Scarica RIASSUNTO LIBRO FONDAMENTI DI STRATEGIA DI JOHNSON e più Appunti in PDF di Strategia d'impresa solo su Docsity! 1 STRATEGIA CAP. 1 – INTRODUZIONE ALLA STRATEGIA La strategia rappresenta l’orientamento di lungo periodo di un’organizzazione ma questa è una definizione più ampia rispetto a quella generalmente utilizzata in alcune classiche definizioni di strategia. Chandler: “L’individuazione degli scopi e degli obiettivi di lungo periodo di un’impresa, la conseguente allocazione delle risorse e lo sviluppo delle attività necessarie per raggiungere degli obiettivi programmati.” -> processo logico e razionale Porter: “La strategia competitiva esprime la capacità di essere differenti. Significa scegliere intenzionalmente di svolgere un insieme di attività per realizzare un valore complessivo in grado di fare la differenza.” -> scelte dirette Drucker: “Il sistema di idee e principi che consentono all’impresa di conseguire vantaggi competitivi.” Mintzberg: “Uno schema riconoscibile all’interno di un flusso di azioni e decisioni.” -> E’ l’antitesi della definizione di Chandler e fa riferimento ai pattern, si basa sull’osservazione. Exploring Strategy: “L’orientamento di lungo periodo di un’organizzazione.” Questa definizione riprende tutte le altre definizioni. Definire la strategia, con la definizione iniziale, ha due vantaggi: 1. Essa può essere riferita sia alle strategie intenzionali, che sono il risultato di un processo di formulazione logicamente razionale, sia alle strategie emergenti, che rappresentano il prodotto di processi decisionali incrementali. 2. Il richiamo ad un orizzonte di lungo periodo può essere riferito sia alle strategie che si propongono di realizzare un vantaggio competitivo difendibile sia a quelle che privilegiano un approccio cooperativo e che non trascurano il valore dei comportamenti imitativi. Tale definizione, racchiude tre elementi: 1. Lungo periodo: l’importanza del riferimento al M/L termine è rappresentata dal modello dei tre orizzonti della strategia, che suggerisce che qualsiasi organizzazione dovrebbe essere concepita come un sistema costituito da tre tipi di attività, ciascuna caratterizzata da un proprio orizzonte strategico di riferimento, in termine di anni. Troviamo tre tipi di orizzonti: Orizzonte 1: le attività che rientrano in questo orizzonte sono quelle che rappresentano il core business dell’impresa. Orizzonte 2: le attività al suo interno rappresentano i business emergenti ovvero quelle attività che dovrebbero generare nuove fonti di reddito. Orizzonte 3: troviamo le opportunità di business contraddistinte da un livello di incertezza particolarmente alto; si tratta di progetti innovativi, caratterizzati da un elevato potenziale di crescita, ma anche molto rischiosi e con un’alta probabilità di insuccesso ed in molti casi si tratta di vere e proprie operazioni di start-up, di investimenti in attività di ricerca e sviluppo o di operazioni di marketing che richiedono specifici test su mercati pilota. 2. Orientamento strategico: nel corso degli anni le strategie definiscono una sorta di percorso o di traiettoria di LP, ma la configurazione coerente dell’orientamento strategico di un’organizzazione emerge soltanto con il passare del tempo. Nelle imprese private, l’obiettivo che guida l’orientamento strategico è la massimizzazione del valore per gli azionisti, il profitto; ciò non è sempre così, in quanto, le imprese familiari 2 mirano a privilegiare il controllo aziendale per rendere più semplice il passaggio generazionale, sacrificando la massimizzazione del profitto. Nelle imprese pubbliche, o di volontariato/beneficienza, l’orientamento strategico è definito diversamente dalla massimizzazione del profitto. 3. Organizzazione: ogni organizzazione implica complesse relazioni, sia all’interno che all’esterno dei suoi confini; ciò dipende che per natura, esse sono in relazione con una rete estesa di stakeholder ovvero i portatori di interessi, dai quali dipende, la sopravvivenza stessa dell’organizzazione. Lo scopo principale della strategia è quello di definire ed esprimere gli obiettivi in modo chiaro ed efficace. Un’organizzazione può declinare i propri scopi aziendali attraverso la definizione della: 1. Mission aziendale: si propone di individuare e comunicare con chiarezza al personale e agli stakeholder gli scopi prioritari che l’organizzazione intende perseguire, ovvero il fine che dà senso all’organizzazione. -> “qual è il business dell’impresa?” “che cosa si perderebbe se l’impresa non esistesse?” “in cosa facciamo la differenza?” E’ qualcosa di lungo periodo. 2. Vision aziendale: si riferisce a ciò che l’organizzazione si propone di diventare in futuro. -> “quali traguardi vogliamo raggiungere?” “che cosa ci proponiamo nell’anno x?” E’ qualcosa di più prossimo, di breve periodo. 3. Valori aziendali: esprimono i principi guida che ispirano ed orientano la strategia aziendale, in modo duraturo, stabilendo il modo con cui un’organizzazione dovrebbe operare. 4. Obiettivi aziendali: rappresentano l’identificazione di specifici traguardi da raggiungere; questi possono essere espressi in termini economici-finanziari, obiettivi di mercato, elementi del vantaggio competitivo. -> Sempre più spesso le organizzazioni si ispirano all’approccio the triple battle line, secondo cui le imprese non stabiliscono solo obiettivi di natura economica ma anche ambientale e sociale, in modo coerente con la responsabilità che l’impresa intende avere con la società. La formulazione della strategia dovrebbe comprendere tre elementi: gli scopi fondamentali che l’organizzazione persegue e che normalmente trovano espressione nella mission, nella vision e negli obiettivi strategici dell’impresa; l’ambito di attività che definisce lo spazio competitivo dell’organizzazione; il vantaggio competitivo o le capacità distintive con cui l’impresa persegue la realizzazione degli obiettivi che le sono stati assegnati. 1. Ambito di attività: lo spazio competitivo di un’impresa può essere declinato lungo tre dimensioni ovvero i clienti, il mercato geografico e il grado di estensione delle attività svolte internamente. 2. Vantaggio competitivo: è il modo in cui l’impresa si propone di raggiungere gli obiettivi programmati nel proprio spazio competitivo; per realizzare determinati obiettivi un’impresa deve dimostrarsi superiore rispetto alle altre imprese che stanno concorrendo per raggiungere gli stessi risultati. All’interno dell’organizzazione possiamo distinguere tre livelli a cui riferire la strategia: 1. Strategia a livello corporate: si occupa della definizione del perimetro complessivo delle attività di un’impresa e di come accrescere il valore economico realizzato dai singoli business che la compongono. -> ampiezza dell’ambito geografico nel quale operare, varietà dei prodotti etc. 2. Strategia a livello di business: riguarda il modo nel quale le singole business unit di un’impresa dovrebbero competere nei rispettivi mercati di riferimento. -> strategie competitive-processi di innovazione, manovre competitive etc. 3. Strategia di natura funzionale: riguardano il modo in cui le parti che compongono un’organizzazione contribuiscono alla realizzazione delle strategie corporate e di business, in termini di risorse, processi e persone. 5 CAP. 2 – ANALISI DEL MACRO-AMBIENTE L’ambiente può essere esaminato a diversi livelli; il macro-ambiente è costituito dall’ampio insieme di fattori ambientali che, in modo più o meno intenso, esercitano un impatto su numerosi mercati, settori produttivi e organizzazioni. Il settore produttivo, o spazio competitivo, rappresenta il livello di analisi contiguo al macro-ambiente e comprende le imprese che producono lo stesso prodotto o offrono lo stesso servizio. Il terzo stadio considera i concorrenti e i mercati, con i quali l’impresa si misura direttamente. Al centro del macro-ambiente troviamo l’organizzazione. Esistono una serie di strumenti analitici che possono aiutare a mantenere l’organizzazione vigile nei confronti dei cambiamenti del macro-ambiente allo scopo di minimizzare le minacce e di cogliere le opportunità; tale analisi prosegue con l’analisi PESTEL, la previsione e l’analisi di scenario. 1. Analisi PESTEL: è uno dei numerosi modelli che tentano di classificare i fattori ambientali in alcune tipologie chiave e, considera in particolare, sei gruppi di fattori ambientali quali politici, economici, sociali, tecnologici, ecologici e giuridici; tale elenco evidenzia il fatto che l’ambiente non comprende soltanto relazioni economiche di mercato ma include molti fattori non di mercato. Relazioni di mercato: riguardano principalmente fornitori, clienti e concorrenti cui relazioni hanno natura economica; le imprese competono sui mercati per acquisire risorse, realizzare ricavi e conseguire profitti. Le leve strategiche principali possono essere riconducibili all’innovazione e alle decisioni sui prezzi. Relazioni non di mercato: riguardano fattori sociali, politici, giuridici ed ecologici ma possono subire l’influenza dei fattori economici; gli attori di tali relazioni non sono solo le altre imprese ma anche le organizzazioni non governative (ONG), le organizzazioni politiche, le direzioni dei ministri etc. Le leve strategiche principali sono le reti di collaborazione, le attività delle lobby e pubbliche relazioni. I sei fattori dell’analisi PESTEL sono: Fattori politici: gli elementi politici nell’analisi PESTEL evidenziano il ruolo dello Stato e l’esposizione alle pressioni delle organizzazioni della società civile; ad esempio, l’industria della difesa deve per sua natura fronteggiare un ambiente caratterizzato da fattori politici, in quanto presentano in genere un alto coinvolgimento da parte dello Stato; allo stesso tempo le imprese che operano nella difesa sono esposte alle pressioni politiche, come ad esempio gli attivisti che manifestano contro il commercio internazionale delle armi. (+ +) Le imprese alimentari invece sono meno interessate all’intervento dello Stato, in quanto in meno a mercati concorrenziali ma fattori di natura politica rivestono un ruolo fondamentale in quanto, sono esposte alle pressioni come le proteste per un commercio equo e solidale, dalle organizzazioni per i diritti dei lavoratori o dai gruppi di sicurezza alimentare. (+ -) I settori di navigazione interna sono spesso di proprietà dello Stato ma non risultato esposte a pressioni politiche da parte delle organizzazione della società civile. (- +) I settori produttivi possono veder cambiare rapidamente il proprio posizionamento strategico rispetto al ruolo dello Stato al potere di influenza da parte della società civile, come ad esempio, il settore turistico alberghiero. (- -) 6 Fattori economici: il macro-ambiente è influenzato spesso da fattori quali i tassi di cambio tra le valute, i tassi d’interesse e i diversi tassi di crescita tra i diversi paesi; i manager dovrebbero saper prevedere le conseguenze di eventuali mutamenti in tale senso che potrebbero influire sull’andamento delle esportazioni e la vulnerabilità delle importazioni come dovrebbero tenere sotto controllo i tassi d’interesse se hanno elevati livelli di indebitamento. Un concetto importante è rappresentato dal ciclo economico e la questione cruciale è individuare i punti di svolta di quest’ultimo; durante le fasi di svolta favorevoli i manager che devono prendere delle decisioni di LP devono chiedersi fino a che punto possono durare per trovarsi preparati ad un rallentamento dei tassi di crescita e quindi delle vendite; le fasi di flessione potrebbero rendere le imprese eccessivamente prudenti per gli investimenti. Ci sono alcuni settori più vulnerabili all’andamento dei cicli economici quali i settori congiunturali dove i consumatori possono rinviare i loro acquisti per un anno o due quindi tendono a dipendere di più dal ciclo ne sono un esempio, il settore dell’edilizia, automobilistico etc; e i settori con alti costi fissi, come l’aereonautico, acciaio, ce subiscono di più i momenti di flessione perché quando la domanda diminuisce, gli alti costi fissi potrebbero portare a tagliare i prezzi, al fine di sfruttare di più la capacità produttiva. Fattori sociali: possono influenzare le caratteristiche della domanda sia nelle fasi di crescita sia in quelle di recessione. Tra quelli più rilevanti troviamo la demografia, in quanto l’invecchiamento della popolazione nei paesi occidentali può creare opportunità e minacce sia per il settore pubblico che privato; la disuguaglianza economica, in quanto i cambiamenti nella distribuzione della ricchezza influenzano le dimensioni relative ai mercati (Pareto 80-20); la geografia, in quanto settori produttivi e mercati tendono spesso a concentrarsi in determinate aree (cluster); e la cultura, in quanto i cambiamenti di quest’ultima accrescono le sfide strategiche. Dato un determinato contesto ambientale, le imprese sono in genere reciprocamente connesse in un network di relazioni sociali, che spesso superano i confini di un particolare settore produttivo. Si parla di piccoli mondi quando le reti di relazioni, i legami che caratterizzano un network, sono particolarmente densi; questi grazie alla densità dei legami che li caratterizzano, diffondono tra i propri membri collaborazione, utilità reciproca e protezione. Tuttavia per le organizzazioni esterne alla rete potrebbe non essere facile riuscire a penetrare questi piccoli mondi e sarà necessario l’aiuto di qualche insider come i broker, che sono quegli elementi che connettono fra loro diversi network e svolgono un ruolo importante nell’innovazione in quanto, possono attrarre nuove idee e persone, di network diversi; mentre gli hub sono organizzazioni che hanno la responsabilità di connettere tra loro i diversi elementi della rete. Fattori tecnologici: il macro-ambiente è esposto a occasionali, ma probabili, ondate di innovazioni tecnologiche, destinate a cambiare le relazioni consolidate tra attori dei diversi settori produttivi. 7 Per individuare le aree di attività potenzialmente più innovative è necessario analizzare l’impatto delle tecnologie attraverso degli indicatori: budget per attività di R&S, attività brevettuale, analisi delle citazioni, comunicazioni relative a nuovi prodotti, copertura mediatica. ->Evans in TED nel 2013 aveva preannunciato il fallimento dell’enciclopedia a causa delle 5 forze di porter, per l’ascesa di Wikipedia (open innovation) che ad oggi risulta anch’essa antiquata in quanto, vi si utilizza Google Scholar per fonti più attendibili. Fattori ecologici: sono quelli legati appunto ad una crescente sensibilità “green” come l’inquinamento, lo spreco e il cambiamento climatico Le organizzazioni devono considerare tre sfide per analizzare tali fattori come la riduzione dell’inquinamento, in quanto rendere puliti i processi di approvvigionamento, produzione e distribuzione è preferibile rispetto a gestire le conseguenze negative dell’inquinamento successivamente; gestione del prodotto in senso ecologico lungo tutta la catena del valore, considerando quindi l’intero ciclo di vita del prodotto; sviluppo sostenibile che impone limiti all’eccessivo sfruttamento delle materie prime, come nei paesi in via di sviluppo, sollevando questioni sul benessere economico e sociale della comunità. Fattori giuridici: in Italia sono poco sviluppati ma tali fattori comprendono il lavoro, la regolamentazione dell’ambiente e i diritti dei consumatori, la tassazione, le norme sulla proprietà, concorrenza etc. In sintesi, i fattori chiave del cambiamento sono quei fattori del macro-ambiente che, con maggiore probabilità, avranno un impatto rilevante sui settori produttivi, condizionando in modo significativo il successo o il fallimento di una strategia. I manager strategici devono considerare tali fattori per riuscire a minimizzare le minacce e cogliere eventuali opportunità. 2. Analisi previsionale: i fattori dell’analisi PESTEL forniscono informazioni per elaborare delle previsioni; le previsioni prendono in considerazione tre approcci elementari basati su diversi gradi di certezza: Previsione di un singolo evento futuro: le imprese vi si affidano quando ritengono di avere una sufficiente confidenza circa i possibili sviluppi delle circostanze future e si limitano così a prevedere un singolo evento; questi sono molto suggestivi in quanto possono essere facilmente tradotte nei numeri dei budget aziendali e ciò può motivare a responsabilizzare i manager. Definizione di intervalli di previsione: si adatta nelle situazioni in cui le imprese hanno minore fiducia nelle capacità di prevedere l’evoluzione delle circostanze future e preferiscono stimare un intervallo di possibili risultati; questa previsioni vengono spesso definite come grafici a ventaglio, perché la fascia dei valori previsti si apre a ventaglio, in maniera sempre più ampia in funzione del tempo, riflettendo la maggiore incertezza associata a previsioni di lungo termine. Previsione di futuri alternativi: implicano un’incertezza ancora maggiore, concentrando l’attenzione su una serie di possibili situazioni future fra loro alternative; invece di generare un intervallo continuo di probabilità, le alternative future sono discontinue cioè possono verificarsi o meno, dando origine a risultati radicalmente differenti. Queste considerazioni sulle possibili alternative future vengono spesso inserite nelle analisi di scenario. 10 4. Potere contrattuale dei clienti: quest’ultimi sono gli acquirenti diretti dei prodotti dell’impresa ma non rappresentano necessariamente i consumatori finali dei suoi prodotti; se i clienti hanno un forte potere contrattuale possono richiedere e ottenere prezzi più bassi, o costosi servizi aggiuntivi, riducendo i margini di profitti dell’impresa. Tale potere contrattuale potrebbe essere elevato al verificarsi di una concentrazione elevata di clienti, switching cost limitati, minacce di concorrenza da parte dei clienti, redditività dei clienti marginale e impatto sulla qualità dell’offerta non significativa. 5. Potere contrattuale dei fornitori: quest’ultimi sono quei soggetti che offrono all’impresa ciò di cui ha bisogno per la produzione di beni e servizi come materi prime, attrezzature, carburante etc. Il potere contrattuale di questi è l’opposto rispetto a quello dei clienti e dipende dal verificarsi di un’elevata concentrazione dei fornitori, switching cost elevati, minacce di concorrenza da parte dei fornitori, differenziazione dei prodotti. Il modello delle cinque forze competitive deve essere usato con prudenza e non sempre riesce a fornire analisi esaurienti, infatti l’insorgenza di Wikipedia ad esempio, con tale modello non si poteva prevedere. Alcuni settori potrebbero avere l’esigenza di considerare una sesta forza, includendo le imprese che sono complementari, complementor, piuttosto che concorrenti, competitor. 6. Organizzazioni complementari: un’organizzazione si considera complementare ad un’altra se ne accresce l’attrattività per clienti o fornitori. Complementarità dal lato della domanda: si ha quando i clienti attribuiscono un maggior valore ai prodotti o ai servizi di un’impresa, per il fatto di usare anche i prodotti di un’altra impresa. Complementarità dal lato dell’offerta: si ha se approvvigionare quell’impresa risulta più vantaggioso di quanto gli stessi servizi possono essere forniti anche ad altre organizzazioni. Mentre le cinque forze di Porter considerano gli organizzazioni come organismi che competono tra loro per contendersi il valore creato nel settore, le imprese tra loro complementari tendono a cooperare per accrescere il valore complessivo disponibile. Rete del valore: è una mappa delle organizzazioni che operano in un determinato spazio competitivo e che dimostrano come sia la cooperazione sia la competizione possano offrire opportunità di creazione del valore. I clienti possono attribuire maggior valore ad un prodotto non solo quando possiedono anche un altro prodotto o servizio ma anche quando altri clienti utilizzano lo stesso prodotto o servizio; in questo caso il prodotto o servizio rivelano effetti di rete ovvero esternalità di rete. Esternalità di rete: si verificano in un settore quando il cliente di un prodotto o di un servizio determina un effetto positivo sul valore attribuito a quel prodotto dagli altri consumatori. Per definire un settore è importante definire il settore stesso considerando diverse questioni: 1. E’ importante che il settore non sia definito in modo né troppo ampio è troppo stretto; ad esempio se un imprenditore stesse considerando di iniziare un’attività in proprio come tassista a Stoccolma, definire il settore come “servizio di trasporto di persone” sarebbe troppo ampio mentre “servizio di trasporto di persone a chiamata nel centro di Stoccolma” è ristretto. 2. Considerare la più ampia catena del valore del settore in quanto, diversi settori contribuiscono spesso a diverse aree della catena del valore o sistema del valore, dovendo quindi essere analizzati separatamente; ad esempio, settore materiali ferrosi consegnano sia al settore acciaio che edilizia. 11 3. La maggior parte dei settori potrebbe essere analizzata a vari livelli considerando diverse aree geografiche, diversi mercati o diversi segmenti di mercato; ad esempio, nel settore trasporto aereo identifichiamo diversi mercati geografici, differenti segmenti di mercato business class, economy class etc. Il punto centrale dell’analisi delle cinque forze competitive è determinare se un settore sia più o meno attrattivo, cercando di comprendere fino a che punto determinati posizionamenti strategici, potrebbero consentire all’impresa di difendersi meglio dalle pressioni delle forze competitive, o addirittura riuscire a sfruttarle o a piegarle a proprio favore. Successivamente dopo aver esaminato le cinque forze, bisogna esaminare le implicazioni: In quali settori entrare o quali settori abbandonare? Imprenditori e manager dovrebbero investire nei settori in cui le cinque forze giocano a loro favore, evitando o abbandonando nei mercati nei quali, le stesse, siano sfavorevoli. Tuttavia vi si potrebbe scegliere di operare in dei mercati poiché le barriere all’entrata sono basse però, a meno che tali barriere non siano destinate ad innalzarsi rapidamente, è un pessimo motivo per entrare in un settore; quindi bisogna valutare che l’attrattività complessiva possa essere attaccata anche da una singola forza. In che modo l’impresa può influenzare o gestire le pressioni esercitate dalle cinque competitive? I manager dovrebbero identificare il posizionamento strategico migliore per proteggere le imprese dalle pressioni delle forze competitive, riuscendo a sfruttarle o piegarle a proprio vantaggio; in linea generale dovrebbero mirare a sfruttare a proprio vantaggio le forze più deboli e neutralizzare quelle più aggressive. Come vengono influenzati i concorrenti dalla struttura del settore e dalle sue dinamiche evolutive? Non tutte le imprese in un settore vengono influenzate allo stesso modo dai cambiamenti della struttura del settore ad esempio, un maggiore potere contrattuale dei clienti indebolisce prima i concorrenti di piccole dimensioni. La struttura del settore, anche nei casi in cui appaia stabile, è soggetta a modificarsi o essere caratterizzata da lunghi periodi di instabilità, per questo bisogna considerare le dinamiche evolutive del settore e il cambiamento delle forze competitive. Per prima cosa occorre considerare il possibile cambiamento dei confini del settore e ciò dovrà essere attenzionato della fase iniziale di definizione del settore; è importante dire che molti settori, nel campo della tecnologie stanno convergendo nel senso che, settori che in precedenza erano separati, cominciano a sovrapporsi e ad integrarsi in termini di attività, tecnologie, prodotti e consumatori. -> macchine fotografiche e smartphone. Anche il macro-ambiente può influenzare la struttura del settore e dobbiamo così esaminare: Ciclo di vita di un settore: suggerisce l’idea che i settori esordiscano in dimensioni ridotte, nella loro fase di sviluppo iniziale, per attraversare un periodo di rapida crescita raggiungendo, in seguito, una fase di consolidamento; gli ultimi due stadi sono caratterizzati da un periodo di crescita lenta o assente, ed una fase di declino. L’intensità delle cinque forze competitive, varia in funzione, alle fasi del ciclo di vita del settore. I. Fase di sviluppo: vi si ha una bassa rivalità, un alto livello di differenziazione del prodotto; il fattore chiave è l’innovazione. 12 II. Fase di alta crescita: abbiamo una bassa rivalità, un alto tasso di crescita e debole potere contrattuale da parte dei clienti, ma basse barriere all’entrata; il fattore chiave è la capacità di crescita. III. Fase di consolidamento: abbiamo una rivalità in aumento, diminuzione dei tassi di crescita e uscita di molte imprese dal mercato; i fattori chiave sono le risorse manageriali e finanziarie. IV. Fase di maturità: vi si ha un elevato potere contrattuale dei clienti, bassi tassi di crescita e standardizzazione dei prodotti ma alte barriere all’entrata; i fattori chiavi sono la quota di mercato e il livello dei costi. V. Fase di declino: abbiamo un’estrema rivalità con una competizione sul prezzo e uscita di numerose imprese dal mercato; i fattori chiave sono il livello dei costi e l’impegno strategico. Analisi comparativa delle cinque forze competitive: il ciclo di vita di un settore evidenzia la necessità di rendere dinamica l’analisi della struttura del settore e ciò richiede non solo di valutare l’intensità delle forze competitive ma anche di considerare la loro evoluzione nel tempo e ciò può essere fatto in modo efficace attraverso un diagramma a radar. Il diagramma a radar ci permette di visualizzare l’intensità di ogni singola forza competitiva su cinque assi; una forza competitiva presenta minore intensità quanto più la linea che la rappresenta, si allontana dall’origine degli assi. Nelle situazioni in cui le forze sono deboli, l’area compresa tra le linee è più estesa; quando le forze esercitano maggiore pressione, l’area individuata dalle linee si riduce quindi possiamo affermare che, tanto più sarà estesa l’area maggiore saranno i profitti potenziali. Talvolta il settore può rappresentare un livello di analisi troppo ampio per riuscire ad offrire un quadro dettagliato della concorrenza a tal proposito, il concetto di raggruppamento strategico consente una migliore comprensione delle differenze presenti tra le imprese che concorrono all’interno di uno stesso settore; anche i clienti possono presentare caratteristiche non omogenee e tali differenze sono rese evidenti distinguendo i diversi segmenti di mercato. Le differenze tra i concorrenti, attuali e potenziali, con l’identificazione di spazi di mercato completamente nuovi, possono essere analizzate usando gli strategy canvas e i cosiddetti oceani blu. Raggruppamenti strategici: rappresentano gruppi di imprese che, all’interno dello stesso settore, presentano caratteri e comportamenti strategici simili, perseguendo il vantaggio competitivo in modo sostanzialmente omogeneo e adottando strategie simili. Pur essendo molti gli elementi che consentono di distinguere i raggruppamenti strategici possiamo identificare due categorie: l’ambito di attività di un’organizzazione quindi gamma dei prodotti, ampiezza dell’area geografica e scelte nell’impiego delle risorse come numerosità e valore dei marchi, incidenza delle spese di marketing. I raggruppamenti strategici possono essere rappresentati graficamente con una matrice a due dimensioni dove, sull’asse delle ordinate potremmo trovare l’ampiezza della gamma di prodotti e sull’asse delle ascisse l’intensità delle spese di marketing. Un modo per definire le variabili su cui costruire la mappa dei raggruppamenti strategici è quello di identificare le imprese top performer per tasso di crescita o redditività del settore con confrontarle con i low performer. 15 CAP. 4 – RISORSE, CAPACITA’ E POTENZIALE AZIENDALE Resource-based view (RBV): è un approccio secondo cui il vantaggio competitivo e le superiori performance di un’organizzazione, possono trovare una spiegazione nella peculiarità delle risorse e delle capacità che distinguono ciascuna organizzazione dalle altre. Risorse e capacità aziendali contribuiscono a garantire la sopravvivenza di un’organizzazione nel LP e concorrono a configurare il suo potenziale vantaggio competitivo. Risorse: sono gli assets che un’organizzazione possiede o sui quali può contare. -> ciò che possediamo, ad esempio, macchinari, attività finanziarie, manager e impiegati. Capacità: sono le modalità con le quali gli assets vengono utilizzati o sfruttati. -> ciò che riusciamo a fare bene, ad esempio, efficienza, gestione dei rapporti e provvista risorse, apprendimento. E’ necessario distinguere il livello soglia che il potenziale aziendale deve raggiungere per consentire all’impresa di poter competere sul mercato, dalle risorse e capacità distintive, che possono aiutare l’organizzazione a raggiungere un vantaggio competitivo duraturo e performance superiori a quelle dei concorrenti. Livello soglia del potenziale aziendale: rappresenta il livello di risorse e capacità di cui un’organizzazione ha bisogno per poter competere in un determinato mercato e raggiungere un risultato almeno equivalente a quello concorrente. Risorse distintive: rappresentano il fattore fondamentale del vantaggio competitivo che i concorrenti non possono procurarsi o non sono capaci di imitare, come un marchio affermato e consolidato. Capacità distintive: sono i modi di fare le cose che rendono unica quell’impresa, apprezzati dai consumatori e non imitabili dalla concorrenza. Le capacità o le competenze distintive tendono a mantenere il loro carattere di unicità, in quanto rappresentano un insieme di abilità e tecnologie integrate, piuttosto che singole separate tra loro. Core competence: è l’insieme di attività, capacità, abilità e risorse, strettamente collegati tra loro. Modello VRIO: racchiude i quattro principali criteri per valutare, come e in che misura, le risorse e le capacità aziendali possono rappresentare la base di un vantaggio competitivo: valore, rarità, inimitabilità e organizzazione. 1. Valore: sono considerate risorse e capacità di particolare valore quelle che permettono di creare un prodotto o un servizio che è apprezzato dai consumatori e che consentono all’impresa di cogliere le opportunità e di contrastare le minacce che derivano dall’ambiente esterno. Ci sono degli elementi che consentono di apprezzare il valore del potenziale aziendale come la capacità di sfruttare le opportunità e neutralizzare le minacce, capacità di creare valore per i clienti, capacità di contenere i costi. 2. Rarità: sono considerare risorse e capacità rare quelle possedute esclusivamente da una o poche organizzazioni; sono esempi i brevetti, i marchi, la posizione geografica. 3. Inimitabilità: sono considerate risorse e capacità inimitabili quelle appunto difficili da imitare, riprodurre o sostituire da parte degli altri concorrenti, ne sono un esempio le capacità di marketing. I maggiori ostacoli all’imitazione sono rappresentati dalle connessioni tra le attività, le capacità e le persone di un’organizzazione. Più frequentemente il vantaggio competitivo è determinato dai modi, attraverso i quali, tali risorse vengono utilizzate e gestite all’interno dell’organizzazione, è determinato quindi dalle capacità aziendali. 16 Esistono dei legami che contribuiscono a rendere le competenze difficilmente imitabili da parte della concorrenza per alcune ragioni quali la complessità che può dipendere da interconnessioni interne ed esterne; ambiguità causale riguardante i caratteri distintivi e il sistema di relazioni; cultura e storia le capacità aziendali sono spesso parte integrante della cultura organizzative inoltre l’origine, le vicende e il percorso storico che spiegano il modo in cui si sono sviluppate nel tempo le risorse e le capacità aziendali, prende il nome di path dependency. 4. Organizzazione: l’impresa deve essere capace di strutturarsi, dotandosi dei sistemi e dei processi organizzativi idonei a sostenere adeguatamente le sue potenzialità. Capacità complementari: sono quelle rappresentate dal supporto organizzativo poiché, sebbene da sole non siano spesso sufficienti ad assicurare un vantaggio competitivo, sono allo stesso tempo particolarmente utili, per riuscire a sfruttare altre capacità che consentono di generare un tale vantaggio. Per individuare le basi del vantaggio competitivo, il management potrà avvalersi degli strumenti di diagnosi: 1. Analisi VRIO: il modello VRIO rappresenta uno strumento utile per valutare se un’impresa disponga di risorse e capacità sufficienti per conseguire e difendere un determinato vantaggio competitivo; l’analisi quindi aiuta a valutare se, come e fino a che punto, un’impresa abbia risorse e capacità che sono di valore, rare, inimitabile e supportate dall’organizzazione. Questa analisi può essere condotta nell’ambito delle diverse funzioni aziendali quali R&S, vendite etc o in modo più dettagliato sulle singole risorse e capacità. 2. Catena del valore e sistema del valore: la catena del valore descrive le diverse categorie di attività svolte all’interno di un’organizzazione che, nel loro insieme, contribuiscono a creare un prodotto o servizio; il sistema del valore è un insieme di relazioni inter-organizzative necessarie per la creazione di un prodotto o di un servizio. La catena del valore può rappresentare un modello efficace per analizzare il processo di creazione del valore da parte di un’impresa. Le attività primarie sono direttamente collegate alla creazione di un prodotto o erogazione del servizio: logistica in entrata/uscita, marketing e vendite, attività operative. Ogni attività primaria è legata ad un’attività di supporto, che migliorano l’efficienza e l’efficacia delle attività primarie: gestione degli approvvigionamenti, sviluppo della tecnologia, gestione delle risorse umane, attività infrastrutturali. La catena del valore può essere usata come strumento per comprendere il posizionamento strategico di un’organizzazione ed analizzare le risorse e le capacità aziendali e può avvenire attraverso: descrizione generica delle attività, modello VRIO, analisi del costo e del valore delle attività; quest’ultima può avvenire in tre fasi: identificazione delle diverse aree di attività che creano valore, valutazione dell’importanza relativa dei costi sostenuti per le diverse attività della catena del valore, valutazione dell’importanza relativa delle diverse attività rispetto alla concorrenza, individuazione delle aree e delle modalità d’intervento per ridurre i costi. Raramente un’organizzazione svolge internamente tutte le attività della propria catena del valore, dalla progettazione del prodotto o del servizio fino alla sua consegna o erogazione al consumatore finale; la specializzazione in determinati ruoli contribuisce a rendere l’organizzazione parte integrante di un sistema del valore più ampio e ciò richiede di affrontare alcune questioni: decisioni relative al make or buy, ovvero all’esternalizzazione; come identificare le attività del sistema del 17 valore e la relativa struttura dei rapporti costi/prezzo; quali attività generano i maggiori margini di profitto. Profit pools: si riferisce ai differenti livelli di redditività realizzabili nelle diverse aree del sistema del valore. 3. Sistema delle attività: Porter ha evidenziato, insieme ad altri, l’importanza di dotarsi di una mappa del sistema di attività, indicando vari modi per costruirla. Il punto di partenza è dato da ciò che Porter definisce temi strategici di ordine superiore facendo riferimento ai modi, attraverso i quali l’organizzazione, fronteggia i FCS individuati nel proprio spazio competitivo o settore di attività. Successivamente identificare dei cluster di attività che sono alla base di ciascuno di questi FCS e dalla individuazione delle modalità, con le quali quest’ultimi, interagiscono o meno reciprocamente. 4. Benchmarking: è uno strumento utilizzato per comparare un’organizzazione rispetto alle altre e queste possono essere rappresentate dalle imprese rivali che competono nello stesso settore o da altre che svolgono la stessa attività o funzioni simili. Esistono due approcci al benchmarking, quello a livello di settore o mercato e quello best-in-class che confronta le performance e le capacità di un’organizzazione con quelle delle imprese migliori, “primi della classe” indipendentemente dal settore in cui operano per superare i limiti dell’approccio precedente. Tale analisi presenta due limitazioni: confronti superficiali e obiettivo limitato al raggiungimento della parità competitiva. 5. Analisi SWOT: fornisce un quadro sommario dei punti di forza e debolezza che derivano dall’analisi del potenziale aziendale, insieme alle opportunità e alle minacce che emergono dall’analisi dell’ambiente. Lo scopo principale è quello di identificare il grado di rilevanza dei punti di forza e debolezza e le loro capacità di affrontare i cambiamenti dell’ambiente competitivo. Il metro di misurazione adottato dal management per valutare l’impatto dei fattori esterni e i punti di forza e debolezza, è una scala di valore da +5 a -5; se il segno è positivo significa che il punto di forza potrebbe generare vantaggio o neutralizzare il problema, oppure che un punto di debolezza possa essere bilanciato da un cambiamento che offre nuove opportunità mentre se il segno è negativo significa che i punti di forza potrebbero essere compromessi e quelli di debolezza potrebbero ostacolare l’organizzazione nel risolvere i problemi generati dal cambiamento. Nell’effettuare l’analisi SWOT bisogna considerare due rischi: elenco troppo lungo di fattori e affidamento eccessivo per uno strumento sommario e comunque non sostitutivo all’analisi strategica. L’analisi SWOT può aiutare a concentrare la discussione sulle scelte future e sulla capacità dell’organizzazione di supportare determinate strategie; uno strumento molto utile per svolgere tale analisi è la matrice TOWS che è costruita utilizzando le info fornite dall’analisi SWOT infatti ogni quadrante può essere usato per identificare una diversa combinazioni di fattori interni, punti di forza o debolezza, ed esterni quali opportunità e minacce. Il quadrante in alto a sinistra evidenzia le opzioni strategiche che usano i punti di forza per sfruttare le opportunità dell’ambiente competitivo; quello in basso a destra suggerisce le opzioni strategiche 20 3. Entrepreneurial business: sono imprese controllate dagli imprenditori fondatori e da loro ancora sostanzialmente gestite; con l’espandersi delle loro attività tendono a fare maggior affidamento ai manager professionisti e a sollecitare il coinvolgimento di investitori esterni, per finanziare lo sviluppo di nuove opportunità. -> Chiara Ferragni, Facebook etc. In genere, per crescere e sopravvivere, sono fortemente orientate al profitto. 4. Imprese familiari: sono imprese, la cui proprietà è passata dall’imprenditore fondatore, alla sua famiglia e generalmente sono di piccole/medie dimensioni. Con il tempo si avvalgono di figure professionali pur mantenendo il controllo dell’assetto in mano alla famiglia ma ciò può indurre a trascurare strategie maggiormente orientate al profitto che richiederebbero però una diluzione della quota di controllo della famiglia nel capitale sociale, o il ricorso ad un maggior indebitamento, quindi più rischi finanziari nella società. Corporate Governance: è l’insieme delle strutture e dei sistemi di controllo istituiti al fine di rendere i manager responsabili verso quei soggetti che esprimono interessi legittimi, o che sono comunque portatori di aspettative verso l’organizzazione. In genere lo stakeholder principale, per la corporate governance, è dato dalla proprietà, “shareholder” ma altri gruppi di stakeholder come i rappresentanti dei dipendenti, sono presenti negli organi di governance. Manager e stakeholder sono collegati attraverso la: Governance Chain: indica i ruoli e le relazioni tra i diversi gruppi di stakeholder che intervengono nella governance di un’organizzazione. In una piccola impresa famigliare questa è semplice abbiamo infatti i proprietari delle azioni, il CdA e i dirigenti; in una grande società quotata in borsa ci sono più livelli di governance chain. Gli economisti analizzano le relazioni che si instaurano all’interno della governance chain usando il modello principale-agente; secondo questo modello i principali delegano gli agenti ad agire nell’interesse dello stesso principale. Solitamente il principale è il proprietario e l’agente nel manager. Facendo un esempio, i principali sono i sottoscrittori di un FCDI, mentre le SGR e i suoi manager sono gli agenti diretti a realizzare un rendimento soddisfacente degli investimenti; il soggetto successivo è il Consiglio di Amministrazione di una delle società partecipate dal fondo ed esso può essere il principale mentre i rappresentanti del top management, gli agenti al quale è affidata la gestione della società. Da tale modello emergono dei problemi quali asimmetria informativa, limiti nella capacità di controllare il comportamenti degli agenti e disallineamento degli incentivi. Il CdA è l’organo di governo dell’impresa ed è quindi responsabile del successo o del fallimento di un’organizzazione quindi deve essere coinvolto nelle decisioni strategiche; esistono due modelli: 1. Shareholder Model: è il modello orientato agli azionisti ed è il modello prevalente delle società quotate in borsa; secondo tale approccio gli azionisti sono considerati il gruppo di portatori di interessi, i cui scopi devono essere privilegiati rispetto agli altri stakeholder, come i dipendenti. Gli azionisti solitamente perseguono interessi di natura economico-finanziaria; hanno il diritto di votare per la nomina del CdA, sulla base delle azioni detenute ma spesso il numero degli azionisti è così elevato che non sono capaci di influenzare le decisioni dell’Assemblea degli azionisti nella nomina del CdA. 21 2. Stakeholder Model: è il modello orientato agli stakeholder e si fonda sul principio che la ricchezza sia creata dall’impresa con il concorso di una pluralità di soggetti, ciascuno dei quali merita di partecipare, alla sua distribuzione; in alcuni sistemi di governance, le banche e i dipendenti, possono essere formalmente rappresentati nei CdA. Nei paesi nei quali è diffuso tale modello, la struttura tipica degli organi di governo è dato dal un modello dualistico: Consiglio di sorveglianza: è il luogo in cui vengono rappresentati e trovano composizione gli interessi di vari gruppi di stakeholder, come dipendenti e banche oltre gli azionisti. Consiglio di gestione: è attribuita la pianificazione strategica e il controllo delle attività aziendali, ma anche altre funzioni come operazione di acquisizione e fusione che devono essere approvate dal consiglio di sorveglianza. Rispetto al ruolo del CdA ci sono due questioni importanti per la determinazione della strategia: 1. Processo di delega: i CdA delegano la maggior parte delle questioni relative alla gestione aziendale del management e ciò può comportare il fatto che quest’ultimo si appropri della strategia, a scapito degli altri stakeholder. Il modello dualistico cerca di porre rimedio a questo rischio infatti al Consiglio di sorveglianza è riservato il compito di approvare le decisioni strategiche. 2. Processo di coinvolgimento: gli amministratori non esecutivi possono desiderare di essere coinvolti nel processo di gestione strategica, ma nella pratica ci sono difficoltà di tempo e conoscenze richieste per affrontare attivamente, le questioni strategiche più complesse. La responsabilità sociale d’impresa, con riferimento all’organizzazione aziendale, e l’etica dei comportamenti, con riferimento ai singoli manager, rappresentano aspetti critici della strategia aziendale. Corporate Social Responsibility (CSR): è definita come l’impegno di un’organizzazione a comportarsi in modo eticamente corrette e a contribuire allo sviluppo economico attraverso il miglioramento della qualità della vita dei lavoratori e delle loro famiglie, della comunità locale e della società intesa nel senso più ampio; il CSR riguarda quei comportamenti con i quali l’impresa intende risponde ad obblighi ulteriori, verso gli stakeholder, rispetto a quelli previsti dalla legge. 1. Approccio Lasseiz-Faire: rappresenta un atteggiamento intransigente nel senso che, i suoi sostenitori ritengono che la sola responsabilità dell’impresa sia quella di creare ricchezza, soddisfacendo gli interessi degli azionisti; le organizzazioni sono tenute a rispettare gli obblighi imposti dalla legge e dalle autorità di regolazione e basta. 2. Approccio Enlightened Self-Interest: è orientato al riconoscimento dei potenziali benefici economico-finanziari di lungo termine derivanti agli azionisti da una corretta gestione delle relazioni con gli altri stakeholder; una buona reputazione verso i clienti e i fornitori è importante. 3. Approccio Forum for Stakeholder Interaction: include le aspettative e gli interessi di molti stakeholder, oltre a quelli degli azionisti, negli scopi e nella strategia dell’organizzazione. Le organizzazioni che adottano tale approccio attribuiscono al principio di sostenibilità della strategia, un ruolo fondamentale per assicurare un miglioramento complessivo delle condizioni di vita nel rispetto delle tre dimensioni quali protezione ambientale, responsabilità sociale e benessere economico. -> Triple Bottom Line si considerano i profitti insieme ai benefici di natura sociale ed ambientale. 4. Approccio Shaper of Society: considera gli aspetti di natura finanziaria come elementi di importanza secondaria o come un vincolo, si tratta infatti di organizzazioni idealiste che propongono di cambiare il mondo e le regole del gioco e tale approccio viene spesso usato nel settore pubblico, volontariato e beneficienza. 22 Fields affermava che “la cultura si mangia la strategia a colazione” intendendo l’occulta influenza della cultura organizzativa sulla strategia aziendale. Schein definisce la cultura organizzativa come “gli assunti di base e i convincimenti che vengono condivisi dai membri di un’organizzazione che implicitamente concorrono a definire la visione che l’organizzazione ha di sé e dell’ambiente in cui opera.” Cultura organizzativa: è l’insieme degli assunti e dei comportamenti tacitamente condivisi dai membri di un’organizzazione; così intesa aiuta le persone a dare un senso a ciò che fanno, come lo fanno e dove. Rete culturale: rileva i comportamenti e le manifestazioni fisiche e simboliche della cultura che pervadono e sono pervasi dagli assunti tacitamente condivisi, ovvero dal paradigma di un’organizzazione. Ci sono 7 elementi della rete culturale: 1. Paradigma: è il nucleo centrale e rappresenta l’insieme degli assunti di base condivisi, e tacitamente sottesi, all’interno dell’organizzazione; identificarlo potrebbe risultare difficile soprattutto per chi non appartiene all’organizzazione dal momento che esso tende a non essere oggetto di discussione e manca consapevolezza sulla sua natura e ruolo. 2. Riti e routine: mettono in evidenza il carattere ripetitivo della cultura organizzativa. Le routine si riferiscono al modo in cui vengono quotidianamente svolte le attività aziendali mentre i riti sono rappresentati da particolari attività o eventi di un’organizzazione, che enfatizzano, rafforzano ciò che è importante nella cultura organizzativa tra questi troviamo i colloqui di gruppo, i programmi di formazione etc. 3. Storie: servono ad integrare le vicende correnti nella storia dell’organizzazione e a evidenziare le tappe fondamentali e le personalità più significative che hanno segnato la vita aziendale. 4. Simboli: sono oggetti, eventi, azioni o persone che creano, consolidano e trasmettono un significato che va al di là del loro scopo funzionale; alcuni possono essere punti di svolta che hanno segnato l’organizzazione. 5. Potere: è l’abilità degli individui di persuadere, indurre o costringere gli altri a seguire determinate linee d’azione. 6. Strutture organizzative: definiscono i ruoli, le responsabilità e i meccanismi di reporting all’interno dell’organizzazione. 7. Sistemi di controllo: rappresentano gli strumenti e i processi, formali e informali, attraverso i quali vengono sorvegliate e supportate le persone all’interno e all’esterno dell’organizzazione. Inerzia strategica: è la tendenza delle strategie a svilupparsi in modo incrementale, in base all’influenza della storia e della cultura dell’organizzazione, senza peraltro riuscire a tenere il ritmo del rapido cambiamento dell’ambiente. Ci sono 4 fasi nel processo di inerzia che possono condurre al cambiamento strutturale dell’organizzazione o alla sua scomparsa: 1. Cambiamento strategico incrementale: è la prima fase dove avvengono modesti cambiamenti. 2. Inerzia strategica: emerge quando il ritmo del mutamento ambientale inizia a sorpassare quello del cambiamento strategico d’impresa. 3. Generazione d’instabilità: si innesca dalla flessione della performance, dovuta al crescere del differenziale tra il cambiamento dell’organizzazione rispetto a quello dell’ambiente esterno. 4. Cambiamento strutturale o fallimento; Ci sono delle motivazioni per cui è difficile evitare l’inerzia: incertezza della natura strutturale del cambiamento, path dependency e lock-in, radicamento culturale e strutture di potere. 25 Porter evidenzia due requisiti fondamentali per le strategie basate sul costo: 1. Il concetto di vantaggio competitivo richiede che la struttura dei costi riesca ad essere la più bassa in assoluto in quanto, posizionarsi al secondo posto in tale classifica, significherebbe già trovarsi in uno svantaggio competitivo; infatti i competitor con strutture di costo più alte, potrebbero essere penalizzati da riduzioni di prezzo, in particolare nei momenti di recessione, mentre per quelle imprese che competono sui costi, la posizione di leadership è l’unica posizione rassicurante. 2. Quando si persegue un leadership di costo è importante non tralasciare la qualità, perché per vendere i suoi prodotti, il cost-leader deve soddisfare gli standard qualitativi richiesti dal mercato. In particolare possono scegliere due opzioni: Parità: quindi l’equivalenza nei confronti delle imprese rivali, riguardo l’apprezzamento ricevuto dai clienti, per le caratteristiche del prodotto; questa permette al cost-leader di stabilire lo stesso prezzo, adottato dalla media dei suoi concorrenti, trasformando l’intero vantaggio di costo in extraprofitto. Prossimità: quindi la vicinanza riguardo alle caratteristiche, nei confronti delle imprese rivali infatti quando un’impresa è simile ai concorrenti, inerente magari le caratteristiche del prodotto offerto, i clienti potranno richiedere modeste riduzioni di prezzo per compensare una qualità inferiore; l’impresa più prossima al cost-leader ottiene comunque profitti maggiori rispetto alla media dei concorrenti, poiché il prezzo minore compromette soltanto una parte del suo vantaggio di costo. Strategia di differenziazione: richiede l’offerta di qualcosa di unico, a cui i consumatori attribuiscano un valore capace di giustificare l’imposizione di un prezzo maggiore; gli elementi di differenziazione variano in relazione ai diversi mercati però anche all’interno dello stesso mercato, le imprese possono adottare diversi criteri di differenziazione. I tre principali fattori da prendere in considerazione sono: 1. Caratteristiche del prodotto e del servizio: alcuni aspetti del prodotto presentano caratteristiche migliori o uniche, per il cliente, rispetto ad altri prodotti infatti l’innovazione del prodotto e le modalità di lancio sul mercato possono rappresentare una base per la differenziazione. Nello sviluppare i presupposti per tale strategia, è essenziale riuscire a identificare i bisogni della clientela, sui quali si vuole basare la differenziazione; considerare l’offerta dei concorrenti è altrettanto importante, quando vi si devono identificare le basi per la differenziazione, e lo strategy canvas rappresenta uno strumento utile per costruire una mappa dei diversi tipi di differenziazione. 2. Relazione con i clienti: ciò è collegato alla percezione del prodotto da parte del cliente, che può aumentare attraverso i servizi di assistenza alla clientela e alla capacità di risposta alle aspettative del consumatore; questi possono riguardare la distribuzione, le forme di pagamento e i servizi post- vendita. I prodotti possono essere differenziati per i singoli clienti anche attraverso la personalizzazione, infine anche il marketing e l’immagine di un’organizzazione, possono rappresentare a livello emotivo e psicologico, una base per la differenziazione. 3. Elementi complementari: riguarda le connessioni con altri prodotti o servizi, infatti il valore percepito di certi prodotti, può essere rafforzato se essi vengono usati insieme ad altri prodotti complementari. La differenziazione consente di fissare prezzi più elevati ma ciò comporta maggiori costi quindi, un importante requisito che permette di tradurre tale strategia in successo, è rappresentato dalla capacità di sostenere significativi investimenti. Strategia di focalizzazione: l’impresa individua uno spazio competitivo ristretto, concentrando la propria offerta per soddisfare i bisogni specifici di un particolare segmento di mercato, trascurando di servire una maggiore varietà di consumatori; possono essere di due tipi, a seconda della fonte di vantaggio competitivo: 26 1. Focalizzazione sui costi: le imprese identificano gli ambiti in cui le strategie di leadership di costo falliscono, a causa dei costi aggiuntivi che, derivano dalla necessità di soddisfare un’ampia gamma di bisogni. 2. Focalizzazione sulla differenziazione: le imprese cercano di soddisfare i bisogni specifici di quei segmenti di mercato, che le imprese che adottano strategie di differenziazione nell’ambito dell’intero settore, non riescono a soddisfare nello stesso modo; focalizzarsi su un bisogno particolare permette di sviluppare conoscenze e tecnologie specializzate, di accrescere il proprio impegno nel servizio al cliente e di rafforzare l’identità della marca e la fedeltà del consumatore. I fattori di successo di tale strategia sono: dei bisogni specifici, delle catene del valore specifiche e una dimensione economica sufficiente, per ciascun segmento di mercato. Secondo Porter, il management deve scegliere una strategia concorrenziale di base e perseguirla con determinazione in quanto, in caso contrario, si rischierebbe di rimanere bloccati senza riuscire a realizzare con successo nessuna strategia; tale tesi, favorevole all’adozione di strategie concorrenziali di base pure risulta controversa, infatti lo stesso Porter, ha riconosciuto che esistono determinate circostanze che permettono di adottare strategie ibride. Strategia ibrida: combina tra loro diverse strategie concorrenziali di base. -> la compagnia American Southwest Airlines, persegue una strategia di leadership di costo offrendo servizi privi di optional, il suo marchio però, si differenzia per alcune caratteristiche tipo la frequenza dei voli e la cordialità del servizio; un altro esempio è dato dalla compagnia Singapore Airlines, che persegue una strategia di differenziazione basata sulle comodità del passeggero e un personale premuroso ma tutto ciò, è combinato con un posizionamento dei costi inferiore rispetto ai concorrenti, in base ai minori costi di manutenzione e alla standardizzazione ed esternalizzazione delle varie attività. Si possono determinare alcune circostanze che consentono di combinare le strategie: 1. Separazione organizzativa delle attività: un’impresa potrebbe creare diverse SBU, ciascuna caratterizzata da una specifica struttura dei costi e impegnata a perseguire la propria strategia concorrenziale di base ed in questo caso, la sfida consiste nel riuscire a evitare spillover negativi, tra una SBU e un’altra; ad esempio, un’impresa che persegue prevalentemente strategie di differenziazione, potrebbe rischiare di vedere elevati costi direzionali che, finirebbero per essere sopportati anche dalle SBU che adottano strategie di leadership di costo. 2. Innovazione tecnologica o manageriale: l’innovazione tecnologica permette di realizzare miglioramenti radicali, sia in termini di costi che di qualità, ad esempio, la vendita attraverso internet riduce i costi di commercializzazione dei libri, accrescendo la differenziazione per la più ampia offerta del prodotto, ottimizza la gestione degli stock in magazzino etc; lo stesso vale per le innovazioni manageriali, ad esempio, l’introduzione del Total Quality Management, ha consentito di ridurre gli errori nell’attività della catena di montaggio, riducendo i costi di produzione e migliorando la differenziazione di successo. 3. Fallimenti dei concorrenti: quando i concorrenti si trovato bloccati, la pressione per rimuovere uno svantaggio è minore mentre, nei mercati dominati dalla presenza di un’impresa leader, le tensioni competitive si riducono nel tentativo di conformarsi ad un un’unica strategia concorrenziale di base. Tuttavia le strategie ibride sono piuttosto complesse e vanno perseguite con cautela in quanto richiedono attente riflessioni, per risolvere il fondamentale trade off tra i vantaggi di costo e di differenziazione. 27 Strategy Clock: è uno strumento utile per bilanciare le strategie concorrenziali di base e le strategie ibride. Presenta due caratteristiche distintive: Si focalizza sui prezzi per i clienti piuttosto che sui costi sopportati dall’impresa; dal momento che i prezzi sono più visibili dei costi, lo strategy clock può essere usato più facilmente, per comparare imprese concorrenti. La sua forma circolare permette una più facile riconsiderazione delle scelte strategiche, rispetto alla rigida alternativa di Porter, tra leadership di costo e differenziazione; le organizzazioni possono spostarsi lungo la circonferenza, adattando nel tempo le politiche di prezzo e i vantaggi perseguiti. Identifica tre aree relative alle strategie praticabili mentre, un’area che identifica una combinazione di scelte che, con molta probabilità, condannerebbero l’impresa al fallimento: 1. Strategie di differenziazione: quest’area comprende una varietà di possibili strategie, dirette a raggiungere un’elevata percezione da parte dei clienti, dei benefici derivanti dai prodotti o dai servizi; il posizionamento alle ore 12, rappresenta la strategia di differenziazione senza un price premium che, combina un’alta percezione dei benefici, con l’applicazione di prezzi moderati mentre il posizionamento tra l’1 e le 2, rappresenta una strategia di differenziazione con un price premium e il posizionamento alle ore 2, rappresenta una strategia di focalizzazione, in cui è possibile combinare prezzi alti con l’offerta di minori benefici. 2. Strategie di leadership di costo: quest’area permette diverse combinazioni di prezzi bassi e minore valore percepito; il posizionamento alle ore 9, rappresenta una strategia di leadership di costo che, combina prezzi contenuti con un valore percepito ragionevole mentre il posizionamento alle ore 7, rappresenta una strategia no frills, ovvero una variante alla tradizionale strategia di leadership di costo che, combina prezzi bassi con un minore valore percepito. -> Ryanair. 3. Strategie ibride: comportano sia prezzi inferiori rispetto alle strategie di differenziazione, sia un valore percepito maggiore rispetto alle strategie di leadership di costo; tali strategie sono spesso utilizzate come manovre concorrenziali aggressive finalizzate ad aumentare la quota di mercato, infatti rappresentano un modo efficace per entrare in nuovi mercati. -> Ikea 4. Strategie non competitive: l’ultima area individua le scelte giudicate impraticabili, dal punto di vista economico, con strategie di prezzi elevati e basso valore percepito. Lo strategy clock si focalizza sul prezzo e sull’ampiezza delle manovre strategiche, offrendo una visione più dinamica delle strategie concorrenziali di base di Porter, ovvero la rigida alternativa fra la strategie di leadership di costo e quella di differenziazione. Un’impresa potrebbe adottare inizialmente una strategia di leadership di costo, per aumentare la propria quota di mercato passando ad una strategia di differenziazione con un price premium, per raccogliere maggiori profitti e, spostarsi infine, verso una strategia ibrida con lo scopo di difendersi dai nuovi entranti. Le strategie concorrenziali di base devono essere scelte, ed in caso modificate, alla luce delle strategie adottate dalla concorrenza; ad esempio, se tutti cercano di realizzare una strategia di leadership di costo potrebbe essere ragionevole scegliere di differenziarsi. D’Aveni descrive le interazioni tra concorrenti, in termini di manovre competitive, relative alla variabilità dei prezzi (asse y) e alla qualità percepita (asse x) e riferisce tale analisi, in contesti molto dinamici, che egli stesso definisce ipercompetitivi. L’ipercompetizione caratterizza i mercati che sono in continuo disequilibrio e cambiamento e questi contesti richiedono continue mosse e contromosse, da parte dei concorrenti, senza che ne sia possibile programmare quale sia la sostenibilità di una posizione di vantaggio competitivo, nel tempo. 30 CAP. 7 – STRATEGIA CORPORATE E DIVERSIFICAZIONE Strategia corporate: riguarda l’individuazione delle aree di business, nelle quali si decide di operare e questo influenzerà l’eventuale acquisizione di altre business unit, gli scopi che un’organizzazione potrebbe decidere di perseguire e il modo efficiente in cui le risorse potrebbero essere allocate, tra i diversi business. Il raggio d’azione dell’organizzazione è un concetto fondamentale per la strategia corporate, in quanto determina il grado di diversificazione di un’impresa, in termini di prodotti e mercati; questo può essere regolato attraverso processi di crescita o di contrazione delle proprie attività, quali l’integrazione verticale o esternalizzando le attività. Le imprese diversificate che operano in differenti ambiti di attività, avranno diverse SBU ciascuna con la propria strategia orientata verso uno specifico mercato, del cui successo o fallimento, è responsabile; la direzione centrale dell’impresa, il suo livello corporate, si occupa del governo delle varie SBU, determinandone il campo d’azione in termini di mercato, area geografica e di risorse e capacità, affinchè esse possano apportare valore al gruppo. Parenting advantage: è il valore aggiunto, apportato dalla direzione centrale della capogruppo alle singole SBU, che costituiscono il portafoglio dell’organizzazione. Prima di decidere in quali settori e business investire o quali eliminare, la direzione centrale dovrebbe valutare se il controllo della società capogruppo, è in grado di accrescere il valore del portafoglio di attività oppure se i singoli business che lo compongono, avrebbero maggiore valore qualora fossero gestiti separatamente. Le matrici di portafoglio sono uno strumento utile nel supportare le scelte della struttura, a livello corporate, in merito all’investimento o disinvestimento, nei diversi business. La matrice delle direttrici strategiche di Ansoff rappresenta un classico modello interpretativo delle strategie corporate che identifica quattro direttrici strategiche di sviluppo dell’impresa. Inizialmente l’impresa si colloca nell’area A e può quindi decidere se crescere nell’area A, quindi di consolidarsi, o invece diversificarsi lungo i due assi che indicano una maggiore novità, in termini di mercati serviti o maggiore novità, in termini di prodotti e servizi offerti, quindi di diversificarsi. La diversificazione implica un incremento della gamma dei prodotti offerti o della varietà dei mercati serviti, da parte di un’organizzazione. La diversificazione correlata rappresenta un processo di espansione in mercati o prodotti che mantengono legami e affinità con i business esistenti; in base a tale matrice, un’impresa può seguire due strategie di diversificazione correlata infatti, può muoversi verso B sviluppando nuovi prodotti o servizi per i mercati attuali o verso C, aprendo nuovi mercati per gli attuali prodotti. La diversificazione conglomerata, quindi non correlata, implica la scelta di diversificare offrendo nuovi prodotti e servizi, in mercati che non hanno nessuna relazione con i business esistenti nel portafoglio aziendale; in questo caso, l’impresa offre nuovi prodotti in nuovi mercati, spostandosi nell’area D della matrice. Tale diversificazione porta l’organizzazione a spingersi oltre i confini dei mercati e dei prodotti esistenti ed in questo caso il raggio di azione aumenta in modo significativo; tali strategie possono creare valore, nella misura in cui le organizzazioni riescano a beneficiare del fatto di essere parte di un gruppo più ampio e ciò può consentire ai consumatori di riporre maggiore fiducia nei prodotti delle business unit, rispetto al passato mentre le maggiori dimensioni, possono far ridurre il costo dei finanziamenti. -> non è sempre fallimentare 31 La penetrazione del mercato implica un incremento della quota di mercato, con l’attuale gamma di prodotti ed è l’opzione strategica migliore per le imprese che operano in un solo business, quindi le imprese non diversificate; in questo caso il raggio d’azione rimane sostanzialmente lo stesso. Le imprese che perseguono una maggiore penetrazione del mercato, potrebbero trovarsi di fronte a diversi problemi, quali: 1. Ritorsioni da parte dei concorrenti: in quanto i concorrenti cercheranno di difendere la propria quota di mercato e ciò potrebbe portare a guerre sui prezzi o costose battaglie di marketing, che generano maggiori costi rispetto ai profitti potenzialmente realizzabili. 2. Restrizioni di legge: la maggior parte dei paesi, ha istituito autorità di regolazione, con il compito di vigilare sull’eventuale abuso di posizione dominante e di contenere l’eccessiva concentrazione del potere di mercato, quando questa possa compromettere la concorrenza, attraverso operazioni di fusione e acquisizione. 3. Vincoli di mercato: dati da periodi di recessione o di restrizioni di bilancio pubblico, momenti in cui le imprese dovranno considerare l’opzione del taglio costi, eliminando le attività marginali per concentrarsi sui prodotti e segmenti di mercato, di maggior valore nel loro business. Sviluppo del prodotto: si ha quando un’impresa introduce prodotti nuovi, o comunque modificati, nei mercati nei quali essa è già presente; la misura del grado di diversificazione che comporta, è data dallo spostamento lungo l’asse orizzontale, dato dai prodotti/servizi, nella matrice di Ansoff. -> costosa e rischiosa Nonostante i potenziali benefici generati dalla correlazione con i business esistenti, la scelta della direttrice strategica dello sviluppo del prodotto, non è priva di costi e di rischi, in quanto: 1. Necessità di adeguare il potenziale aziendale: tale strategia richiede il padroneggiare con processi e tecnologie, non familiari all’organizzazione per questo motivo, implica forti investimenti e il rischio di fallimento del progetto è alto. 2. Rischio relativo al project management: tali progetti sono soggetti al rischio di ritardi o di incremento di costi dovuti alla complessità del progetto e ai cambiamenti delle caratteristiche. Sviluppo del mercato: comporta l’offerta in nuovi mercati, di prodotti e servizi già presenti nel portafoglio aziendale; il grado di diversificazione è misurato dallo spostamento verso il basso lungo l’asse verticale, dato dai mercati, nella matrice di Ansoff. -> conveniente e realizzabile rapidamente Esso comporta in genere anche qualche intervento di sviluppo del prodotti, in termini di packaging e dei servizi offerti, nonostante ciò lo sviluppo del mercato, rimane una forma di diversificazione correlata, considerato il legame con l’attuale portafoglio di prodotti; quest’ultima può avvenire in due modi quali, attraverso nuove aree geografiche o attraverso nuovi utilizzatori. E’ importante che le strategie di sviluppo del mercato siano fondate su prodotti o servizi, capaci di intercettare i FCS che caratterizzano il nuovo mercato. I driver della diversificazione, potenzialmente capaci di generare valore, possono essere riassunti in: 1. Sfruttamento di economie di raggio d’azione: tali economie, riguardanti sia risorse tangibili che intangibili, si riferiscono agli incrementi di efficienza che, derivano dall’applicazione di risorse e competenze, presenti nell’organizzazione, ad attività richieste dall’offerta di nuovi prodotti o dall’ingresso in nuovi mercati; in altre parole, si possono ottenere incrementi di efficienza, almpliando il raggio d’azione. 32 2. Ampliamento delle competenze del corporate management: ovvero alla logica dominante che, rappresenta l’insieme delle capacità manageriali, a livello corporate, che sono messe trasversalmente a disposizione di tutto il portafoglio di attività aziendali. 3. Sfruttamento della superiorità nel gestire i processi interni: i processi interni di un’azienda diversificata spesso sono più efficienti dei processi che si svolgono attraverso scambi di mercato soprattutto quando il mercato dei capitali e del lavoro, non funzionano in modo efficiente, come nei paesi in via di sviluppo; in questo caso è utile perseguire una strategia di diversificazione conglomerata, anche se il portafoglio di attività è variagato e vi si ha un limitato grado di correlazioni, a livello operativo. 4. Maggiore potere di mercato; Quando la diversificazione riesce a creare valore, significa che il management ha saputo realizzare una sinergia, tra i diversi business. Le sinergie si riferiscono ai vantaggi ottenuti con l’integrazione di attività o asset, tra loro complementari, in modo che il valore della loro combinazione risulti maggiore rispetto alla somma delle parti, considerate separatamente. -> 2+2= 5 I driver della diversificazione, potenzialmente capaci di provocare una distruzione di valore, sono: 1. Reazioni al declino del mercato: i manuali di finanza insegnano che di solito è meglio lasciare decidere autonomamente gli azionisti, sulle nuove opportunità di investimento, piuttosto che affidare l’investimento delle scarse risorse finanziarie disponibili, al management di un business in declino. 2. Distribuzione del rischio: gli azionisti possono diversificare facilmente il rischio, acquistando un modesto numero di azioni di decine di società, che operano in settori diversi mentre le strategie di diversificazione, riguardano un numero limitato di business, legati tra di loro. 3. Ambizioni manageriali; Integrazione verticale: è un’altra direttrice di sviluppo, a livello corporate, che intende l’ingresso in aree di attività nei quali l’organizzazione diventa fornitore o cliente, di sé stessa. Può essere realizzata in due direzioni: 1. Integrazione a monte: si riferisce al movimento verso attività che riguardano gli input dell’attuale business dell’impresa. -> auto – fornitore componenti 2. Integrazione a valle: si riferisce allo sviluppo di attività inerenti agli output dell’attuale business dell’impresa. -> auto – riparazione e manutenzione L’integrazione verticale comporta, come la diversificazione, un ampliamento del raggio d’azione ma la differenza sta nel fatto che, l’integrazione verticale riunisce attività posizionate a valle o a monte della stessa rete del valore, mentre la diversificazione implica un coinvolgimento di sistemi del valore differenti. Poiché la realizzazione delle sinergie, richiede di combinare tra loro reti del valore diverse, la diversificazione è spesso descritta come integrazione orizzontale. L’integrazione verticale presenta due rischi: 1. Per integrarsi verticalmente è necessario sostenere importanti investimenti; 2. Inoltre, vi si richiede la disponibilità di capacità strategiche diverse, anche se le attività che si succedono lungo la rete del valore, sono correlate. Quando una parte delle attività, oggetto di integrazione verticale, non apporta valore al business complessivo, può essere sostituita da attività di outsourcing o appalto. 35 Tuttavia tale matrice mette in guardia anche dal fatto che, un elevato tasso di crescita esige forti investimenti, quindi occorre stabilire un equilibrio tra i business del portafoglio aziendale, così che i business con bassi tassi di crescita del mercato siano capaci di generare risorse finanziarie sufficienti, per finanziare i business con tassi di crescita più elevati. Gli assi tasso di crescita/quota di mercato, relativi alla matrice BCG, danno origine a quattro tipi di business: 1. Star: rappresenta una business unit che detiene una quota di mercato elevata, in un mercato in crescita; la business unit può richiedere importanti risorse finanziarie per tenere il ritmo di crescita e infatti, l’elevata quota di mercato dovrebbe permettere di realizzare utili sufficienti per rendere il business autosufficiente dagli investimenti. 2. Question mark: rappresentano una business unit che opera in un settore caratterizzato da elevati tassi di crescita ma con una quota di mercato modesta; per trasformarle in star, sono necessari importanti investimenti ed è importante farlo poiché queste, potrebbero trasformarsi in cash cow e quest’ultime in dog. 3. Cash cow: rappresenta una business unit che detiene una quota di mercato elevata in un settore ormai maturo; il tasso di crescita essendo limitato, genererà investimenti modesti mentre l’elevata quota consentirebbe comunque una significativa redditività. Dovrebbe essere, in altre parole, un fornitore di liquidità capace di finanziare gli investimenti richiesti dalle question mark. 4. Dog: rappresenta una business unit con quote di mercato ridotte in settori stazionari o in declino, rappresentando il posizionamento peggiore tra le aree della matrice BCG; tali business potrebbero prosciugare la liquidità e richiedere quantità sproporzionate di risorse e di attenzione del management. La matrice raccomanda un disinvestimento o la chiusura dei business, in tale quadrante. La matrice BCG offre una serie di vantaggi quali, un quadro sufficiente delle esigenze e delle potenzialità dei business; rappresenta uno strumento utile per disciplinare il management delle business unit esplicitando il fatto che, le risorse finanziarie generate dai singoli business in misura superiore alle esigenze di investimento, appartengono alla capogruppo che dovrà allocarle considerando i bisogni e le prospettive del gruppo aziendale. Presenta comunque alcuni aspetti problematici quali definizioni approssimative in quanto, in alcune situazioni potrebbe essere difficile misurare il valore relativo del tasso di crescita o della quota di mercato; ipotesi restrittive sul mercato dei capitali; prospettive poco gratificanti per alcuni animali; disconoscimento dei collegamenti commerciali in quanto, l’idea che i dog possono solo essere ceduti o dismessi, presuppone che non ci siano collegamenti commerciali con le altre business unit del portafoglio. La matrice di Ansoff individua diverse direttrici di sviluppo di un’organizzazione; molte imprese che si sviluppano a livello internazionale devono confrontarsi, non solo con le aspettative dei clienti, ma anche con i contesti istituzionali, economici etc quindi si trova in genere in una posizione di svantaggio competitivo rispetto agli operatori locali. L’impresa che intende competere a livello internazionale, deve avere uno specifico vantaggio competitivo del proprio potenziale aziendale, per riuscire a competere con successo. Ci sono due principali opportunità, per un concorrente che viene dall’estero quali, lo sfruttamento di un particolare vantaggio localizzato relativo al proprio paese d’origine e i vantaggi offerti dalla possibilità di accedere a un sistema internazionale del valore. 36 Strategia di internazionalizzazione: ricerca un equilibrio tra le pressioni per l’integrazione globale e quelle per l’adattamento al contesto locale, le quali pongono esigenze contrastanti a tale strategia; la prima implica una crescente necessità di concentrare e coordinare le operazioni a livello internazionale mentre la seconda comporta un maggior bisogno di adattare l’operatività globale alle richieste locali. Dilemma globale-locale: è relativo alle strategie di internazionalizzazione quando l’impresa deve scegliere tra offrire prodotti e servizi standardizzati o adattare i caratteri dei prodotti e servizi, alle specifiche esigenze dei diversi mercati nazionali. Esistono quattro strategie di internazionalizzazione, in base alle alternative strategiche, relative a questo bilanciamento: 1. Strategia di esportazione: tale strategia valorizza le capacità, il potenziale di innovazione e i prodotti del paese di origine sui mercati dei diversi paesi esteri e si rivela vantaggiosa nei casi in cui le pressioni per l’integrazione globale e per l’adattamento al contesto locale, non sono rilevanti. 2. Strategia multi-domestica: tale strategia tende ad accrescere la capacità di rispondere alle esigenze locali e si basa sull’offerta di prodotti o servizi differenti, in ciascun paese, adattando le proprie attività alle caratteristiche del mercato locale e alle preferenze della clientela. 3. Strategia di globalizzazione: tale strategia tende a valorizzare l’importanza dell’integrazione su scala globale e considera il mondo intero come un solo mercato, a cui rivolgersi con prodotti e servizi standardizzati, sfruttando pienamente le potenziali efficienze delle attività operative, dovute all’integrazione. 4. Strategia transnazionale: tale strategia risulta essere la più complessa in quanto, tenta di sfruttare al massimo grado sia la capacità di adattamento al contesto locale, sia le opportunità di integrazione; essa mira ad associare i vantaggi delle strategie multi-domestica e di globalizzazione, cercando di limitarne gli svantaggi, tentando inoltre di accrescere anche la conoscenza e la competenza, tra le unità produttive, nei vari paesi. Essi risultano essere dei modelli rappresentativi, delle possibili alternative di scelta della strategia di internazionalizzazione; accade raramente che un’impresa adotti un modello assoluto ma, è molto più probabile, che tali approcci vengano combinati tra loro, per permettere all’impresa di posizionarsi in un’area all’interno delle quattro strategie. Una volta decisa la strategia di crescita, l’organizzazione si trova ad affrontare delle questioni, relative alla scelta del percorso di sviluppo; i principali percorsi di sviluppo, per vie estere, sono: 1. Fusione: rappresenta la combinazione di due organizzazioni, in precedenza distinte, al fine di creare una nuova società. 2. Acquisizione: si realizza quando una società acquirente prende il controllo di una società target, attraverso l’acquisto di una sufficiente quota del capitale azionario di questa. Fusione e acquisizione si propongono di rafforzare il vantaggio competitivo delle società interessate alle operazioni attraverso l’espansione del raggio di azione, il consolidamento e lo sviluppo del potenziale aziendale; inoltre, uniscono tra loro società diverse, attraverso il cambiamento del soggetto che controlla l’assetto proprietario dell’impresa. 37 3. Alleanza strategica: si realizza quando due o più organizzazioni condividono risorse e attività, per perseguire una determinata strategia. Esistono diverse tipologie di alleanze: Alleanze di scala: le organizzazioni si mettono insieme per raggiungere le dimensioni di scala ritenute necessarie; il potenziale aziendale di ciascun partner può essere di dimensioni simili ma insieme esse possono ottenere vantaggi, che non sarebbero in grado di ottenere, autonomamente. Alleanze per l’accesso ai mercati: le organizzazione si alleano per accedere alle capacità di un’altra organizzazione, quale elemento necessario per produrre o vendere, i propri prodotti o servizi; in questo caso, le alleanze possono riguarda oltre che risorse tangibili, anche risorse intangibili come conoscenze e relazioni. Alleanze complementari: esse sono considerate una forma di accesso e coinvolgono organizzazioni che svolgono attività in aree simili, all’interno della rete del valore e che uniscono risorse specifiche, per sostenere ogni partner nei suoi punti di debolezza. Alleanze collusive: le organizzazioni realizzano accordi collusivi per accrescere il loro potere di mercato, realizzando così dei cartelli riescono a ridurre la concorrenza sul mercato, strappando i prezzi più alti ai clienti o prezzi più bassi ai fornitori. Un percorso di sviluppo, per via interna, è dato: 4. Sviluppo organico: si basa sul prevalente ricorso alle capacità interne dell’organizzazione. I principali motivi che suggeriscono di affidarsi allo sviluppo organico sono: lo sviluppo della conoscenza e dell’apprendimento, la distribuzione dell’investimento nel corso del tempo, l’assenza di vincoli dovuti alle condizioni di mercato, l’indipendenza strategica e la cultura manageriale. Il fatto che questo dipenda dalle capacità interne all’impresa rappresenta un vincolo significativo che rende questo percorso di sviluppo lento, costoso e rischioso. I principali vantaggi che possono aiutare a scegliere tra acquisizioni, alleanze o sviluppo organico sono: 1. Urgenza -> acquisizioni e alleanze 2. Incertezza -> alleanze 3. Tipologia di capacità ricercate -> acquisizioni e sviluppo organico 4. Modularità delle capacità -> alleanze 40 Modello di controllo strategico: è a metà strada, con una maggiore ricerca del consenso reciproco tra la DC e le BU, nello sviluppo del piano strategico e moderati livelli di responsabilità riconosciuti alle BU; in tale modello il centro eserciterà un’attività di coaching, nei confronti dei manager delle BU, aiutandoli a trovare e sfrutta le opportunità, svolgendo una funzione di supporto. -> Struttura a matrice 2. Sistemi culturali: rappresentano una forma indiretta di controllo rispetto alla supervisione diretta infatti si tratta di una questione di conformità, spontaneamente ricercata o di autocontrollo, da parte dei dipendenti; i principali sono la selezione, la socializzazione e la ricompensa. 3. Sistemi degli obiettivi di performance: tali obiettivi si focalizzano sugli output di un’organizzazione, o di una parte di essa, come la qualità del prodotto, i ricavi e i profitti; tale approccio risulta appropriato all’interno delle grandi imprese, nei mercati regolamentati e nei servizi pubblici. Esistono alcuni problemi inerente la fissazione degli obiettivi come il ricorso a misure di performance inadeguate, la definizione di obiettivi di performance inedeguati e un’eccessiva competizione interna; riconosciute tali problematiche, sono state sviluppate delle tecniche, per favorire un approccio più equilibrato, tra questi troviamo la balaced scorecard. L’approccio balaced scorecard individua gli obiettivi di performance secondo una pluralità di prospettive, senza limitarsi a quella finanziaria; combina infatti una prospettiva finanziaria, quella del cliente, quella interna e una orientata all’innovazione e all’apprendimento. 4. Sistemi di mercato: sono integrati nell’organizzazione per controllarne le attività e implicano un sistema forma per negoziare le risorse o gli output, tra le varie parti dell’organizzazione e fornire gli output, alle altre parti dell’organizzazione. I mercati interni possono essere usati in modi diversi e sono soggetti ad un’ampia regolamentazione, ad esempio la DC potrebbe fissare le norme, per regolare i prezzi di trasferimento tra le BU dell’organizzazione, per evitare lo sfruttamento di condizioni contrattuali eccessivamente favorevoli, o promuovere accordi sui livello di servizio, per garantire la qualità di quest’ultimo da parte di un fornitore interno, come l’IT. E’ importante che ci sia coerenza tra le strutture e i sistemi e questa può essere valutata attraverso la configurazione organizzativa che, è un insieme di elementi della progettazione organizzativa, che si integrano in modo coerente per supportare le intenzioni strategiche; il modo per rappresentarla è dato dal modello delle 7S di McKinsey che, evidenzia l’importanza della coerenza tra la strategia, la struttura, i sistemi, lo staff, lo stile direzionale, le skills e gli obiettivi di ordine superiore. Staff: riguarda le persone che operano all’interno dell’impresa e i relativi processi formativi e ciò si collega ai sistemi di selezione, socializzazione e remunerazione. Stile direzionale: si riferisce allo stile di leadership dei top manager dell’impresa e questo deve essere coerente con gli altri elementi del modello delle 7S, ad esempio uno stile direttivo, entra in contrasto con la struttura a matrice. Skills: riguarda sia le capacità del personale ma, anche il modo in cui esse vengono integrate e rese parte del patrimonio complessivo dell’impresa. Obiettivi di ordine superiore: si riferiscono agli scopi fondamentali dell’organizzazione nel suo complesso quindi alla mission, vision e agli obiettivi che esprimono gli scopi aziendali; tali obiettivi sono al centro del modello delle 7S mentre gli altri elementi, sono a supporto di questi. 41 Il modello delle 7S mette in evidenza alcuni aspetti dell’attività organizzativa: 1. Organizzare un’impresa non significa solo individuarne la struttura più adatta ma anche si considerare molti altri aspetti costitutivi. 2. Tale modello pone attenzione sulle necessità di una coerenza reciproca tra questi elementi. 3. Se il management interviene a modifica di un elemento delle 7S, il criterio di coerenza suggerisce che egli debba intervenire a modifica anche degli altri elementi. Secondo Kotter: Buona gestione: è la capacità di dare ordine e coerenza, agli aspetti operativi dell’attività aziendale. Leadership: è la capacità di affrontare il cambiamento. Spesso la leadership, nel governo del cambiamento, si associa al top management ovvero al CEO, l’amministratore delegato, ma questa coinvolge anche i manager che ricoprono ruoli di diverso livello: Top manager: le sue funzioni di particolare rilievo sono immaginare la strategia futura, allineare gli elementi del contesto organizzativo per attuare le strategia e identificarsi nel cambiamento. Manager di livello intermedio: sono coloro che attuano i piani strategici stabiliti dal top management e il loro ruolo consiste nel garantire che le risorse siano allocate e gestite in modo appropriato, nel vigilare sui comportamenti del personale e nel monitorare le performance; nel contesto del cambiamento essi consigliano i manager di livello superiore, comprendono e diffondono il senso della strategia e del cambiamento, reinterpretano e adattano le risposte strategiche e guidano il cambiamento a livello locale. Esistono due tipologie di leadership, che rappresentano gli estremi di un continuum: 1. Leadership trasformazionale: essi pongono attenzione alla creazione della vision aziendale, dando vita ad una forte identità organizzativa, basata su valori e convincimenti comuni, per sostenere la vision e spronare le persone a perseguirla; tale leadership ha un impatto positivo sulla motivazione e sulle performance. 2. Leadership transazionale: essi pongono attenzione alle leve più complesse del cambiamento coe la progettazione dei sistemi organizzativi e i meccanismi di controllo quindi sono orientati ai cambiamenti delle strutture, alla definizione degli obiettivi, al monitoraggio delle performance etc. Balogun e Hope-Hailey hanno proposto un modello che individua 4 processi strategici di cambiamento; graficamente possiamo rappresentare sui due assi, la rilevanza degli interventi di cambiamento e la natura e l’urgenza del processo di cambiamento e la combinazione di tali assi, individua i 4 processi. In termini di rilevanza, se il cambiamento avviene in linea con la cultura e il modello di business dell’organizzazione, è un riallineamento strategico mentre se più ampio e profondo, si parla di cambiamento strutturale. In termini di natura ed urgenza, solitamente un’impresa persegue un cambiamento incrementale poiché lascia il tempo di sviluppare le capacità, adeguare le routine etc mentre nel caso in cui affronta una crisi profonda, attua un cambiamento radicale. I quattro processi strategici sono: 1. Adattamento: le strategie sono spesso il risultato degli sviluppi di strategie precedenti piuttosto che di cambiamenti, dei caratteri strutturali dell’organizzazione; il cambiamento in questo processo risulta incrementale quindi in linea con il modello di business e la cultura dell’organizzazione e include cambiamenti nella progettazione del prodotto, lancio di nuovi prodotti etc. 42 2. Ristrutturazione: rappresenta un processo strategico di rapido cambiamento, che implica molte modifiche di natura radicale, senza modifiche in profondità del modello di business e della cultura; comprende cambiamenti nella struttura o un piano di taglio del costi etc. Un classico esempio è il turnaround con cui si intende affrontare un drastico declino delle performance aziendali; tali processi si basano sull’urgenza del cambiamento, con l’obiettivo di un rapido risanamento aziendale. I principali elementi delle strategie di turnaround sono: stabilizzazione della crisi, cambiamenti nel management, conseguimento del sostegno da parte degli stakeholder, ridefinizione del mercato target e dei prodotti principali e ristrutturazione finanziaria. 3. Riconfigurazione: è un processo strategico che differisce dal precedente per due aspetti che rendono la gestione del cambiamento, molto impegnativa; in primis il cambiamento richiesto presenta urgenza, la quale incide sulla cultura aziendale e può capitare che le persone che operano all’interno, non avvertano tale urgenza, come nel caso della ristrutturazione. Può può capitare che i membri, nonostante capiscano l’urgenza, non attuano un processo di cambiamento ed in questo caso, il governo del cambiamento, attuerà alcuni interventi come: l’indicazione di un chiaro e inequivocabile orientamento strategico, cambiamenti nel top management, modifiche della cultura aziendale e monitoraggio del cambiamento. 4. Evoluzione: è un processo strategico che determina lo sviluppo strutturale dell’organizzazione, in modo incrementale ed è il cambiamento più difficile da gestire poiché implica l’accrescimento e lo sfruttamento delle capacità strategiche esistenti e lo sviluppo di nuove e ciò potrebbe essere conseguito attraverso l’ambidestrismo organizzativo che, esprime la capacità di perseguire allo stesso tempo, sia lo struttamento della capacità esistenti che la ricerca di nuove capacità. Esistono degli approcci utili, nel gestire le tensioni derivanti dall’ambidestrismo come: l’ambidestrismo strutturale, la varietà piuttosto che il conformismo, il ruolo della leadership e i sistemi rigidi e deboli. Identificare il processo strategico di cambiamento aiuta a scegliere le specifiche leve per il cambiamento. L’analisi del campo di forze: mette a confronto le forze che in un’organizzazione operano per ostacolare o per facilitare, il cambiamento; la consapevolezza del peso relativo delle forze che, agevolano o contrastano, il cambiamento aiuta a stimare lo sforzo richiesto, per realizzare il cambiamento. Tale analisi trae spunto dalla mappa degli stakeholder, la rete culturale e il modello delle 7S. Le leve del cambiamento sono rappresentate attraverso 8 passi per il cambiamento, proposti da Kotter, che rappresentano un modello conosciuto per descrivere i processi strategici del cambiamento, come una serie di passi, che conducono all’istituzionalizzazione del cambiamento. 1. Creare il senso di urgenza del cambiamento. 2. Formare una coalizione per il governo del cambiamento. 3. Sviluppare la vision del cambiamento. 4. Comunicare la vision del cambiamento. 5. Conferire ampie deleghe agli attori del cambiamento. 6. Conseguire risultati nel BT. 7. Consolidare i successi e produrre ulteriori cambiamenti. 8. Istituzionalizzare il cambiamento integrando nuovi approcci nella cultura organizzativa.