Scarica Riassunto Letteratura Latina G.B. Conte e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura latina solo su Docsity! Manuale letteratura latina PARTE I- Alta e media Repubblica LE ORIGINI Le origini della produzione artistica in lingua latina ha una precisa data: 240 a. C., anno in cui Livio Andronico fece rappresentare un suo testo scenico (si presuppone una tragedia). Prima di questa data, resta un periodo considerato muto per la letteratura, esteso forse per quattro secoli. È bene comunque ricordare che le origini della letteratura non coincidono con quelle delle forme comunicative. Lo stesso vale per le origini della letteratura greca, ma la situazione è più semplice per la presenza, nella storia della letteratura greca, delle opere di Omero. Le opere teatrali di Livio Andronico, invece, sono testi di riporto, e nascono dalla traduzione di un genere letterario appartenente alla Grecia dell'età classica ed ellenistica: la tragedia, appunto. Questioni indispensabili per la discussione delle origini letterarie: • cronologia e diffusione della scrittura; • forme comunicative non letterarie; • forme pre-letterarie: i carmina. 1. CRONOLOGIA E DIFFUSIONE DELLA SCRITTURA Sin dal VII secolo, gli abitanti del Lazio affidano alla scrittura la registrazione di semplici messaggi, quindi l'uso della scrittura è legato a questioni pratiche. Nella Roma più arcaica la gente ancora parla e scrive in greco, osco ed etrusco. Rimangono solo graffiti e iscrizioni, ma non è detto che scrivessero solo in quel modo. Si afferma progressivamente l'uso dell'alfabeto e della lingua latina sulle altre presenti. Già nella Roma antica la capacità di scrivere era diffusa anche tra persone di media condizione, ma naturalmente era più utilizzata tra persone di ceti superiori, come sacerdoti o alte cariche pubbliche. Non era invece attestata una vera e propria circolazione libraria. Nella Roma medio-repubblicana si estese l'alfabetizzazione. Nascono i commentarii tra le persone di ceti alti. Si forma la corporazione degli scrivani. 2. LE FORME COMUNICATIVE NON LETTERARIE Vi è una specifica eredità di queste forme pre-letterarie. • Leggi e trattati: necessità di avere registrazioni ufficiali. Dei foedera abbiamo solo testimonianze indirette, ma nessun frammento. • Fasti e annales: calendari ufficiali dove i giorni dell'anno erano divisi in fasti e nefasti. Gli annales erano degli elenchi degli avvenimenti importanti dell'anno annotati sulla tabula dealbata. • Commentarii: appunti, memorie, osservazioni a carattere privato, opere non professionali caratterizzate da informazioni e memorie personali. Inoltre, a Roma era considerata una forma di potere e una fonte di successo l'abilità oratoria. Il primo oratore è Appio Claudio Cieco. Era una pratica dei cittadini nobili, oltre che parte integrante e indispensabile della vita attiva. 3. Le forme pre-letterarie: i carmina Tutti i testi citati prima hanno contribuito alla formazione del latino letterario. Un carmen (da cano, cantare) è traducibile in italiano con poesia. Ennio non amava molto il termine, preferiva definire i suoi componimenti con il termine greco poema per due motivi: per marcare la sua predisposizione allo stile greco e per sottolineare il rifiuto di una tradizione antichissima. Carmen, infatti, era un termine molto generico che aveva troppi significati secondo Ennio. Un carmen era tale non per il suo contenuto, ma per la sua forma. La distinzione tra prosa e poesia, infatti, non era così netta nella Roma classica: la prosa aveva una struttura ritmica molto segnata, mentre la poesia una metrica molto debole. Le più antiche forme di carmina provengono da una tradizione di carattere religioso e rituale. Le principali testimonianze sono il Saliare e l'Arvale. Il primo era un canto di un collegio sacerdotale, i Salii, istituito da Numa Pompilio. Il secondo proviene dai Fratres Arvales, un collegio di dodici sacerdoti fondato da Romolo, secondo la leggenda, come inno di purificazione dei campi. Insistenza su un ritmo ternario perché la triplicazione delle parole era considerata come garanzia di efficacia. Vi sono anche testimonianze di una poesia popolare, come i carmina triumphalia, cantati dai soldati in occasione dei trionfi bellici. Si pensa che alcune poesie venissero usate anche a funzione celebrativa: i canti eroici, racconti in versi di imprese eroiche concepiti oralmente ed eseguiti in riunioni private. Hanno avuto influenza sullo sviluppo di un'epica latina autoctona. Il saturnio Le testimonianze più antiche che abbiamo sulla poesia romana comportano l'uso di un particolare verso: il saturnio, con il quale sono composti i primi due testi epici romani, l'Odissea di Livio Andronico e il Bellum Poenicum di Nevio, oltre che gli elogi funebri degli Scipioni. L'etimologia del termine fa pensare a qualcosa di indigeno, ma all'epoca c'erano già tante contaminazioni greche. La struttura, tuttavia, non si lascia ricondurre a nessun verso greco canonico. Alcuni studiosi dubitano addirittura che si basi sull'alternanza quantitativa. IL TEATRO ROMANO ARCAICO 1. LA SCENA Nel secolo che intercorre tra il 240 a. C. e l'età dei Gracchi, la cultura romana conosce una straordinaria fioritura di opere sceniche e di rappresentazioni teatrali. Tutti i principali generi teatrali romani sono di importazione. In particolare, provengono dalla Grecia: • la palliata; • la cothurnata. Spesso gli autori romani di questi due generi presentano le loro opere non solo come ambientate in Grecia, ma anche come derivate da conosciuti modelli greci. Verranno poi chiamate rispettivamente togata o trabeata la prima e praetexta la seconda. Sono rette dagli stessi canoni drammaturgiche dei corrispettivi greci e dalle stesse tendenze stilistiche. L'origine degli spettacoli teatrali è di origine etrusca (generalmente spettacoli di danza e musica) ed è contrassegnata dalla coincidenza con cerimonie pubbliche religiose: la sede del teatro latino è infatti questa. La più antica ricorrenza teatrale e quella legata alla celebrazione dei ludi Romani in onore di Giove Ottimo Massimo: proprio in questa occasione, nel 240 a. C., Livio Andronico mise in scena il primo testo teatrale. I committenti spesso coincidevano con le autorità pubbliche, quindi nelle tragedie c'erano spesso riferimenti a singole figure politicamente influenti, mentre nelle commedie non erano ammesse Tra mito e storia Nevio è il primo letterato di nazionalità romana. Partecipe di eventi storici e politici, il solo letterato romano inserito nelle vicende contemporanee. La sua opera ha caratteri originali: il Bellum Poenicum è il primo testo epico con un tema romano, Romulus e Clastidium i primi titoli di praetextae con argomento romano. Saldatura tra mito e storia nella vicenda di Enea, dove l’apparato divino sanziona con atroci conflitti il popolo romano per la fondazione di Roma. L’ascesa di Roma si innesta in una visuale cosmica, nutrita di cultura greca. Strato storico si rivede nella descrizione della guerra contro Cartagine. No narrazione continua, non sappiamo come questi due strati fossero connessi. Legato alla cultura greca nonostante tutti gli elementi di innovazione. Omero rappresenta una grande ispirazione. La sperimentazione di un nuovo linguaggio poetico si sviluppò in due direzioni principali: la sezione mitica imponeva la sfida del linguaggio poetico greco, ricco di epiteti preziosi. Nevio utilizza molti neologismi, nuovi composti e costruzioni sintattiche inedite. La sezione storica lo costringe ad adattare lo stile poetico a una lunga narrazione continua. Ne viene fuori uno stile nuovo, a volte monumentale, segnato sempre da una ricerca formale. Linguaggio semplice e concreto, ordine delle parole lineare, presenza di numerosi termini tecnici, vocaboli prosaici. Si pone come opera sperimentale, dove le componenti stilistiche non riescono a trovare un vero equilibrio. La sua produzione comica lo rende il più notevole predecessore di Plauto, anche se rimane più impegnato del teatro del secolo successivo. La sua opera contiene attacchi ai personaggi politici del tempo, ricordando la commedia ateniese di Aristofane, ma per questo motivo il teatro comico restò emarginato dalla vita politica di Roma. PLAUTO Nome incerto. Muore nel 184 a. C., come ci riporta Cicerone. 1. TIPOLOGIA DEGLI INTRECCI E DEI PERSONAGGI Venti commedie, più di 21.000 versi: Miles gloriosus la più lunga, Curculio la più corta. La forza di Plauto sta nel comico che nasce dalle singole situazioni e dalla creatività verbale. Intrecci considerati nelle più elementari linee costruttive. Le opere: • Amphitruo: Giove arriva a Tebe per conquistare Alcmena sotto forma di Anfitrione, marito della dama. Viene aiutato da Mercurio che si traveste da Sosia, servo di Anfitrione. Quando tornano i veri personaggi, dopo una serie di equivoci, Anfitrione si sente onorato di aver avuto come rivale in amore un dio. Unica commedia a soggetto mitologico. • Asinaria: macchinazioni di un giovane per conquistare una cortigiana. l’impresa ha successo grazie ai furbi servitori e alla complicità del padre dell’innamorato. Nasce poi una rivalità tra padre e figlio, ma vince il giovane. • Aulularia: una pentola d’oro è stata nascosta da Euclione, un avaro. La pentola viene rubata da un giovane innamorato per ottenere le nozze dall’amata, figlia di Euclione. • Bacchides: due sorelle gemelle, doppia conquista amorosa di due giovani innamorati. Equivoci sull’identità delle sorelle. Modello di Menandro, confronto diretto tra Plauto e i modelli greci. • Captivi: un vecchio perde due figli. Si procura due schiavi di guerra dagli Elei, e scopre che sono i figli perduti che erano stati rapiti e imprigionati da loro. Smorzatura dei toni comici con una punta di umanità malinconica. No intrigo a sfondo erotico. • Càsina: un vecchio e suo figlio si contendono una trovatella che hanno in casa. Alla fine può sposare il giovane, il vecchio immorale viene ingannato. • Cistellaria: un giovane vorrebbe sposare una fanciulla di nascita illegittima, ma il padre gliene destina un’altra. Alla fine ci riesce. • Curculio: parassita di un giovane innamorato di una cortigiana. • Epìdicus • Maenaechmi • Mercator • Miles gloriosus • Mostellaria • Persa • Poenulus • Pseudolus • Rudens • Stichus • Trinummus • Truculentus Forte prevedibilità degli intrecci e dei tipi umani incarnati dai personaggi. Plauto desidera questa prevedibilità. Prologhi espositivi forniscono informazioni essenziali allo sviluppo della trama, a spese di sorprese e colpi di scena. Numero limitato di tipi: • servo astuto; • vecchio; • giovane amatore; • lenone; • parassita; • soldato vantone. Inquadrati fin dai prologhi, si insiste sui termini tipologici e non sui nomi propri. Lotta dei due antagonisti per il possesso di un bene: una donna o una somma di denaro necessaria per accaparrarsela. La lotta si decide con il successo dell’una o dell’altra parte. Normalmente il vincitore è il giovane, il perdente ha in sé le caratteristiche che lo rendono tale. Questo schema generativo deriva dalla “Commedia Nuova”, spesso nella forma della “Commedia del servo”, in cui l’azione di conquista del bene è delegata a un servo ingegnoso: la coppia giovane desiderante-servo raggiratore è la più comune nel teatro di Plauto. La scansione temporale è ben definita in tre fasi distinte: • il servo medita l’inganno; • agisce; • trionfa. È sempre presente una forza onnipotente, la Fortuna, la Tyche, regina incontrastata del teatro ellenistico. Valore stabilizzante. Il servo ha bisogno di un alleato, ma anche di un antagonista alla sua altezza. Scatto irrazionale alla trama, imprevedibilità. Frequente anche la “Commedia degli equivoci”. 2. I MODELLI GRECI Maestria ritmica. Si distacca dai modelli greci: predilezione per le forme cantate, non presenti nel teatro di Menandro, sono caratterizzanti del teatro latino. Autonomia artistica. Il teatro di Plauto non presuppone un teatro così ellenizzato da gustare i riferimenti greci. Titoli delle commedie spesso sono nomi di schiavi. Plauto attinge ai grandi maestri ma non ha una preferenza per nessuno di loro. Stile intrinsecamente vario e polifonico. Non riprende lo stile di nessuno dei suoi modelli: registro compatto, ricco di metafore, giochi di parole, neologismi, bizzarri paragoni, allusioni scherzose al linguaggio militare di Roma. Impressione distruttiva dei modelli. Distruzione delle qualità che determinano la Commedia Nuova: coerenza drammatica, sviluppo psicologico, realismo linguistico, motivazione. 3. IL LIRISMO COMICO Plauto tende a trascurare la coerenza dell’azione drammatica. Preferisce alla coerenza e all’unità di azione altri elementi. Il servo è il personaggio favorito. Figura tipica, non troppo individualizzata sul piano psicologico, creatore di inganni e fonte di comico. Ruolo previsto dal canovaccio originale dell’intreccio greco. 4. LE STRUTTURE DEGLI INTRECCI E LA RICEZIONE DEL TEATRO PLAUTINO Anche nelle strutture tipiche dell’intreccio si possono cogliere intenzioni autentiche e determinate storicamente. Tracciato monotono di fondo a cui si può ricondurre la molteplice varietà di canovacci. Le commedie minacciano una sovversione di tutto ciò che per il pubblico è normale e naturale. No valore di riflessione critica e di rinnovamento della mentalità tradizionale. Lo scioglimento tipico della commedia fa rimettere a posto le cose. Straniamento dall’azione, amoralità del teatro plautino. Azione del personaggio creativo e anti-realistico appare come tratto caratterizzante della palliata plautina. Non propone una scelta chiara tra realismo e finzione. Ambiguità della funzione poetica. CECILIO STAZIO Libero di origine straniera come Andronico e Terenzio. Nato forse tra il 230 e il 220. Contemporaneo di Plauto e di Ennio. Ci restano una quarantina di opere, circa 300 versi. Titoli sia greci che latini o anche in doppia forma. Un grande commediografo Trattato come minore a causa della perdita dei suoi testi. Varrone, Cicerone e Orazio lo trattano come autore primario. Intermediazione tra Plauto e Terenzio. Atmosfera del teatro plautino, ricchezza di metri, ma vincolato al modello della Commedia Nuova. È assente nei titoli la figura dello schiavo. Più rispettoso dei modelli. Predilezione per Menandro, accostamento al modello greco lo avvicinano a Terenzio. Reinventa le storie dei modelli secondo una nuova e autonoma poetica teatrale. ORATORIA E STORIOGRAFIA IN EPOCA ARCAICA 1. L’ORATORIA Nel Brutus, Cicerone sottolinea più di una volta il legame che intercorre tra oratoria e vita politica. È il frutto intellettuale della classe dirigente. Gli oratori più importanti sono personaggi politici di rilievo. Differenza notevole con l’annalistica e la storiografia, elaborate da membri della classe dirigente, ma non da personaggi di primissimo piano. Catone fu il più grande oratore del II secolo. LETTERATURA E CULTURA NELL’ETÀ DELLE CONQUISTE Nel 201 finisce la seconda guerra punica. Roma in continua espansione, prosegue con la seconda e terza guerra macedonica. Ascesa di Roma a prima potenza mondiale. Nel 146 Cartagine viene rasa al suolo. Crisi del mos maiorum e delle tradizioni. Modificazione dell’assetto economico-sociale e culturale, snaturamento antiche idealità. Divaricazione del corpo civico: la classe dirigente si arricchisce,compresi gli imprenditori, mentre il ceto di piccoli proprietari si impoverisce, con conseguente proletarizzazione. Questione agraria. Comparsa nella cultura e nella letteratura di nuove esigenze e di nuovi conflitti. Rapporto con certe tendenze del modello greco viene accusato di essere la causa della corruzione dei costumi. Affermazione del dominio romano sulla Grecia, intensificazione anche dei contatti culturali. Polarizzazione tra partito filoellenico e partito antiellenico (Catone il Censore, difensore delle tradizioni). Proponeva: 1. GLI INIZI DELLA STORIOGRAFIA SENATORIA Le Origines danno inizio alla storiografia in latino. Derisione e disprezzo per l’annalistica romana in lingua greca. Conferisce alla storiografia un vigoroso impegno politico. Nella sua opera, ampio spazio alla polemica sulla corruzione dei costumi, battaglie personalmente condotte in nome della saldezza dello stato, contro l’emergere di singoli personaggi di prestigio con marcate tendenze individualistiche e al culto della personalità. Polemiche politiche, orazioni, autocelebrazioni. Tendenza a privilegiare la storia contemporanea. • I libro, fondazione di Roma • II e III origini delle città italiche • IV prima guerra punica • V seconda guerra punica • VI e VII avvenimenti fino alla pretura di Galba Storia di Roma come lenta formazione dello stato e delle sue istituzioni. Popolo romano stretto intorno alla classe senatoria. 2. IL TRATTATO SULL’AGRICOLTURA No ornamenti letterari né riflessioni filosofiche. Serie di precetti in forma asciutta e schematica. Nel proemio indica nell’agricoltura un’attività acquisitiva. Disciplina tra le più sicure e oneste. Con il lavoro agricolo si formano buoni cittadini e buoni soldati. Generale del comportamento del proprietario terriero. Tradizione patriarcale, pater familias deve essere presente per sorvegliare l’esecuzione dei lavori. Attività agricola considerata impresa su larga scala. Virtù tipiche del mos maiorum: parsimonia, duritia, industria. 3. LA BATTAGLIA POLITICO-CULTURALE DI CATONE Stile oratorio vivace e movimentato. Meno sostenuto e arcaizzante di quello del trattato sull’agricoltura. Rifiuto dell’ars, della tèchne retorica di matrice greca. Polemica catoniana contro la penetrazione in Roma del costume e della cultura greca, nelle loro varie forme. TERENZIO Originario di Cartagine, giunto a Roma come schiavo del senatore Terenzio Lucano. Rapporti con Scipione Emiliano e Lelio. Muore prima della terza guerra punica, nel 159, durante un viaggio in Grecia a scopi culturali. Cronologia delle opere attestata con precisione. Sei commedie: • Andria • Hècyra • Adelphoe • Heautontimorùmenos • Eunuchus • Phormio 1. LO SFONDO STORICO Età degli Scipioni. Debutto teatrale due anni dopo la battaglia di Pidna (168), cruciale nell’evoluzione della potenza romana e nei rapporti di Roma con l’oriente greco. Vent’anni di pace da quel momento. Insegnamento di un nuovo tipo di retorica e di eloquenza. Innovazioni anche nella poesia scenica. Il teatro di Terenzio accetta l’inquadramento convenzionale e ripetitivo delle trame di Plauto, ma con l’obiettivo di comunicare sensibilità e interessi nuovi. Tensione innovativa. Lo scarso successo delle sue commedie è sintomo del declino del teatro popolare latino. Progressivo divaricarsi dei gusti del pubblico di massa e dell’elite colta. Nel teatro di Terenzio ci sono gli ideali di rinnovamento culturale dell’aristocrazia scipionica, l’approfondimento psicologico dei personaggi, ma rinuncia all’esuberanza comico-fantastica che aveva contribuito al successo del teatro plautino. Intrecci terenziani consueti alla Commedia Nuova e alla palliata: giovani innamorati, genitori che li contrastano, schiavi indaffarati a soddisfare i desideri dei loro padroni. Sostanziale di fedeltà ai canovacci tradizionali, ma con un approfondimento della psicologia del personaggio. No rappresentazione dell’individuo, ma del tipo. Personaggi spesso anticonvenzionali: questo approfondimento psicologico comportava una notevole riduzione della comicità. 2. STILE E LINGUA DI TERENZIO Lo stile espressivo di Terenzio è l’aspetto più trascurato dalla critica e dai lettori. Piatta uniformità materia linguistica selezionata e perfino censurata. Utilizzo di parole astratte che rendano possibile e interessante l’analisi psicologica. Stile medio e pacato più quotidiano di quello di Plauto. Più vicino a quello di una conversazione quotidiana. Preoccupazione per il verosimile. 3. I PROLOGHI DI TERENZIO: POETICA E RAPPORTO CON I MODELLI Interesse per la Commedia Nuova attica, per Menandro, che offriva sia un modello culturale, sia letterario. Esempio di stile e di tecnica drammatica. Menandro ha il valore della verosimiglianza, Plauto no. Teatro plautino come “metateatro”. Terenzio cura di più la coerenza e l’impermeabilità all’illusione scenica. Momenti di riflessione tutti incentrati nel prologo. Prologo come istituzione letteraria, principale innovazione tecnica di Terenzio rispetto a Plauto. Prologo come spazio espositivo, di informazione preliminare alla comprensione della trama. Terenzio rinuncia a questo. Adopera invece prese di posizione dell’autore. Vicino a Ennio, Accio, Lucilio per i momenti di riflessione critica e poetica, avvicinandosi così al poeta-filologo alessandrino. Distacco dalla vecchia generazione letteraria. UNA CONCLUSIONE D’INSIEME SULLA PALLIATA: PLAUTO, TERENZIO E LA COMMEDIA NUOVA 1. DALLA TRAGEDIA TARDO-EURIPIDEA ALLA COMMEDIA DEI SENTIMENTI Gli autori della commedia latina guardano alla Commedia Nuova greca, e ne riprendono trame, tipi e situazioni. Poeti bilingui, traduttori e rifacitori insieme. La Commedia Nuova, quindi, può essere studiata come un insieme di testi greci e latini, come una commedia bilingue con tratti di un linguaggio drammatico comune. Lontana dal teatro politico di Aristofane (allegorico, utopistico, visionario), ma vicina agli esperimenti drammatici dell’ultimo Euripide. Ricorrono elementi comici dell’intrigo, del riconoscimento, della peripezia movimentata. La parodia tragica rivela a tratti esigenze espressive diverse, il desiderio o il rimpianto di un registro più alto che la situazione rappresentata richiede. Il contatto intertestuale tra tragedia e parodia di Aristofane cercava occasione di farsa o protesta polemica di un autore all’antica. Aspirazione patetica che il genere comico sentiva come troppo impegnativa. Discorso para-tragico come aspirazione a un tono sublime che i limiti del genere non ammettono. La Commedia Nuova sembra preferire la parodia di se stessa. La Commedia pensosa di Menandro sembra avvicinarsi alla retorica della tragedia per la ricerca dell’effetto psicologico. Regola aristotelica vuole eroe tragico né troppo buono né troppo cattivo, lo spettatore deve poter provare una forma catartica di identificazione. 2. CONVENZIONALITÀ E FINZIONE TEATRALE La Commedia Nuova intende essere rappresentazione della vita reale, ma anche consapevolezza di una forma convenzionale che media questa rappresentazione. Consapevolezza della propria forma seriale, del fatto di essere tipi fissi, situazioni ripetute, storie che continuamente si replicano. Primi spettatori consapevoli di un teatro realistico e convincente. Interessanti soprattutto i personaggi minori. Il personaggio stesso diventa cosciente della propria finzione, sono gli stessi che interloquiscono con il pubblico. 3. CONSAPEVOLEZZA DELLE CONVENZIONI E METATEATRO Coscienza della propria convenzionalità. LUCILIO Morto nel 102, nato probabilmente nel 148. Precocità letteraria notevolissima. Originario di una famiglia distinta di Suessa Aurunca, giovinezza legata al circolo scipionico. Decise di non dedicarsi mai alla vita politica ma si dedicò totalmente alla scrittura, divenendo così il primo uomo di alto rango a compiere questa scelta. Durante la sua vita si ritrovò ad appoggiare gli ideali del Circolo degli Scipioni, entrandone a far parte dopo aver stretto amicizia con Scipione Emiliano. Non sappiamo con precisione quando nacque Gaio Lucilio. Quello che possiamo dedurre dalle varie testimonianze è che visse tra il 180 e il 102 a.C. Nonostante venne poi criticato da Orazio per lo stile semplice e apparentemente poco curato, viene elogiato dallo stesso e da altri autori, come Quintiliano, per essere stato l’inventore del primo componimento di origine latina: la satura. Lo stesso Quintiliano scrive infatti “satura tota nostra est”, citando Lucilio. La satira si divideva in due tipi: la satira drammatica, che era destinata alla rappresentazione, composta di danze e battute, e la satira letteraria, destinata cioè alla sola lettura. Di satire letterarie abbiamo quelle di Ennio e Pacuvio, ma il più grande scrittore di satire fu appunto Lucilio. Dopo di lui, la satira assunse il valore di critica dei costumi e dei vizi altrui. Lucilio divulgava e recitava le sue poesie volta per volta, essendo nate per occasioni specifiche. Tutte queste poesie vennero raccolte in 30 libri solo dopo la sua morte da Archelao e Vettio Filocomo, ma ad oggi non ne rimangono che appena 1300 versi. Trenta libri di satire, frammenti per 1300 versi. Libri 1-21 in esametri, 22-25 in distici elegiaci, 26- 30 in giambici e trocaici e di nuovo in esametri. Ordine per criterio metrico non coincide con l’ordine di composizione. Si orienta progressivamente verso l’esametro. Da Orazio in poi, l’esametro diventerà l’unico verso prescritto per la satira. Libri sia di composizioni uniche, sia di diverse unità poetiche. Lucilio e la satira Si radica nello sfondo culturale di Terenzio. Partito scipionico protettore del poema satirico. Posizione sociale diversa da quella di Terenzio: indipendenza di giudizio, verve polemica, interesse curioso per la vita contemporanea, eques colto e benestante che non vive del proprio lavoro letterario. Appartenenza all’aristocrazia provinciale. Muoveva anche alcuni attacchi liberi contro alcuni degli uomini più in vista della Roma contemporanea. Le origini del genere satura sono incerte. Il nome viene da satura lanx, un piatto romano di pietanze miste. Nome latino, non greco, perché è il primo genere interamente romano. Ricerca di un genere letterario disponibile a esprimere una voce personale del poeta. Nessuno dei generi canonici di poesia prevede uno spazio di espressione diretta in cui il poeta possa rispecchiare il suo rapporto con se stesso e con la realtà contemporanea. Poesia fuori dai canoni epici e drammatici. Frammenti di satira enniana contengono varietà, voce personale e impulso realistico. Quattro o sei libri di metro vario, principalmente giambo-trocaici, esametri, sotadei, argomenti vari. Ennio ha un importante ruolo nello sviluppo dell’autocoscienza di Lucilio attraverso le sue satire. Non sappiamo, però, se la sua satira contenesse già polemiche contro i personaggi contemporanei. della cronaca annalistica per auspicare una penetrazione razionale degli eventi, una spiegazione causale che dia il giusto spazio alla narrazione dei dibattiti politici accanto all’elencazione delle campagne belliche. Influsso del razionalismo polibiano. La storiografia latina era in genere elaborata dalla classe dirigente, a parte Catone, ma non da personaggi di grande rilievo politico. Uomini politici importanti scrivono Commentarii che non avevano bisogno di cure stilistiche, erano poco più che appunti. 3. STUDI ANTIQUARI, LINGUISTICI, FILOLOGICI Con il termine antiquaria si intende la scienza che indaga le origini remote di usi, costumi, istituzioni giuridiche e sociali, della civiltà di un determinato popolo. Collegata con la storiografia, la ricerca filologico-linguistica e archeologica. Ampio sviluppo e credito a Roma. Nella stessa epoca nasce anche la filologia come disciplina specializzata. 4. LA COMMEDIA DOPO TERENZIO: LA FABULA PALLIATA E LA FABULA TOGATA I grandi classici continuano a essere rappresentati fino a Cicerone. Dall’età di Cesare e Cicerone viene visto sempre di più come un genere all’antica. Lo stile tradizionale suona arcaico, così come la metrica, troppo irregolare. Sostituito gradualmente da generi alternativi come atellana e mimo. Libera flessibilità strutturale. La togata andava incontro al bisogno di una drammaturgia più vicina alle realtà quotidiane e locali, ma non c’era una programmatica battaglia per il realismo. Teatro nutrito di influssi greci, anche se più aperto alle classi umili. 5. L’ATELLANA NELLA ROMA DELLA TARDA REPUBBLICA: POMPONIO E NOVIO Ritorno di fortuna dell’atellana legato a un cambiamento di livello culturale. Regolarizzazione del genere che diventa autonomo. Sopravvive fino all’età imperiale, ma con spazio decrescente. Lì lo stile inizia a essere sentito come arcaico, in un’epoca che vede rinnovamento sia dello stile letterario sia dei gusti del pubblico. Il successo del mimo come forma di intrattenimento popolare creò nuovo interesse, a svantaggio dei generi comici tradizionali. 6. IL MIMO Il termine greco indica l’imitazione della vita reale. Include forme di letteratura anche sofisticata, non sempre destinata alla recitazione. l’imitazione di scene di vita quotidiana si risolveva anche in parodie dei generi letterari più elevanti e regolari o in effetti grotteschi di crudo realismo. Originariamente la rappresentazione era limitata ai ludi florales, in seguito divenne una forma assai richiesta. Nell’età di Cesare, la loro fama si ricollega al crescere di un gusto veristico che si distacca dalle tradizioni arcaiche. Gli attori recitavano sempre senza maschera, riprendono il linguaggio e i temi del quotidiano e i personaggi femminili sono interpretati da donne. Non portavano calzature rialzate, recitavano raso terra. Laberio e Sirio esponenti più importanti. Queste sono le forme predilette di spettacolo. Decadenza delle forme tradizionali di tragedia e commedia. Divaricazione dei gusti del pubblico, da una parte espressione letteraria più raffinata, lettura privata, dall’altra forme degradazione in forme di spettacolo semplici e piuttosto basilari e vicine al quotidiano. Morte definitiva del teatro popolare. PARTE II- La tarda Repubblica IL PERIODO CESARIANO (78-44 a. C.) Pompeo sale al potere nel 77 a.C. e sconfigge i ribelli guidati da Sertorio Placa una rivolta di schiavi guidata da Spartaco Pompeo e Crasso consoli nel 70 a.C. Sconfigge Mitridate Crasso, Pompeo e Cesare formano il triumvirato Cesare è eletto console e prende il comando della Gallia per cinque anni Crasso muore in Siria nel 53 a.C., ucciso dai Parti Pompeo viene nominato consul sine collega Nel 49 a.C. Cesare varca il Rubicone Scoppia la seconda guerra civile Battaglia di Farsalo, in Tessaglia (48 a.C.), vince Cesare. Pompeo muore Cesare prende il controllo di Roma Idi di marzo, 44 a.C., Cesare viene ucciso CATULLO Nasce a Verona, nella Gallia Cisalpina, da famiglia agiata. Muore nel 57 a circa 30 anni. Frequenta Ortensio Ortalo, Cinna e Calvo, ebbe una relazione con Clodia (Lesbia nei versi), moglie di Quinto Metello. Nel 57 andò in Bitinia e visitò la tomba del fratello (Carme 101). Di Catullo abbiamo 116 carmi, in un libro suddiviso su base metrica in tre sezioni. • Primo gruppo (1-60): componimenti brevi e di carattere leggero (nugae), metro vario, soprattutto endecasillabi faleci. • Secondo gruppo (61-68): eterogeneo, numero di carmi limitato, ma di maggiore estensione e impegno stilistico (carmina docta). • Terzo gruppo (69-116) carmi in brevi distici elegiaci (epigrammi). I carmi brevi Il nome e la poesia di Catullo sono generalmente associati alla rivoluzione neoterica, e ne sono il documento più importante. Rivoluzione letteraria, ma anche etica: l’otium individuale diventa l’alternativa seducente alla vita collettiva, lo spazio in cui dedicarsi alla cultura, alla poesia, alle amicizie, all’amore. l’universo privato si caratterizza come l’orizzonte stesso dell’esistenza. l’attività letteraria si rivolge ora ai generi portavoce della civitas. I carmi brevi sono volti al recupero della dimensione intima, insieme dei polimetri e degli epigrammi in cui l’esiguità dell’estensione rivela la modestia dei contenuti: occasioni e avvenimenti della vita quotidiana, ricerca della perfezione formale. Affetti, amicizie, odi, passioni, aspetti minori o minimi dell’esistenza sono oggetto della poesia di Catullo. Impressione di immediatezza, vita riflessa, poesia ingenua e spontanea, poeta ‘fanciullo’. La poesia si costruisce sulla celebrata spontaneità, ma è un’apparenza ricercata e ottenuta grazie alla sua grande cultura. Precedenti letterari come l’epigramma greco. Il destinatario di ogni carme è il rappresentante di una cerchia raffinata e colta. Complesso impasto stilistico con precise risonanze letterarie, parvenza di slancio passionale e di immediatezza giocosa. Gesti irriflessi di un’emozione. Precisi rapporti formali nella struttura dei carmi. Effetti fonosimbolici, contrasti, pause riflessivo-sentenziose. Attenta costruzione dell’espressione che appare spontanea, incontrollata, di una rivolta esistenziale. Circolarità di alcune strutture. Poesia complessa intessuta di dottrina. Studia il modo in cui la vita vissuta si incastra e si adatta alle forme della tradizione letteraria. Lo sfondo della poesia è costituito dall’ambiente letterario e mondano della capitale. Codice etico ed estetico insieme. Risalta la figura di Lesbia, incarnazione della potenza dell’eros, avvolta da un alone idealizzante. l’amore è un’esperienza centrale nella vita del poeta, l’eros non è più messo al margine dalla morale tradizionale, ma diventa elemento primario, il solo in grado di risarcire la fugacità della vita umana. Il rapporto con Lesbia nasce come adulterio, amore libero basato sull’eros, che diventa totalizzante per Catullo a tal punto da configurarsi, nelle aspirazioni del poeta, come un vincolo matrimoniale (nuptiae). Questo tema, e il tema della fedeltà, ricorreranno nei carmina docta. Motivo insistente è anche quello del foedus violato. Tema della fides, virtù cardinale del mondo catulliano. Carme 64 diventa il modello esemplare del nuovo genere dell’epillio. • Fides: patto stipulato vincolando moralmente i contraenti; • pietas: virtù di chi assolve ai propri doveri nei confronti degli altri. L’offesa ripetuta del tradimento produce in Catullo una dolorosa dissociazione tra la componente sensuale (amare) e quella affettiva (bene velle). Scompare infatti ogni stima e affetto per la donna per cui invece prova una forte attrazione fisica. Speranza frustrata di un amore fedelmente ricambiato e consapevolezza di non aver man mancato al foedus d’amore con Lesbia, certezza della propria innocenza. I carmina docta Criteri di una nuova poetica ispirata a brillantezza di spirito e raffinatezza formale. Rivela la sua ascendenza alessandrina, callimachea, in una sorta di manifesto del nuovo gusto letterario (c.95), annuncio della pubblicazione del poemetto a Cinna. Brevità, eleganza e dottrina sono i canoni a cui Catullo aderisce senza riserve. Epillio come nuova epica elaborata dai poeti neoterici, il poemetto breve (poche centinaia di versi) favorisce il lavoro di rifinitura stilistica, che conferisce asciuttezza e pregnanza, permette al poeta lo sfoggio della sua preziosa dottrina. Vicende mitologiche esotiche e con risvolti passionali. Dottrina e impegno stilistico sono talmente evidenti che, a tal proposito, questi carmi vengono chiamati dotti. Sperimenta anche nuove forme compositive, dando prova di raffinata sapienza strutturale. Si cimenta nel nuovo genere epico, l’epillio: il Carme 64 ne costituisce il modello esemplare per la cultura latina. 408 esametri, celebra le nozze di Peleo e Teti. Presenza di ékphrasis e digressioni, tra cui l’abbandono di Arianna a Nasso da parte di Teseo. Intreccio due vicende d’amore: quello infelice di Arianna e quello felice di Peleo. Si istituisce tra di esse una serie di relazione che hanno il loro nucleo nel tema della fides. Gli stessi dei si facevano garanti di questo valore, ma nell’età presente è corrotta e vilipesa insieme agli altri valori religiosi e morali. Il mito diventa proiezione e simbolo delle aspirazioni del poeta. Anche il Carme 63 è un epillio, ma non è scritto in esametri, bensì in galliambi. Si ispira alla vicenda del giovane Frigio Attis che si mutila per farsi sacerdote di Cibele. I Carmi 61 e 62 sono epitalami, cioè canti nuziali. • Carme 61: composto per il matrimonio di Manlio Torquato con Vinia. Inno a Imeneo, 47 strofe, carattere eminentemente greco sul piano formale, elementi italo-romani nel rito nuziale. • Carme 62: strofe in esametri cantate alternativamente, a contrasto, da due cori di maschi e femmine sul tema del matrimonio e della verginità. Non è composto per delle vere nozze. la morte noi non ci saremo più. Allo stesso modo, dimostra che è inutile lamentarsi per quello che la morte ci strapperà via, perché non ci sarà alcun rimpianto di ciò che avevamo prima, perché svaniremo insieme a quel ricordo. Nel IV libro, invece, illustra il processo della conoscenza: dai corpi si staccano delle piccole particelle dette simulacra, che, raggiungendo gli organi di senso, riescono a far percepire ciò che è intorno a noi. Questo spiega anche il fenomeno dei sogni, che non sono altro che persistenze delle esperienze vissute. Nei libri V e VI si tratta dell’origine del mondo in cui viviamo, dei fenomeni naturali e dell’evoluzione dell’umanità. La dottrina dell’epicureismo sostiene che gli dei esistano, ma che non abbiano creato il mondo e né tanto meno l’abbiano fatto per l’uomo. Essi vivono in uno spazio loro e sono indifferenti agli altri esseri viventi. Inoltre, sostiene che la nostra terra è mortale, e che quindi un giorno si disgregherà e tornerà alla materia primordiale, iniziando un nuovo ciclo. La teoria di Lucrezio ha delle straordinarie intuizioni, che per alcuni versi anticipano la teoria di Darwin. Sostiene infatti che alcuni animali si adattano ed altri si estinguono. Allo stesso modo, l’umanità si è evoluta, ma non sempre in modo positivo. Il VI libro si conclude con la pestilenza di Atene, che in un certo senso ricollega l’episodio di apertura, l’inno a Venere, con la chiusura, la morte, la distruzione di tutto, per esaltare il potere equilibrante della natura che nulla crea e nulla distrugge. Il De Rerum Natura è un poema didascalico a modello dei poemi greci di Esiodo, il primo in latino a sperimentare in grande questa forma. Oltre a lui la utilizzarono anche Ennio, Accio e Catone. La grandezza di Lucrezio sta nella fusione della poeticità alla filosofia. Lucrezio ambisce a descrivere e spiegare ogni aspetto della vita e del mondo cercando di convincere il lettore con argomentazioni valide della dottrina epicurea. La tradizione ellenistica, invece, prevedeva argomenti tecnici, ma sprovvisti di implicazioni filosofiche. Si rivolge al lettore-discepolo che non è soltanto il dedicatario dell’opera, ma chiunque legga i suoi scritti: Lucrezio segue i suoi lettori nel percorso educativo che propone. Dal punto di vista dello stile, il sublime diventa sia forma stilistica della sua poesia, sia forma di interpretazione del mondo e percezione delle cose. Mantiene un andamento vivo grazie a digressioni, cambi di tono, esempi e racconti. Lucrezio è costretto a misurarsi con la povertà della lingua e si trova a dover reinventare molti termini filosofici greci che il latino non possedeva. Per queste ragioni lo stile di Lucrezio veniva definito in antichità lo “stile sublime”, cioè un qualcosa di aulico e difficile da imitare. Inoltre, riesce ad interrompere la tecnicità del linguaggio scientifico e a spiegarla tramite immagini o esempi politici. 3. Studio della natura e della serenità dell’uomo Subito dopo il proemio con l’invocazione a Venere. Simbolo della vita, Lucrezio si rivolge al lettore, invitandolo a ragionare su quanto crudele sia la religio tradizionale. La religione è in grado di opprimere sotto il suo peso la vita degli uomini, di turbare ogni loro gioia con la paura: se gli uomini sapessero che dopo la morte non c’è nulla, diventerebbero insensibili alla minaccia divina. Per questo è necessario avere una buona conoscenza delle leggi che regolano l’universo, obiettivo che si pone il poema. Espone con chiarezza il nesso tra superstizione religiosa e timore della morte. Epicuro ha osato alzare gli occhi contro la religione che incombeva minacciosa dal cielo, per questo viene venerato quasi come un dio, perché ha liberato gli uomini da enormi sofferenze morali. Quasi tutti i libri si aprono con una celebrazione di Epicuro. Gli dei sono creature eterne e felici che vivono negli intermundia, zone a confine tra cielo e terra, e non si curano del destino dell’uomo. Costituivano un punto di riferimento ideale. Nel V libro espone l’origine storica del timore religioso. Sorge spontaneo per ignoranza delle leggi meccaniche che regolano l’universo. 4. Il corso della storia Lucrezio vuole evitare che su argomenti di grande rilievo la mancanza di spiegazioni razionali in termini epicurei riduca il lettore ad accettare spiegazioni tradizionali della mitologia e della superstizione. Dedica quindi un’ampia sezione dell’opera alla storia del mondo, del quale era stata chiarita innanzi tutto la natura mortale, originato com’è da una casuale aggregazione di atomi e destinato alla distruzione. La seconda metà del libro V tratta dell’origine della vita sulla terra e dell’uomo. Spazio alla confutazione delle tradizioni su esseri mitici che avrebbero popolato l’alba della terra. Talvolta la Natura, commettendo degli sbagli, genere esseri mancanti di alcune parti, malformati. Delinea le tappe del progresso umano, alternando fasi positive e negative, come scoperta del fuoco, metalli, tessitura, agricoltura e inizio e progresso dell’attività bellica o il sorgere del timore religioso. Desiderio del poeta di contrapporsi alle visioni teleologiche del progresso umano. Progresso materiale positivo solo finché finalizzato al soddisfacimento dei bisogni primari. Tutto il resto è valutato come decadenza morale, quindi negativamente. I saggi che vivono mettendo in pratica i precetti di Epicuro sono designati come modelli esemplari da seguire. 5. L’interpretazione dell’opera Il poema di Lucrezio contiene un’interpretazione complessiva sia della natura, sia dell’uomo: uno dei temi principali è infatti la critica alla religio. Lucrezio sostiene che renda cieche le persone, che possono salvarsi dall’oscurantismo e dalle minacce della religione tramite l’uso della ragione, così come ha fatto Epicuro. Narratore in prima persona, Lucrezio come il Dante Alighieri della Commedia. Tensione dell’autore volta sempre al convincimento razionale del lettore, a trasmettere i precetti di una dottrina in cui crede fermamente. Il De Rerum Natura sembra pensato come una sorta di poema epico: infatti si apre con l’invocazione ad una divinità (Venere) e possiede anch’esso il suo eroe: Epicuro. La particolarità sta nel fatto che, pur essendo un eroe a tutti gli effetti, Epicuro non è un guerriero, bensì un eroe- filosofo. La sua impavidità e le sue doti non stanno nella forza fisica, ma nel coraggio di usare la ragione. Epicuro insegna a non avere false illusioni, ma non è così facile: ci vuole coraggio come ci vuole audacia per combattere una guerra o intraprendere un viaggio di ritorno. Non c’è coincidenza tra autore e protagonista. Il suo obiettivo ultimo è il convincimento razionale del suo lettore delle tesi epicuree: • confuta la dottrina stoica secondo cui la natura è provvidenziale, perché la natura è incurante del destino degli uomini; • si scaglia contro le passioni amorose, che sono irrazionali e allontanano l’uomo dal raggiungimento dell’atarassia; • si pone in contrapposizione alla dottrina dei poeti neoterici; • si pone come obiettivo quello di sottrarre gli uomini dalla paura della morte. Condanna le passioni amorose. Il saggio epicureo si deve tenere lontano dalla passione irrazionale che non ha alcune giustificazione nei dettami della natura. Esaltazione della ratio come serenità e libertà interiori. Questo estremo razionalismo ha un limite: non basta ad allontanare gli uomini dalla paura della morte. Ma Lucrezio replica sostenendo che se si è vissuta una vita piacevole non si devono avere rimpianti, in caso contrario è un bene che sia finita. 4. Lingua e stile di Lucrezio Grande capacità di elaborazione artistica. Stile rude, legato all’uso arcaico, a tratti prosaico e ripetitivo. Lo stile doveva piegarsi al fine di persuadere il lettore. Frequenti ripetizioni fungono da formule rituali ripetute al fine di essere memorabili, in punti chiave del poema. Continuo invita all’attenzione del lettore. Invito all’attenzione del lettore spesso reiterato. Consentiva al lettore di familiarizzare con un linguaggio difficile. Povertà della lingua solo per quanto riguarda il lessico prettamente tecnico: sfrutta la gran mole di vocaboli poetici che la tradizione arcaica gli fornisce nel campo degli aggettivi composti. Propensione agli avverbi, perifrasi, allitterazioni, assonanze, costrutti arcaici, effetti di suono dal gusto espressivo-patetico. Lucrezio dimostra di possedere una vasta conoscenza della letteratura greca. Riprese di Omero, Platone, Eschilo, Euripide. Il tratto distintivo di Lucrezio va individuato nella concretezza dell’espressione. Evidenza e vivacità descrittiva, corporalità dell’immaginario. Contrasto efficace tra movenze di una lingua viva e colloquiale, scelta di uno stile grande e sublime. CICERONE Cicerone ha rappresentato più di ogni altro scrittore l’essenza stessa della latinità. Fu un oratore e un avvocato impareggiabile, ma anche un uomo di grande cultura. Incarna la figura dell’uomo d’azione poiché seppe dare un giusto equilibrio alla sua vita, dedicando il giusto tempo sia al negotium che all’otium. Vita Di origine provinciale, Marco Tullio Cicerone nasce ad Arpino il 3 gennaio del 106 a. C. da famiglia equestre. Compie studi di retorica e filosofia a Roma. Diventa amico di Attico. Crescendo intraprende il cursus honorum divenendo, grazie alle sue incredibili capacità oratorie, uno dei più brillanti esponenti del senato; nonostante ciò, alcuni esponenti nobiliari riservano nei suoi confronti un atteggiamento diffidente a causa delle sue umili origini. Riceve un’istruzione eccellente specialmente di retorica, di lingua, di poesia e cultura greca e di filosofia. Nel corso dei suoi studi viene a contatto con il pensiero di Epicuro e di Platone. La sua vastissima cultura lo porta a definirsi un “uomo completo”, capace di comprendere i costumi e le tradizioni greche e latine, di narrare e comporre poesie. Compie il suo servizio militare tra il 90 e l’89 a. C., ma ritenendosi un uomo pacifico lo abbandona. Durante quegli anni si dedica allo studio del diritto (il tirocinium fori) sotto la guida di Scevola l’augure e Scevola il pontefice; nella cerchia di studenti dell’augure conosce Attico, con il quale mantiene un rapporto saldo di fiducia reciproca per tutta la vita. L’esordio di Cicerone come avvocato risale all’80 a. C., con la sua prima causa in difesa di Roscio Amerino. Nel 77 a. C. affiancò alla carriera di avvocato quella di politico. Nel 76 a. C. divenne questore in Sicilia. Pochi anni dopo, nel 70 a. C., Cicerone costituì la pubblica accusa contro Verre, governatore dell’isola, per conto dei siciliani. ◦ De praetura siciliensi: sulle malversazioni quando era pretore. ◦ De frumento: il più grave episodio di corruzione da lui commesso. ◦ De signis: a proposito dei saccheggi di opere d’arte e spoglio dei templi. ◦ De suppliciis: in cui passava in rassegna la crudeltà di Verre e le sue uccisioni arbitrarie. La vittora su Ortensio fu tale anche in campo letterario: ottima padronanza di tutte le sfumature della lingua, stile maturo, eloquenza secca e scarna lo fa avvicinare agli atticisti. Periodare armonioso e complesso. Sintassi duttile, padronanza di tutti i registri, narrazione che contempla tutti gli stili, dall’ironico al patetico. Verre viene rappresentato come un tiranno avido degli averi e del sangue dei suoi sudditi. Pro lege Manilia Anno 66, parla in favore del progetto che prevedeva la concessione a Pompeo di poteri straordinari sull’Oriente. Proposta avanzata dal tribuno Manilio. Grazie alla natura moderata di Cicerone, parte della nobiltà si schiera con il ceto equestre. Le Catilinarie È un insieme di quattro orazioni contro Catilina e rappresentano l’apice della carriera da oratore di Cicerone. Il processo si svolse alla fine del 63 a. C., al termine del suo consolato. Catilina, dopo aver tentato per due volte di essere eletto come console fallendo miseramente, si dedicò all’organizzazione di un colpo di stato. È verosimile che le ultime due Catilinarie siano state rimaneggiate per far apparire Cicerone come un uomo moderato e leale, nonostante si stessero già diffondendo le accuse su di lui riguardanti l’arbitraria condanna a morte di cittadini romani senza processo. Le orazioni vennero pubblicate alcuni anni dopo da Attico. Dopo che alcuni sicari di Catilina tentarono di uccidere Cicerone, questi si presentò in senato e pronunciò una delle sue orazioni più violente, in cui si smascheravano i preparativi e si denunciava l’esercito privato che Catilina aveva arruolato in Etruria. Nella notte dell’8 novembre Catilina partì per raggiungere il suo accampamento, ma il giorno seguente, dopo aver pronunciato la seconda catilinaria, i complici di Catilina vennero arrestati. Con la terza e la quarta catilinaria i congiurati vennero messi a morte senza processo. Pro Murena Tra la prima e la seconda catilinaria difende Murena da un’accusa di corruzione elettorale. Orazione ricca di ironia e satira. Le Filippiche E’ l’insieme delle quattordici orazioni pronunciate dopo l’assassinio di Giulio Cesare contro Marco Antonio. Il nome ‘Filippiche’ è una citazione alla collana di orazioni pronunciate da Demostene contro Filippo II di Macedonia. Tuttavia, l’esito negativo delle orazioni venne pagato da Cicerone con la vita. Altre Orazioni Pro Sextio Roscio: difesa di Sesto Roscio, accusato di omicidio da Silla. Pro Archia: difesa del poeta Archia. Pro Sestio: difesa di un tribuno accusato da Clodio di atti di violenza; l’orazione è importante perché esprime il concetto di consensum omnium bonorum. Il dovere dei boni è fornire sostegno attivo agli uomini politici che rappresentano la loro causa. Pro Milone: difesa di Milone, accusato dell’omicidio di Clodio. Pro Caelio: Anticlodiana, Celio amico di Cicerone e amante di Clodia. Orazione in cui si intreccinao i rancori personali di entrambe le fazioni. La vena satirica avvicina questa orazione alla pro Murena. In Pisonem: invettiva contro il suocero di Cesare, ritenuto da Cicerone uno dei responsabili del suo esilio. Pro Marcello: addita a Cesare un programma politico di riforma dello stato nel rispetto delle forme repubblicane e delle prerogative del senato. Prima delle tre orazioni cesariane. Opere retoriche Quasi tutte composte a partire dal 55. Nascono dal bisogno di una risposta culturale alla crisi. De Inventione Il problema se l’oratore dovesse accontentarsi della conoscenza di un certo numero di regole retoriche o gli fosse necessaria una larga cultura nel campo del diritto, della filosofia e della storia era argomento di dibattito già in Grecia. Si pronuncia, nel proemio, in favore di una sintesi tra eloquenza e sapientia (cultura filosofica), quest’ultima ritenuta necessariaalla formazione della coscienza morale dell’oratore. De Oratore Recitata nel 55 a. C., si divide in tre libri ed esprime l’ideale ciceroniano del perfetto oratore. Si tratta di un dialogo platonico. Cornice fittizia, ma storicamente definita, di cui sono protagonisti Marco Antonio e Lucio Licinio Crasso. • Nel I libro Crasso sostiene l’importanza di una vasta formazione culturale. Antonio sostiene un profilo istintivo e autodidatta. • Nel libro II Antonio espone i problemi concernenti inventio, dispositio, memoria. • Nel III libro Crasso discute delle questioni relative a elocutio e pronuntiatio e in genere all’actio. Oratore= vir bonus dicendi peritus. Nel primo libro viene detto che il perfetto oratore deve essere un uomo di vasta cultura, nel secondo viene detto che deve avere una vita sociale e politica attiva. Nel terzo libro vengono illustrate le varie fasi della stesura di un’orazione, che sono: inventio, dispositio, memoria, elocutio, actio. Brutus Viene scritto nel 46 a. C., si basa sul contrasto tra il neoatticismo, stile semplice e disadorno, e l’asianesimo, stile superato e ridondante. Viene dedicato a Bruto, che si stava avvicinando al neoatticismo. Cicerone sostiene che un bravo oratore debba saper padroneggiare ogni stile e saperlo usare adeguatamente a seconda della situazione. Carattere apologetico. Orator Esposizione continuata in un unico libro. Riprende i principi del De Oratore, aggiungendo una sezione sulla prosa ritmica, e definisce i compiti dell’oratore: probare, delectare, movere e flectere. I tre registri stilistici che l’oratore deve saper alternare, inoltre, sono umile, medio, elevato o patetico (opportuno nella peroratio finale). 4. Un progetto di stato De Republica Ispirato al modello del dialogo platonico. Nel 54 a. C. scrive un trattato politico in cui, rielaborando il pensiero greco, definisce un modello di Stato Ideale. Al contrario di quello di Platone, però, il suo non è un modello utopico, ma applicabile alla realtà. Migliore forma di stato nella costituzione romana è quella al tempo degli Scipioni. Il dialogo si svolge nel 129 nella villa di Scipione Emiliano tra Emiliano e Lelio. Ricostruzione della trama incerta. • Libro I, dottrina aristotelica sulle tre forme fondamentali di governo: monarchia, aristocrazia, democrazia, con degenerazione nelle forme estreme, tirannide, oligarchia, olocrazia. • Libro II, svolgimento costituzione romana • Libro III questione della giustizia, critica all’imperialismo romano e al concetto di guerra giusta • Libri IV e V introducela figura del rector et gubernator rei publicae, o princeps. Teoria del regime misto, esaltazione della repubblica di età scipionica. Princeps delineato come tipo di uomo politico, propone un'élite di personaggi eminenti che si ponga alla guida del senato. Ruolo del princeps posto all’interno dei limiti della forma statale repubblicana. Deve essere contro tutte le passioni egoistiche e contro il desiderio di ricchezza. 5. Una morale per la società romana Nel 45 la sua attività filosofica si infittisce a causa di eventi biografici. • De finibus bonotum et malorum, dedicata a Bruto, tratta di questioni etiche, cioè il problema del bene e del male. 5 libri comprendenti tre dialoghi. I-II, teoria degli epicurei, III-IV confronto tra stoicismo e accademia peripatetica,V teoria eclettica di Antioco, più vicina al pensiero dell’autore. • Tuscolanae disputationes, 5 libri, punto massimo di avvicinamento di Cicerone allo stoicismo più rigoroso, dialogo tra Cicerone e interlocutore anonimo. Cerca una risposta ai suoi personali interrogativi. • De natura deorum, De divinatione, De fato, di argomento religioso e teologico. • Cato maior de senecture, Laelius de amicitia, i precetti filosofici vengono incarnati da figure del passato. In generale, Cicerone si pone problemi che riguardano i fondamenti della stessa crisi sociale, politica e morale della società romana. • De officiis, destinato ai giovani, funzione pedagogica, divulgazione filosofica. Dimostra come l’assolvimento dei doveri non è possibile senza riflessione filosofica. Cicerone prosatore: lingua e stile Evita i grecismi, preferisce una costante sperimentazione lessicale nella traduzione dei termini greci. Diventa il modello della prosa occidentale, rigorosa architettura logica senza incoerenze, anacoluti né costruzioni a senso. Sostituzione della paratassi con l’ipotassi (subordinazione). Le tre gradazioni di stile devono essere impiegate a seconda delle esigenze discorsive corrispondenti: • Movere, commuovere l’auditorio; • Delectare, farlo divertire; • Probare, convincerlo con una solida quantità di argomenti e prove. 7. Le opere poetiche getto", probabilmente fra il 52 e il 51 (ma c’è anche chi pensa ad una scrittura graduale e contemporanea agli eventi), con grande equilibrio e straordinario senso della storia. Con quest’opera, Cesare intese evidentemente reagire alle critiche degli avversari politici per i grossi sacrifici di sangue e di denaro che la guerra aveva imposto: egli presentava così ai Romani la conquista della Gallia come una necessità storica volta ad evitare che i Germani, passato il Reno, invadessero appunto quella regione, premendo pericolosamente ai confini di Roma. Completati e integrati dall’ VIII libro, che copre gli anni 52-51 ed è solitamente attribuito al generale Irzio, furono seguiti dai • "Commentarii de bello civili" o semplicemente "Bellum civile" [47 - 46?]. Questi sono in 3 libri, e narrano i fatti degli anni 49-48 (guerra civile contro Pompeo), dal passaggio del Rubicone (genn. 49) al principio della guerra alessandrina (nov. 48). Non è affatto certo che la divisione in 3 libri risalga allo stesso autore: è possibile, infatti, che il I e il II formassero un unico libro, dato che (tenendo presente, in questa supposizione, la scansione del commentario precedente) narrano gli avvenimenti di un solo anno, il 49, mentre a quelli del 48 è dedicato il III. Il tono, rispetto alla precedente opera, è più partecipe (arrivando addirittura a sfiorare il satirico, quando assale gli avversari), anche per l’intento - pur se non palesemente - "apologetico": C., difatti, vuole mostrarsi come colui che si è sempre mantenuto nella legalità, e che anzi l’ha sempre difesa; insiste, con ciò, sulla propria costante volontà di "pax"; mostra i propri esempi di "clementia" verso i nemici sconfitti; e così via. Manco a dirlo, il destinatario della sua propaganda è lo strato "medio" e "benpensante" dell’opinione pubblica romana, pedina fondamentale per oggni velleità di potere. Nel corso della narrazione, vengono a trovarsi di fronte da una parte Cesare e dall’altra una classe dirigente ormai indegna di governare: questa contrapposizione "manichea" tra il vecchio e il nuovo è il fulcro centrale di questa entusiasmante opera storico-narrativa, ed è anche la sua chiave d’accesso. È lui, infatti, l’esecutore di un processo storico rivoluzionario, che senza alcun dubbio porterà al superamento dell’oligarchia-senatoria a vantaggio del popolo romano e ad una nuova era di gloria per Roma. Certamente, essendo stata scritta da Cesare stesso, l’opera non può essere asetticamente imparziale: tuttavia, nessuno può mettere in dubbio la sua grandezza e la sua sincerità. Egli, infatti, è sincero quando condanna la guerra civile e ne attribuisce la colpa a Catone e agli ottimati, perché loro e non Pompeo erano i veri colpevoli. Loro avevano infangato la sua "dignitas", loro con il "senatus consultum ultimum" avevano vietato ai tribuni il diritto ad esporre il veto. C., di per sé, non voleva la guerra civile. Se così non fosse come si spiegherebbe il suo comportamento nei confronti degli avversari? Non c’è stato un combattimento, poiché il suo scopo era far arrendere l’avversario e non distruggerlo, e ciò avviene soprattutto nella guerra di Spagna contro Afranio e Petreio e nei primi anni della guerra contro l’esercito di Pompeo. Come spiegare, ancora, la clemenza di C.? O la mancanza, nell’opera, di frammenti e di riferimenti riguardanti l’attraversamento del Rubicone? Inoltre dalla lettura viene fuori anche un grande amore del generale per i suoi soldati, tanto grande non fargli citare mai nell’opera l’ammutinamento della nona legione a Piacenza. Egli, poi, non parla mai di "hostes", ma di "adversarii", perché gli "hostes" non possono essere cittadini romani. Nella sua opera, insomma, non c’è odio, né nei confronti di Catone e degli ottimati, né tantomeno nei riguardi di Pompeo. Quest’ultimo si rammaricava di non essere cittadino romano ed era geloso dei successi di C., che offuscavano il suo nome; C., da parte sua, definiva Cnaeus Pompeius Magnus come un uomo che aveva sbagliato i calcoli e che si era fatto troppo entusiasmare dagli ottimati e dal desiderio della dittatura, ma egli stesso sapeva benissimo che era anche il solo in grado di poterlo valutare e di poter comprendere il suo vero ideale politico. Il nostro autore non commenta la morte di Pompeo, la narra e nel suo silenzio c’è angoscia: non a caso, l’opera termina con l’assassinio di Potino, ordinato proprio da C. per vendicare il grande Pompeo. -"Bellum Alexandrinum" (sull’omonima guerra, 48-47), di cui pare essere autore il già citato Irzio; -"Bellum Africanum" (in "sermo vulgaris") e "Bellum Hispaniense", in cui scrittori di molto minore levatura, forse essi stessi generali di C., narrano appunto le guerre d’Africa e di Spagna (46). SALLUSTIO Vita Sallustio nacque in Sabinada famiglia provinciale e plebea, ma abbastanza agiata, tal che egli poté completare la sua formazione a Roma (homo novus). Inizialmente schierato con i populares, subì la vendetta degli aristocratici e venne espulso dal senato nel 50 per indegnità morale. Dopo lo scoppio della guerra civile, si schierò dalla parte di Cesare e ottenne da lui di essere nominato governatore della provincia di Africa Nova (regno di Numidia). Diede prova di malgoverno e rapacità e si ritrirò dalla vita politica, dedicandosi alla storiografia. Morì nel 35. Opere Di Sallustio abbiamo: • "De coniuratione Catilinae" (42?): con essa, lo storico interrompe la tradizione annalistica della storiografia romana e si occupa di un episodio di storia contemporanea – appunto la congiura e il moto del 63-62 – facendovi precedere un’analisi della condotta cesariana del 66-63, vista come unica valida alternativa al corrotto "regime dei partiti", con riflesso sulle sue scelte politiche. Dopo un proemio moraleggiante e filosofico, impostato sull'affermazione che l'uomo è composto di anima e di corpo e che le facoltà spirituali devono prevalere su quelle materiali (facoltà spirituali precipue sono l'attività politica, quella militare, quella oratoria, quella storiografica), tutta la prima parte restante dell’opera è, praticamente, un’analisi e un’esegesi dell’inquietante fenomeno rivoluzionario, alla luce di categorie storiche, morali e psicologiche. Ne risulta, perciò, un quadro fosco, ma estremamente vivace, di una società profondamente corrotta, su cui campeggia come figura dominante Catilina, intelligente, coraggioso e malvagio: una figura sinistra, ma estremamente affascinante, al cui carisma sembra non riuscire a sottrarsi neanche lo stesso S.. Accanto a Catilina, troviamo poi altri personaggi "studiati" con eguale interesse: i congiurati, Sempronia, Cicerone (per quanto ridimensionato) e soprattutto Cesare e Catone (visti come entrambi positivi – direi "complementari" – per Roma: uno con la sua liberalità, munificenza e misericordia; l’altro con la sua "integritas", "severitas", "innocentia"…). Come già si può arguire da quanto detto, il metodo e il fine adottati nell’analisi sono moralistici: S. ritiene che l’antica grandezza della repubblica fosse garantita dall’integrità e dalla virtù dei cittadini, e vede nel successo, nella ricchezza e nel lusso le cause della decadenza e la possibilità di tentativi come quello di Catilina. • "Bellum Iugurthinum" (40 ca): narra, in 114 capitoli, la guerra combattuta dai romani (111-105 a. C.) contro appunto Giugurta, re di Numidia. Ma il pretesto bellico serviva a mascherare un'altra guerra, quella interna, del popolo che combatteva la prepotenza della nobiltà senatoria, la quale delle imprese militari si era creato un monopolio a beneficio dei suoi appaltatori, avidi di nuovi guadagni provinciali. Così, anche qui il taglio è moralistico e scopertamente politico: se infatti, da una parte, S. si dimostra capace di forti sintesi storiche, dall’altra rivela vigore polemico nel denunciare l’incompetenza della "nobilitas" nella conduzione della guerra, e la sua corruzione generale; nel valorizzare le ragioni espansionistiche della classe mercantile; nell’auspicare la nascita di una nuova aristocrazia, fondata sulla "virtus" (a tal proposito, si ricordi il discorso di Mario, contenuto nell'opera). • le "Historiae", di cui abbiamo un numero abbastanza cospicuo di frammenti di 5 libri e alcuni discorsi. Esse riprendono e sviluppano le "Historiae" di Sisenna, andando dalla morte di Silla (78) fino (probabilmente) alla guerra di Pompeo contro i pirati (67). Dai frammenti, si evince che S. era ritornato all’annalistica (ma, diversamente dall'annalistica tradizionale, non iniziava "ab urbe condita" e trattava solo una serie di avvenimenti, per lo più contemporanei) e che il suo pessimismo si era, se possibile, acuito. • Oggi non conosciamo più la sua traduzione dei poemi di Empedocle (ammesso che l' "Empedoclea", di cui parla Cicerone in una lettera, sia davvero opera sua). A lui si attribuiscono anche 2 epistole politiche a Cesare, nelle quali addita al dittatore le possibili riforme dello stato (in primo luogo, l'abolizione del capitalismo), che ponessero freno al lusso dei nobili ed attuassero una più profonda giustizia sociale; quasi sicuramente spuria è invece un’invettiva contro Cicerone, di scuola retorica. 1. La monografia storica come genere letterario Si dedica alle opere storiche dopo essersi ritirato dalla politica. Le sue opere si nutrono di luoghi comuni della filosofia divulgativa, ma i proemi rispondono all’esigenza di dare conto della propria attività intellettuale di fronte alla tradizione per cui fare storia è più importante che scriverne. Sallustio attribuisce alla storiografia un valore di gran lunga minore rispetto alla politica, e non le conferisce un significato autonomo. I cenni autobiografici nelle sue monografie sono volte a motivare la scelta dell’abbandono della politica con la crisi che ha corrotto la società e le istituzioni. Denuncia l’avidità di ricchezza e di potere come i mali che hanno rovinato la politica romana. L’impostazione monografica serviva a delimitare e mettere a fuoco un singolo problema storico sullo sfondo di una visione organica della storia di Roma. Questa scelta porta Sallustio ad elaborare un nuovo stile storiografico. 2. La congiura di Catilina e il timore dei ceti subalterni La congiura era stata repressa da Cicerone nel 63. Voleva coalizzare i ceti poveri contro il senato. Dopo il proemio, nel Bellum Catilinae Sallustio delinea il ritratto di Catilina, aristocratico corrotto, sullo sfondo generale della decadenza dei costumi romani. Approfittando di questa decadenza, Catilina raduna intorno a sé personaggi che necessitano di sfuggire ai tribunali e auspicano un cambiamento di regime. La nobilitas affida il consolato ad Antonio e Cicerone per cercare di scongiurare ogni pericolo. Dopo aver perso Catilina le elezioni consolari, Manlio raduna a Fiesole un esercito di disperati e compie alcuni attentati alla vita di Cicerone, che vanno a vuoto. Cicerone fa incarcerare i compagni rimasti in città, che vengono giustiziati. Catilina scappa, ma viene intercettato a Pistoia, costretto a combattere e ucciso nella battaglia del 55-61. All’inizio dell’opera, un grande excursus è dedicato all’archeologia di Roma, ovvero di una breve storia dell’ascesa e della decadenza della potenza romana. Il punto di svolta è individuato nella distruzione di Cartagine, a partire dalla quale, annientato il metus hostilis, si era visto un deterioramento della moralità romana, in mancanza del timore che teneva compatto il sistema di valori. Un secondo excursus, al centro dell’opera, denuncia la degenerazione della vita politica romana nel periodo che va dalla dominazione di Silla alla guerra civile tra Cesare e Pompeo. La condanna coinvolge in pari modo i populares e i fautori del senato. Sosteneva che abolire la conflittualità dei partiti fosse l’unico modo per mettere i ceti possidenti in riparo dal pericolo di sovversione sociale. Si aspetta che Cesare possa porre una fine a questo problema e che possa farlo attraverso un regime autoritario, in cui un princeps si faccia garante dell’ordine pubblico. Questo spiega la parziale deformazione di Cesare, che viene purificato dai contatti e dai legami con i catilinari. Indica come prima causa della congiura la corruzione della gioventù. Insistenza sulle tematiche legalitarie esposte per conto di Cesare. Dopo la narrazione della seduta del senato, delinea • X conforto di Virgilio alle sofferenze d’amore di Cornelio Gallo Sono dieci come i dieci idilli teocritei, ci sono parallelismi tra i carmi. Paesaggio mitico e familiare del poeta. Accenni all’Arcadia. Libero riuso di spunti autobiografici. Le egloghe I e IX contengono riferimenti personali alle confische delle terre nel mantovano. Questione del puer nella IV egloga. Maturità poetica e maturazione delle scelte di vita. 2. Dalle Bucoliche alle Georgiche Le Georgiche sono state elaborate in 10 anni di lavoro. Concluse verso similmente nel 29 a.C., frutto di tante letture, dalla poesia greca e romana alle fonti tecniche in prosa. 3. Le Georgiche Aggancio immediato con la poesia ellenistica. Contengono un messaggio di insegnamento e informazione, ma questo messaggio è specializzato e ridotto nelle sue aspirazioni. No pretesa di insegnare a un destinatario, la figura rimane per una sopravvivenza formale, di genere. Informazioni poco profonde sull’astronomia, testo intriso di richiami omerici. Unità dell’opera hìgarantita dall’uniformità dello stile e dalla specializzazione monografica dell’argomento. Rigore formale, alternanza di cataloghi, descrizioni, digressioni narrative. Più vicino a Lucrezio che agli alessandrini. Presenza di gusto delle cose tenui, sforzo di trasformazione in poesia di dettagli fisici e realtà minute. Analogie con Lucrezio: contadino come figura che raggiunge uno stato di autosufficienza spirituale e materiale, come risposta alla crisi culturale e sociale della repubblica romana. Accoglie però più largamente la religiosità tradizionale. La tensione dell’anima a liberarsi dalle angosce lascia spazio a un sapere più debole, ancorato al ritmo della vita quotidiana. Lucrezio guarda alle cause naturali come retroscena della cultura romana, Virgilio si concentra su ciò che incivilisce e umanizza la natura. Il giovane Ottaviano si profila come l’unico che può salvare il mondo civilizzato dalla decadenza e dalla guerra civile: età della crisi della prima battaglia di Azio. Il principe assicura le condizioni di sicurezza e prosperità in cui il mondo dei contadini può ritrovare la continuità di vita. Primo documento della letteratura latina nell’età del principato. Rottura con la politica romana tradizionale, figura del principe divinizzato, proveniente dalla tradizione ellenistica. Il poema finisce per affrontare di scorcio i problemi della vita urbana e in generale del vivere. Il vero destinatario dell’opera è il pubblico che conosce la vita delle città e le sue crisi. L’eroe del poema è il piccolo proprietario agricolo, il coltivatore diretto. Convergenze tra Virgilio e la propaganda ideologica augustea. I temi dei quattro libri sono: • lavoro dei campi • arboricoltura • allevamento del bestiame • apicoltura Quattro attività fondamentali del contadino, ma non le uniche. Selezione precisa. L’apporto della fatica umana diviene sempre meno accentuato, la natura diventa sempre più protagonista. Struttura del poema orientata dal grande al piccolo, dalle leggi cosmiche del lavoro agricolo al microcosmo dell’alveare. Ogni libro ha autonomia tematica, è collegato con gli altri attraverso un piano complessivo. Ogni libro è introdotto da un proemio e dotato di sezioni digressive. Virgilio tende a indebolire le costrizioni logiche del pensiero, i forti nessi argomentativi, i collegamenti tra un tema e l’altro, ma l’architettura del poema è regolata e simmetrica. Nasce così una nuova struttura poetica: il discorso fluisce naturale, nascondendo i passaggi logici, muovendosi per associazioni di idee o contrapposizioni. Il dinamismo finisce per trovare equilibrio in una architettura d’insieme. Ogni libro delle Georgiche è dotato di una digressione conclusiva di estensione regolare: • le guerre civili • la lode della vita agreste • la peste degli animali del Norico • la storia di Aristeo e delle sue apicoltura I libri I-III e II-IV risultano accoppiati dalla lunghezza delle digressioni. 4. L’Eneide Confronto diretto con Omero. Duplice intenzione dell’Eneide: imitare Omero e lodare Augusto partendo dai suoi antenati. Dodici libri concepiti come una risposta ai 48 omerici. L’Eneide è una contaminazione tra i due poemi omerici e una continuazione di Omero. Figura di Enea già presente in Omero, era un eroe impostante, ma non fondamentale.Virgilio lo rende protagonista. Parente alla lontana di Romolo, mette sullo stesso piano la stirpe romana e quella greca. Trama Enea fugge da Troia in fiamme portando con sé il padre Anchise e il figlio Ascanio, mentre la moglie, Creusa muore durante la fuga. Disperato, Enea si imbarca insieme ad altri troiani in cerca di una nuova terra. Il loro viaggio dura per 7 anni soprattutto perché Giunone (nemica di Enea) provoca terribili tempeste. Finalmente i profughi approdano a Cartagine (nel nord dell'Africa) dove Enea conosce Didone che si innamora perdutamente di lui. I troiani si trovano bene, il regno è molto ospitale e vorrebbero fermarsi, ma Enea insiste per partire perché sa che è in Italia che dovranno fondare un nuovo regno. Dopo la partenza di Enea, Didone, disperata, si suicida con la spada dell'amato, maledicendolo per sempre e facendo giurare vendetta al suo popolo perché distrugga i suoi futuri discendenti (cioè i romani). Come molti altri eroi greci anche Enea, durante il suo avventuroso viaggio, deve discendere agli Inferi, dove incontra il padre Anchise, già morto, che prevede per lui la fondazione di un potente Impero (Roma). Finalmente Enea arriva nel Lazio, dove governa il re Latino. Questi ha una figlia di nome Lavinia che deve sposarsi con Turno, capo di una banda di rivoltosi chiamati Rutuli. Tutto ciò era stato combinato nonostante un oracolo avesse profetizzato a Latino che un uomo venuto dal mare (Enea) avrebbe sposato sua figlia e avrebbe creato un impero. Turno ed Enea si dichiarano guerra per la bella principessa (che preferisce Enea) e iniziano a combattere. Enea è aiutato da Venere (dea dell’Amore), Turno da Giunone (nemica di Enea). Giove evita di schierarsi, e la guerra si prolunga per un certo tempo. Alla fine, Enea uccide Turno in battaglia e ottiene la mano di Lavinia. Insieme fondano il regno che un giorno diventerà Roma. Stile Eneide opera densa di significato storico e politico, ma non è un poema storico. Stile epico virgiliano concilia il massimo di libertà con il massimo di ordine. Scritta in esametri regolari e flessibili. Esametro come strumento di narrazione lunga e continua, articolata e variata. Numero ristretto di cesure principali, in configurazioni privilegiate, in modo da dare quella regolarità di fondo che è indispensabile allo stile epico. Periodare ampio o breve in dipendenza alla varietà di situazioni espressive. Eneide ricca di arcaismi e poetismi, calchi dal greco e neologismi, ma anche parole “normali”, termini non marcatamente poetici. Nuovi collegamenti tra le parole. Ripetizioni verbali, epiteti stabili, procedimenti formulari. ORAZIO Orazio Flacco è stato uno dei maggiori poeti romani dell’età antica. Nacque a Venosa, in Basilicata, l’8 dicembre del 65 a.C. Suo padre era un liberto, possessore di piccola proprietà terriera.Il padre lo portò a Roma perché fosse educato alla pari dei figli degli aristocratici. Si reca poi in Grecia per perfezionare gli studi. Frattanto a Roma, alla morte di Cesare, 44 a.C., per i giovani romani si presentava il momento di operare una scelta fra le varie fazioni in lotta. Orazio scelse di arruolarsi nell’esercito di Marco Giunio Bruto e affrontare i triumviri Ottaviano, Lepido e Antonio. Vi rimase fino alla Battaglia di Filippi del 42 a.C. Dopo il suicidio di Bruto, Orazio ritornò a Roma, approfittando del decreto di amnistia concesso dai vincitori. Per qualche tempo condusse una vita grama, dal momento che i beni paterni gli erano stati confiscati per la distribuzione delle terre ai veterani. Per vivere trovò un posto come scriba quaestorius, segretario di un questore. Intanto iniziò a scrivere le prime Satire e i primi Epodi. Piacquero a poeti famosi come Virgilio e Vario, che nel 38 a.C. lo presentarono a Mecenate. Questo incontro contribuì a dargli un benessere economico, ma anche a diffondere la sua fama di poeta. Da Mecenate ebbe in dono nel 33 a.C. una villa in Sabina. • Epòdi: 17 componimenti, 41-30, il nome richiama una forma metrica, cioè il verso più corto che segue quello più lungo, formando con esso un distico. Li chiama iambi in riferimento al ritmo che prevale negli Epodi e alludendo al recupero di quel tono aggressivo che fin dalle origini era associato alla poesia giambica. Raccolta ordinata secondo il criterio editoriale metrico invalso a partire dall’età alessandrina. Raccolta caratterizzata da varietà di argomenti. Carmi di invettiva, epodi erotici, epodi civili + epodo gnomico (13) e epodo 2. • Satire: libro I 10 componimenti, dedicato a Mecenate, pubblicato forse nel 35. II libro nel 30, solo 8 satire. Difficile cronologia interna, argomenti vari (letterario-programmatico, incontentabilità umana e avarizia, adulterio, indulgenza nei confronti dei difetti, riflessione sulla propria condizione sociale e sui rapporti con Mecenate. • Odi: 3 libri pubblicati nel 23. Orazio ci lavora per sette anni. Carmen saeculare commissionato da Augusto nel 36 a. C., da eseguire nei ludi saeculares, inno di un coro di 27 donne e 27 uomini, in metro saffico. Invocazione ad Apollo e Diana perché assicurino prosperità a Roma e al regime augusteo. In generale, la lirica oraziana sperimenta metri vari, tra cui sono dominanti la strofe alcaica e la strofe asclepiadea. Libri poetici organizzati artisticamente in una cornice architettonica significativa. Il criterio dell’organizzazione del libro sembra essere la variatio metrico-formale e di tono e contenuto. Raramente le Odi danno spazio a libere meditazioni o introspezioni. Quasi sempre hanno impostazione dialogica, rivolte a un tu che può essere un personaggio reale o immaginario, un dio o una musa, una collettività o un oggetto inanimato. • Epistole: I libro pubblicato nel 20 a. C., dopo tre anni di lavoro, comprende 20 componimenti in esametri. Epistola proemiale dedicata a Mecenate, presentazione e giustificazione della nuova forma letteraria. Il II libro contiene due epistole di carattere letterario, forse postumo. Rientra l’Ars Poetica. 1. Gli Epodi come poesia dell’eccesso Un altro modello della sua lirica è Saffo, ma in maniera minore rispetto ad Alceo. Un ruolo lo hanno anche Anacreonte e Pindaro. Il richiamarsi alla lirica greca arcaica aveva le caratteristiche di una precisa scelta programmatica ed esprimeva la volontà consapevole di distinguersi dall’alessandrinismo dei neòteroi. Esigenza attuale di attenzione appassionata per le vicende della res publica e per la forma della vita quotidiana di Roma: una mondanità fatta di amori, feste, conviti, danze, poesia. Temi e caratteristiche della lirica oraziana Consolidata è l’immagine di Orazio poeta dell’equilibrio sereno, del distacco dalle passioni, della moderazione, e questa immagine è abbastanza rispettosa della realtà. No ricerca morale fondata sull’osservazione critica degli altri. Le Odi cominciano dove le Satire finiscono. Meditazione su poche fondamentali conquiste della saggezza, soprattutto epicurea. Il punto centrale della coscienza è la brevità della vita, che comporta la necessità di appropriarsi delle gioie del momento, senza perdersi nell’inutile gioco delle speranze, dei progetti o delle paure (vd. Carpe diem). Il Carpe diem non è un banale invito al godimento: in Orazio, l’invito al piacere stesso è caduco, come lo è la vita stessa. Non resta che fabbricarsi la solida protezione dei beni già goduti, della felicità già vissuta. Questa meditazione può talvolta tradursi in canto della propria serenità: la felicità dell’autarkeia, la condizione del poeta-saggio, libero dai tormenti della follia umana e benedetto dalla protezione degli dei. Il favore divino si manifesta trasfigurando in miracolo di circostanze dell’esistenza quotidiana. Niente è un possesso sicuro: saggezza, serenità, equilibrio. Orazio non ignora la forza delle passioni, conosce le debolezze dell’animo, e sa che ciò cui egli aspira e che consiglia agli amici va conquistato e difeso in ogni momento. La saggezza si scontra con i dati immutabili della condizione dell’uomo nel mondo: la fugacità del tempo, la vecchiaia, la morte. Nessuna saggezza ha la capacità di eliminare tanto peso negativo: contro le angosce e contro il dolore della vita si può soltanto ingaggiare una lotta virile per trasformare l’inquietudine e l’amarezza in accettazione del destino. L’altro polo della lirica oraziana è la poesia impegnata sui temi civili e nazionali, con la celebrazione di personaggi, avvenimenti e miti del regime di Augusto. Originale rispetto ai modelli greci. Ha saputo innestare spunti nazionali, suggestioni provenienti dall’epica e dalla storiografia. Quest’opera rispondeva ad esigenze personali, ben radicate in una generazione che guardava con speranza ed entusiasmo al principe vincitore e garante della pace. Non c’erano quindi solo pressioni da parte del regime augusteo. No solo propaganda in versi. Orazio poeta della comunità sa spesso farsi interprete delle incertezze e dei timori, di scoraggiamenti e poi di improvvise gioie liberatrici. Anche la lode del principe sfugge dalle movenze cortigiane dell’encomio ellenistico. Dell’ideologia augustea, la lirica oraziana condivide l’impostazione moralistica. Questa poesia moralistica può a tratti incontrare la ricerca morale oraziana: nella critica del lusso, di stravaganze e follie, nell’ammirazione per l’autosufficienza della virtus. La pubblica ricorrenza può anche essere occasione di gioia privata: il poeta festeggia con un convito o un incontro galante. Un quarto delle odi di Orazio possono definirsi erotiche: Orazio guarda alla passione con ironico distacco, l’amore viene analizzato come un fenomeno il cui canovaccio è piuttosto scontato: serenate, incontri, giuramenti, schermaglie, vita galante e sportiva, conviti. Spesso il poeta osserva con un sorriso la credulità del giovane, ma l’ironia oraziana non ignora la passione: ne conosce la crudeltà, la rievoca con malinconia, la sente inopinatamente risorgere. Ben rappresentato nella lirica oraziana è anche l’inno: le differenze con la lirica greca arcaica qui sono cospicue, anche perché la lirica religiosa oraziana è priva del legame con una occasione e una esecuzione rituale: dell’inno conserva spesso il formulario e l’andamento, ma è intessuto di riferimenti e sviluppi di carattere letterario. Tuttavia, non sempre è facile collegare le odi oraziane in un genere definito, perché il poeta ama contaminare categorie liriche diverse nello stesso componimento. Esistono poi temi ricorrenti che attraversano largamente i carmi di natura diversa. La campagna è solitamente stilizzata come locus amoenus, ma conosce anche il fascino del paesaggio dionisiaco, cioè quello di una natura montana, selvaggia e aspra, fatta di rupi, boschi, fonti e non domata dall’uomo. Ma i luoghi più propriamente oraziani sono quelli individuati dallo spazio limitato e racchiuso del piccolo podere personale, spazio caro e sicuro. Questo spazio privilegiato funziona come una figura simbolica dell’esistenza del poeta. L’angulus è il luogo deputato al canto, al vino e alla saggezza. Diventa il nucleo generativo di molta poesia in quanto si associa ad altri due temi: la morte e l’amicizia. L’amicizia ha un ruolo fondamentale e fornisce ai singoli poemi un ampio ventaglio di destinatari. Importante è anche il motivo della vocazione poetica: il vate si sente in rapporto con le Muse e le altre divinità ispiratrici, esprime entusiasmo per la sua missione e orgoglio per la sua opera. La perfezione dello stile è uno dei marchi caratteristici della poesia oraziana: una raffinatezza che deve molto a Callimaco. Orazio usa un vocabolario molto semplice,che lascia spazio anche a parole sentite come prosaiche in altre tradizioni di poesia. La semplicità e l’essenzialità guida anche la scelta dell’aggettivazione, il moderato impiego delle figure di suono, metafore e similitudini. Sintassi semplice, fortemente ellittica, con costruzioni greche, iperbati ed enjambements. Dizione non ridondante, asciutta e levigata. Virtuosismo metrico. Artificio della callida iunctura. Massima economia di inventività linguistica, sforzo innovativo ridotto al minimo. Sobrietà e limpidezza classica. 4. Le Epistole: progetto culturale e anacoresi filosofica Conversazioni in esametro. Tutti i componimenti hanno un destinatario, talvolta vengono esibiti i tratti caratteristici delle lettere. No carattere reale, non avevano realmente una funzione provata, ma forse alcune lettere sono state inviate veramente. Sermo oraziano, intonazione personale, varietà di modi e atteggiamenti richiesta dall’attenzione nei confronti del destinatario. Novità nel panorama letterario latino. Raccolta sistematica di lettere in versi, probabilmente sperimentazione originale. Non si richiama a un inventor del genere. Le lettere oraziane presuppongono uno spostamento verso la periferia rustica, che risuona di memorie filosofiche. I destinatari sono invitati a ripetere una scelta sapienziale che Orazio visualizza in figura di viaggio verso l’angulus. La persona poetica delle Epistole è ritratta sullo sfondo di un paesaggio appartato che ripropone il traguardo epicureo del De Rerum Natura lucreziano. Rapporto autore-lettore imposto dall’evidenza di un impianto comunicativo tutto rivolto verso l’ingiunzione e l’esortazione. Modello dell’educatore lucreziano. Ma non sempre i destinatari si mostrano ricettivi alla proposta di un nuovo mondo filosofico, per certi versi più affine a quello fantastico-letterario delle Bucoliche virgiliane. La riflessione morale non procede attraverso l’osservazione critica della società contemporanea. La morale oraziana sembra prendere coscienza sempre più netta delle proprie debolezze e contraddizioni. Neanche l’autarkeia sembra garantire al poeta un atteggiamento coerente e costante. Sembra oscillare tra un rigore morale che lo spaventa ma lo attrae e un edonismo di cui avverte insieme concretezza e fragilità. Tema diatribico, insoddisfazione di sé, oscillazione morale sono temi che caratterizzano le Epistole. Alla esibita debolezza della propria posizione etico-filosofica fa riscontro una accresciuta impostazione didascalica del discorso oraziano. La forma epistolare corrisponde in qualche modo alla posizione di un intellettuale eminente e rispettato, che è interlocutore e anche punto di riferimento dell'élite sociale augustea. Nel rapporto a due proprio della lettera c’è spazio per confessare, ma anche ammonire e insegnare. Orazio interviene anche nel dibattito con l’autorità che gli è garantita da un sicuro prestigio e dal suo rapporto personale con il principe. Augusto è infatti l’interlocutore primario, implicito o esplicito. TIBULLO E PROPERZIO Tibullo Vita Nacque nel lazio rurale, da una famiglia agiata di equites. Si legò a Messalla Corvino, che seguì nelle sue missioni. Opere Dall’antichità ci giunse il cosiddetto corpus tibullianum, una raccolta eterogenea in III libri (diventati quattro in età umanistica), di cui i primi due sono autentici: • libro primo: dedicate a Delia, cioè un’ellenizzazione del nome latino Plania (planus = delos); costei ha tutti i tratti tipici dell’amante elegiaca: volubile, capricciosa, amante del lusso; abbiamo pure delle elegie per un giovanetto • una nuova donna, Nemesi, ha scalzato Delia: è più aspra e cortigiana il mito della pace agreste Egli è il poeta dei campi, della serena vita agreste, ma non manca lo scenario tipico dell’elegia, ossia l'ambiente cittadino. C’è nella poesia elegiaca la tendenza a costruirsi un mondo ideale di fuga, di evasione: questo mondo dove il poeta proietta la sua esperienza, è generalmente il mito, mentre in Tibullo è il mondo agreste. La campagna è sede di una idilliaca felicità, ma pure luogo del rimpianto, del desiderio e luogo d’approdo sperato. Vi troviamo pure immagini autobiografiche. Forte in lui il bisogno di pace e serenità, di uno spazio in cui proteggersi dalle insidie. Alla pace poi corrisponde l’antimilitarismo, l’esacrazione della guerra, in un clima diffuso al tempo: ciò si accorda col vagheggiamento di un anti-mondo ideale. Alle spalle di questo mondo bucolico sta la campagna italica: abbiamo antichi valori agresti, tradizionali, antimodernisti. In questo modo Tibullo esprime la contraddizione della poesia elegiaca: pur dichiarandosi anticonformista, tuttavia ritorna a modelli sociali tradizionali. Tibullo poeta doctus Anche Tibullo, come Properzio ma meno vistosamente, ha in sé i tratti della poesia ellenistica: anche lui è poeta doctus. Sua è una scrittura attentissima, dove la semplicità è il risultato di grande labor limae, dove pure l’apparente immediatezza è estremamente studiata corpus tibullianum vd libro Visse in una Roma lontana dalle sanguinose guerre civili, che lui stesso non vide e pertanto mal tollera i modelli di vita arcaici proposti dal regime: si fa interprete delle aspirazioni ad una vita più rilassata, meno rigida, e infatti elabora una poetica che corrisponde a questo raffinato stile di vita. Pertanto la sua è una poesia antimimetica, antinaturalistica, innovatrice, lontana dalla linea aristotelico-oraziana: rivendica il suo carattere letterario e allude apertamente ai suoi modelli. Egli, perfezionando il distico, scrive in uno stile terso, elegante, musicale e fluido: per lui dunque la letteratura è un elegante ornamento alla vita. 2. gli Amores Il suo esordio lo si ha con una raccolta di elegie a soggetto amoroso; reca traccia dei modelli elegiaci, Tibullo e Properzio, e dà voce ai temi tipici dell’elegia: poesie d’occasione (epicedio per la morte di Tibullo), di schietto stampo alessandrino, d’amore, di incontri fugaci, di baruffe con l’amante etc. Tuttavia presenta dei tratti nuovi: anzitutto manca una figura unica, un centro unificante, cioè non c’è una Delia o una Cinzia; Corinna infatti è una figura tenue, dalla presenza intermittente e limitata, e il poeta stesso afferma di non sentirsi appagato da un’unica donna. Pure il pathos si stempera e banalizza: il dramma di Catullo o Properzio per Ovidio diventa un lusus, l’esperienza erotica è analizzata sotto la lente dell’ironia e di un distacco intellettuale, infatti scarso è il servitium amoris negli Amores. L’unico è quello verso l’Amore in generale, verso l’esperienza amorosa in sé. Cresce poi la coscienza letteraria, per cui la poesia diventa strumento di immortalità e come un’autonoma creazione svincolata dal reale. 3. la poesia erotico-didascalica Alcune elegie didascaliche e lo svuotamento ironico dell’esperienza amorosa negli Amores fanno da collegamento col gruppo delle opere erotiche costituito dall’Ars, Remedia e Medicamina: sono un vero ciclo di poesia didascalica, pure cronologicamente vicine, e rappresentano, specie per l’Ars, la conseguenza naturale insita nell’ideologia degli Amores. Un aggancio tra queste opere e gli Amores è l’elegia I,8 dove il poeta rielabora un motivo tradizionale della poesia erotica, ossia quello della lena, la mezzana che impartisce precetti ad una giovane donna per riuscire più seducente: questa figura, tanto deprecata nella poesia elegiaca, qui diventa positiva, in quanto il suo fare smaliziato, il suo essere così pragmatica ricordano i precetti dello stesso Ovidio. Ella dunque diventa progenitrice del genere didascalico, perché uguale è la concezione che sottende le due opere; solo però negli amores il poeta è protagonista, nell’Ars è tutto regista. La relazione d’amore così diventa un gioco intellettuale, un divertimento galante, avente un suo corpus di regole, un suo codice etico-estetico, ove cioè ruoli e situazioni sono codificati: dunque il ruolo del poeta è quello di redigere un inventario dell’universo elegiaco. Ars amatoria: in tre libri (I: come conquistar le donne, II: come tener l’amore, III: per le donne). Descrive i luoghi d’incontro, gli ambienti mondani della capitale (banchetti, teatri, passeggiate), e i momenti di svago e divertimento. La veste formale è quella del poema didascalico (quindi ha come modelli le Georgiche e il De rerum natura), donde mutua spiritosamente i moduli; l’andamento precettistico è talvolta interrotto da inserti mitologici e storici, usati come exempla. Il perfetto amante ovidiano è caratterizzato da una disinvolta spregiudicatezze e insofferenza verso la morale tradizionale, ma a ben guardare il carattere libertino è solo apparente: il suo eros perde ogni impegno etico, ogni velleità di ribellione. Infatti, quell’assolutezza dell’eros come valore fondativo di una nuova morale, che fu già dell’elegia e di Catullo, in Ovidio viene meno: egli reclama per sé una zona franca, tollerata. Ovidio così non cerca la ribellione, ma piuttosto, negando l’impegno totalizzante dell’amore e addolcendone i tratti più aggressivi, ricerca una riconciliazione della poesia elegiaca con la società. Egli d’altronde rileva le contraddizioni del genere elegiaco, che, pur contrapponendosi a parole al sistema tradizionale, di fatto non elabora un nuovo modello etico ma li mutua dalla tradizione: a questo atteggiamento di fatto arcaicizzante Ovidio contrappone una accettazione entusiastica dello stile di vita della Roma moderna. Medicamina faciei feminae: si oppone al tradizionale rifiuto della cosmesi Remedia amoris: rovescia i precetti dell’Ars, infatti insegna come liberarsi dall’amore. Rovescia un assunto topico dell’elegia, ossia che dell’amore non ci si possa liberare sicché il poeta gode di questa pena: Ovidio invece afferma che sia necessario liberarsi dall’amore se duole, essendo solo un gioco. Così facendo Ovidio chiude definitivamente il periodo della poesia elegiaca. 4. Heroides Altra fonte della poesia ovidiana è il mito, come si vede da questa raccolta di lettere poetiche: • prima serie (1-15): lettere di donne del mito, ma non solo, ai compagni. Data di composizione forse da far coincidere con quella degli Amores • seconda serie (16-21): tre lettere di innamorati e risposte delle donne. Composta prima dell’esilio (4-8 d.C) Non abbiamo notizie di raccolte di lettere poetiche amorose prima di questa; forse l’idea gli viene da un’elegia di Properzio (IV, 3), molto evocata nelle Heroides. Il materiale letterario è tratto dalla tragedia, da Callimaco, dalla poesia ellenistica e latina. I personaggi sono tratti dal mito, ma le situazioni sono pienamente elegiache: abbiamo sofferenze per la lontananza, recriminazioni, lamenti etc. Dunque Ovidio rilegge con la lente dell’elegia il mito, la tragedia e l’epos: questa rilettura non sta tanto nei materiali e tecniche narrative, ma è una prospettiva che riduce al linguaggio elegiaco ogni tema, è cioè un processo di deformazione. Mediante questa ricodificazione, Ovidio introduce il lettore all’interno di un nuovo universo letterario fondato sulla compresenza di codici e sulla deformazione dei modelli. La forma epistolare però impone vincoli precisi al poeta: sono infatti monologhi, testi chiusi, che hanno alla base situazioni ricorrenti. La scrittura dunque non permetteva molte variazioni: l’andamento monologico è interrotto solo da qualche flash-back della memoria. Le più interessanti sono quelle che si rivolgono al futuro: essendo quella della lettera una struttura chiusa caratterizzata da uno spazio contratto, Ovidio deve ovviare a questa restrizione mediante il ricorso all’ironia tragica; egli così introduce la sua voce e allarga la prospettiva. Egli poi gioca sulle cronologie, cioè sullo scarto tra il tempo del modello (ossia il tempo della storia mitica) e il tempo della lettera (ossia quando il lettore immagina che la lettera sia effettivamente scritta). Le epistole doppie poi gli danno adito a un confronto di punti di vista diversi sulla realtà, e lo scambio di lettere diventa parte integrante dello sviluppo drammatico della storia, in cui hanno peso le controversiae retoriche. Quella delle Heroides è poesia del lamento, di una donna abbandonata, ma pure altre sono le cause (la brusca separazione di Laodamia, quella incestuosa di Fedra, la violenza paterna per Ipermestra), ma soprattutto soffrono poiché donne; così dunque pare che l’elegia torni alle sue origini, cioè appunto al lamento (vd. la ricorrenza di querimonia, queri etc.). Ampio spazio è dato ovviamente al pathos rispetto al lusus: Ovidio approfondisce la psicologia femminile, dando spazio alla donna e alle sue ragioni. 5. Le Metamorfosi La veste metrica è l’esametro e quella formale è l’epos, tuttavia il modello, d’ispirazione esiodea, è quella di un poema collettivo, che raggruppi storie diverse accomunate da un unico tema. E’ una modalità fortunata, che aveva trovato già spazio in Grecia, vd. gli Aitia di Callimaco e un testo di Nicandro di Colofone che raccoglieva racconti metamorfici. Ovidio tuttavia volle comporre un’opera, il cui genere, quello epico, era stato bandito dalla poetica callimachea: egli volle realizzare un’opera universale. Ciò è confermato dall’illimitato impianto cronologico (dall’origine del mondo ai giorni di Ovidio), che era un progetto sempre vagheggiato nella cultura latina e rispondeva ad una tendenza diffusa al tempo, ossia una sintesi di una storia universale. Inoltre, così facendo, rispondeva alle richieste del principato, alle esigenze del regime, che sarebbe risultato culmine della storia del mondo. composizione e struttura La struttura dei contenuti è molto flessibile: le 250 storie mitiche si dispongono in un tenue filo cronologico (diventerà più avvertibile quando dall’acronia mitica si passa all’età storica). Le vicende sono collegare in vari modi: • contiguità geografica • analogie tematiche • per contrasto • rapporto genealogico fra i personaggi Varia è la struttura, come vari sono i contenuti: variabili le dimensioni delle storie narrate (possono essere semplici allusioni o possono occupare lo spazio di centinaia di versi, risultando veri epilli). Diversi i modi e i tempi della narrazione, infatti indugia sui tempi salienti, si sofferma sulle scene drammatiche, specie sulle descrizioni delle metamorfosi, descritte nel loro realizzarsi. Mutevole è pure lo stile: ora solenne, ora epico, ora elegiaco, con vari richiami a modelli. Ovidio non tende all'unità o alla omogeneità di forme e contenuti, piuttosto ricerca la varietà e la fluidità della narrazione: ciò è dimostrato dalla divisione in libri, infatti se i libri dell’Eneide sono in sé autoconclusivi, la cesura fra quelli delle M. cade nei punti vivi. Inoltre, l’ordinamento cronologico è vago e perturbato dalle inserzioni narrative proiettate nel passato: Ovidio fa spesso ricorso alla tecnica alessandrina del racconto ad incastro; evita così la mera elencazione delle vicende, creando invece una cornice dentro cui si può avere una proliferazione ininterrotta di racconti. Ciò crea un effetto di vertigine, una fuga labirintica. Inoltre, consente anche di adattare al personaggio narrante temi, stile, colore. le metamorfosi e l’universo mitico La metamorfosi era un tema già presente in Omero, e caro alla letteratura ellenistica, che soddisfava anche il gusto dell’eziologia. Qui la metamorfosi è tema unificante, e tenta di dare retrospettivamente dignità filosofica all’opera: il lungo discorso di Pitagora alla fine dell’opera indica nel mutamento l’origine dell’universo (omnia mutantur, nil interit), cui l’uomo deve adeguarsi. Tuttavia Ovidio non è troppo convito a fornire un’interpretazione filosofica. Altro argomento centrale è l’amore, non più ambientato nella Roma urbana, ma nell’universo mitico, nel mondo degli dei, eroi. Ma attenzione: per Ovidio non ha la profondità di Virgilio, in quanto, accentuando una tendenza già ellenistica, fa del mito un ornamento della vita quotidiana, sicché ad es. le stesse divinità agiscono sotto la spinta di passioni totalmente umane. Il mondo del mito poi si configura come mondo delle finzioni poetiche: diventa una sorta di summa di miti, un’enciclopedia intertestuale. E di questa intertestualità Ovidio è cosciente e orgoglioso, ama esibire le sue fonti: egli d’altronde ha un distaccato sorriso sul carattere fittizio dei propri caratteri, e mostra una garbata ironia sulla veridicità di quanto narrato. Poesia come spettacolo Sappiamo che il regime augusteo non attuava pressioni sulla storiografia pari a quelle esercitate sulla poesia, tuttavia non bisogna vedere in Livio un sostegno acritico alla propaganda augustea. D’altronde Pollione vedeva in Livio una certa Patavinitas, cioè un provincialismo padovano nello stile e pensiero (difficile dire in che senso per lo stile). E difficile è dire se a ciò corrispondesse una posizione politico-sociale, e quindi un legame stretto con le tradizioni repubblicane, molto forte in quelle zone. Tacito d’altro canto riporta come Augusto scherzosamente chiamasse Livio "pompeiano" per la nostalgica simpatia verso gli ideali repubblicani; e sempre Tacito dice che Livio coprisse di lodi Pompeo e avesse rispetto degli assassini di Cesare. Questa tenue nostalgia della res publica non generava fastidi: lo stesso Augusto, dal 27, era impegnato a presentarsi come restauratore della repubblica e delle sue forme, sicché tollerava il culto dei martiri della res publica. Era dunque possibile un accordo in questo senso fra regime e storico: grande punto di contatto in questo senso era la condanna dei disordini politico-sociali degli ultimi decenni della Repubblica, dei conflitti fra i partiti, delle rivendicazioni popolari, siccome lo stesso regime propagandava di aver riportato la concordia in Roma. Altro punto di contatto era la restaurazione degli antichi valori morali e religiosi. Ma ancora in Livio non c’è una esaltazione condizionata: dalla praefatio generale si vede la consapevolezza della crisi appena superata, ed egli resta estraneo al propagandare il carisma del principe e a presentare il principato come una novella età dell’oro; non vede cioè in Augusto la panacea ai mali dello stato. D’altronde per lui la narrazione del glorioso passato di Roma è un rifugio dalla preoccupazione degli eventi contemporanei: scorgiamo qui una polemica verso Sallustio e il suo racconto della contemporaneità; e più lucido è il pessimismo liviano: egli decide di non considerare la crisi separatamente, ma volle inserirla in un quadro più ampio. Si trova inoltre la giustificazione dell’Impero di Roma, costruito grazie alla fortuna = divina provvidenza e alla virtus del popolo romano: ciò poiché nessun’altro popolo ha una forza morale maggior di quella del popolo romano, tanto che afferma che neppure Alessandro magno sarebbe riuscito a sconfiggere i Romani. Questo nazionalismo orgoglioso potrebbe però essere dovuto al suo pessimismo, ossia da spiegare colla sua generale tendenza a idealizzare il passato. Egli è consapevole del peso della storia, che ha portato, da piccola che era, Roma alla sua grandezza, e pure dei modelli del passato che condizionano il presente: il passato indica la via della salvezza al presente, sicché la mitologia del passato ha senso e dà senso al presente. 3. lo stile della narrazione liviana Egli si oppose alla tendenza di Sallustio, avvicinandosi invece ai precetti ciceroniani sullo stile storiografico: Quintiliano dice che di Livio fosse una lactea ubertas, cioè uno scorrere fluido, ampio, luminoso, che evita ogni asprezza, dove regna la chiarezza (candor). Egli è capace anche di duttilità e varietà: se infatti nella prima deca troviamo più insista una patina arcaica, data la solennità della materia, nelle parti successive predominano i canoni del nuovo classicismo. Presente anche una coloritura poetica. Grande spazio è data alla drammatizzazione del racconto, senza che soffochi il procedere dell’azione. La sua passione moralistica (cioè non uno studio politico, pratico delle cause e degli avvenimenti, ma una narrazione ricondotta alle singole personalità individuali) risente della storiografia ellenistica: il suo è uno stile storiografico tragico. Infatti la sua historia, più che ricerca di verità, divente un’attività retorica, molto vicina all’oratoria. E’ d’altronde lo stesso Livio che ammette di mettere in secondo piano la ricerca della verità a vantaggio della drammatizzazione: il suo scopo è mostrare che qualità mentali e morali hanno un impatto decisivo sugli avvenimenti; non a caso mostra nella sua narrazione le impressioni parziali dei testimoni: per lui scrivere la storia significa far vivere gli uomini che la fanno, tanto che infonde le qualità impressionistiche nella rappresentazione delle masse. Mediante i discorsi indiretti rende gli stati d’animo delle folle, mentre con i discorsi diretti rende i pensieri dei singoli individui. Ma ben inteso: il pathos di Livio non è quello sallustiano, così acceso e passionale. Il suo è un modo arioso, elegante, sentimentale di narrare, tale da rendere suggestioni di maestà epica e dare un carattere monumentale ai personaggi senza eccedere nell’enfasi. Il suo sarà un modello classico. Come detto, è seguace di Cicerone: racconta Seneca il Vecchio che Livio apertamente criticasse lo stile sallustiano per la sua espressione concisa, per le sue sententiae, che volevano imitare Tucidide, tanto da sembrare talvolta oscure. Egli invece seguiva i precetti di Cicerone, cioè l’avere varietà di toni, il corso dolce e regolare dell’espressione, uno stile largo e scorrevole. Tuttavia, rispetto a quello ciceroniano, il periodare di Livio è spesso carico e affollato, come fosse preoccupato di rendere troppi particolari: d’altronde se quello di Cicerone è un periodo fatto per esser pronunciato, quello liviano è destinato alla lettura PARTE IV: La prima età imperiale CULTURA E SPETTACOLO: LA LETTERATURA DELLA PRIMA ETÀ IMPERIALE 1. LA FINE DEL MECENATISMO Pace sociale sotto augusto. Preferenza per la letteratura leggera (Ovidio). Morte di Mecenate, crisi del mecenatismo sotto Tiberio, non si pone il problema di organizzare eventi culturali. Rinvigorimento di una storiografia contraria al principato. Neanche con Claudio si ha. Solo con Nerone c’è una parziale ripresa del mecenatismo agli inizi, che istituì i Neronia, un certame poetico pubblico, quinquennale. Carattere pubblico e spettacolare delle manifestazioni culturali. Sotto i Flavi vanno di moda gli agoni pubblici poetici, ma si oppongono a Nerone per alcuni aspetti: il primo aveva un programma culturale ellenizzante, la nuova dinastia propone un programma di restaurazione morale e civile, forti del favore ottenuto con l’aver saputo riportare la pace e la concordia dopo una grave crisi. Spiccano due cose: la ripresa della poesia epica e l’assunzione di Cicerone come modello di retorica. 2. LETTERATURA E TEATRO Il genere della pantomima aveva molta fortuna, è documentato dal fatto che la figura del librettista era compresente a quella di poeta aulico negli autori. Testimonianze indirette da parte di Seneca e Giovenale. Mimo e atellana forme teatrali minori. Pantomima genere di maggior successo. Carattere intensamente drammatico, un attore cantava accompagnato dalla musica il testo del libretto mentre un altro lo mimava. 3. SENECA IL VECCHIO E LE DECLAMAZIONI Si diffondono le declamazioni pubbliche, un tipo di esercizio in uso nelle scuole di retorica. Vertono su temi e argomenti fittizi, romanzeschi, prescelti per la loro singolarità o stranezza, elemento stimolante per gli ascoltatori. Diviso in controversia, del genere giudiziale, che consiste nel dibattimento di una causa fittizia, e in suasoria, del genere deliberativo o politico, che consiste in un tentativo da parte dell’oratore di orientare l’azione di un personaggio famoso della storia o del mito di fronte a una situazione incerta o difficile. Di Seneca abbiamo sette suasorie e cinque libri su dieci di controversie. 4. LE RECITAZIONI, O LETTERATURA COME SPETTACOLO Le recitationes sono letture di brani letterari a opera dell’autore davanti a un pubblico di invitati. Introdotto da Asinio Pollione. Portano con sé trasformazioni importanti nel campo dell’oratoria e della produzione letteraria in generale. Persio, Marziale e Giovenale si scagliano contro le recitazioni. Tacito ne fa un’analisi nel Dialogus de oratoribus, in cui analizza le cause della corruzione dell’eloquenza. SENECA Lucio Anneo Seneca nacque a Cordova, probabilmente nel 4 a. C. Di salute cagionevole, iniziò la sua carriera politica nel 31 d. C. e divenne questore. Le sue capacità intellettuali e la sua eloquenza lo misero subito in luce, così entro presto in Senato. Tuttavia, la sua bravura suscitò la gelosia dell’imperatore Caligola, il quale nel 39 cercò di farlo fuori. Non ci riuscì perché un’amica dell’imperatore stimò che sarebbe morto presto e gli consigliò di lasciarlo stare. “Questo è lo scopo per cui mi sono ritirato e per cui ho chiuso le porte di casa: per poter essere utile a un maggior numero di persone”. Concepito in vista della pubblicazione, l’epistolario senecano vuole essere uno strumento atto a beneficare i posteri, oltre che a guidare Lucilio nei suoi progressi filosofici. Questo epistolario “letterario” non rinuncia ai temi della quotidianità, trasformandoli in spunti di riflessione morale: l’esposizione filosofica procede all’insegna della spontaneità e con frequenti riferimenti a Epicuro, un “eretico” agli occhi degli stoici. Le lettere a Lucilio sono percorse da alcuni temi ricorrenti: • La libertà del saggio dai condizionamenti esterni; • La pratica della ricerca filosofica e morale nell’otium; • La filosofia come via verso la sapientia, strumento di lotta contro desideri e impulsi irrazionali, affiancamento dalla bramosia di ricchezze e potere; • La solidarietà e il rispetto per tutti gli uomini, schiavi compresi, dotati di ragione, riflesso del logos universale; • La fugacità del tempo e la necessità, attraverso la meditatio mortis, di “esercitarsi a morire”. 6. LO STILE DRAMMATICO Utilizzo di sententiae e citazioni poetiche. No parole ricercate ed elaborate, il filosofo deve concentrarsi più sulla sostanza che sulla forma. Le sentenze hanno funzione psicagogica, servono per fissare i concetti nella mente. Stile complesso caratterizzato dalla ricerca dell’effetto e dell’espressione concisamente epigrammatica. No architettura classica del periodo ciceroniano (ipotassi), stile paratattico, tenta di riprodurre il sermo quotidiano. Frasi spezzettate, pochi nessi logici, collegamento affidato soprattutto all’antitesi e alla ripetizione. Prosa antitetica all’armonioso periodo ciceroniano, affonda le sue radici nella retorica asiana. 7. LE TRAGEDIE Nove ritenute autentiche, tutte di soggetto mitologico greco. • Hercules furens • Troades • Phoenissae • Medea • Phaedra • Oedipus • Agamennon • Thyestes • Hercules Oetanus Quelle di Seneca sono le uniche tragedie latine pervenute in maniera non frammentaria. Testimoniano la ripresa del teatro latino tragico. Conflitti di forze contrastanti, tra ragione e passione, ripresa di temi e motivi rilevanti nelle opere filosofiche. Rapporto costante con i modelli greci, anche se mantiene una certa autonomia. Pathos esasperato, sententiae, brevitas asiana. Oltre a queste c’è Octavia, unica praetexta giunta a noi. 7. L’APOKOLOKYNTOSYS Anche detto Ludus de morte Claudii o Divi Claudii apotheosis per saturam, è una parodia della divinizzazione di Claudio. È una satira menippea in cui si parla dell’ascesa all’Olimpo di Claudio che chiede di essere ammesso tra gli dei, ma viene invece mandato agli Inferi come tutti i mortali. Accosta e alterna prosa e poesia. I GENERI POETICI NELL’ETÀ GIULIO-CLAUDIA 1. L’APPENDIX VIRGILIANA Collezione eterogenea di testi poetici accomunato dal problema della paternità virgiliana. Non sono autografi. Sono da inserire nel quadro delle opere minori del I secolo d. C. 2. FEDRO: LA TRADIZIONE DELLA FAVOLA Posizione sociale modesta. Primo autore nella cultura greco-romana a presentare una raccolta di testi favolistici. Favola come genere più universale e profondamente popolare che ci sia. Autori come eredi di una tradizione narrativa, orale, popolare già consolidata. Impegno di Fedro costante e sistematico per dare alla favola una misura, una regola. Morale come tratto originale, esprimono una mentalità sociale. Dà voce al mondo degli emarginati, ci sono spunti di adesione alla realtà contemporanea, con accentuazioni vicine alla satira. LUCANO Marco Anneo Lucano nacque a Cordova, in Spagna, nel 39 d.C. dal fratello minore di Seneca, Marco Anneo Mela. Venne educato a Roma dal filosofo stoico Anneo Cornuto e terminò i suoi studi ad Atene. Grazie allo zio, entrò a far parte della cerchia ristretta di amici di Nerone (cohors amicorum), in onore del quale recitò le Laudes Neronis durante i Neronia del 60. Tuttavia, a causa di forti simpatie per i repubblicani, cadde presto in disgrazia presso Nerone e fu costretto a suicidarsi nel 65 perché ritenuto che avesse preso parte alla congiura dei Pisoni. Aveva meno di 26 anni. Tacito ci racconta negli Annales che in punto di morte Lucano ancora declamava versi su un soldato, manifestazione, anche questa, della teatralità della morte degli stoici. 1. IL BELLUM CIVILE Il Bellum Civile è un ampio poema storico di 8060 esametri che narra la guerra civile tra Cesare e Pompeo. Il poema viene anche denominato Pharsalia perché è presente nel IX libro il verso “Pharsalia nostra vivet”. Molto probabilmente è un’opera rimasta incompiuta: il testo a noi pervenuto è troncato bruscamente al libro X, mentre si pensa che il progetto iniziale dovesse contenere XII libri, proprio come l’Eneide di Virgilio. Le fonti che Lucano utilizza per la ricostruzione degli eventi storici sono probabilmente i libri di Tito Livio sulla guerra civile e le opere storiche di Seneca il Retore e di Asinio Pollione sull’argomento. Tuttavia, l’opera non pretende di avere l’attendibilità di un’opera storica, come rivela l’inserzione di avvenimenti irreali (come la partecipazione di Cicerone fra le truppe pompeiane nella battaglia di Farsalo). • Libro I: esposizione dell’argomento del poema, elogio a Nerone, cause della guerra, passaggio di Cesare sul Rubicone, terrore a Roma. • Libro II: lamenti roani ricordano precedente conflitto tra Mario e Silla, sanno che quello tra Cesare e Pompeo sarà peggio. Dibattito tra Bruto e Catone. • Libro III: sogno di Pompeo su Giulia, figlia di Cesare e prima moglie, che gli minaccia sciagure. Pompeo raduna gli alleati. • Libro IV: azioni di Cesare in Spagna. • Libro V: il senato si riunisce sull’Epiro. • Libro VI: Pompeo viene rinchiuso. • Libro VII: Pompeo rovede in sogno i trionfi del suo passato. Si tiene il consiglio di guerra. • Libro VIII: Pompeo propone di proseguire la guerra con l’aiuto dei Parti, ma il re Tolomeo lo uccide. • Libro IX: dopo la morte di Pompeo Catone assume il comando e attraversa il deserto libico. • Libro X: ad Alessandria Cesare visita la tomba di Alessandro Magno. Banchetta con Cleopatra. Il poema si interrompe bruscamente. 2. IDEOLOGIA DELL’OPERA E RAPPORTO CON VIRGILIO L’opera di Lucano ha subito numerose critiche riguardanti specialmente la struttura e l’intreccio, in quanto caratterizzato da una scansione sequenziale lineare degli eventi, di impianto tipicamente annalistico, scelta poco adatta ad un poema epico, da sempre caratterizzato da una narrazione non cronologica dei fatti. Altra caratteristica oggetto di critiche fu il tentativo di innovazione e di rielaborazione del poema epico, a partire dalla sua finalità: mentre l’Eneide nasce con l’idea di voler cantare la gloria e la grandezza di Roma, spesso giustificando gli eventi tragici alla luce dello splendore a cui avevano condotto l’impero, Lucano rovescia la prospettiva dell’epos nazionale. Oggetto della sua opera sarà infatti uno spaccato di storia romana recente che ha portato alla distruzione delle istituzioni repubblicane: è una storia diretta da autorità tiranniche e intrisa di violenza, per questo non canta la gloria di Roma, ma il punto più basso del suo declino. Sin dal proemio, infatti, il poeta sembra contestare continuamente Virgilio, dichiarando da subito di voler cantare il bellum nefandum, la guerra fratricida che ha diviso Roma e ha messo i concittadini l’uno contro l’altro. La materia narrata è quindi di natura prettamente tragica e si discosta dallo scopo celebrativo con cui era nata, assumendo toni cupi e disperati, che non lasciano spazio alla visione provvidenziale. Per queste ragioni, il Bellum Civile viene definito l’Anti-Eneide e Lucano un Anti-Virgilio: mentre il viaggio di Enea era sostenuto da una provvidenza di impronta stoica, il Bellum Civile è governato dall’invida fatorum series (l’invida vicenda dei fatti). Le forze distruttive prevalgono sulla legalità repubblicana come Cesare su Pompeo. Un’altra caratteristica di questo poema è l’assenza dell’apparato divino, poiché la loro presenza implicherebbe un trionfo della giustizia di Pompeo sulla crudeltà di Cesare. Tuttavia, l’elemento sovrannaturale non è del tutto assenze: esso si presenza nella forma di digressioni storiche, visioni e profezie. Un altro elemento che discosta la Pharsalia dall’Eneide è il rovesciamento della struttura dell’opera: nel VI libro, infatti, al posto della discesa agli inferi vi è l’ascesa degli Inferi sulla terra nelle fattezze di un cadavere riportato in vita . 3. I PERSONAGGI DEL POEMA Il Bellum Civile non ha un unico eroe positivo attorno al quale ruotano i fatti. I protagonisti sono due, Cesare e Pompeo, con caratteristiche diverse, ma alcuni elementi in comune: entrambi hanno intenzione di instaurare un dominio assoluto a Roma. La corruzione del potere non lascia spazio ad una figura positiva, fatta eccezione per quella fortemente idealizzata di Catone. Il potere conquistato con la forza non può che causare sofferenze ai cittadini. Tuttavia, tutta l’ostilità del poeta è riservata a Cesare, rappresentato come l’incarnazione del male. • Cesare è caratterizzato da uno straordinario valore militare e da resistenza e capacità d’azione quasi sovrannaturali: la tradizione storiografica era solita attribuire questi valori ai grandi nemici di Roma, come Catilina o Annibale. Viene spesso paragonato al fulmine. Incarna il furor, la negazione della clementia, l’aspirazione a porsi al di sopra della res publica ed è guidato dalla temerarietà. • Pompeo è il difensore delle istituzioni repubblicane. Viene denominato con l’appellativo di Magnus, che a fronte delle vicende affrontate risulta quasi ironico. Pompeo, infatti, è tra i due il più debole ed è affetto da una sorta di senilità politica e fiacchezza militare. • Catone incarna i valori che hanno reso grande la Roma repubblicana: egli infatti appoggerà Pompeo e rappresenta il saggio stoico che riesce ad affrontare numerose difficoltà mediante l’utilizzo della virtus, anche se messa a dura prova a causa della provvidenza crudele. giovanissimo poeta non viene riconosciuta l’auctoritas per fare la predica agli altri. Persio ne è consapevole e per questo le sue satire sono caratterizzate dal tono rancoroso e aggressivo di chi ritiene di essere superiore. Non c’è possibilità di persuasione, forse anche per questo egli non cerca di convincere i suoi lettori, ma gode nello schiacciarli sotto il peso delle loro manchevolezze. Possiamo quindi dire che la pars destruens abbia un peso nettamente maggiore della pars construens, che risulta assente in quanto non vengono proposti dei modelli virtuosi che andrebbero seguiti per risolvere le mancanze dei vizi da Persio criticati. Lingua e stile Il tormento di Persio causato dai contenuti da lui trattati si ripercuote anche sullo stile, che rimane di difficile comprensione. La base linguistica è costituita da un livello medio corrispondente al sermo oraziano, ma turbata da barbarismi, volgarismi, neologismi e termini tecnici derivanti dalla medicina. Persio evita le frasi fatte, i modi di dire e le formule ricorrenti, mentre il suo marchio di fabbrica è la iunctura acris, che spesso confonde il lettore. DECIMO GIUNIO GIOVENALE Non abbiamo molte testimonianze della vita di questo autore: alcuni spunti autobiografici emergono nei suoi scritti, mentre altri sono riportati negli epigrammi di Marziale. Nacque ad Aquino tra il 50 e il 60; inizialmente avvocato, una carriera non troppo promettente lo portò a lavorare come cliens. L’ultimo riferimento risale al 127, mentre la sua morte ebbe luogo negli anni successivi. Le satire Dopo la morte di Domiziano, nel 96, Giovenale si dedicò alla poesia: ci rimangono 16 sue satire in esametri divise in cinque libri. Nei primi tre libri della raccolta, Giovenale trova il suo motore nella Musa ispiratrice dell’indignatio: il disgusto che pervade il poeta al vedere il decadimento morale dei suoi tempi lo spinge irresistibilmente a scrivere versi di denuncia. Neanche Giovenale sembra intenzionato ad indirizzare i suoi lettori sulla retta via, come del resto anche Persio, bensì utilizza la poesia come valvola di sfogo per esprimere il rifiuto furioso per la sua società. Questo pone il poeta in profondo conflitto con le forme della poesia contemporanea, lontane dalle sue scelte espressive, in particolare con l’usanza delle recitationes. Giovenale esprime il punto di vista dei provinciali di buona famiglia e buona cultura, giunti a Roma e costretti a confrontarsi con una metropoli caotica e per nulla romana. Se la prende con i ciarlatani di origine greca o orientale, oggetto di un profondo disprezzo soprattutto da parte di quanti erano animati da sentimenti nazionalistici. Un’aspra critica è riservata poi alle donne, soprattutto alle matrone, che pretendevano troppe libertà. Come in Persio, le sue satire sono prive di pars construens. Nelle ultime satire, l’atteggiamento rancoroso dell’indignatio si affievolisce un po’. La prospettiva è orientata esclusivamente verso l’età del mos maiorum e dunque si rivela un incentivo per la frustrazione del poeta. LA LINGUA E LO STILE Il sermo oraziano, linguaggio medio, che si adattava alle tendenze pedagogiche di Persio, non era adatto ad esprimere la visione esasperata del poeta, che richiedeva invece una lingua elevata. Per questo motivo Giovenale attinge dal linguaggio dell’oratoria e della tragedia. Quanto più bassi sono i temi trattati, tanto più aulico è il linguaggio utilizzato. Spesso nelle satire non è presente un filo narrativo, ma si susseguono immagini tumultuose, intervallate da commenti sarcastici. MARCO VALERIO MARZIALE Marco Valerio Marziale nacque in Spagna tra il 38 e il 41, durante le Calende di marzo. Ricevette un’ottima educazione, quindi probabilmente visse in una famiglia agiata, ma giunto a Roma venne spesso a confrontarsi con la scarsità di denaro. Fu protetto da Lucano e Seneca, entrambi spagnoli, ma dopo la congiura dei Pisoni si ritrovò nuovamente solo. Godé della protezione della dinastia Flavia e per tale ragione viaggiò in Gallia Togata e visitò numerose città italiane. Tornato a Roma, proseguì con la sua attività di cliens. Nonostante Marziale riuscisse probabilmente a limitare gli aspetti umilianti di quella vita, i suoi epigrammi lo descrivono come all’incessante ricerca di elargizioni da parte di persone delle quali doveva celebrare qualità e meriti spesso inesistenti. La notorietà acquisita grazie al suo lavoro gli consentì di pubblicare, nell’80, una selezione di 30 epigrammi in distici elegiaci. Ottenne da Tito lo ius liberorum, riconfermatogli da Domiziano. Le opere Marziale scrisse il Liber de spectaculis e tra l’80 e l’85 pubblicò le raccolte degli Xenia e degli Apophoreta, brevissimi componimenti di un solo distico elegiaco destinati ad accompagnare i regali scambiati durante i Saturnalia e gli omaggi distribuiti durante i banchetti. I primi riguardano più i regali alimentari, mentre i secondi sono caratterizzati da maggiore varietà di temi. La sua fama tuttavia è legata ai dodici libri di epigrammi pubblicati tra l’86 e il 102, alcuni dei quali con brevi prefazioni in prosa, composti in gran parte di distici, in parte di endecasillabi faleci e in parte di coliambi e di trimetri giambici. Si tratta di un corpo di oltre 1550 epigrammi per un totale di quasi 10.000 versi. Negli epigrammi Marziale mostra la sua maestria nei componimenti brevissimi, caratterizzati da strutture espressive di natura conativa, talora dialogiche, e dalla presenza di una struttura bipartita. Un procedimento frequente nelle sue opere era l’accumulazione, ovvero l’elencazione ordinata secondo un climax ascendente. La tematica satirica e umoristica non è l’unica presente nelle opere di Marziale, in quanto caratterizzate da una varietà di temi, che portano con sé anche una grande varietà stilistica. In ogni caso, lo scopo di Marziale non è quello di trasmettere una morale, bensì di divertire marcando i vizi e creando delle caricature dei suoi personaggi. Limpida sobrietà nelle opere, alternata a espressioni di maggiore eleganza e raffinatezza. Ricchezza del lessico quotidiano. L’EPICA DI ETÀ DI FLAVIA 1. STAZIO Contemporaneo di Valerio Flacco e Silio Italico, tutti e tre molto oscuri. Virgilio come referente delle loro opere. l’Eneide diventa una sorta di rifugio e di orizzonte chiuso. Importante anche l’influsso di Ovidio. Nasce a Napoli tra il 40 e il 50. notevoli successi nelle recitazioni pubbliche e nelle gare poetiche. Protetto da Domiziano. Protetto da Domiziano, muore nel 96, poco prima dell’imperatore. Le Silvae Opera non epica dai caratteri originali. È un letterato professionale, che vive della sua opera. Carattere occasionale, raccolta di schizzi, vuole dare una parvenza di improvvisazione. I committenti delle varie poesie si rispecchiano in molte di esse. Emergono i valori che guidano questo sistema sociale: da un lato il ripiegamento sulla vita privata, dall’altro l’ideologia del pubblico servizio inserito nelle strutture del potere imperiale. Importanti anche le poesie cortigiane dedicate a Domiziano. 32 componimenti in tutto, organizzati libro per libro in serie costruite accuratamente. Serie di corrispondenze e variazioni tra i componimenti. Versi sia esametri che lirici. Struttura dei singoli carmi regolata da schemi tradizionali nutriti di formazione retorica. Il virtuosismo del poeta li adatta alla circostanza. Il poeta si mostra perfettamente inserito in una società gerarchica, rivendica in sé una vocazione conciliatoria. Si atteggia a cantore onorifico integrato nella società. Poesia con funzione estetizzante, nel senso che deve rendere belli e gradevoli oggetti, uomini e gesti, ma può farlo solo a patto di distanziarsene (ekphràseis). Carattere di poesia colta, tradizionale e riflessa, ha avuto pochi estimatori. Encomi più che descrizioni, finalità estetizzante. Ritratto della buona società imperiale. Esaltazione dei valori e delle forme tradizionali. La Tebaide Tema mitologico, battaglie tra fratelli, dotato di un complesso apparato divino. La sostanza del contenuto riporta al Bellum Civile di Lucano. Nell’epilogo programmatico dice di avere come modello l’Eneide. Piano dell’opera in 12 libri divisi in due esadi: seconda storia di guerra, prima di lunga preparazione. • Eteocle e Polinice, figli di Edipo, si preparano a spezzare il patto per cui a turno uno dei due governava Tebe, l’anno successivo si scambiavano. Polinice è destinato a sposare una delle due principesse di Argo. • Eteocle tradisce il patto con il fratello e tiene per sé tutto il potere. • Guerra di Argo contro Tebe. • Sette grandi eroi marciano verso Tebe con le loro schiere. • Un serpente uccide Ofelte, i sette istituiscono in espiazione i Giochi Nemei. • Una profezia dice che solo uno dei sette eroi tornerà vivo. • Rimane Adrasto come unico superstite. Ossessiva ricorsività di motivi e atmosfere. Non un solo vero protagonista, trama complessa e romanzesca data dalla presenza di molti personaggi. Volontà di stabilire nessi ricorrenti. Non c’è un solo protagonista. Stazio concede molto poco alla caratterizzazione psicologica. Le immagini della natura rispecchiano le condizioni umane. Guerra epica come scontro tra tiranni. L’Achilleide Tono più disteso e idilliaco della Tebaide, che è stata accusata di eccessivo barocchismo. Progetto di narrare la vita di Achille, ambizioni letterarie grandiose. PLINIO IL VECCHIO Nasce a Como nel 23 o 24 d.C. da una famiglia di ceto equestre. Funzionario imperiale, fece parte dell'esercito di Tito e fu uno dei più stretti collaboratori di Vespasiano. Quando erutta il Vesuvio, nel 79 d.C., si trova a Miseno dove ha il comando della base navale. Imbarcatosi per osservare meglio l'eruzione, muore per asfissia o per collasso cardiaco. Molte opere di Plinio sono andate perdute. Era un instancabile lettore: impiegava qualunque momento per leggere e, se non poteva farlo personalmente, incaricava qualcuno di leggere per lui. L'unica opera pervenuta per intero è la Naturalis Historia, 37 libri riguardanti le scienze della natura (geografia, cosmologia, metallurgia, mineralogia, materiali per le arti, etc.). Epistola dedicatoria: dedica l'opera a Tito e scrive l'epistola nel 71 in occasione della pubblicazione dell'opera. Nell'epistola espone la novità della sua opera: nessun pregio letterario, solo una descrizione della natura anche nei suoi aspetti più umili, tanto da dover usare termini "rustici" e "barbari". Il lessico è ricchissimo, anche di termini tecnici. L'opera ha carattere tecnico-scientifico e uno scopo pratico: era una sorta di enciclopedia di carattere "compilativo", ma per noi importantissima perché riporta dati e informazioni di testi ormai perduti. Plinio non indaga le cause dei fenomeni, ma si preoccupa soprattutto di accumulare quanti più dati e informazioni ha di un determinato argomento. Non è sempre del tutto acritico: contesta e respinge ciò che non gli sembra accettabile, non su base scientifica, ma basandosi sul buon senso. Tacito aveva lasciato intendere la diceria (rumor) che fosse morto avvelenato per ordine dell’imperatore invidioso dei suoi successi. Assume quindi la forma di un encomio biografico, in quanto uno degli obiettivi del testo era quello di ricordare sotto una luce estremamente positiva il suocero. Gli aspetti della vita privata, infatti, passano in secondo piano rispetto alla descrizione dettagliata della conquista della Britannia, che occupa gran parte della monografia. Il racconto comprende anche un excursus di carattere geografico ed etnografico della regione. L’opera aveva però anche un secondo fine: data la successione di Nerva e Traiano, occorreva depurare la figura di Agricola per lodare e mettere in buona luce anche lo stesso Tacito e la sua famiglia, dipingendolo così come una vittima e non un complice del crudele imperatore. Lo definisce infatti come vir bonus, padrone della virtus non contaminata dalla corruzione latente. Aveva agito con coraggio e determinazione anche sotto uno Stato tiranno, condannando la ribellione perché può portare alla distruzione, ma senza tuttavia risultare troppo servili. Tacito loda i tempi nuovi in relazione alla passata oppressione, ricordando la pena di morte e la negazione del diritto di pensiero e di parola. Agricola nacque nel 40 a Forum Iulii, sulla Costa Azzurra, e crebbe lì, lontano dalla corruzione di Roma, sposò Domizia Decidiana ed ebbe una figlia. Descrive le donne della sua famiglia come caste e misurate, come le matrone di un tempo. Nell’excursus etnografico descrive il modo in cui conquistò la Britannia. Notevole la parte dedicata allo scontro tra Agricola e i Caledoni presso il monte Graupio dell’83. Verso la fine riporta il discorso di Calgaco e di Agricola, degno di un condottiero modello. Il commento di Tacito alle parole di Calgaco può valere riferito all’imperialismo di ogni epoca. L’opera è di carattere essenzialmente celebrativo, e come nelle sue opere più mature mostra i segni del peculiare talento di Tacito: la fantastica caratterizzazione dei personaggi e la capacità di creare scene movimentate e appassionanti. Nel linguaggio sono presenti dei passaggi di tono. LA GERMANIA Scritto nel 98, è un trattatello di carattere etnografico scritto probabilmente in occasione della spedizione organizzata da Traiano in Germania, anche se poco dopo (101) cambiò strategia e si cimentò nella conquista della Dacia. Avendo prestato servizio sulla frontiera del Reno, Tacito aveva esperienza diretta del mondo germanico, ma le sue fonti furono prettamente letterarie: il De Bello Gallico, di Giulio Cesare, e il Bella Germaniae, di Plinio il Giovane, oggi andata perduta. L’opuscolo è composto di 46 capitoli, ma il valore etnografico è secondario: lo scopo principale, infatti, era quello di risolvere il problema storico di grande rilevanza che rappresentavano i Germani, sui quali i Romani non avevano mai avuto una vittoria definitiva. L’impianto etnografico si carica quindi di valore etico e sociologico: Tacito riconosce nella decadenza dei costumi la rovina di Roma, mentre propone come rispettabile il modello germanico, descrivendo la purezza delle loro donne, la forza e l’austerità e la sacralità del matrimonio. Inoltre paragona la società germanica a quella romana di un tempo, tanto apprezzata dallo storico. Tuttavia, delinea anche alcuni aspetti negativi, come l’assenza dell’arte e della vita cittadina, riconoscendo profeticamente la loro potenziale grande minaccia. Il trattato si divide in due parti: • Cap. 1-27 →di carattere prevalentemente etnografico: vengono descritti gli usi e i costumi, la religione e le istituzioni della civiltà germanica. • Cap. 28-46 →di carattere geopolitico: si passano in rassegna le tribù nelle quali erano divisi i Germani; in questa sezione compare, tra l’altro, una menzione al popolo dei Longobardi. Dopo aver individuato in questo popolo la rovina di Roma, sostiene che l’unico modo perché le sue previsioni risultino errate è sperare in una loro nuova divisione che accenda dei conflitti interni e li divida. DIALOGUS DE ORATORIBUS Venne pubblicata nel 102 e tratta il tema dell’oratoria su impostazione ciceroniana. Ambientato nel 75, vede come protagonisti: • Marco Apro e Giulio Secondo, avvocati; • Curiazio Materno, senatore e oratore che ha deciso di dedicarsi alla poesia tragica; • Vipstano Messalla, prende parte alla discussione solo sulle cause della decadenza dell’oratoria. La discussione si svolge in casa di Materno e vede Tacito come testimone, che dichiara di riferire ricordi di gioventù. • Apro apre il discorso negando che l’eloquenza sia corrotta. Sostiene che i nuovi tempi richiedano tecniche oratorie diverse per convincere un pubblico più esigente. Non si tratta di un declino, ma di un’evoluzione. • Secondo Messalla, invece, gli oratori contemporanei sono mediocri e nelle scuole di oratoria si insegnano banalità. • Materno conclude il dialogo e a lui Tacito assegna l’espressione del proprio punto di vista. Il tema portante del dialogo subisce un passaggio di contesto logico, dall’oratoria alla politica: i conflitti e le lotte politiche dell’età repubblicana avevano favorito lo sviluppo dell’oratoria, mentre la tranquillità dell’impero non ne ha bisogno perché l’oratoria ha perso il suo ruolo politico. Dal punto di vista stilistico, il dialogo presenta periodi più ampi e complessi rispetto al suo stile solito, di ispirazione ciceroniana. Proprio per questo motivo alcuni studiosi hanno messo in dubbio che sia stato scritto proprio da Tacito, in quanto lo stile si avvicina molto di più a quello di Quintiliano, proprio perché neo-ciceroniano. LE HISTORIAE Pubblicate nel 100, le Historiae coprono un arco temporale che va dal 69 al 96, da Galba al crollo della Dinastia Flavia con Domiziano, periodo contemporaneo che l’autore aveva vissuto in prima persona. A differenza di Livio, quindi, scrive la storia a partire dai suoi giorni, riprendendo l’esempio di Sallustio. Non sono giunti a noi tutti i 14 libri, possiamo leggerne soltanto i primi quattro e i primi 26 capitoli del libro V. Segue un impianto annalistico. L’opera si apre con il racconto dell’anno dei quattro imperatori, che aprì la fase successiva alla morte di Nerone. Non comincia in medias res, ma parte tracciando un quadro generale degli avvenimenti politici e delle catastrofi naturali avvenute (come l’eruzione del Vesuvio). La crisi del 69 si risolve con l’assunzione del potere da parte di Vespasiano nel 70. • Fine della dinastia giulio-claudia nel 68, viene scelto Galba come successore. • A seguito di alcune ribellioni viene assassinato in una congiura guidata da Otone, e quest’ultimo prende il potere. • Vitellio succede a Otone e prende il potere, sostenuto dalle legioni. • Successivamente Vespasiano entra con l’esercito a Roma e a lui è dedicato il libro IV. • Il libro V contiene un excursus etnografico sulla comunità ebraica. GLI ANNALES Capolavoro della produzione tacitiana. Composti da sedici libri, narrano le vicende della dinastia giulio-claudia dalla morte di Augusto al suicidio di Nerone seguendo uno schema annalistico. A noi sono giunti i libri relativi a Tiberio (I-IV, parti del V e del VI), l’ultima parte relativa all’impero di Claudio e quasi tutta quella di Nerone (parte dell’XI, XII-XV e buona parte del XVI: Nerone morì nel 68 e la narrazione si ferma al 66). • Di Tiberio si narra l’ascesa al potere, definito come il migliore generale del tempo. Vengono descritte le sue vittorie e alcuni tratti caratteriali. • Parla poi di Germanico, nipote di Tiberio. • Nel secondo libro parla delle guerre dei Germani, che assumono carattere epico. • Claudio viene presentato come un debole succube di Messalina, Agrippina e dei liberti. • Il regno di Nerone e la sua evoluzione negativa: dal quinquennium felix ai delitti, la passione per le gare sportive, la musica e il canto. LA STORIOGRAFIA DI TACITO Tacito è considerato il più grande storico latino perché riesce a percepire e a trasmettere la grande tragedia dell’uomo davanti alla storia. Non prevalgono i migliori e non vince la giustizia, ma il destino degli uomini non è pilotato né dal fato, né dagli Dei. Il metodo storiografico utilizzato negli Annales si fonda sulla pretesa di imparzialità. La sua visione della storia è determinata dalla precarietà dei destini umani. Tuttavia, nessuno storico può essere davvero imparziale, per questo critica gli storici che si definiscono tali. Per dare credibilità ai suoi scritti utilizza spesso anche i rumores (dicerie), riuscendo a lasciare il messaggio inteso senza un suo intervento diretto. Secondo Tacito, la storiografia era un genere letterario che aveva il compito di educare i lettori, ma anche di appassionare. Infatti, ispirato da Livio e Sallustio, adotta un approccio moralistico alla storiografia. MORALISMO E PESSIMISMO Tacito inserisce nel racconto il discorso diretto per dare vivacità e inserire il pensiero dei personaggi, oltre ad approfondirne la filosofia. Ma il talento dello scrittore sta nella sua capacità di drammatizzare gli eventi. Dalle sue valutazioni emerge una visione pessimistica della natura umana, e ciò è responsabile della valutazione negativa della storia contemporanea. SVETONIO E LA STORIOGRAFIA MINORE Gaio Svetonio Tranquillo nasce nel 70 da una famiglia di rango equestre. Gli spunti autobiografici sono stati ricostruiti a partire dagli accenni che ne dà lo stesso autore nei suoi testi. Inizialmente si dedica alla carriera forense, poi per intercessione di Plinio il Giovane entra a corte in qualità di funzionario, preposto alle biblioteche sotto Traiano, all’archivio imperiale e alla corrispondenza del princeps sotto Adriano. Viene poi improvvisamente destituito dalla carica e allontanato dalla corte nel 122d.C. per motivi non chiari. 1. LA PRODUZIONE L’opera a cui è affidata la fama di Svetonio, l’unica superstite della sua produzione, è la raccolta di biografie dei primi dodici imperatori, il “De vita Caesarum”. Tra le molte opere erudite composte da Svetonio, ma non conservate, va menzionato il “De viris illustribus”, raccolta di biografie di letterati suddivise per generi; a noi è giunta la sezione “De gramaticis et rhetoribus”. Importante era anche la sezione “De poetis”, da cui derivano le biografie di Terenzio, Virgilio, Orazio e Lucano, conservate nei manoscritti delle loro opere. 2. IL DE VITA CAESARUM Il “De vita Caesarum” è una raccolta di dodici biografie degli imperatori (da Giulio Cesare a Domiziano) in otto libri; in una breve lacuna iniziale sono andati perduti la dedica a Setticio Claro e i capitoli iniziali della biografia di Cesare. Ogni biografia è organizzata combinando l’esposizione Chiuso l’inserto novellistico, riprende il racconto delle avventure di Lucio, che attraverso varie vicissitudini cambia ripetutamente padrone, senza però trovarsi mai in una condizione davvero favorevole. Quando sta per essere costretto a ricongiungersi pubblicamente con una condannata a morte, Lucio- asino fugge, fa un bagno purificatore nei pressi di Corinto e invoca Iside: la dea lo istruisce su come riacquistare la sua forma umana. Il romanzo si conclude con un “sigillo” d’autore: ad un sacerdote di Osiride il dio in persona annuncia l’arrivo di un Madaurensis, da istruire nei misteri. Le Metamorfosi sono, al pari del Satyricon, un romanzo che si discosta dai canoni del genere. Ecco alcune peculiarità che lo caratterizzano: • la vicenda è in gran parte subita da Lucio l’asino più che agita da Lucio l’uomo (punto di vista straniante); • al centro della vicenda non c’è una storia d’amore e le peripezie di Lucio non sono finalizzate a ritrovare l’amata, ma se stesso e la sua forma umana; • il motore della vicenda non è dunque l’amore, ma la curiositas e la magia nella prima parte, la necessità di purificazione nella sezione finale. 5. IL SIGNIFICATO DELLE METAMORFOSI Queste peculiarità strutturali, a cui si aggiunge nel finale la sovrapposizione tra il protagonista Lucio e la figura dell’autore, il Madaurensis, suggeriscono un’interpretazione globale dell’opera: • la vicenda narrata ha valore esemplare al fine di illustrare gli effetti nefasti della curiositas (messaggio rafforzato dalla favola di Amore e Psiche) come pure gli interventi della Fortuna videns; • l’opera, pur offrendosi come lettura di piacere, configura un percorso di autocoscienza e purificazione con valore mistagogico (cioè di iniziazione ai misteri). 6. IL GENERE LETTERARIO Le Metamorfosi rientrano a buon diritto nel genere del romanzo, ma al loro interno sono riconoscibili elementi di generi letterari diversi: • sono un punto di contatto con la Fabula Milesia gli spunti erotici presenti nella narrazione, alla quale Apuleio stesso si richiama esplicitamente all’inizio del romanzo; • la discesa agli Inferi evoca il libro VI dell’Eneide virgiliana, in cui il protagonista, scortato dalla Sibilla, visita il regno dei morti; • l’apologo di Amore e Psiche rielabora spunti elegiaci (sofferenze d’amore). 7. LO STILE La lingua di Apuleio, sul piano lessicale, si presenta ricca e composita, fondendo al suo interno arcaismi, neologismi, volgarismi, poetismi e lessico tecnico della scienza e dei misteri. La frase è dominata da isocolie (segmenti di periodo di lunghezza e struttura equivalenti), assonanze, accumuli di sinonimi e figure di suono: espedienti tipici dell’asianesimo. Numerose reminiscenze letterarie, sfruttate anche a fini parodistici. SVILUPPI DELLA POESIA: I POETAE NOVELLI II secolo presenta quadro sociale, artistico e culturale di grande vivacità. I grandi generi tradizionali si perdono. Si continua a praticare un genere di poesia minore e mistiforme. Poeti minori tramandati da frammenti. Lo spazio della poesia di II e III secolo è costituito dalla scuola dei poetae novelli. Hanno come riferimento la scuola neoterica del I secolo a. C., il gruppo dei poetae novi (Catullo, Cinna, Calvo, Valerio Catone, Nevio). Sono loro ma in tono minore, la novità si alimenta di recuperi regressivi, ricolti a ciò che è arcaico, obsoleto e fuori moda. PARTE V- La tarda età imperiale GIROLAMO (347- 419/420) Nasce a Stridone, in Dalmazia, nel 347. Nel 354 arriva a Roma. Studia nelle migliori scuole della città e ha come compagno il suo futuro nemico Rufino. Viaggiò in Oriente, dove apprese il greco e venne ordinato sacerdote. Trascorre tre anni di vita in un monastero nel deserto della Calcide, dove non viene colpito favorevolmente dai monaci, in quanto troppo dediti a controversie teologiche. Nel 382 torna a Roma e diventa segretario del Papa Damaso, ma alla sua morte il suo prestigio cala rapidamente. Si diffondono pesanti critiche sugli eccessi del suo ascetismo. Nel 385 lascia la città per l’oriente. Per sua iniziativa vengono fondati conventi maschili e femminili. Muore a Betlemme, dove aveva trascorso gli ultimi anni della sua vita. L’opera principale di Girolamo è la traduzione in latino della Bibbia, la Vulgata. Abbiamo anche un ricco epistolario. Commenti a libri dell’Antico e Nuovo Testamento. Testi di polemica religiosa, come l’Apologia adversos libri Rufini, in tre libri, e il Contra Iohannem Hierosolymitanum episcopum, sulla controversia origeniana, l’Adversus Iovinianum, sull’ascetismo e la verginità, l’Adversus Vigilantium, sul culto dei martiri, il Dialogus adversus Pelagianos, in tre libri, contro l’eresia di Pelagio, traduzioni dal greco di autori cristiani. Per gli studi di letteratura sono particolarmente importanti due scritti: il Chrònicon, che traduce e aggiorna ampliandola l’opera di Eusebio, e il De viris illustribus, con 135 biografie di autori cristiani. Aspra polemica con Rufino. Condivideva con Origene il metodo di interpretazione della Bibbia fondato sulla lettura allegorica, per cui i vari passi non andavano intesi in senso letterale, ma ricercando un più profondo significato nascosto. Aveva un carattere difficile, si evince nelle lettere con una maggioranza a tema polemico, soprattutto su Origene. La sua violenza ricorda quella di Tertulliano, ma la sua aggressività è meno giustificata. Delle sue polemiche è testimone l’epistolario, di cui molte hanno per argomento direttamente la polemica origeniana. Dall’epistolario emerge la figura netta di un uomo brillante, affascinante, pieno di ingegno, ma anche violentemente emotivo, condizionato dal desiderio di primeggiare, non disposto ad accogliere serenamente le obiezioni o a tollerare pareri diversi dal suo. Negli epistolari entravano temi di ogni tipo: anche in Girolamo, alla grande varietà di temi si aggiunge una modifica strutturale. Nei suoi sviluppi occasionali, l’epistola si trasforma fino ad avvicinarsi a diverse, specifiche forme letterarie. La Vulgata è una revisione che ha stabilito un testo definitivo e canonico della Bibbia in latino. Testo latino unitario e attendibile, unica versione autorizzata dalla Chiesa d’Occidente. Successo non immediato. AGOSTINO È stato il più importante e abile pensatore cristiano del primo millennio, arrivando addirittura ad essere uno dei più grandi geni dell’umanità in senso assoluto. La sue opere più celebri e citate sono Confessioni e La città di Dio. Per quanto riguarda le opere, Agostino fu un autore particolarmente prolifico vista la grande varietà di scritti che ha lasciato: autobiografici, filosofici, morali, polemici, apologetici, epistolari, sermoni e anche poesie. Vediamo le opere più importanti di sant’Agostino. Autobiografia e corrispondenza • Le Confessioni, intorno al 400; • Le Retractationes (Ritrattazioni), tra 426 e 428; • Le Epistolae (Lettere); Opere filosofiche • Contra Academicos (Contro gli accademici); • De beata vita (La vita beata); • De Ordine (L’ordine); • Soliloquia (Soliloqui)i; • De immortalitate animae (L’immortalità dell’anima); • De Magistro (Il maestro); • De Musica (La musica). Scritti apologetici • La città di dio. Ci sono poi tutta un’altra serie di opere tra scritti apologetici, scritti esegetici e controversie. Il pensiero di sant’Agostino è molto articolato e tocca tantissimi temi. Tra i tanti, il problema del peccato e della Grazia come unica via di salvezza. Va contro il manicheismo, la libertà dell’uomo, la negatività del male e il carattere personale della responsabilità etica. Secondo il suo pensiero il contatto con Dio può avvenire solo nell’intimità della coscienza di ognuno ed è proprio lì che si possono trovare certezza e fede necessarie per superare il dubbio scettico. Nelle Confessioni Agostino narra la storia della sua conversione gettando le basi del suo pensiero. Per lui l’uomo non è capace di orientarsi da solo. Ciò che può guidarlo è solamente l’illuminazione di Dio, a cui deve obbedienza sempre poiché solo in questo modo potrà trovare la giusta via nella vita. Per comprendere appieno come il pensiero di sant’Agostino si evolve nel corso della sua vita è bene leggere Le Retractationes, opera scritta a fine vita che rivede e riesamina tutti i lavori precedenti spiegando come sono nati e si sono sviluppati. Sant’Agostino ha meritato il titolo di fondatore del pensiero occidentale analizzando il concetto di trinità e fondando le basi della sua dottrina sull’illuminazione divina che viene dall’analisi dell’interiorità di ognuno. Il suo operato può essere definito come una sintesi organica del pensiero cristiano in seguito a quattro secoli di dibattiti e controversie di ogni tipo. Secondo sant’Agostino il centro di tutto è il rapporto tra fede e religione, tra quella che è la rivelazione divina e la ricerca filosofica. La ricerca di Agostino termina quando si trova la fede, vista come destinazione e non come partenza. Trovarla, però, è difficile: la ricerca non può limitarsi al semplice credere, deve esplorare