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Riassunto libro "Donne e cinema: immagini del femminile da fascismo agli anni Settanta", Sintesi del corso di Storia

Riassunto dettagliato di tutti i capitoli del libro

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

In vendita dal 02/03/2022

IreneTravas98
IreneTravas98 🇮🇹

4.7

(30)

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Scarica Riassunto libro "Donne e cinema: immagini del femminile da fascismo agli anni Settanta" e più Sintesi del corso in PDF di Storia solo su Docsity! DONNE E CINEMA: IMMAGINI DEL FEMMINILE DAL FASCISMO AGLI ANNI SETTANTA Introduzione Il dialogo tra cinema e storia negli ultimi anni si è fatto più serrato e gli studi in questa direzione cominciano ad essere numerosi anche in Italia; questo volume pone al centro dell’attenzione la rappresentazione del femminile sullo schermo. La storiografia italiana ha sempre dedicato alla categoria gender una riflessione di carattere teorico, d’altra parte, nella storia del cinema è a partire dagli anni Settanta che si comincia ad affrontare il discorso sulla presenza delle donne sugli schermi attraverso proposte di lettura incentrate, di volta in volta, sui singoli film, sulla figura di autrici emergenti o su determinati filoni cinematografici. Solo a partire dal Duemila che la prospettiva gender ha iniziato a farsi strada negli studi di settore, facendo fiorire ricerche specifiche dedicate a grandi interpreti, al ruolo della donna nella commedia o nel melodramma, a pratiche e ruoli artistici legati ad esperienze femminili, intrecciando un approccio di stampo culturalista, il pensiero femminista e la storia del cinema italiano. Il progetto che ispira il volume è quello di tratteggiare un quadro di sintesi ponendo in luce nel periodo del cinema italiano che va dagli anni 30 ai 70 gli elementi di continuità nel rapporto della cinematografia e rappresentazione di genere ma anche le resistenze le innovazioni e le rotture indotte dalle trasformazioni delle relazioni fra i sessi nella cultura e nella società. il volume propone quindi uno studio dell'immagine femminile sullo schermo ancorata al rapporto dialettico tra le forme e i modi delle rappresentazioni e i diversi contesti storici della realtà italiana nell'arco di un cinquantennio. Una decostruzione della declinazione di genere del linguaggio cinematografico nella sua doppia faccia di rispecchiamento della mentalità collettiva e di cooptazione culturale dove gli aspetti commerciali si intrecciano la valenza politica. Nella cornice di questo studio appaiono anche come componenti imprescindibili le congiunture socio-economiche e il contesto politico: è innegabile infatti la relazione tra il mutare dei connotati assunti dal maschile dal femminile sullo schermo e l'alternanza delle diverse stagioni politiche e delle alterne fasi economiche. Inoltre, quello che colpisce è anche il rapporto complesso che spesso si crea tra le rappresentazioni e le parole d'ordine dei partiti e dei governi: ad esempio il ben noto motto mussoliniano moglie e madre esemplare sembra non trovare un riscontro sugli schermi ma addirittura sembra rovesciato dalle immagini del femminile che appaiono piuttosto l'incarnazione degli impulsi modernizzatori del regime stesso (ad esempio, le madri fanno una comparsa episodica nei film degli anni 30 quando in realtà vivevano in un’età bersagliata da un’assillante campagna demografica). È un'altra Italia insomma borghese consumista e spensierata quella che connota la stagione cinematografica nazionale degli anni 30 della quale proprio le donne sembrano incarnare il simbolo. Un altro dato imprescindibile della ricerca e il dominio incontrastato di Hollywood: un'attenzione particolare e quindi riservata le figure di donna proposte dal cinema americano degli anni 30, icone di quella che potremmo definire una sorta di femminilità dominante. Dunque, appare evidente quanto un'indagine sul cinema contribuisca a rafforzare il filone di studi che ha iniziato a mettere in evidenza le contraddizioni che caratterizzano il linguaggio e la prassi del regime in tema di identità di genere. D'altra parte, non meno incongruente con la dignità che il diritto di voto attribuirà alle donne si prospetterà la nuova incarnazione del femminile con l'avvento della Repubblica: a tale dignità infatti corrisponderà sugli schermi la riproposizione di un'immagine femminile del tutto tradizionale (Già in Roma città aperta si avrà una lettura significativa delle rappresentazioni di genere nell'immediato dopoguerra perché vi appare un'immagine di donna che è appunto considerata nuova Virgola in cui l'unica incarnazione positiva del femminile rappresentata dal modello della sposa e madre tutta istinto e sentimento). In un'epopea resistenziale tutta incentrata sulla riabilitazione di un virilismo nazionale messa a dura prova dagli esiti della guerra alle donne dunque non resta che un ruolo del tutto marginale e prepolitico. Mentre il fascismo sembrava insomma delegare alle immagini femminili proposte sullo schermo la funzione di incarnare i tratti dell'Italia nuova il cinema dell'immediato dopoguerra poi riflettere la fase di un ritorno alla normalità caratterizzato dall'inaugurazione di quella che verrà definita la stagione d'oro delle famiglie (Dopoguerra = L'esaltazione dei valori familiari e irrigidimento dei precetti della morale cattolica > I ruoli di genere ritornano ad allenarsi all'interno dei binari consueti degli attributi del maschile e del femminile; anche nella produzione hollywoodiana scompariranno le working man degli anni 30 e l'eroiche patriote del periodo della guerra). Eva e Maria: le due fondamentali incarnazioni del femminile non mancano di riproporsi anche nelle sale cinematografiche, Soprattutto durante la prima guerra mondiale quando la figura femminile tende ad assumere connotati minacciosi e le tenebrose fanno la loro comparsa nei film. Le rappresentazioni del femminile non sono dunque mai univoche nei film di qualsiasi periodo storico anche se di volta in volta possiamo osservare la prevalenza di figure che definiremmo dominanti (ad esempio, La Repubblica ritroverà nei corpi delle donne il simbolo di un'identità nazionale che racchiudesse in sé elementi di prosperità e di rassicurazione e soprattutto di estraneità al passato regime in un'ottica in cui la percezione femminile doveva svolgere il ruolo di purificazione dagli orrori del fascismo - comparsa sul fronte cinematografico e della figura della maggiorata che rafforzava il binomio donna natura. Una donna essenzialmente corpo quella proposta dai film del dopoguerra). Il grande schermo non manca dunque di registrare le trasformazioni captando spesso tutti gli elementi di novità ancor prima che la coscienza collettiva riesca a metabolizzarli in maniera compiuta: nel corso degli anni quindi vediamo cambiare trame scenari e identità di genere in un percorso tutt'altro che a senso unico in cui non mancano né continuità né sopravvivenza del passato. Nella fase centrale degli anni 50 le protagoniste dei film italiani sembrano comunicare i segnali di un malessere diffuso, specchio di quell'universo femminile percorso da frustrazioni che non riescono a sfociare in espliciti atti di ribellione: in questo caso il cinema riflette un'ansia di novità ancora incapace di trovare forme di condivisione collettiva e di scalfire la cappa opprimente di perbenismo che caratterizza un decennio pervaso dall'ossessione della verginità. Del miracolo economico invece il cinema italiano tende piuttosto evidenziare l'improvvisa dissoluzione dei valori tradizionali della società italiana: in primo luogo della famiglia - tant'è che ad essere rappresentato come uno specchio della normalità sarà proprio l'adulterio - e la valenza corruttrice della corsa al consumismo percorrerà del resto quasi tutte le trame della commedia italiana (In cui si alimenta il cliché della donna accecata dal lusso che in strada l'uomo sulla via della corruzione alimentando il luogo comune per cui la donna rimane comunque qualcosa di inferiore. Le ragazze disinibite degli anni 50 si trasformeranno in tentatrici il epoche che deterranno il potere economico della coppia finiranno col perdere gli attributi della femminilità). La donna nel cinema commerciale viene riconosciuta come tale solo se si presenta come oggetto del desiderio maschile è l'unica forma di emancipazione che le sembra concessa è quella di un ammiccante amoralità. Per trovare rappresentazioni del femminile diverse degli anni 70 bisognerà rivolgersi ai film d'autore. Gli anni 70 oltre a tutta una serie di leggi che avranno importanza epocale dal punto di vista del rinnovamento dei costumi vedranno il trionfo del cinema erotico come se la liberalizzazione dei costumi desse finalmente il via libera alla proliferazione di pellicole pruriginose destinato a soddisfare le pruriginose curiosità sessuali di un pubblico cui finalmente si offrono nudi di donna (Non si può non prendere in considerazione l'interpretazione di questo fenomeno come una sorta di reazione maschile alle paure che la prospettiva di una liberazione femminile suscita negli uomini quindi una nuova indipendenza a cui sugli schermi si reagisce o con l'esasperazione della rappresentazione della donna oggetto o con gli esiti apocalittici della distruzione del maschio). In questi anni in cui anche la vita privata di vede il cinema è oggetto di gossip e talvolta propone e veri e propri esempi di vita le scelte a volte spregiudicate e la capacità di autodeterminazione sul piano professionale possono assumere un significato tanto pregnante quanto l'immagine che queste attrici portano sullo schermo mostrandoci un significativo grado di Agency e di sfida alle convenzioni sociali. Guardando i film d'autore degli anni 70 più che la messa in scena della ribellione femminile e la crisi della famiglia e del rapporto di coppia insieme a rappresentare il filo conduttore di quello che potremmo chiamare cinema della contestazione cioè il cinema post 68. La crisi del rapporto a due è crisi esistenziale e questo è il leitmotiv delle trame del cinema d'autore dei primi anni 70 Del resto a fine degli anni 70 le donne avevano fatto irruzione nel cinema: i nomi di Lina Wertmuller e Liliana Cavani segnano l'accesso delle donne alla regia E anche collettivi femminili avrebbero deciso di impadronirsi dei media per ampliare i confini della ricezione di un messaggio profondamente eversivo. Tra Hollywood e Cinecittà: modelli di genere nell’Italia fascista Negli anni 30 gli italiani vanno pazzi per il cinema, molto spesso un appuntamento al cinema rappresenta per molti una vera e propria uscita di sicurezza dall'atmosfera oppressiva del fascismo. A conquistare gli spettatori erano stati soprattutto le grandi dive, ma con l'avvento del sonoro, appunto negli anni 30 le cose cambiano non solo perché il cinema italiano riemerge faticosamente dalla crisi degli anni 20 ma anche perché inserendosi in quello che potremmo definire un libero mercato cinematografico l'Italia appare ormai una second comer. In questi anni Hollywood svolge un ruolo centrale tant'è che le fantasie dell'italianissimo pubblico nazionale volano immancabilmente oltreoceano, fino alla fine degli anni 30 si fa fatica a credere di trovarsi nell’Italia fascista perché l'Italia continua a dipendere dalle forniture da oltreoceano in un ambito che comunque sia estremamente importante per la formazione della mentalità collettiva. Come giustificare dunque la contaminazione di stili di vita che costruivano un'identità di genere fortemente in contrasto con il modello patriarcale proposto ed imposto dal regime? Il cinema influisce in maniera importante e complessa con la sfera dell'immaginario innescando di volta in volta percorsi di auto riconoscimento del tutto soggettivi, si gioca molto infatti sull’empatia e l'immedesimazione con i personaggi - il più delle volte stereotipati - che sono incarnati da divi. Quello tenebrosa, di quelle che muoiono in avampiano (eroine del melodramma, punite a morte per i loro eccessi), è calcata su Teresa Gullace, eroina dell'assalto ai forni, Che da sconosciuta martire diventa un mito perché il cinema la inserisce nella lunga catena delle donne che muoiono in avampiano. Pina non è una femmina fatale ma è una donna che fa resistenza, donne come lei passano al mito eludendo la storia: Pina non è una donna tenebrosa perché agisce in piena luce, non fa la Resistenza, si limita ad opporre resistenza. E’ in sostanza una figura antica, vecchia e nuova, che rende una vera donna del popolo, la Gullace, l'attrice Anna Magnani e il personaggio che interpreta, Pina, tutte e tre immortali allo stesso tempo e allo stesso titolo. Le figure femminili dei film tra le due guerre collocare una galleria ambigua densa e multiforme: spiccano alcune donne minacciose che aggrediscono seducendo e seducendo annientano, Dagli anni 10 del 900 la minaccia femminile si confonde con la guerra e si ibrida con la sua simbologia (attrice al servizio di personaggi, personaggi al servizio delle idee). Le donne tenebrose del cinema neorealista vanno indagate a partire dal panorama più ampio nel quale si collocano: secondo Aby Warburg il significato dell'immagine sta nel suo porsi in relazione con altre immagini (concetto di Nachleben: sopravvivenza ma anche ritorno > ninfa dall’arte greca a quella rinascimentale, Il lato oscuro e minaccioso della femminilità si ripropone nel corso delle due guerre mondiali). La prima versione di questa raffigurazione femminile si colloca nel periodo muto, negli anni della prima guerra mondiale: La diva degli anni 10 incarna la donna vendicativa, rispostato distruttiva una società che la schiaccia; la ribellione viene punita con la morte o il suicidio nel finale del film, c'è una serializzazione di questi destini di annichilimento. Le donne sono tutte bellissime fiere, accomunate dal gesto di sollevare il volto come esprimere la volontà di affermarsi guardando senza paura davanti a sé. Nella prima metà degli anni 20 la donna fatale ciclista dal cinema italiano (Questa tipologia del femminile sbarcherà anche in Germania e arriverà in America nei primi anni 30 attraverso soprattutto gli aggressivi scandalosi personaggi interpretati da Marlene Dietrich, mentre in parallelo Greta Garbo eserciterà il suo fascino androgino nell'ultima grande stagione del muto italiano). La seconda versione è individuata invece nelle protagoniste del noir. Quello che accomuna queste donne e una nuova spiccata e quasi lombrosianamente tendenza al crimine. Una sorta di male oscuro le pervade e si incarna in fisionomia uniformate dall'epoca: sono caratterizzate da un'inquietudine sorde rancorosa, una sorta di fuga allucinata in un'altro immaginario nel quale si esprime un cocente conflitto con la realtà che somiglia ad un denominatore sociale comune, doppie, ambigue, allo stesso tempo vittime e carnefici. Dopo la guerra le donne italiane tornano nei ranghi il cinema neorealista certifica questa perdita di identità nella vita pubblica dando vita a figure femminili dallo statuto sospeso fra passato e futuro. Silvana: protagonista di Riso amaro, ricalca i destini delle eroine del muto nonostante le ambientazioni siano molto diverse, personaggio dalla disarmante carica vitalistica eppure destinata all'auto annientamento e punita dal racconto. Come in Pina, si possono ritrovare condensate le paure legate all’infrazione del confine tradizionale tra i ruoli sessuali. Marina di Roma città aperta: immagine tenebrosa della collaborazionista, che aspira sostanzialmente ai beni materiali ed è soggetta a una doppia condanna morale da parte del cattolicesimo e dell'ideologia marxista: nel dopoguerra la donna positiva sarà infatti rappresentata dalla donna onesta e parsimoniosa. Oltre la fisionomia stereotipata delle collaborazioniste che ricalca quello delle tenebrose del noir americano c'è un tratto distintivo delle donne compromesse con il nemico: sono personaggi femminili portatori di una superficialità correlata a valori negativi, che saldano le sopravvivenze della cultura ottocentesca nella linea di continuità che va dalla belle époque al modernismo per poi sfociare nella società dei consumi. Il tratto distintivo di questi personaggi sono le calze, in un'epoca di cuciture dipinte con la matita sulle gambe. Nel 1945 le star hollywoodiane indossavano le calze di nylon ma in Italia le giovani donne non potevano permettersele, dunque se le possedevano o erano prostitute o collaboravano con gli occupanti. Tra il 1945 di Roma città aperta e il 1947 de L’onorevole Angelina si traccia nella società italiana il ritorno all'ordine delle donne fra le mura domestiche: non solo non potranno fare eroismo ma neanche ambire a portare sulla scena politica le loro istanze. Anna Magnani disegno con i suoi personaggi l'inversione di marcia seguite al ritorno dei reduci e cioè alla fine di ogni trasgressione. La corsa dell'italiano alla conquista della sfera pubblica si è arrestata di colpo, le tenebrose vengono ricacciate nell'ombra e la donna nuova resta per la seconda volta confinata nell'ambito del desiderio e non ho ancora visto la luce. Dal neorealismo alla commedia: proiezioni del femminile nel secondo dopoguerra Nell'immediato dopoguerra si avvia in Italia un lungo processo di trasformazione che parta dalla ricostruzione di un'identità nazionale dopo i drammi della guerra e che tocca ogni aspetto della vita sociale da quello privato a quello culturale. Negli anni dopo la guerra emergono segnali di un cambiamento nelle dinamiche di rapporto uomo donna, per cui da un'iniziale recupero dei tratti più tradizionali dei connotati della femminilità si passa al profilarsi di nuove identità di genere soprattutto nella seconda metà degli anni 50. Da questo punto di vista il cinema si pone come modello che anticipa e favorisce le trasformazioni sociali, fornisce ipotesi di comportamento, propone soluzioni possibili a nuovi problemi dell'immaginario degli italiani. In questo periodo si assiste a una serie di fenomeni sociali rivoluzionari: la nascita della televisione, l'influenza della pubblicità sui consumi, la crescita delle città, … Per le donne questo sarà un contesto storico denso di contraddizioni: nella vita sociale si profilano alcuni cambiamenti ma allo stesso tempo molte strutture resistono. Dopo la conquista del voto nel 46, nella scena politica si mettono in atto una serie di piccoli passi - piuttosto timidi - verso l'applicazione di quelle norme che già erano presenti nella costituzione ma erano ignorate nella pratica che vanno nella direzione di una sostanziale parità tra uomini e donne. Tuttavia, se da un lato si assiste alla conquista delle di una piena cittadinanza dall'altro si registra un calo dell'occupazione femminile e una scarsa partecipazione alla vita politica. Forse uno dei motivi per cui questa generazione è stata poco studiata e che non ha prodotto comportamenti collettivi propone una riflessione particolare su essa, l'ideale più avanzato pare quello della conciliazione tra il lavoro produttivo e l'attività familiare. Tutte le campagne le conquiste del dopoguerra si ispirano all'ideale dell'equilibrio armonico tra l'impegno dentro e fuori le pareti domestiche, puntando a conquiste che dovranno permettere a tutte le donne di perseguire la cosiddetta doppia metà appunto per arrivare infatti alle prime riforme concrete del mercato si dovranno aspettare gli anni 60. Il cinema in questo contesto ma in realtà in generale si configura come il luogo privilegiato per interpretare e costruire desideri sociali, come occasione di incontro e di sovrapposizione tra sfera privata e sfera pubblica e soprattutto come strumento di costruzione di un'identità collettiva, tanto che i film spesso assumono la valenza di testimonianze del patrimonio simbolico e culturale di un determinato contesto sociale e storico. In questi anni si registrano trasformazioni per quanto riguarda stili di vita e modelli di consumo: la cultura di massa entra a far parte della vita quotidiana e assume significato soprattutto quando viene assorbita in modelli di comportamento personalizzati; il cinema diventa la forma di svago prediletta degli italiani ma in generale l'intero scenario dei media attraversa una fase di sviluppo: dopo l'inizio delle trasmissioni nel 1954 la televisione assumerà un ruolo centrale di aggregazione e socializzazione. È interessante anche rintracciare i modelli e l'immaginario veicolati dal fotoromanzo che era estremamente diffuso tra le donne in cui, come nel cinema e nel rosa in generale, la figura femminile è il motore della storia; ma anche qui il nuovo non rinnega la tradizione: i modelli di mascolinità e femminilità non mettono in discussione il ruolo pubblico protettivo dell'uomo né la componente sacrificale perdonante della donna. La ricerca di modelli alternativi si intensifica i momenti in cui la società è percorsa da processi e stimoli di cambiamento in cui vecchi costumi non sono più in grado di offrire sostegno. Proprio per le sue condizioni di paese da ricostruire, l'Italia del dopoguerra è stato dunque il paese più ricettivo nei confronti dei messaggi culturali americani e il grande schermo rappresenta il mezzo di trasmissione più efficace della cosiddetta americanizzazione che rappresenta lo specchio della modernità e il veicolo di nuove tendenze comportamentali. Quegli anni sono stati insomma un periodo di evoluzione e di cambiamento della mentalità collettiva in cui è stato innegabile l'influenza della cultura statunitense soprattutto sulle donne italiane che spesso consideravano i traguardi raggiunti dalla società americana un esempio a cui ispirarsi. Per incentivare la ripresa dell'industria cinematografica dopo gli anni della guerra vengono messi in atto diverse strategie, in primo luogo si cerca di consolidare un sistema di generi che rispecchino i gusti del pubblico in base alle appartenenze sociali e geografiche. Questo sistema dura fino alla metà del decennio quando invece inizia ad affermarsi un prodotto medio cioè la commedia il cui compito è quello di uniformare i gusti del pubblico e offrire incassi sicuri e necessari. L'obiettivo è intraprendere un percorso che guidi gli italiani alla scoperta di un paese e della sua storia collettiva partendo dal basso, da quelle classi popolari che la stagione dei telefoni bianchi aveva dimenticato, per proporre gli spettatori la rappresentazione di un benessere tanto ridondante quanto artificiale. I modelli di femminilità che si alternano nel corso del decennio sono molteplici e talvolta anche contraddittori tra di loro; se partiamo ad esempio da Roma città aperta vediamo che ci propone un unico modo positivo di essere donna e cioè quello di essere madre e moglie e martire perché gli altri modelli femminili - che si contrappongono alla protagonista Pina - non offrono una possibile identificazione alle spettatrici. Molto spesso queste donne vengono rappresentate come assolutamente irrazionali, pura passione e sentimento, impulsive, esuberanti, intrinseche di istinto. Un altro film chiave dell'epoca è Riso amaro di De Santis con protagonista Silvana che sembra incarnare tutta una serie di elementi caratteristici della cultura di massa del tempo punto in questo film si vede un primo incontro tra cinema e fotoromanzo, un incontro che proseguirà per tutto il decennio dei generi cinematografici più popolari. Anche Silvana è l'incarnazione di irrazionalità e della passionalità che si contrappone alla razionalità maschile. Dopo la guerra si sente la necessità di inventare una nuova identità collettiva e proprio la bellezza femminile fu spesso utilizzata come simbolo dell'identità nazionale. Dunque, in tutto il secondo dopoguerra si sarebbe assistito alla promozione simbolica in chiave nazionalista della bellezza comune. Il crollo dell'ordine sociale e l'esplosione del fenomeno della prostituzione tendevano ad attribuire maggior rilievo alla sessualità, il discorso sulla bellezza cessò - dunque - di essere astratto per essere invece riferito a persone in carne ed ossa. E’ in questo periodo che nasce il concorso Miss Italia e in generale si assiste in Italia la diffusione di concorsi di bellezza femminili. L'obiettivo di questi concorsi era principalmente la ricerca di un volto nuovo per il grande schermo non solo bello ma anche espressivo. Negli anni 50 e quindi estremamente stretta la relazione tra il cinema la bellezza femminile; la reazione di un nostro sistema di nuovo appariva come lo strumento più idoneo per risollevare le sorti dell'industria cinematografica dopo i danni della guerra, non era un caso, infatti, che le nuove dive del cinema italiano provenissero dalla passerella di Miss Italia. Studi su questi concorsi di bellezza li fanno emergere non solo come eventi in cui si tenta di far diventare un oggetto la bellezza femminile ma sono soprattutto luoghi in cui significati culturali sono prodotti, consumati e respinti; il corpo femminile finisce quindi con incarnare il luogo in cui scrivere la nuova rappresentazione di una identità nazionale e ricercata i cui connotati elementari si riallacciassero a immagini di bellezza, fecondità e naturalezza. Negli anni 50 assistiamo dunque ad uno spostamento dell'asse dello sguardo dal volto al corpo, nel ruolo sia richiamo erotico per il pubblico maschile sia di specchio per quello femminile. Il rapporto schermo spettatore è cruciale perché ci mostra come l’identità di uomini e donne è plasmata dalle immagini dei film: assioma da cui si prende le mosse è la concezione di Michel Foucault del corpo come luogo culturale, in cui si incrociano saperi, norme, politiche, leggi, pratiche di assoggettamento: cioè un luogo plasmato dall'immaginario, quasi una mappa su cui è possibile rintracciare il passaggio del tempo, individuale e collettivo, e i segni del potere. Le rappresentazioni delle diverse tipologie di donna che appaiono sugli schermi possono essere la chiave di lettura privilegiata per interpretare le trasformazioni della soggettività femminile in questo periodo. I processi di incorporazione dei modelli della cultura di massa contribuiscono alle pratiche del sé delle donne. Ma Foucault parla anche di una soggettività libera in cui appunto il soggetto si può rapportare per proprio conto alle modalità della sua sottomissione adattandovisi o opponendosi. Gli anni 50 vedono così l'avvicendarsi di icone della femminilità assai diverse, non immuni dalla contaminazione di diversi modelli culturali che provengono dai cineromanzi e dalle riviste di moda di stampo americano e, dopo il 54, dalla televisione. All'inizio del decennio è ancora molto forte la differenza tra città e campagna e questo è un elemento importante: infatti quasi tutte le attrici che si affermano nei primi anni 50 lo devono a film di ambientazioni rurale, in cui interpretano contadine e lavoratrici dei campi; si tratta di personaggi femminili caratterizzati da un fisico prorompente che richiama l'idea di una sessualità istintiva e spontanea, esplicita ma allo stesso tempo priva di perversione, simbolo piuttosto di prosperità, salute, fertilità e semplicità. Il successo di questa tipologia di corpo è correlato - da una parte - al desiderio degli italiani di dimenticare le ristrettezze della guerra e dell'immediato dopoguerra e dall'altro al mammismo che affliggerebbe la cultura nazionale. Il primo modello, rassicurante, di corpo che si incontra nel dopoguerra è quello delle cosiddette maggiorate fisiche (Gina Lollobrigida). Sull’onda delle prima avvisaglie dell’imminente miracolo economico fanno la comparsa sulla scena fisici molto diversi da quello delle maggiorate come risposta ad un desiderio di modelli più aderenti ad uno stile di vita cittadino e borghese. Anche le ambientazioni rurali scompaiono, sostituite da personaggi femminili ormai integrati nell’ambiente urbano. Nella seconda metà degli anni Cinquanta > immagini di corpi sottili e un po’ androgini a dominare la scena. Verso la fine degli anni Cinquanta si fanno spazio nell’immaginario cinematografico due corpi del tutto nuovi: Silvana Mangano e Lucia Bosè che si trasformano, sia fisicamente che nei personaggi, rimuovendo le proprie origini e passando da un modello rurale a uno borghese, avvicinandosi ad una bellezza fredda e levigata. Nella seconda metà degli anni Cinquanta, insomma, le donne presentano un modello di corporeità non più legato al piccolo paese d’origine o all’Italia, ma si collega a codici sempre più urbani e transnazionali. Sarà proprio il cinema a proporre nuovi modelli di corpo e di comportamento. Il cinema non manca di registrare le nuove suggestioni generate dall’accelerazione verso la modernità e il benessere che caratterizzerà l’Italia nella seconda metà del decennio. E anche le attrici, con le loro vite private, avranno un ruolo centrale nell’accompagnare le donne verso il contraddittorio cammino verso una maggiore consapevolezza del sé. Il cinema italiano degli anni 50 è uno specchio a due facce che lega il passato prossimo e il futuro prossimo, in cui le star riflettono perpetuano e rinnovano i ruoli delle donne nella società; le dive incarnano la doppia natura di sogno e quotidianità. Il divismo è strettamente connesso al funzionamento del cinema popolare perché attiva processi di riconoscimento e identificazione per cui il divo finisce per essere l’io ideale. E l’identificazione e le dinamiche di desiderio occupano un ruolo centrale nello studio della formazione d’identità di uomini e polemica in Parlamento tra la Merlin e il deputato Raffaele Delfino a riprova del fatto che mostrasse elementi innovativi, Adua è infatti una donna determinata e intraprendente. Più drammatico e l'affresco di Pasolini Mamma Roma, perché nemmeno i figli possono liberarsi del marchio di vergogna della prostituzione delle madri, per quanto queste dedichino tutta la loro vita a cercare di riscattarsi ad offrire loro una rispettabilità sociale e un salto di classe. Se da un lato però per le prostitute che vogliono cambiare vita non sembrano aprirsi molti spiragli, la commedia all'italiana propone una versione più pacificata. Il matrimonio non è sempre la soluzione, anzi spesso è una gabbia insopportabile. In una società ipocrita e perbenista il tradimento è eretto a normalità. Nel 1968 si sancisce l’illegittimità dell'articolo 559 del codice penale Rocco che puniva solo l'adulterio femminile. Per quanto in crisi, il matrimonio era sempre un orizzonte verso cui tendere, specialmente quando non si è più giovanissime. Contro l'indissolubilità del matrimonio si erano infrante, fin dal 1954 proposte di legge, a partire da quella Sansone sul piccolo divorzio: la famiglia non andava messa in discussione restava saldamente al centro della società. Il registro più congeniale a molti registi del periodo appare quello grottesco. Il vero nervo scoperto della società era il divorzio. Sotto la rassicurante protezione dell'articolo 544 del codice penale, abolito solo nel 1980, la società siciliana, profondamente maschilista e amorale, continuava a riparare alla violenza sulla donna a modo suo, imponendo matrimoni riparatori (Sedotta e abbandonata – Germi). Nel gioco di relazioni tra i sessi, la commedia italiana offre agli uomini ruoli riconducibili a varie declinazioni dell'italiano medio. Questi antieroi, ispirati spesso alla letteratura, non fanno scattare un processo di immedesimazione ma anzi consentono, proprio per la loro esasperata caricatura, di distaccarsene eticamente. Le donne invece, per le quali non viene attivato un processo di divizzazione come avviene ad esempio con Alberto Sordi, sono chiamate a rappresentare le aporie di una società dei consumi che non ha compiuto molti progressi dal punto di vista dei comportamenti sociali e morali. A guardare le commedie del periodo pari in realtà di scorgere, più che un terreno di preparazione di successive conquiste sociali delle donne, una certa sordità davanti ai segnali di una non tanta indifferibile emancipazione sociale. Qualunque sia il giudizio sulla commedia all'italiana certo è che sistematicamente nei cavalli donne ruoli di spessore; Essi non sfuggono al destino della più spietata derisione. Appaiono insomma, in un modo o nell'altro, donne snaturate e gli accenti caricaturali sono particolarmente gravi. Comportamenti che di sera le immagini della donna e dell'uomo proposti dalla morale cattolica incontravano ancora nei primi anni 60 enormi ostacoli prima di arrivare sui grandi schermi. Antonioni fu regista estremamente colpito dalla censura: nel suo cinema i tipici attributi del maschile sono affidati alla donna che è più sensibile e perspicace, capace di personificare la presa di coscienza dell'abilità e dell'incoscienza dei rapporti umani in un'epoca caratterizzata dalla superficialità e dell'incomunicabilità. I successivi film di Antonioni sono caratterizzati dal felice connubio con Monica Vitti, emblema di una modernità che il regista individua virgola in negativo, dell'incomunicabilità. Ettore Scola si cimenta nell'esordio con il format degli episodi in Se permettete parliamo di donne in cui i personaggi femminili ruotano intorno al protagonista Vittorio Gassman. La critica ne denunciò una certa misoginia, che suscitò indirettamente la reazione di Lina Wertmuller con Questa volta parliamo di uomini. Al centro, il tema della donna vittima di un maschilismo sempre più grottesco perché declinante. A differenza di quanto aveva preconizzato Anna Garofalo, gli anni ’60 non segnano il tramonto delle dive. Si affermano nuove attrici e con esse nuovi modelli: Claudia Cardinale, Stefania Sandrelli, Monica Vitti, Catherine Spaak. Il fascino intramontabile delle star americane è testimoniato dalla grande attenzione loro riservata dalla stampa femminile. Tra tutte, emerge Brigitte Bardot che incarna la capacità di sedurre senza averne l’apparente intenzione (per dirla alla Simone de Beauvoir “la sindrome della Lolita”). La pervasività del mito di BB consiste nel suo essere portatore di amoralità, quasi fosse la massima concessione di emancipazione femminile. Sugli schermi italiani, la nostra BB è Catherine Spaak, simbolo di una frattura generazionale da una società che stentava ad emanciparsi dalla tradizione: pareva infatti incarnare alla perfezione la ricerca da parte dei giovani di un punto di vista alternativo sulle cose. Due modelli femminili forse meno complicati ma di grande impatto sono quelli di Caterina Caselli e Michèle Mercier. La prima si consolida nel filone dei “musicarelli” che sfruttano il successo televisivo e discografico di alcuni cantanti. Nel passaggio dalla canzone al film si perde del tutto la carica eversiva del testo – nel film “Nessuno mi può giudicare” la canzone non è certo rivoluzionaria. Michèle Mercier: donna intrepida, pervasa dal senso della giustizia e spesso vestita di panni maschili, è in grado di tenere testa ai suoi tormentatori pur essendo in un certo senso vittima della sua avvenenza. 1964-65: escono tre film in cui la crisi della società borghese viene denudata attraverso il frantumarsi delle certezze di uno dei suoi pilastri: la famiglia. Le donne, pur non al centro della narrazione, sono molto importanti evocando il tabù dell’incesto. Pietrangeli > regista che affida alle donne il compito di restituire sul grande schermo le inquietudini della società: la donna stava vivendo una radicale e profonda rivoluzione interiore, forse addirittura in anticipo sull’evoluzione della società italiana. Le protagoniste dei suoi film rispecchiavano, dunque, i vari aspetti che può aver assunto il cammino dell’emancipazione della donna nella società italiana. Nel 1965 esce il film inchiesta di Pasolini Comizi d’amore: coniuga indagine sociale e denuncia delle contraddizioni e degli anacronismi ancora esistenti in una società che si dichiara moderna. Tra fiction, materiale di repertorio e interviste a persone comuni e a personaggi famosi. Pasolini presenta un’Italia profondamente divisa geograficamente e sociologicamente nel modo di concepire e vivere la sessualità. Prostituzione, omosessualità e divorzio: temi di cui si può parlare ma non agli adolescenti. Pasolini aveva colto nel segno le fratture generazionali della società italiana (l’anno dopo ci fu il caso della Zanzara: i giovani erano ad un livello di maturità culturale e morale superiori a quello delle famiglie e degli insegnanti). Masculin, féminin > sottolinea l'esistenza di una frattura non solo generazionale ma anche tra i sessi: le ragazze emancipate, liberate anche grazie alla pillola anticoncezionale, erano capaci di una solidarietà di genere che non si estendeva al campo del sociale e della politica. Le eredità che questo cinema lascia quello successivo sono varie di varia natura per un cinema d'autore che alla fine del decennio e soprattutto negli anni 70 si arricchisce dello sguardo di gender e delle riflessioni femministe sulla diversità il grande successo della commedia erotica conferma la preesistenza e anzi la recrudescenza dello stereotipo della donna seduttrice oggetto di desiderio. Melato, Muti e Antonelli: dive e divismo nel cinema italiano degli anni Settanta Pochi momenti della storia del cinema italiano sono stati così burrascosi come quello del decennio successivo alla metà degli anni 60 E ci sono almeno 5 ragioni a sostegno di questa tesi: - Il cinema iniziò a perdere la sua centralità come polo di attrazione del tempo libero degli italiani - se da un lato l'industria cinematografica era relativamente dinamica dall'altro si avvertiva la necessità di rinnovare formule generi consolidati; la morte di alcuni autorevoli nomi del periodo post bellico così come quella dei registi più giovani e talentuosi privo del cinema italiano di alcune delle sue menti più brillanti - l'intenso conflitto politico dell'epoca, che prese il via con l'esplosione del movimento studentesco nel 68, dette origine al profilarsi di nuove problematiche, a film più politici e a cambiamenti della sensibilità e delle aspettative del pubblico - Ad accentuare le difficoltà era l’erompere di una cultura giovanile intenzionata a mettere in discussione l'intera impalcatura di costruzioni comportamentali improntata al perbenismo borghese in tema di relazioni di genere, questo avrebbe offerto al cinema una nuova gamma di stimoli sia sulle tematiche che sui soggetti da proporre - A complicare le cose si sarebbe aggiunta la censura, durante il ventennio precedente orientata soprattutto sul fronte della politica, adesso particolarmente sensibile alle rappresentazioni di scene di sesso, proprio nel momento in cui film d'autore cercano di far riferimento ad argomenti importanti attraverso le sfaccettature del prisma della sessualità, mentre i film commerciali cercavano di sfruttare l'erotismo per dare un nuovo vigore agli incassi del botteghino. E’ centrale il ruolo rivestito dallo starsystem femminile in questo contesto e il saggio si concentra sull'immagine di tre donne di quegli anni che ne incarnano tensioni e conflitti: Mariangela Melato, Ornella Muti e Laura Antonelli. Queste attrici fanno il loro debutto sullo schermo tra il 1966 al 1970 e sono percepite come personaggi chiave del cinema degli anni 70. Attraverso l'analisi dei loro ruoli è possibile dare risalto ai differenti modi in cui le star femminili hanno incarnato i cambiamenti in corso dell'industria cinematografica e nella società. Benché ognuna occupi un posto diverso nello star system tutte e tre sono implicate in qualche modo nel processo di erotizzazione che gioca un ruolo fondamentale nella risposta dell'industria del cinema alla crisi. Il decennio è caratterizzato da una forte stagnazione una forte chiusura. La fruttuosa relazione tra cinema e società che aveva contraddistinto il lasso di tempo compreso fra gli anni 40 e gli anni 60 sembra invece cedere il passo ad una fase di inarrestabile decadenza sia dal punto di vista industriale che sul piano artistico. Un ruolo fondamentale di questa crisi è svolto alla dalla nascita e dalla rapida diffusione delle televisioni private Che surclassano la Rai nella programmazione di film prima di allora il cinema si era distinto dalla televisione sia per la varietà di scelta delle pellicole sia per specifiche caratteristiche tecniche (il colore la qualità delle proiezioni ad esempio). Adesso è chiamata a competere con un'industria dell'intrattenimento non solo gratuita ma anche ricca di proposte nuove e diversificate. Dopo il periodo del suo massimo successo l'industria cinematografica si era adagiata sugli allori per cui aveva fatto poco in termini di nuove strategie; buona parte dei film usciti nelle sale in quegli anni finivano del resto per riproporre travestiti e ripetitive. Più la crisi del cinema italiano si intensificava e più il sesso e la violenza emergevano come unica possibile attrazione alternativa al genere di intrattenimento offerto alla tv. La commedia rappresentava già dagli anni 50 il genere dominante il cinema nazionale ma l'immagine della modernizzazione che essa offriva negli anni 50 e 60 era quella di un prodotto di importazione che aveva finito lo snaturare corrompere lo stile di vita degli italiani. Mentre la televisione celebrava dunque l'avvento dell'era dei consumi di massa il cinema prendeva di mira sia gli sfolgoranti riti collettivi dei nouveaux riches che i compromessi, i sotterfugi e le umiliazioni che della corsa al denaro apparivano l'inevitabile corollario. nella seconda metà degli anni 60 questo cliché avrebbe cominciato a scricchiolare: la protesta studentesca montante rendeva improponibili forme di riconciliazione così semplicistiche; ciononostante il cinema popolare avrebbe continuato a battere i tasti sulla comicità, adesso in versione erotica. Almeno fino alla metà degli anni Settanta il cinema avrebbe continuato ad occupare un posto di primo piano in Italia, offrendo la possibilità di riflessione sulle trasformazioni sociali e culturali del paese. I film più impegnati mettevano in scena i conflitti e analizzavano nuove problematiche, mostrando volte corpi che rappresentavano l'incarnazione di diversi stili di vita virgola di mentalità più aperte. Il ricambio generazionale, soprattutto quello delle star femminili, è più marcato (attori ormai consumati erano spesso affiancati da partner molto più giovani). È interessante la teoria che ci espone Sergio Rigoletto sul successo delle pellicole a sfondo erotico di quegli anni, successo che può essere interpretato non solo come il riflesso di una versione tradizionalista e fallocentrica della libertà sessuale; la aiuta anche a capire in che modo i corpi delle attrici venissero utilizzati sulla scena per illustrare opportunità e conflitti che potevano anche riguardare il tema dell'emancipazione femminile e della libertà sessuale. Sulla scena qualsiasi attore declina il personaggio che interpreta in base alle proprie doti personali il modo in cui le gestisce è un elemento centrale se l'obiettivo è quello di ricostruire la personalità. A differenza delle dive di vent'anni prima, sia Melato che Muti che Antonelli erano relativamente indipendenti professionalmente e sceglievano in prima persona sia il ruolo da interpretare che l'immagine di sé da proporre al pubblico. Potevano anche gestire la propria vita in maniera assai più libera di quanto avessero potuto fare le della generazione precedente. Ognuna di loro entrerà in contatto con i meccanismi di mercificazione del sesso imposti da un'industria cinematografica sempre più propensa ad individuare nell'eros la chiave di volta della propria strategia di sopravvivenza e spesso i comportamenti che proporranno sugli schermi rappresentavano una sfida a pregiudizi e discriminazioni. Si presentavano come donne di successo dal punto di vista professionale esattamente nel momento in cui gli indici in forte crescita dell'occupazione femminile testimoniavano un'aspirazione diffusa dalle donne italiane di fare il proprio ingresso nel mercato del lavoro. Erano delle star e quindi in quanto tali costantemente sotto i riflettori dei media, avidi di informazioni sul loro background. Sono donne che entreranno a far parte dell'immaginario collettivo e molte donne avrebbero finito col prendere coscienza di sé attraverso i loro esempi di vita. Lo stardom appare la proiezione di un mondo nel quale le aspirazioni individuali possono trovare una realizzazione e allo stesso tempo i divi appaiono capaci di presentarsi come l'incarnazione dello spirito critico del tempo. Questo fa sì che finiscano col diventare un vero e proprio strumento di determinate politiche culturali; nelle loro esperienze personali queste tre attrici hanno il coraggio di sfidare dei tabù rendendo di pubblico dominio scelte che al tempo potevano apparire anticonvenzionali, se non addirittura spregiudicate. Si tratta d'altronde degli anni che videro susseguirsi importanti trasformazioni sul piano legislativo per quanto riguarda la definizione dei rapporti di genere. E non c'è dubbio che le dive, sebbene solo di rado hanno preso esplicitamente posizioni riguardo alle rivendicazioni portate avanti in quel momento dal movimento femminista, col tipo di vita che conducevano, con le immagini di sé che all'interno del proprio personaggio pulsioni apparentemente contraddittorie, liberatorie e allo stesso tempo conservatrici. ogni attrice ha mostrato comunque 1 ° di autonomia nella gestione della propria carriera sconosciuto sia alle star di Hollywood che alle attrici italiane del dopoguerra. Anche se solo la Melato potrà vantare un curriculum privo di compromessi tutte e tre le star italiane meritano di essere considerate parte attiva del processo di profondo cambiamento in atto nell’Italia del tempo e non solo come il suo mero riflesso. Cinema e femminismo in Italia negli anni Settanta Gli anni Settanta sono gli anni del riflusso. Emerge la “libertà d’antenna”: sancita da una sentenza della Corte costituzionale del 1976, produsse lo spostamento della domanda cinematografica dal grande al piccolo schermo, riducendo gli spettatori nelle sale cinematografiche. Una delle motivazioni dell’allontanamento del pubblico fu anche la difficoltà del cinema di leggere un presente caratterizzato da un crescente dissesto politico e ideologico, la fine dell’impegno civile e la spoliticizzazione. L’incremento del cinema erotico sembra contraddire la crisi, almeno in termini di incassi. L’erotico è un genere difficile da circoscrivere, perché dissolto in una molteplicità di filoni. Nel cinema popolare la commedia erotica invade i generi più diversi, riadatta secondo modi propri titoli e frammenti di film; è un genere codificato, con regole interne, dove le scene e le situazioni si ripetono identiche. Definito come un cinema per voyeur, il cinema erotico degli anni ’70 è fatto per lo sguardo maschile. I corpi femminili sono qui ipersessualizzati e al tempo stesso inaccessibili, nelle commedie erotiche si guarda molto e si consuma poco. Giacomo Manzoli > sottolinea la crisi identitaria dei maschi italiani, esalta quella sorta di inedita refrattarietà dei corpi della donna alla regolamentazione per cui corpi femminili si presenta come perturbanti tutt'altro che familiari o rassicuranti alla visione. Letture diverse e talvolta opposte sottolineano invece la venatura comica che spesso accompagna la commedia erotica, dove il grottesco appartiene invece ai corpi maschili che devono far ridere. Nel filone erotico comico, l'oggetto del desiderio è a portata di tutti: una possibilità per l'italiano medio democratica e ugualitaria molto post 68 di sognare la bella di turno, che di suo era chiamata a mettere solo il corpo mentre il seduttore - nei corpi impossibili come ad esempio quelli di Lino Banfi o Pippo Franco e così via - appariva una versione rassicurante del maschio latino. Il grottesco produceva identificazione e provocava risate liberatorie: era insomma un cinema di illusione, un bagno di camomilla che per una volta risulta eccitante. Tutt'altro erano invece i film dove la nudità dei corpi femminili e le scene erotiche innescavano l'aggressività maschile e cioè i casi in cui il cinema voyeruristico dispiegava nell'horror, nei generi di paura di una misoginia greve. Qui le scene erotiche liberano una violenza morbosa ed esibita di corpi massacrati, volti tagliuzzati, cadaveri in mostra dove a soccombere è sempre la donna e mai a buon mercato. Misogina era comunque anche la commedia erotica in cui tutto l'universo femminile era reinventato a misura d'uomo, spiato con desiderio pruriginoso e dove era piuttosto improbabile percepire le forme di resistenza e di opposizioni che altri oggi vi leggono. Pasolini riteneva che il modo di rappresentare la donna nei film nei fumetti erotici fosse volgare perché rispondeva a una visione razzista, di un essere inferiore. Il nuovo conformismo della società di massa tollerante e permissiva, la rappresentazione del sesso come un dovere sociale, la pervasività dei modelli sessuali dominanti, lo sfruttamento feticistico del corpo femminile gli apparivano forme di alienazione. Il successo degli incassi del cinema erotico indica come esso trovasse larga corrispondenza nella mentalità degli italiani. Laura Antonelli incarnava nel film l’ideale erotico di un’epoca. Il suo corpo si imporrà come modello di rappresentazione del corpo femminile e erotizza l'amore materno evocando un mondo nel quale il maschio può tornare bambino e sfuggire alle responsabilità e alle tensioni del presente. La chiave di lettura del film Malizia è la nostalgia. L'immaginario materno evocato dalla sensualità di Laura Antonelli nutre una fantasia maschile di regressione che compare d'altra parte in molte commedie erotiche, in particolare in quelle che hanno al centro storico di iniziazione sessuale tra un'adolescente e una donna adulta, le incest comedies. Il femminile evocato dal cinema erotico degli anni 70 si presta dunque a più letture che cercano d'altra parte di indagare quale ne fosse la ricezione da parte degli spettatori. Laura Antonelli esercitava un certo appeal anche sul pubblico femminile per un certo spirito avventuroso, moderno del suo erotismo, per il modo in cui sapeva esprimere con spontaneità e grazie ai suoi desideri. Tra la fine degli anni 60 e i primi 70 nascono in Italia i primi gruppi femministi; è del 1970 il manifesto di rivolta femminile, si traducono gli iscritti delle femministe americane, le piazze e le strade si riempiono ben presto di donne e ragazze che lottano per la legalizzazione dell'aborto, nascono i consultori autogestiti, nei collettivi femministi si discute di salute della donna virgola di sessualità e di liberazione. D’altra parte, gli anni 70 sono anche gli anni di riforme fondamentali per i diritti delle donne, destinata a modificare in profondità i ruoli e le relazioni tra i sessi nella famiglia e nel lavoro. Negli anni 70 le ragazze sono ormai in Italia la componente maggioritaria della popolazione studentesca, il loro numero è in continuo aumento nelle scuole superiori nelle università appunto negli anni del femminismo sono queste generazioni di studentesse, ragazze e giovani donne, quelle maggiormente coinvolte nelle trasformazioni in atto: sono loro il soggetto nuovo dirompente, portatore del cambiamento. Ma nel cinema non ci sono. La commedia erotica ne evocava il fantasma, mettendo in scena corpi femminili docili, rassicuranti, consolatori - ci si può chiedere se l'incapacità del cinema italiano nel corso degli anni 70 di leggere la contemporaneità non trovi proprio qui la sua conferma più vistosa. Tanto più arduo sarebbe cercare nei film di questo periodo una qualche traccia, con un discorso e una pratica, il lesbismo che in quegli anni sollecitava in profondità la nuova costruzione di relazioni e reti tra donne per divenire verso la fine del decennio un vero e proprio movimento. Tra l'immediato dopoguerra e la metà degli anni 70 non mancano le pellicole dove sono accennati o anche mostrati i rapporti tra donne ma quasi sempre sono solo rapporti sessuali. Inutile dunque cercare in questi film l'amore tra donne, ma inutile anche cercarvi la sessualità lesbica, sempre strumentale ad altro. Un ruolo rilevante nel mettere a tacere l'amore tra donne la svolto tra gli anni 50 e 60 la censura virgola non sottendono la visione ma piuttosto consentendo la presenza sulla scena cinematografica al fine di rendere le lesbiche indesiderabili, oggetto di riprovazione sociale e di condanna. Scalfire i codici della maschilità e della femminilità è un'impresa tuttora assai ardua e lo era certamente di più nel cinema di quegli anni. Nel corso degli anni 50 sia una sorta di espulsione del pubblico femminile dalle sale cinematografiche, additate dalla stampa cattolica come i luoghi da evitare perché occasione di colpevole distrazione se non di un vero e proprio degrado morale punto già negli anni 60 però si parla di una riappropriazione del cinema da parte delle donne. Negli anni 70 secondo le indagini Doxa pare che fossero proprio le donne a continuare ad andare al cinema; quindi, tra la fine degli anni 70 e i primi 80, si ha un vero e proprio processo di femminilizzazione del pubblico ed è interessante per la molteplicità di suggestioni e linee di ricerca che apre. Bisogna però anche focalizzare lo sguardo sul discorso generazionale: negli anni 70 i giovani costituiscono ormai un segmento significativo e sempre più intermediale e acculturato. Erano proprio i giovani a mostrare un interesse più elevato per i film impegnati e per le pellicole di contenuto politico e sociale. In diversi film del cinema italiano degli anni 70 c'è una decostruzione in atto dello sguardo maschile dominante, mediante un rovesciamento su di sé che coinvolge il protagonista, macchina da presa e spettatore. In altri termini, è l'esperienza di crisi dell'essere maschio vista dall'interno che il cinema mette in scena, collocandola nel suo contesto storico a fronte del femminismo, il mondo delle donne. Gli anni 70 sono anche gli anni in cui le donne fanno irruzione nel cinema nei collettivi si discuteva sulle opportunità che soffriva per l'intervento politico, sulle proposte di costruire un cinema delle donne che fosse espressione della loro storia, del loro immaginario ma anche sulla possibilità di fare del cinema una professione per le donne. Se è vero infatti che nell'industria cinematografica italiana del secondo dopoguerra le donne avevano guadagnato visibilità in ogni settore dove invece continuavano ad avere scarso accesso era nei ruoli che maggiormente riguardavano il processo produttivo: soggettiste o registe. Liliana Cavani e Lina Wertmuller furono le uniche eccezioni rilevanti nel cinema italiano degli anni 60 e 70, ma Liliana Cavani mantenne sempre le distanze dal femminismo, non rifiutò la propria adesione alle lotte per il divorzio e l'aborto ma come regista non partecipo mai ai Festival e agli incontri destinati a far conoscere tra loro le donne e le loro prove di cinema perché li considerava una forma di ghettizzazione. Mentre le simpatie femministe dichiarate da Lina vert Muller sono oggi assai discusse. Alina marazzi, l'autrice di vogliamo anche le rose, ricorda come in quegli anni molte donne cominciarono a impugnare la macchina fotografica per documentare i momenti di incontro e di lotta e alcune riuscirono a fare della fotografia una professione. In quel momento di grande vivacità anche il linguaggio cinematografico divenne e mezzo di riflessione produzione culturale. In particolare, Alina Marazzi si sofferma su annabella miscuglio che fondò il collettivo femminista di cinema nel movimento femminista romano in via Pompeo Magno. Insieme a daopulo realizzarono l'aggettivo donna che sarà poi ricordato come il primo film femminista in Italia. Accompagnava il film nel 1973 il manifesto per un cinema clitorideo vaginale ispirato agli scritti di Carla lonzi e al manifesto di rivolta femminile. Si dà per scontato diceva il manifesto che la donna sia quella che l'uomo proietta su di lei: il desiderio di dominio e di possesso e crea l'immagine della donna passiva, sottomessa, impotente, da proteggere; Ma anche la repressione sessuale che l'uomo subisce, nella famiglia patriarcale, nel lavoro, attraverso la pornografia alimentata dal sistema, che lo porta a mitizzare la verginità, la purezza, la fedeltà; È ancora una falsa concezione maschile dell'erotismo, soppresso in favore di una sessualità genitale che gli fa vedere la donna come puro oggetto di piacere. Anche la donna emancipata appare un prodotto delle spinte liberatorie del maschio. la lotta delle donne andava più in là di quella dei compagni, perché metteva ormai in discussione la vita privata e le relazioni. C'era anche nel manifesto un esplicito riferimento al cinema d'autore quando usava a fini commerciali il messaggio di un femminismo astratto, perché non vissuto e percepito solo intellettualmente, dove la teoria e la pratica del femminismo appariva ridotta a un problema socio psicologico. Il manifesto chiedeva alle donne una fruizione diversa, non come passatempo distrazioni, ma come partecipazione attiva: un coinvolgimento di pensiero di riflessione e di critica che diventano azione. L'aggettivo donna è una sorta di inchiesta con interviste effettuate a Roma su aspetti diversi della condizione femminile la dei modelli di genere imposti alle bambine dell'educazione scolastica alla sessualità. il metodo di lavoro collettivo ha preso nel movimento delle donne Anna miscuglio lo proseguì a livello professionale, nei programmi e documentari realizzati insieme ad altre nella seconda metà degli anni 70 per la Rai. Particolare successo di audience ebbe nel 1978 processo per stupro trasmesso due volte in seconda serata su Rai due. Il collettivo sottolineava come la militanza fosse strettamente legata al post 68, agli anni del riflusso e dei primi collettivi femministi in Italia: riproducono quella scissione che da un lato vedeva nell autocoscienza il nuovo modo di far politica, ma dall'altro, di fronte a un prodotto tecnico doveva abbandonare parole d'ordine quali creiamo insieme. le studentesse di Bologna che nel 1977 dichiaravano di vivere in modo prioritario in quel periodo della loro vita lo scontro donne istituzioni universitaria, nella loro determinazione nel portare il cinema delle donne all'interno dell'accademia volevano autogestire la loro formazione scombinando le gerarchie di trasmissione maschile nell'università e i ruoli di genere della docenza. Il videotape che alla fine avevano ottenuto per registrare i dibattiti al termine delle proiezioni lo utilizzavano collettivamente, alcune lo sapevano già usare e lo insegnavano ad altri che a loro volta lo insegnavano.