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Riassunto "La lingua italiana. Profilo storico" Claudio Marazzini, Sintesi del corso di Linguistica Generale

Storia della lingua italiana. Origini e primi documenti dell'italiano: dal Duecento al Novecento. Quadro linguistico dell'Italia attuale.

Tipologia: Sintesi del corso

2014/2015

Caricato il 26/08/2015

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Scarica Riassunto "La lingua italiana. Profilo storico" Claudio Marazzini e più Sintesi del corso in PDF di Linguistica Generale solo su Docsity! 1 CAPITOLO 1 : storia della lingua italiana: nascita e sviluppo di una disciplina 1. la riflessione antica sulla formazione dell’italiano. IL DE VULGARI ELOQUENTIA DI DANTE La lingua italiana è una disciplina accademicamente giovane; in realtà esisteva anche prima, ma era legata ad altri studi o all’interno di altri ambiti di conoscenza: punto di congiunzione tra letteratura e linguistica. La storia della lingua aiuta meglio a comprendere la storia nazionale e testimonia lo sviluppo dell’idea di nazione. La riflessione sulla storia dell’italiano si è legata alle teorie che miravano a definire la norma dell’italiano stesso: “QUESTIONE DELLA LINGUA”. Il più antico trattato in cui vennero affrontati temi storico-linguistici è il “De Vulgari Eloquentia” che risale all’inizio del Trecento: qui si affrontano le varietà di volgare parlate nella penisola italiana e un esame della tradizione poetica della nuova lingua. Per Dante la parentela tra il provenzale, il francese e l’italiano è verificabile nella somiglianza di molte parole; il latino non è una lingua naturale, ma una creazione dei dotti. LE TEORIE DEGLI UMANISTI Una reale tradizione di studi sulla storia della nostra lingua ebbe inizio con gli umanisti della prima metà del Quattrocento che si interrogavano soprattutto sulla situazione linguistica al tempo di Roma Antica e cercavano di definire le cause che avevano portato alla fine della romanità. Secondo BIONDO FLAVIO al tempo di Roma si parlava una sola lingua, cioè il latino e questa lingua si era corrotta per una causa esterna, ossia la venuta dei popoli barbari: da questa corruzione era nato l’italiano. Per Dante, nel De Vulgari, la mutevolezza delle lingue deriva dalla maledizione babelica. LEONARDO BRUNI era convinto che al tempo di Roma antica non si parlasse un latino omogeneo, che poi si sarebbe corrotto con le barbarie, ma c’erano già due livelli di lingua:  letterario, alto  popolare, basso Dalla lingua popolare si sarebbe sviluppato l’italiano. La tesi più accreditata potrebbe essere quella che risale al Biondo. La tesi del Bruni fu reinterpretata: ipotesi di due lingue diverse e coesistenti, ossia il latino e l’italiano. ETRUSCO E TOSCANO Italiano:  originato dalle lingue barbare  originato dal latini popolare In Toscana, Giambullari sostenne che la lingua toscana era l’erede diretta dell’etrusco, infatti anche il centro geografico della civiltà etrusca veniva identificato in Toscana. LA TEORIA DEL LATINO VOLGARE IN CASTELVETRO La teoria di Bruni fu ripresa e corretta da CASTELVETRO: egli usò la definizione di “lingua latina vulgare”, per definire un’ipotesi sull’origine dell’italiano. Per lui al tempo di Roma esisteva un latino popolare che in grammatica era identico al latino vero e proprio. Le parole del latino erano sopravvissute in italiano e il volgare aveva soppiantato pian piano quello classico, influenzato da imperatori stranieri e invasioni barbariche. LA RICERCA DI DOCUMENTI EPIGRAFICI E ARCHIVISTICI: CELSO CITTADINI E LUDOVICO ANTONIO MURATORI CITTADINI fu autore del “Trattato della vera origine e del processo e nome della nostra lingua” nel 1601: egli tendeva ad escludere che le invasioni barbariche avessero avuto importanza per lo sviluppo della lingua. Intendeva verificare la tesi attraverso lo studio dei documenti epigrafici: con le lapidi si potevano conoscere meglio le fasi arcaiche della lingua latina. Il concetto di “corruzione” da parte delle invasioni barbariche perdeva la connotazione negativa. MURATORI fu uno storico; le sue opere ci hanno permesso di conoscere la storia del Medioevo. Egli desiderava trovare in Italia qualcosa di paragonabile al primo documento di lingua francese: “ IL GIURAMENTO DI STRASBURGO”, realizzato dai successori di Carlo Magno nell’842. Il Giuramento fu trasmesso da Nitardo che affermò che era scritto in lingua romana: lingua intermedia tra latino e idiomi moderni, ma fu una concezione errata. 2 Ma questa teoria della lingua intermedia condizionò per molto tempo gli studi romanzi. Muratori credeva che le lingue germaniche avessero avuto un peso determinante nella trasformazione del latino, che la lingua intermedia non esisteva e che nei documenti antichi fosse possibile rintracciare la lingua volgare. DALLA TEORIA DELLA LINGUA INTERMEDIA ALLA STORIA LINGUISTICA NAZIONALE L’ipotetica lingua intermedia fu collocata tra il latino classico e il moderno francese, la teoria fu accolta anche in Italia e accettata all’inizio dell’800 da PERTICARI, collaboratore di Monti. I suoi saggi uscirono tra il 1828 e il 1820. GRASSI, progettava un libro di storia della lingua italiana, rimasto incompiuto, legato all’ideologia nazional-risorgimentale. Egli vide nei barbari invasori, gli avversari eterni dell’Italia e gli antenati degli austriaci. RAYNOUARD, negli stessi anni, riprese questa teoria identificandola nell’’antico idioma dei trovatori e fu tra i fondatori degli studi romanzi. La storia della linguistica italiana divenne uno dei settori più importanti: Leopardi, scrisse nello Zibaldone spunti interessanti. DALLA LINGUISTICA PRESCIENTIFICA ALLA LINGUISTICA SCIENTIFICA Nella linguistica europea occuparono un posto rilevante i fratelli SCHLEGEL, che studiarono l’origine della famiglia di lingue a cui l’italiano appartiene: gruppo indoeuropeo e le lingue bastate sul confronto tra idiomi diversi. Essi distinsero la linguistica scientifica e prescientifica: la linguistica, in quanto scienza, era una disciplina appena nata e nata dal nulla. Due fasi: 1. fase prescientifica o empirica, prima degli Schlegel 2. fase scientifica moderna, dagli Schlegel in poi Nel Seicento, Saumaise e Boxkorn elaborarono la teoria scitica: si ipotizzava la parentela tra lingue europee e persiano e lo scitico era la lingua capostipite. LA RIFLESSIONE SCIENTIFICA SULLA STORIA DELL’ITALIANO AUGUST WILHELM SCHLEGEL La sua linguistica toccò anche la formazione dell’italiano. Le lingue potevano essere di 3 tipi: 1. senza struttura grammaticale: parole che non potevano essere modificate 2. ad affissi: permettevano la combinazione di composti, ottenuti mediante elementi di senso compiuto ( lingue degli indigeni d’America) 3. flessive: dotate di un sistema grammaticale strutturato, tipico degli idiomi europei. In queste lingue ogni parola è composta da una radice, modificata da un elemento privo di significato, ossia la desinenza. Mediante la desinenza si segna il genere, il numero, l’alterazione, i tempi dei verbi. Esiste un’altra distinzione, per distinguere le lingue antiche da quelle moderne:  lingue sintetiche  lingue analitiche: presenza dell’articolo, dei pronomi davanti ai verbi, degli ausiliari nei verbi, delle preposizioni. Nate dalla decomposizione delle lingue sintetiche. Trasformazione: il latino aveva i casi, ma non l’articolo e l’ausiliare ( coniugava i tempi in modo sintetico), mentre le lingue romanze hanno articolo e preposizioni. La formazione della grammatica analitica era la vera causa della trasformazione del latino, sviluppo provocato dall’influenza dei barbari e dai provinciali, incapaci di usare le desinenze e i casi del latino classico. Raynouard era convinto che la lingua romanza fosse uniforme e che solo dopo erano nate le lingue italiana, spagnole, portoghese e francese. Schlegel obiettava ciò: il concetto di lingua romana andava inteso come una pluralità di lingue locali, differenti a seconda del periodo e del luogo. 5 Dal 1989 si è avviata la “Storia della lingua italiana”, strutturata per secoli e fino ad ora sono stati pubblicati capitoli sul:  Medioevo  400  Prima metà del ‘500  Secondo ‘500 e ‘600  ‘700  2 dedicati all’800  Uno interamente dedicato al Manzoni  ‘900  Lacuna dell’unico titolo ancora in preparazione, relativo al ‘300 toscano “L’ITALIANO NELLE REGIONI” DIRETTO DA F. BRUNI PER LA CASA EDITRICE UTET Gli studiosi si posero il problema di realizzare un’opera in cui trovassero adeguato spazio le caratteristiche di una nazione come l’Italia, con la sua grande quantità di centri culturali e vivaci e con tanti dialetti entrati in contatti con la lingua nazionale. “L’italiano nelle Regioni” è stata concepita come una raccolta di monografie, ciascuna delle quali è dedicata alla storia dell’italiano in una regione della Penisola. È un volume voluminoso e con elegante veste grafica. I capitoli parlano delle regioni, ma non mancano monografie su Malta, Dalmazia, Canton Ticino e Corsica. Si è realizzato a un secondo volume dell’ “Italiano nelle regioni” e pensati una serie di volumi autonomi, ma il progetto è stato interrotto. L’opera ha portato al rifiorire degli studi a carattere regionale in maniera seria e scientifica. LA “STORIA DELLA LINGUA ITALIANA”DIRETTA DA L. SERIANNI E P. TRIFONE PER L’EDITORE EINAUDI Serianni e Trifone hanno coordinato la “Storia della lingua italiana” in 3 volumi (SLIE), con un quadro aggiornato e completo delle attuali conoscenze, una serie di monografie affidate a singoli specialisti, raggruppate secondo analoghe tematiche. 1. PRIMO VOLUME: “I luoghi della codificazione”: studi che hanno per oggetto la storia della nostra grammatica, lessicografia, grafia, teorie linguistiche, lingua letteraria. “Codificazione”, per la stabilizzazione di una norma salda e la regolamentazione della lingua 2. SECONDO VOLUME: “Scritto e parlato”: saggi sull’italiano dei semicolti ( gente del popolo, con basso grado d’istruzione), saggi sul gergo, nomi di persona, nomi di luogo( toponomastica), distinzione tra lingua parlata e scritta 3. TERZO VOLUME: “Le altre lingue”, dedicato ai più antichi documenti dei volgari italiani e una serie di profili dei volgari medievali. Vi è un’impostazione geografica regionale. È contenuto uno studio sull’uso letterario dei dialetti, sul dialetto nella scuola, nella giustizia, nella Chiesa, sull’influsso sull’italiano delle altre lingue e in ultimo sugli italiani regionali( diversi dai dialetti, perché nascono dall’incontro tra il dialetto e la lingua toscana). Si chiude con una saggio sull’italiano all’estero e uno sulle minoranze linguistiche in Italia. CAPITOLO 2: strumenti di lavoro MANUALE DI DISCIPLINE AFFINI LA FILOLOGIA ROMANZA La filologia romanza è anche chiamata “romanistica” e si occupa delle lingue derivate dalla lingua di Roma, dette neolatine o romanze ( portoghese, spagnolo, catalano, francese, provenzale, italiano). “Le origini delle lingue neolatine” di TAGLIAVINI del 1947-49, ebbe poi nuove edizioni e nuovi rimaneggiamenti, aveva una struttura adeguata alle esigenze didattiche. Si apre con:  un capitolo sulla storia degli studi dal comparativismo degli Schegel in poi, con alcuni riferimenti alla linguistica precedente, a partire dal De Vulgari Eloquentia di Dante.  Viene presa in considerazione l’Italia antica, prima dell’espansione romana, abitata da popoli che parlavano lingue italiche  Seguono capitoli che trattano le trasformazioni del latino dell’Impero Romano  Caratteristiche del latino volgare e esame degli elementi linguistici che hanno influito sulle parlate  Delineamento della formazione delle lingue romanze 6  Storia delle varie lingue romanze  Informazioni sulle lingue sorelle dell’italiano per verificare analogie e differenze LA FILOLOGIA ITALIANA E LA PALEOGRAFIA La filologia italiana è una disciplina specializzata nell’edizione di testi in area italiana e soprattutto di testi antichi, ponendo attenzione ai loro caratteri linguistici particolari. Lo storico della lingua dev’essere almeno in grado di maneggiare le edizioni critiche e giudicare la qualità della loro realizzazione. Chi si occupa di testi antichi, soprattutto di quelli precedenti all’età della stampa, dovrà acquisire conoscenze nel campo della “paleografia”: studio della scrittura. Paleografia è la disciplina che studia la storia della scrittura nelle sue differenti fasi, le tecniche operate per scrivere, il processo di produzione.  Scrittura GOTICA si diffuse in Italia nel XII-XIII sec. Il termine è un riflesso del disprezzo con cui questa scrittura fu guardata dagli Umanisti, i quali la consideravano barbara. Fu usata dai primi umanisti, come Petrarca e Boccaccio e ha un disegno meno rigido (semigotica)  MINUSCOLA CANCELLERESCA: adatta per i documenti notarili  MERCANTESCA: di livello meno colto, è la scrittura corsiva che si trova nei quaderni di conti e nelle lettere di cambio  ITALICA: comparsa nel ‘400, elegante e raffinata, passata poi alla stampa, con il corsivo aldino LA DIALETTOLOGIA ITALIANA I rapporti tra la storia della lingua e la storia dei dialetti sono strettissimi. Il toscano affermò la sua supremazia, ma i volgari di altre regioni furono usati anche a livello colto, letterario o extraletterario. In “Fondamenti di dialettologia italiana” vi è:  la definizione del concetto di dialetto  un profilo di storia degli studi dialettologici in Italia  la classificazione dei dialetti italiani, con la descrizione del loro uso nella società attuale  presentazione dei metodi e strumenti Per lo studio dei dialetti sono fondamentali, inoltre, gli atlanti linguistici: rappresentazioni cartografiche della distribuzione spaziale di parole, forme, costrutti, espressioni, fenomeni fonetici. LA GRAMMATICA STORICA DEFINIZIONE E NASCITA DELLA GRAMMATICA STORICA La grammatica storica non dà le regole della lingua in atto, ma mettendo a confronto fasi diacroniche diverse, chiarisce lo sviluppo della fonetica, morfologia e sintassi della lingua, a partire dalla sua formazione dal latino e ne segue gli sviluppi. La formazione della lingua è il primario oggetto di studio per la grammatica storica, che si è sviluppata nel clima del Positivismo dalla seconda metà dell’800: nel cambiamento delle lingue si riconosce un ordine, una serie di vere norme. LA “GRAMMATICA STORICA DELLA LINGUA ITALIANA E DEI SUOI DIALETTI”DI GERHARD ROHLFS È l’opera di grammatica storica più utilizzata, del 1940: concilia il metodo storico e quello geografico. Si presenta in tre volumi, dedicati a: 1. “Fonetica” 2. “Morfologia” 3. “Sintassi e formazione delle parole” Ognuno è corredato da un indice analitico, che raccoglie tutte le parole citate nel testo, sia italiane, che dialettali, oltre ai nomi geografici e ai nomi di persona. ALTRE GRAMMATICHE STORICHE DELL’ITALIANO  Libro di Tekavic: trattazione aggiornata con le scoperte della moderna linguistica.  Libro di D’Achille: attenzione a un pubblico studentesco, in cui non vengono presupposte conoscenze specifiche. Attenzione alla fonetica e alla morfologia, mentre il lessico e la sintassi sono trattati in maniera più veloce  “Introduzione alla lingua poetica italiana” di Serianni: non è una vera grammatica storica, è un profilo grammaticale dell’italiano poetico e può essere utile a chi si occupa in maniera tecnica dell’evoluzione delle forme dell’italiano 7  Libro di Castellani: uscito solo un volume, che tratta della formazione dell’italiano, del latino classico e volgare, dell’influsso galloromanzo e germanico, delle varietà toscane nel Medioevo e soprattutto della formazione della lingua poetica italiana delle origini. LA GRAMMATICA DESCRITTIVA E NORMATIVA LA STORIA DELLA GRAMMATICA La teorizzazione grammaticale del ‘500 ha stabilizzato e ufficializzato il successo dei 3 grandi autori del Trecento: Dante, Petrarca e Boccaccio. In seguito si sono affermate tendenze grammaticali più favorevoli a riconoscere il ruolo del parlato toscano e la sua egemonia. LA “GRANDE GRAMMATICA ITALIANA DI CONSULTAZIONE” Il progetto era di Renzi e Salvi e risale al 1976: prodotto di un lavoro di equipe con un notevole numero di specialisti. La Presentazione di Renzi spiega la differenza con le altre grammatiche, tracciando un panorama della produzione grammaticale in Italia del Novecento, notando la povertà nella produzione di questo genere nel periodo tra le due guerre; inoltre sottolinea il dannoso prodotto della condanna di Croce, per il quale la grammatica non aveva nessuna dignità filosofica, ma era tuttavia solo uno strumento didattico ed empirico. La trattazione comincia con la frase per poi estendersi a tutte le parti del discorso. Quando viene enunciata una regola, vengono fornite due frasi, precedute da un asterisco, che indica la inaccettabilità o agrammaticalità. L’errore è un elemento che il linguista prende in considerazione con grande interesse. Mentre il grammatico tradizionalista si limitava a condannare le forma ritenute scorrette, il linguista si preoccupa di spiegare l’uso della lingua ai vari livelli, segnalando anche in molti casi l’esistenza di varianti regionali. DIZIONARI STORICI E CONCORDANZE IL “BATTAGLIA” E LA LIZ Lo studioso della lingua italiana fa largo uso dei dizionari, efficienti strumenti di consultazione. I dizionari storici hanno una documentazione più ricca che riguarda l’uso di tutte le epoche. Il più importante dizionario storico è il “Battaglia”. Battaglia, infatti, ebbe l’idea di riproporre, aggiornandolo, il più grande dizionario dell’Ottocento: quello di Nicolò Tommaseo. La nuova opera uscì nel 1961, in cui la struttura della voce rimane legata al modello ottocentesco. Il progetto poi fu ampliato e divenne il “Grande dizionario della lingua italiana” in 20 volumi:  Impostazione fortemente letteraria  Vasta raccolta di esempi di scrittori: sotto ogni voce sono poste le attestazioni degli autori della letteratura italiana in ordine cronologico  Gli scrittori sono di tutte le epoche, compresi i minori  Lo spazio maggiore è assegnato al ‘900 La LIZ consiste nella “Letteratura italiana Zanichelli” su cd-rom, realizzata nel 1993: testi della nostra letteratura dal Medioevo al Novecento. STRUMENTI DI CONSULTAZIONE IN INTERNET 1. Corpus messo in rete dal Ci-Bit, il consorzio interuniversitario per la Biblioteca Italiana Telematica: raccolta di testi, spesso rari 2. OVI, Opera del Vocabolario Italiano: opere dei primi maestri della letteratura italiana e anche testi di poeti meno conosciuti 3. Tesoro della Lingua Italiana delle Origini: vocabolario storico di tutte le varietà dell’italiano antico, fino al 1375, stampato anche su carta GRANDI DIZIONARI DELL’USO I dizionari storici documentano il passato della lingua, la sua storia ed evoluzione. I dizionari dell’uso fanno spesso riferimento al passato e contengono molte parole antiche, per registrare le etimologie e segnalare il lessico antico e letterario. Questo comune dizionario non è privo di elementi relativi alla storia della lingua.  “Vocabolario della lingua italiana” di Duro del ’86-94  “Grande dizionario Italiano dell’Uso” di De Mauro del 1999 10 La prima teorizzazione linguistica relativa alla lingua italiana è stata proposta da Dante nel De Vulgari Eloquentia e ha avuto la possibilità di portare il volgare al livello sublime della poesia. IL POPOLO IL POPOLO PADRONE DELLE LINGUE Il linguaggio è patrimonio di tutta la comunità dei parlanti: la lingua non può essere considerata esclusiva di singoli individui o delle classi più colte, anche se solo queste ultime sono in grado di partecipare al dibattito letterario. POPOLO, PLEBE, SCRITTORI Bembo, a cui si deve la teoria vincente nelle dispute cinquecentesche sul volgare, era fautore di un ideale letterario aristocratico e non riconosceva i diritti della parlata popolare. Per popolo, si intende quello toscano, l’unico che possedeva un idioma paragonabile a quello letterario. Il popolo di tutte le altre regioni era legato al proprio dialetto e non poteva essere oggetto di attenzione da parte di grammatici e teorici. Manzoni, nell’800, finì per adottare la lingua viva e vera di Firenze, staccandosi dalla tradizione letteraria arcaizzante. La plebe era sempre stata considerata di nessun valore o dannosa. L’ITALIANO POPOLARE I primi documenti presi in esame furono quelli più recenti: ROSSI raccolse una serie di lettere, scritte da una contadina del Salento, presentate in seguito in un saggio linguistico di DE MAURO. La categoria di italiani popolare si è fissata all’inizio degli anni ’70 per indicare la parlata degli incolti di aspirazione unitaria o di chi ha per madrelingua il dialetto. La scoperta di una serie di documenti, come racconti autobiografici e diari, dimostra come anche tra gli appartenenti ai ceti sociali più bassi, ci fosse la capacità di leggere e scrivere. Veniva adoperato un italiano scorretto, saturo di dialettismo, ma comunque diverso dal mero dialetto. Il dialetto può essere studiato come oggetto specifico e può essere messo in relazione con la lingua: i dialetti si sono via via avvicinati all’italiano e questo ha acquisito elementi dei dialetti. Anche le masse popolari hanno partecipato indirettamente all’evoluzione della lingua. NOTAI E MERCANTI IL NOTAIO Il notaio è fra i protagonisti della fase iniziale della nostra storia linguistica: molti dei primi documenti in volgare sono stati scritti da notai e proprio a costoro si deve la scelta di introdurre il volgare al posto del latino: così accadde nel Placito Capuano, atto di nascita della nostra lingua. I notati sono stati tra i primi cultori dell’antica poesia italiana, come dimostrano i Memoriali bolognesi, registri di atti, dove troviamo versi di Cino da Pistoia, di Cavalcanti e di Dante. Il notaio vive in una situazione di bilinguismo: per educazione è stato abituato ad usare il latino negli atti del suo ufficio, anche se il volgare è adoperato da testimoni e dalle parti che si presentano di fronte a lui. IL MERCANTE Il mercante medievale era meno istruito del notaio, ance se poteva conoscere le lingue straniere: imparava a leggere, scrivere e fare di conto, ma poi si dedicava alla sua attività pratica. Il mercante leggeva per proprio divertimento, ma il rapporto con la scrittura era più importante, in quanto aveva a che fare con la sua professione. La scrittura era al servizio di esigenze pratiche. Un libro di conti del 1211 è la prima testimonianza di volgare fiorentino. Di particolare interesse risulta l’area veneta: la più antica documentazione di Venezia è di origine commerciale. SCIENZIATI E TECNICI L’EGEMONIA DEL LATINO Lo strumento della lingua scientifica fu per lungo tempo solo il latino: questa situazione durò fino al Rinascimento. Il latino adoperava in settori come la teologia, la matematica, la filosofia, l’astronomia ecc. La base delle conoscenze della natura era costituita da autori classici e da autori come Aristotele. Anche nel campo della medicina si usava il latino, lingua in cui erano tradotti in Europa, molti autori arabi. 11 AFFERMAZIONE DI UN LINGUAGGIO SCIENTIFICO ITALIANO il linguaggio scientifico moderno ha accentuato molto i suoi caratteri specifici. Oggi molto spesso, chi scrive saggi scientifici, è tentato ad usare l’inglese e ciò evita problemi di traduzione, assicurando una più facile diffusione all’estero. Lo scienziato necessita di una terminologia priva di incertezza evocativa: deve definire rigorosamente i termini che usa o deve attenersi al significato prefissato. LA FORZA DELLA NORMA: I GRAMMATICI PRIME GRAMMATICHE ITALIANE La lingua esiste anche prima che i grammatici abbiano fissato le norme; l’italiano, vantava già un’eccellente tradizione letteraria quando tra ‘400 e ‘500, si avviarono i primi esperimenti di stabilizzazione della norma. La prima grammatica italiana è la GRAMMATICHETTA VATICANA, chiamata così perché tramandata da un codice apografo ( copia dell’originale) della Biblioteca Vaticana (l’originale, oggi perduto, stava nella Biblioteca di Lorenzo il Magnifico a Firenze). Questa grammatica è attribuita a LEON BATTISTA ALBERTI e la data di composizione si colloca tra il 1434 e il 1454. Vi è un confronto tra italiano e latino, mentre inizialmente si parla di come i latini e i greci fossero stati i primi che ricavarono delle regole per scrivere in maniera corretta. Gli umanisti riconoscevano che il latino aveva una salda struttura grammaticale. L’opera non ebbe né fortuna né diffusione. Per la tradizione umanistica, abituata all’uso del latino, la promozione del volgare passava attraverso il riconoscimento della sua capacità di avere delle regole: la grammatica era garanzia del valore della lingua. “Regole grammaticali della volgar lingua”di Giovanni Francesco Fortunio, pubblicate ad Ancona nel 1516. Nel 1525 uscirono le “Prose della volgar lingua” di BEMBO; nella terza e ultima parte si trova una vera e propria grammatica dell’italiano, esposta in forma dialogica. Le norme fissate dai grammatici del ‘500 erano ricavate dagli scrittori che avevano reso grande la lingua: Dante, Petrarca e Boccaccio; le loro opere fornirono il modello a cui i grammatici si attennero. La grammatica si sviluppò dopo che fu disponibile una ricca tradizione letteraria. Fino a quel momento, chi usava la lingua, doveva ricavare autonomamente le regole, a partire dagli autori letti e ammirati. GRAMMATICHE TOSCANE DALLA Toscana, nel Cinquecento, non giunsero delle opere normative capaci di competere con quelle prodotte dall’editoria di Venezia. Dalla seconda metà del ‘500 all’inizio del ‘600, si imposero opere di grammatici toscani, che riconoscevano l’importanza della lingua fiorentina parlata, pur senza rinnegare il ruolo fondamentale della tradizione scritta. La norma dell’italiano si era fissata sulla base di modelli letterari antichi. LA GRAMMATICA COME STRUMENTO DIDATTICO Le grammatiche del ‘500 furono strumento di consultazione per il letterati. Dal ‘700, con lo sviluppo di pubbliche scuole superiori di lingua italiana, ai grammatici si offrì la grammatica come manuale e divenne uno strumento fondamentale. LESSICOGRAFI E ACCADEMICI NASCITA DEL VOCABOLARIO ITALIANO Il vocabolario dell’uso è considerato un testimone della lingua viva e necessita di continui aggiornamenti per stare al passo con i tempi: le edizioni dei vocabolari di succedono abbastanza di frequente, tenendo conto dei prestiti e dei neologismi che entrano in grande quantità nel patrimonio lessicale della nazione. LESSICOGRAFIA TOSCANA E ACCADEMIA DELLA CRUSCA I Più antichi vocabolari a stampa dell’italiano furono realizzati lontano dalla Toscana, soprattutto a Venezia, ma anche al Sud, come a Napoli. La cultura di Firenze intervenne attraverso l’Accademia della Crusca, fondata alla fine del ‘500. La Crusca pubblicò nel 1612 un vocabolario, in cui furono inserite le parole ammissibili. Il modello fu così forte che per secoli Accademia e Vocabolario si identificarono; furono pubblicate altre due edizioni nel Seicento e una nel Settecento. 12 I GRANDI VOCABOLARI SPECCHIO DELLA CULTURA Alcuni vocabolari furono testimoni delle svolte culturali e di un atteggiamento linguistico disponibile ad accogliere novità di rilievo. Tra il 1797 e il 1805 fu pubblicato a Lucca il DIZIONARIO UNIVERSALE CRITICO ENCICLOPEDICO DELLA LINGUA ITALIANA di Francesco d’Alberti di Villanova, che segnò un deciso rinnovamento, anche per la disponibilità verso i francesismi, verso alcuni regionalismi e verso le voci tecniche. Bellini e Tommaseo crearono il DIZIONARIO DELLA LIGNUA ITALIANA. Manzoni progettò un vocabolario completamente diverso da quelli fatti fino ad allora, coerente con la scelta del fiorentino vivo: il GIORGINI-BROGLIO. Il dizionario divenne poi uno strumento della didattica scolastica, per combattere la corruzione delle parole forestiere, dei barbarismi. LA BUROCRAZIA E LA POLITICA LINGUISTICA DEGLI STATI LA SITUAZIONE PARTICOLARE DELLA TOSCANA La letteratura e la cultura furono i canali più importanti per la diffusione dell’italiano, lingua che non ha raggiunto la sua stabilità attraverso la forza unificatrice di uno stato moderno dotato di organizzazione burocratica. In Toscana, la lingua parlata era vicina a quella scritta e letteraria, il potere politico quindi era disponibile alla promozione della lingua volgare. Il toscano ebbe un’importante promozione alla corte medicea, al tempo di Lorenzo il Magnifico, nel Quattrocento e nel Cinquecento sotto Cosimo I. Quest’ultimo seppe promuovere una vera e propria politica culturale, finanziando l’Accademia fiorentina e chiedendole di interessarsi in particolare ai problemi della lingua e di fissare le regole del toscano. LE CANCELLERIE DEGLI STATI COME CENTRO DI IRRADIAZIONE DELLA LINGUA Nel resto d’Italia si ebbero casi di adozione del volgare toscano al posto el latino; nel campo giuridico- amministrativo il latino deteneva un primato quasi assoluto. Ma il volgare, già nel ‘400, fece la sua comparsa in alcune cancellerie signorili; la cancelleria è la segreteria addetta allo svolgimento degli affari di Stato, in cui si conservano atti legislativi e giudiziari. È nelle cancellerie che nel ‘400 si forma la lingua che si definisce come “comune”, “koinè”. I cancellieri sono notai e hanno una cultura linguistica latino, legale, pragmatico, a cui si può accompagnare una cultura umanistica. MOTIVAZIONI PER LA SCELTA DEL VOLGARE Il volgare viene utilizzato già nel ‘400, da alcune cancellerie italiane: a Mantova, a Milano e viene usato inizialmente in bandi e gride rivolte al popolo, in funzione divulgativa, e successivamente nella corrispondenza ufficiale e nelle procedure di giustizia. Il popolo, incapace di intendere il latino, era in balia di notai e avvocati, in grado di ingannare gli ignoranti. Quando la lingua viene sentita come valore nazionale e come difesa verso l’esterno, è vista come tangibile segno di unità. LA GUERRA AI DIALETTI E LA POLITICA LINGUISTICA Anche i dialetti esprimono individualità e diversità regionale, concepiti come ostacolo sulla strada dell’ideale nazionale. Lo stesso Manzoni non fu favorevole ai dialetti. La posizione antidialettale viene definita come “giacobinismo linguistico”. L’unità linguistica si realizza quando la nazione è riuscita a raggiungere un livello accettabile nell’omogeneità del sapere, nella circolazione di idee, nella scolarità. LA POLITICA SCOLASTICA Uno degli strumenti di politica linguistica è la scuola. Fino al ‘700 però la scuola fu in lingua latina, il volgare era estraneo; solo in Toscana furono istituite già nel ‘500 cattedre di lingua toscana nelle università. 15 Per i linguisti, gli errori, sono fenomeni da interpretare e comprendere, indicandone la genesi e le motivazioni. Essi parlano di varietà diastatiche per indicare differenze che si riscontrano nell’uso dei diversi strati sociali. Nello studio delle varie fasi diacroniche dell’italiano non esistono solo i ceti sociali acculturati e partecipi al dibattito letterario, ma anche quelli più bassi che non sempre risultano estranei all’italiano. DIFFERENZE SOCIALI DELL’USO LINGUISTICO NEI DOCUMENTI SCRITTI DEL PASSATO L’esame dei testi classificabili come italiano popolare permette di approfondire il discorso relativo alle differenze sociali della lingua. Nel ‘500 la mancanza di una norma linguistica codificata e riconosciuta, rendeva normale il ricorso a forme della lingua viva, filtrate attraverso la grafia latineggiante: sono le varietà diatopiche, ossia geografiche. Con l’affermarsi della codificazione bembiana, chi si discosta dalla norma, scivola in una scrittura definibile come semicolta o popolare. Dal Cinquecento, l’italiano letterario divenne lingua della comunicazione scritta ai diversi livelli della società; da allora quanto più è modesto il livello culturale dello scrivente, tanto più emergono vistosi gli elementi legati al dialetto. VARIETA’ DIATOPICHE DEFINZIONE DELLA VARIETA’ DIATOPICA Le varietà diatopiche della lingua sono definibili anche come varietà geografiche. DE MAURO ha mostrato che l’italiano parlato oggi nel nostro paese non è uniforme, ma varia da regione e regione. Le differenze riguardano il livello fonetico e fonologico, ma anche quello morfologico e lessicale. Ad esempio i parlanti settentrionali non distinguono tra le e/o rispettivamente aperte e chiuse. L’italiano di Roma non è identico a quello toscano. Le varietà diatopiche possono dividere una stessa regione. Questa varietà si riconosce nel parlato e nelle scritture; quanto più è basso il livello di cultura dello scrivente, tanto più non è in grado di aderire al modello del toscano letterario e più affiorano i tratti locali. Il processo di eliminazione dei tratti locali fu confermato dal ‘300 dall’imitazione del linguaggio delle Tre Corone. I libri di maneggio nel ‘700 servivano a verificare la consistenza dei dialettismi con cui si indicano gli oggetti domestici. LE ESIGENZE DELLA CHIESA Prima dell’Unità. Gli esponenti della gerarchia ecclesiastica si erano dimostrati sensibili ai problemi della varietà della lingua parlata e sapevano che i predicatori dovevano parlare al pubblico di regioni diverse senza sfigurare. IL MISTILINGUISMO Il parlante o scrivente italiano è stato attirato dal toscano, lingua conosciuta attraverso i modelli della letteratura o ammirata nel parlato popolare di Firenze. È stato condizionato dal suo dialetto d’origine, spesso diverso dal toscano. Il parlante non toscano si trova a parlare un dialetto d’uso quotidiano, necessario e diffuso, collocato ad un livello di prestigio inferiore rispetto alla lingua letteraria, considerata la sola nobile. Il mistilinguismo era la mescolanza di elementi linguistici diversi, nello scritto e nel parlato e poteva manifestarsi sia involontariamente, per errore, sia volontariamente per scelta stilistica. VARIETA’ DIAFASICHE Diafasico è il termine tecnico per indicare differenze linguistiche relative allo stile della comunicazione, che può svolgersi a livelli diversi. Si può parlare di:  livello molto elevato o aulico  colto  formale o ufficiale  medio  colloquiale  informale  popolare 16  familiare  basso, plebeo A ognuno di questi stili corrisponde una forma linguistica differente e scelte sintattiche e lessicali diverse. La definizione dei registri e degli stili della comunicazione orale interessa i sociolinguisti. Lo storico della lingua in diverse occasione terrà conto del livello o registro in cui si colloca il documento che ha occasione di prendere in esame. Molte tendenze innovative dell’italiano di oggi si manifestano ad un livello diafasico molto basso:  gli è usato al posto di a lei  uso del ci davanti al verbo avere  che polivalente  uso dell’imperfetto nell’ipotetica dell’irrealtà  uso dell’indicativo al posto del congiuntivo nelle dipendenti Capitolo 5: origini e primi documenti dell’italiano DAL LATINO ALL’ITALIANO L’italiano deriva dal latino: ha la stessa origine delle altre lingue romanze, derivando così dal latino volgare. Gli esiti romanzi vengono paragonati tra loro e ricondotti alla parole originaria dalla quale derivano: questa parola viene presupposta come propria del latino volgare, la lingua a cui gli studiosi fanno riferimento per spiegare l’origine degli idiomi romanzi. Il concetto di latino volgare, veniva usato per indicare i diversi livelli linguistici che esistevano nel latino e queste distinzioni rinviavano a livelli sociolinguistici differenti. Gli incolti, quindi, parlavano in modo diverso dalle persone colte e dai romani istruiti. Il concetto poi, fa anche riferimento a una componente diacronica, a una componente sociolinguistica e diacronica. Esempio: PLUS, che sostituì MAGIS nel comparativo. Il tipo magis era presente nelle aree laterali dell’Impero, mentre plus si era diffuso al centro. Essendosi già imposta la forma magis nei territori conquistati, in una fase successiva si irradiò da Roma il tipo plus, che non fece in tempo a raggiungere i territori laterali della Romania, che conservano tutt’oggi la forma più antica. Il latino dunque non aveva un’unità linguistica assoluta e non si impose allo stesso modo ovunque. La penetrazione fu forte in Iberia, Gallia, Rezia, Norico, Dalmazia, Dacia e nell’Africa settentrionale; nella parte orientale dell’Impero prevalse l’uso del greco, l’unica lingua di cultura dell’antichità di fronte alla quale i romani provassero rispetto. L’atteggiamento dei romani nei confronti delle altre lingue dei popoli fu di disinteresse e di disprezzo: il colonialismo romano impose il latino insieme alle leggi latine e alla cultura latina. La Germania non fu latinizzata, a differenza della Gallia e il confine fu fissato sulla sponda del fiume Reno. A partire dal IV secolo, entrarono nel latino dei germanismi:  guerra, germanico occidentale *WERRA( alto tedesco werra, confusione) che prese il posto di BELLUM 1. Al livello della lingua scritta si situa il latino classico, con la sua continuità culturale, a cui si avvicina il latino parlato dai ceti colti aristocratici dell’età repubblicana 2. latino popolare, identificato col latino volgare 3. il latino parlato dai ceti colti in età imperiale si avvicinò al livello popolare, dando origine al latino volgare, da cui sono nate le lingua romanze. In epoca tardo-imperiale, il latino parlato influenza solo marginalmente una lingua ormai cristallizzata e regolata dalle norme dei grammatici. La frattura tra scritto e parlato diventa insanabile. Dimensione geolinguistica dello sviluppo del latino, inquadrato in una prospettiva storica:  progressiva espansione geografica del latino nel corso dell’età repubblicana e imperiale, che comportò la nascita di un “latino delle province”  nel latino delle varie regioni, si avviò un processo di differenziazione, su cui incisero le invasioni barbariche e il processo si concluse con la nascita delle lingue romanze. I due schemi illustrano lo stesso sviluppo, dal latino volgare alle lingue neolatine, considerandolo da due punti di vista differenti. 17 Uno dei mezzi per ricostruire gli elementi del latino volgare è la comparazione tra le lingue neolatine: quando si importa una parola al suo etimo latino-volgare, si può individuare l’esistenza di una forma lessicale non attestata nel latino scritto, indicata con un asterisco. Il latino volgare conteneva molte parole presenti anche nel latino scritto, come FUMUM. Altre parole furono innovazioni del latino parlato, non sono attestate nello scritto, come PUTIUM. In altri casi si ebbe un cambiamento nel significato della parola latina letteraria, che assunse un senso diverso nel latino volgare: TESTAM, in origine era un vaso di terracotta, ma poi sostituì CAPUT. Assunse inizialmente un significato ironico, ma poi assunse in toto il nuovo significato, anche se capo sopravvive in italiano come parola dotta. Il confronto tra le lingue romanze e la ricostruzione etimologica dei derivati dal latino non sono gli unici strumenti per la conoscenza del latino volgare: esistono una serie di testi che possono dare informazioni utili per intravedere alcune caratteristiche del latino parlato di livello popolare o del latino tardo. Sono i trattati di cucina, medicina, ma anche i testi teatrali contengono elementi del parlato. Esempio: SATYRICON di PETRONIO ARBITRO, nel I secolo d.C.: coesistono forme come pulcher, formosus, bellus. Il primo aggettivo era destinato a sparire nelle lingue moderne, mentre gli ultimi due sono all’origine delle lingue romanze: 1. spagnolo: hermoso 2. italiano: bello 3. francese: beau Bellus si trovava anche nel poeta Catullo, nel I sec. a.C. e in Cicerone. Le forme affettive e familiari presero molte volte il sopravvento, rimpiazzando il tipo lessicale dominante. Esempio: in PETRONIO, si trova unus con funzione di indefinito anziché numerale, così come sarà nelle lingue romanze. Tra le fonti per la conoscenza del latin volgare si possono citare le iscrizioni delle lapidi, che a volte contengono errori significativi. Interessanti sono anche le scritture occasionali, come quelle che si trovano sulle pareti delle case di Pompei, graffiti e scritte murali: queste scritte non sono posteriori alla data del 79 d.C. quando l’eruzione del Vesuvio colpì la città. Rilievo, tra i documenti del volgare, lo ha l’APPENDIX PROBI. Chiamata così perché il documento segue gli Instituta artium di un grammatico tardo come Probo: è una lista di 227 parole non corrispondenti alla buona norma, tramandate da un codice scritto a Bobbio intorno al 700 d.C. un maestro dell’epoca avrebbe raccolto le forme errate in uso presso i suoi allievi e le avrebbe affiancate alle corrette, secondo il modello A NON B:  speculum non speclum  vetulus non veclus  columna non colomna  frigida non fricda  turma non torma Non sempre la forma attestata nell’Appendix Probi è quella che ha dato origine agli sviluppi romanzi:  SPECULUM ha dato origine a SPECCHIO, con passaggio di –CL a –kkj  VETULUM: vecchio L’Appendix è l’occasione per riflettere sulla presenza nel latino volgare di una serie di tendenze aberranti rispetto alla norma classica, avvertite come errori. L’errore è una deviazione rispetto alla norma, ma nell’errore possono manifestarsi anche tendenze innovative. Quando l’errore si generalizza, l’infrazione diventa norma per tutti i parlanti. Gli studiosi fanno riferimento ai fenomeni di sostrato: il latino si impose su lingue preesistenti che influenzarono l’apprendimento della lingua di Roma. Esse erano l’etrusco, l’osco-umbro. Con superstrato, si intende, l’influenza esercitata da lingue che si sovrapposero al latino, come avvenne al tempo delle invasioni barbariche. Per adstrato si intende l’azione esercitata da una lingua confinante. L’apporto lessicale all’italiano di queste lingue non è di grande rilevanza, anche se si possono individuare diverse parole di origine germanica. I goti entrarono in Italia nel 489, guidati da Teodorico. Il regno gotico finì con la guerra intrapresa dagli eserciti di Gisutiniano, il dominio dei goti non fu perciò molto lungo. La lingua gotica ci è nota soprattutto 20 SARDO: Ī, Ĭ: i Ē, Ĕ: e Ā, Ă: a Ŏ, Ō: o Ŭ, Ū: u Il sistema è penta vocalico. SICILIANO: Ī, Ĭ, Ē: i Ĕ: è Ā, Ă: a Ŏ: ò Ō, Ŭ, Ŭ: u IL DITTONGAMENTO In italiano la è < Ĕ tonica, se in posizione di sillaba libera, ossia terminante per vocale, dà origine a un dittongo: PĔ – DE(M) > piede. Anche la ò da Ŏ breve, dittonga, se tonica, in sillaba libera: BŎ-NU(M) > buono. All’inizio del’800 il dittongo uo venne eliminato dopo suono palatale( gioco< giuoco, figliolo< figliuolo). Il fiorentino popolare eliminò uo in tutte le posizioni: òmo al posto di uomo, bòna al posto di buona. Il dittongo manca in parole di origine dotta, che sono stata introdotte in italiano sulla base del modello latino: pòpolo< PŎPULU(M). LA MONOTTONGAZIONE I dittonghi latini AE e OE si trasformarono rispettivamente in Ĕ breve e Ē lunga ( LAETU(M) >lieto, POENA(M) > pèna). Il dittongo AU resistette più a lungo, anche se i primi casi di monottongazione del tipo CAUDA(M) > CODA si verificarono già in epoca classica. LA METAFONESI È un fenomeno linguistico che non interessa il toscano, ma si trova in altre zone d’Italia. Si può definire come una modificazione del timbro di una vocale per influenza di una vocale che segue. Si ha quando le vocali finale estreme influenzano la tonica che precede, aumentandone la chiusura se è già chiusa, facendola dittongare se è aperta. In Italia settentrionale la metafonesi è limitata a è > i, ò > u davanti a –i finale. In certi casi può interessare la a. In Italia meridionale la metafonesi è di tutti i tipi:  Ò > u sia davanti a –i (cunti), sia davanti a –o < u ( tratteneniento) Nel parlato in napoletano, si ha l’opposizione tra il maschile russë < RŬSSU(M) e il femminile rossa < RŬSSA(M): l’esito russë è condizionato dalla metafonesi, dovuta alla –U finale del maschile, poi trasformatasi in vocale muta; nel femminile il fenomeno non agisce perché la vocale finale è una –A. L’ANAFONESI È un fenomeno tipico fiorentino e di una parte della Toscana, ma è assente nelle altre parlate italiane: è un elemento distintivo in opposizione alla metafonesi. È il fenomeno per cui una è tonica si trasforma in i davanti a nasale palatale ( ɲ ), davanti a laterale palatale (ʎ), provenienti rispettivamente da NJ e LJ e davanti a nasale velare (ɳ); ò tonica si trasforma in u davanti a nasale velare (ɳ). Esempio: gramigna< GRAMĬNEA(M), famiglia< FAMĬLIA(M), giunco< IŬNCU(M). VOCALISMO ATONO il vocalismo atono italiano non distingue tra chiuse e aperte. 21 Le vocali atone finali si indeboliscono giungendo a un suono indistinto in alcune zone del Meridione: questo suono può essere rappresentato con il segno della e muta ë; nella grafia dei dialetti meridionali questa e viene scritta come una e normale. Nelle parlate settentrionali italiane le vocali finali tendono a cadere, anche se maggior resistenza dimostra la –a. il toscano, ha una naturale tendenza a far finire le parole per vocale e a conservare le vocali finali. Già nel latino parlato era caduta la vocale mediana di molte parole sdrucciole: DŎM(I)NA(M)> donna, si tratta di una sincope della vocale postonica in penultima sillaba. BONITĀTE(M) >bontate > bontà è un esempio di sincope della vocale intertonica, con caduta ulteriore del –te finale. PASSAGGIO DI E PRETONICA A I Nel toscano la e pretonica o protonica, tende a chiudersi in i, come NEPOTEM >nepote >nipote. In diversi casi il fenomeno non si riscontra per diversi motivi, per esempio in vocaboli di origine straniera, come il francesismo dettaglio o in parole in cui la e è stata ripristinata sul modello del latino(delicato- dilicato) LABIALIZZAZIONE DELLA VOCALE PRETONICA Una vocale pretonica palatale( e, i) che venga a trovarsi vicino a un suono labiale( p, b, m, f, v) o labiovelare( kw, gw)può diventare labiale(u,o): DEBERE > devere> dovere o DEMANDARE > demandare > domandare. CONSONANTI FINALI Le consonanti latine –T, -S, -M in posizione finale subiscono nel passaggio all’italiano un indebolimento e un dileguo. CONSONANTI DOPPIE Le doppie latine si conservano in italiano e nei dialetti meridionali, ma non nelle parlate settentrionali. I gruppi consonantici latini CT e PT hanno dato origine: LACTE(M) >latte, SEPTE(M) > sette. Un caso di raddoppiamento è quello che si produce in foto sintassi, cioè nel contatto tra due parole: AD CASAM > akkasa. La grafia italiana moderna registra il fenomeno solo quando si è prodotta l’univerbazione, cioè la riduzione ad una sola parola. SONORIZZAZIONE DELLE OCCLUSIVE SORDE INTERVOCALICHE IN Italia settentrionale le occlusive sorde intervocaliche k, p, t, passano alle corrispondenti sonore g, b, d, subendo un indebolimento e una conseguente sonorizzazione e a volte si arriva alla caduta della consonante sonorizzata. In Toscano questo fenomeno avviene raramente. Esempi: PATELLA(M) > padella, LOCU(M) > luogo. PALATALIZZAZIONE DI K E G( ESITI C E G + E, I ) La pronuncia del latino classico CERA e GELU era con occlusiva velare sorda, così come in CANIS, ma le vocali palatali e, i hanno finito per influenzare la pronuncia della consonante che precede. Si manifestò la tendenza a pronunciare le velari k e g come palatali davanti a vocali palatali: cera e gelo. Diversa la situazione in Italia settentrionale, dove l’evoluzione andò verso le affricate dentali sorde e sonore, per poi passare alle corrispondenti sibilanti: CENTU(M) > sent cento. La palatizzazione di C e G latine interessa la maggior parte delle lingue romanze. ESITI CONSONANTE +J Nel passaggio dal latino all’italiano le consonanti, tranne r e s , quando sono seguite da J si rafforzano: FACIO > faccio, SEPIA(M) > seppia. Il nesso latino –TJ diventa in italiano l’affricata dentale sorda intensa: VITIU(M) > vezzo. In alcuni casi ci possono essere due esiti: PRETIU(M) > prezzo e pregio, RADIUM > razzo e raggio. Il nesso latino –LJ dà laterale palatale intensa: FILIUM > figlio. Il nesso –NJ dà in italiano la nasale palatale intensa: IUNIUM > giugno. 22 ESITI DI CONSONANTE +L I nessi latini di consonante +L passano in italiano a consonante +i: FLORE(M) > fiore, PLANU(M)> piano, CLAMARE> chiamare. In Italia meridionale il nesso latino –PL > ki: PLUS ( napoletano) chiù, (italiano) più. In posizione intervocalica la consonante +L raddoppia: NEB(U)LA(M) > nebbia. Il nesso latino –TL passa a –CL: VET(U)LU(M) > VECLU(M) > vecchio. LA LABIOVELARE Si chiama labiovelare il nesso kw o gw formato dalla velare k/g e dalla semiconsonante w. Nel passaggio dal latino all’italiano, la labiovelare iniziale kw rimane intatta solo davanti ad a, mentre negli altri casi si riduce all’occlusiva velare k. QUID > che PROSTESI Si ha quando c’è l’aggiunta di una vocale non etimologica all’inzio di una parola, per rendere la pronuncia più facile: in ispecie, per iscritto. Il fenomeno inverso, con caduta di vocale è l’aferesi: Vangelo < EVANGELIUM. EPITESI ED EPENTESI L’epitesi consiste nell’aggiunta di un suono non etimologico alla fine di una parole, per facilitarne la pronuncia: piùe, fue per più e fu. L’epitesi di –ne esiste ancora oggi in alcune zone dell’Italia centrale: none per no. L’epentesi è l’inserimento di un suono non etimologico all’interno di una parola. ASSIMILAZIONE Un suono diventa simile a un altro che gli si trova vicino. È regressiva quando il suono che precede diventa simile a quello che segue( il secondo suono influisce sul primo), è progressiva quando il primo suono influisce su quello che segue. OCTO > otto, SEPTE(M) > sette. Anche la metafonesi è un fenomeno di assimilazione regressiva. Un’assimilazione progressiva dei dialetti centro-meridionale è il passaggio –ND > -NN: QUANDO > quanno. DISSIMILAZIONE È il fenomeno opposto all’assimilazione e si ha quando due suoni simili situati vicino nella stessa parola si differenziano: ARBORE(M) > ALBERO, con dissimilazione della prima r a causa della seconda. SPIRANTIZZAZIONE DI –B- INTERVOCALICA È il passaggio dall’occlusiva labiale sonora latina in posizione intervocalica a una fricativa labio-dentale: HABERE > avere. ELEMENTI DI MORFOLOGIA STORICA: ARTICOLI E PREPOSIZIONI Nel passaggio dal latino alle lingue romanze si ebbe la perdita delle consonanti finali, ad esempio la –M dell’accusativo o la predita dell’opposizione tra vocali brevi e lunghe. Nella lingua latina si ebbe un collasso del sistema delle declinazioni; la scomparsa dei casi fu surrogata dall’introduzione di una serie di forme e costruzioni analitiche. Il latino è sintetico, mentre il passaggio dal latino classico a quello volgare implica l’introduzione di elementi morfologici analitici, come articoli e proposizioni; queste ultime presero la funzione di specificazione che nel latino classico era affidato ai casi. ELEMENTO DI MORFOLOGIA STORICA: IL NOME Le parole italiane derivano dall’accusativo delle parole latine, anche se nomi come uomo, sarto, moglie, derivano da nominativi. La derivazione dall’accusativo è evidente negli imparisillabi della terza declinazione latina: monte < MONTE(M), nominativo MONS, amore < AMORE(M), nominativo AMOR. Il latino aveva tre generi di nomi: il maschile, il femminile e il neutro; quest’ultimo è sparito nelle lingue romanze, lasciando però qualche traccia: i nomi neutri latini si sono trasformati per la maggior parte in 25 Il più antico dei testi sardi volgari è la carta del giudice Torchitorio del 1070-1080, conservata nell’Archivio Arcivescovile di Cagliari, trasmessa non in originale, ma in una tarda copia quattrocentesca. Databile tra il 1080 e il 1085 è un privilegio emesso da un giudice di Torres, a favore di mercanti pisani. IL FILONE RELIGIOSO NEI PRIMI DOCUMENTI DELL’ITALIANO Nel 1880 in un codice della biblioteca Vallicelliana di Roma, fu scoperta la Formula di confessione umbra: il testo era una vera e propria formula confessione che il fedele poteva leggere o recitare. I Sermoni Subalpini sono una raccolta di prediche in volgare piemontese: corpus di 22 testi ampi. Il manoscritto si conserva in un codice pergamenaceo della Biblioteca Nazionale di Torino. I testi alternano parti in latino al corpo vero del discorso che è in volgare locale, caratterizzato anche da esiti del piemontese moderno e può essere collocato tra il XII e il XIII secolo. DOCUMENTI PISANI PRIMI DOCUMENTI LETTERARI Un vero sviluppo della letteratura italiana si ebbe nel XIII secolo a partire dalla scuola poetica di Federico II, la cosiddetta Scuola siciliana. Capitolo 6: Il Duecento DAI PROVENZALI AI POETI SICILIANI La scelta del volgare vide impegnato non un singolo, ma un gruppo omogeneo di autori, socialmente collocati in posizioni molto rilevanti. La prima scuola poetica italiana nacque all’inizio del XIII secolo, nell’ambiente colto e raffinato della Magna Curia di Federico II di Svevia, in Italia meridionale: la Scuola Siciliana. Fino ad allora altre due letterature si erano affermate: 1. la letteratura francese in lingua d’oil 2. la letteratura provenzale in lingua d’oc: lingua della poesia, incentrata sulla tematica dell’amore, intellettualizzato, che si era sviluppata nelle corti di Provenza, Aquitania e Delfinato. I trovatori furono molto imitati dai poeti italiani che scrivevano in versi provenzali. Anche i siciliani imitarono la poesia provenzale, ma essi ebbero l’idea di sostituire a quella lingua forestiera, un volgare italiano, quello di Sicilia. Lo stesso imperatore Federico poetò in siciliano, benché non lo fosse di nascita. La corte federiciana era un ambiente internazionale, quindi si parlava anche il latino. Alcuni dei poeti siciliani, non lo furono di nascita: Doria, Giacomino Pugliese, Rinaldo d’Aquino; la scelta del siciliano ebbe un valore formale, raffinato. Entrano nell’uso comune termini provenzali come:  le forme in –agio( coraggio, ossia cuore)  le forme in –anza( allegranza, speranza, rimostranza, credanza)  La presenza dei provenzalismi nella poesia siciliana si spiega con l’influenza della letteratura in lingua d’oc, anche se in passato ci furono delle resistenze ad accogliere il primato cronologico della Poesia di Provenza. Anche Dante, nel De Vulgari Eloquentia, aveva avuto coscienza della linea storica che partiva dai provenzali, fino ai siciliani. Il corpus della poesia delle origini è stato trasmesso da codici medievali scritti da copisti toscani: chi copiava, spesso, si sentiva libero di intervenire nel testo, per migliorare ad esempio dei punti oscuri. Intervennero così sulla forma linguistica della poesia siciliana, con una vera operazione di traduzione, eliminando per quanto possibile i tratti siciliani che stridevano. La sconfitta degli Svevi e l’avvento degli Angioini portarono con sé la distruzione fisica dei manoscritti di origine siciliana. Galvani osservò come nel Medioevo potesse accadere che un testo di origini toscane, passando per le mani di copisti settentrionali venisse modificato tramite l’introduzione di tratti linguistici regionali, inesistenti nell’originale; un processo del genere, ma inverso, sarebbe avvenuto nel caso della poesia siciliana, che si sarebbe toscanizzata passando per meni toscane. 26 Barbieri, studioso della poesia provenzale, aveva avuto tra le mani il LIBRO SICILIANO, poi perduto, contenente alcuni testi poetici siciliani che si presentavano in una forma vistosamente siciliana. Tra essi vi era la canzone di Stefano Protonotaro: “Pir meu cori alligrari”, oltre a un frammento del figlio di Federico II, Re Enzo. La sicilianità è vistosa:  vocali finali – u e –i al posto delle –o ed –e toscane  la u al posto della o Progressivamente si giunse alla sostituzione dei tratti siciliani con quelli toscani. La lezione della poesia siciliana fu comunque decisiva per la nostra tradizione lirica: si stabilizzò la rima siciliana e divennero normali in poesia i condizionali meridionali in –ìa. DOCUMENTI CENTRO-SETTENTRIONALI LA LINEA MAESTRA DELLA LIRICA ITALIANA: DAL SUD AL CENTRO-NORD Con la morte di Federico II e il tramonto della casa Sveva, venne meno ovviamente la poesia siciliana. La sua eredità passò in Toscana e a Bologna, con i cosiddetti poeti siculo-toscani e gli stilnovisti:spostamento verso l’area centro-settentrionale. LA POESIA RELIGIOSA Il “Cantico di frate sole” di S. Francesco d’Assisi ha un lieve anticipo rispetto alla scuola siciliana, databile intorno al 1223 e noto anche con il titolo latino di “Laudes creatura rum”; fu scritto in volgare, con elemento umbri. Questo documento per molti secoli non fu preso in considerazione come documento letterario. La tradizione della laudi religiose ebbe gran sviluppo non solo nel ‘200, ma anche nel ‘300 e nel ‘400, quando i testi laudistici, dedicati a Gesù, alla Madonna, furono trascritti in appositi quaderni( i laudari) e furono utilizzati dalle confraternite come preghiere cantate. La maggior parte delle laudi erano componimenti anonimi, di modesta qualità letteraria, in lingua quotidiana e poco ricercata. Nel passaggio dall’area centrale al settentrione, le laudi subirono manomissioni linguistiche, accogliendo dei settentrionalismi. LA POESIA DIDATTICA E MORALEGGIANTE DEL NORD ITALIA In Italia settentrionale nel ‘200 fiorì una letteratura in volgare, diversa da quella sviluppatasi alla corte di Federico II. Alcuni nomi sono da rintracciare in Ugaccione da Lodi, Giacomino da Verona, Bonvesin de la Riva: l’area prevalente era quella lombarda. Il volgare settentrionale del ‘200 tendeva a farsi illustre, anche se nel confronto con la letteratura toscana, il successo di questa rimosse questi esperimenti. I SICULO-TOSCANI E GLI STILNOVISTI L’area toscana in cui si ebbe la prima notevole espansione dell’uso del volgare scritto è quello occidentale, fra Pisa e Lucca. In quest’area si sviluppò la poesia detta siculo-toscana, che ebbe i suoi centri a Pisa, Lucca, Arezzo( con Guittone). Firenze si affermò solo nella seconda metà del ‘200: tra il 1260 e il 1280, con Chiaro Davanzati, Rustico Filippi. Lo stile di Rustico, però, era un fiorentino comico, differente dal linguaggio da quello cortese. Dante attribuì a Guinizzelli la svolta stilistica che avrebbe portato alla nuova poesia d’amore, in cui permanogono gallicismi, provenzalismi e sicilianismi:  riviera: fiume  rempaira: ritorna  sclarisce  enveggia: invidia  serie in –anza  saccio: so  aggio: ho DANTE TEORICO DEL VOLGARE Le idee di Dante sul volgare si leggono nel Convivio e nel DE VUlgari Eloquentia. Nel Convivio, il volgare viene celebrato come “sole nuovo” destinato a splendere al posto del latino, per un pubblico che non è in grado di comprendere la lingua dei classici. 27 Il volgare aveva una possibilità di divulgazione o comunicazione più efficace. Nel Convivio il latino è reputato superiore in quanto utilizzato nell’arte; nel De Vulgari Eloquentia, la superiorità del volgare viene riconosciuta in nome della sua naturalezza, ma la letterarietà della lingua latina diventa uno stimolo per la regolarizzazione del volgare. Il De Vulgari, composto nell’esilio,ma prima della Commedia, lasciato interrotto al II libro; è il primo trattato sulla lingua e sulla poesia volgare ed è un saggio inserito nel quadro della cultura europea del Medioevo. La fortuna del trattato non fu pacifica, in quanto le sue tesi furono usate in chiave polemica. Fu riscoperto nella prima metà del XVI secolo. Alcuni insinuarono il sospetto che il trattato non fosse di Dante, questo faceva comodo alla cultura fiorentina che non tollerava le pagine in cui Dante aveva condannato il volgare toscano, preferendo il bolognese e il siciliano illustre e negando che il toscano potesse identificarsi con la lingua degna della poesia volgare. Manzoni affermò che il De Vulgari non aveva per oggetto la lingua in generale, né l’italiano in maniera specifica, ma solo la poesia. Dante stabilì le sue tesi dalle origini: fra tutte le creature l’unico essere dotato di linguaggio è l’uomo e il linguaggio stesso caratterizza l’essere umano in quanto tale. L’origine del linguaggio e delle lingue viene ripercorsa attraverso il racconto biblico: episodio della Torre di babele. La storia delle lingue naturali comincia e la loro caratteristica è mutare nello spazio, da luogo a luogo e nel tempi: continua trasformazione. La grammatica delle lingue letterarie, per Dante, è una creazione artificiale dei dotti. La sua attenzione di concentrò sull’Europa:  nei Paesi del Nord e del Nord-Est( germanici e slavi) si parlano lingue in cui sì si dice iò  nei Paesi del centro Sud si parla la lingua d’oil( francese), la lingua d’oc( provenzale) e il volagre del sì (italiano)  in Grecia e nelle zone orientali era diffuso il greco Poi trattò del gruppo linguistico del francese, provenzale e italiano, restringendosi solo all’Italia, che risultava diversificata all’interno con parlate locali. Dante esaminò le parlate alla ricerca del volgare migliore, definito illustre, aulico, curiale, cardinale e tutte sono indegne del volgare illustre. Tra le più severe condanne c’era quella per il toscano e per il fiorentino, mentre migliori risultavano il siciliano e il bolognese. La nobilitazione del volgare doveva avvenire attraverso la letteratura. Non solo la lingua popolare toscana non interessava Dante, ma condannava poeti come Guittone d’Arezzo, attribuendogli uno stile rozzo e plebeo, ben diverso da quello dei siciliani e degli stilnovisti. DANTE LIRICO Le prime esperienze poetiche di Dante appaiono radicate nella cultura e nella poesia volgare di Firenze, sia per i temi, che per le strutture linguistiche, stilistiche, metriche. Prevedibile era la presenza di sicilianismi e gallicismi. Diminuirono gli apporti tradizionali, come le parole con suffissi in –anza ed –enza, mentre aumentano le dittologie sinonimiche. Nella Vita Nova, Dante, commentando in prosa una scelta delle proprie poesia, realizzò un connubio tra i due generi. LA PROSA IL RITARDO DELLA PROSA Il livello della prosa duecentesca appariva più modesta rispetto alla poesia. Al tempo di Boccaccio, la prosa italiana era ancora alla ricerca dei sui modelli, mentre la poesia era già organizzata in una solida tradizione. IL PRIMATO DEL LATINO E I VOLGARIZZAMENTI Il latino aveva il primato assoluto nel campo della prosa, come strumento di comunicazione scritta e di cultura: spesso assumeva forme domestiche o affioravano tracce di un espressivo parlato in lingua volgare. Il volgare per essere autonomo e per emergere, doveva essere influenzato dal latino: lo dimostrano i volgarizzamenti, un genere costituito da traduzioni, rifacimenti e imitazioni di testi classici. 30  Il toscano rustico nella novella del prete di Varlungo e di Madonna Belcolore ( VIII, 2) Le novelle mostrano una disposizione a concedere spazio al dialogo, con moduli del parlato e vivaci scambi di battute. Lo stile era caratterizzato da una frequente ipotassi. Uso di elementi ritmici, dal cursus agli artifici ritmico - musicali più ricercati, i parallelismi sintattici, le simmetrie del periodo, le allitterazioni, l’uso delle figure retoriche. Tuttavia alcuni tratti appaiono arcaicizzanti, come l’uso costante del numerale diece, anziché dieci. Per verificare la grafia dell’autore, si può consultare l’autografo nel codice Hamilton 90 conservato a Berlino, si notano:  Latinismi come le x (exempli)  Il nesso –ct ( decto)  Le h etimologiche( herba, habito)  L’affricata dentale è resa dalla ç, come in Petrarca PROSA MINORE DELL’AUREO TRECENTO: LA TOSCANA Non solo l’imitazione delle Tre Corone fu un dato di fatto, ma fu consigliata da teorici e grammatici. A fianco dei grandi del ‘300 furono collocati autori minori di un secolo reputato “aureo”, perché si era realizzato un connubio tra scrittori e il popolo: l’abate Cesari, vissuto nell’800 ed esponente del Purismo, era convinto che nel ‘300 tutti gli autori toscani, anche i minori, avessero avuto la dote di scrivere bene e fossero degni modelli di prosa. Il purismo consisteva nell’identificazione di modelli linguistici ritenuti esenti da difetti. Domenico Cavalca fu autore di volgarizzamenti; la sua opera più rinomata di traduttore è la versione delle “Vite dei santi padri”, con uno stile semplice, si rivolgeva a uomini semplici e non letterati, cioè chi non conosceva il latino. Iacopo Passavanti fu autore dello “Specchio di vera penitenza”, opera morale e dottrinale che rielabora la materia della predicazione quaresimale a Firenze nel 1354. Queste opere erano considerate determinanti per la formazione dei giovani, anche a scopo di educazione linguistica. PRIMI SUCCESSI DEL TOSCANO La lingua toscana è la più adatta alla letteratura e inoltre è quella che era più diffusa e più comprensibile. Questo consisteva in un aperto riconoscimento del primato del toscano sulle altre lingue regionali. Nel tardo ‘300 il petrarchista padovano Francesco di Vannozzo usò il dialetto in componimenti satirici e polemici, in quanto il contesto della satira riconduceva a un linguaggio più realistico e meno selezionato. Nella lingua poetica di Niccolò De Rossi convivevano forme diverse, toscane e settentrionali: egli si sforzava di eliminare le forme troppo locali e introdusse elementi toscani, fino al punto di arrivare all’ipercorrettismo( correzione di una forma giusta). Cecco d’Ascoli, autore dell’”Acerba” utilizzò la terzina, anche se era diversa dalla terza rima dantesca( Dante: ABA BCB CDC, Cecco: ABA CBC DED). I VOLGARIZZAMENTI Tra i volgarizzamenti si possono citare:  “Le vite dei santi padri” di Domenico Cavalca  “Fioretti di San Francesco” È un volgarizzamento da una precedente redazione latina dello stesso autore, la “Cronica” dell’Anonimo romano, contenente la Vita di Cola di Rienzo, del 1360: la lingua si presentava in forme meridionali. La redazione romanesca nasceva da un intento divulgativo:  Esito in ie di g+ vocale palatale ( iente per gente)  Assimilazione di –nd L’EPISTOLA NAPOLETANA DI BOCCACCIO Uno dei più antichi testi in volgare napoletano è una lettera scritta dal toscano Boccaccio: l’epistola è databile al 1339. Si potrebbe definire una letteratura dialettale riflessa, ossia cosciente di essere tale, volontariamente distinta dal codice della lingua letteraria. È uno scritto di tono scherzoso, rivolto all’amico Francesco de’ Bardi. 31 Il soggiorno napoletano fu molto importante per la formazione di Boccaccio e per la sua conoscenza dell’ambiente mercantile, dove nasce l’Epistola. La lingua napoletana è marcata in senso comico, ricorrono ipercorrettismi, in quanto il dittongo napoletano viene introdotto anche in parole che in napoletano non lo hanno: nuostra, nuome, fratiello. L’esperimento di Boccaccio è importante dal punto di vista linguistico, perché mostra un uso volontario di un volgare diverso dal proprio, identificato nelle caratteristiche fonetiche, lessicali e sintattiche. Capitolo 8: Il Quattrocento LATINO E VOLGARE IL RIFIUTO UMANISTICO DEL VOLGARE E IL CONFRONTO CON IL LATINO Petrarca, iniziatore dell’Umanesimo affidò la parte più solida del suo messaggio letterario a una lingua diversa dal volgare: scrivendo in latino, si ispirava a Cicerone, Livio, Seneca, Virgilio, Orazio e misurava la differenza tra quei modelli e il latino medievale. Avviò, quindi, un processo che fu determinante per gli sviluppo della lingua; il confronto con il latino di quegli autori fu decisivo per la formazione di una mentalità grammaticale. Il nuovo gusto classicistico si orientò verso una concezione della lingua intesa come frutto di imitazione dei grandi modelli letterari. Si ebbe una conseguente crisi del volgare, che non arrestò l’uso del volgare stesso nella pratica, ma lo screditò agli occhi della maggior parte dei dotti. Gli uomini di alta cultura disprezzarono la lingua moderna o la ignorarono. Vi furono umanisti della prima generazione che non usarono il volgare, come Coluccio Salutati, figura al centro dell’Umanesimo fiorentino nei primi anni del ‘400. Diresse per alcuni anni la cancelleria fiorentina, diffondendo il proprio stile latino, elaborato su modelli ciceroniani. Salutati fu introdotto da Leonardo Bruni tra gli interlocutori del “Dialogus ad Petrum Paulum Histrum” e che espresse il rammarico per il fatto che Dante, abile poeta, non avesse preferito usare il latino per realizzare la Commedia, in quanto la lingua avrebbe coronato maggiormente la sua gloria letteraria. Leonardo Bruni invece celebrava i meriti di Dante, a prescindere dalla lingua usata; scrisse una “Vita” del peota in cui affermò che non c’era differenza tra lo scrivere in latino o in volgare o in latino e greco, poiché ogni lingua ha la sua perfezione. Uno scrittore aveva il diritto di essere giudicato non per la lingua adottata, ma per la qualità delle proprie opere. Il disprezzo per il volgare nella seconda metà del secolo era ancora normale e la cultura letteraria era dominata dal movimento umanistico, che si esprimeva in latino e nel latino riconosceva un vivo patrimonio, in quanto strumento della conoscenza, della dottrina e della letteratura. Il latino era preferito perché lingua più nobile, capace di garantire l’immortalità letteraria. L’uso del volgare risultava accettabile solo nelle scritture pratiche e d’affari, senza pretese d’arte. Gli studi sull’origine del volgare incominciarono nel momento in cui nacque una storiografia interessata a definire precisamente il trapasso dall’antichità al Medioevo. MACARONICO E POLIFILESCO La cultura umanistica produsse alcuni tipi di scrittura in cui il latino e il volgare entrarono in simbiosi, a volte a scopo comico e più raramente con intento serio. Gli esperimenti di mistilinguismo tra latino e volgare furono frequenti. Esistono due forme di contaminazione colta tra volgare e latino: il macaronico e il polifilesco. Con macaronico si indica un linguaggio nato a Padova a fine ‘400 e caratterizzato dalla latinizzazione parodica di parole del volgare o dalla deformazione dialettale di parole latine, con forte tensione tra le due componenti. Una delle componenti, dialettale, è bassa, plebea, mentre l’altra è aulica. Il macaronico consiste nella formazione di “parole macedonia”: a una parola volgare può essere applicata una desinenza latina:  Cercabat: cercava ( cercare+ -abat imperfetto latino) In altri casi parole esistenti sia in latino che in volgare vengono usate nel significato proprio del volgare, come casa che in latino significa capanna, e parole latine che vengono legate in costrutti sintattici tipicamente volgari. 32 Il risultato è un latino che sembra pieno di errori, anche se l’autore macaronico è un ottimo latinista: è la scelta volontaria dello scrittore a scopo comico, mediante una tecnica che abbassa il tono. Iniziatore del genere è Tifi Odasi, ma il più illustre è Teofilo Folengo. Il polifilesco è detto anche pedantesco; un linguaggio del genere è inserito nell’Hypnerotomachia Poliphili( Guerra d’amore in sogno dell’amatore di Polia), romanzo anonimo pubblicato nel 1499 a Venezia. È un’opera scritta in volgare. Il pedantesco non è una scrittura comica e parodica, ma seria. Il volgare combinato con il latino non è dialettale, ma toscano, boccaccesco, con una patina settentrionale. Il latino si ispira a scrittori diversi da quelli della latinità aurea, rifacendosi ad Apuleio e Plinio. FENOMENI DI MESCOLANZA NELLA PREDICAZIONE In Italia settentrionale nella seconda metà de’800 vi erano alcuni predicatori che si esprimevano con un linguaggio in cui latino e volgare si mescolavano in modo tale da ricordare il macaronico. La mescolanza non è una novità del ‘400, ma deriva dalla tradizione medievale. Le espressioni e le frasi latine si trovavano a convivere con una robusta dialettalità, come in Bernardino da Feltre. ALTRI CASI DI CONTAMINAZIONE TRA LATINO E VOLGARE Vi sono anche scritture che hanno la compresenza del latino e del volgare, ma che non hanno intenti d’arte: sono le epistole, le relazioni, i diari, i ricettari. Il latinismo nel contesto di un documento volgare è legato alla consuetudine; in una lettera, ad esempio, possono essere in latino le formule iniziali e finali. Esempio: epistola di Esterolo Visconti al duce Francesco Sforza; in essa ci si rivolge col vocativo latino allo Sforza e in latino è anche l’indicazione della data e del luogo, oltre che alla firma del mittente. Tutto il resto è in volgare. In un testo di natura giuridica in volgare, saranno in latino molti termini tecnici e se il testo è in latino, saranno in volgare alcune frasi o termini diversi dal contesto. La mescolanza in varie occasioni di italiano e latino in uno stesso documento durerà anche nel secolo seguente, quando l’italiano sarà più affermato. LEON BATTISTA ALBERTI UNA NUOVA FIDUCIA NEL VOLGARE Lo sviluppo del volgare fu rallentato dalla preferenza degli umanisti della lingua dei classici. Mancava un autore che manifestasse piena fiducia nell’italiano, anche se questa operazione era stata anticipata da Dante nel De Vulgari Eloquentia, ma il trattato non era conosciuto nel ‘400. Leon Battista Alberti, uno dei più grandi architetti del secolo, iniziò il movimento dell’Umanesimo volgare ed elaborò un programma di promozione della nuova lingua. Furono realizzate sia poesia che prose di tono alto, per trattare argomenti seri e importanti, come nel “De pictura”, nella “Della famiglia”. La posizione teorica espressa nel Proemio al III libro della “Famiglia” si ricollega Ai temi affrontati nelle discussioni sul passaggio dal latino all’italiano. L’Alberti riconosce la causa della perdita della lingua latina alla calata dei barbari, così si sarebbero introdotti nel linguaggio i barbarismi. Compito del volgare era quello di riscattare se stesso, facendosi onore come il latino. La nobile prosa dell’Alberti era ricca di latinismi, soprattutto a livello sintattico, oltre che lessicale e fonetico, l’influenza del latino dà esiti che si discostano dal modello ipotattico e ritmico di Boccaccio. LA “GRAMMATICA DELLA LINGUA TOSCANA” L’Alberti realizzò anche la prima grammatica della ligua italiana, prima grammatica umanistica di una lingua volgare moderna. Questa è trasmessa tramite un codice apografo scritto per il Bembo, conservato nella Biblioteca vaticana. Una premessa introduce una polemica contro coloro che ritenevano che la lingua latina fosse solamente dei dotti, mentre l’Alberti voleva dimostrare che anche il volgare aveva una sua struttura grammaticale ordinata, come il latino. Una caratteristica della grammatica era l’attenzione per l’uso toscano del tempo, non per gli autori antichi. 35 FORTUNA DEL TOSCANO LETTERARIO MODELLI DELLA LINGUA TOSCANA NELLE CORTI D’ITALIA Il volgare toscano acquistò un prestigio crescente dalla seconda metà del ‘300, a partire dalla presenza fuori dalla Toscana, di autori come Dante e Petrarca, che si mossero in area settentrionale: precoce fu la diffusione della Commedia e del Canzoniere. Il Decameron non fu da meno,anche se in certe zone fu tradotto in francese. Si formarono le biblioteche di studio, di impronta umanistica, in cui avevano spazio esclusivo gli autori latini. Il pubblico ideale, signorile, era bilingue o trilingue: lettura di libri italiani, francesi e latini. A Milano l’apertura verso la letteratura toscana fu avviata da Filippo Maria Visconti che leggeva Petrarca e Boccaccio e che fece compilare intorno al 1440 un commento all’Inferno dantesco, fece commentare Petrarca dal Filelfo. Si diffuse la stampa di testi italiani prodotti in territorio lombardo: segno di una richiesta del mercato, indirizzato in maniera positiva verso la letteratura volgare. Insieme a Firenze e Milano, anche Venezia era una città di stampa: dal 1470 era uscito il Canzoniere di Petrarca e nel 1471 il Deacmeron. Boiardo in ambiente emiliano, si dedicava all’imitazione petrarchesca negli “Amorum libri”, dove la toscanizzazione è più forte. UN CASO DI TOSCANIZZAZIONE NEL SETTENTRIONE D’ITALIA: LA LIRICA DI BOIARDO Matteo Maria Boiardo arrivò alla poesia in volgare dopo un’esperienza poetica in lingua latina. Egli operò in una dimensione acronica, quindi volontariamente sradicato dal proprio terreno linguistico dialettale e assimilò librescamente il toscano, senza percepire questo linguaggio come lingua vera. Egli non era influenzato dalla letteratura medicea dell’Umanesimo volgare e il suo punto di riferimento era il Trecento, in particolare la poesia del Petrarca. Un altro punto di riferimento era il latino: frequenti erano i latinismi che si riflettevano sul vocalismo tonico, in cui ricorrevano i e u al posto di e ed o. Il confronto tra Boirardo e il suo “Orlando innamorato” è reso difficile dal fatto che non si possiede l’originale; le due più antiche edizioni del poema sono del 1487 e del 1506 e sono giunte a noi in un’unica copia. Questa rarità si spiega con il carattere popolare del testo, che comporta una vera e propria usura. Si ha anche un manoscritto, che però è posteriore al 1495. IL LINGUAGGIO DELLA LIRICA NELL’ITALIA MERIDIONALE Quando si instaurò a Napoli la corte aragonese. Fiorì una poesia cortigiana di cui sono esponenti autori come Francesco Galeota, Caracciolo, Pietro Jacopo de Jennaro. La lingua di questi autori può essere studiata confrontandola con la koinè meridionale, con il toscano letterario e il toscano contemporaneo. I tratti linguistici più comuni emersi sono:  Forme anafonetiche fiorentine e forme senza anafonesi  Oscillazione tra ar protonica locale e er fiorentino nei futuri e condizionali dei evrbi  Oscillazione tra possessivi toa, soa e i toscani tua, sua  Forme come iorno, iace ( passaggio dj a j)  Articoli lo e lu  Forme del futuro in –aio e –aggio La generazione successiva dei poeti meridionali, ebbe come rappresentanti Cariteo e Sannazzaro; quest’ultimo è ricordato per l’ “Arcadia”, appartenente al genere bucolico, di cui esistono due redazioni e in cui si alternano egloghe pastorali e parti in prosa. La prima redazione risale al 1484-1486 e la seconda fu pubblicata nel 1504. La prosa dell’Arcadia è importante, in quanto è la prima prosa d’arte composta fuori falla Toscana, in lingua ex novo ed è il primo esempio di revisione linguistica in senso toscaneggiante ad opera di uno scrittore periferico. 36 Capitolo 9: Il Cinquecento ITALIANO E LATINO Nel ‘500 il volgare raggiunse piena maturità, ottenendo il riconoscimento unanime dei dotti; fioriscono autori come Ariosto, tasso, Machiavelli, Guicciardini e inoltre il volgare scritto raggiunse un pubblico molto ampio di lettori. Al latino fu tolto progressivamente spazio. La maggior parte dei libri pubblicati era ancora in latino e la lingua resisteva al livello più alto della cultura, ma gli intellettuali avevano fiducia nella nuova lingua: tale crescente fiducia derivava anche dal processo di regolamentazione grammaticale. Determinante furono le “Prose della volgare lingua”di Pietro Bembo. Si ebbero le prime grammatiche a stampa dell’italiano e i primi lessici; la maggior parte dei lettori cercava delle risposte pratiche, una guida per scrivere correttamente liberandosi dagli eccessivi latinismi e dialettismi. Verso la metà del secolo si assiste al tramonto della scrittura di koinè, tipica del ‘400, che era caratterizzata da contaminazioni di parlate locali, latino e toscano. Attraverso una regolamentazione normativa, l’italiano raggiunse uno status di lingua di cultura di alta dignità, anche se il latino continuava ad avere una posizione rilevante. Nella quotidianità, il volgare trovava spazio, più o meno ufficialmente. Marazzini ha preso in esame i privilegi concessi all’edizione del Decameron di Salviati, del 1582: su 11 privilegi concessi da governanti di stati italiani, 7 sono integralmente in latino, 2 mescolati italiano e latino e 2 sono integralmente in italiano. Il latino risulta quindi maggioritario. Il volgare veniva usato nella scienza quando si trattava di stampare opere di divulgazione, avendo uno spazio rilevante nei testi di arti applicate. Quanto al settore umanistico - letterario, il volgare trionfò nella letteratura e si affermò nella storiografia, grazie a Machiavelli e Guicciardini. La percentuale più alta di libri stampati venne stampata dall’editoria i Venezia, seguita da quella di Firenze. Nella Roma della seconda metà del ‘500 la produzione dei libri in volgare è al di sotto del 50% e a Torino e Pavia accadde la stessa cosa, in quanto città periferiche rispetto al centro toscano e caratterizzate da una forte presenza della cultura universitaria, legata alla lingua latina. A Roma il latino è egemonico perché lingua della Chiesa. LA QUESTIONE DELLA LINGUA PIETRO BEMBO: DALLE EDIZIONI ALDINE DEL 1501-1502 ALLE “PROSE DELLA VOLGAR LINGUA” Nell’avvio dell’attività di Bembo è importante il sodalizio con l’editore veneziano Aldo Manuzio, uno dei grandi maestri dell’arte tipografica italiana ed europea. Manuzio aveva stampato nel 1499 l’Hypnerotomachia Poliphili, libro saturo di latinismi. Il suo secondo libro stampato in volgare fu l’edizione delle “Lettere” di Santa Caterina, nel 1500. Nel 1501 Manuzio stampò due classici, Virgilio e Orazio, scegliendo un formato editoriale di piccole dimensioni, ossia il tascabile. Egli divenne famoso anche per il carattere tipografico corsivo, detto aldino. Nello stesso anno usciva “Le cose volgari di Messer Francesco Petrarca”, curato da Bembo. Bembo portò delle innovazioni, come la forma linguistica del testo, che sarebbe stata la base delle teorie delle Prose della volgar lingua ( compariva per la prima volta il segno dell’apostrofo, ispirato alla grafia greca). Nel 1502 Manuzio pubblicò la Commedia curata dal Bembo. Bembo intanto scriveva gli “Asolani” stampati ne 1505; in questa prosa trattatistica e filosofica si imitava linguisticamente il Boccaccio. Il dibattito teorico sulla lingua non fu mai così acceso come nel ‘500: l’esito delle discussioni fu la stabilizzazione normativa dell’italiano. La questione della lingua, sulla natura del volgare, va intesa come insieme di teorie estetico – letterarie che si collegano a un progetto di sviluppo delle lettere. Le “Prose della volgar lingua” furono pubblicate a Venezia nel 1525: è l’editio princeps ( così si usa chiamare la prima edizione a stampa di un’opera classica, medievale o moderna) di cui abbiamo l’edizione critica, con delle varianti rispetto al manoscritto e che è conservato nella Biblioteca vaticana di Roma. 37 Le Prose sono divisibili in 3 libri, il terzo dei quali contiene una grammatica dell’italiano, che risulta però poco sistematica e anche perché il trattato ha forma dialogica. Più che grammatica è una serie di norme e regole esposte nella finzione di un dialogo, da cui emerge un profilo dell’italiano, che Bembo teorizzava. Il dialogo è collocato nel 1502 e vi prendono parte 4 personaggi, ognuno dei quali è portavoce di una tesi diversa: 1. Giuliano de’Medici, terzo figlio di Lorenzo il Magnifico, rappresenta la continuità con il pensiero dell’Umanesimo volgare 2. Federico Fregoso espone molte tesi storiche 3. Ercole Strozzi, umanista e poeta in latino, espone le tesi degli avversari del volgare 4. Carlo Bembo, fratello dell’autore, è portavoce delle idee di Pietro Nelle Prose viene fatta un’ampia analisi storico-linguistica, prendendo le distanze dalla tesi di Bruni, secondo cui l’italiano era già esistito al tempo dell’antica Roma, come lingua popolare. Bembo non accettava la ricostruzione storica e ne individuava i rischi, facendo osservare a Ercole Strozzi, sostenitore del primato del latino, che non ci sarebbe stato nessun motivo di adottare una lingua scacciata dalle scritture classiche. Secondo Biondo Flavio, il volgare era nato dalla contaminazione del latino ad opera degli invasori barbari e il volgare stesso diventava un’entità nuova, da riscattare tramite gli scrittori e la letteratura. L’italiano stava progressivamente migliorando, mentre il provenzale stava perdendo terreno; il discorso così si spostava sul piano della letteratura, le cui sorti erano inscindibili da quelle della lingua. Il punto di vista delle Prose è umanistico e si fonda sul primato della letteratura. Quando Bembo parlava di lingua volgare, intendeva il toscano, quello letterario trecentesco dei grandi autori. La lingua non si acquisisce dal popolo, secondo Bembo, ma dalla frequentazione dei modelli scritti, i grandi trecentisti. La sua teoria voleva coniugare la modernità della scelta del volgare, secondo un ideale classicistico: requisito per la nobilitazione del volgare era un totale rifiuto della popolarità; ecco perché Bembo non apprezzava le scelte di Dante nella Commedia di scendere verso il basso. Bembo si preoccupava di precisare che le parti a cui faceva riferimento nel Decameron non erano quelle dialogate, in cui emergeva il parlato, ma quelle dove era visibile lo stile dello scrittore, con la sua sintassi latineggiante le inversioni e le frasi gerundive. Era favorevole a una regolamentazione del latino aderente al periodo aureo della classicità, fondata sul binomio Virgilio - Cicerone e a cui corrispondevano nel volgare Petrarca e Boccaccio. La soluzione di Bembo formalizzava quanto era avvenuto nella prassi: il volgare si era diffuso in tutta Italia come lingua della letteratura attraverso un’imitazione, più o meno cosciente, dei grandi trecentisti. La grammatica dell’autore permetteva di portare a compimento quel processo, depurando il volgare dagli elementi della koinè. LA TEORIA CORTIGIANA Per Calmeta il volgare migliore era quello usato nelle corti italiane e soprattutto nella corte d Roma; secondo Castelvetro, egli faceva riferimento alla fiorentinità della lingua, che si doveva apprendere sui testi di dante e Petrarca e doveva essere affinata attraverso l’uso della corte di Roma. Nel ‘500 Roma era una città cosmopolita e la sua popolazione era molto esposta alla penetrazione di mode linguistiche. Equicola aveva parlato di una lingua capace di accogliere vocaboli di tutte le regioni italiane, mai plebea e con una coloritura latineggiante e il cui modello risiedeva nella Corte di Roma. Castiglione nel “Cortigiano”, uscito nel 1528 era un fautore della lingua cortigiana. La differenza tra questo ideale e quello di Bembo sta nel fatto che i fautori della lingua cortigiana non volevano limitarsi all’imitazione del toscano arcaico, ma preferivano far riferimento all’uso vivo di un ambiente sociale determinato, come la corte. Bembo obiettava che la lingua cortigiana era un’entità difficile da definire e non riconducibile all’omogeneità. LA TEORIA ITALIANA DI TRISSINO Analogie con la teoria cortigiana presenta la tesi del letterato Giovan Giorgio Trissino, legato anche alla riscoperta del De Vulgari Eloquentia. Nel 1529 Trissino fece stampare il trattato dantesco, in traduzione italiana e nello stesso anno pubblicò il “Castellano”, un dialogo in cui sosteneva che la lingua poetica di Petrarca fosse composta da vocaboli provenienti da ogni parte d’Italia e non era definibile come fiorentina, bensì come italiana. 40 rappresentate da un cortigiano e da Lazzaro Bonamico. Nel dialogo viene introdotto un altro dialogo narrato da uno scolaro, che esprime una posizione originale: quella del filosofo aristotelico Pomponazzi. Pomponazzi dichiarava che la filosofia avrebbe dovuto essere trasportata dalle lingue classiche, dal latino e greco, alla lingua volgare, con traduzioni e conseguente modernizzazione della cultura. Il latino e il greco gli sembravano un ostacolo alla diffusione del sapere. ( posizione controcorrente) L’ACCADEMIA FIORENTINA Le accademie svolsero nel ‘500 una funzione di primo piano, in quanto influenzarono gli intellettuali e vennero dibattuti i problemi principali culturali. L’accademia fu il luogo in cui vennero affrontate questioni linguistiche attuali: ad esempio come nell’Accademia fiorentina nata nel 1541 dall’Accademia degli Umili e che nel 1542 divenne un organismo ufficiale. L’ACCADEMIA DELLA CRUSCA E SALVIATI La fondazione dell’Accademia della Crusca risale al 1582. Nel 1583 l’ingresso di Lionardo Salviati coincise con l’affermazione di seri interessi filologici. La Crusca inizialmente si fece conoscere per la polemica, condotta soprattutto da Salviati, contro la Gerusalemme Libertata si Tasso, a sostegno dell’Ariosto. Salviati raggiunse la fama come autore degli “Avvertimenti della lingua sopra ‘l Decameron”, un libro filologico e grammaticale, un intervento per spurgare l’opera delle parti ritenute moralmente censurabili. Questo fu commissionato dal granduca Francesco di Toscana per compiacere Sisto V e veniva dopo l’analoga effettuata dai “Deputati” dell’Accademia fiorentina. La censura fu un’occasione per la nascita e lo sviluppo di un’attenzione filologica per il testo del Decameron: per tramandarne lo stile, giudicato ammirevole, si accettava di intervenire mutilando il testo. Nel 1590 l’Accademia deliberò di rivedere e correggere il testo della Commedia di Dante e nel 1595 uscì a Firenze “La Divina Commedia” di Dante, ridotta dall’Accademia. LA VARIETA’ DELLA PROSA LE TRADUZIONI, LA SAGGISTICA E LA PROSA TECNICA L’architettura fu uno dei settori in cui l’italiano si impose, non solo nelle opere nuove, ma anche traducendo ciò che si presentava in latino. In latino era ancora il quattrocentesco trattato “De re edificatoria” di Leon Battista Alberti, tradotto in volgare da Cosimo Bartoli, col titolo “L’architettura”. Fra le traduzioni determinanti la più importante fu quella di Vitruvio, autore a cui Battista si era ispirato; la prima traduzione italiana di Vitruvio c’era stata all’inizio del secolo XVI, da parte del pittore Cesariano, traduzione con forme tipiche della koinè settentrionale. Il testo è vincolato dal latino, non solo nelle scelte lessicali, ma anche nella costruzione della frase. La trattatistica architettonica raggiunse nella seconda metà del ‘500 una maturità assoluta e una perfezione terminologica notevole, tanto che molte parole italiane, relative all’architettura civile e militare, entrarono anche nelle altre lingue europee. Anche la trattatistica d’arte offrì molto materiale allo storico della lingua: dal 1550 al 1568 uscirono le “Vite”di Vasari. Le traduzione dei classici costituiscono una parte importante per la storia dell’italiano; proprio nel confronto col latino la lingua italiana affinò le proprie capacità e potenzialità. Importanti furono le traduzioni di Aristotele, tra cui va ricordata la Retorica, tradotta da Caro e la Poetica, da Piccolomini. Platone fu tradotto nei suoi Dialoghi nel 1574. L’abbondanza di traduzioni rispondeva a un desiderio di divulgazione. La versione degli Annali di Tacito, tra il 1596 e il 1600, fu effettuata da Davanzati, che si sforzò di gareggiare con l’originale, per dimostrare la brevità e l’arguzia dell’idioma fiorentino e per controbattere le censure rivolte alla lingua italiana dall’umanista francese Estienne. Estienne aveva condannato una precedente traduzione tacitiana di Dati per la sua incapacità di adeguarsi all’originale latino. Davanzati rinunciava alla floridezza dello stile boccacciano e cercava semplicità nell’imitazione dello stile dei trecentisti minori, usando anche elementi del parlato e popolari, seguendo il suo ideale di scrivere semplice. Nel 1532 fu stampato a Roma il trattato “De principatibus” di Machiavelli: il “Principe” è un esempio di prosa, molto diverso da quello proposto da Bembo, in quanto Machiavelli scrisse in un fiorentino ricco di 41 latinismi, inoltre in latino sono i titoli dei veri capitoli, nonostante l’autore non disdegnasse di accogliere tratti bassi. Nel 1540 fu stampata la “Storia d’Italia” di Guicciardini. IL LINGUAGGIO SCIENTIFICO Il volgare prevaleva nel settore della scienza applicata o diretta a fini pratici, non nella ricerca accademica. Mattioli, che visse a lungo all’estero, medico alla corte imperiale, fu autore dei “Commentarii”, che ebbero numerose ristampe e che serviva a identificare e classificare le piante utili a fini medicinali. Il libro appartiene al campo delle scienze e della medicina, ma possiede anche valore pratico, per questo è scritto in italiano. La scelta del volgare acquista rilievo nel caso di Galileo, che appunto giungeva da un settore ostile del volgare, quello della scienza universitaria. Rinunciando al latino, Galileo aveva lo svantaggio di limitare la circolazione internazionale. LA PROSA DI VIAGGIO L’interesse linguistico della letteratura di viaggio consiste nella possibilità di reperire neologismi e forestierismi, legati alla descrizione di nazioni e luoghi esotici. Questo tipo di letteratura, inoltre, può esprimere interessi linguistici, quando accade che il viaggiatore si occupi degli idiomi parlati o scritti con cui è entrato in contatto. Tra gli ordini più attivi ci fu quello dei Gesuiti; Botero nelle “Relazioni universali”, del 1596, descrisse tutte le parti del mondo conosciuto, attraverso i testi originali spagnoli di cui si servì come fonte; lo spagnolo aveva una grande importanza come lingua internazionale. Infatti negli scritto di tutti i viaggiatori ricorrono generalmente molti ispanismi, sia come prestiti di necessità, che come citazioni. IL MISTILINGUISMO DELLA COMMEDIA Dalla prima metà del ‘500 la commedia si rivelò genere ideale per la realizzazione di un mistilinguismo o per la ricerca di elementi del parlato. La caratteristica più evidente della lingua della commedia è data dalla compresenza di diversi codici per i diversi personaggi. Al parlato mirarono molti autori toscani, come Machiavelli, che nel Discorso o Dialogo, se la prese con Ariosto, che avrebbe scritto commedie in cui, non avendo voluto usare il dialetto e non conoscendo il toscano parlato, avrebbe ottenuto un risultato scarso e poco credibile.  Cecchi per rendere colorito il dialogo delle proprie commedie, le riempì di motti e proverbi.  Analoghe esibizioni di linguaggio popolare toscano si trovano anche in testi senesi, come “La pellegrina”, di Bargagli.  Della Porta, ne “La fantesca” del 1592 impiegò diversi tipi tradizionali, tra cui la figura del pedante che si esprime in forme auliche e latineggianti, rovesciate ad effetto comico.  Nel “Candelaio” di Giordano Bruno, il latino si mescola con il fidenziano e con il volgare e quest’ultimo è ridotto al minimo.  Calmo nella “Rodiana” approfitta dell’abilità polilinguistica di un servo che imita napoletano, francese, milanese, raguseo, spagnolo, fiorentino, e di un vecchio che parla spagnolo, francese, napoletano, pugliese, mantovano, genovese e arabo. L’EPISTOLOGRAFIA Nel XVI secolo le raccolte di lettere, anche di autori famosi, costituirono un genere tra i più fortunati e diffusi. La maggior parte di questi libri fu stampata a Venezia. IL LINGUAGGIO POETICO ARIOSTO Ariosto adeguò la propria lingua al modello toscano delle Tre Corone, eliminando i settentrionalismi e accettando le regole della grammatica di Bembo. Machiavelli criticò il linguaggio teatrale di Ariosto, giudicandolo innaturale. L’esito finale del bembismo di Ariosto è il segno della riuscita della teorizzazione linguistica, che nell’Orlando furioso si traduce in una lingua chiara, elegante e regolata. 42 Il tono medio viene ottenuto anche con l’eliminazione di epiteti preziosi, sostituiti da termini prosaici e quotidiana, da aggettivi più sobri e indeterminati. IL PETRARCHISMO È una caratteristica del linguaggio poetico del Cinquecento e consiste in una soluzione coerente con il modello di Bembo e lui stesso nelle sue liriche, rappresentò questo gusto letterario. Il petrarchismo significa la scelta di un vocabolario lirico selezionato e di un repertorio di topoi. TORQUATO TASSO E LE POLEMICHE CON LA CRUSCA I rapporti tra Tasso e la Crusca furono essenziali nelle discussioni linguistico – letterarie della fine del ‘500. L’attacco dell’Accademia della Crusca alla “Gerusalemme liberata” non fece allontanare Tasso dalla lingua toscana, bensì egli non mise mai in discussione la toscanità della lingua italiana. Prese le distanze dai dialetti, per celebrare il primato della lingua toscana. Tasso non riconobbe comunque il primato fiorentino: la tradizione toscana era intesa come patrimonio culturale comune e per questo proponeva una prosa in cui prevaleva la paratassi sull’ipotassi, con una diminuzione delle clausole. La polemica con la Crusca, non riguardò lo stile di Tasso prosatore, non la sua poesia lirica e neanche i versi dell’ “Aminta”; le accuse rivolte al Tasso epico ebbero per oggetto questioni di lingua e stile:  Lo stile di Tasso epico è oscuro  Il suo linguaggio è una mistura di voci latine, pedantesche, straniere, lombarde, composte  I suoi versi sono aspri  Poteva avere una locuzione più chiara I cruscanti giudicavano che Tasso, rispetto ad Ariosto, non fosse facile da intendere e questo costringeva il pubblico ad una lettura silenziosa. Si poneva quindi un problema di sintassi e disposizione delle frasi nella struttura ritmica dell’ottava. Nel lessico della poesia epica, Tasso mostrò una predilezione per il latinismo, che costituisce uno degli elementi usati per far conseguire alla poesia, il livello elevato. Le critiche della Crusca mostrano uno scarso apprezzamento nei confronti del nuovo gusto letterario, in quanto Tasso si era staccato dal modello di Ariosto, senza preoccuparsi delle norme bembiane, ma l’autore ci teneva a dimostrare che le sue scelte lessicali non si erano discostate così tanto dai grandi scrittori del passato. La violenza con cui Salviati attaccò Tasso ha un significato più profondo: egli era guidato dal fastidio nei confronti di una stella nel mondo della letteratura volgare, che brillava lontano da Firenze e sembrava non conoscerne il primato. Il primato assoluto di Firenze sulla lingua era un’ambizione a cui Salviati aspirò per tutta la vita. Nella sua Apologia, Tasso proponeva una distinzione tra fiorentino antico e moderno, contestando che i fiorentini potessero ambire ad essere giudici più di altri competenti di letteratura e affermava che la lingua volgare era qualcosa di separato dal volgo,avendo acquisito una dimensione colta. Tasso osservava che la lingua di Dante era stata più fiorentina di quella di Petrarca, ma meno poetica ( alludendo alla formalizzazione di una lingua non realistica, vaga, allusiva, utilizzabile e utilizzata come modello). Le dispute tra Tasso e Salviati mostrarono una rottura: l’Accademia stava per coronare il suo progetto istituzionale, per regolare la lingua italiana, mentre la letteratura prendeva un’altra strada, opposta e in conflitto. TEORIA POETICA E STILE DI TASSO Una guida per cogliere lo stile della poesia di tasso sono le sue pagine di teorico, contenute nel quinto libro dei “Discorsi del poema eroico”, dedicato all’elocuzione, intesa come problema che non riguarda solo l’oratore e l’attore, ma anche il poeta. Tasso spiegò come poteva essere raggiunto l’ideale di magnificenza a cui aspirava e che costituiva il motivo di attrito rispetto alla concezione della Crusca. 1. Il primo carattere di magnificenza sta nell’asprezza, termine con cui designa la presenza di forti allitterazioni 2. un altro espediente sta nei versi spezzati, nell’uso degli enambement, che spesso separa l’aggettivo dal sostantivo e che permette di distanziare il verso dalla monotonia della prevedibilità metrica 45 L’opera principale di Bartoli è “Istoria della compagnia di Gesù”, pubblicata dal 1650 al 1673, in cui descrisse anche i quadri geografici esotici in cui si erano svolte e si svolgevano le attività missionarie dei suoi confratelli gesuiti. Bartoli che non viaggiava mia, usò per il suo lavoro gli scritti di coloro che erano stati effettivamente in missione. LE EDIZIONI DEL 1623 E DEL 1691 DEL VOCABOLARIO: SVILUPPO DELLA CRUSCA E DELLA CULTURA LINGUISTICA TOSCANA La fortuna del Vocabolario della Crusca è confermata dalle due edizioni che uscirono in seguito: 1. la seconda edizione uscì nel 1623, analoga alla prima, tranne per alcuni aggiunte e correzioni 2. la terza edizioni, stampata a Firenze e non più a Venezia, è del 1691 e si presenta diversa già dall’esterno: tre tomi al posto di uno, con il formato in folio e un aumento del materiale, sia per la quantità dei lemmi, che per gli esempi e la definizione delle voci Anche dal punto di vista qualitativo i cambiamenti erano sensibili; i lavori per la riedizione durarono per 30 anni e furono importanti i contributi di Dati, Segni, Redi, Magalotti, Salvini. Il binomio Redi-Magalotti era costituito da due letterati scienziati molto rinomati e ciò spiega la cura con cui la Nuova Crusca diede conto del linguaggio scientifico, includendo Galileo fra gli autori. Nella terza edizione si fece riscorso all’indicazione V.A., ossia Voce Antica, per segnalare le voci introdotte nel vocabolario, non per proporle all’uso dei moderni, ma a scopo storico-documentario: era uno strumento per facilitare la lettura degli scrittori antichi. Sul versante della modernità venne dato uno spazio maggiore a voci non documentate nell’epoca d’oro della lingua italiana, ossia il ‘300 e che risultavano dall’uso degli autori moderni. Inoltre furono inserite una serie di voci attestate da scrittori di scienza del ‘600, queste e altre voci furono scelte sull’autorità di scrittori contemporanei e dando la preferenza ai toscani. Tra gli “Autori moderni” citati in difetto, vi sono diverse presenze non toscane, sia appartenenti al passato che ai contemporanei, come Iacopo Sannazzaro, Baldassar Castiglione, Chiabrera, Pallavicino. Annibal Caro era già stato inserito nella seconda Crusca, così come il Guarini, autore de “Il pastor fido”. Ma l’autore più significativo, inserito nella Terza Crusca è Torquato Tasso; vistosa è l’assenza di Marino, in quanto l’ambiente fiorentino era ostile agli eccessi del Barocco. Nella terza Crusca, inoltre, furono dedicate delle pagine alla spiegazione dei criteri generali seguiti per realizzare l’opera. IL LINGUAGGIO DELLA SCIENZA GALILEO E IL LINGUAGGIO DELLA SCIENZA La prosa del ‘600 deve molto allo sviluppo del linguaggio scientifico, prima di tutto per merito di Galileo. Galileo aveva cominciato a scrivere in italiano molto giovane, con “La bilancetta”, definendo una precisa preferenza per la lingua moderna, ma il suo insegnamento universitario a Padova fu in latino. La scelta fra le due lingue era dettata dalla fiducia a priori nel volgare, in quanto Galileo aveva affermato di usarlo per raggiungere coloro che avessero più interesse per la milizia che per la lingua latina: intento divulgativo. Scelse il toscano, anche se all’inizio gli capitò di usare comunque il latino, che aveva caratteristiche innovative. Il latino via via assunse la funzione di termine di confronto negativo,a cui rivolgersi polemicamente: ciò è evidente nel “Saggiatore” del 1623, dove sono riportate le tesi dell’avversario scritte in latino e confutate in italiano, dando vita così a un continuo dialogo tra le due lingue. Pur scegliendo il volgare, non si collocò mai al livello basso-popolare; favorito dall’origine toscana, seppe raggiungere un tono elegante e medio, con una chiarezza terminologica e sintattica e non rinunciò a mostrare alcuni difetti della lingua toscana viva e parlata, così come non rinunciò al sarcasmo e al paradosso. Non ci può essere discorso scientifico, senza il rigore logico e dimostrativo e la chiarezza linguistico – terminologica; anche quando non si trattava di testi scientifici, ricorreva sempre il richiamo a un oggetto particolare. Galileo quando nominava e definiva un concetto o una cosa nuova, preferiva attenersi ai precedenti comuni ed evitare di introdurre una terminologia inusitata o troppo colta. LA SCIENZA PIACEVOLE: REDI E MAGALOTTI Redi, scienziato, è tra i fondatori della biologia moderna e le sue prose consistevano in descrizioni i esperimenti, ricavate da appunti presi in laboratorio e svolte come relazione, che prende in genere la forma 46 epistolare. Egli divideva la propria attività tra il settore scientifico e quello umanistico. Frequente era da parte sua la citazione di versi anche nel bel mezzo di una descrizione di un’esperienza, come i versi di Dante. La poesia è utilizzata come vera e propria divulgazione. Il termine popolare toscano poteva essere proposto accanto a quello colto. Redi aveva il gusto per la denominazione d’uso, per la freschezza della lingua parlata e per l’impiego del francesismo corrente. IL MELODRAMMA Nato a cavallo tra ‘500 e ‘600 e destinato a un grande successo nel secolo XVII. L’Italia assunse una posizione egemonica per ciò che riguarda la produzione di opere liriche e il melodramma permetteva di affrontare la questione del rapporto tra parola e musica. Il melodramma del primo ‘600 fu un tentativo di ricreare la tragedia antica, che si immaginava fosse stata eseguita dai greci con l’accompagnamento del canto e nacque dalla volontà di non sacrificare il testo del libretto alle esigenze della melodia. Nel Rinascimento assunse importanza la forma del madrigale: Tasso scrisse molte poesie dedicate alla musica e al canto e altre volte i versi furono impiegati per la musica. Il rapporto tra parola e melodia fu affrontato in maniera profonda e sistematica: così nel “Dialogo della musica antica” del 1581 di Vincenzo Galilei. Il teatro del ‘500 era stato recitato e non cantato, fino a quel momento e la musica era rimasta confinata. La nascita del melodramma avvenne nel 1600 con la rappresentazione dell’ “Euridice”, in occasione delle nozze di Maria De’ Medici. Il melodramma si caratterizzava come un tipo di spettacolo d’elite, come forma di divertimento che richiede scenografie e allestimenti. Il linguaggio del melodramma si inseriva nella linea della lirica petrarchesca, rivisitata attraverso Tasso, in particolare nell’ “Aminta”. IL LINGUAGGIO POETICO BAROCCO ELEMENTI INNOVATIVI Con Marino e il marinismo a partire dal ‘600, le innovazioni si fecero più accentuate che nel Tasso:  il catalogo degli oggetti poetici si allargò rispetto alla tradizione, anche se gli schemi metrici e le cadenze ritmiche rimanevano quelle petrarchesche. La poesia barocca estese il repertorio dei temi e delle situazioni, assunte come oggetto di poesia e il rinnovamento tematico ne portò uno lessicale. La prosa scientifica, frutto dello spirito di osservazione e del gusto sperimentale e quindi frutto del metodo di Galileo, aveva descritto con interesse il regno animale. I poeti barocchi non furono da meno e arrivarono a utilizzare gli stessi strumenti della scienza. L’ “ADONE” DI MARINO Nell’Adone vi sono famose ottave in cui lo scrittore, in una complessa allegoria, introdusse l’anatomia del corpo umano e adoperò termini anatomici per tentare una descrizione delle diverse parti del corpo. Il lessico dell’anatomia venne introdotto per celebrare i sensi il corpo umano. Altre ottave utilizzavano la descrizione della luna fatta da Galileo, per ribadire la disponibilità della letteratura verso le scoperte della scienza. Un filone della poesia barocca cha fa capo a Marino, impiegò il lessico scientifico, insieme alla tematica e agli oggetti della scienza. La scienza così viene riconosciuta dalla letteratura. La presenza del lessico scientifico confermò la tendenza al rinnovamento, verificabile nell’inserimento di forestierismi e di parole provenienti dalla tradizione comica. Inoltre nell’Adone fu inserita l’attualità: vengono adoperati i cultismi, grecismi, latinismi, non di rado di provenienza scientifica. Vengono impiegate le parole composte e non poco comuni, oltre a quelle inventate, che sono simili a quelle comuni, ma non uguali e che hanno un significato comico. Quello dei marinisti fu uno stile ricco di metafore, oltre che di bisticci. La donna venne ritratta non in sembianze petrarchesche. IL “CANNOCCHIALE ARISTOTELICO” DI TESAURO Definito il trattato più significativo per intendere la poetica del Barocco. Molte parti del libro offrono una serie di riflessioni di carattere letterario e toccano problemi di natura linguistica. 47 C’è una polemica contro il dogmatismo grammaticale e contro l’autorità pedantesca e che si traduce in una concezione della lingua intesa come qualcosa di libero, destinato a mutare nel corso del tempo. Secondo Tesauro, la lingua è un sistema aperto e mutevole e lo scrittore è libero di sottrarsi alle convenzioni grammaticali; viene così legittimata la violazione della norma, purché sia fatta consciamente, da parte di chi conosce l’esistenza. Egli contrappose la cacofonia alla cacozelia: 1. la cacofonia, cioè il cattivo suono, è un vizio di forma 2. la cacozelia è il difetto di quelli che errano per essere rispettosi nei confronti delle norme grammaticali Anche le parole straniere, definite barbarismi, possono diventare eleganti; anzi proprio perché inusitate nella nostra lingua, hanno un effetto migliore di quello che si riscontra nell’idioma da cui provengono, perché diventano pellegrine. La polemica di Tesauro contro gli arcaismi lessicali ritorna in “Della’arte delle lettere missive”, un trattatello di stile epistolare: a suo giudizio la maturità della lingua italiana, cominciata nel secolo XVI andava crescendo e la lingua moderna risultava migliore di quella antica. Alcune pagine del “Cannocchiale aristotelico” discutono della metafora, la figura retorica più caratteristica della poesia barocca. Aristotele nella “Reotrica” aveva accennato alla metafora come strumento di effettiva conoscenza della realtà, capace di cogliere l’analogia tra cose differenti. La trattatistica barocca poté considerare la metafora come fulcro dell’attività poetica, frutto di un ingegno, che è la facoltà creativa, distinta dalla capacità razionale dell’uomo. SVILUPPO LETTERARIO DELLA PREDICAZIONE RELIGIOSA NEL XVII LA PREDICAZIONE BAROCCA La predicazione barocca presentava una serie di costanti:  forte uso di esclamazioni  presenza di interrogazioni, di invocazioni, di elencazioni  giochi di rima, allitterazioni, assonanze, anafore. Si tendeva verso la metafora e la ridondanza lessicale, spesso in forma di climax e di gioco verbale. Le “Dicerie sacre” di Marino si collegano alla predicazione religiosa: Marino, pur essendo un laico, imitò lo stile e il genere della predica. Già nella seconda metà del ‘500 le raccolte di prediche avevano affiancato le raccolte dei discorsi laici, le orazioni politico- giudiziarie o celebrative. Nel ‘600 le raccolte di prediche furono pubblicate sotto il titolo di “Panegirici”, “Quaresimali”. I titoli costruiti secondo l’artificio della sorpresa furono comuni nel ‘600, così come l’uso di formule sorprendenti nel contenuto della predica. PADRE PAOLO SEGNERI E LE MISSIONI RURALI A Sègneri fu riconosciuta l’autorità linguistica dai compilatori della III edizione del Vocabolario della Crusca; egli fu il più famoso predicatore del XVII secolo e prese le mosse da una riforma dello stile barocco. Nella forma linguistica e nella struttura del sermone, Sègneri sembrava legato alla tradizione precedente, anche se fu rivoluzionario rivolgersi alle masse rurali. Il suo vero pubblico fu quello popolare. Egli intendeva raggiungere un pubblico solitamente trascurato, costituito dalla gente di campagna, che abitava in località sperdute, isolate, mai visitate dai predicatori più famosi. Per molti suoi uditori doveva essere un’occasione unica sentir parlare un oratore di qualità elevata e di fronte a questo pubblico incolto, Sègneri non abbassò il livello linguistico della propria oratoria. Il predicatore usò strategie gestuali, coreografie orchestrate. L’ANTIFIORENTINISMO DI PAOLO ARESI L’ “Arte di predicar bene” fu l’opera principale dell’autore, difensore della dignità del volgare. A suo giudizio il volgare era uno strumento degno di trattare problemi di retorica ecclesiastica. Aresi non ignorava l’esistenza della predica pronunciata in dialetto, ma esso non era accettabile per due motivi: 1. perché faceva venire meno l’obbligo della nobiltà del dettato 2. perché sarebbe stato impossibile per un predicatore itinerante far uso di parlate diverse. 50 I fiorentini continuavano a rivendicare il primato della loro città. Becelli esortava all’imitazione delle Tre Corone, proponendo un canone rigido. Celebre è la “Rinunzia avanti notaio al Vocabolario della Crusca” scritta da Verri a nome dei redattori della rivista milanese “Il Caffè”: l0intervento mostra una grande insofferenza nei confronti dell’autoritarismo fiorentino e consiste in un pamphlet, caratterizzato dal tono sarcastico, in cui si denuncia lo spazio eccessivo che le questioni retoriche e formali (le parole) hanno avuto nella cultura italiana a svantaggio delle cose, a danno del progresso concreto. Cesarotti nel “Saggio sulla filosofia delle lingue”, prima edizione del 1785 con il titolo “Saggio sulla lingua italiana”, seconda edizione del 1788: conteneva un sistema valido, fondato su una concezione generale del linguaggio, elaborata sulla base di idee diffuse nel ‘700 dalla cultura francese. Il saggio si apre con una serie di teorie:  tutte le lingue nascono e derivano, all’inizio della loro storia sono barbare, ma il concetto di barbarie non ha senso se lo si utilizza nel confronto fra le lingue, perché tutte servono ugualmente all’uso della nazione che le parla  nessuna lingua è pura: tutte nascono dalla composizione di elementi vari  tutte le lingue nascono da una combinazione casuale, non da un progetto razionale  nessuna lingua nasce da un ordine prestabilito  nessuna lingua è perfetta, ma tutte possono migliorare  nessuna lingua è tanto ricca da non aver bisogno di nuove ricchezza  nessuna lingua è inalterabile  nessuna lingua è parlata in maniera uniforme nella nazione Cesarotti poi affronta il problema della distinzione tra lingua orale e lingua scritta; quest’ultima ha una dignità superiore, in quanto momento di riflessione e strumento con cui operano i dotti. La lingua scritta per l’autore non dipende dal popolo e nemmeno dagli scrittori, non può essere fissata in modelli. La polemica si caratterizza per il suo antipurismo. La III parte del saggio è più pratica: Cesarotti indica la strada per una normativa illuminata, da contrapporre a quella troppo rigida della Crusca. A differenza degli illuministi radicale del “Caffè” egli non vuole una libertà da ogni regole e riconosce il valore dell’uso, quando accomuna scrittori e popoli. Chi scrive non deve guardare a un passato morto e sepolto: gli scrittori sono liberi di introdurre termini nuovi o di ampliare il senso dei vecchi. I termini nuovi possono essere introdotti per analogia con i termini già esistenti. Un’altra fonte di parole possono essere i dialetti italiani e Cesarotti ammette che possono essere adottate anche parole straniere, ma questa scelta dev’essere fatta con cautela. Egli inizia il suo discorso sui prestiti trattando la questione delle parole latine e dei grecismi; in nome della chiarezza egli pensa che sarebbe auspicabile una diminuzione del loro numero nel linguaggio scientifico. Questa posizione diffidente nei confronti dei grecismi, anticipa quella di Pietro Giordani, che propose termini composti italiani invece di quelli greci. Toccare il problema significava affrontare il tema più spinoso dei forestierismi provenienti dalle lingue moderne e soprattutto dal francese. Ma per Cesarotti i forestierismi e i neologismi, una volta entrati in italiano, possono produrre nuove derivazioni. Il “genio della lingua”, inteso come carattere originario tipico di un idioma e di un popolo, era utilizzato dagli avversari dei forestierismi per dimostrare l’estraneità e l’improponibilità del termine esotico. Cesarotti propone un duplice concetto di genio grammaticale e retorico per distinguere meglio nella lingua ciò che deve essere difeso come inalterabile da ciò che invece può mutare in relazione ai tempi e al progresso. La struttura grammaticale delle lingue è infatti inalterabile, il lessico invece dipende dal genio retorico e riguarda l’espressività della lingua stessa; è in quest’ultimo settore che tutto è alterabile come i prestiti e le derivazioni. Quindi ha torto chi afferma che i forestierismi guastano la lingua, in quanto le strutture grammaticali non sono investite dal cambiamento. La IV parte del saggio, a conclusione, è dedicata all’esaminazione della situazione italiana e propone delle soluzioni positive alle polemiche della questione della lingua. Proprio nelle ultime pagine si affronta il tema del rinnovamento della lessicografia legata all’attualità della politica. Poiché la lingua è della nazione, Cesarotti, proponeva di istituire un Consiglio nazionale della lingua, al posto della Crusca e la sede avrebbe dovuto essere ancora Firenze; la nuova istituzione si sarebbe occupata 51 di studi etimologici e filologico - linguistici, ma soprattutto con attenzione al lessico tecnico delle arti, dei mestieri e delle scienze. La schedatura avrebbe superato la selettività letteraria e avrebbe permesso di arrivare alle parole di uso regionale e poi si sarebbe arrivati ad una scelta; il patrimonio lessicale ottenuto sarebbe stato confrontato con quello ,presente nei vocabolari di altre nazioni. Compito finale del Consiglio era la compilazione di un vocabolario, realizzato in due forme: 1. un’edizione ampia, scientifica rivolta agli specialisti e con carattere etimologico, storico, filologico e comparativo 2. un’edizione di uso comune, pratica e divulgativa. Il saggio si chiude con un appello alle attività intellettuali, chiamando Firenze a farsi guida culturale d’Italia, con il consenso delle altre regioni, ma fu inascoltato. LE RIFORME SCOLASTICHE E GLI IDEALI DI DIVULGAZIONE GLI IDEALI DI DIVULGAZIONE DEL SAPERE Vi è un nesso tra gli ideali di divulgazione culturale, di svecchiamento e rinnovamento del pensiero e la diffusione nel Settecento di un sentimento democratico. Le condizioni del popolo divennero un forma di interesse per gli illuministi e si cominciò a pensare che la conoscenza della lingua italiana doveva entrare nel bagaglio di ogni uomo per poter assumere un ruolo nella società produttiva. Il recente volume dedicato alla storia linguistica del ‘700 scritto da Matarrese, si apre con un capitolo dedicato a “Scuola ed educazione linguistica”: l’organizzazione razionale di una scuola è uno degli obiettivi che caratterizzano positivamente l’Illuminismo riformatore. L’insegnamento della lingua implicò delle strategie e degli obiettivi di politica culturale. È in questo secolo che l’italiano entra in forma ufficiale, poiché sono le organizzazioni statali a darsi da fare, sotto lo stimolo di intellettuali intelligenti, per far si che l’insegnamento non fosse svolto solo in riferimento alla lingua latina. Nasce così una sensibilità nuova per i temi della divulgazione e della diffusione della cultura nei ceti medie moderne sono anche le ribellioni antipedantesche e antiaccademiche. Gli specialisti indicarono la strada per le necessarie riforme sulla via del progresso, anche se la situazione italiana rimase assai difficile, per la mancanza di uno stato unitario nazionale che doveva applicare un disegno di riforma omogeneo per un territorio così ampio. RIFORME SCOLASTICHE NEL PIEMONTE Nel 1729 Vittorio Amedeo II di Savoia emanò dei provvedimenti per la riforma dell’università; un intellettuale di grido come Scipione Maffei suggerì l’introduzione dell’insegnamento delle lettere toscane ma non fu messo in atto. I Regolamenti scolastici Piemontesi del 1729 introducevano, d’altro canto, l’insegnamento della grammatica latina mediante manuali scritti in italiano. Sempre in Piemonte nel 1733-34 divenne obbligatorio per la prima volta, nella scuola superiore d’elite, lo studio dell’italiano, stabilito solo una volta alla settimana, il sabato. Nel 1734 venne definitivamente a Torino una cattedra universitaria di italiano e greco, cattedra che divenne punto di avvio di una politica di sviluppo della scuola d’italiano. L’italiano così si fece più solido, in quanto venne istituita una classe iniziale, propedeutica a quelle già esistenti e dedicata a fornire i rudimenti della lingua italiana. Naturalmente lo sviluppo dell’insegnamento dell’italiano è stato graduale e sempre in un contesto finalizzato allo studio del latino. MODENA, NAPOLI, PARMA Modena, in seguito a nuove costituzioni degli studi emanate nel 1772, si prescriveva per i primi anni di corso l’uso di libri esclusivamente italiani e non latini. Si ebbero riforme scolastiche dopo la cacciata dei Gesuiti anche a Napoli e a Parma. A Parma nel 1768, si prevedeva per le classi infime, destinate a coloro che non avrebbero proseguito gli studi, l’insegnamento del solo italiano. A Napoli fu avanzato un progetto di Genovesi del 1777, che proponeva a livello di istruzione primaria per i meno abbienti, l’istituzione di insegnamenti di leggere, scrivere ed abaco pratico; il regno di Napoli si trovava in uno stato d’inferiorità a causa dell’inesistenza dell’istruzione primaria. 52 LA POLEMICA CONTRO IL LATINO Nel ‘700 si levarono polemiche contro l’abuso del latino nell’educazione dei fanciulli; ai giovani delle classi medie popolari serviva una cultura più legata alle esigenze dei commerci e delle attività pratiche e il latino veniva accusato di essere il freno di questo progresso. IL LOMBARDO-VENETO Alla fine del XVIII secolo furono avviate delle riforme nelle scuole del Lombardo - Veneto, grazie alla politica scolastica di Maria Teresa d’Austria. Fu ideato a Berlino e giunse in Italia attraverso l’Austria un nuovo metodo didattico, detto normale, in cui per la prima volta prendeva forma l’unita della classe concepita in maniera moderna, come un gruppo a cui venivano dati insegnamenti per obbiettivi didattici unitari. Tra il 1786 e 1788, il padre Soave pubblicò una serie di manuali per l’insegnamento dell’italiano che ebbero grande fortuna. Nel 1783 era stato pubblicato a Rovereto un abc, ovvero “Il libretto dei nomi” e poi modificata dal Soave per realizzare il nuovo “Abbeccedario”, che consentiva un percorso graduale dalla lettera alla sillaba, alla parola, alla frase, al testo in prosa, al testo in versi. Per Soave il dialetto poteva essere utilizzato come punto di accesso alla lingua italiana, fornendo frasi dialettali da tradurre in italiano. L’obbiettivo era la conoscenza dell’italiano finito e per Soave finito significava accurato ed elegante, cioè il toscano. Dalla riforma austriaca nacque un’idea di una scuola comunale con il compito di insegnare a leggere e a scrivere; scuola istituita nell’‘800 negli stati dell’Italia settentrionale. La scuola comunale si collega anche alla pedagogia popolare del Romanticismo. LINGUA DI CONVERSAZIONE E SCRITTURE POPOLARI UNA LINGUA D’OCCASIONE L’interesse dei riformatori per l’insegnamento scolastico dell’italiano non produsse risultati immediati al livello della popolazione di ceto più basso;l’uso della lingua italiana continuò ad essere un fatto d’elite. Il toscano era adatto alle situazioni ufficiali e ai libri, ma meno adatto alle situazione familiari, ai rapporti confidenziali, occupato dai dialetti. LINGUAGGIO INTINERIARIO E PARLAR FINITO L’opinione di Baretti andava d’accordo con altre, ad esempio quella di Foscolo, che parlava di linguaggio mercantile e itinerario, usato da coloro che erano abituati a muoversi nella varie regioni italiane. Foscolo osservava che l’uso di una lingua non dialettale nella propria patria avrebbe rischiato di creare problemi di comprensione. Manzoni descrisse i caratteri del “parlar finito”, la lingua ritenuta elegante e che consisteva nell’utilizzo di parole che si supponevano italiane e nell’aggiunta di finali italiane alle parole dialettali terminanti per consonante. La lingua italiana si prestava poco alla conversazione naturale, perché era scritta, ma poco parlata. Solo i Toscani si trovavano in posizione di vantaggio, perché nella loro regione, lingua scritta e parlata coincidevano quasi perfettamente. SCRITTURE POPOLARI Anche nel ‘700, si reperiscono scritture popolari, di semicolti, in cui si ha modo di osservare un uso difettoso della lingua scritta. Questo tipo di situazione comunicativa dava luogo a interferenze del codice dialettale con quello dell’italiano. Un italiano di tipo regionale e popolare si rintraccia negli annunci commerciali sulle gazzette, come negli articoli di cronaca giornalistica, con un italiano assai modesto e con tratti popolari. LINGUAGGIO TEATRALE E DEL MELODRAMMA L’OPERA IN MUSICA Il successo dell’opera italiana è nel ‘700 molto grande anche all’estero. Il successo della lingua italiana nell’opera per musica contribuì a fissare lo stereotipo dell’italiano come lingua della dolcezza, della cantabilità, della poesia, dell’istinto, della piacevolezza, in contrapposizione al francese, lingua della razionalità e della chiarezza. 55 Capitolo 12: L’Ottocento PURISMO: IL CULTO DEL PASSATO All’inizio del’800, anche per reazione contro l’egemonia della cultura francese e contro l’invadenza della lingua d’oltralpe, imposta durante l’Impero napoleonico, si sviluppò un movimento chiamato Purismo. Il termine, inizialmente nato per polemica, indicava un’avversione e un’intolleranza per ogni innovazione, influsso straniero, tecnicismo, neologismo. Un atteggiamento del genere ebbe per conseguenza un forte antimodernismo, ne derivava un vagheggiamento dell’antico, epoca felice per la lingua e un disprezzo per i tempi presenti e una teoria della storia linguistica, intesa come progressiva caduta. Il capofila del Purismo italiano può essere definito Antonio Cesari, veronese, autore di libri religiosi, di novelle, studi danteschi, ma soprattutto celebre per la sua attività di lessicografo; la “Dissertazione sopra lo stato presente della lingua italiana” è da considerare il vero manifesto del purismo. Secondo Cesari tutti in quel tempo del 1300 parlavano e scrivevano bene, il canone della perfezione linguistica veniva esteso al di là delle opere degli autori, massimi o minori che fossero. Si apprezzava non solo la letteratura, ma anche le umilissime scritture quotidiane, le note contabili ecc.. Arrivò presto a riproporre l’inautenticità del De vulgari Eloquentia, secondo i vecchi argomenti dibattuti, ma superati e improponibili. Il marchese Puoti, napoletano, tenne una scuola libera e provata, dedicata all’insegnamento della lingua italiana, intesa come concezione puristica, ma meno rigida di quella di Cesari, più disponibile verso gli autori del ‘500; fu il maestro di De Sanctis e Settembrini. Quest’ultimo, pur lontano dal Purismo, ne giustificava l’esistenza come forma di sentimento nazionale. De Sanctis nello scritto autobiografico “La giovinezza” ricorda i contenuti della scuola di Puoti, che spiegò che la base della scuola era la buona e ordinata lettura dei trecentisti e cinquecentisti. Lo scrittore Carlo Botta fu solidale con il Cesari, fu autore della “Storia della guerra della indipendenza degli Stati Uniti d’America” del 1809, in cui la lingua di arcaismi cozza con il contenuto moderno. L’autore oltre a parole obsolete come civanza per guadagno, misfare per far male, usi i nomi antichi dei venti al posto delle designazioni dei punti cardinali. L’efficacia pratica del Purismo, nella sua durata temporale molto lunga, si realizzò anche in seguito, dopo l’Unità italiana, quando l’insegnamento di molte scuole fu improntato a metodi che discendevano dalle idee di Puoti e di Cesari. I “Fatti di Enea”, il “Novellino”, le prediche del Cavalca restano tra i libri fondamentali per l’educazione dei giovani. LA “PROPOSTA” DI MONTI E LE REAZIONI ANTIPURISTICHE Vincenzo Monti, all’apice della sua attività letteraria, pose un freno alle esagerazioni del Purismo. Fin dal 1813 dimostrò di non andare d’accordo col Cesari e dalle colonne del “Poligrafo” di Milano, Monti gli rinfacciò di aver dato una versione del Vocabolario della Crusca apparentemente più ampia. La critica antipurista di Monti arrivò a colpire lo stesso Vocabolario della Crusca; le sue polemiche linguistiche compongono la serie di volumi intitolata “Proposta di alcune correzioni ed aggiunte al Vocabolario della Crusca”, uscita dal 1817 al 1824. Gran parte della Proposta era costituita dalla ricerca di errori compiuti dai vocabolari fiorentini, errori dovuti anche alla scarsa preparazione filologica. Il Vocabolario della Crusca veniva giudicato inadeguato, caratterizzato da una visione angusta della lingua. Tra i romantici milanesi circolò uno scritto di Stendhal ( I pericoli della lingua italiana), ispirato al sensismo: lo scritto condannava il Purismo e metteva a fuoco la situazione linguistica dell’Italia, caratterizzato dalla vitalità dei dialetti e dall’artificiosità della lingua letteraria. LA SOLUZIONE MANZONIANA ALLA QUESTIONE DELLA LINGUA GLI SCRITTI EDITI E INEDITI DI MANZONI SULLA LINGUA ITALIANA I romantici milanesi si dibattevano attorno al problema dell’italiano in tutto o in parte simile a una lingua morta, che si imparava dai libri, che si impiegava nella letteratura e per le occasioni ufficiali, ma inadatta ai rapporti quotidiani e familiari, per i quali era più facile e funzionale il dialetto. Manzoni affrontò la questione e inserì le sue idee nella stesura de “I promessi sposi”, divenute una teoria linguistica di alto valore sociale che influirono profondamente, collaborando a cambiare la situazione dell’italiano e rendendo la nostra lingua più viva e meno letteraria. 56 La sua teoria linguistica dev’essere giudicata alla luce dei suoi scritti postumi. Nel 1974 sono state pubblicate le cinque redazioni del trattato “Della lingua italiana”, su cui Manzoni lavorò per circa trent’anni e questo h portato gli studiosi a riesaminare la teoria manzoniana. Manzoni, negli interventi pubblici, non esibì il lavoro teorico che aveva perseguito negli anni; in vita curò la pubblicazione di interventi brevi e occasionali, come la “Lettera al Carena”, del 1847 e stampata nel 1850, la “Lettera intorno al libro “De vulgari eloquio” di Dante Alighieri” del 1868 ecc… Nel 1932 fu pubblicato il “Sentir Messa”, un libro della lingua d’Italia, anch’esso lasciato incompiuto. LA SCOPERTA DEL FIORENTINO VIVO Manzoni iniziò ad occuparsi della questione della lingua e del problema della prosa italiana dal 1821, con la stesura del “Fermo e Lucia”, redazione iniziale dei Promessi Sposi. La prima fase, che si rimanda in una lettera al Fauriel nel novembre 1821, viene definita come eclettica, in quanto Manzoni cercava di raggiungere uno stile duttile e moderno, utilizzando il linguaggio letterario, ma senza vincolarsi ad esso alla maniera dei puristi, anzi accettando francesismi e milanesismi. La descrizione della propria lingua letteraria fu data da Manzoni nella seconda introduzione al “Fermo e Lucia” del 1823, dove prendeva le distanze dallo stile composito e lamentava la propria naturale tendenza al dialettismo. Nel “Fermo e Lucia” il toscano affiora come termine di confronto. La seconda fase che Manzoni chiamò toscano – milanese, corrisponde alla stesura dei Promessi Sposi per l’edizione 1825-27: lo scrittore cercava di usare una lingua toscana, ma ottenuta tramite libri, attraverso vocabolari, secondo il metodo delle postille presenti nella copia del Vocabolario della Crusca nell’edizione veronese di Cesari. Queste postille mostravano il fastidio dello scrittore, che dopo aver consultato testi e vocabolario, non era in grado di sapere se le forme linguistiche che lo interessavano fossero vive o obsolete. In Manzoni matura un diverso concetto di uso, legato non più ad un eventuale impiego letterario, ma alla vita della parola in una comunità di parlanti. In diverse postille mostrava di essere attirato dalle concordanze tra dialetto milanese e linguaggio fiorentino. Non manca il confronto con l’equivalente francese: Manzoni utilizza gli strumenti familiari come il dialetto e il francese per approfondire la conoscenza del toscano. Nel 1827 Manzoni fu a Firenze e il contatto diretto con la lingua toscana suscitò una reazione decisiva: in una lettera del 1828 a Leopoldo II di Toscana, parlava della delizia di vivere in quella lingua. Dal 1830 la riflessione linguistica di Manzoni si sviluppò con maggior impegno; l’esito fu la nuova edizione dei Promessi Sposi del 1840-42, corretta per adeguarla all’ideale di una lingua d’uso, resa scorrevole, purificata da latinismi, dialettismi ed espressioni letterarie di uso arcaico. Nel 1847 Manzoni in una lettera a Carena, espresse la propria posizione definitiva, auspicando che la lingua fiorentina completasse l’opera di unificazione. LA “RELAZIONE” DEL 1868 Nel 1868 lo scrittore rese pubbliche in una Relazione al ministro Broglio le ragioni per cui gli sembrava che il fiorentino dovesse essere diffuso attraverso una politica linguistica, messa in atto nella scuola, ad opera degli insegnanti. Proponeva anche che si realizzasse un vocabolario della lingua italiana concepito su basi nuove, affiancato da agili vocabolari bilingui, capaci di suggerire le parole toscane corrispondenti a quelle delle varie parlate d’Italia. La Relazione nasceva da una richiesta ufficiale, fatta dal ministro dell’Istruzione che aveva invitati a proporre le più efficaci strategie per diffondere l’italiano tra il popolo. La questione della lingua si collegava per la prima volta ad una questione sociale. Intellettuali come Tommaseo e Lambruschini presero le distanze da Manzoni, rivendicando la funzione degli scrittori nella regolamentazione della lingua, sollevando dubbi di varia natura sul primato assoluto dell’uso vivo di Firenze, così Settembrini e Fanfani. INFLUENZA DELLA TEORIA MANZONIANA La teoria ebbe effetti rilevanti e ciò si spiega con a forza di penetrazione dei Promessi Sposi, modello di prosa elegante e colloquiale al tempo stesso e che sembrava di liberare la prosa italiana dall’impaccio della retorica. Bonghi scrisse il saggio “Perché la letteratura italiana non sia popolare in Italia” nel 1855 a puntate su un giornale di Firenze, in seguito in volume che riprendeva anche temi della trattatistica settecentesca, che lamentava l’inferiorità dell’italiano rispetto al francese nelle letture piacevoli e divulgative. Bonghi 57 analizzava lo stile di diversi autori, da Boccaccio, Machiavelli, Bartoli a Giordani e individuava i difetti di costruzione e le inversioni che ne rendevano faticosa la lettura. In alternativa proponeva uno stile piano, adatto a una piacevole conversazione. L’esempio di Manzoni favorì la cosiddetta “risciacquatura in Arno”, il soggiorno culturale a Firenze, con lo scopo di acquisire familiarità con la lingua parlata della città. Manzoni influenzò doversi intellettuali; anche Morandi, precettore di Vittorio Emanuele III fu manzoniano. L’unico freno alla diffusione della teoria manzoniana nel mondo della scuola fu il prestigio di Carducci come poeta-professore, avversario del toscano popolareggiante. ALCUNE IDEE-GUIDA DELLA LINGUISTICA MANZONIANA NEGLI SCRITTI POSTUMI La teoria linguistica manzoniana va giudicata alla luce degli scritti postumi, soprattutto del trattato “Della lingua italiana”. Manzoni si oppose al Purismo di cesari, da cui lo divideva la coscienza netta che la naturalezza della lingua non poteva essere cercata in modelli scritti, in un corpus filologico eterogeneo e arcaico. Manzoni era inoltre avverso alle teorizzazioni dei classicisti, che affidavano le sorti della lingua alla responsabilità degli scrittori e non al potere dell’uso. Una buona parte del saggio Della lingua italiana era dedicata a combattere le teorie di Condillac sull’origine del linguaggio: Manzoni accettò la tesi della lingua come dono divino, ribadendo la sua piena fiducia nella narrazione della Bibbia. Rifiutava l’idea che il linguaggio fosse nato dalle onomatopee e dalle interiezioni e restò legato a una polemica contro la filosofia del ‘700, contro gli Ideologues, che aveva frequentato a Parigi nella giovinezza, prima della conversione. Elaborò il principio dell’adeguatezza: una lingua viva è quella che basta a dire tutto quanto si dice nella società che si serve della lingua, concepita quindi come interezza, al di là dell’uso individuale. Non era accettabile il concetto di lingua modello, perché la forma della lingua non esiste se non nella lingua in atto. Le lingue sono mutabili. Il pensiero linguistico di Manzoni, basato sulla mutabilità, rifiutava il concetto di legge, così come contestava il valore delle categorie grammaticali; nella lingua l’eccezione e l’irregolarità valgono quanto la regola. REALIZZAZIONI LESSICOGRAFICHE GRANDI DIZIONARI NELLA PRIMA META’ DEL’800 L’800 è stato il secolo dei dizionari ed è stata una stagione florida sia per la produzione che per la qualità, oltre che per la varietà di realizzazioni. In questo secolo il dibattito sul lessico prese le mosse dalla Crusca, sia in riferimento alle idee linguistiche dell’Accademia, sia per la rivisitazione extratoscana del Vocabolario degli Accademici, realizzata nel 1806- 11 dal padre Antonio Cesari di Verona, capofila del Purismo ( Crusca veronese). Cesari aveva riproposto il Vocabolario della Crusca con delle aggiunte, allo scopo di esplorare il repertorio della lingua antica, quella trecentesca, dei grandi autori, ma anche di quelli minori. Tra il 1833 e il 1842 fu pubblicato il Vocabolario della lingua italiana di Manuzzi, anch’esso nato da una revisione della Crusca; quest’autore fu un purista e il vocabolario attestava la tendenza di una parte della cultura italiana di adattarsi nel passato. Altre riproposte sono:  il “Dizionario della lingua italiana” in 6 volumi di Cardinali, Oriolo e Costa, pubblicato a Bologna nel 1819  il “Dizionario della lingua italiana” in 7 volumi di Carrer e Federici, uscito a Padova fra il 1827 e il 1830 Entrambi i vocabolari dichiararono di aver integrato la Crusca con voci riprese dall’Alberti di Villanova, dalla Proposta di Monti e dalla Crusca veronese di Cesari. La somma delle aggiunte avveniva in maniera piuttosto meccanica e queste opere potevano peccare di originalità; la forma grafica si poteva così riscontrare: l’asterisco era il segno scelto per contrassegnare tutte le voci non presenti nella Crusca e che risultavano poco riconoscibili. La soluzione era comoda per identificare più rapidamente le novità introdotte. Tra i 1829 e il 1840 si stampò il “Vocabolario universale italiano”, la cui base era sempre la Crusca, però rivisitata: l’opera aveva un taglio prettamente enciclopedico, con attenzione alle voci tecniche. Fu detto 60 un’istruzione diffusa tra il popolo, ma erano svantaggiate nella conversazione italiana, per la notevole distanza tra i dialetti gallo-italici e il toscano. In Toscana ed Emilia Romagna gli analfabeti erano nel 1861 tra il 70% e l’80% e oltre l’80% erano in Abruzzo, Sardegna, Campania, Puglia, Sicilia ecc.. Esistevano condizioni di grave disagio e in certi casi i maestri usavano il dialetto per tenere lezione. Nella scuola, poi, soprattutto in quella superiore si confrontarono posizioni teoriche diverse: erano presenti insegnanti puristi, insegnanti manzoniani e classicisti, che proponevano ai loro allievi modelli diversi d’italiano. Nelle province napoletane era viva la lezione di Puoti, mentre i manzoniani erano aperti verso il toscano vivo e cercavano di ottenere uno svecchiamento delle letture scolastiche, tra questi vi era Luigi Morandi, precettore di Vittorio Emanuele III. Tra coloro che si occuparono di scuola ci fu anche Carducci, avverso a ogni atteggiamento manzoniano filo fiorentino e non fu concorde con le posizioni retrograde dei cultori del ‘300; il suo percorso era basato su un sentimento classico della lingua letteraria. L’ “Idioma gentile” di De Amicis ebbe una certa influenza sugli insegnanti e vi si trovavano elenchi di parole toscane e l’invito ad abbandonare il dialetto e le forme dell’italiano regionale. ALTRE CAUSE DELL’UNIFICAZIONE LINGUISTICA Le cause che avevano portato all’unificazione linguistica per De Mauro erano: 1. azione unificante della burocrazia ed esercito: la Grande Guerra del ’15-’18 fece convivere migliaia di soldati, provenienti da diverse regioni, a contatto con ufficiali istruito e questo ebbe effetti linguistici rilevanti 2. azione della stampa periodica e quotidiana 3. effetti di fenomeni demografici come l’emigrazione: gli emigranti italiani erano in gran parte analfabeti e dialettofoni e il loro allontanamento fece diminuire il numero di coloro che erano in condizioni svantaggiate rispetto alla lingua e alla scuola. L’emigrante di ritorno, però, fu un elemento di effettivo progresso, perché l’esperienza lontano dalla zona d’origine gli aveva insegnato ad essere diverso ed apprezzare il valore dell’istruzione e dell’alfabetismo 4. aggregazione attorno a poli urbani e moderna industrializzazione: l’industrializzazione fece crescere la popolazione di alcune grandi città e attirò manodopera proveniente da altre regioni o zone rurali della stessa regione. Ebbe come effetto uno spostamento degli abitanti e un’integrazione nel nuovo luogo di residenza, con un abbandono del dialetto di origine. IL RUOLO DELLA TOSCANA E LE TEORIE DI ASCOLI Nel 1873 le idee e le proposte manzoniane furono contestate da Graziadio Isaia Ascoli, il fondatore della linguistica e della dialettologia italiana. L’intervento di Ascoli fu pubblicato come Proemio nel primo fascicolo dell’ “Archivio Glottologico Italiano”, rivista scientifica: la polemica prendeva le mosse dal titolo “Novo vocabolario della lingua italiana secondo l’uso di Firenze” di Giorgini-Broglio, titolo in cui era stato usato nòvo alla maniera fiorentina moderna, con il monottonga mento in ò di –uò-, contro il tipo nuovo, accolto nella lingua letteraria e comune. Ascoli escludeva che si potesse identificare l’italiano nel fiorentino vivente e affermava che era inutile quanto dannoso aspirare ad un’unità della lingua. Questa sarebbe stata una conquista reale e duratura solo quando lo scambio culturale nella società italiana si fosse realizzato e il Paese fosse diventato moderno ed efficiente. Il linguista vedeva che la lingua non esisteva di per sé, ma era una conseguenza di fattori extralinguistici. Ascoli contestava l’applicazione del modello francese, a cui si era ispirato Manzoni; la situazione italiana gli sembrava più simile a quella della Germania, tradizionalmente divisa in Stati diversi. Inoltre vi era la mancanza di intermedi tra i pochi dotti e l’ignoranza delle masse. Lo scritto di Ascoli fu noto soprattutto agli specialisti e fu rivalutato dai moderni:  Dionisotti dichiarò il Proemio come uno dei capolavori in senso assoluto della letteratura italiana  Grassi ripubblicò il Proemio nel 1967, con altre edizioni integrali e antologiche  Maria Corti parlò di valore profetico del Proemio La soluzione ascoliana richiedeva tempi molto lunghi. Egli inoltre era severo con la Toscana, giudicata una terra fertile di analfabeti, con una cultura stagnante e incapace di guidare il progresso del nuovo stato italiano. Egli guardava a Roma, neocapitale del Regno e sperava che questa città avrebbe avuto una glorioso destino. 61 Castellani difese la Toscana, insistendo sull’importanza del manzonismo e di autori toscani per la diffusione della prosa italiana media; tra i canali di diffusione del toscano c’erano opere del Collodi, di De Amicis, romanzi per ragazzi ecc.. IL LINGUAGGIO GIORNALISTICO Nel XIX secolo il linguaggio giornalistico acquistò un’importanza nuova; il giornalismo, sotto l’influenza di quello francese, inglese e tedeschi, presentava una notevole apertura a innovazioni sia nel lessico che nella tecnica espositiva. I periodici volevano raggiungere un pubblico nuovo e necessitavano di un linguaggio più semplice, anche se il giornale primo - ottocentesco restava un prodotto d’elite. Nella seconda metà del’800 il giornalismo diventò un fenomeno di massa e le edicole furono il punto di vendita della stampa periodica. Nel giornale si alternavano voci colte e libresche e popolari, oltre che a forme regionali come camorra e picciotto. La sintassi giornalistica sviluppò la tendenza al periodo breve e alla frase nominale. La lingua giornalistica era molto esposta al nuovo: si registrano neologismi e forestierismi presenti nella lingua viva e parlata e compaiono per la prima volta termini come attrezzatura, confisca, delibera, importo. Il giornale è interessante perché composto da parti diverse: la lingua della cronaca, degli articoli politici o letterari, economici, pubblicitari; questi ultimi contenevano termini nuovi o parole regionali, censurate dai puristi. LA PROSA LETTERARIA CONSERVATORISMO LINGUISTICO Gli sviluppi della prosa nell’800 erano importanti, in quanto era l’epoca in cui si fondava la moderna letteratura narrativa, attraverso due svolte fondamentali, legate a Manzoni e Verga. Manzoni ebbe il merito di rinnovare il linguaggio non solo del romanzo, ma anche della saggistica, avvicinando lo scritto al parlato. La prosa letteraria della prima metà del’800 era ancora condizionata dal modello puristico e classicistico. I puristi, coerenti con l’Abate Cesari, imitavano la letteratura antica e scrivevano alla maniera del Boccaccio e alcuni di essi erano influenzati dal fiorentino vivo: la maggio parte non prendeva neanche in considerazione il popolo. La loro prosa era ricca di arcaismi. LA PROSA DI GUSTO CLASSICO I classicisti in genere si ispiravano alla grande tradizione del Rinascimento. La prosa di autori come Monti e Leopardi rappresentava uno dei migliori risultati qualitativi a cui giunse il classicismo. Monti fu maestro nella prosa di tipo polemico e satirico, rivolta ai puristi e all’Accademia della Crusca e adoperò il genere del dialogo. Leopardi vedeva in Annibal Caro, un esempio di scrittore che era stato in grado di esibire una naturalezza elegante. Bartolie espresse la sua ammirazione verso le pagine dello “Zibaldone”, definendolo il “Dante della prosa italiana” e avversava gli arcaismi e lo stile di Boccaccio. IL MODELLO MANZONIANO E LA PRASSI CORRETTORIA DEI PROMESSI SPOSI “Fermo e Lucia”, giudicato come un composto di voci non bene amalgamato, con lombardismi, francesismi, toscanismi e latinismi, uscì in prima edizione nel 1825-27 ( edizione ventisettana), già indirizzata verso la lingua media e comune. Nello stesso 1827 lo scrittore, compì un viaggio in Toscana e avviò la risciacquatura dei panni in Arno, cioè la correzione della lingua che egli voleva adeguata al fiorentino delle persone colte. Il nuovo testo fu pubblicato dal 1840-42 e fu accolto con giudizi contrastanti: alcuni preferivano la ventisettana, come Giusti, Cantù, De Sanctis, Cattaneo, altri approvarono la revisione, riconoscendo che lo scrittore aveva tentato la difficile e importante operazione di avvicinare la lingua scritta a quella parlata. Oggi è possibile confrontare tutte le differenze fra la ventisettana e la quarantana:  taglio ampio delle forme lombardo - milanesi, coincidenti con forme toscane attestate nella letteratura di genere comico dei secoli passati. Le forme lombardo - milanesi erano state accolte nella ventisettana, orientata già in direzione della lingua toscana, ma in modo libresco, usando modelli scritti. Esempio: eliminazione del termine marrone per sproposito: ho fatto un marrone > ho sbagliato, abbia fatto ben grosso il marrone > l’abbia fatta bella, manifestare un marrone > palesare uno sproposito. 62  Eliminazione di forme eleganti, auliche, affettate, arcaicizzanti o letterarie rare: al loro posto forme comuni e usuali.  Assunzione di forma tipicamente fiorentine, come i monottonga menti in –uo- ( spagnuolo > spagnolo ), uso di lui e lei come soggetti al posto di egli ed ella.  Eliminazione di doppioni di forme e voci ( eguaglianza > uguaglianza, pel e col > per il, con il) L’uso manzoniano ha influenzato il destino della lingua italiana: altre innovazioni stanno nel:  Quasi generale eliminazione della d eufonica dai monosillabi ad/ed tranne davanti a vocale corrispondente  Larghezza di elisioni ( di alloggiare > d’alloggiare) e di apocopi ( viene, quasi a un tratto > vien, quasi a un tratto), ma meno frequenti La risciacquatura dei panni in Arno determinò l’adozione di uno stile più naturale, sciolto dalla tradizione aulica- La posizione di Manzoni era centrale nella prosa ottocentesca, anche per l’influenza che esercitò su molti scrittori: Grossi, Cantù, Carcano, D’Azeglio furono legati a Manzoni e tentarono la via del romanzo, senza arrivare alla sensibilità manzoniana dell’omogeneità linguistica. ALTRI MODELLI DI PROSA Collodi ebbe una grande influenza sul pubblico giovanile, con “Le avventure di Pinocchio” del 1883: lo stile del libro, diverso da quello di Manzoni, collaborò con il manzonismo a diffondere la lingua toscana in tutt’Italia. Seguirono la linea del mistilinguismo autori che anticiparono le tendenze del ‘900: il lombardo Dossi, il piemontese Faldella e il meridionale Imbriani; lo stile di questi autori si caratterizzava per l’uso di forme linguistiche attinte a forme diverse, come il toscano arcaico, il toscano moderno, il dialetto. Faldella nel suo Zibaldone, una sorta di vocabolario personale, registrava le parole interessanti che scovava nella sue letture, orientate ad autori comici del ‘500 e verso un autore toscano del’800 come Giusti. Faldella non fu sempre cosciente della portata stilistica di elite del suo stile ricercato, gli sembrava che la sua prosa fosse composta da un italiano semplice e popolare, adatto a una letteratura carica di significato morale ed educativo. VERGA, IL DIALETTO E IL RINNOVAMENTO DELLA SINTASSI Fu inaugurata una svolta da Verga, soprattutto con i “Malavoglia”, con un modesto tasso di sicilianità linguistica che si accompagnava ad un utilizzo dell’elemento locale onnipresente. Si adattava la lingua italiana come uno strumento di comunicazione per alcuni personaggi siciliani appartenenti al ceto popolare; Verga adottò alcune parole siciliane note in tutt’Italia e poi ricorreva a innesti fraseologici, come quando usava espressioni, come: pagare col violino ( pagare a rate), pigliarsela in criminale (pigliarsela a male).  Dei tratti popolari si possono riconoscere nei soprannomi dei personaggi  Viene utilizzato il che polivalente ricalcato sul ca siciliano  Ridondanza pronominale  Ci attualizzante ( averci)  Utilizzo di gli per loro Questi tratti servivano a simulare un’oralità viva, suggerita anche da raddoppiamenti e ripetizioni. Nuova risulta la sintassi verghiana, in particolare per il discorso indiretto libero, che consiste, secondo la definizione di Herczeg, in un miscuglio del discorso diretto e indiretto. Due sono le possibilità che si offrono a uno scrittore che deve far parlare i suoi personaggi, nei dialoghi o nel monologo interiore: 1. apertura delle virgolette e riportare in forma diretta le loro battute 2. introduzione di un discorso indiretto, in cui lo scrittore riferisce le parole del personaggio Il discorso indiretto libero rappresenta una terza soluzione, intermedia fra le due, ma più libera: non vengono aperte le virgolette,è lo scrittore che riferisce le parole o i pensieri del suo personaggio, ma nella voce dello scrittore affiorano modi e forme proprie del discorso diretto. Il lettore quindi ascolta la voce del personaggio con il suo carattere e il livello di espressione. 65 PROSA POETICA, LINGUA MEDIA, MISTILINGUISMO La lirica dannunziana era caratterizzata dalla tendenza dello scrittore a far meno della virgola, ma le innovazioni più importanti potevano trovarsi nel “ Notturno” e nel “Libro segreto”. “Notturno” fu scritto nel 1916 durante un periodo di temporanea cecità e si caratterizza per:  i periodi brevi e brevissimi  la sintassi nominale  i frequenti a capo  presenza di elementi fonici e ritmici nella frase di andamento lirico Questo sarà uno dei modelli più seguiti nel ‘900; modello in cui D’Annunzio inserisce tutto il suo gusto per lo sperimentalismo. Un riflesso del parlato si ha nella prosa di Pirandello, soprattutto nelle opere teatrali; la riproduzione dell’oralità è attestabile nelle frequenti interiezioni e connettivi come è vero, si sa, figurarsi ecc.., oltre che in rapide opposizioni che rendono sfuggente la comunicazione. La prosa di Pirandello era opposta a quella di D’Annunzio. Pirandello stava attento a non uscire dai moduli della lingua quotidiana, il suo era un uso medio e inoltre lui era stato sempre diffidente verso il dialetto come strumento letterario, anche se non rinunciava a dare alle sue opere quel colore locale. Svevo fu famoso per il rapporto complesso con la lingua italiana, determinato dalla provenienza da Trieste, oltre che dall’esperienza culturale lontana dalla letteratura classica. Fu accusato di scrivere male. Coletti osserva come la lingua de “La coscienza di Zeno” non rispondeva ai canoni puristici e questo si poteva notare da:  uso dell’ausiliare avere con i verbo servili  incertezze dei tempi verbali  vistosa formalità grammaticale  elementi arcaici  i prostetica: in Isvizzera, per ischerzo  contiguità dei pronomi personali mi vi: mi vi accingo, mi vi sarei adattato  uso anomalo del di: pronto di dividere La lingua di Svevo nacque come forma quasi privata e va inserita nel contesto storico in cui è nata. La lingua della Coscienza è anche il risultato di un progetto stilistico, di cui l’approssimazione grammaticale è l’elemento costitutivo ( monologo interiore e analisi di coscienza richiedevano una lingua imperfetta?). Uno dei punti di riferimento per gli scrittori, dopo che Verga aveva mostrato la via per una scrittura vicino al mondo popolare, era il dialetto. Un uso particolare del dialetto si ha negli scrittori mistilingue, come Gadda; egli passò attraverso alcuni esperimenti della scapigliatura ottocentesca, come Dossi, Faldella, Cagna. Non utilizzava solo un dialetto, bensì il lombardo, il romanesco, il molisano. Il libro più fortunato di Gadda fu “Quel pasticciaccio brutto de via Merulana” uscito in parte su una rivista nel 1946 e divenne volume nel 1947. L’effetto di deformazione del narrato in Gadda si attuò attraverso l’uso del dialetto, da cui si stacca di colpo con il linguaggio alto e retorico. Il Novecento è stato un secolo pieno di connotazioni satiriche ed ironiche, oltre che con stereotipi del linguaggio ufficiale, aulico-poetico, con l’impiego di tecnicismi, esotismi o inserti di lingua straniera. ORATORIA E PROSA D’AZIONE L’oratoria del primo ‘900 richiama il tema dei discorsi rivolti alle masse da Mussolini. Questi discorsi erano trasmessi in tutta Italia dalle radio ed erano filmati nei documentari cinematografici: gran parte del loro fascino stava nel rapporto diretto con la folla ( tipico dell’oratoria tradizionale). Per indicare una tendenza a un’oratoria letteraria magniloquente, coltissima ed efficace bisognerebbe puntare ancora a D’Annunzio: i suoi discorsi rivelarono una notevole abilità nella scelta del periodo breve e incisivo, con riprese frequenti, accostandolo a un ideale parlato con sapore teatrale. Vanno ricordati i proclami e i messaggi dannunziani, specialmente quelli in relazione con la questione di Dalmazia e di Fiume. Il suo modello influì ampiamente sulla retorica del fascismo. Nella lingua del Fascismo e di Mussolini sono stati individuati i seguenti caratteri:  abbondanza di metafore religiose ( martire, asceta), militari ( falangi), equestri ( redini del proprio destino)  tecnicismi di sapore romano, da Duce a centurione 66  ossessione dei numeri Mussolini fu tra i primi a fare dell’oratoria una tecnica di persuasione di massa. Tra gli effetti su queste lezioni giunte attraverso la radio, la scuola, la propaganda, si può inserire l’assorbimento dei moduli linguistico - retorici dominanti. Tra i vari discorsi sono da ricordare De Amicis, Turati colto e spiritoso, Gramsci, fondatore del Partito Comunista Italiano, che riteneva l’oratoria socialista macchiata del grave difetto della vuota retorica e proponeva uno stile lucido e razionale. Per Gramsci era inaccettabile che ci fossero due lingue e due stili diversi: uno per parlare ad operai e contadini e uno per parlare a tutti gli altri. Fu anche maestro di giornalismo e resta una sua lettera in cui spiega come si ottiene uno stile chiaro e comunicativo. Nei suoi scritti non mancano artifici retorici, soprattutto di tipo sintattico, per esercitare quella che si definisce la funzione conativa del linguaggio politico, che deve convincere e muovere l’uditorio. L’ITALIANO DELLA SAGGISTICA: VERSO L’USO MEDIO La crescita nell’Italia unita di una struttura universitaria moderna comportò un’abbondante letteratura saggistica nei vari settori disciplinari, con circolazione del sapere,anche in forma divulgativa. Per esempio l’editore Hoepli realizzò una famosa collana che ebbe molto successo, attraverso una serie di volumetti tascabili, finalizzata all’applicazione pratica del sapere, manuali dedicati alle più diverse tecniche e discipline. I manuali fornirono una terminologia scientifico-tecnica che si stava molto diffondendo. L’800 si era chiuso con una bipolarità nel linguaggio saggistico - argomentativo: da una parte la tendenza all’aulicità e dall’altra la tendenza al parlato. L’obiettivo del linguaggio saggistico umanistico era una lingua media e oggettiva e fu raggiunto da Croce, maestro della cultura italiana nella prima metà del secolo: la sua fu una scrittura chiara, moderna, limpida e sobria, dove però non mancarono elementi arcaici. In Giovanni Gentile la prosa argomentativa fu meno razionale, con elementi mistico-religiosi e suggestivi. Le forme suggestive ed evocatorie, ma di taglio poetico, si possono trovare anche nella saggistica di Pascoli, che nel “Fanciullino” inserisce un tono discorsivo. Luigi Einaudi si colloca tra i migliori prosatori di questo secolo, così come Contini. POLITICA LINGUSITICA NELL’ITALIA FASCISTA AUTARCHIA E XENOFOBIA Il Fascismo ebbe una chiara politica linguistica, che si manifestò in modo autoritario; gli aspetti più rilevanti furono: 1. la battaglia contro i forestierismi in nome dell’autarchia culturale 2. la repressione delle minoranze etniche L’imposizione dell’italiano in Valle d’Aosta ebbe come effetto una pericolosa reazione separatista e atteggiamenti di ribellione. Per quanto riguarda la lotta contro i forestierismi, tra il 1924 e il 1926 si ebbero delle prese di posizione di singoli individui come Tittoni, membro del Partito fascista, autore di una “Difesa della lingua”. Nel 1930 si ordinò la soppressione nei film di scene parlate in lingua straniera. Nel 1940 l’Accademia d’Italia fu incaricata di esercitare una sorveglianza sulle parole forestiere e di indicare delle alternative, anche perché le parole straniere furono vietate nelle attività professionali. L’interesse per la lingua assunse anche una valenza positiva: venne fondata la rivista “Lingua nuova”. La concezione avversa ai forestierismi fu definita neopurismo, da non identificare con la politica xenofoba del Fascismo che non rifiutava di mescolare la lingua e la razza, furono però accettati diversi termini stranieri uscenti in consonante come sport, film, tennis, tram. Ci fu anche una campagna per abolire l’allocutivo lei e sostituirlo con il tu, considerato più romano e con il voi, ma non ebbe successo sia perché il lei era radicato nella lingua italiana e perché il voi era sentito da molti dialettale e quindi da evitare. LA LESSICOGRAFIA DEL FASCISMO E L’ASSE LINGUISTICO ROMA-FIRENZE All’inizio del ‘900 la Crusca tentava di concludere una nuova versione del vocabolario, avviata nel 1863. Il primo volume era stato dedicato a Vittorio Emanuele II, re d’Italia. La mole dell’opera era notevole e la realizzazione si trascinò per molto tempo e poi la sua funzione non era quella di un tempo. 67 Le idee di Croce, il più autorevole pensatore del tempo, erano avverse alla lingua modello e al toscanismo in generale. Quando nel 1923 divenne ministro della Pubblica Istruzione Giovanni Gentile, filosofo fascista, fu tolto alla Crusca il compito di preparare il vocabolario, ma il nuovo e moderno vocabolario del Fascismo, prodotto dall’Accademia d’Italia non ebbe esito felice, arrivò solo al primo volume nel 1941. questo procedette all’eliminazione di molte voci antiche e i vocaboli nuovi furono accettati per designare idee e cose nuove. I forestierismi erano registrati nel nuovo vocabolario, anche nella forma di prestiti non adattato, come boxe, bull-dog, camion, posti tra parentesi quadra, per segnalare la loro estraneità alla sostanza della lingua. Inoltre sono citati gli scrittori, ma solo come documentazione di uso comune, senza riferimento preciso all’opera sa cui è tratto l’esempio. Nel 1939 Bertoni e Ugolini pubblicarono per l’EIAR, ente radiofonico di Stato, il “Prontuario di pronunzia e di ortografia” in cui si affrontava la questione della pronuncia romana e quanto divergeva dalla fiorentina, oltre a fornire la pronuncia esatta della radio. Veniva rivendicato il ruolo di Roma nella questione della lingua. IL DOPOGUERRA IL NEO-ITALIANO TECNOLOGICO: PASOLINI E LA NUOVA QUESTIONE DELLA LINGUA A Pasolini si deve l’ultimo importante intervento nella questione della lingua. Nato come conferenza, questo intervento fu pubblicato su “Rinascita” del 16 dicembre 1964 con il titolo “Nuove questioni linguistiche”: le sue tesi non avevano affatto un carattere normativo, anzi la sua era una vera e propria analisi sociolinguistica della situazione presente. Pasolini partì da premesse marxiste e gramsciane, sostenendo che era nato un nuovo italiano, i cui centri stavano al nord del Paese, dove avevano sede le grandi fabbriche e dove si era diffusa e sviluppata la moderna cultura industriale. Egli annunciò che era nato l’italiano come lingua nazionale e che per la prima volta una borghesia egemone era in grado di imporre i suoi modelli, superando una tradizionale estraneità tra ceti alti e bassi. Delineò alcune caratteristica del nuovo italiano:  semplificazione sintattica, con una caduta delle forme metaforiche, non usate da torinesi e milanesi, veri padroni della nuova lingua  drastica diminuzione dei latinismi  prevalenza dell’influenza della tecnica rispetto a quella della letteratura L’autore analizzò la tipologia stilistica degli scrittori italiani, collocandoli al di sotto o al di sopra di un’ipotetica linea dell’italiano medio. Vi erano 3 linee: 1. italiano medio, anonimo, a-letterario, caratteristico di opere di banale intrattenimento e d’evasione 2. linea bassa, della prosa dialettale 3. linea alta, che a sua volta poteva essere divisa in vari gradi, che accoglievano tutti coloro che si erano allontanati dal livello medio. Sul gradino più alto stava il linguaggio iperletterario degli ermetici, che avevano usato una lingua speciale adatta solo alla poesia. Pasolini collocava se stesso su una linea a forma di serpentina che attraversava tutti i livelli, passando dal piano alto a quello basso e su questa linea c’era anche Gadda, con il suo mistilinguismo, da cui Pasolini era influenzato. L’attenzione di tutti si concentrò sull’annuncio della nascita del nuovo italiano tecnologico e inoltre Pasolini intervenne su temi linguistici, in un contesto diverso, per rivendicare la funzione rivoluzionaria dei dialetti e per lamentare l’imbarbarimento del linguaggio dei giovani. TENDENZE DEL LINGUAGGIO LETTERARIO Pasolini sembrava privilegiare gli esperimenti di plurilinguismi, alla maniera di Gadda o alla maniera dei propri romanzi ambientati nelle borgate di Roma, a cui attribuiva una funzione stilistica e una funzione documentaria e rivendicando quindi due filoni: quello verista - verghiano e quello espressionistico gaddiano. Contini aveva utilizzato il mistilinguismo come esemplare categoria critica, oltre che linguistica. 70 Queste caratteristiche interessano anche i parlanti istruiti. Anche Renzi ha elencato le caratteristiche innovatrice dell’italiano contemporaneo:  Costrutto “è che…non è che…”  Diffusione dell’indicativo al psoto del congiuntivo nella frase subordinata ( mi dispiace ce Maria è partita)  Uso di lui anche per l’inanimato  Uso avverbiale di tipi ( lui pensa tipo che…)  Participo passato al superlativo ( sono stato delusissimo)  Dai! Come espressione di meraviglia  Il dimostrativo “questo” al posto dell’indefinito “uno”  Possibili anglicismi sintattici, come giorno dopo giorno ( day after day). SCUOLA E LINGUA SELVAGGIA Tappa importante per l’omologazione di tutti gli italiani fu l’introduzione della scuola media unica, uguale per tutti, nel 1962, con obbligo scolastico fino ai 14. Essa veniva istituita al posto del doppio canale di formazione, ereditato dalla riforma scolastica di Gentile, che aveva proposto scuola media e avviamento professionale in alternativa. La scuola era diventato l’obiettivo privilegiato degli interventi. La diffusione delle nuove idee linguistiche fu caratterizzata da una forte presenza ideologica della Sinistra. Anche la cultura cattolica intervenne nel dibattito: Don Milani mise a nudo le condizioni di miseria linguistica in cui si trovavano i ragazzi delle classi povere. Egli proponeva una serie di interventi per adattare la scuola e l’insegnamento alle presunte necessità degli allievi; erano tecniche in gran parte provocatorie. Don Milani arrivò a mettere in discussione l’esistenza e la legittimità di qualunque norma linguistica o di qualunque forma alta di comunicazione. Gli specialisti mossero critiche contro le tecniche tradizionali di insegnamento della grammatica, contro l’uso del tema come una forma di esercizio di scrittura; ciò provocò una revisione dei metodi e degli obiettivi dell’insegnamento, rinnovandolo in parte. Oggi si riscontrano carenza linguistiche di base non solo negli studenti della scuola dell’obbligo, ma anche in allievi assai avanzati, che giungono all’università senza rispettare le norme più elementari della grammatica e della sintassi: italiano selvaggio. Vi sono non solo errori banali, ma frasi preconfezionate, interferenze con il dialetto. Capitolo 14: Quadro linguistico dell’Italia attuale COMPOSIZIONE DEL LESSICO ITALIANO La stragrande maggioranza delle parole italiane è di origine latina: alcune di queste parole sono entrate nel latino dal greco e dal punto di vista etimologico sono definibili come grecismi ( tragedia, metro). Quindi vi è anche una forte componente greca. Tra le lingua moderne il francese ha maggior spazio. SCRITTURA E PRONUNCIA DELL’ITALIANO IL SISTEMA GRAFICO DELL’ITALIANO Il sistema grafico dell’italiano non è univoco: usiamo gli stessi segni “E” ed “O” per indicare le e/o aperte e chiuse senza distinzione. A volte l’imprecisione della grafia si lega ad effettive oscillazioni nell’uso reale della lingua. I FONEMI DELL’ITALIANO In riferimento alle vocali, l’italiano ha un sistema di 7 elementi, resi da soli 5 segni grafici, ma questo sistema non è nella coscienza linguistica di tutti i parlanti nazionali. Le coppie e/ aperta o chiusa è poco utilizzata, a parte nei romani e nei toscani, con divergenze tra gli uni e gli altri. Anche nel caso di fonemi consonantici, la realizzazione non è identica in tutto il territorio nazionale. IL RADDOPPIAMENTO FONOSINTATTICO La moderna grafia registra il fenomeno quando si è prodotta una parola unica: fra + tanto ha dato origine a frattanto, con raddoppiamento della t. 71 Nell’italiano standard il raddoppiamento è prodotto:  Da tutte le parole polisillabiche con accento sull’ultima vocale ( perché mai si pronuncia perchemmai)  Da tutti i monosillabi con accento grafico ( più su si pronuncia piùssù)  Da monosillabi forti: a, da, su, tra, fra, ho, ha, do, fa, fu, va, sto, sta, che, qui, qua, se (congiunzione), ma, e, o, tu, te, me Il raddoppiamento non è praticato nelle parlate regionali dell’Italia settentrionale. DOVE SI PARLA ITALIANO L’italiano è parlato in tutto il territorio della Repubblica italiana, di cui è la lingua ufficiale, anche se la Costituzione non gli assegna esplicitamente questa funzione. L’affermazione che l’italiano è la lingua ufficiale di ritrova nel primo articolo della legge sulla protezione delle minoranze linguistiche del 1999. L’italiano poi è parlato nello stato del Vaticano, nella Repubblica di San Marino, in alcuni Cantoni della Svizzera, nel principato di Monaco, in Istria, in Dalmazia. Vanno considerate le comunità di emigrati italiani. È parlato da circa 58 milioni di persone in Italia. ALLOGLOTTI NELL’AREA ITALIANA TIPOLOGIE DI CLASSIFICAZIONE DI ALLOGLOTTI Entro i confini della Repubblica italiana sono presenti alcuni gruppi alloglotti, di origine romanze e non romanza; si parla generalmente di minoranze linguistiche. Si parla di alloglotti quando aree linguistiche più grandi, situate al di fuori del nostro territorio nazionale, si estendono anche all’interno dei nostri confini. Si usa il concetto di isole linguistiche per indicare una comunità di alloglotti molto piccole e isolate ( greche, albanesi…) Oggi la legge numero 482 del 1999 tutela le minoranze albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene, croate, francesi, franco-provenzali, friulane, ladine, occitane e sarde. PROVENZALI E FRANCO-PROVENZALI Parlano lingue del gruppo romanzo; in molte valli alpine del Piemonte occidentale si parla provenzale, così come in alta Valle di Susa. La Valle d’Aosta è un’area franco-provenzale e il francese è per tradizione la lingua di cultura. LADINI Nelle valli alpine delle Dolomiti ci sono le parlate appartenenti al ladino, introdotto in alcune scuole dal 1948, come prevede lo statuto di autonomia del Trentino Alto Adige. Nella maggior parte del Friuli e della Carnia ci sono le parlate ladino-orientali. Parlate ladine ci sono anche in territorio svizzero e il ladino in base alla Costituzione svizzera è lingua nazionale, con il tedesco, francese e italiano. SARDI Anche il sardo può essere considerato una lingua per le sue particolari caratteristiche all’interno del gruppo romanzo, anche se non si è mai giunti alla creazione di una koinè sarda. Il sardo si distingue in 4 varietà: gallurese, sassarese, logudorese ( e nuorese) e il campi danese, che ha il suo centro nella zona di Cagliari. ISOLE LINGUISTICHE: ALGHERO E GUARDIA PIEMONTESE Si parla di isole linguistiche quando ci si trova in presenza di comunità caratterizzate da una loro diversità, ma molto ridotte, isolate e geograficamente circoscritte a un territorio molto piccolo. Ad Alghero la popolazione è catalana in seguito alla conquista militare della città da parte di Pietro IV d’Aragona. A Guardia Piemontese, a Cosenza, invece ci sono i resti di una vecchia colonia valdese di lingua provenzale. MINORANZE E ISOLE TEDESCHE Accanto ai gruppi alloglotti romanzi, vi sono quelli non romanzi, come le diramazioni tedesche che hanno importanza, perché la loro presenza ha dato luogo a problemi di natura politica e amministrativa; la più 72 numerosa comunità di tedeschi occupa l’alta Valle dell’Adige. Questa minoranza etnica ha uno statuto speciale, che interessa la provincia di Bolzano. Il tedesco ha lo status di lingua ufficiale accanto all’italiano e viene insegnato a scuola come prima lingua, che imparano l’italiano come seconda. Il dialetto si usa nella comunicazione familiare, la lingua tedesche risponde a situazioni formali elevate, come l’insegnamento, la burocrazia, la cultura, la religione e la letteratura. ISOLE GRECHE Vi sono colonie greche presenti nel territorio italiano: una è in Calabria e l’altra nel Salento. Si è discusso sull’origine di queste colonie e due tesi si sono contrapposte: 1. una vede nelle isole greche d’Italia l’eredità dell’Antica Magna Grecia. Il residuo delle antiche colonie anteriori alla dominazione romana 2. l’altra vede in esse una conseguenza dell’occupazione bizantina nell’Italia meridionale MINORANZE RECENTI E DI ALTRA ORIGINE Negli ultimi 20 anni il fenomeno dell’immigrazione del Terzo Mondo povero, in particolare dall’Africa e dall’Asia e dai Paesi Slavi è aumentato notevolmente. Questi nuovi gruppi etnolingusitici stanno soppiantando le vecchie minoranze storiche per importanza e peso sociale e a costoro bisogna aggiungere i clandestini. La nuova immigrazione ha creato un sottoproletariato urbano con scarse possibilità di integrazione e con una tendenza a creare gruppi etnici isolatri e conflittuali, portatori di tradizioni che si scontrano con quelle locali e con le leggi italiane. AREE DIALETTALI E CLASSIFICAZIONE DEI DIALETTI LE LINEE LA SPEZIA- RIMINI E ROMA-ANCONA Si possono distinguere in Italia tre aree diverse: 1. Settentrionale 2. Centrale 3. Meridionale Queste sono separate da due grandi linee di confine: la linea La Spezia - Rimini divide i dialetti settentrionali da quelli centro-meridionali e la linea Roma - Ancona divide i dialetti meridionali da quelli centrali. La linea La Spezia - Rimini è definita da Rohlfs con il termine di frontiera linguistica per la sua importanza e per le premesse storiche che spiegano l’esistenza del confine. Il confine linguistico è identificato dai linguisti, prendendo in considerazione diversi fenomeni. Nelle parlate dialettali a nord di questa linea si ha:  Indebolimento( sonorizzazione o caduta) delle occlusive sorde in posizione intervocalica ( fradel invece di fratelli, formiga invece di formica)  Scempiamento delle consonanti geminate ( spala per spalla, gata per gatta, bela per bella)  Caduta delle vocali finali ( an per anno), eccetto la a che resiste  Contrazione delle sillabe atone ( slar per sellaio, tlar per telaio) Sono caratteristiche proprie dei dialetti gallo-italici. I confini dei fenomeni elencati non coincidono fra loro; se si tracciano sulla carta geografica le varie isoglosse ( le linee di confine dei singoli fenomeni linguistici) si nota che esse hanno lo stesso percorso tra Emilia e Toscana, ma nella zona collinare alle spalle di Rimini divergono. Il confine linguistico tra Nord e Centro è individuabile in maniera meno netta. Per quanto riguarda la linea Roma - Ancona, al di sotto di essa si ha:  Sonorizzazione delle consonanti sorde in posizione postnasale ( mondone per montone, angora per ancora)  Metafonesi delle vocali toniche e ed o per influsso di –i e –u finali ( acitu per aceto, dienti per denti)  Uso di tenere per avere  Uso del possessivo in posizione proclitica ( figliomo per mio figlio) Un po’ più a nord della linea Roma – Ancona corre il confine dell’assimilazione di –nd > nn e mb> mm.