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Riassunto libro "Beatitudine e benessere . Modelli conflittuali nella ricerca della felicità", Prove d'esame di Teologia

Riassunto del libro "Beatitudine e benessere . Modelli conflittuali nella ricerca della felicità" di Maurizio Chiodi, Dario Cornati, Alberto Cozzi, Stefano Romanello per l'esame di teologia della magistrale

Tipologia: Prove d'esame

2017/2018

Caricato il 13/07/2018

pannox82
pannox82 🇮🇹

4.4

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Scarica Riassunto libro "Beatitudine e benessere . Modelli conflittuali nella ricerca della felicità" e più Prove d'esame in PDF di Teologia solo su Docsity! CORNATI – Il Solo rapporto dello spirito alla felicità è la gratitudine Parla del destino e delle strategie della felicità umana nell’assetto culturale odierno, all’interno cioè di uno scenario che Bauman ha definito incertezza liquida. Egli porta aventi una riflessione su: La forma piena o la radice della felicità. Se guardiamo al significato originario, l’immagine della felicità rimanda ad eudemonia, la felicità greca, come una donna gravida che porta nel grembo un demone buono, che la vita le chiederà di invocare. È qualcosa che quindi è custodito. Non è quindi niente che ha a che fare con il carpe diem, l’attimo fuggente, ma nella felicità autentica deve essere riconosciuto qualcosa di essenziale, qualcosa che assomigli alla genuina freschezza della grazia e del dono. La vera felicità è l’irradiazione di una riuscita intimità con qualcosa di insuperabilmente giusto e di segretamente atteso. È promessa e affidamento, e non è semplicemente il benessere. Non è invece consumismo, godimento effimero o esperienza monetizzabile, non è un aumento del reddito sociale. L’attesa di felicità resta l’attesa di legami umani, che rendono riconoscibile alla vita la sua destinazione e il suo compimento. È l’evidenza di un vincolo per cui vale la pena vivere. Questo vale anche sul lato opposto, in quanto la perdita di legami umani porta verso un’esistenza infelice. Tuttavia desiderare la felicità non è solo bello, ma è anche rischioso. Nell’attesa di felicità, incoraggiata dalla relazione di amore, gli uomini ne vanno di mezzo con tutto se stessi: per questo la felicità non solo seduce, ma genera timore. L’etimologia dell’etica della felicità deriva da ethos, ed ha significato sia come prassi, sia come costume. Quel che resta oggi del sentimento della felicità. Si potrebbe affermare che lo spirito della felicità è il grande assente del mondo moderno. Nel dibattito etico- politico, il concetto pare logorarsi e appiattirsi su sinomini, come successo, piena affermazione di sé, interesse e sicurezza dell’individuo, e sembra prassi accettare l’infelicità umana. Oggi domina il lessico delle pulsioni. Della felicità rimane dunque una visione perfettamente moderna, la sua ricerca angosciosa che sembra seminare ovunque panico e rivalità. L’autore afferma che la vera concezione abbia cominciato a franare quando l’assoluto affettivo si è visto eclissare da un amore più pallido. Oggi ci si emoziona molto ma non si sa realmente sentire. Da qui si ha invece l’affermazione di una forma perversa della felicità, nella direzione del suo appagamento totale ed immediato. Oggi si ha una condizione nomade della felicità, di cui sono proposti 6 punti di osservazione: Strategia dell’anima: passaggio dall’uomo mitico che sta dentro il mondo all’uomo che si decentra rispetto al mondo, strumentalizzandolo. La modernità scioglie la comunità dai suoi vincoli con gli individui. Gli individui si pensano come onnipotenti e indipendenti da ogni legame con l’altro. Concetto chiamato da Lacan come stadio dello specchio, o dello svezzamento: è la versione aggiornata del mito narcisistico nella cultura dell’io minimo: il fascino di un’idea di appagamento immediato, che supera la promessa di una felicità piena e duratura. La realizzazione del proprio destino personale è identificata dal possedimento immediato. Paradisi perduti: le nostre città sono caratterizzate dai non luogo, spazi in cui non si realizza nessuna presenza relazionale. Si assiste ad una privatizzazione del mondo, in cui la sfera pubblica è ridotta a regile di mercato. Nuda vita: è la vita dell’uomo, anticamente messa la bando sulla quale di scatena la volontà assoluta del monarca. È una vita diventata anonima e comune. Rimozione della mistica, ossia dell’innamoramento verso la divinità. Guarda e trova nei più deboli, nei fuori legge, nei mendicanti e nei bambini la felicità, sensibile alla gratuita esperienza della solidarietà e all’accadere del dono. La sua profezia, ossia la lectio conservata, purificata e rivista nella stagione della sua diaspora, del suo esilio. Si guarda ad un episodio evangelico, il testo della donna peccatrice nella casa di Simone, il fariseo, raccontata nel vangelo di Luca. Simone aveva accolto Gesù, e il racconto è metafora dei tempi a venire, ossia che il Padre ci accoglierà: in quel momento la gratitudine e la gioia piena invaderà i cuori. Bisogna approfittare di un panorama che sembra ostile, come ostili erano i commensali alla donna. L’autore propone 4 piste evocative. Arginare la cultura mediatica dell’allarmismo, della catastrofe e del disagio sociale. Rieducare al sentire, per fronteggiare l’analfabetismo emotivo. Guardare all’eroe di tutti i giorni, allo scopo di stimare la sua creatività nascosta. Coniugare fedeltà a se stessi e apertura all’altro, alla pratica del dono e dei legami. L’autore indica come principio di fondo l’eliminazione della ricerca della massimizzazione del profitto come principio guida nella ricerca della felicità, e la sua sostituzione con la fatica e l’affanno di cuore. ROMANELLO – Beatitudine e gioia nel Nuovo Testamento Molto usato nel Nuovo Testamento è l’aggettivo Makarios, beato, e correlati. Esso significa felice. Ma come accade oggi nella realtà, dove la felicità può designare esperienze diversissime tra di loro, ed essere espressa con termini variegati, lo stesso accade nel NT. Abbiamo ad esempio gioia, esultanza, allegria. La domanda fondamentale è come giungere alla gioia. La risposta a questa domanda non si ha solo nel NT, ma in tutta la Bibbia, ed è univoca: la gioia legata alla coscienza di una vita riuscita non è parte di un percorso autarchico, ma nasce dall’incontro con un Dio, la cui parola diventa coordinata fondante dell’esistenza. Dio non è un’entità filosofica, è presente come alleato delle vicende del singolo e del popolo. LA GIOIA NEI RACCONTI LUCANI Il tema della gioia, presente in tutti i vangeli sinottici, nel Vangelo di Luca ha una particolare attenzione. Nei primi due capitoli, intavola un parallelismo tra Gesù e Giovanni Battista, descrivendo come Gesù riverberi la sua gioia su altri. Il tema della gioia appare già nell’annuncio a Zaccaria, e continua nell’incontro tra le due madri, dove Maria sarà la prima beata. Il tema della gioia acquista poi particolare pregnanza nel racconto della nascita di Gesù, già dall’annuncio ai pastori “ecco il lieto annuncio di una grande gioia che sarà di tutto il popolo…”. Il successivo racconto della visita dei pastori a Maria, Giuseppe e al Bambino è pervaso da un clima di gioia, sebbene tale terminologia non sia adoperata esplicitamente. Esso termina però con la menzione di ciò che è logicamente successivo alla gioia, ossa la lode a Dio. I pastori sono rimandati ad un segno particolare, il bambino, e la lode che erompe a seguito della vista del bambino non può che essere resa possibile da quella vista. Tuttavia, l’accoglienza richiede un pieno atteggiamento di conversione. La lode è prolettica, infatti la salvezza è solo annunciata. Lodare significa profetizzare, anticipare, annunciare la salvezza che viene grazie ai segni noti. Ancora, la gioia è esplicitamente menzionata al termine del racconto di guarigione di una donna curva: la gente riconosce una manifestazione salvifica dell’azione di Dio. E soprattutto si ha tre forme: la gioia della scoperta, la gioia della ricerca e infine la gioia del cammino che diventa vera conoscenza. Anche Agostino parla di una vera gioia, identificando la beatitudine come la capacità di godere della bellezza che rende belle le cose, bellezza che coincide con Dio. Nella gioia cristiana inoltre si assiste ad una dilatazione dell’animo, di un’apertura all’infinito. È fondamentale il ritorno all’interiorità, per una conoscenza di sé e di un amore disè nel rimando a Dio. Con San Francesco invece siamo di fronte ad un funzionamento paradossale della felicità: “la vera letizia è se io avrò avuto pazienza e non mi sarò turbato”. Si tratta di livello intimo e profondo che nessun contrattempo mondano riesce a compromettere. Questa letizia si può interpretare come ascetica o mistica: la prima si ritrova in San Francesco, nel realizzare un qualsiasi distacco da ogni bene. L’interpretazione misitica vdere invece nel distacco dalle cose terrene un partecipazione alla gioia donata da Dio, come con Teresa d’Avila, secondo cui i mali si tramutano in gioie senza uguali. Mentre quindi il benessere la ricerca del benessere è ossessioanta dalla possibilità del dolore e quindi tenta di scongiurarlo, l’esperienza cristaina trasfigura il senso del dolore. Sant’Iganzio arriva ad affermare che è meglio l’umiliazione con Cristo piuttosto che la consolazione lontano da Lui. Vi è anche la gioia di un amore fraterno: San Bernardo sottolineava come noi chiediamo ai beni terreni non solo si soddifare i bisogni, ma colmare la sete d’amore. Uno dei fondamenti della felicità cristiana è l’esperienza di una nuova comunione con i fratelli. La gioia è un dono, un nuovo legame. II CONCLUSIONE: la gioia è la dimensione di tutta una vita, non dura un attimo o un periodo, e questo implica che ci sia una gioia che va al di là dei beni disponibili di volta in volta. La sfida è dunque quella di una felicità che abbia radici sufficientemente profonde per durare sempre in ogni situazione, e questa radice si manifesta ad esempio o nel suo paradossale funzionamento, o nella comunione nuova tra fratelli. SPUNTI PER UNA FENOMENOLOGIA Un’analisi fenomenologia rivela tre dimensioni costitutive della vita felice: Un giusto rapporto con l’oggetto del desiderio-piacere. È l’aspetto base della felicità, quello dell’esperienza di essere felici. Dal momento che la felicità si consuma nell’istante, essa si situa tra il senza-tempo e il tempo. Felicità è unione- contatto con il bene desiderato. Ma è anche vero che essa non si esaurisce nell’attimo, né può essere ridotta alla somma degli attimi felici. Si situa anche sull’asse tra passato – perché abbiamo avuto esperienza della felicità – e futuro – in quanto continuiamo a cercarla. Occorre però sviluppare una buona relazione con l’oggetto desiderato. Non bisogna lasciarsi trascinare dalle passioni, ma considerare le cose esteriori come doni di Dio. La possibilità di volersi incondizionatamente. Per accogliere la vera felicità, occorre metter in gioco la libera disposizione si sé, il senso che si dà alla vita e alle cose. L’uomo riesce a disporre di sé e non avere bisogno di nulla per essere felice, non tanto perché possa fare a meno delle cose, quanto perché capace di catturare in ogni cosa ciò che è essenziale alla propria felicità. Una sana capacità di relazione e quindi di comunicazione. Il sentimento della felicità implica almeno due dinamiche relazionali: la prima è la sensazione di armonia con il tutto, la realtà, le cose, situazioni e persone. Ma questo sentimento non corrisponde alla perdita di sé. La felicità mette in relazione, si espande in una benevolenza generale. Sant’Agostino: “amo, voglio che tu esista”. CONCLUSIONE Se la ricerca del benessere diventa un modello autonomo di ricerca della felicità, rischia di impoverire le dimensioni dell’esperienza della vita felice. Il rapporto con l’oggetto del piacere è insufficiente. Occorre verificare con cura quanto la ricerca del benessere sia in grado di creare legami di comunione stabili e profondi, e quanto induca a rapporti superficiali e funzionali, che compromettono sulla distanza le relazioni umane e il desiderio di comunicazione autentica e coinvolgente. La consapevolezza di questi rischi, contenuti nella ricerca della felicità tramite il benessere, rende difficile immaginare una riduzione del dono della beatitudine all’esperienza di una forma di benessere spirituale. CHIODI – Benessere, moralità e felicità La contemporaneità sembra essere più preoccupata del benessere che della felicità, che appare impervia da raggiungere, e ancora meno dalla moralità. L’analisi è condotta confrontando due figure: EPICURO: la vita felice coincide con il piacere. Nella terza lettera di Epicuro (A Meneceo, sull’etica), che segue il De Rerum Natura e il De Meteoris, dopo aver esortato alla filosofia come ciò che produce felicità, espone quali sono i fondamenti del vivere bene. Essi sono quattro: La credenza negli Dei: Dio è un vivente incorruttibile, gli dei sono felici e immortali. Non bisogna avere timore di essi, in quanto non possono fare del male agli uomini, in quanto privi di passioni. Il superamento della paura della morte: non si vive bene se non cancellando la paura della morte. Solo il saggio accetta di vivere e di morire, quel che conta è la qualità del tempo che si vive e non la quantità. Adeguata concezione del piacere e del dolore: questione centrale della lettera. Epicuro distingue tra i desideri, i desideri naturali (tra naturali e necessari – in vista della felicità, per eliminare la sofferenza e quelli in vista della vita) e i desideri vani. Al fine di vivere beatamente, occorre avere questa conoscenza e fare le scelte guardando alla salute del corpo e alla tranquillità dell’animo. Per essere felici non occorre ricercare tutti i piaceri, ma sono quelli nei quali i benefici risultano superiori agli svantaggi, secondo un calcolo di tipo economico. Accrescere la saggezza: essa è fonte di vita piacevole e felice. Da essa scaturiscono le altre virtù. Per Epicuro quindi la vita piacevole sta nel vivere saggiamente, onorevolmente e con giustizia. La dottrina epicurea è essenzialmente un’etica che persegue la felicità mediante la liberazione dal dolore. Tra felicità e piacere egli stabilisce una perfetta identità. Epicuro però non insegna una ricerca scriteriata del piacere: solo la saggezza può fare accedere alla felicità o al piacere. L’epicureismo ignora però la complessità della vita e pensa possibile una volontaria esclusione del dolore. Inoltre viene offerta una via individuale alla felicità, basata su una razionalità meccanica. Egli è infatti l’ideatore di quel sapiente astratto dalla vita politica, dalla quale egli non può che ritirarsi, se vuole conservare l’imperturbabilità, che è il sommo bene. SAN TOMMASO: la vita felice è la vita beata, ed è identificata con la contemplazione dell’essenza di Dio. Centrale qui è il testo della Summa Theologiae, dove pone il problema del rapporto tra il naturale, con la beatitudo imperfecta, e il soprannaturale, o la beatitudo perfecta. Tommaso dedica le prime cinque Quaestiones al rapporto tra l’uomo e il suo fine ultimo, che è la beatitudine o felicità. Nella quaestio II si chiede in che cosa consista la beatitudine dell’uomo e cioè quale sia la fonte della felicità umana: ricchezze, amori, fama … Ciò che l’uomo desidera non è il godimento,ma il bene, dal quale poi deriva il godimento. Solo Dio, in quanto bene universale e perfetto, può essere la beatitudine dell’uomo, mentre è impossibile che tale beatitudine si trovi in un bene creato. Tommaso si interroga su quale sia l’essenza della beatitudine che individua nella contemplazione; nella beatitudine imperfetta si aggiungono anche le operazioni dell’intelletto che regola le azioni e le passioni umane. L’intelletto cerca di risalire, partendo dagli effetti, alla causa, ma di Dio conosciamo solo l’esistenza e quindi non può accadere nella vita presente di essere perfettamente felici: la felicità ci sarà solo quando ci sarà l’unione con Dio, dove l’uomo troverà la sua beatitudine. Nella V Quaestio san Tommaso comincia a dire che l’uomo è ordinato all’ultimo fine, in parte con l’intelletto e in parte, ma secondariamente, con la volontà. Ma è la beatitudine che rimane essenzialmente cosa riguarda l’intelletto. Riguardo i beni esteriori, Tommaso esclude che essi siano richiesti per la beatitudine perfetta. Analogamente, la compagnia degli amici. Essi sono invece importanti per la beatitudine imperfetta, perché l’uomo possa fare del bene agli amici e riceverne, quindi goderne. L’ultima Questio è dedicata al conseguimento della felicità: in questo mondo l’uomo può solo partecipare in un certo modo alla felicità, ma non può possedere la beatitudine vera e perfetta. Questo perché la vita presente è insediata da molteplici mali, quali l’ignoranza, gli affetti disordinati e le malattie del corpo. Inoltre il desiderio del bene non può essere saziato a causa della transitorietà dei beni, della vita e della paura della morte. La beatitudine perfetta è invece promessa. L’Uomo, se parliamo della beatitudine perfetta, diviene beato soltanto per opera di Dio. Se l’uomo si trova davanti al bene da lui conosciuto come universale e perfetto, egli non dovrebbe essere libero di rifiutarlo. Nel quadro dello studio degli atti umani, Tommaso elabora una analitica delle passioni, considerando queste come ciò che l’uomo ha in comune con gli animali. Amore – l’amore precede il desiderio e il desiderio precede il piacere. Desiderio – esso si caratterizza come il moto verso il bene. Piacere (gioia) – è la quiete nel bene raggiunto. Egli stabilisce una differenza tra piacere e gioia. Mentre il primo sono i piaceri del corpo o secondo natura, la gioia è un piacere dell’anima, e si trova solo negli esseri dotati di ragione. CHE COSA DEVO FARE PER EREDITARE LA VITA ETERNA? C’è una domanda simile che ritorna in due brani evangelici: In Marco, nell’incontro tra Gesù e l’uomo ricco, che gli si avvicina chiedendogli “cosa devo fare per avere la vita eterna”. Gesù rinvia al Padre, come colui che, unico, merita il credito incondizionato della nostra fede. Ma questo rimando a Dio non esclude Gesù. Gesù gli chiede di seguirlo rispettando i comandamenti, promettendo all’uomo che in questo modo avrebbe trovato la vita eterna. Ma l’uomo rimane intrappolato nella sua sete di ricchezza, rifiutando il dono ricevuto. In Luca, nel racconto che precede la Parabola del Buon Samaritano, tra Gesù e un dottore della legge : ”Maestro, cosa devo fare per ereditare la vita eterna”? La domanda è la stessa, ma posta con tono polemico per mettere Gesù alla prova. Gesù risponde con la parabola del Buon Samaritano, per spiegare chi è il prossimo dopo che lo Scriba aveva ben espresso il primo comandamento della legge di Mosè. La beatitudine va cercata nelle concrete azioni con la prossimità. Non vi è altra via per avere la vita eterna se non credere e amare. La fede si attua e si dà. CONCLUSIONE: La felicità non è l’intellettualismo trascendentale di San Tommaso, né la ricerca del benessere epicurea. Nella felicità la questione di fondo è la fede. L’uomo non può essere felice se non al prezzo di credere in ciò che merita di essere voluto. E l’attuazione della fede è pratica, si dà nell’agire, come ben evidenziato dai due brani del Vangelo. La felicità è ciò che si attesta con la vita buona, e cioè nella cura e nella dedizione dell’altro. La felicità viene raggiunta quando di smette di cercarla. In Marco si dice: “Chi vorrà salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo la salverà”. C’è il fallimento della pretesa umana di bastare a se stessi. La felicità arriva, come un dono,una sorpresa, nella concreta e libera dedizione nella relazione dell’amato.