Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Riassunto Le donne nella storia europea. Dal medioevo ai nostri giorni, Appunti di Storia

Riassunto di Gisela Bock, Le donne nella storia europea. Dal medioevo ai nostri giorni, Laterza editore

Tipologia: Appunti

2021/2022
In offerta
30 Punti
Discount

Offerta a tempo limitato


Caricato il 02/05/2023

carlotta-maurizi
carlotta-maurizi 🇮🇹

4.5

(10)

4 documenti

1 / 33

Toggle sidebar
Discount

In offerta

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto Le donne nella storia europea. Dal medioevo ai nostri giorni e più Appunti in PDF di Storia solo su Docsity! 1. La querelle des femmes: una disputa europea sui sessi LA STORIA EUROPEA È RICCA DI TESTIMONIANZE DI QUANTO DIVERSAMENTE POSSANO VENIR RECEPITI I DUE SESSI, LE LORO PECULIARITÀ E LORO RAPPORTI. NELLA QUERELLE DES SEXES SI DISCUSSE PER SECOLI, SPESSO IN FORMA DI LAMENTO E DI ACCUSA, SU COSA E COME SIANO, DEBBANO E POSSANO ESSERE LE DONNE E GLI UOMINI. LE PRESE DI POSIZIONE SU QUESTO ARGOMENTO SI MOLTIPLICARONO NEL PRIMO RINASCIMENTO. ALLA LORO DIFFUSIONE CONTRIBUÌ LA CRESCENTE IMPORTANZA DELLA PAROLA SCRITTA NONCHÉ LA STAMPA. GLI AUTORI SCRISSERO SIA OPERE OSTILI ALLE DONNE SIA OPERE A FAVORE DELLE DONNE. LA DISPUTA EBBE ORIGINE NEL MEDIOEVO, SI SVILUPPÒ NEL RINASCIMENTO, SOTTO L'INFLUSSO DELL'UMANESIMO E DELLA RIFORMA RELIGIOSA, E PROSEGUÌ FINO ALL'ILLUMINISMO. La dignità dell’uomo e la dignità della donna Nel tardo Medioevo e anche nel primo Rinascimento, fu rilanciata la questione della natura umana. I Padri della Chiesa avevano attribuito ad Eva la colpa del peccato originale e identificato con le donne la sessualità e il peccato. Per Tertulliano la donna era la porta del Diavolo e per Agostino la sessualità, anche coniugale, era un peccato. Secondo Girolamo, era possibile evitare il peccato solo vivendo in assoluta castità, poiché l'amore dell'uomo per la donna, personificazione del male e della tentazione, non poteva essere compatibile con l'amore di Dio e quindi costituiva una minaccia per la salvezza dell'anima dell'uomo. Gli uomini che desideravano la salvezza dovevano guardarsi dalle donne, le donne da sé stesse. Tertulliano si chiese cos'è la donna e rispose a questa domanda con un lungo elenco di difetti: nemica dell'amicizia, tentazione naturale, minaccia della casa, natura del male. Ci fu una rigida polarizzazione fra i sessi. Questa polarità (attivo-passivo, spirito-carne, bene-male) venne un po’ attenuata, ma la donna, che Aristotele considerava un errore della natura, rimase anche per Tommaso d'Aquino un uomo mal riuscito o incompleto. Sia Tommaso che Aristotele sottolinearono l’importanza del ruolo domestico della donna a condizione che fosse l'uomo a detenere il potere. Dalla considerazione che la donna fosse indispensabile non derivava necessariamente la sua parità di rango. Le donne potevano venire considerate non solo come porta del Diavolo, ma purché vergini o virtuose anche come Spose di Cristo. Il distacco da queste radicate immagini polarizzanti e paradossali fu un processo lungo. La querelle des sexes ruotava intorno al problema della dignità e del valore dell'altro sesso, sulla sua inferiorità, superiorità o uguaglianza rispetto al sesso maschile. La difesa delle donne venne sostenuta nel 500 da Gedaliah ibn Yahya: la loro superiorità sarebbe provata dal fatto che Adamo fu creato dalla polvere, mentre Eva nacque dalla costola di Adamo. In quanto a razionalità esse non sono da meno degli uomini e dimostrano la loro forza nell'affrontare e sopportare i dolori del parto. Nel 1600 un benedettino misogino sosteneva che la donna non può né essere né venir chiamata umana, dato che non proviene dalla terra, ma dalla costola di Adamo e a chi sostiene che le donne sono esseri umani in quanto partoriscono si risponda che anche le bestie partoriscono con dolore, ma non per questo sono esseri umani. Il lato ironico della disputa nasceva dal fatto che la subordinazione delle donne veniva considerata ovvia e incontestabile e quindi, mettendola in dubbio, si dava vita a un paradossale mondo alla rovescia. Non a caso, proprio alcune delle opere a favore delle donne si presentarono come paradossi. Nel 500 la querelle des femmes si fuse con la querelle de l’amye, la disputa sull’amica (le donne sono capaci di amicizia o no?). Intorno al 1400 le divergenze teologiche e i sospetti di eresia furono soppiantati da una vera e propria disputa che scoppiò quando, per la prima volta, una donna alzò la voce per controbattere opinioni maschili: Christine de Pizan, rappresentante dell'umanesimo. Christine de Pizan, nata a Venezia, aveva vissuto alla corte di Carlo V e rimasta vedova, aveva provveduto faticosamente al suo sostentamento e a quello dei suoi due figli grazie alla sua attività di scrittrice e di copista. Per anni discusse pubblicamente sull'immagine delle donne e degli uomini creata dal Romanzo della rosa, il cui autore aveva raccolto numerosi motti misogini. Christine si chiedeva cosa sono le donne? In questa prima grande disputa letteraria in Francia, che fu anche la prima delle molte querelles des femmes che sarebbero seguite, si discusse soprattutto su cosa fossero le donne, ma anche sull'importanza della letteratura come istanza morale. Ironicamente Christine definì la sua voce un minuscolo grillo. I suoi avversari, molti dei quali erano umanisti altrettanto dotti, videro nel coraggio, nell’acume e nello spirito del grillo una manifestazione di superbia arrogante e poco femminile. La protesta di Christine contro il Romanzo della rosa dava voce a numerose doléances femminili, lamenti di dame e fanciulle nobili, di distinte Signore, di cittadine e di tutte le donne in genere e ai loro reclami contro le brutali violenze, i rimproveri, le infedeltà, le offese, le bugie. Infatti, il Romanzo della rosa, prendendo le distanze dalla tradizione cortese dei trovatori, descriveva le donne come volubili e sventate, bugiarde e intriganti, scaltre, maligne e saziabili, infedeli, gelose e prive di coscienza. L'autrice rovescia la raccomandazione del Romanzo della rosa, la controversia fra Christine e la tradizione misogina culminò nell'opera Le livre de la cité des dames: “Care donne, non dimenticate mai che quegli stessi uomini che da un lato vi accusano di debolezza, sventatezza e volubilità, dall'altro si servono di ogni mezzo e degli inganni più curiosi e affrontano i enormi sforzi per riuscire a catturarvi come prede nella rete.” Il consiglio di Christine è di sfuggire a quel peccaminoso, sciocco amore in cui gli uomini cercano di coinvolgerle, perché alla fin fine sono sempre le donne a pagare il conto. Gli attacchi misogini venivano mascherati e giustificati con l'argomento secondo il quale, in realtà, si trattava solo di arte o di convenzione, ma la reazione di alcune donne dimostra che invece si trattava di ben di più. Christine sapeva che i rapporti fra i sessi possono benissimo venire influenzati anche da ciò che apparentemente è solo uno scherzo o una satira. Ad esempio, conosceva un marito che considerava il Romanzo della rosa come una specie di Vangelo e lo citava picchiando sua moglie. Christine stessa, narra di essersi chiesta come mai tanti uomini così diversi tra loro e di diverso grado di cultura giungessero tutti alla stessa conclusione: le donne hanno la tendenza a tutti i vizi possibili e immaginabili. Era arrivata addirittura a dubitare di sé stessa, a pensare che le donne fossero davvero un errore della natura è a prendersela con il buon Dio: perché non mi hai fatto nascere uomo? Le viene suggerito di costruire con “il piccone della tua intelligenza” una città dove le donne di tutte le classi sociali possano trovare accoglienza e protezione. L’allegorica città delle donne è una risposta alla tradizione misogina, e al contempo è il progetto di un nuovo mondo. Secondo Christine non esistono differenze di valore fra l'anima femminile e l'anima maschile. Il corpo delle donne, anche se più debole, è perfetto quanto quello degli uomini. Le donne non mancano di intelligenza, se le loro nozioni sono più limitate ciò dipende dal fatto che esse non hanno la possibilità di dedicarsi a tante cose diverse, ma rimangono nelle loro case e si accontentano di occuparsi del loro andamento. Se fosse consueto far frequentare le scuole anche alle bambine e poi insegnare loro le scienze, così come si fa con i figli maschi, esse apprenderebbero altrettanto bene e sarebbero in grado di capire tutti i particolari delle arti e delle scienze. Il fatto che gli uomini si rifiutino di permettere alle loro mogli e figlie il dolce piacere del sapere e dell’imparare, con la scusa che ciò andrebbe a scapito della morale, significa solamente che anche essi non sono particolarmente intelligenti e temono che le donne possano rivelarsi superiori a loro per cultura. Nonostante il suo amore per il marito e la sua solitudine dopo la morte di lui, Christine vedeva un nesso tra la solitudine e l'attività intellettuale. In Italia, nel 600, ebbe una certa notorietà la triade veneziana: Moderata Fonte, Lucrezia Marinella e Angela Tarabotti. In Inghilterra la prima voce di donna in questa disputa si fece sentire nel 1589 sotto lo pseudonimo di Jane Anger polemizzando contro la falsità degli uomini. Ella scrisse che senza il lavoro domestico svolto dalle donne gli uomini non potrebbero neanche esistere. Jane negava che l'uomo fosse il capo della donna e pretendeva per quest'ultima una certa sovranità. La disputa, sviluppatasi in Inghilterra fra il 500 e il 600, fu caratterizzata da polemiche e dall'uso di pseudonimi: Mary Tattle-well e Joan Hit-him-home. Nella loro opera deplorano il fatto che il genere maschile avesse così poca comprensione per il genere femminile e che la debolezza femminile, derivante dalla natura, venisse ulteriormente rafforzata dalla nurture, in quanto alle donne veniva permesso solo di imparare a soddisfare gli istinti degli uomini. I testi della querelle non vertevano mai solo sulle donne, ma anche sugli uomini. Vennero presi in considerazione molti argomenti: il matrimonio e l'infedeltà coniugale, il sesso e la castità, la bellezza, il pudore, la virtù e i vizi, il lavoro e i figli, il denaro e la violenza, lo spirito e il potere, il paradiso e l'inferno, Dio e l'universo mondo. Anche sulle streghe si discuteva sin da quando cominciarono ad essere perseguitate, sulla loro esistenza, sull'origine dei loro poteri e sui criteri per identificarle. Fra le vittime della caccia alle streghe le donne furono la maggioranza. Più di due terzi delle centomila persone che persero la vita in questa persecuzione furono donne. Già allora ci si chiese perché mai le donne fossero portate alla stregoneria molto più degli uomini, si tentò di spiegare questo fenomeno con la loro curiosità, l'eredità di Eva, il loro carattere vendicativo. Si fece ricorso a Eva e al luogo comune della donna come strumento del diavolo. Le stregonerie delle donne sarebbero state scoperte più facilmente di quelle degli uomini a causa della loro loquacità. Marie de Gournay affermò che le donne sono simili agli uomini come le gatte ai gatti, che esse possono benissimo diventare sacerdotesse, che Cristo era nato uomo solo perché altrimenti, tenendo conto del disprezzo ebraico per le donne, non avrebbe potuto avere alcuna influenza, che alle donne viene negata la somiglianza con Dio solo perché ci si immagina che Dio abbia la barba. Già Christine de Pizan aveva creduto opportuno sottolineare che le donne appartengono al genere umano come gli uomini e non davvero ad una specie diversa. Erasmo da Rotterdam, uno dei pochi autori Finalmente anche queste ultime dovevano far parte della “gentaglia comune”, “far figli e provare gli stessi dolori”. -2) La riforma creò una nuova figura: quella della moglie del parroco, considerata come modello di compagna e aiuto del marito, esemplare come madre di famiglia e come madre della comunità religiosa. Katharina Zell, moglie di un parroco riformato offrì rifugio e assistenza nella sua casa a luterani perseguitati, dopo la morte di suo marito tenne persino un discorso in pubblico e affermò che il matrimonio è un mezzo per salvare le anime. -3) Molte concubine vennero abbandonate dal loro compagno prete che aveva finito con il rimanere cattolico e con il prendere nuovamente sul serio il suo voto. -4) Per molte suore il convento era stato davvero una prigione e lo abbandonarono volentieri, mettendosi alla ricerca di un marito. Infine, molte donne, apprezzavano la nuova dignità attribuita al matrimonio, alla moglie e alla solidarietà fra i coniugi. Per le donne protestanti erano venuti a mancare il culto dei santi e della Madonna. Per tutte le donne continuava ad essere valido il vecchio principio giuridico del Corpus iuris civilis di Giustiniano in base al quale la dignità del sesso femminile sarebbe inferiore a quella degli uomini. Nel common law inglese il marito e la moglie sarebbero stati “una sola persona”, “una sola carne”, come nella Genesi. Per la rivalutazione della moglie attraverso la rivalutazione del matrimonio, si faceva ricorso al libro della Genesi: Eva non proveniva dalla testa di Adamo e quindi non gli era superiore, ma neanche dal suo piede e quindi non gli era subordinata, la costola significava e garantiva l'equiparazione. Lutero costruì una nuova polarità: secondo lui Eva non era la sola a essersi macchiata del Peccato Originale né era un uomo in completo. La genesi parla di due generi e ciò dimostra che entrambi hanno accesso alla salvezza ma anche che sono diversi, per illustrare questa differenza Lutero fece ricorso all'immagine del sole e della luna: “il sole splende più della luna sebbene anche la Luna sia dotata di grande splendore”. Riuniti in coppia essi risplendono al di sopra delle altre stelle. L'esempio del sole e della luna si rivelò adatto a prolungare la querelle des femmes, anziché porle fine come si intendeva. La maggior parte delle dottrine matrimoniali concordavano sul fatto che la violenza fisica del marito era legittima solo quando la moglie la meritava veramente. Secondo Lutero le donne non si sposavano per avere un uomo ma per avere figli. Alle inventive maschili contro il matrimonio subentrarono in seguito quelle femminili. Mary Astell, che rimase nubile per tutta la vita, riteneva che l'uomo si sposasse solo per avere una comoda governante, qualcuno che mettesse al mondo i suoi figli, in modo da perpetuare il suo nome, qualcuno su cui poter esercitare la sua autorità. Secondo la Astell, per una donna il matrimonio non sarebbe stato affatto un bene e quindi le donne non avrebbero dovuto mai accettare di sposarsi. Le preziose dell’Age classique discutevano se il potere potesse venire diviso fra i coniugi a periodi alternati e prendevano in considerazione l'idea di un matrimonio a tempo limitato: in caso non si desiderasse prolungare l'esperimento, i figli sarebbero dovuti rimanere presso il padre, mentre la madre avrebbe ricevuto una liquidazione e sarebbe rientrata in possesso della sua libertà. Il potere dei padri, degli uomini, delle donne If all men are born free, how is it that all women are born slaves? Mary Astell (1706) Christine de Pizan aveva fatto notare che anche le donne sono in grado di esercitare il governo politico, sostenendo la sua affermazione con numerosi esempi biblici, mitologici e storici. L'autorità, sia quella laica che quella ecclesiastica, era considerata patriarcale. La giurisdizione matrimoniale passò a poco a poco dalla Chiesa allo Stato, dalle autorità locali a quelle centrali, soprattutto nelle regioni protestanti, ma anche in quelle cattoliche soprattutto in Francia, dove dal 500 in poi dove si istituì uno stretto accordo tra la struttura familiare e quella statale: le nozze, la vita coniugale e le questioni ereditarie erano regolate da rigide norme e sottoposte all'autorità del re-capofamiglia. Il nuovo Stato nazionale si fondava sull'autorità maschile nella famiglia e nello Stato. John Locke sosteneva che i rapporti familiari sono naturali e prepolitici e che non hanno nulla a che vedere con la società. Il padre non ha potere politico sui figli – we are born free - ma solo il dovere di allevarli decorosamente. Se l'autorità paterna e quella politica fossero della stessa natura ne risulterebbe, per assurdo: -1) che tutti i padri sarebbero re e il re sarebbe solo il sovrano dei propri figli. -2) che ogni marito sarebbe un monarca. Invece la madre e il padre sono equiparati nei confronti dei figli. -3) che anche le donne avrebbero diritto al potere politico. Mary Astell sosteneva che se nello Stato non è necessaria, anzi è nociva, una sovranità assoluta, perché mai essa dovrebbe essere necessaria nella famiglia? Proprio in quest'ultima essa è superflua in quanto il marito e la moglie, diversamente dal governo e dai sudditi, si sono scelti (o almeno avrebbero dovuto scegliersi) volontariamente e liberamente. Mary Wollstonecraft, scrittrice e governante, sosteneva che la ragione è una qualità necessaria proprio alle donne, per metterle in grado di adempiere ai loro doveri privati e per far uso dei loro diritti. Come molte donne della sua epoca, ella ammirava Rousseau e la sua dottrina politica, ma, come tante altre, rifiutava la sua teoria dei sessi, cioè il postulato secondo il quale le donne sono al mondo per piacere e obbedire agli uomini e non sono provviste di ragione e di virtù. La questione che principalmente le stava a cuore era questa e non il fatto che le donne non avessero potere: “non voglio che esse abbiano potere sugli uomini, ma sopra sé stesse”, “le donne non desiderano il dominio, ma l'uguaglianza”. Nell’Ancien Règime anche le donne a volte ebbero potere, ma non a causa della natura del loro sesso, bensì del loro sangue. Nella politica ad alto livello, le donne non potevano governare, se non per diritto di sangue: quando l'autorità deriva dal sangue e dalla stirpe, come nel caso di re, di duchi o di conti, viene rispettato il sangue e non l'età o il sesso. Elisabetta d'Inghilterra (1533- 1603) comparve in armatura e tenne ai soldati un discorso in cui affermava che, anche se il suo corpo era debole, il suo cuore è il suo corpo erano quelli di un re e per di più di un re d'Inghilterra, pertanto la sua intenzione era: “prendere personalmente le armi ed essere il vostro condottiero e il vostro giudice e premiare ogni atto di valore che compirete sul campo di battaglia”. Le donne governarono sia come regine per proprio diritto sia perché regine spose di un marito sovrano oppure come reggenti, come favorite. Nel 1688, viene introdotta la successione per linea femminile, per evitare il pericolo del cattolicesimo, personificato dall’erede al trono maschio. L’imperatrice Maria Teresa dimostrava la capacità di governare presentandosi come moglie e madre ideale. Caterina II di Russia inizialmente si comportò come fedele moglie dell’erede al trono, ma poi prese in mano il potere e ebbe numerosi amanti. Cristina di Svezia era destinata a diventare regina sin dalla nascita e pertanto godette di un’educazione “da uomo”. Legge Salica – nessuna terra può essere ereditata da una donna, ma tutta spetta ai maschi, che siano fratelli della donna. 2. La Rivoluzione francese: la disputa si riapre L'EPOCA DELLE RIVOLUZIONI, CHE EBBE INIZIO NELL'AMERICA DEL NORD NEL 1776 E SI CONCLUSE CON LE RIVOLUZIONI EUROPEE DEL 1848, NON SCONVOLSE SOLTANTO L'ORDINAMENTO POLITICO, MA ANCHE QUELLO DEI SESSI. CON LA RIVOLUZIONE FRANCESE, VENNERO POSTI, IN FRANCIA E IN TUTTA EUROPA, I FONDAMENTI DEL MONDO MODERNO. PER LE DONNE LA RIVOLUZIONE EBBE UNA GRANDE IMPORTANZA: IL LORO MODO DI PENSARE, DI ESPRIMERSI E DI AGIRE FU COLLEGATO AI DRAMMATICI MUTAMENTI VERIFICATISI TRA IL 1789 E IL 1795 E FINO AL TERMINE DELL'ETÀ NAPOLEONICA. LE DONNE EBBERO UNA GRANDE IMPORTANZA PER LA RIVOLUZIONE, ANCHE SE LE TRASFORMAZIONI FURONO DETERMINATE DAGLI UOMINI. CON IL MOLTIPLICARSI DEGLI OBIETTIVI DEGLI UOMINI, SI TRASFORMARONO ANCHE LE SPERANZE, LE PRETESE E LE VISIONI DELLE DONNE. SU TUTTI I FRONTI DEI CONFLITTI E DELLE CONTROVERSIE SI IMPEGNARONO, COL PENSIERO E CON L'AZIONE, ANCHE LE DONNE. LE CORRENTI DI DONNE ERANO MOLTE E IMPONENTI, MA NON ESISTEVA UN MOVIMENTO AUTONOMO DELLE DONNE. NONOSTANTE CIÒ, NELL'EUROPA RIVOLUZIONARIA VENNE FORMULATO IL: REMEMBER THE LADIES. LE IMMAGINI DI DONNE SORTE DURANTE LA RIVOLUZIONE EBBERO DIFFUSIONE E INFLUSSO DURATURO IN TUTTA EUROPA. Speranze La Rivoluzione fu preannunciata da un evento inaudito: re Luigi XVI invitò tutti i suoi sudditi a esprimere liberamente le loro lamentele. Raccolte nei cahier de doléances, vennero espresse la fame e la rabbia, la speranza di pane e di libertà, di riforme politiche ed economiche. In essi si riflettono le preoccupazioni quotidiane e relative alla tassazione e alla sopravvivenza. L'atmosfera di risveglio e il desiderio di riforme furono articolati in una petizione rivolta al re da un gruppo di donne del Terzo Stato nel 1789. Le donne presentarono una serie di lamentele. Le donne chiesero che agli uomini venisse proibito di esercitare i mestieri a cui potevano accedere le donne e soprattutto pretesero di poter usufruire dell'istruzione e dell'accesso ai mestieri. Le lamentele femminili riguardavano soprattutto l'istruzione e altri problemi sociali. Veniva chiesta una diminuzione del prezzo del pane e vennero fatte mettere per iscritto le loro lamentele. Esse polemizzarono contro i ricchi e il loro lusso, contro il prezzo troppo alto del pane e contro l'appalto delle imposte. Madame B. B. fece riferimento all'Illuminismo e all'ormai vicina liberazione degli schiavi di colore per pretendere la libertà anche per le donne e chiedeva il suffragio nelle elezioni. Critica il fatto che le donne potessero esercitare il suffragio solamente attraverso un rappresentante di sesso maschile: “dato che un nobile non può rappresentare un plebeo e viceversa, a maggior ragione un uomo non potrà mai rappresentare una donna; infatti, i rappresentanti devono assolutamente condividere gli interessi di coloro che rappresentano e quindi le donne possono venire rappresentate solamente da donne”. Fu questo l'argomento doppiamente rivoluzionario, poiché si esprimeva a favore sia di un parlamentarismo moderno che della partecipazione politica delle donne. Le proteste contro la mancanza di libertà, la povertà e i maltrattamenti subiti dalle donne erano già presenti nella vecchia querelle, come il sarcasmo maschile sulle presunte ambizioni femminili. Nel 1789 circolò una versione satirica della Dichiarazione dei diritti dell'uomo. Furono numerose le voci perlopiù maschili che attribuivano la colpa della disastrosa situazione della Francia alle donne, in primo luogo alla regina Maria Antonietta. I rivoluzionari accusarono la regina, nel processo che condusse alla sua esecuzione capitale, di avere reso effeminato il marito, di avere intrattenuto relazioni con i Ministri e rapporti lesbici, di aver trascurato i suoi doveri di madre e di aver avuto rapporti incestuosi con suo figlio. La monarchia femminile fu rifiutata → La nuova costituzione stabilì che il potere regale è ereditario nella stirpe regnante da maschio a maschio secondo l'ordine della primogenitura ed esclude eternamente le donne e loro discendenti. Una delle forme di cittadinanza femminile che rappresentò un esercizio diretto di sovranità popolare fu l'impegno delle donne appartenenti agli strati più bassi della popolazione e le loro speranze. Il 5 e 6 ottobre del 1789, la marcia su Versailles delle donne di Parigi fu il simbolo della prima fase rivoluzionaria. Se l'assalto alla Bastiglia del 14 luglio era stato gestito principalmente da uomini, la Rivolta di ottobre fu invece in gran parte un'impresa delle donne. Il rivolgersi direttamente al Re non era un fenomeno nuovo. Nel rigido inverno tra il 1708 e 1709, gruppi di donne si erano recati a Versailles per convincere il Re Sole le a prendere provvedimenti contro la carestia e a metter fine alla guerra. Durante il regno di Luigi XV, le pescivendole parigine avevano avuto accesso diretto alla Corte grazie ai contatti con la moglie del re, una delle regine francesi più popolari. Maria Antonietta era solita ricevere le donne del mercato il giorno di San Luigi (25 agosto) e lo fece anche nel 1789, quando circa un migliaio di donne si presentò Versailles per rendere il tradizionale omaggio al re e alla regina. La famosa e cinica frase attribuita a Maria Antonietta “se non hanno pane, mangino delle brioches”, era sulla bocca di tutti. Una mercantessa accusò a gran voce la regina di essere responsabile della miseria generale e escludeva senza possibilità di equivoco le donne. Il suo discorso introduttivo alla Déclaracion comincia con: “Uomo, sai essere giusto? Dimmi, chi ti ha dato il sovrano potere di opprimere il mio sesso?”. La dichiarazione della de Gouges ricalca esattamente i 17 articoli della Dichiarazione maschile. Nonostante il titolo, non si parla solo di donne, ma anche di uomini: “la donna nasce libera e ha gli stessi diritti dell'uomo” Articolo 1. Le donne rappresentano la Nazione non sebbene siano madri, figlie e sorelle, ma in quanto lo sono. “La libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi della donna, poiché questa libertà assicura la legittimità dei padri verso i figli. Ogni cittadina può dunque dire liberamente, io sono la madre di un figlio vostro, senza che un pregiudizio barbaro la forza nascondere la verità” Articolo 11. “La donna ha il diritto di salire al patibolo, essa deve avere pure quello di salire sul podio” Articolo 10. Con la sua pretesa che anche le donne vengano considerate come individui, la de Gouges non nega la differenza fra i sessi, ma, anzi, ne fa il fondamento dell’estensione dei diritti dell’uomo anche al sesso femminile. Senza il diritto di libera espressione le donne non avrebbero né la possibilità né il potere di costringere i padri a compiere il loro dovere nei confronti dei figli. Ciò che comunemente era uno dei motivi dell’esclusione delle donne dai diritti, e cioè la maternità, viene presentata come un argomento legittimante della citoyenneté femminile. La recherche de la paternité fu un elemento caratteristico della storia francese. Se gli uomini da prendere in considerazione come eventuali padri erano più di uno, dovevano pagare tutti (succedeva raramente). La paternità non dovrebbe venire determinata solo dall'esistenza di un rapporto coniugale. Qui la maternità non viene intesa solo come un problema fisico, ma come un problema sociale. Le donne sono esseri umani perché sono donne e non sebbene lo siano. Olympe si era adoperata per migliorare la situazione delle madri nubili povere, denunciando le loro sofferenze negli inadeguati ospizi di maternità, pretendendo che lo Stato provvedesse al loro sostentamento e che venisse reintrodotto l'uso della ricerca della paternità. Nel 1793 venne esaudito uno dei desideri di Olympe: d'ora in avanti i figli illegittimi dovevano ricevere il nome del padre e in alcuni casi anche ereditare il patrimonio dei genitori. Tuttavia, alla de Gouges stava a cuore anche il matrimonio come tale. In futuro il patrimonio doveva appartenere a entrambi i coniugi e poter essere lasciato in eredità ai figli, tanto legittimi che illegittimi. I figli dovevano poter scegliere fra il cognome del padre e quello della madre. In caso di divorzio il patrimonio andava diviso e alla morte di uno dei coniugi la metà doveva toccare ai figli. Se un uomo ricco generava un figlio con una sua vicina povera, lo doveva adottare, affinché questa non fosse costretta a rifugiarsi in un misero ospizio. Se un uomo non avesse tenuto fede alla sua promessa di matrimonio avrebbe dovuto pagare alla donna abbandonata un risarcimento proporzionato al suo patrimonio, nel caso opposto anche la donna doveva venire punita. Infine, la de Gouges affiancò il suo impegno a favore delle donne e dei bambini a quello a favore degli individui di colore. I padri soddisfano la loro concupiscenza nei confronti delle donne di colore e si riproducono coscientemente, ma senza adempiere ai doveri della paternità. Nonostante tutti gli sforzi compiuti dall'autrice, la sua Déclaracion ebbe scarsa notorietà. Eppure, 50 anni dopo, la Déclaracion sarebbe diventata il simbolo del fatto che la storia della nostra prima rivoluzione è circondata dall’aura di grandi donne che hanno onorato il loro sesso e la loro patria. La de Gouges divenne un simbolo grazie al suo testo e alla sua morte. Veniva considerata una martire. I suoi proclami alle donne perché si unissero e dessero voce ai loro interessi rimasero inascoltati, la maggioranza delle donne attive era implicata nella politica di interessi degli uomini, mentre la de Gouges urtava tutti col suo pensiero autonomo e procedeva per paradossi. Furono proprio le donne ad applaudire quando venne giustiziata. La de Gouges fu più radicale e moderna dei suoi contemporanei dato che nella sua Déclaracion pretese lo stesso diritto elettorale che avevano gli uomini. Amazzoni e controrivoluzionarie I termini monsieur e madame vennero aboliti e sostituiti da citoyen e citoyenne. Le donne che fra il 1791 e 1793 si riunivano nel club rivoluzionari si consideravano come citoyenne. Le donne si definivano Amazzoni o Amazzoni costituzionali. Per loro il termine citoyenne significava l'impegno per la Patria, per la nazione rivoluzionaria. Le donne reclamavano la validità per le donne della Dichiarazione dei diritti dell'uomo. Le cittadine iscritte al club di provincia, per lo più provenienti dal ceto medio e mogli e figlie di membri di club maschili, leggevano insieme letteratura politica, eleggevano e votavano nel loro Club, si autocelebravano nel ruolo di madri repubblicane e di sostegno dei loro mariti o giuravano che non avrebbero mai sposato un aristocratico, elaboravano dei programmi educativi per fare dei loro figli dei patrioti e leggevano insieme ad essi la Dichiarazione dei diritti dell'uomo. Le donne dei Club procuravano posti di lavoro a donne bisognose, cucivano coperte e capi di abbigliamento per i soldati, incoraggiavano i controlli sui prezzi, la cacciata delle suore dai conventi. Alcuni Club nel 1793 pretesero che nella nuova costituzione venisse accolto il suffragio femminile e qualcun altro pretese anche che le donne portassero le armi. Infatti, nella simbologia rivoluzionaria la citoyenneté e il portare le armi erano strettamente collegati. Il nucleo centrale della Società era costituito da circa cento donne, i cui scopi erano combattere contro i nemici della Repubblica e i nemici interni. Intendevano formare una compagnia di amazzoni armate che assumesse ruolo di guida delle sanculotte. Quando, nel 1793 la Convenzione resa obbligatoria per gli uomini la coccarda tricolore, le rivoluzionarie della società ne furono entusiaste e decisero non solo di portarla anche loro ma di costringere a portarla anche tutte le altre donne. Scoppiò così la guerra delle coccarde, nella quale le rivoluzionarie attaccarono le eroine del 5 e del 6 ottobre. Infatti, queste ultime rifiutavano una citoyenneté che le voleva obbligare a portare le armi e a prestare il servizio militare che esse non consideravano come un diritto ma come uno spiacevole dovere. Dopo che le rivoluzionarie picchiarono una vecchia senza coccarda, per mettere fine ai tumulti, la polizia pregò la Convenzione di costringere anche le donne a portare la coccarda e la Convenzione accettò. La Convenzione dopo aver discusso ampiamente sulla citoyenneté delle donne proibì tutte le organizzazioni femminili. Intanto un numero sempre crescente di donne, soprattutto in provincia, nelle piccole città, nei paesi e in campagna, cercando una nuova strada di partecipazione politica, scelse l'unica alternativa possibile di discorso universalistico: la religione cristiana. Anch’esse, come le donne di ottobre, si riallacciarono a tradizionali rivolte popolari, comprese le forme di violenza femminile e al contempo posero le basi per l’Ottocento. A reagire a questa rivoluzione culturale con la resistenza collettiva furono soprattutto le donne. Esse provenivano da tutte le classi sociali, diversamente che nei moti rivoluzionari parigini, la loro rivolta, e la loro violenza collettiva non costituivano una protesta dei poveri contro le élites locali. In appartamenti privati, in fienili e in cappelle illegali venivano celebrate delle Messe bianche, vale a dire lette da laici e senza Eucarestia, donne laiche nascosero i preti perseguitati, gruppi di donne marciarono dal sindaco per farsi consegnare le chiavi della Chiesa e occuparono edifici sacri dopo averli riaperti con la forza, difesero gli ambienti consacrati, le campane, le statue, gli arredi liturgici e impedirono la distruzione delle croci. Anche la fame e la miseria ebbero la loro importanza. Le donne seppellivano i morti di notte, a volte trafugavano le salme per impedire i funerali civili e seppellirli cristianamente. A dispetto del divieto, suonavano le campane dell'Angelus, celebravano le feste dei santi e della Vergine Maria, dicevano Rosario, organizzavano processioni e imponevano ai loro figli nomi biblici o nomi di santi e insegnavano loro a pregare. Onoravano solennemente la domenica. Il cattolicesimo divenne l'ambito in cui le donne potevano parlare in pubblico, agire autonomamente e svolgere funzioni sempre più ampie nell'organizzazione delle funzioni liturgiche e della vita della comunità. Le pratiche religiose costituivano il contesto in cui potevano venir articolati i sentimenti e curati i rapporti della comunità paesana, scandivano il ritmo della vita e della morte, erano di aiuto per comprendere il significato trascendente della fragilità della vita e superare le situazioni di crisi esistenziale che non potevano essere risolte facendo ricorso alla ragione rivoluzionaria: “solo la religione ci può dare la forza di resistere a tutti i guai di una rivoluzione così lunga”. Le attività femminili a sfondo religioso furono alimentate dalla rivoluzione anche per un altro motivo → La rivoluzione aveva aperto agli uomini nuovi campi di azione politica, dai quali le donne rimasero escluse. Per le donne la religiosità aveva un significato doppio: legittimava la dignità spirituale di individui esclusi dal potere terreno, infatti, il cattolicesimo divenne l’ambito in cui le donne potevano parlare in pubblico, agire autonomamente e svolgere funzioni sempre più ampie nell’organizzazione delle funzioni liturgiche e della vita della comunità. Nelle rivolte religiose le donne posero la base per la femminilizzazione della religione che si affermò lentamente nell’Ottocento. Napoleone e la rivoluzione in Europa Napoleone non prendeva neanche in considerazione l'idea di una citoyenneté femminile, anzi affermò che: “Dal momento che le donne non esercitano diritti politici, non è appropriato definirle citoyennes”. Il principio che occorresse essere un maschio per poter esercitare i diritti politici e godere di tutti i diritti civili rimase valido in tutta Europa per oltre un secolo. Fu definitivamente proibita la ricerca della paternità e pertanto fu annullato anche il dovere del padre di provvedere al mantenimento di un figlio illegittimo. La puissance maritale, principio costitutivo della famiglia: il marito deve a sua moglie protezione e la moglie deve a suo marito obbedienza. Il marito aveva il diritto di stabilire il comune luogo di residenza, la moglie abbracciava la nazionalità del marito, la comunione dei beni era considerata la regola ed era subordinata al controllo del marito. Secondo il nuovo Codice penale del 1810, l'infedeltà della moglie veniva punita duramente, mentre quella del marito con pene più blande e solo nel caso che egli avesse commesso adulterio sotto il tetto coniugale. Secondo il Codice napoleonico l'uomo godeva di tutte le libertà civili. Nell'ambito del diritto di famiglia viene conservata una sola importante conquista della rivoluzione: lo stesso diritto ereditario per i figli e per le figlie. Il matrimonio rimase un contratto civile, e venne di nuovo abolita la possibilità di divorziare. Nel nuovo rapporto tra i sessi di età repubblicana, il marito rappresentava la moglie: la voce dell’uno vale per entrambi; quella della moglie è virtualmente compresa in quella del marito. Marito e moglie costituiscono un’unica persona politica. Vi era una dipendenza della donna all'interno del matrimonio. Il codice napoleonico fu preso a modello per il Codice civile in Italia nel 1865 e in altri paesi europei. In tutti i codici il marito continuava a essere il capofamiglia, per giustificare il predominio maschile si fece ricorso alla natura della donna e alla tradizione. Donne e uomini presero via via le distanze dalla rivoluzione quando il precipitare degli avvenimenti condusse al Terrore. Più significativa per la Germania fu una querelle des femmes, cominciata già prima della rivoluzione, e durata fino all'Ottocento. Vi presero la parola uomini e donne, attraverso lettere, libri, giornalismo e filosofia. Emilie von Berlepsch fece osservare che la donna non era più solo la governante del marito e colei che mette al mondo i suoi figli, ma che doveva invece agire autonomamente e quindi essere in grado di pensare in modo libero e individuale, non essere come una macchina che dipende dalla volontà del marito: “Dobbiamo imparare a reggersi in piedi da sole!”. Nel contesto di questa querelle vanno viste anche le opere di Theodore Hippel. Hippel criticò le tirate sulla natura femminile, nonché Rousseau e la Costituzione francese la quale “riteneva che fosse bene ignorare una metà intera della nazione”, sebbene le donne avessero sventolato la bandiera della rivoluzione. Secondo lui, l'oppressione delle donne aveva causato il sorgere dell'oppressione in assoluto nel mondo. Occorreva dunque porre fine a questo stato di cose. Secondo Hippel, le donne disponevano di una divina vocazione per il servizio dello Stato, di cui invece era priva la maggior parte di quei buoni a nulla degli alti funzionari. “Il partorire i figli è una vera e propria testimonianza naturale della sua forza. Io non mi augurerei che questo compito passasse al nostro sesso”. “Il grande compito assegnatole dalla natura di essere la compagna del suo uomo, la madre dei suoi figli richiede che essa sia un membro dello Stato, una cittadina, e non solo una parente bisognosa di protezione e che non debba il suo valore solo all'uomo”. Secondo lui le donne sono per natura elette ad avere gli stessi diritti degli uomini. L’ironia e la satira intrise di significati profondi, di sensatezza e di insulsaggine rivela chiaramente che era ricomparsa, in una nuova veste, la querelle della prima età moderna e che la liberazione civile e anche politica delle donne era ormai pensabile e pensata, ma che d’altra parte sembrava ancora un paradosso e che dagli uomini veniva combattuta tanto aspramente quando invece veniva caldeggiata da molte donne e da altri uomini. Dato che la partecipazione politica delle donne sembrava inaccettabile agli uomini occorreva dare la priorità ai diritti civili, cioè l’istruzione, all’attività retribuita e alla libertà tanto nel matrimonio che fuori di esso. La berlinese Rahel sognava un’Europa in cui tutte le donne si impegnassero contro la guerra, per lei il motivo della loro presunta frivolezza era la loro dipendenza. Oltre che in Germania la Rivoluzione francese ebbe la maggior risonanza in Olanda e in Italia. Le italiane legittimavano la loro cittadinanza appellandosi alla libertà e all'uguaglianza, alla loro dignità di madri e educatrici. Per alcuni la maternità legittimava la cittadinanza delle donne, per altri costituiva il motivo per rifiutarla. Mary Wollstonecraft è la più nota sostenitrice del fatto che la maternità legittimasse la cittadinanza delle donne. Il linguaggio della Wollstonecraft proveniva dall'Illuminismo. La corruzione della società e della politica veniva attribuita alla mancanza di virtù civili: lusso e ozio, debolezza e ingiustizia, egoismo e frivolezza avrebbero condotto al rammollimento e all’effeminatezza, mentre la virtù avrebbe avuto bisogno di libertà, di ragione, di indipendenza di giudizio e di vera virilità. La Wollstonecraft si scagliava contro i ricchi e i grandi “che non sono più virili perché vivono nell’ozio, senza tenere in esercizio né il corpo né lo Spirito”. Invece occorreva sviluppare lo spirito e ridestare il senso di indipendenza. Per lei la colpa della debolezza va attribuita all'educazione, che distingue nettamente fra i sessi e induce le donne ad assomigliare all'immagine che gli uomini hanno di loro. Alle donne vengono insegnate la smania di piacere e la civetteria per poi venir degradate a schiave soddisfatte di un effimero piacere. La Wollstonecraft è l’unica che riconduce alla sessualità la schiavitù delle donne, denuncia il fatto che le ragazze da un lato venissero addestrate a conquistare un buon partito e dall’altro a reprimere le loro tendenze naturali. Tanto negli uomini quanto nelle donne la ragione e la capacità di giudizio possono svilupparsi solo nella libertà. “Fate delle donne esseri ragionevoli e liberi cittadini, e allora esse diventeranno anche brave donne di casa e buone madri”. Le donne non devono essere costrette a compiere unicamente attività domestiche. L’attività retribuita è la base dell’indipendenza economica e di altri tipi di doveri. L’indipendenza le salverà dal dover esercitare la prostituzione. I doveri significano anche diritti. La Wollstonecraft critica la Costituzione francese che costringe le donne a rimanere prigioniere delle morale, culturale e civilizzatrice della donna, sul suo ruolo di elemento civilizzatore. Questa teoria era in contrasto con la dicotomia fra il regno femminile della natura e quello maschile della cultura ma faceva anche sì che le donne che prendevano sul serio tale missione si scontrassero ben presto con gli stretti confini del loro spazio di pensiero e di azione. Come in precedenza Mary Wollstonecraft, Sarah Lewis rifiutava l'idea dell'inferiorità femminile (fatta eccezione per la forza fisica) e vi contrapponeva il principio dell'uguaglianza morale e intellettuale. Ella riteneva paradossale e irrazionale il fatto che alle donne venisse raccomandato contemporaneamente di allargare il loro orizzonte spirituale e di restringere le loro azioni. Tuttavia, ella non teneva in nessun conto l'idea di estendere alle donne diritti e le mansioni degli uomini, riteneva che il principio della divisione del lavoro fosse voluta da Dio e vedeva la missione delle donne nell’impegnare il loro amore per la famiglia, nella lotta contro il materialismo e il capitalismo, a favore di un rinnovamento dell'umanità. Secondo la Lewis, il compito femminile era quello di educare con senso di responsabilità i bambini e le bambine e di consigliare con saggezza gli uomini, anche in questioni relative alla vita pubblica. Le virtù familiari dovevano aver valore anche per lo Stato. La scozzese Marion Reid affermava che la donna poteva essere una buona compagna per suo marito solo avendo la possibilità di sviluppare liberamente e con uguali diritti le sue capacità anche al di fuori dell'ambiente domestico. Jenny d'Héricourt, diplomata in medicina (solo negli anni 70 in Francia lo studio della medicina fu permesso ufficialmente alle donne) fece ricorso all'argomento dell'uguaglianza o della neutralità dei sessi: “la donna non deve reclamare i suoi diritti come donna, ma come essere umano e membro della Società”. La premessa per reclamare il suffragio andava creata con l'uguaglianza della donna nel matrimonio, con il diritto di divorzio e con il libero accesso all'istruzione. La d’Héricourt aveva dovuto constatare come il suffragio universale avesse condotto all’ascesa di Napoleone III e quindi al fallimento della rivoluzione. La sua voce fece furore anche a livello internazionale, sorta in seguito alle tirate misogine del socialista Pierre-Joseph Proudhon. Per Proudhon l'uomo è il padrone e la donna obbedisce. Juliette Adam-Lambert ribatté che la forza fisica non costituisce affatto una legittimazione del potere, che le donne apportano alla società un contributo diverso, ma non meno indispensabile di quello degli uomini e che solo l'accordo di elementi maschili e femminili conduce all'armonia sociale, solo la loro mescolanza al progresso umano. Infatti, l'uguaglianza non significa essere uguali ma essere equivalenti. Ogni essere umano è dotato di particolari capacità, alcune delle quali sono più maschili, altre più femminili, ma non è possibile attribuire tutte le caratteristiche maschili a tutti gli uomini né tutte quelle femminili a tutte le donne. Anche la d'Héricourt, che si era trasferita negli Stati Uniti, condannò le mani maschili della superiorità e della classificazione e ricordò che anche il lavoro domestico è lavoro. “L’angelo del focolare”? Ideali e realtà La regina Vittoria non teneva in nessun conto i diritti delle donne. Con le sue nuove gravidanze, i suoi tentativi di far partecipare alla dignità reale suo marito Albert, di origine tedesca e il suo atteggiamento di vedova inconsolabile, appariva come la personificazione simbolica dell'ideale vittoriano. In realtà, non vi corrispondeva affatto, era tutt'altro che riflessiva e formale, né era priva di impulsi appassionati è disposta a sopportare senza lamentarsi il peso del suo compito di mantenere in vita la dinastia - era aliena dal considerare la maternità come nobile compito della donna. Quando sua figlia Vittoria aspettava il futuro Guglielmo II le disse: quello che dici sul tuo orgoglio di dar vita a un'anima immortale è molto bello ma aggiunse che personalmente l'idea non la entusiasmava e che pensava soprattutto che in quei momenti siamo come mucche o come una cagna, quando la nostra povera natura diventa quasi animalesca e antiestetica. Trovo che il nostro sesso non sia affatto invidiabile. Per tutto il secolo, alle voci che lodavano o biasimavano il ristretto ambito domestico e la subordinazione sociale delle donne si affiancarono anche altre voci che dimostrano come esistessero anche donne colte e appagate, dalla vita sociale piena e soddisfacente all'interno e al di fuori delle loro famiglie. Le donne (ma anche gli uomini) spesso non corrispondevano all'ideale dell'epoca e allo stereotipo di oggi: passività, emozionalità e ignoranza come caratteristiche femminili, attività, durezza e razionalità come tipiche peculiarità maschili. L'angelo della casa era un fenomeno piuttosto raro nella realtà. Rispetto alla prima età moderna, le condizioni sociali avevano subito una drammatica trasformazione, eppure, non diversamente da allora, un buon rapporto matrimoniale coincideva con la vecchia metafora dell'uomo-sole e della donna-luna. In molti modi diversi le donne ebbero una parte anche nei mutamenti economici. Attraverso le eredità e le unioni coniugali esse contribuivano alla formazione di piccoli e grandi patrimoni. Anche l'affermazione che solo gli uomini lavorassero e che le donne provvedessero alla famiglia non corrisponde alla realtà. Il lavoro domestico delle donne era indispensabile in tutti gli strati sociali. Quanto più modesto era il guadagno dei mariti, tanto più faticoso il lavoro domestico delle loro mogli; il tempo libero dei mariti significava per lo più lavoro per le mogli. Pertanto, il concetto dell'Angelo della casa, ignaro delle fatiche del duro lavoro e delle preoccupazioni economiche, era più che altro un sogno delle casalinghe delle classi medie e inferiori. Fra le attività culturali venivano annoverati anche il lavoro a maglia e all'uncinetto, il ricamo e il cucito, che spesso venivano esercitati non in solitudine, ma insieme alle altre donne della famiglia e alle amiche. Questi prodotti, inutili da un punto di vista economico, erano per lo più destinati a venir regalati per allacciare e mantenere i rapporti fra le famiglie. Il patetico cliché di una missione femminile puramente domestica, comune a tutte le classi sociali, contrastava con la vita di gran parte della massa di gente comune anche in relazione al problema della maternità. Anna Jameson criticò questa contraddizione e richiamò l'attenzione sulla situazione delle operaie. A Manchester negli anni Trenta dell'Ottocento le operaie tessili lavoravano fra le 12 e le 16 ore al giorno per raggiungere un guadagno appena sufficiente a garantire l'esistenza; durante la gravidanza continuavano a lavorare, nonostante i dolori, fino a poche ore prima del parto e, dopo, potevano assentarsi dalla fabbrica tuttalpiù per due settimane; per mancanza di tempo o per il loro stato di denutrizione molte non erano in grado di allattare i loro neonati. Il problema poteva venire risolto in vari modi; una delle soluzioni consisteva nell'affidare i neonati a fratelli o sorelle maggiori, a parenti o a vicini di casa, sacrificando spesso a questo scopo una parte della misera paga. Altre madri somministravano ai piccoli oppio o laudano per tenerli tranquilli, in modo da poterli lasciare a casa o, finché erano piccolissimi, tenerli sulle ginocchia durante il lavoro al telaio. Un'altra soluzione molto diffusa in Inghilterra era quella del baby- farming: i figli neonati di donne povere che non si potevano permettere alcun aiuto venivano consegnati a ospizi nei quali l'assistenza era così insufficiente e la mortalità infantile così elevata da provocare uno scandalo pubblico e successive riforme legislative. Per molto tempo, le operaie continuarono a parlare di gravidanze e di parti vissuti in circostanze catastrofiche, di esaurimento, di enormi sacrifici, di aborti spontanei o procurati e, spesso, anche di prolassi uterini in conseguenza della insufficiente assistenza prima e dopo il parto. Ormai anche le operaie erano in grado di scrivere, mentre mezzo secolo prima il loro resoconti perlopiù venivano raccolti e scritti da altri. La Women's Cooperative Guild, la più importante organizzazione fondata da e per le donne inglesi delle classi sociali più basse (1883), le incoraggiò a scrivere le loro esperienze in forma di lettere che nel 1915 vennero pubblicate col titolo Maternity. Nel 1903 entrarono in sciopero le operaie tessili di una cittadina della Sassonia; nonostante il suo fallimento, questo sciopero ebbe un ampio influsso e divenne il simbolo della desolata situazione delle donne, ma anche della loro autoconsapevolezza. Nel 1925, nella stessa città, ebbe luogo un’impressionante assemblea di protesta di operaie in stato di gravidanza a cui fece seguito la pubblicazione del loro resoconto. La loro settimana lavorativa, fra casa e fabbrica, comprendeva in pratica 7 giorni. I ricordi autobiografici testimoniano la stentata esistenza delle donne nella prima fase di industrializzazione. Il Foundling Home di Londra accoglieva circa 100 trovatelli all'anno, che divennero improvvisamente molte migliaia quando venne deciso di accogliere tutti i bambini di età inferiore ai 2 mesi che venissero consegnati all'ospizio. I responsabili di questo esperimento dovettero constatare con stupore e costernazione quante madri e quanti padri poveri fossero disposti ad accollare allo Stato gli oneri del sostentamento dei loro figli, tanto in legittimi che legittimi. Di conseguenza si tornò rapidamente alle precedenti e più restrittive condizioni di accettazione. Alla tentazione di liberarsi dall'onere di allevare i propri figli si cedeva soprattutto laddove bastava deporre i neonati su una ruota o torno girevole perché essi venissero accolti in un ospizio. La ruota era costituita da un cilindro inserito nel muro dell'edificio e ruotante intorno a un asse verticale; i neonati venivano deposti dal lato che dava sulla strada e, dopo un mezzo giro, venivano a trovarsi all'interno del brefotrofio senza che nessuno vedesse e potesse riconoscere chi ve li aveva portati. Per i genitori poveri la beneficenza del torno era il principale contributo dell'assistenza pubblica, in quanto permetteva loro di usufruire gratuitamente dei servizi di una balia e di delegare ad altri il dovere di allevare i figli nei primi anni di vita. Tale modo di agire implicava solo assai di rado l'intenzione di liberarsene per sempre. Se il numero dei neonati abbandonati raggiunse un livello fino ad allora inimmaginabile, ciò fu dovuto al fatto che questi istituti rispondevano esattamente alle necessità delle madri, costrette dalla miseria a esercitare ininterrottamente un’attività retribuita. Di solito, l'abbandono di un neonato non era frutto dell'indifferenza materna, ma anzi del desiderio di salvargli la vita; probabilmente i molti genitori che prendevano questa decisione non sapevano che spesso il loro desiderio non poteva venire esaudito, a causa dell'affollamento dei brefotrofi e dell'alta mortalità infantile che ne derivava, oppure reprimevano questo timore. Dovunque venisse presa la decisione di chiudere una ruota o di rendere più difficoltoso l'abbandono dei neonati presso un ospizio si cercò contemporaneamente di offrire alle madri sussidi di allattamento, asili per lattanti e altri aiuti materiali per rendere loro possibile svolgere i doveri materni. Lavoro vecchio e nuovo Nel frattempo, erano state poste le basi per l'industrializzazione europea che presto sarebbe divenuta globale. L'Ottocento è stato anche il secolo dell'operaia. Nel contesto dell'industrializzazione, dell’urbanizzazione e della migrazione, per le donne le sfere - quella dell'attività lavorativa e quella dei lavori domestici, quella del lavoro retribuito e non retribuito, quella privata e quella pubblica - non erano affatto separate, ma strettamente connesse e sovrapposte. Eppure, il rapporto fra i sessi coincideva esattamente con l'ideale dell'inferiorità femminile. Riguardo alla storia delle donne sono problematici i calcoli degli storici di oggi. Infatti, le indagini e i censimenti del mondo del lavoro del secolo scorso non prendono in considerazione numerose attività per mezzo delle quali le donne si procuravano denaro o generi alimentari – economia degli espedienti - l'affitto di posti letto e di camere, la sorveglianza di bambini, i lavori di cucito, alcune forme di lavoro a domicilio, la collaborazione all'attività del marito, la spigolatura dopo il raccolto, l’attività di lavandaia per altre famiglie, frequenti cambi del posto di lavoro. I calcoli attuali sullo sviluppo generale dei salari si basano solo sui salari maschili. Le categorie dei censimenti nazionali dei lavoratori si andavano trasformando, per questo il movimento delle donne tedesche nel 1901 reclamò che il lavoro domestico venisse accolto nel censimento come mestiere produttivo e che le casalinghe fossero censite nella categoria di sostenitori e non in quella delle persone a carico. I calcoli attuali sullo sviluppo generale dei salari si basano solo sui salari maschili ma un elemento fondamentale anzi, forse il più importante di quella rivoluzione era il ricorso alla manodopera a basso costo, cioè principalmente alle donne e ai bambini. Le donne e i bambini per la loro abilità manuale e per il volenteroso atteggiamento di cooperazione venivano considerati più adatti agli esperimenti tecnologici organizzativi. Se in una fabbrica lavoravano sia donne che uomini, la gerarchia delle attività e dei salari degli uomini e delle donne era rigorosamente divisa: tutti i salari delle donne erano inferiori a tutti i salari degli uomini. La maggior parte delle operaie svolgeva lavori per i quali non aveva alcuna qualificazione; tuttavia, che gli operai fossero qualificati o no, il fattore determinante per l'entità dei salari era sempre il sesso. Max Weber se ne era chiaramente reso conto e perciò scrisse che gli uomini ricevevano un sussidio del sesso. Tuttavia, l'industrializzazione significò per loro quantomeno un guadagno, dovuto al lavoro in fabbrica o a domicilio, sia in campagna che in città - molte donne passavano da un lavoro all'altro con grande mobilità, barcamenandosi fra l'attività retribuita e la famiglia. In tutte le fasi dell'industrializzazione le donne lavoratrici continuarono ad adattare la loro attività retribuita alle esigenze familiari e non viceversa. Continuavano a coesistere attività vecchie e nuove. Nelle miniere inglesi, tedesche, francesi e belghe le donne lavoravano sottoterra virgola di solito in pantaloni e a torso nudo - i romanzi Germinal di Emile Zola e i primi quadri di Van Gogh mettono sotto accusa le loro condizioni di lavoro. La presunta immoralità del lavoro in miniera portò a proibire alle donne questa attività, nel frattempo era diventata esclusivamente maschile; la moglie si occupava della casa e se possibile di un orto che permettesse di integrare il guadagno del marito. Nel primo Ottocento la figura della governante divenne un simbolo dell’attività indipendente. Per le donne del ceto medio questo mestiere, perlopiù malpagato, era quasi l'unica alternativa al cucito. Le governanti si spostavano anche da un paese all'altro. Il mestiere femminile più frequente fu dovunque il servizio domestico: un mestiere esclusivamente femminile e per giovani donne che si spostavano dalla campagna alla città e che spesso costituiva un'attività di transizione verso il lavoro in fabbrica con orari e salari prestabiliti. Da secoli le donne in Europa occidentale si sposavano in media dopo i 25 anni di età e molte rimanevano nubili: ci si sposava solamente se si era in grado di fondare una famiglia su basi abbastanza solide ma dal tardo 700 in Inghilterra si abbassarono tanto l'età matrimoniale delle donne quanto il numero delle nubili e di conseguenza aumento il numero delle nascite. Al di fuori dell’Inghilterra l'età matrimoniale rimase relativamente alta e l'esplosione demografica fu dovuta soprattutto alla diminuzione della mortalità infantile. Sicuramente ci si sposava anche per amore, ma soprattutto nella speranza di potersela cavare meglio in due e quindi di avere un futuro più sopportabile. Nella seconda fase dell'industrializzazione la coppia lavorativa cambiò fisionomia; nell'economia politica subentrò il concetto del reddito familiare. Non si trattava più di quel guadagno della famiglia a cui tutti avevano contribuito, ma si trattava invece di una versione nuova: il guadagno del padre, l'unico in famiglia a svolgere un lavoro remunerato, doveva non solo essere più alto di quello delle donne, ma doveva riforma del diritto civile erano stati ovunque i punti di partenza delle associazioni. La priorità assegnata all'istruzione, al lavoro remunerato e alla riforma del diritto matrimoniale, insieme all'impegno per combattere la povertà femminile, chiarisce le caratteristiche fondamentali del movimento classico delle donne. -1) Lo scopo era l'indipendenza e la sicurezza in senso economico, intellettuale e morale. -2) Tale indipendenza venne concepita come una premessa alla partecipazione politica, in conformità con il pensiero politico dell'Ottocento che connetteva il diritto di voto all'indipendenza. -3) Anche laddove sembrassero necessarie riforme legislative, la priorità spettava non alle questioni giuridiche, bensì alla dimensione morale. Il movimento delle donne non metteva in dubbio il matrimonio e la famiglia, ma la subordinazione, la limitazione e il dovere di obbedienza della donna nel matrimonio. Questa visione di indipendenza femminile non solo al di fuori del matrimonio, ma anche e proprio all'interno di esso, significava una rottura con antichissime tradizioni e, pertanto, era assai più radicale e comunque assai più importante per la vita quotidiana delle donne di ogni ceto. Tuttavia, un numero notevole di donne preferì tanto al matrimonio che al libero amore l'opzione del vivere da sola, spesso con dei parenti o presso un'altra famiglia o insieme a figli adottivi, oppure quella di unirsi a un'altra donna. Pertanto, la critica femminista al matrimonio era marcata. Il movimento femminista classico si ribellava all'idea che le donne fossero unicamente creature sessuali e ribatteva che entrambi i sessi erano costituiti da esseri umani. Non negava a priori la differenza fra i sessi, bensì la definizione di tale differenza, la gerarchia dei sessi e pertanto il nucleo del discorso misogino, vale a dire l’inferiorità femminile e la superiorità maschile. Per il movimento, le donne erano dotate di ragione non meno degli uomini. Esso reclamava pertanto la dignità e la libertà delle donne indipendentemente dal fatto che esse fossero uguali o diverse. Non era avversario della gravidanza e della maternità, bensì della subordinazione delle madri nei confronti dei padri. Rifiutava le fatiche domestiche e lo spreco di energie, ma non rifiutava una divisione del lavoro fra i sessi; tuttavia, date le pessime condizioni di lavoro nella maggior parte dei mestieri a quell'epoca, non poteva consigliare il moderno carico doppio del lavoro in casa e fuori come soluzione valida sulla strada della liberazione delle donne. Solo pochissime femministe proposero di dividere con i mariti i lavori domestici e l'educazione dei figli o di delegare ai mariti questi compiti. Le femministe affrontavano la questione sessuale: lo scopo era di riuscire a eliminare la doppia moralità, cioè i diversi criteri morali applicati ai due sessi, e a raggiungere l'uguaglianza morale, il che comportava una riforma morale degli uomini. La maggioranza delle femministe condannava l'aborto, considerandolo più una specie di salvacondotto per uomini irresponsabili che una soluzione ai problemi delle donne. Però dalla fine del secolo, aumentarono le voci femministe a favore dei contraccettivi. Per le femministe la complementarità significava uguali diritti e uguale valore. 5. Fra estremi Per le donne europee, come per gli uomini, il ventesimo secolo è stato un secolo di estremi, teso fra i dorati anni 20 e i micidiali anni 40, tra democrazia e dittatura, fra pace e guerra. Importanti linee di sviluppo della storia delle donne, nel campo dei diritti civili, politici e sociali, furono interrotte dalle due guerre mondiali, la cui tremenda violenza si scatenò soprattutto in Europa, e l'olocausto che resero oscuro l'intero secolo. I problemi del disprezzo per la vita, della colpa, della responsabilità, del consenso e della collaborazione, della complicità e della resistenza riguardano entrambi i sessi. Le guerre provocarono la morte di 60 milioni di esseri umani, soprattutto soldati, ma anche uomini e donne fra la popolazione civile di tutti i paesi coinvolti nelle guerre e milioni di profughi. Durante i due conflitti, milioni di uomini e di donne furono costretti al lavoro forzato, soprattutto per la Germania, e molti non sopravvissero. Sei milioni di ebrei di tutta l'Europa rimasero vittime dell'Olocausto e vennero uccisi anche numerosi slavi e appartenente al popolo nomade dei Rom. Anche se la storia delle donne aveva presentato sempre caratteristiche diverse, nel 900 le differenze furono quelle più estreme tra la vita e la morte, fra valore e inferiorità, a seconda della loro appartenenza alla comunità di una “razza” o a un gruppo etnico, della loro provenienza e discendenza. Le cittadine e la Donna Nuova Nella Prima guerra mondiale vennero richiamati alle armi 27 milioni di uomini in Gran Bretagna, Francia e Germania. Tanto più importante diventò quindi il lavoro delle donne. Molte donne che in precedenza erano state attive nei classici abiti femminili (personale domestico e agricoltura) passarono ora, per la prima volta, al lavoro industriale, soprattutto nel settore dell'armamento, in Francia vennero chiamate munitionettes. Dove prevaleva il lavoro industriale a domicilio, come in Germania, esso venne trasformato in produzione per l'industria bellica. A spingere le donne ai nuovi posti di lavoro furono a volte i buoni salari delle fabbriche, a volte il bisogno, altre volte i reclutamenti e le campagne di propaganda, appoggiati anche dalle organizzazioni femministe. Molte donne lavoravano per la loro indipendenza, ma molte di più nell'interesse delle loro famiglie. Aumentò enormemente il numero delle infermiere, molte delle quali consideravano la loro attività come equivalente a quella dei soldati, per esempio Hertha Nathorff, che divenne medico e poi, essendo ebrea, dovette lasciare la Germania. Molte non lavoravano sul fronte interno, ma su quello di battaglia; una di queste scrisse: “ci si sente libere dalle angustie di casa e si possono misurare le proprie forze con un compito più grande”. Tutte erano sconvolte dal mostruoso livello della sofferenza e lavoravano durissimamente, notte e giorno. A volte queste donne ricevevano un’onorificenza militare o venivano sepolti in cimiteri di guerra fra i soldati. Alla fine della guerra in tutti gli Stati furono licenziate le infermiere e le donne attive in altri settori di importanza bellica; anche in altri rami dell'economia un certo numero dovette lasciare il suo posto ai reduci. Le organizzazioni femminili protestarono contro i licenziamenti, ma da parte delle donne non si verificarono vere proteste di massa: sapevano che le loro nuove opportunità erano state determinate dalla guerra e, inoltre, erano troppo contente di rivedere gli uomini della loro famiglia, sempre che fossero sopravvissuti. Dopo la guerra la tendenza dominante era di ritirarsi nella sfera privata. Dopo la guerra si formò un'ampia rete internazionale di femministe. Le donne erano attive presso l'Organizzazione internazionale del lavoro, presso la Società delle nazioni e più tardi presso le Nazioni Unite. I loro scopi erano la pace, il disarmo e la parità dei sessi. A livello nazionale, nel frattempo, le donne erano entrate nei parlamenti. Gli ultimi avversari del suffragismo avevano messo in guardia dal pericolo che, in considerazione dei molti uomini caduti, le donne potessero avere la maggioranza. Nel 1919 la Rathbone era succeduta a Millicent Fawcett alla presidenza della vecchia Unione Nazionale, che fu ribattezzata National Union of Societies for Equal Citizenship. Alla democratizzazione del diritto elettorale non corrispose una democratizzazione dei partiti e pertanto le donne per lo più rimasero escluse dal diritto passivo di voto. Non è chiaro se le lettrici neofite abbiano dato il loro voto preferibilmente alle candidate del loro sesso ma è probabile che dessero la priorità ai loro partiti - lo scopo del suffragismo era stato quello di rappresentare il benessere delle donne e di conseguenza anche il bene della comunità, ma il movimento delle donne adesso si suddivise allargandosi in numerosi gruppi di interesse. Lo scopo del suffragismo era stato quello di rappresentare il benessere delle donne e di conseguenza anche il bene della comunità. Il motivo principale dello scarso numero di deputate era che esse non venivano completamente accettate come rappresentanti del popolo, vale a dire anche degli uomini. Per giungere a questa forma di accettazione sarebbe stata necessaria una rivoluzione culturale. Doveva trascorrere ancora più di mezzo secolo per la realizzazione del diritto passivo di voto. Già negli anni 20 le deputate svolsero un ruolo importante nei rispettivi Parlamenti. Solo di rado riuscirono ad accedere ad ambiti maschili come quello della politica estera; in Germania, nel 1928, Gertrude Baumer fu la prima donna a tenere un discorso di politica estera, che verteva sul Tribunale internazionale dell'Aja. In parte le deputate vennero espressamente tenute lontane da questi ambiti, in parte furono loro stesse a scegliere altre priorità. Si dedicarono alla politica sociale e ai suoi aspetti concernenti le donne. Negli anni 20 venne criticata la concentrazione di deputate in questi campi femminili. Gertrud Baumer obiettò che perlomeno ora le leggi venivano promulgate anche per influsso delle donne. A caratterizzare gli anni ruggenti dal punto di vista culturale non furono tanto le nuove cittadine quanto la Donna Nuova. La Donna Nuova lavorava o studiava; laureate, nubili, ballerine, attrici, cicliste e sportive dimostrarono le nuove possibilità con il loro modo di vivere e con la loro presenza pubblica. La comparsa delle nuove donne fu accompagnata da un'ondata di misoginia e dalla crisi maschile della coscienza del proprio valore, che ebbe conseguenze anche politiche. L'immagine della donna nuova era quella di una generazione che, con capelli corti e gonne al ginocchio, conquistò le strade, i caffè, i locali da ballo delle grandi città e divenne un simbolo degli anni 20. Questo simbolo, diffuso dalle riviste illustrate, dalla letteratura di svago e dal cinema, era sorretto dalla realtà di giovani donne il cui nuovo stile di vita le differenziava dalle loro madri e nonne, borghesi o proletarie che fossero. Queste impiegate, studentesse e giornaliste assunsero un atteggiamento di riserva nei confronti del matrimonio e della famiglia e svilupparono nuovi criteri di giudizio nei confronti del comportamento sessuale, dei rapporti di coppia, della vita privata e di lavoro. La sessualità non era più un tabù, ma un fenomeno pubblico. L'attrice Marlene Dietrich divenne il simbolo della fantastica carriera di una donna di modeste origini. Molte artiste e altre donne dallo stile di vita eccentrico, provenienti dalla provincia, trovarono a Parigi la loro seconda patria. La nuova moda pratica e i nuovi ruoli non incontrarono il favore dei più anziani. Il movimento femminista deplorò la presunta decadenza morale della nuova generazione e il fatto che le donne più giovani non si impegnassero più per le tradizionali mete del femminismo. Economisti ed esperti di strategie pubblicitarie riconobbero il ruolo centrale della donna come consumatrice di abbigliamento e di cosmetici, di cinema e di cultura. Maternità e paternità nello Stato sociale La guerra aveva portato con sé un’altra importante innovazione. Tutti gli Stati coinvolti, ad eccezione degli USA, avevano introdotto sussidi di separazione cioè contributi statali che venivano versati direttamente alla moglie, alla vedova o alle altre parenti dei soldati assenti, per loro e per i loro figli. In alcuni paesi l'entità di questo sussidio dipendeva dal numero dei figli e in altri dal reddito della donna. Perlopiù veniva concesso non solo alle mogli, ma anche alle donne che avevano convissuto con i soldati senza essere legalmente coniugate. Il sussidio si basava sull'ipotesi che le donne dipendessero dal reddito del capofamiglia maschile e veniva versato sia nell'interesse dei combattenti che del benessere in patria. Tuttavia, molte delle beneficiate non si consideravano dipendenti e interpretavano il sussidio come un compenso per il loro lavoro domestico. Le donne continuarono a sfruttare il loro voto di cittadine per migliorare la situazione delle madri; dopo la conquista del suffragio, questa politica acquistò un'importanza di primo piano e divenne lo scopo unificante è comune a tutte le classi. La maternità era di nuovo considerata come un fatto individuale e familiare e non come un compito sociale ma grazie i Children bureau nel 1935 furono di nuovo concessi sussidi federali nel contesto del Social Security Act come assistenza a bambini dipendenti. Questo sussidio veniva assegnato soprattutto a madri di colore e a madri nubili, le cosiddette welfare mothers - Negli Stati Uniti il termine welfare divenne un marchio di povertà. Nella Repubblica di Weimar la Costituzione garantiva l'uguaglianza delle donne e la protezione delle madri; le deputate di tutti i partiti collaborarono con un certo successo per mantenere e aumentare il sussidio di maternità e quello di allattamento per le donne assicurate e per le mogli di uomini assicurati. Le cose andarono diversamente in Francia dove il pro-natalità era più forte rispetto ad altre nazioni europee. L'appello per un aumento della natalità e la preoccupazione per i bambini già nati si fecero ancora più forti nei decenni fra le due guerre, dato che la natalità era di nuovo calata e nel 1938 giunse al livello minimo europeo. Nel 1920 fu istituita la Festa della Mamma e fu introdotta un'onorificenza per le madri di 5 o più figli. Nello stesso anno venne anche proibita qualsiasi forma di propaganda antinatalista e nel 1923 una legge mitigò la pena per l'aborto procurato, ma al contempo fece in modo che il suo divieto venisse osservato più rigidamente. Anche le associazioni femminili francesi aderirono al comune atteggiamento pro-natalista e negli anni 30 continuarono a discutere sulla maternità come funzione sociale o familiare. Inoltre, le francesi si pronunciarono a favore di sussidi familiari universali e finanziati dallo Stato, le allocations. Durante il regime Maternità e l'Infanzia (OMNI), finanziata da offerte e da sussidi statali; le donne si sforzavano di assistere e di educare le madri sole e povere. Dopo la promulgazione delle leggi razziali del 1938, furono proibiti, a causa dell'alta quota di ebrei fra i loro membri, anche il Consiglio nazionale delle donne italiane e la venerabile Unione femminile. In entrambi i paesi ciò segnò l'inizio della fine; tuttavia, l'assassinio delle ebree e degli ebrei italiani sostanzialmente non fu opera del fascismo, ma del nazismo. Come nella Russia Sovietica, anche nelle altre dittature, le donne non venivano organizzate solo separatamente, ma anche insieme agli uomini: le insegnanti e le dottoresse in medicina, che prima avevano aderito alle loro rispettive associazioni, vennero riunite insieme ai loro colleghi maschi in organizzazioni guidate da uomini. Le giovani italiane furono sottratte ai fasci femminili e integrate alle organizzazioni dei maschi. In Portogallo, come in Spagna, in Italia e sotto il regime di Vichy, si verificò un'altra forma di mobilitazione di massa, e cioè nel contesto del cattolicesimo. Mentre nella Russia sovietica la Chiesa ortodossa era stata tagliata fuori, e il nazismo in Germania aveva proibito in parte le associazioni femminili cattoliche, nell'Europa meridionale la Chiesa e la religiosità erano un punto di partenza di organizzazioni femminili che si orientavano al cattolicesimo sociale e poterono salvaguardare anche una certa autonomia nei confronti della dittatura. In Italia, le cattoliche organizzate esercitarono un grande influsso sulla cultura politica del paese, istituendo reti di assistenza nel vicinato, gruppi di donne di diverse classi sociali, scuole, orfanotrofi e associazioni per bambine di tutte le età. Si adeguarono ai tempi moderni e sfruttarono la radio, il cinema e la stampa. Non erano oppositrici politiche, ma negli anni Trenta furono in aperta concorrenza con la crescente aspirazione dei fascisti a dominare la gioventù italiana e a volte subirono anche aggressioni da parte di bande fasciste. Le elezioni ebbero solo un'importanza modesta per l'affermarsi delle dittature e ancora di meno ne ebbero le scelte elettorali delle donne. Riprendendo ancora una volta l'ipotesi di Hippel: è certo che il nazismo non sarebbe stato evitato, anche se le donne tedesche nel 1918 non avessero ottenuto il suffragio. Inoltre, le ultime elezioni libere furono più espressione di una protesta contro il governo e i partiti che il motivo determinante per il passaggio del potere Hitler. In Germania, una donna che non solo votò per i nazisti, ma lo dichiarò anche pubblicamente, fu Margarete Adam. Il motivo determinante per la sua scelta era il fatto che il nazismo combatteva il trattato di Versailles, la generale corruzione e il bolscevismo. Da questo punto di vista, la Adam era tutt'altro che originale, dato che di solito era proprio per questi motivi che le elettrici e gli elettori votavano per Hitler. I nazisti di Amburgo entrarono in polemica con la Adam perché il suo voto non era stato sincero. Successivamente le fu tolto l'incarico di insegnamento ad Amburgo, allora la Adam decise di passare all'opposizione. Fu accusata di alto tradimento, giudicata colpevole e condannata a 8 anni di penitenziario. Le altre recluse ammiravano la sua forza morale, la sua compassione per gli altri e il suo senso di responsabilità. Nel 1946 morì per i postumi della sua prigionia. Nazionalsocialismo e politica razziale Fin dall'inizio il nazismo fece della questione razziale il nucleo centrale della sua politica. La politica razziale nazista era complessa, ma coerente. La discriminazione e la persecuzione di minoranze “inferiori” doveva servire a risolvere i problemi della maggioranza. Una parte della popolazione venne classificata, in base a criteri etnici (razziali) o eugenetici (igiene della razza), come “biologicamente inferiore”. La discriminazione, la persecuzione e infine l'assassinio degli ebrei, dei nomadi (Rom) e di molti slavi, la sterilizzazione di persone “affette da tare ereditarie”, i divieti di spostarsi e l'uccisione di molti malati dovevano condurre a una “rigenerazione del popolo tedesco”. Entro il 1939 vennero sottoposte a sterilizzazione forzata circa 150mila donne, centinaia delle quali erano nomadi o donne di colore; dal 1939 in poi vennero uccise come “malate” circa 100.000 donne ebree e non ebree. Durante la guerra, più di 2 milioni di donne straniere furono costrette ai lavori forzati in Germania e centinaia di migliaia di esse vennero sterilizzate oppure obbligate ad abortire. Dal 1933 150mila ebree furono costrette a lasciare la Germania e dal 1941 furono uccise 100mila ebree tedesche e 3 milioni di ebree non tedesche. La glorificazione della razza “nordica” o “bianca” era un fenomeno internazionale. L'antisemitismo era diffuso anche altrove, seppur in diversa misura. Nel 1938 Mussolini promulgò leggi razziali antisemite ispirate al modello tedesco senza trovare negli italiani l'appoggio necessario a metterle in pratica. Nella maggior parte dei paesi conquistati dalla Germania, singole persone o istituzioni collaborarono con gli invasori tedeschi alla persecuzione degli ebrei. L'eugenetica (il cui principale strumento era la sterilizzazione di persone “inferiori” nell'interesse del “popolo” o della “razza”) era un movimento internazionale. Le dittature dell'Europa meridionale rifiutavano, invece, l'eugenetica e la politica della sterilizzazione; il cattolicesimo si era pronunciato contro di essa e Mussolini considerava come garanti della qualità della “razza” i figli di tutti gli italiani e non solo di una parte di essi. La Gran Bretagna e l'Olanda rifiutarono di varare leggi sulla sterilizzazione, in quanto ai diritti individuali veniva data la priorità rispetto al controllo statale delle nascite. Eppure, nonostante l'internazionalità del razzismo e la diffusione internazionale dell'ambiguo termine “razza”, il nazismo fu un caso unico. Infatti, fu l'unico a fare della “razza” una categoria politica. Solo nel nazismo vennero messe in pratica coerentemente le leggi sulla sterilizzazione, solo qui l'eugenetica divenne il primo passo verso gli omicidi di massa e il genocidio. Il nazismo cercò di affermare la sua politica razziale nell'intera società; secondo la politica razziale, i tedeschi dovevano “imparare a pensare in termini di razza”. La politica razziale annullò il tradizionale rapporto fra politico e privato, con gravi conseguenze per i due sessi e per le loro relazioni. La sfera privata doveva valere solo in funzione di quella politica, ma quest'ultima era definita da “popolo e razza” e, quindi, nel nazismo il principio secondo cui “il bene comune viene prima del bene individuale” aveva un significato diverso da quello tradizionale. Ancora più drammatico fu l’intervento nella sfera privata degli ebrei, che incluse la famiglia, la professione, le amicizie, la comunità e i rapporti di vicinato. Comune a tutte le dittature era la tendenza a una “emancipazione dall' emancipazione delle donne”, ma la dittatura tedesca si differenziò dalle altre perché perseguì anche “un'emancipazione dall' emancipazione degli ebrei”, revocando il loro diritti e impedendone l'ascesa sociale. Nei confronti delle donne la politica nazista non fu omogenea e coerente. L’elogio della maternità non si riferiva a tutte le donne, ma solo a quelle “tedesche e geneticamente sane”. La maternità era degna di essere incoraggiata solo nel gruppo delle donne “di maggior valore”. Dal 1933 il ministero degli Interni preparava provvedimenti contro i “matrimoni dannosi per il popolo”, il cui divieto avrebbe dovuto evitare nascite indesiderate. La legge “per la protezione del sangue” proibiva fra ebrei e “tedeschi di sangue” i matrimoni, ma anche i rapporti sessuali extraconiugali, che venivano considerati un “disonorare la razza”; gli autori di questa legge la concepivano come un’alternativa mite alla sterilizzazione. Le persone “inferiori” dal punto di vista etnico ed eugenetico vennero escluse da tutte le prestazioni e i sussidi statali destinati alle coppie e alla famiglia. Sebbene all'epoca della grande crisi molti nazisti e non nazisti, in Germania e altrove, avessero desiderato l'esclusione delle donne dal lavoro retribuito, tuttavia non si verificarono licenziamenti in massa di donne. Il loro contributo all'economia era troppo importante e per molte famiglie il loro guadagno era indispensabile. La maggioranza delle donne non considerava il proprio lavoro come emancipazione; un'inchiesta condotta nel 1936 rivelò che le donne soffrivano per il superlavoro: “Non abbiamo tempo libero, soprattutto se abbiamo dei figli. A volte la mole del lavoro è talmente pesante che vorrei farla finita”. Invece a livello di professioni altamente qualificate si verificò una cesura, che fu motivata più dalla politica razziale che da una politica contraria alle donne. La legge colpì le insegnanti e gli insegnanti ebrei, che furono licenziati. Il licenziamento fu definitivo nel caso degli ebrei. Per le donne medico la situazione era la stessa. L'esclusione delle ebree e degli ebrei fu definitiva; essi vennero tagliati fuori a poco a poco, fino a quando nel 1938 vennero privati dell'abilitazione a esercitare e furono cancellati dall'albo. L'unica professione da cui vennero escluse sistematicamente anche le non ebree era l'amministrazione della giustizia. Dal 1937 i nazisti fecero propaganda per lo studio universitario delle donne e il numero e la percentuale delle studentesse aumentarono. L'unico gruppo di studentesse che per gli interventi del regime diminuì e poi scomparve del tutto fu quello delle ebree, che furono escluse a causa della politica razziale. La loro esclusione si basava sulla legge contro l'affollamento delle scuole e delle università tedesche. La politica razziale fu concepita e in gran parte realizzata da uomini, ma anche molte donne vi presero parte. Alcune donne laureate elaborarono per i loro superiori le basi teoriche, etniche e generiche per la persecuzione degli “indesiderati”. La Lega delle dottoresse tedesche fu una delle prime organizzazioni femminili che espulse le sue iscritte ebree. Non vennero espulse solo le dottoresse ebree, ma anche tutte quelle (molto poche) che si erano rifiutate di approvare per iscritto la loro espulsione. I medici donne che avevano occupato le posizioni delle loro colleghe ebree non lottarono mai per loro. Anche le principali esponenti delle organizzazioni editare femminili e le scrittrici della stampa femminile influenzarono la politica razziale, propagandando fra le donne il divieto di sposare ebrei, zingari e altri uomini con “caratteri genetici inferiori”. Altrettanto radicale fu la trasformazione nella vita quotidiana degli ebrei. Marta Appel, moglie del rabbino di Dortmund, racconta che gli amici non ebrei e i vicini in un primo tempo esprimevano la loro solidarietà e la speranza che quel periodo orribile non durasse a lungo. Però dopo qualche mese di regime del terrore, la fedeltà e l'amicizia persero il loro significato e si diffusero la paura e il tradimento. Per esprimere la loro amicizia, gli ebrei dovevano ormai passare accanto agli amici non ebrei senza salutarli, per evitare che finissero in galera perché lì si riteneva amici di ebrei: “Gli amici all'improvviso si accorsero che noi eravamo diversi da loro”. La signora Appel smise di prender parte agli incontri di un gruppo di vecchie amiche, per non metterle in pericolo. Nelle scuole i bambini ebrei venivano tagliati fuori e alcuni di loro appresero solo per questo di essere di origine ebraica. La “dottrina della razza” venne introdotta come materia di insegnamento a ogni livello scolastico. Sulle coppie unite in “matrimoni misti” venivano esercitate pressioni perché divorziassero e le leggi sul divorzio erano a svantaggio del coniuge ebreo. Le ebree venivano descritte come prostitute e gli ebrei come ruffiani o come violentatori di donne tedesche; varie categorie di “inferiori” venivano considerate “sessualmente sfrenate”. Le donne “ariane” amanti vere o presunte di un uomo ebreo venivano rapate e trascinate per le strade della città. Nella maggior parte di questi casi si arrivò al processo a causa di denunce private. Le denunce furono centinaia di migliaia: il regime non era basato solo sul terrore e sulle imposizioni, ma anche sul consenso e sulla complicità. Gli ebrei furono obbligati a chiudere il loro negozi e a licenziare i loro dipendenti non ebrei, furono esclusi dall'esercizio delle libere professioni e privati dei diritti civili e politici. Quindi caddero in miseria. Oltre al lavoro mal pagato, si facevano sempre più pesanti anche le preoccupazioni per i figli e il lavoro per la propria famiglia, in particolare per riuscire a provvedere ai figli. La volontà di emigrare delle donne, che volevano così salvare i figli, era indebolita da un altro problema familiare: la preoccupazione per i parenti anziani che non erano più in grado di decidersi ad andarsene. Le donne ebbero una grande importanza per l'integrazione culturale in esilio e perlopiù erano maggiormente in grado degli uomini di adattarsi alle nuove condizioni di vita. Dopo il pogrom del novembre 1938, la preoccupazione si trasformò in disperazione. Le prime vittime di violenza fisica furono uomini: 30.000 furono maltrattati e deportati in campi di concentramento. I suicidi degli ebrei erano aumentati dal 1933, parallelamente ai provvedimenti antisemiti. Dal gennaio 1939 le donne ebree si dovettero chiamare tutte “Sara” e gli uomini ebrei tutti “Israel”. Nel 1942 un decreto ordinò di sospendere la sterilizzazione degli ebrei: al provvedimento per evitare la loro discendenza era subentrato l'eccidio. Guerra e genocidio in Europa Con la Seconda guerra mondiale ricominciarono a lavorare nell'industria bellica le donne. Di nuovo, come 30 anni prima, la presenza delle donne nella vita pubblica divenne più vistosa, molte donne intrapresero anche attività non remunerate, ma divenute particolarmente importanti a causa della guerra. In Gran Bretagna e in Germania si cercò inizialmente di convincere le donne a lavorare per la guerra per messo della propaganda, ma non fu sufficiente e si dovette fare ricorso ad altri mezzi. Fu introdotto e a poco a poco reso più rigido, l’obbligo di presentarsi. In Francia, con il regime di Vichy fu introdotto l’obbligo di lavoro nel 1942 e fu inasprito varie volte. Ovunque la discussione riguardava l'importanza del lavoro domestico delle donne, che durante la guerra era ancora più pesante del solito, e della sua compatibilità con un’attività remunerata, ma non volontaria. In Germania soprattutto le SS istruirono le donne per impieghi altamente qualificati: queste donne venivano addestrate all’ideologia della razza e istruite come radiotelegrafiste, autiste ecc. Solo in Germania il lavoro delle donne durante la guerra era caratterizzato dalla politica razziale, quasi 2 milioni e mezzo di donne straniere furono costrette a lavorare in Germania in condizioni di schiavitù. Nei paesi occupati, i tedeschi reclutarono le donne soprattutto per mezzo della propaganda – tanto più una razza era considerata inferiore, tante più donne ne venivano reclutate. Praticamente in tutti i paesi implicati nella guerra lo Stato concesse alle mogli dei soldati chiamati alle armi un conguaglio per la perdita del reddito del marito. I sussidi erano indispensabili alla sopravvivenza delle mogli e dei figli. La generosità del regime nazista aveva un motivo politico: si cercava di evitare che si ripetesse l'esperienza fatta durante la Prima guerra mondiale, quando le donne, combattute fra il lavoro in casa e fuori e senza un reddito sufficiente, misero in dubbio il governo e la guerra. In effetti durante la Seconda guerra mondiale quella esperienza non si ripeté. Tutte le persone “inferiori” rimasero escluse da questi generosi sussidi e anche dalla legge sulla protezione della maternità. Nel 1943, quando i tedeschi intendevano reclutare nella Francia di Vichy altri uomini e donne nubili, si arrivò all'aperta protesta. Invece nei confronti dei lavoratori provenienti dall'Europa dell'Est fu praticata una vera e propria coercizione. Le operaie dell'Est sovietico erano più di un milione. I polacchi, donne e uomini, venivano fatti lavorare nel settore agricolo, in sostituzione degli uomini tedeschi, mentre le donne dell'Unione Sovietica venivano assegnate ai reparti più pesanti e pericolosi dell'industria degli armamenti, dove dovevano alleggerire i compiti degli operai tedeschi rimasti, che in tal modo potevano avanzare a funzioni di caporeparto o di operaio specializzato. Spesso alle polacche o alle operaie dell'Est in stato di gravidanza venivano assegnati i lavori particolarmente pesanti espressamente allo scopo di farli abortire. Diritti civili, politici e sociali: una nuova disputa dei sessi “All human beings are born free and equal in dignity and rights”. Nazioni Unite, 1948 GLI ORRORI DELLA PRIMA METÀ DEL XX SECOLO HANNO GETTATO LA LORO OMBRA SULLA SECONDA. LA MAGGIORANZA DEI COLPEVOLI TACEVA, SI GIUSTIFICAVA O MENTIVA. L'OLOCAUSTO E LA COLLABORAZIONE AL DI FUORI DELLA GERMANIA SONO PENETRATI NELLA COSCIENZA E NELLA CONOSCENZA PUBBLICA IN TUTTA LA LORO PORTATA SOLO UNA GENERAZIONE PIÙ TARDI. PERCHÉ LE DONNE CHE DURANTE LA GUERRA E NEL DURO DOPOGUERRA AVEVANO POTUTO CONTARE SOLO SULLE PROPRIE FORZE HANNO POI PERMESSO CHE GLI RESPINGESSE DI NUOVO NELLA SFERA PRIVATA? PERCHÉ ERA PROPRIO L'AUTONOMIA CIVILE DI QUESTA SFERA ESSERE STATA DISTRUTTA, O QUANTOMENO MESSA IN DUBBIO, DALLA DITTATURA, DALLA GUERRA E DALL'OLOCAUSTO. NEL SECONDO DOPOGUERRA IN NESSUNA PARTE DEL MONDO SI È VERIFICATA UNA RINASCITA ESPLOSIVA PARAGONABILE A QUELLA DEGLI ANNI RUGGENTI DOPO LA PRIMA GUERRA MONDIALE, NON C'È DA MERAVIGLIARSI CHE ESSA SI SIA VERIFICATA SOLO QUANDO I RICORDI E LE CONSEGUENZE PIÙ IMMEDIATE DELLA GUERRA ERANO GIÀ STATI SUPERATI ED ERANO SUBENTRATI IL MIRACOLO ECONOMICO E LA STABILIZZAZIONE DELLA DEMOCRAZIA. NEL 1945, GRAZIE ALLE PRESSIONI DELLE POCHE DELEGATE DI SESSO FEMMINILE, PERLOPIÙ AMERICANE, L'EQUIPARAZIONE DEI SESSI FU ACCOLTA NELLA CARTA DELLE NAZIONI UNITE, INSIEME ALLA CONDANNA DELLA DISCRIMINAZIONE PER MOTIVI “RAZZIALI”. NELLA DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI UMANI DEL 1948 VENNERO FISSATE ANCHE LA PARITÀ ALL'INTERNO DEL MATRIMONIO, LA PROTEZIONE DELLA FAMIGLIA E L'UGUAGLIANZA DELLA RETRIBUZIONE. IL PRIMO ARTICOLO VENNE FORMULATO EX NOVO PER CHIARIRE CHE NON SI INTENDEVA SOLO IL SESSO MASCHILE, BENSÌ IL GENERE UMANO: “TUTTI GLI ESSERI UMANI NASCONO LIBERI ED EGUALI IN DIGNITÀ E DIRITTI”. IN MOLTE LINGUE IL CONCETTO DEI “DIRITTI DELL'UOMO” FU SOSTITUITO DA QUELLO DEI “DIRITTI UMANI”. IN MOLTI PAESI RISORSERO LE VECCHIE ORGANIZZAZIONI FEMMINILI O NE VENNERO FONDATE DI NUOVE CHE SI RIALLACCIAVANO ALLA LORO TRADIZIONE, E CERCAVANO DI INFLUENZARE GLI EVENTI POLITICI E SOCIALI DEL DOPOGUERRA. Libertà e uguaglianza Il nuovo movimento delle donne comparve alla fine degli anni 60, entro il 1975 divenne un movimento di massa e fu caratterizzato dalla comunicazione a livello internazionale. A Berlino sorsero le prime botteghe per bambini; si trattava di asili organizzati autonomamente, prendendo in affitto dei locali, da gruppi di madri che si alternavano nella sorveglianza dei figli in età prescolare; sorsero dovunque Centri femminili che diedero origine alle “Case delle donne” le quali accoglievano donne maltrattate e, tramite linee telefoniche, provvedevano all'assistenza di donne vittime di violenze sessuali. A Roma, Torino e Milano le donne organizzarono dimostrazioni notturne per protestare contro il fatto di non poter uscire di notte da sole senza correre pericoli da parte degli uomini; il loro motto “riprendiamoci la notte” divenne uno slogan internazionale. Di stampo americano erano soprattutto tre innovazioni diffuse in tutta Europa: le donne fondarono gruppi di autocoscienza in cui analizzavano la loro situazione personale e le sue cause generalizzabili - nacquero gruppi self help e consultori autogestiti. Le donne lesbiche fecero sentire le loro voci e aderirono al movimento femminista abbandonando i gruppi omosessuali misti. In Italia e in Gran Bretagna, dal 1972, fu iniziata una campagna per la retribuzione statale del lavoro domestico, che si diffuse anche in Germania, negli USA e in Canada. Essa si basava sull'argomento che tutte le attività retribuite dipendono dal lavoro non retribuito svolto dalle donne nella famiglia. La campagna chiedeva che gli assegni familiari, l'assicurazione per la vecchiaia e le norme in caso di divorzio tenessero conto del lavoro svolto dalle donne in casa e per l'educazione dei figli. Dal 1975 anche le prostitute si ribellarono alle repressioni della polizia, ai bordelli controllati dallo Stato e allo sfruttamento da parte dei protettori. Donne tedesche di colore, figlie di soldati americani o francesi stanziati in Germania dopo la guerra, si impegnarono come femministe nella lotta contro il razzismo. Uno dei vertici di tutte queste attività fu l'istituzione, a Bruxelles nel 1976, del Tribunale internazionale per i delitti compiuti contro le donne. Il problema dell'aborto accompagnò tutto il decennio degli anni 70. L'aborto era discusso in forma controversa anche fra le femministe, alla discussione sull'aborto parteciparono anche molti uomini. Nel 1974 un processo di massa svoltosi a Trento contro 263 donne incriminate nel procurato aborto mobilitò l'intero movimento italiano - nel 1978 una legge sancì la depenalizzazione dell'aborto con una serie di limitazioni che escludono ad esempio il ricorso all'aborto come forma di controllo delle nascite. Per alcune femministe l'aborto divenne un simbolo di libertà femminile, mentre altre lo consideravano solo una soluzione di emergenza e lo rifiutavano come mezzo per il controllo delle nascite e invece raccomandavano i contraccettivi. Dalla fine degli anni 60, la pillola anticoncezionale finì con l'affermarsi, nonostante alcune critiche. L'aborto o addirittura la sua esaltazione vennero spesso identificati con il femminismo, in realtà per quest'ultimo si trattava di una cosa diversa: della libertà di scelta. Il movimento femminista dei tardi anni 60 e 70 era consapevolmente eccentrico e formulava le sue doléance in prosa e in poesia, in immagini e in parole fantasiose, simboliche e utopistiche e spesso con ironia e sarcasmo. Le femministe reclamavano l'autonomia, prendevano le distanze dalla “rivoluzione sessuale”, in quanto privilegiava la libertà maschile ed eterosessuale. La parola d'ordine non era uguaglianza, ma libertà: ovunque si parlava di “liberazione delle donne”. La protesta delle donne afroamericane degli USA contro il predominio delle bianche condusse ovunque a una crescente consapevolezza delle differenze nazionali, etniche e religiose nella situazione e nelle esigenze del sesso femminile. Tuttavia, la varietà e i conflitti non costituiscono solo un ostacolo, ma anche una ricchezza, e crescono solo sul terreno della libertà: era stato aperto un nuovo dibattito sui sessi. Alcune delle sue protagoniste provenivano dal movimento studentesco: per loro lo studio e la rivolta contro le tradizionali strutture universitarie avevano avuto un altro significato che per gli studenti maschi, in quanto la loro era la prima generazione di donne a costituire una quota tanto alta, e in continuo aumento, fra tutti gli studenti. Per molte donne l'uguaglianza implicava una liberazione dalla maternità. In molti paesi il femminismo si atteggiava come decisamente antinatalistico. Nel 1974 Betty Friedan cominciò a temere che l’ottimistico movimento potesse finire in un vicolo cieco e inimicarsi la maggioranza delle donne, in considerazione di slogan come: “basta con gli uomini, con la gravidanza e con la maternità”, e si rivolse per consiglio a un'altra autorità, Simone de Beauvoir. Le femministe non volevano essere “uguali agli uomini”. Il compito principale era la solidarietà delle donne di tutte le classi. Purtroppo, però, le casalinghe non erano affatto d'accordo con la critica femminista al lavoro domestico come “sfruttamento delle donne da parte degli uomini”, in quanto il lavoro domestico era la loro ragion d'essere. La Friedan, riferendosi a riflessioni americane su questo punto, chiese se la soluzione migliore non fosse allora quella di riconoscere il valore del lavoro domestico, compensandolo con un salario minimo e tenendone conto nel calcolare le pensioni e in caso di divorzio. Beauvoir rifiutò nettamente questa idea: il lavoro domestico andava eliminato o diviso con gli uomini, ma non poteva ottenere alcun riconoscimento materiale perché ciò avrebbe finito col legare la donna alla casa. Secondo la Beauvoir occorreva “costringere le donne ad avviarsi in una determinata direzione”. La Friedan continuò a insistere sulla tradizione americana della libertà individuale e del valore della maternità. Beauvoir rimase ferma sul modello cinese: “ogni individuo, la donna come l'uomo, deve lavorare fuori di casa”; secondo lei l’oppressione delle donne sarebbe continuata fino a quando non fosse stato “distrutto il mito della maternità e dell'istinto materno”. La Friedan rimase delusa: Simone de Beauvoir mostrava di non avere alcuna sensibilità per “le cose terrene con cui le donne reali devono fare i conti nella loro vita”. Ad affrontare questi problemi terreni fu invece la sociologa Helge Pross in un influente saggio sulle casalinghe senza un lavoro retribuito. I risultati della Pross precisarono le recenti proposte della Friedan e mostrarono i limiti del modello cinese di Simone de Beauvoir. Il lavoro domestico non veniva considerato lavoro, nonostante costituisse la base di ogni lavoro remunerato svolto nella società. La casalinga viveva ancora praticamente isolata dalla società e dalla politica. Le casalinghe oscillavano fra la soddisfazione e l'insoddisfazione derivanti dai loro doveri domestici. Mentre le lavoratrici degli strati sociali più bassi avrebbero preferito essere solo casalinghe, nel complesso invece si andava diffondendo l'interesse per il mestiere; il lavoro extradomestico delle donne era diventato ormai una tendenza: una precaria acrobazia fra la famiglia e il mestiere. Le pretese di indipendenza e di sicurezza sociale da parte delle donne erano aumentate, soprattutto quelle della sicurezza nella vecchiaia, che finora era dipesa sempre solo dal marito. Le casalinghe desideravano più asili e scuole a tempo pieno, una pensione di anzianità personale, l'incremento del lavoro remunerato e part-time e uno stipendio per le madri di bambini piccoli. Ma soprattutto le casalinghe non erano affatto una collettività omogenea e reclamavano il diritto all'individualità e alle scelte personali. La rivoluzione più lunga Anche se il lavoro domestico continuava a essere di competenza delle donne, aumentava continuamente anche la loro attività fuori dalle mura domestiche. Uno dei motivi principali di questa evoluzione va visto nel fatto che dagli anni 50 le condizioni di lavoro erano notevolmente migliorate e i redditi aumentavano. Gli uomini ricevevano molto più spesso che in passato salari orientati alle famiglie e il tradizionale divario fra i salari degli uomini e quelli delle donne non era scomparso, ma in alcuni settori stava lentamente diminuendo. Il paese in cui oggi il reddito femminile è il più vicino a quello maschile è la Svezia. Dal dopoguerra in poi è aumentato il lavoro femminile nel settore terziario, mentre è diminuito quello nell'industria. Le necessità dello sviluppo economico e le esigenze risvegliate dalla cultura di massa e dal nuovo orientamento consumistico - non solo nelle metropoli e nelle città di media grandezza, ma anche nelle cittadine e in campagna - hanno reso il lavoro delle donne possibile e necessario, ma anche redditizio. Dagli anni 60 in poi le famiglie si provvidero di elettrodomestici che facilitavano il lavoro, con due decenni di ritardo rispetto agli USA. Perlopiù occorreva risparmiare a lungo per poterli acquistare. Le donne cercavano nuovi modi per riuscire a conciliare il lavoro e la famiglia: -1) A questo proposito, una delle più importanti innovazioni fu il lavoro part-time che si diffuse e aumentò in tutta Europa diventando il lavoro delle madri e delle mogli. Esistono anche altre forme nuove di lavoro “flessibile”: lavoro a domicilio (per esempio al computer), contratti a tempo, lavori occasionali e stagionali e attività senza contratti formali (per esempio la sorveglianza dei bambini e gli aiuti domestici). Dalla fine degli anni 80 in poi si sviluppò un altro concetto di lavoro “atipico” e “tipico”. “Tipico” è considerato il lavoro a tempo pieno, prevalentemente maschile, “atipico” quello part-time femminile. Nella Germania Est il lavoro domestico e per la famiglia rimase affidato alle donne, ma l'ideale sociale era quello della donna lavoratrice a tempo pieno, con famiglia o senza. Quell’ideale fu realizzato tramite la graduale istituzione di asili. Negli anni 90 l'educazione negli asili fu oggetto di un’aperta discussione: il suo scopo era stato l'inserimento dei bambini nella collettività per maggiore solidarietà e maturità sociale? Oppure conformismo e soggezione nei confronti dell'autorità? Si è d'accordo sul fatto che non si trattava di un'educazione all’individualità e alla formazione di una personalità autonoma. In Occidente, una volta affermatasi la convinzione che l'aumento del lavoro femminile era una tendenza inarrestabile nelle moderne società industriali, si reagì cercando di permettere alle donne il lavoro a condizioni tali da non mettere in pericolo la famiglia: il “diritto al lavoro a orario ridotto” fu una concessione a quelle donne che altrimenti si sarebbero dedicate esclusivamente alle loro famiglie. Nell'industria il lavoro part-time non poté affermarsi, in quanto essa non era disposta ad adeguarsi alle esigenze della famiglia, mentre si diffuse rapidamente soprattutto nei lavori commerciali, negli uffici e anche negli impieghi statali. Invece nella Germania Est il lavoro part-time doveva servire a inculcare alle donne la nuova norma del lavoro extradomestico e a condurle a poco a poco al lavoro a tempo pieno. Ma le cose andarono diversamente, in quanto il lavoro part-time fu sfruttato non solo dalle casalinghe ma soprattutto da donne che prima avevano lavorato a tempo pieno, per diminuire il loro sovraccarico di lavoro. Pertanto, il “diritto all'orario ridotto” divenne una concessione a quelle donne che, per motivi familiari, non potevano o non volevano lavorare a tempo pieno. -2) Ancor più rivoluzionaria dell'evoluzione del lavoro femminile fu quella del diritto civile. Finalmente divenne realtà il vecchio sogno di un’uguaglianza di diritti all'interno del matrimonio. In Francia nel 1975 fu permesso il divorzio consensuale, l'infedeltà coniugale cessò di venire considerata un crimine e fu cancellato il dovere della donna di svolgere il lavoro domestico; nel 1985 fu raggiunta la totale parità dei coniugi nell'amministrazione del patrimonio familiare. Nella Germania occidentale fu decisiva la riforma del diritto matrimoniale del 1976: era affare dei coniugi decidere sulla divisione del lavoro all'interno della famiglia e fuori di essa e come cognome di famiglia poteva venire scelto sia quello dell'uomo che quello della donna. Dal 1991 i coniugi possono anche mantenere ciascuno il proprio cognome. Le mogli olandesi, irlandesi e belghe raggiunsero l'autonomia nell'ambito del diritto civile alla fine degli anni 50, quelle spagnole, portoghesi e lussemburghesi negli anni 70; contemporaneamente in Portogallo, Spagna e Grecia fu introdotto il matrimonio civile e in Italia, nel 1975, venne approvato il nuovo diritto di famiglia che afferma il principio della conduzione paritaria del governo familiare da parte dei coniugi. Infine, recentemente in molti Stati sono state promulgate leggi che rendono punibile anche la violenza sessuale all'interno del matrimonio. -3) La terza innovazione riguarda lo Stato sociale europeo relativo alle prestazioni statali nei confronti delle famiglie. In tutta Europa è stata allargata la tradizionale protezione delle madri lavoratrici, consistente in un congedo retribuito prima e dopo il parto. Il primo ministro francese di sesso femminile, Simone Veil, cercò di realizzare il vecchio sogno femminista del riconoscimento della maternità come funzione sociale. La nuova cittadinanza sociale doveva dare alle madri diritti personali, indipendenti dal marito, che comprendessero anche la pensione di anzianità; in questo contesto una questione di primo piano era la conciliabilità di famiglia e mestiere. La Svezia ebbe un ruolo precursore nell'innovazione dell'assicurazione per i genitori del 1974 che, da un lato, rivalutava la paternità e, dall'altro, trattava padri e madri allo stesso modo come “genitori”. Questa assicurazione permetteva al padre o alla madre, a scelta, dopo la nascita di un figlio, di usufruire di un congedo di sei mesi remunerato. Inoltre, nel 1980, fu introdotto un sussidio di gravidanza; i genitori hanno la possibilità di avere ferie pagate per assistere i figli in caso di malattia e hanno diritto a un orario di lavoro ridotto; contemporaneamente è stato ampliato il sistema degli asili e