalmente a Filippo e Alessandro. Molti aspetti della sua vita rimangono oscuri, anche per una certa ambiguità che circondano le sue vicende e il suo carattere. Di sicuro non era uomo d’armi: la sua esperienza era legata al suo ruolo di retore. È difficile attribuire con certezza le opere di ANASSIMENE: + “TRIKARANOS” = opuscolo scritto nello stile dell’odiato TEOPOMPO, maldicenze contro Atene, Sparta e Tebe; + “La RETORICA ad ALESSANDRO” = manuale di retorica, redatto per il giovane Alessandro, giunto a noi per intero. Importante per comprendere come l’interesse storico entrasse nell’orizzonte degli oratori; + “ELLENICHE” = in 12 libri, iniziavano, secondo DIODORO SICULO, dalla prima stirpe degli uomini per giungere fino alla battaglia di Mantinea. Si tratta perciò di storia universale, la prima elaborata in Grecia: la storia antica era ricostruita secondo un metodo indiziario. Probabilmente precedette EFORO. Inserisce alla maniere tucididea discorsi nella sua narrazione; + “STORIE di FILIPPO” = almeno 8 libri; + “STORIA di ALESSANDRO” = probabilmente faceva parte delle “STORIE di FILIPPO” come opera unica. Nel raccontare le vicende e le figure dei re macedoni pare chiare che lo storico vi vedesse il segno di una nuova epoca. La storia contemporanea di ANASSIMENTE si avvale del favore di cui godeva nella corte di Pella, potendo contare sulla conoscenza diretta dei sovrani. Storia contemporanea, del passato e universale si affiancano nella sua attività. La capacità di ANASSIMENE di assimilare passato e presente nella prospettiva storiografica rappresenta il suo maggiore contributo alla comprensione delle vicende del suo tempo. III/6) Gli attidografi Le trattazioni sul culto e sul mito, sulla topografia, sulla storiografia locale ebbero notevole fortuna nel IV secolo nella zona di Atene e dell’Attica. CLIDEMO = secondo Pausania fu il più antico di quanti hanno scritto storie locali di Atene. La sua “ATTHÌS” era in quattro libri, dedicati in buona parte alla storia delle origini, ma non è chiaro fino a che anno arrivasse la narrazione. Attenzione particolare ad aspetti mitici e rituali. ANDROZIONE = fu allievo di Isocrate, partecipò alla vita militare e politica, ma venne esiliato e trovò rifugio a Megara. Scrisse una “ATTHÌS” in 10 libri (dalle origini al 344), che sarà la fonte di ARISTOTELE e di FILOCORO. FILOCORO = nato verso il 340, sostenne l’alleanza di Atene con Tolomeo II e Sparta in funzione anti-macedone. Nel 262/1 venne condannato a morte per ordine di Antigono Gonata. Scrisse 27 opere: “SULLA TETRAPOLI”, “SUI MISTERI ad ATENE”, “SULLA FONDAZIONE di SALAMINA”, “SUI POETI TRAGICI”, “SU EURIPIDE”, “SULLE OFFERTE”, “SULLE FESTE”… Aspetto caratteristico dell’autore: attitudine alla ricerca e alla sistemazione, con un influsso della scuola peripatetica. Con la “RACCOLTA delle ISCRIZIONI ATTICHE” rivela la consapevolezza del valore di questi documenti. L’”ATTHÌS” è strutturata in 17 libri, ma è rimasta incompiuta. Andava dall’età mitica fino ad Antioco I, con uno ritmo annalistico e uno stile sobrio. FILARCO di ATENE = vive nel corso del III secolo + “STORIE” = 28 libri, dalla morte di Pirro (272) fino a quella del re spartano Cleomene (220). Continuatore di IERONIMO e DURIDE, con quest’ultimo condivideva la concezione della storia e le scelte formali. => rappresentante della storiografia drammatica e sensazionalistica, nutre una predilezione per questi elementi, per la costruzione di scene, che scuotono e commuovono il lettore => ci sono pervenuti solo 60 frammenti. Fu utilizzato da PLUTARCO, ATENEO,…. DIILLO di ATENE = continua la tendenza tragica + “STORIE” = 26 libri pubblicati nella prima metà del III secolo, coprendo le vicende di Grecia e Sicilia dal saccheggio di Delfi (357/6) fino alla morte di Cassandro (297) => integrazione e seguito dell’opera di EFORO. Viene utilizzato da DIODORO I/4) La storiografia d’Occidente e TIMEO IPPI di REGGIO = primo a scrivere una storia della Sicilia, al tempo delle Guerre Persiane + “KTÌSEIS” (“FONDAZIONI di CITTÀ”), “STORIA della SICILIA” in 5 libri, “ANNALI” in 5 libri, “STORIA dell’ARGOLIDE” in 3 libri => assenza di menzioni in DIODORO, STRABONE, PAUSANIA, DIONIGI,… ANTIOCO di SIRACUSA = citato da STRABONE e DIONIGI, contemporaneo di TUCIDIDE + “STORIA della SICILIA” in 9 libri che giunge fino al congresso di Gela (424) + “PERÌ ITALÌAS” (“SULL’ITALIA”) => ricerca di attendibilità e chiarezza nella narrazione degli eventi FILISTO di SIRACUSA = nato intorno al 430, sostenitore di Dionisio, esiliato nel 386, sfrutta l’esilio per scrivere => figura più rappresentativa della storiografia occidentale del IV secolo = personaggio di spicco nella vita politica, incarichi militari => menzionato da DIODORO e PLUTARCO, criticato per la sua posizione filo-tirannica + “STORIA della SICILIA” (“SIKELIKÀ”) = i primi 9 libri arrivano fino al 406, i successivi 4 trattano di Dionisio I e gli ultimi 2 di Dionisio II TIMEO di TAUROMENIO = nacque verso il 350, viene esiliato da Agatocle e si trasferì ad Atene. Rientra sotto Ierone II. => narra vicende fino al 264. Si occupa con gran cura di cronologie, con lavori di confronto + “CHRONIKÀ” = lista dei vincitori olimpici + “STORIA della SICILIA” = in 38 libri di cui ci sono pervenuti 164 frammenti, giunge fino alla morte di Agatocle (289). => Genealogie, fondazioni, migrazioni, connessioni tra miti, excursus dedicati alla Grecia, al mondo italico e a Cartagine => utilizzata da alessandrini e poeti romani + “PYRRHIKÀ” = campagne di Pirro in Italia e in Sicilia, fino allo scoppio della I Guerra Punica => interesse per Roma (primo fra gli autori greci) => l’indagine storica era per TIMEO una tensione alla ricerca della verità => personaggio di cultura ampissima, con interessi geografici, etnografici => critiche ad OMERO, TUCIDIDE, ARISTOTELE, CALLISTENE, TEOPOMPO, partendo da questioni metodologiche, condizionandone la sua obiettività, insieme ad un atteggiamento anti-tirannico, un gusto per gli eventi straordinari. => severo giudizio di POLIBIO, per lui era un erudito bibliofilo che elaborava sulla base delle documentazione letteraria => oggi si pone in luce l’originalità e la profondità del suo pensiero storico, che comprese la minaccia costituita da Cartagine e segnalò l’emergere di Roma I/5) Nuovi orizzonti: storiografia relativa a popoli non greci L’interesse per i popoli non greci non è una novità dell’età ellenistica. Ma la dimensione universale raggiunta dall’impero di Alessandro aprì alla cultura dell’epoca prospettive più ampie. ECATEO di ABDERA + “AIGYPTIAKÀ” (“STORIA dell’EGITTO”) = secondo lavoro greco del genere, fonte principale di DIODORO => sezioni di cosmologia e teologia, geografia, usi, costumi => visione decisamente positiva e idealizzata dell’Egitto, indicato come punto di origine di tutte le culture => istituzioni egizie viste come modello ideale della monarchia moderata => forte impronta filosofica-pedagogica MANETONE di SEBENNITO = vive sotto il regno dei primi due Tolomeo + “AIGYPTIAKÀ” = opera in greco che interessò cronografi d’età cristiana, ma che subì numerose manipolazioni => distinzione della storia egiziana in Alto, Medio e Nuovo Regno => l’autore sostiene di aver utilizzato documentazione locale in geroglifico => finalità e origini diverse dall’opera di ECATEO BEROSSO di BABILONIA = contemporaneo di Alessandro + “BABYLONIAKÀ” O “CHALDAIKÀ” (“STORIA BABILONESE”) = tre libri, basata su documentazione locale MEGASTENE = vissuto tra il 350 e il 290, operò al servizio di Seleuco I e fu ambasciatore in India + “INDIKÀ” = originariamente in 3/4 libri, conservati tramite rielaborazioni di DIODORO, ARRIANO, STRABONE… => si occupa di geografia, flora e fauna, usi e costumi, istituzioni => utilizza sia osservazioni dirette sia informazioni indirette => fama di inattendibilità a causa dell’attenzione verso fatti incredibili non interamente giustificata AGATARCHIDE di CNIDO = operò nella prima metà del II secolo ad Alessandria d’Egitto, viene usato da DIODORO SICULO + “STORIA dell’ASIA” in 10 libri, “STORIA dell’EUROPA” in 49 libri + interessi etnografici: “SUL MAR ROSSO” in 5 libri I/6) Uno sguardo verso Roma La presenza di Roma nella tradizione mitologica greca si coglie già in ANTIOCO ed ELLANICO. TEOPOMPO dava notizia della discesa dei Galli in Italia e della presa di Roma. CLITARCO menziona un’ambasceria romana presso Alessandro. FILINNO di AGRIGENTO = narra la I Guerra Punica, ma viene criticato da POLIBIO per il fatto di essere antiromano SILENO di CALATTE e SOSILO di SPARTA = trattano le vicende della II Guerra Punica, facevano parte del seguito di Annibale. POLIBIO considera i loro lavori non opere storiche, ma chiacchiere. La critica modera ha rivalutato le loro capacità per quanto riguarda i fatti militari QUINTO FABIO PITTORE = membro di una famiglia patrizia, partecipò alla II Guerra Puniche + “STORIA di ROMA” = si estendeva dalla fuga di Enea da Troia fino al suo presente => usa come fonti FILINNO e TIMEO, la tradizione orale e documentazione pubblica => fornisce un’immagine positiva della politica romana CINCIO ALIMENTO = visse all’epoca della II Guerra Punica, fu pretore in Sicilia nel 210. Sostiene di essere stato prigioniero dei Cartaginesi e di aver avuto colloqui con Annibale. Seguiva il modello indicato da FABIO PITTORE II) POLIBIO di MEGALOPOLI II/1) La vita La vita e l’opera di POLIBIO sono strettamente legati alle vicende e ai mutamenti in corso in Greci fra III e II secolo. POLIBIO nacque a Megalopoli intorno al 205, quando la città faceva parte della Lega Achea e la sua figura di spicco era Filopemene, abile diplomatico e amico del padre di POLIBIO. Crebbe all’interno delle élites politiche, fu ipparco, capo della cavalleria durante la III Guerra Macedonica (169/8). Ciò gli costò la deportazione in Italia. L’atteggiamento tiepido verso Roma è stato spiegato come conseguenza della linea politica seguita da POLIBIO. A Roma fu accolto nel circolo degli Scipioni e divenne amico dell’Emiliano. Ciò gli consentì di osservare all’interno pensiero e costumi del mondo romano. Compì viaggi in Spagna, Gallia, Nord Africa (III Guerra Punica). Dopo la distruzione di Corinto tornò in patria, dove collaborò con la commissione senatoriale che doveva ristabilire ordine e pace. Morì a 82 anni II/2) Le opere + opera giovanile, interamente perduta, uno scritto encomiastico in tre libri su Filopemene + “TAKTIKÀ”, “SULL’ABITABILITÀ della ZONA EQUATORIALE”, “SULLA GUERRA di NUMANZIA” = perduti ma ricordati da POLIBIO o dalla tradizione + “STORIE” = degli originali 40 libri (una delle trattazioni più vaste della storiografia greca) ci sono pervenuti per intero solo i primi 5. Per il resto abbiamo frammenti di difficile collocazione => il Proemio contiene indicazioni programmatiche: l’autore intende raccontare come Roma sia riuscita a sottomettere l’intera ecumene => il racconto copre il periodo fra la CXL Olimpiade (220-216) fino alla vittoria a Pidna contro Perseo (168) => POLIBIO premette alla narrazione una “prokatskeuè”, un’introduzione storica che copre i primi due libri e gli anni 264-220, riallacciandosi all’opera di TIMEO => l’inizio vero e proprio è il proemio del III libro, dove l’autore ci informa sulla struttura della narrazione e segnala un estensione del progetto fino al 146, ossia fino alla distruzione di Cartagine e di Corinto - LIBRI (III-V) = eventi in Italia e in Grecia fino alla battaglia di Canne - LIBRO (VI) = dedicato alla teoria delle costituzioni, dove spiega la natura della costituzione romana e i motivi dei successi e della grandezza di Roma, affermando che esistono 6 tipi di costituzioni e traccia uno schema di evoluzione ciclica chiusa, detta anaciclosi (monarchia > tirannide > regime aristocratico > oligarchia > democrazia > oclocrazia, anarchia). La superiorità della costituzione romana sta nel fatto di essere mista - LIBRO (VII) = POLIBIO torna alla narrazione, dal 215, con un ritmo annalistico, da cui si discosta di rado - LIBRI (VII-XXIX) = narrazione fino alla vittoria su Perseo - LIBRO (IX) = nel prologo si ha l’indicazione di diversi tipi di storiografia (genealogie, fondazioni…) - LIBRO (XII) = lunga polemica contro TIMEO e CALLISTENE - LIBRI (XXX-XL) = prosegue la narrazione fino al 145 II/3) Attività storiografica e composizione delle STORIE La composizione delle “STORIE” avviene dopo il 168, ma è difficile individuare le varie fasi redazionali. È un dato acquisito che l’opera fu concepita in tempi diversi, che fu cioè modificata sotto la spinta di eventi inattesi. Ciò si evince da una mancata revisione globale, in quanto non c’è omogeneità nei contenuti. Il proemio non reca tracce dell’interesse per l’evoluzione dell’imperialismo romano, maturato in seguito alla stesura. In alcuni punti dell’opera si fa riferimento a Cartagine come città ancora esistente. Una prima fase di ideazione e composizione viene individuata nel soggiorno romano, mentre una nuova fase di ideazione e composizione viene individuata nel soggiorno romano, mentre una nuova fase risentirebbe delle riflessioni sull’imperialismo post III Guerra Punica e distruzione di Corinto. Rimane dubbio se gli ultimi 10 libri abbiano cominciato a prender forma con il ritorno in Grecia. L’immagine che emerge dagli studi è quella di uno storico che infaticabilmente osserva e annota fatti e impressioni e che non esita a tornare indietro per apportare modifiche o aggiunte. Alcune parti fanno pensare al rimaneggiamento e l’inserimento nella storia universale di un’opera prima concepita come autonoma. Le informazioni e le impressioni raccolte durante i viaggi polibiani causarono anche un mutamento nella concezione globale della geografia (topografia urbana, grandi regioni naturali). Sono ampie le discussioni suscitate dal VI libro. La sua centralità nella riflessione politica dello storico è indiscussa, ma non è chiaro se sia il frutto di una visione compiuta e unitaria o se rispecchi stratificazioni diverse. Il cambiamento nel pensiero di POLIBIO può esser visto come il riflesso dei moti graccani. Pare difficile ritenere che proprio un libro così centrale possa essere sfuggito a rimaneggiamenti. II/4) Il metodo storico: teoria e pratica storiografica in POLIBIO POLIBIO è lo storico greco che con maggiore sollecitudine spiega la sua concezione della storia e le sue convinzioni metodologiche. La storia ha per il nostro autore un fine essenzialmente educativo, il suo scopo è l’utilità pratica, utilità per gli uomini politici. Per questo la scelta tematica si è orientata verso gli avvenimenti più recenti. Definisce il suo tipo di storiografia con “pragmatikè” (pragmatica) e “apodeiktikè” (dimostrativa). Il primo termine richiama l’idea di utilità pratica. Il suo carattere universalistico, la sua estensione spaziale viene giustificata con il fatto che le vicende orientali e occidentali si erano unite sotto Roma. Il secondo termine si riferisce al modo in cui si sviluppa il racconto storico; trattazione ampia, ricerca e analisi delle cause, tanto da assumere talvolta l’andamento di una dimostrazione, comparazione. POLIBIO riassume in tre punti i fattori su cui si basa la storiografia pragmatica: - esame e confronto delle testimonianze finalizzato all’indagine delle cause; - accurata conoscenza dei luoghi; - pratica della vita politica Se la ricerca delle cause occupa un ruolo centrale nella concezione polibiana, i risultati cui giunge nella sua indagine sono stati considerati spesso insoddisfacenti dalla critica moderna. Per POLIBIO le cause prossime di un conflitto s’identificarono spesso con il percorso mentale e le scelte politiche dei protagonisti e quelle remote della storia passata. Nella sua ricerca, un posto privilegiato è riservato all’autopsia, ma pone un’ulteriore condizione: essere testimoni dei fatti non è sufficiente se poi non si è in grado di valutarli. Per questo è fondamentale l’”empeirìa”, l’esperienza. Scrivere di storia non è per POLIBIO un fatto di pura tecnica, è un problema di atteggiamento etico di fronte alla verità, quell’atteggiamento che nasce dall’esercizio della vita attiva e dell’integrità morale. È opinione diffusa che POLIBIO avesse accesso ad archivi romani e della Lega Achea, ma si preferisce l’ipotesi che si servisse soprattutto di informazioni proprie, di esuli di ambasciatori greci e politici romani. Per l’oriente greco attinse certamente ad ARATO e a FILARCO, ma è difficile distinguere i contributi per la riconosciuta parzialità polibiana. Un posto di rilievo le hanno le conoscenze geografiche e topografiche e del loro valore storico, di cui si era reso conto durante i numerosi viaggi. Di tale consapevolezza sono riflesso i numerosi excursus presenti nell’opera di diverse zone. Ma gli interessi dello storico tradiscono anche in questo campo un’origine e una finalità pratiche. + “PERIPLO del PONTO EUSINO”, “TATTICHE” (tecniche militari greche e romane), “SCHIERAMENTO CONTRO gli ALANI” (strategia da adottare per la difesa della Cappadocia) + “ANABASI di ALESSANDRO” = opera maggiore, in 7 libri, riprende lo stile di SENOFONTE e tratta la spedizione in Oriente basandosi su fonti autorevoli. Se ne occupa non per il suo significato di fine dell’epoca classica, quanto per il suo carattere di impresa senza eguali => un rapporto ambiguo quello tra i Romani e Alessandro Magno: creatore dell’unico organismo politico comparabile all’impero, ma era stata anche una creazione effimera, dissoltasi senza lasciare durevoli istituzioni. Per generali e imperatori era un modello da emulare, senza generare un vero complesso di inferiorità => la tesi tradizionale assegna la composizione al periodo più maturo, intorno al 130 + “INDIKÈ” = complemento dell’”ANABASI”, di imitazione erodotea, scritta in ionico, note etnografiche, narrazione del viaggio di Nearco dall’Indo + “BITHYNIKÀ” (storia della Bitinia in 8 libri fino al 74 a.C.), “FATTI DOPO ALESSANDRO” (storia sui Diadochi incompiuta), “PARTHIKÀ” (17 libri sulle guerre partiche e sui Parti in generale) = ne possediamo frammenti + opere giovanili su Timoleonte e Dione di Siracusa VII) APPIANO Nato all’incirca sotto Traiano (~90 d.C.) ad Alessandria d’Egitto. Si trasferisce a Roma, ottiene la cittadinanza ed esercitò il mestiere d’avvocato. Fu procuratore sotto Antonino Pio (~150 d.C.). Morì probabilmente a Roma verso il 160 d.C.. Risorsa fondamentale per gli studi di storia romana. La personalità di APPIANO è sempre rimasta in secondo piano: è stato considerato un dilettante, uno storico modesto e superficiale e il suo valore è stato sempre individuato nella funzione di tramite con le fonti. + autobiografia per noi perduta + “STORIA ROMANA” = scritta intorno alla metà del II secolo d.C., parla dei 900 anni trascorsi dalla fondazione => ci è giunta parzialmente, divisa in 24 libri, ognuno con un argomento: re, popolazioni italiche, Sicilia, Africa e Cartagine, Macedonia e Grecia, Guerre Civili,… => sono superstiti i libri VI, VII (“IBERIKÈ” e “ANNIBAIKÈ”) e i 5 libri sulle guerre civili (XIII- XVII), parti del VIII, IX e XII => ripartizione della materia per popoli, struttura generale di stampo etnografica => secondo l’autore seguire la storia secondo un criterio puramente cronologico comporta il passaggio da un luogo ad un altro continuamente, mentre esaminare regione per regione permette al lettore di non rimanere disorientato e di farsi un’idea delle caratteristiche dei popoli che man mano si sono scontrati con Roma => sola fonte che ci restituisce un racconto continuo della tarda repubblica e delle guerre mitridatiche VIII) CASSIO DIONE Nato a Nicea in Bitinia verso il 164 d.C., CLAUDIO CASSIO DIONE COCCEIANO apparteneva a un’importante famiglia provinciale. Ebbe un’educazione di impronta e iniziò la carriera politica a Roma: fu anche pretore. Il periodo successivo è per noi sconosciuto. Successivamente seguì Caracalla in Oriente nel 214, fu governatore in Africa, Dalmazia e Pannonia sotto Severo Alessandro e console due volte. Come storico esordì nel 193 d.C.. + operetta sui presagi che avevano annunciato la salita al trono di Settimio Severo + “STORIA ROMANA” = 80 libri, frutto di 22 anni di lavoro. Tratta dall’arrivo di Enea fino all’epoca dell’autore (229 d.C.) => per intero ci sono pervenuti i libri XXXVI-LX (68 a.C.-46 d.C.). Conoscenza indiretta delle altre parti grazie a fonti medievali => importanza di un racconto continuo e dettagliato dell’ultima fase della repubblica e del primo impero, nonostante la perdita della parte finale => stile che insegue i grandi modelli della prosa attica (TUCIDIDE), struttura annalistica, con eccezioni drammatiche. Linguisticamente tende al purismo => fonti: LIVIO, TACITO, SALLUSTIO, CESARE, ARRIANO… IX) ERODIANO Della stesa matrice culturale e ideologica di Dione è ERODIANO, nato nel 180 d.C. in Siria. Ebbe incarichi amministrativi. Storico superficiale: gli sfuggono fenomeni come lo sviluppo del Cristianesimo e l’Editto di Caracalla. In Erodiano la cura della forma prevale sulla precisione. La narrazione non si solleva molto al di sopra di una gradevole scorrevolezza + “STORIE dell’IMPERO DOPO MARCO” = 8 libri, dalla morte di Marco Aurelio fino a Gordiano III (180-238) => articolata libro per libro secondo gli imperatori => le parti di maggior valore solo gli ultimi due libri, in particolare la sezione del VII dedicata a Massimino il Trace CAPITOLO 9 – La biografia greca. Plutarco I) Introduzione La biografia come genere letterario è il racconto della vita di un uomo dalla nascita alla morte, in cui si afferma la tendenza a valutare le realizzazioni di una persona e il suo carattere di una persona. Mentre allo storico interesserebbero le azioni, il biografo si preoccupa piuttosto del carattere di una persona. Una testimonianza esplicita della consapevolezza da parte degli autori antichi di ciò che distingue la biografia dalla storiografia va vista nelle “STORIE” di POLIBIO, quando tratta di Filopemene: ma le sue imprese vengono trattate in modo sommario e non cronologicamente. Quanto alla differenza rispetto all’encomio, a parte il criterio di una più o meno spiccata tendenza agiografica, è possibile constatare che una biografica, tendenzialmente segue il personaggio dalla nascita alla morte, mentre un encomio può lasciare nel silenzio intere fasi della sua vita. La documentazione a nostra disposizione impedisce di ricostruire in modo soddisfacente una storia della biografia: non abbiamo che l’”EVAGORA” di ISOCRATE, l’”AGESILAO” di SENOFONTE (più encomio) e la “CIROPEDIA” per il IV secolo. Per avere la prima raccolta di biografie dobbiamo aspettare l’opera in latino di CORNELIO NEPOTE (I secolo a.C.). L’unico periodo di storia della biografia, di cui conosciamo bene le opere originali, è l’impero romano: “VITE PARALLELE” di PLUTARCO e le “VITE dei DODICI CESARI” di SVETONIO. II) Le origini della biografia greca Si possono trovare spunti per una storia della biografia già nella letteratura greca arcaica: opere o sezioni il cui scopo è quello di raccontare qualcosa di un individuo isolato. Fu la figura di OMERO ad ispirare quella che è considerata la prima opera a noi nota imparentata con la biografia, e cioè uno scritto di TEAGENE di REGGIO <<sulla poesia di OMERO, sulla sua famiglia e sull’epoca>>. Un forte accento sulla personalità dovevano avere anche le opere di SCILACE di CARIANDA su Eraclide, tiranno di Milasa e di XANTO su Empedocle. IONE di CHIO + “EPIDEMÌAI” o “HYPOMNÈMATA” = delinea con vena autobiografica i ritratti degli uomini di cultura e dei personaggi politici incontrati. Ricco di elementi aneddotici STESIMBROTO di TASO = scrisse sulle figure di politici ateniesi rivolgendosi al pubblico degli Ioni d’Asia e degli altri alleati o sudditi di Atene. Tenore polemico e intriso di aggressiva partigianeria Un posto privilegiato va agli spunti biografici delle storie di ERODOTO o al ritratto di Pericle in TUCIDIDE. In contesti di questo tipo le descrizioni tendono a non avere mai valore autonomo, ma sono funzionali all’approfondimento. Questi autori arrivano per lo più dall’ambiente microasiatico, dove le tradizioni lasciavano maggior spazio alle singole personalità. III) Dal IV secolo all’età ellenistico-romana Significativa è la comparsa dell’encomio in prosa, attestata da due opere destinate ad esercitare grande influsso: + “EVAGORA” di ISOCRATE = descrive il re come modello di uomo e monarca, ma l’autore è più interessato a presentare un catalogo di virtù di una figura ideale piuttosto che una narrazione della vita + “AGESILAO” di SENOFONTE = sempre encomiastico, ma con una maggiore presenza dell’elemento biografico Un ruolo di grande importanza va attribuito alla letteratura socratica. I discepoli di Socrate videro l’attività filosofica del maestro in stretta connessione con la sua personalità e la sua vita. Alcuni studiosi hanno visto nella vita di Socrate una tappa decisiva nello sviluppo del genere biografico. La biografia greca trovò la sua forma tipica nella scuola di Aristotele. A lui e Teofrasto si fa risalire una sistematicizzazione delle virtù e dei vizi e un atteggiamento realistico che considerava le esigenze etiche nell’ambito di ciò che è possibile all’uomo prestando attenzione ai comportamenti che coinvolgono l’atteggiamento sociale. L’età ellenistica non ha trasmesso alcuna biografia completa. Quattro autori furono considerati i precursori dei biografi di età imperiale: ARISTOSSENO di TARANTO = scolaro di Aristotele, considerato il fondatore della biografia ellenistica, scrisse su Pitagora, Socrate, Platone…. Presenta i temi caratteristici del genere biografico, ma non sempre presenta giudizi equilibrati ERMIPPO di SMIRNE = attivo durante il III secolo ad Alessandria. Scrisse serie di biografie su legislatori, su Pitagora…. ANTIGONO di CARISTO = compose nella seconda metà del III secolo biografie dei filosofi attivi ad Atene ai suoi tempi SATIRO di CALLATI PONTICA = compose il “CATALOGO delle VITE”, con le vite di politici, filosofi, poeti e oratori. È il più antico esempio di biografia “professionale”, con le sue regole, strutture, funzioni… La biografia fiorì anche fra gli alessandrini, in particolare CALLIMACO, che segnò il passaggio dalla biografia peripatetica a quella alessandrina. Commenti ed epitomi richiedevano introduzioni biografiche: particolari di nascita e morte, modo di vita… È ovvio segnalare l’importanza che ricoprì la vita e la figura di Alessandro Magno che da subito ebbe i suoi biografi. E la frammentazione delle dinastie ellenistiche favorì lo sviluppo del genere. Il tipo storico erudito dedicato a letterati e uomini di pensiero ha l’esempio più insigne nelle “VITE dei FILOSOFI” di DIOGENE LAERZIO, che rielaborò con grande ampiezza la tradizione e unì la biografia con la dossografia. Nella sfera della retorica, vennero scritte serie di biografie al modo di quelle filosofiche: “VITE dei SOFISTI” di FILOSTRATO, che concede spazio anche a personalità del suo presente. Notevole fortuna ebbe anche la biografia politica: una biografia di Augusto di NICOLAO di DAMASCO e le “VITE PARALLELE” di PLUTARCO. IV) PLUTARCO e le VITE PARALLELE PLUTARCO nacque a Cheronea in Beozia intorno al 45 d.C. Studiò retorica ad Atene e fece parte dell’accademia platonica. Intraprese una carriera politica che lo portò anche a viaggiare molto e ad intrattenere con Roma un’intensa attività diplomatica, dove fu familiare dell’entourage di Traiano. Il cosiddetto “CATALOGO di LAMPRIA” attribuisce a PLUTARCO non meno di 227 opere: di queste solo 80 sono arrivate fino a noi. Perduta è la maggior parte delle vite di personaggi legati alla Beozia e di uno Scipione + “VITE PARALLELE” = coppie: Teseo e Romolo, Pericle e Fabio Massimo, Demostene e Cicerone, Dione e Bruto, Sertorio ed Eumene, Alessandro e Cesare, Pirro e Mario…. Particolare è la coppia “Arato-Artaserse” che non affianca un greco a un romano. => alla biografia di un personaggio greco si accosta quello di un romano che presenti tratti in comune => alla base c’era l’intento conciliatore di sottolineare e diffondere l’immagine di un impero greco- romano, che vedeva i Greci alla guida della vita culturale ed artistica. Alla fine l’autore offre un confronto fra i due => in quattro casi manca il confronto finale (Alessandro-Cesare) e in tre l’ordine dei personaggi viene invertito (Sertorio-Eumene) => PLUTARCO non si propone di riscrivere la storia, ma di utilizzarla ai suoi fini, in senso morale e pedagogico, perseguendo un intento educativo, caratteristico del concetto plutarcheo di biografia => la presenza di elementi negativi dei personaggi fa sì che l’opera acquisti in concretezza e sostanza => grande quantità di materiale storico nelle biografie => altro aspetto programmatico è la consapevole subordinazione del livello delle azioni a quello della rappresentazione del personaggio e del suo “èthos” => sarebbe errato sostenere che nell’opera tutto ruoti intorno al “èthos” => ben evidente la presenza divina, sottolineata da prodigi, per cui l’autore dimostra grande interesse => grande successo dal Rinascimento fino alla metà del XIX secolo PLUTARCO è stato oggetto di complesse analisi storiografiche. Fatto segno in passato di frequenti accuse, ad esempio quella di non conoscere di prima mano le fonti utilizzate e di rifarsi a raccolte di aneddoti o a manuali. Oggi si è potuto dimostrare come PLUTARCO abbia attinto direttamente dalle fonti citate, pur rimanendo indipendente da esse. Ogni analisi delle “VITE PARALLELE” sarebbe incompiuta se non tenesse conto del PLUTARCO “prosatore d’arte”: c’è una vocazione artistica in questo autore, che in parte è funzionalizzata alla ricostruzione dell’”èthos” e della storia, in parte è però autonoma. Bisogna registrare una notevole gamma di stili narrativi: aneddoti e racconto di piccoli fatti fedeli al gusto della narrazione minuta, si dimostra evocatore attento e da un certo splendore epico alle sue opere. L’eredità più ricca nelle “VITE PARALLELE” va individuata nella storiografia tragica. La forza più efficace di armonizzazione è nello stile, che il “pàthos” talvolta innalza, ma senza impennate ardite. Lo stile di PLUTARCO non è molto elaborato, prosa di un narratore artista, non di un retore. CAPITOLO 10 – Epigrafia e storia I) Le iscrizioni come fonti per ricostruire la storia greca Possediamo un’ampia massa di materiale epigrafico, che rivela aspetti della realtà antica su cui gli storici non hanno fermato la loro attenzione, ne integrano le notizie… La pratica epigrafica costituisce un tratto distintivo della cultura greca: l’enorme quantità di testi conservati con un’enorme varietà e ricchezza di informazioni fanno delle iscrizioni un patrimonio essenziale per la conoscenza del mondo ellenistico. È l’accesso più diretto alla vita, alla struttura sociale, al pensiero e ai valori del mondo antico. Contengono decreti, leggi, trattati, il linguaggio ufficiale, la terminologia, le liste dei magistrati (utili per confronti atti a determinare strutture cronologiche utili per la ricostruzione storica). Uno dei più noti e importanti codici pervenutoci, quello della città cretese di Gortina, ci è giunto per via epigrafica. Sono fondamentalmente le iscrizioni che ci parlano di accordi fra città in base ai quali un individuo poteva ricevere giustizia anche al di fuori della propria città. Non sono pochi i casi di trattati nati solo grazie al ritrovamento archeologico. Le iscrizioni possono correggere o precisare le notizie che permettono di avere una prospettiva più concreta. Una larga parte di quello che sappiamo sulla storia delle relazioni fra i re ellenistici le città si fonda su dati epigrafici. Vi sono casi in cui il testo epigrafico assume una dimensione narrativa, una breve prosa storica (decreto in onore di Callia di Sfetto), mentre in altri casi si coglie direttamente l’intenzione narrativa, come accade in un’iscrizione di Magnesia al Meandro (fine III secolo d.C.) dove si narra anche la fondazione della città.