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riassunto libro Media digitali, genere e sessualità del corso di IMP di Manolo Farci, Sintesi del corso di Sociologia Dei Media

Riassunto del libro arcobaleno, per esame di sociologia dei media digitali del corso di IMP con il professore Manolo Farci

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

Caricato il 28/08/2023

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Scarica riassunto libro Media digitali, genere e sessualità del corso di IMP di Manolo Farci e più Sintesi del corso in PDF di Sociologia Dei Media solo su Docsity! LIBRO ARCOBALENO MEDIA DIGITALI, GENERE E SESSUALITÀ CAPITOLO 1—> MEDIA DIGITALI E SOCIETÀ INTRODUZIONE= cosa sono i media digitali e quali cambiamenti stanno producendo nella nostra quotidianità? I media digitali possono essere definiti come un insieme di mezzi di comunicazione basati sull’utilizzo di tecnologie digitali che hanno caratteristiche comuni che li differenziano dagli strumenti per comunicare che li hanno preceduti come la stampa, la radio e la televisione. In particolare tutte quelle terrier della comunicazione che si sono sviluppate in seguito alla diffusione del personal computer a partire dagli anni Ottanta e la successiva espansione di internet avvenuta intorno al Duemila. La novità dei media digitali= computer, smartphone, Internet, videogiochi, fotografia: siamo sempre più circondati da tecnologie digitali sempre più miniaturizzate, economiche e alla portata di tutti. I cosiddetti nuovi media sono la base consolidata della maggior parte delle pratiche di consumo degli utenti che navigano online e sono implicati nelle pratiche di consumo degli utenti che navigano online e sono implicati nella quasi totalità della attuale produzione mediatica. Riguardo i termine nuovo—> si può quindi dire che tutti i media sono nuovi quando vengono introdotti e ptimsi che una successiva innovazione tecnica li renda vecchi. In secondo luogo, il termine nuovo può far pensare che i media digitali siano in qualche modo migliori di quelli vecchi. In terzo luogo i media digitali non sono nuovi perché non sostituiscono mai davvero i media preesistenti ma spesso li integrano e li modificano. L’avvento di un nuovo medium determina quindi una ristrutturazione di quelli precedenti—> la RIMEDIAZIONE= alcuni studiosi statunitensi spiegano bene il funzionamento di questo processo con questo concetto. Questo termine nasce sulla scorta di pensiero di Marshall McLuhan il quale sosteneva che il contenuto di un medium è sempre un altro medium per illustrare il duplice processo attraverso cui i nuovi media rimodellano quelli a loro precedenti e allo stesso tempo i vecchi media provando sempre a reinventarsi per rispondere alle sfide lanciate dalle tecnologie emergenti. Quindi la rimediazione comporta una relazione di competizione ma anche di coevoluzione e cooperazione tra media diversi. Secondo alcuni studiosi questi processi di rimediazione non sono nuovi ma sono una costante nella cultura occidentale, che preesiste all’avvento dei media digitali—> orme la fotografia cercava di inseguire le pose e gli oggetti della pittura, allo stesso modo, i media digitali evolvono da pratiche e tecnologie mediali a loro anteriori (il formato delle fotografie di Instagram mima quello delle vecchie polaroid). Quindi in concetto di rimediazione permette di immaginare l’evoluzione dei media come un processo continuo e non lineare. 1. DEFINIZIONE E CARATTERISTICHE DEI MEDIA DIGITALI Ovviamente i media digitali possiedono alcune peculiarità che gli permettono di potersi distinguere rispetto agli strumenti che li hanno preceduti. Queste caratteristiche possono essere riassunte in 5 aggettivi: DIGITALI, CONVERGENTI, INTERATTIVI, IPERTESTUALI E PERSONALI. Analogico e digitale= il termine analogico si riferisce a processi per cui un insieme di proprietà fisiche può essere memorizzato e trasmesso nuovamente in un’altra forma fisica analoga. In un media digitale, al contrario le proprietà fisiche dei dati in ingresso sono convertite sotto forma di simboli astratti. Attualmente la codifica digitale in uso è quella relativa a sistema binario composto di sequenze numeriche da 1 a 0; i dati in ingresso vengono immediatamente sottoposti a processi matematici attraverso “algoritmi” contenuti all’interno di specifici programmi detti anche software. Digitalizzazione= meccanismo di conversione delle proprietà fisiche di qualsiasi dato in ingresso (luce e/o onde sonore) in numeri (simboli astratti) anziché in oggetti analogici e/o superfici fisiche sonore. Interattività= capacità di un medium di lasciare che l’utente eserciti un’influenza sul contenuto e/o sulla forma della comunicazione mediata. Attraverso l’interazione, il sistema può deviare dal suo comportamenti prefissato ed adeguarsi alle esigenze dell’utente. Questo è un concetto ampio e può riguardare cose molto differenti come modificare ma realtà circostante o scegliere i contenuti del menù dei un dvd… possiamo però affermare che questa rappresenta ancora oggi una delle caratteristiche chiave del valore aggiunto dei nuovi media (vecchi media- consumo passivo; nuovi media- permettono al pubblico di diventare soggetti attivi della comunicazione). Ipertestualizzazione= sistema di organizzazione delle informazioni collegate tra loro in forma non lineare attraverso rimandi logici, tali da poter essere fruite secondo diversi percorsi logici (dotati di autonomia di significato), scelti dal lettore in base a sue personali esigenze. La qualità principale di un iperteso è che offre al lettore la possibilità di poter consultare un testo in modo non lineare o sequenziale decidendo un proprio percorso personalizzato di lettura (ogni navigatore partecipa attivamente alla redazione dell’opera). In questo modo la scrittura e la lettura si scambiano i ruoli: con l’iperteso ogni lettura diventa una scrittura potenziale. Personalizzazione= possibilità di avere contenuti adattati e tagliati su misura per le esigenze ed esperienze dei singoli utenti. La personalizzazione riguarda tre ambiti: contenuti, tempo e spazio e modalità di produzione. Questo processo può essere frutto di scelte fatte consapevolmente dagli individui ma molto spesso sono gli algoritmi che gestiscono i media digitali a raccogliere costantemente informazioni su di noi. Poi ci offre la possibilità di fruire, condividere e creare contenuti in modo svincolato dal tempo e dallo spazio. E infine coinvolge tutte le forme di partecipazione attiva da parte degli utenti dal basso che producono forme di consumo e produzione mediale parallele a quelle trasmesse dalla industrie mediali. —> la diffusione di nuove tecnologie della comunicazione sempre più accessibili a basso costo permette a chiunque di diventare produttore attivo di contenuti. Questi “user-generated content” sono generalmente realizzati fuori dalla routine e dalle pratiche professionali e chi li realizza spesso lo fa senza l’attesa di un profitto o di una remunerazione ma per motivi personali. Quindi si può dire che con i processi di personalizzazione della comunicazione si verifica una maggiore propensione al protagonismo comunicativo degli utenti che imparano a sfruttare meloi le opportunità di interazione e creazione di contenuti digitali nel web. 2. LA NETWORK SOCIETY A partire dagli anni Ottanta, lo sviluppo dei media digitali comincia a mutare l’esperienza audiovisiva del pubblico di massa. C’è un declino dell’idea del pubblico come una massa omogenea a cui inviare messaggi in maniera unidirezionale; questo mutamento può essere spiegato con il concetto di società in rete (network society). La tesi principale di Manuel Castells è che un crescente numero di pratiche contemporanee di ordine sociale, economico e politico, tendono a organizzarsi intorno a una particolare struttura sociale che assume la forma di un network- ossia un insieme di flussi tra nodi connessi da legami. Es. il successo di Zara deriva dalla sua capacità di combinare la produzione locale con la distribuzione globale, attraverso l’utilizzo di una rete integrata di fornitori, produttori, distributori e di negozi. Questo modello organizzativo consente a Zara di ridurre i tempi di produzione e di rispondere rapidamente alle tendenze del mercato, fornendo ai clienti ciò che vogliono al momento giusto. NB—> la network society non nasce con la Rete/Internet ma è la conseguenza di tre processi di ampio respiro storico che sono emersi tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta: I. La rivoluzione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione; II. La ristrutturazione delle economie industriali di fronte all’emersione di un nuovo mercato aperto e flessibile; III. La nascita di movimenti culturali orientati ai valori della libertà e autonomia individuale. —> quindi questa nuova società deriva dall’interazione di fenomeni economici, sociali, culturali e individuali. I. La rivoluzione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione= con il concetto di “tecnologie dell’informazione e della comunicazione” (o ICT), Castells intende l’insieme convergente delle tecnologie della microelettronica, dell’elaborazione dati (hardware e software), delle telecomunicazioni/trasmissioni. Secondo la sua analisi, alla base di tale rivoluzione vi sono state una serie di innovazioni apportate in campo elettronico e informazione che risalgono alla S.G. Mondiale, come l’introduzione del transistor (1947), dei computer e del microprocessore e i conseguenti studi sui chip. Tra il 1975 e 1984 vengono prodotti i primi minielaboratori che hanno permesso la creazione dei personal computer, messi in commercio nei primi anni Ottanta; e in quegli anni c’è anche stata l’introduzione delle reti a banda larga. —> 1° idea di collegare i computer c’è nel dopoguerra: gli USA avevano bisogno di creare una rete di comunicazione; poi si sviluppano in ambito accademico e alla fine degli anni ’60 nasce Internet. Poi piano Secondo le studiose danah boyd e Nicole Ellison, tutti i siti di social network sono accomunati da tre costanti: - la registrazione in un profilo personale pubblico o semipubblico; - la compilazione di una lista di altri utenti, con cui restare in contatto e scambiare informazioni; - la possibilità di visualizzare e attraversare le liste di amici e conoscenti, sia proprie che degli altri. È però un fatto, proseguono le autrici, che solo raramente i social network vengono utilizzati per la reale attività di networking: nella gran parte dei casi, all'opposto, servono a gestire le conoscenze esistenti, per di più originate, di norma, nell'esperienza vissuta al di fuori del web. 4. LA CULTURA PARTECIPATIVA La partecipazione attiva degli utenti= una tra le più importanti innovazioni è la possibilità di partecipare attivamente alla produzione dei contenuti e alla circolazione di informazioni. Social media, blog, servizi di streaming video sono alla base di questa trasformazione verso una maggiore partecipazione delle persone (es. Wiki , software di scrittura collettiva o Wikipedia, l’enciclopedia online scritta collettivamente da migliaia di individui sparsi nel mondo). Forme di partecipazione del pubblico alla produzione di contenuti mediali non nascono ovviamente con la Rete , ma si trovano già in molti fenomeni di mediattivismo del passato: dalle strategie di controinformazione degli anni Sessanta al fenomeno delle radio libere degli anni Settanta. La novità delle attualo tecnologie digitali è che esse favoriscono forme di interazione più attiva con i contenuti dell’industria dei media. Nel 2007- Il Time pubblicando in copertina un computer con uno specchio al posto dello schermo- ha scelto come “Persona dell’anno”—> YOU cioè “tutte le persone che hanno partecipato all’esplosione della democrazia digitale. —> Il web 2.0= ad accelerare questo processo è stato proprio l’avvento del cosiddetto web 2.0, termine introdotto nel 2004 da Tim O’Reilley per indicare genericamente uno stato di evoluzione di Internet (+ del World Wide Web). La locuzione pone infatti l’accento sulle differenze rispetto al web 1.0 (anni 90) e composto prevalentemente da siti web statici. Al contrario, il web 2.0 riguarda l’insieme di tutte quelle applicazioni online che grazie alla presenza di interfacce grafiche semplici da usare e gratuite, garantiscono alle/agli utenti un elevato livello di interazione e partecipazione alla produzione e diffusione dei contenuti. Ancora oggi, web 2.0, è sinonimo di ambiente democraticamente partecipativo. Henry Jenkinse la cultura partecipativa= L'autore più citato in merito è lui, che vede nel web l'affermazione definitiva di una cultura e la cultura partecipativa, in cui gli individui non agiscono solo come consumatori, ma anche come contributori o produttori. Jenkins fa riferimento alla figura del fan, il fanatico. Le/I fan hanno una passione particolarmente intensa per forme di intrattenimento mass-mediale. Si differenziano dalle/dai comuni spettatrici/spettatori perché stabiliscono una relazione emotiva con il particolare prodotto mediale a cui fanno riferimento. In realtà le/i fan possono essere visti come il segmento più attivo del pubblico dei media, che rifiuta di accettare semplicemente ciò che gli viene dato, ma manifesta il proprio diritto di diventare partecipante a pieno titolo; essi si appropriano dei contenuti e li fanno vivere in altre forme di produzione culturale, che possono andare dalle fanzine (magazine autoprodotti), a meeting e incontri collettivi, dalle produzioni audiovisive alle fan fiction (opere di finzione amatoriale scritte dai fan prendendo come spunto trame o personaggi di un'opera originale). Le pratiche di riappropriazione dei contenuti mediali da parte delle/dei fan soddisfano una miriade di motivi potenziali. A tal proposito Jenkins fa l'esempio della slash fiction, un genere di fan fiction che si concentra su relazioni romantiche o sessuali tra personaggi immaginari dello stesso sesso, soprattutto maschili. Il fatto che la quasi totalità di autrici (e lettrici) di questo genere è costituita da donne, con una ridotta percentuale di omosessuali, non è un caso. Attraverso l'inserimento di relazioni alternative tra personaggi uomini, queste autrici si riappropriano di prodotti mediali e offrono alle donne un modo per esprimere le proprie visioni e dar sfogo alle loro fantasie sociali. Per Jenkins la cultura partecipativa rappresenta un fenomeno di cambiamento culturale che investe tutto il sistema dei media. La cultura convergente= la chiave di tale cambiamento è da rintracciarsi nel concetto di cultura convergente. Un modello teorico che prevede una convergenza tra consumatori e produttori, così come un incontro tra vecchi e nuovi. Essa è anzitutto un processo tecnologico (es. smartphone). Ma la convergenza va intesa anche nei suoi caratteri economici e culturali. Dal punto di vista economico, riguarda la concentrazione nel mercato di un numero limitato di grandi media company che controllano più settori diversi (es. Warner Media posseduta da AT&T). La convergenza culturale, al contrario, fa riferimento al modo in cui gli attuali consumatori non solo si riappropriano dei prodotti che vengono diffusi dall’alto, ma sfruttano minori costi di produzione e distribuzione garantiti fai media digitali per archiviare tali contenuti, modificarli, farli propri e rimetterli nel circuito in nuovi e potenti modi. Se da un lato le creazioni mediali professionali generano innumerevoli contenuti amatoriali, dall’altro sperimentazioni grassroot (che partono dal basso) possono avere esiti commerciali e commerciabili. Il pubblico in questa cultura, che riceve passivamente i messaggi veicolati dai media broadcast si trasforma in una pluralità di pubblici attivi, e prendono parte in prima persona alla loro produzione. 5. I PUBBLICI CONNESSI Gli studi di danah boyd sui pubblici connessi= Nel solco degli studi sulle dinamiche partecipative degli utenti in Rete si inserisce il pensiero di danah boyd. La pioniera nello studio dei social network, analizza il modo in cui il web 2.0 ha portato all'emersione di una nuova forma di aggregazione sociale, da lei chiamata pubblici connessi (networked publics). Tradizionalmente il concetto di pubblico indica una specifica formazione sociale di individui che, pur non conoscendosi o interagendo gli uni con gli altri, si percepiscono come una unità coerente. Nei media digitali, il significato di pubblico acquista un duplice significato. Anzitutto, i pubblici connessi sono pubblici nel senso spaziale del termine, ossia costituiscono uno spazio in pubblico creato e alimentato dalle tecnologie di re-te. In secondo luogo, sono pubblici in un senso più vicino a quello di audience, in quanto sono organizzati attorno a comuni oggetti dell'attenzione. Si pensi al fenomeno degli hashtag publics: individui che attraverso i propri profili Twitter si raccolgono intorno a temi, obiettivi, problemi- sintetizzati in hashtags popolari come Fridaysforfuture o BlackLivesMetter. Quattro proprietà dei contenuti online= a garantire la possibilità di produzione e circolazione dei contenuti all’interno dei pubblici connessi sono 4: - PERSISTENZA: i contenuti tendono a permanere online, in quanto sono automaticamente registrati e archiviati. Ciò che si dice, rimane in giro e può generare interazioni asincrone (ovvero slegate dal momento e dal contesto in cui un qualsiasi contenuto è stato prodotto). - REPLICABILITÀ: i contenuti possono essere facilmente ripresi, modificati o duplicati da un medium ad un altro. Ogni contenuto può essere riprodotto o replicato, ma anche alterato nei modi in cui le persone decidono di fare. - RICERCABILITÀ: i contenuti possono essere agevolmente trovati con un motore di ricerca. La possibilità di ricerca slega i contenuti dai contesti in cui sono stati prodotti e condivisi, con conseguenze sul piano interpretativo e d’uso. - SCALABILITÀ: i contenuti sono scalabili, ossia la loro visibilità è potenzialmente crescente. Qualsiasi contenuto pensato per un uso specifico può sfuggire al controllo e diffondersi molto rapidamente presso i pubblici più disparati. —> queste quattro proprietà danno vita a tre dinamiche che giocano un ruolo centrale nel modellare i networked publics: 1. Invisibilità delle audience online=> impossibilità per l’utente di sapere con certezza chi può essere il destinatario della propria attività di comunicazione. Chi comunica attraverso i social media sa che si sta esponendo all’osservazione potenziale di pubblici la cui presenza non è immediatamente manifesta ma risulta costantemente immaginata. 2. “Collasso dei contesti”=> negli ambienti offline ognuno di noi tende a relazionarsi con diversi pubblici in modi differenti. Ogni persona costruisce una specifica presentazione di sé stesso a seconda del contesto in cui si trova e quindi cambia tono di voce, aspetto, comportamento e modi di espressione. Nei social media, al contrario, tutti questi contesti si fondono l’uno con l’altro. Questo significa che ogni volta che si pubblica un messaggio, una foto o un video questi contenuti potrebbero potenzialmente visti da tutti. 3. Confusione tra pubblico e privato => problema di mantenere distinti i limiti tra la dimensione sociale e quella intima dell’utente. Per spiegare questo rapporto, Boyd fa riferimento alla vita digitale degli/delle adolescenti: questi utilizzano gli ambienti online come spazi pubblici in cui incontrarsi per socializzare; questi spazi assolvono le stesse funzioni che avevano i centri commerciali o i parchi prima (un luogo spesso dedicato alla mera frequentazione- hanging out). Questo spiega perché secondo Boyd, è scorretto definire i social network come ambienti virtuali visto che per la maggior parte degli adolescenti rappresentano ormai parte della loro vita. —> essi aspirano comunque a tutelare la loro intimità, soprattutto agli occhi degli adulti; reclamano quindi il diritto ad essere ignoranti, in relazione a chi ha potere di controllo su di loro (genitori, insegnanti). La privacy in pubblico= gli adolescenti tendono molto alla loro intimità e semplicemente si trovano ad agire all’interno di uno spazio è da subito pubblico - public-by-default - e che deve semmai essere convertito a privato, al prezzo di un continuo lavorio e di mille attenzioni strategiche - private-through-effort. Per questo molti di loro adottano soluzioni alternative per raggiungere una condizione di privacy all’interno di ambienti pubblici. —> si può dire quindi che in rete la privacy si configura come un processo di controllo selettivo di accesso al sé ma è piuttosto uno strumento attraverso cui vengono definite le soglie d’accesso su “chi può conoscere che cosa su di te”. 6. LA PLATFORM SOCIETY Le caratteristiche delle piattaforme= le piattaforme sono intese genericamente come infrastrutture digitali che consentono a due o più gruppi di interagire tra loro. Esse funzionano come intermediari che avvicinano diversi utenti (Facebook, Amazon, Uber). Nell'opera (2018) The Platform Society, José van Dijck, Thomas Poell e Martijn de Waal sostengono che una piattaforma presenta le seguenti caratteristiche: è alimentata da dati, automatizzata e organizzata attraverso algoritmi e interfacce, formalizzata mediante rapporti di proprietà orientati da precisi modelli di business e governata da specifici termini di utilizzo. In primo luogo, ogni volta che ci iscriviamo in una piattaforma o facciamo qualsiasi tipo di operazione al suo interno, generiamo dati che vengono automaticamente raccolti, immagazzinati, analizzati in maniera automatica e processati. In tal modo, le piattaforme forniscono a terze parti informazioni dettagliate sui comportamenti dei loro utenti, sui loro interessi, preferenze e gusti. Gli algoritmi= definibili come insiemi di istruzioni automatizzate per trasformare dati di input in output desiderati, rappresentano un altro ingrediente tecnologico significativo per definire il funzionamento delle piattaforme. Es. Google utilizza uno specifico algoritmo di nome PageRank (PR) per attribuire un punteggio alle pagine web, basandosi sulla quantità e sulla qualità dei link che rimandano ad esso. Tutti i social media sfruttando dati e algoritmi per capire cosa guarda ogni utente e suggerirgli contenuti che potrebbero risultare interessanti. Status proprietario e modelli di business= dal punto di vista economico, sono due gli aspetti particolarmente importanti dell'architettura di una piattaforma: il suo status proprietario e il suo modello di business. Ogni piattaforma ha un suo specifico status giuridico-economico e può essere gestita da diversi proprietari per scopi di lucro o con finalità no profit. Il diverso status proprietario comporta conseguenze rispetto all'adesione a differenti sistemi di regolazione e transazione finanziaria. Es. Couchsurfing Inc., progetto volontario no profit per mettere in contatto persone di tutto il mondo disposte a scambiare ospitalità nella loro casa (sul divano appunto), si trasforma in una vera e propria impresa finanziata da investitori. Strettamente connesso allo status proprietario è il modello di business che adotta ogni piattaforma. Tali modelli sono vari. Possono riguardare il chiedere una commissione per ogni transazione effettuata, come nel caso di Airbnb che prevede un 15% di tassa standard sulla cifra impostata dal locatore. Oppure possono ricavare valore da dati, contenuti, contatti degli utenti e dalla loro attenzione, vendendo loro annunci pubblicitari o proposte di sottoscrizione. In aggiunta, molte piattaforme cedono a pagamento dati ad altre aziende o a governi che hanno bisogni di informazioni di profilazione. I termini di servizio= altro elemento importante delle piattaforme è rappresentato dalle sue condizioni di utilizzo. I termini di servizio non solo modellano le relazioni tra utenti e gestori, ma possono essere adoperati per imporre norme o valori in materia di privacy. Le nuove linee guida sottolineano che gli utenti non possono pubblicare contenuti a sfondo sessuale, sia esplicito che implicito. Questo cambiamento, tuttavia, ha colpito in maniera indiscriminata tante persone che si occupano per lavoro di tematiche come creare sistemi chiusi e impenetrabili a idee diverse da quelle di chi li abita e, cioè, delle vere e proprie camere d'eco (in inglese echo chamber): ambienti online in cui le opinioni delle/degli utenti vengono rafforzate dall'interazione con fonti di informazione e persone che hanno lo stesso orientamento. Gli algoritmi delle piattaforme amplificano questa tendenza in modi che finiscono per incoraggiare le polarizzazioni delle opinioni e radicalizzare le contrapposizioni ideologiche. CAPITOLO 2 → GENERE, SESSUALITÀ E SOCIETÀ Il genere è uno tra gli elementi più saldi e importanti che hanno organizzato e continuano ad organizzare la vira quotidiana, il lavoro, lo sport ecc. Il genere non è un elemento sempre visibile, eppure esso prende forma e dà significato a tutti i rapporti e le strutture sociali che ci circondano. Ovunque possiamo osservare le differenze nel modo in cui uomini e donne, ragazzi e ragazze, bambine e bambini si svestono, si avvicinano a certi interessi, praticano lo sport, si divertono. Molte persone credono che queste differenze siano biologiche, ma in realtà è tutto più complesso. Per questo motivo le scienze sociali sono fondamentali nel leggere tali dinamiche: solo concentrandosi sulle cause sociali e culturali connesse a tali fenomeni possiamo comprendere come le forme di organizzazione sociale e l’interazione tra i soggetti abbiamo un ruolo centrare, soprattutto per ciò che riguarda le differenze e le disuguaglianze legate a genere e sessualità. Dunque, si può parlare di costruzione sociale del genere e non solo, ma anche di corpo, sesso e sessualità. Nel pensiero occidentale corpo e mente sono stati dipinti come due mondi a sé, sancendo anche una netta separazione tra ciò che appartiene alla dimensione della natura (il corpo) e ciò che invece appartiene a quello della cultura (la mente o la coscienza). Il primo spesso è percepito come non dipendente da noi e come una componente “naturale”. Se abbandoniamo questo punto di vista e guardiamo al confine natura e cultura come mutualmente costruito possiamo capire meglio quanto genere, sesso e sessualità poco abbiano a che fare con qualcosa di fisso e immutabile, riconoscendo quanto la società si intrecci con queste dimensioni donandole di senso. La società definisce quali sono i comportamenti più appropriati per ogni genere e questo avviene sin dalla tenera età in un processo continuo. La studiosa femminista Simone de Beauvoir riassume questo concetto nella sua celebre frase “donne non si nasce, lo si diventa” (e questo vale anche per gli uomini): Simone de Beauvoir ci spiega che ciò che diamo per scontato e che riteniamo normale per ciò che riguarda le differenze di genere, non è in realtà un prodotto della natura ma il risultato del modellamento culturale e sociale. Tuttavia, questa condizione non viene imposta solo dall’esterno ma ciascuna/o di noi si costruisce come maschile o femminile comportandosi in determinati modi e abbracciando o rifiutando alcuni modelli. 1. I PRIMI PASSI DEGLI STUDI SU GENERE E SESSUALITÀ L’apporto della psicologia= L’interesse scientifico rispetto questi temi nasce con la nascita della cosiddetta “psicologia del profondo” nella seconda metà del 19°secolo con psicoanalisti come Freud che iniziano a dimostrare come le divisioni di genere sono costruite mediante processi che attraversano l’intera vita delle persone. Mathilde Vaerting= Nel 1921 Mathilde Vaerting pubblica il libro Il sesso dominante in cui critica l’idea che il carattere maschile o femminile siano peculiarità immutabili e li descrive piuttosto come il riflesso delle relazioni di potere che affondano le proprie radici nelle strutture sociali. Vaerting da così vita alla prima teoria generale sul genere che mette a fuoco come vi siano diverse sfere del dominio di genere: la divisione del lavoro, il diritto e l’ideologia. Il contributo dell’antropologia= Anche l’antropologia ha dato il suo contributo con studiosi/e come Margaret Mead che nella sua opera Sex and Temperament mette a confronto tre popoli della Nuova Guinea per dimostrare che le indoli maschili e femminili non derivano semplicemente dalla natura della differenza sessuale, ma sono il prodotto della cultura particolare di ogni gruppo. Questi studi ci dimostrano che le categorie di genere e i modi di rappresentare gli individui come sessuati non sono il prodotto della biologia, quanto il frutto di modalità simboliche che ciascuna cultura esprime. L’antropologia, inoltre, introduce il concetto di “terzo genere” per indicare quelle persone che, nelle differenti culture, vengono categorizzate fuori dal binarismo di genere. Funzionalismo e ruolo sessuale= la sociologia si avvicina al genere attraverso il cosiddetto “approccio funzionalista”, cioè quella visione che considera la società come un sistema composto da parti che sono tra loro reciprocamente connesse e che, quando c’è equilibrio, cooperano in modo armonioso garantendo la coesione sociale. Secondo questo approccio, le differenze di genere contribuiscono alla stabilità e all’interazione sociale. Tra i funzionalisti troviamo Parsons che studia il ruolo della famiglia nelle società industriali. Parsons con il concetto di ruolo sessuale sostiene che per essere u agente di socializzazione efficiente, la famiglia deve prevedere una netta divisione sessuale del lavoro: le donne devono garantire la sicurezza ai figli e ai mariti e offrire loro supporto emotivo, quelli che sono chiamati i ruoli espressivi; gli uomini devono svolgere i ruoli strumentali e cioè provvedere al sostentamento della famiglia. Simone de Beauvoir e il secondo sesso= in Le Deuxième Sexe de Beauvoir intreccia i discorsi della psicoanalisi, della letteratura, dell’antropologia, della biologia e della filosofia ridefinendo e criticando le categorie e il dominio di genere. Si tratta di un testo rivoluzionario che viene inserito dal Vaticano nell’Indice dei libri proibiti, in quanto affronta temi spinosi per l’epoca come la libertà sessuale, il piacere e il diritto all’aborto. De Beauvoir rifiuta di dare per scontata la polarità maschile/femminile e nella sua opera descrive in che modo le sono state costruite come Altro dall’uomo e come il pensiero maschile abbia attribuito loro ruoli e attributi specifici. Inoltre, sottolinea come sia gli uomini che le donne tendano a porre al centro la prospettiva maschile giustificando il suo rapporto gerarchico con il femminile. Simone de Beauvoir ha fatto una delle prime e più importanti critiche politiche alla subordinazione femminile e ha fornito un modello di lotta politica invitando le donne ad affermare sé stesse e abbracciare la strada della trascendenza (possibilità di creare un mondo secondo la propria volontà e non a partire da quelle degli uomini). 2. VERSO UNA RIDEFINIZINIONE DEL RAPPORTO SESSO-GENERE Sesso e genere= il primo a differenziare sesso e genere è Robert Stoller che indica nel sesso la differenza biologica tra maschi e femmine e nel genere le aspettative culturali che vengono costruite socialmente e che vengono attribuite a uomini e donne. Alcune correnti di pensiero usano queste distinzioni per piegare il discorso verso il cosiddetto “determinismo biologico”, un approccio al genere incorporato nelle culture occidentali, secondo il quale le differenze biologiche determinano i comportamenti e il genere degli individui. Il femminismo della differenza= si riflette sul sessismo e sul sistema patriarcale, così come sulle pratiche sessuali, sottolineando come queste ultime si concentrino sulla genitalità e problematizzando la sessualità maschile. Ad essere posto al centro dell’analisi critica è il problema della differenza del soggetto-donna. Storicamente l’unico soggetto del discorso è sempre stato di sesso maschile, e la soggettività femminile è stata sempre costretta a parlare di sé attraverso il linguaggio dell’uomo. Pertanto, le donne devono imparare a rivendicare una propria differenza e quindi adoperare un proprio linguaggio e costruire un discorso che abbia come soggetto loro stesso, decostruendo la tradizione filosofica-occidentale dell’età moderna attraverso un punto di vista femminista. Gayle Rubin e il concetto di gender= nel 1975 l’antropologa femminista Gayle Rubin introduce ufficialmente nel dibattito scientifico il termine gender che da quel momento diventa un concetto centrale nell’ambito degli studi femministi. La studiosa si pone l’obiettivo di scardinare l’allineamento tra le dimensioni biologiche – il sesso – e quelle culturali – il genere. Rubin crede che la subordinazione delle donne e delle minoranze sessuale è qualcosa da ricercare nei rapporti sociali, politici ed economici. A tal proposito, l’antropologa parla di sistema sesso/genere per intendere l’insieme degli elementi organizzativi con i quali ogni società trasforma la sessualità biologica in prodotti dell’attività umana e organizza la divisione dei compiti tra uomini e donne differenziando gli uni dalle altre. L’allineamento tra genere e sesso, secondo la studiosa, determina un’idea della sessualità come qualcosa di statico e immutabile. L’eterosessualità obbligatoria= Secondo Adrienne Rich la nostra società impone l’eterosessualità facendola passare come innata e naturale ed etichettando come deviante qualsiasi altra attività sessuale non conforme ad essa. L’eterosessualità rappresenta una vera e propria istituzione politica che opprime tutte le donne: da un lato perché costituisce un mezzo per garantire al maschio il diritto di accesso fisico, economico ed emotivo ad esse e dall’altro in quanto priva tutte le donne della possibilità di esistere al di fuori dei ruoli definiti della loro subordinazione agli uomini. Per questo Rubin e Rich auspicano una società senza ruoli di genere e senza sessualità obbligatorie, che faccia prevalere una sessualità “androgina” dove gli aspetti biologici sono irrilevanti rispetto a chi si è, cosa si fa e con chi si hanno rapporti sessuali. I movimenti di liberazione omosessuale= negli anni Settanta a partire da una critica alle istituzioni fondate sull’eterosessualità obbligatoria come il matrimonio o la famiglia, i gruppi di liberazione omosessuale mettono in discussione i tradizionali modelli interpretativi dell’omosessualità di matrice biologica o psichiatrica e contribuiscono a una prima normalizzazione del desiderio omoerotico. Inoltre, nascono i gay and lesbian studies che rappresentano uno dei primi tentativi a livello accademico di dare visibilità sul piano culturale e politico a un gruppo storicamente oppresso. Michel Foucault e il concetto di discorso= a partire dalla fine degli anni Ottanta gli studi di genere si allontanano dai movimenti femministi del passato e adottano un approccio radicalmente costruttivista che crede che il sesso stesso è costruito sul linguaggio. Questa visione è ispirata dalla filosofia di Michel Foucault secondo il quale l’esperienza umana è sempre ingabbiata all’interno di un sistema di rappresentazione che lui definisce discorso che è composto da una serie di affermazioni e dichiarazioni che forniscono un linguaggio che permette di comunicare. Il discorso concerne la produzione di conoscenza attraverso il linguaggio; in pratica è attraverso i discorsi che credenze, pratiche e presunte verità che circondano, ad esempio, il genere e la sessualità diventano manifesti e dominanti. Foucault spiega che il concetto di discorso non riguarda il fatto che le cose esistano o meno, ma da dove viene il significato che aa esse attribuiamo: il sesso biologico esiste ma la sua definizione necessita di un linguaggio e quadro di comprensione che non è lo stesso in tutte le culture e periodi storici. Produzione dei discorsi ha una stretta relazione con il potere= Secondo Foucault il potere non ha sono una funzione repressiva che impone divieti, ordini e punizioni, ma anche una funzione produttiva ossia produce discorsi che normalizzano, istituiscono, controllano e delineano la nostra riprodurre ciò che viene definito “tirannia del normale”, ossia la costruzione di categorie universali indipendenti dalla cultura e dai contesti sociali in cui si inseriscono, riducendo la sessualità a caratteristiche biofisiologiche con il pericolo di strutturare un confine tra sesso normale e deviante. 6. INTERAZIONISMO E SEXUAL SCRIPT Negli anni 60 e 70 si inizia a riconoscere un ruolo attivo della società nel modellare il desiderio sessuale attraverso l'apprendimento sociale l'interazione quotidiana. Uno dei maggiori contributi in questa direzione è quello della sociologia interazionista che sposta l'attenzione dalla sessualità intesa come forza naturale e istintiva ha un'analisi più attenta ai fattori sociali che la determinano. Secondo questa teoria la società ha le sue norme danno forma all'impulso sessuale e gli individui, identificati come agenti attivi, attraverso l'interazione, negoziano questo costrutto sociale. Cruciale è stato il concetto di sexual script che rompe con le spiegazioni naturalizzati per sottolineare quanto la sessualità sia definita dalla società stessa. I copioni sessuali funzionano fornendo agli individui un ventaglio di comportamenti da adottare all'interno di interazioni socialmente appropriate e in contesti specifici. I sexual script sono delle mappe di significati e condotte che gruppi sociali creano e che l'individuo trasformi mette in pratica per contestualizzare le proprie esperienze sessuali. Esistono tre livelli di copioni: 1. I copioni culturali, cioè quelli che definiscono le mappe per capire cosa sia sessuale o meno e che creano le cornici per comprendere le esperienze individuali e definire i ruoli sessuali 2. I copioni interpersonali, che riguardano l'applicazione dei copioni culturali da parte degli individui nel momento in cui si verifica una specifica situazione interazionale o un determinato contesto sociale, dando istruzioni sul come comportarsi 3. I copioni intrapsichici, cioè le fantasie e le memorie, il mondo intimo dei desideri di ciascun individuo. La teoria dei copioni sessuali sottolinea che prima ancora che le questioni fisiologiche, sono i sistemi simbolici a produrre l'esperienza sessuale. 7. SESSO BUONO E SESSO CATTIVO Il pensiero occidentale si basa sulla naturalizzazione delle pratiche sessuali e sulla categorizzazione di talune di esse come innaturali. Ne discende che attorno ad alcuni comportamenti e ad alcune pratiche vengono a generarsi degli aloni di disprezzo che determinano la stigmatizzazione e la penalizzazione di alcuni gruppi sessuali. Nella società si creano così delle stratificazioni sessuali che sono collegate al genere, ma anche delle condotte sessuali vengono messe in atto. Viene poi identificato un confine tra il sesso buono (la sessualità definita normale-naturale-sana- rappresentata dai rapporti eterosessuali-nel matrimonio-nelle relazioni monogame con fini riproduttivi-all'interno delle mura domestiche) e il sesso cattivo (la sessualità promiscua-non procreativa-che si fa per denaro-che utilizza la pornografia). Nella stratificazione sessuale l'eterosessualità viene presentata come massima espressione dell'umanità, con un conseguente status sociale più elevato e ne consegue che tutte le sessualità che non corrispondono all'ideale che la società indica vengono considerate inferiori e slegate dall'affetto e dall'amore e vengono controllate e sanzionate dalle norme sociali e giuridiche. 8. L’ORDINE DI GENERE I concetti di genere e sessualità sono mutati nel tempo modificando in modo importante lo sguardo sulla società e sulle relazioni sociali e rendendo evidenti alcuni rapporti di dominazione che prima sembravano essere invisibili. Parliamo di due concetti importanti: il patriarcato definito come l'insieme di strutture sociali e pratiche attraverso le quali gli uomini dominano, opprimono e sfruttano le donne, e l'eteronormatività, cioè quel sistema e privilegia l'eterosessualità riconoscendola come il solo orientamento sessuale possibile. Vi è quindi un ordine nel quale le differenze si trasformano in relazioni gerarchiche e in cui i rapporti di potere vengono giustificati in favore di un gruppo e a discapito di altri, esiste cioè un ordine di genere. Ci sono tre dimensioni fondamentali che si intrecciano tra loro: il lavoro, quella divisione sessuale delle attività in ambito professionale e familiare, il potere che opera attraverso l'autorità, la violenza e l'ideologia, e la catessi che riguarda i rapporti intimi e le emozioni. L'ordine di genere è sottoposto al cambiamento, dunque non è immutabile ma può essere sovvertito. Tuttavia, per mantenere l'ordine di genere la società crea dei confini che riguardano il mercato del lavoro, la politica, la divisione del lavoro domestico. Si ricreano in questo modo delle aspettative su come dovrebbe essere un uomo o una donna, piuttosto che una persona eterosessuale, omosessuale ecc. L'ordine di genere viene mantenuto attraverso l'uso di determinate strategie quali la violenza di genere o l'uso di determinate parole e appellativi nei discorsi comuni o in quelli mediatici. Ma non è solo come pratiche violente che si mantiene l'ordine di genere, basti pensare al cosiddetto sessismo benevolo, un atteggiamento che potrebbe apparire protettivo nei confronti delle donne ma che ha lo scopo di giustificare il loro stato subalterno e di sottolineare la dominanza maschile nella vita sociale leggimi legittimando il potere degli uomini. 9. FEMMINISMI E POSTFEMMINISMO Parliamo di femminismi al plurale perché esistono vari tipi di femminismo che hanno un fine condiviso cioè quello di porre fine all’oppressione femminile ma che approcciano al medesimo problema partendo da basi politiche e filosofiche diverse. La prima ondata del femminismo inizia con la Rivoluzione Francese e si conclude circa con la Prima guerra mondiale quando la maggioranza delle donne in Europa e negli Stati Uniti ottiene il diritto di voto. Le origini della prima ondata risiedono in un’epoca in cui le donne sono ancora considerate come persone di seconda classe, perciò, l’ondata si batte per il riconoscimento di tutti quei diritti di cui gli uomini godevano già all’epoca. L’emblema della prima ondata è sicuramente il Regno Unito che, grazie al movimento delle suffragette (donne bianche di classe medio-alta), nel 1918 estendono il diritto di voto alle donne. La seconda ondata va dal secondo dopoguerra alla fine degli anni Settanta agli inizi degli anni Ottanta. Il femminismo della seconda ondata si caratterizza per due correnti: la prima è quella liberale mostra una continuità dei principi come il primo femminismo inglese e si concentra principalmente sulle rivendicazioni per le donne degli stessi diritti fondamentali degli uomini, la seconda è quella radicale che si occupa anch'essa del problema dell'emancipazione della donna ma considera insufficienti le azioni promosse dal femminismo liberale. Per il femminismo radicale le donne non devono battersi per essere uguali agli uomini ma devono lottare per mettere in discussione le istituzioni stesse l'intero sistema sociale sui fondi del pari arcato. La donna non deve aspirare a essere uguale all'uomo ma deve lottare per valorizzare la specificità dell'esperienza femminile. Anche in questo caso un grosso limite al femminismo è stato quello che a far parte del movimento sono soprattutto donne bianche di classe media ed eterosessuali. La terza ondata è anzitutto un femminismo internazionale che, ispirandosi alle pensatrici nere, etniche e postcoloniali, inizia a riflettere non solo sulle differenze tra uomo e donna ma anche sulle disparità di classe sociale, razza, etnia, religione ed orientamento sessuale all'interno del genere femminile. Allo stesso tempo il femminismo della terza ondata accoglie le teoriche post gender e queer e fa proprio la battaglia per la decostruzione del rapporto tra sé e genere e per il superamento dell'opposizione binaria uomo/donna. La quarta e ultima ondata del femminismo nasce attorno al 2010 anche grazie all'affermazione dei social media che rappresentano sia una forza culturale che contribuisce a far pressione sulle donne, sia i mezzi attraverso i quali i discorsi femministi riescono a circolare. Il femminismo della quarta ondata prende in prestito istanze dai movimenti della seconda e della terza a cui aggiunge una certa sensibilità popolare verso i temi dell'empowerment femminile, non disdegnando la possibilità di sfruttare la popolarità di celebrità e brand per rendere ancora più appetibili le proprie rivendicazioni o fare affidamento a forme di comunicazioni ironiche e dissacranti. Negli anni 90 inizia a diffondersi quello che viene definito post femminismo il cui pensiero assume che, dal momento che la parità di genere è stata raggiunta e le donne occidentali hanno ormai ottenuto parità di diritti e opportunità, continuare a rivendicare l'emancipazione collettiva femminile è diventato irrilevante. Piuttosto le donne devono lottare per affermare la propria libertà di diventare tutto ciò che vogliono essere e realizzarsi a livello personale (da cui il concetto di empowerment). 10. LE FEMMINILITÀ E LE MASCHILITÀ Così come non esiste un solo femminismo, non esiste nemmeno una sola forma di femminilità che possa rimandare a una presunta naturalità. La femminilità è una costruzione sociale che viene definita a partire dai modelli che la società ci propone e che solitamente ci mostrano come tipo ideale donne giovani, bianche, di classe media, non disabili, eterosessuali e magre. Come ci ha insegnato Simone de Beauvoir, le donne sono state spesso considerate come Altro, cioè sono state definite in relazione all'uomo, rispetto a ciò che quest'ultimo non è e ciò ha influenzato fortemente il modo in cui la femminilità nelle nostre società è stata definita al servizio del maschile. Tra le varie forme di femminilità possiamo trovare la cosiddetta femminilità egemone, cioè una forma di femminilità che opera in relazione alla mascolinità egemone. Stiamo parlando di quella femminilità che si distingue perché ha come caratteristiche l'essere attraente per gli uomini, che ha un'identità strutturata in relazione agli altri e che solitamente si comporta in modo passivo e non aggressivo. L'interesse per la mascolinità inizia a partire dagli anni 80 quando si pluralizzano le prospettive che un tempo sembravano insistere solamente sulla sovrapposizione tre genere e femminile: abbiamo innanzitutto la maschilità egemone ossia quella prassi di genere che rappresenta il modo privilegiato di mettere in atto la maschilità e che domina sulle altre tipologie di maschilità e femminilità. Questa maschilità corrisponde a quello che per molti uomini è lo standard ideale anche se solo pochi di essi riescono effettivamente a incarnarlo. Ci sono poi le maschilità subordinate che includono un ampio range di maschilità che non combaciano con quella egemone come gli uomini omosessuali o ritenuti effeminati. Tali uomini occupano una posizione inferiore nella gerarchia di potere subiscono spesso il predominio dei maschi egemoni che si traduce in una serie di pratiche quali violenza, discriminazione, l'esclusione e stigmatizzazione sociale. Esistono poi delle maschilità complici a cui appartengono tutti quegli uomini che, pur non potendo occupare la posizione egemone, ne traggono comunque vantaggio ottenendo dei ricavi da quello che viene definito il dividendo patriarcale, tre quella serie di privilegi che gli uomini hanno in quanto gruppo dominante. Ci sono infine le maschilità marginali che fanno riferimento a quegli uomini che non ricevono tutti i benefici del privilegio maschile a causa della loro etnia, classe sociale e di altri elementi. Più recentemente si è sviluppato il concetto di maschilità ibride che sostiene che la maschilità egemone oggi si forma attraverso un processo di Quindi secondo Stone, negli spazi digitali dove la performance, il gioco, la rottura sono possibili e persino incoraggiati, il corpo transgender, ossia quello capace di oltrepassare o generi, diventa il corpo naturale. Il corpo cyborg= all’inizio degli anni 90 si è andata fondando una metafora efficace per spiegare questa condizione di soggetto nei media digitali. Questa metafora è quella dei Cyborg (organismo cibernetico)- cybernetic e organism- 1960, Clynes e Kline utilizzano questo termine per descrivere un corpo a cui sono state inserite capsule a pompa per sopravvivere ad ambienti ostili extraterrestri. Il termine diventa famoso con Haraway che pubblica un Manifesto cyborg, che non ha nulla a che vedere esteticamente con l’idea antica di cyborg. Cyborg come modello concettuale= immagina la creatura cyborg come un modello concettuale per comprendere meglio la condizione dell’essere umano in un mondo in cui la tecnologia è ovunque e sempre più invisibile. In questo senso, la studiosa pensa che il /la cyborg sia una creatura che appartiene tanto alla nostra realtà sociale (noi siamo immersi in un mondo sia da tempo cyborg r gli sviluppi tecnologici del XX sec avevano già messo in dubbio la differenza tra naturale e artificiale o tra mente e corpo) quanto alla finzione (è una “risorsa immaginativa” perché ti permette di concepire forme alternative di soggettività). Infatti Haraway vede nelle nuove tecnologie e in Internet, la possibilità di un ripensamento radicale del concetto stesso di identità tradizionalmente intesa—> l’individuo che naviga in Rete è una/un cyborg, un soggetto “tecnoumano”, in quanto abita sia il suo corpo naturale quanto le sue molteplici estensioni negli ambienti digitali; una creatura molteplice, aperta e fluida (ne M ne F, ne puramente biologico ne meramente tecnologico, ne umano o animale). Il mondo postgenere= proprio perché si tratta di un ibrido che oltrepassa qualsiasi confine bisociale, diventa la raffigurazione più adatta a concepire un mondo “postgenere”, mondo in cui si superano tutte le opposizioni binarie su cui è fondata la nostra cultura occidentale e che sono da sempre funzionali alla pratica del dominio su tutto. Quindi il cyborg è una figura in grado di svincolarsi da qualsiasi modello imposto unico e universalmente valido & quindi rappresenta per le minoranze discriminate (soprattutto donne) un’opportunità unica di affrancamento e liberazione—> questo spiega perché il Manifesto Cyborg è il testo che ha maggiormente ispirato il movimento cyberfemminsita (fine anni ’80) basato sulla rivendicazione della centralità delle donne nel mondo delle nuove tecnologie, in direzione di una società più equa e inclusiva. 3. OLTRE LA METAFORA DEL CYBERSPAZIO La metafora del cyberspazio= il cyberspazio è un termine che è stato cloniate da Gibson ed è visto come un regno sovrano, distinto e non influenzato dalle forze naturali, politiche ed economiche che plasmano il mondo quotidiano che abitiamo. Le persone possono liberarsi di vincoli dei loro corpi terreni e di qualsiasi forma di discriminazione. Al fondo di questa ipotesi di “trascendenza corporea” agisce un implicita logica binaria, ovvero il pensiero dell’uno e dell’altro: se il mondo fisico è reale, il cyberspazio deve essere virtuale, se il corpo è fisico nel virtuale deve essere assente… —> utilizzando questa logica, Saide Plant, formula una delle principali teorie del cyberfemminismo: celebra il cyberspazio come territorio femminista (mondo fisico dominato dagli uomini). Ma mondo reale e mondo virtuale non sono due sfere completamente distinte, infatti per superare questi limiti, i lavori successivi indagano il modo in cui le esigenze materiali della vita offline informano le pratiche online. Gli studi di John E. Campbell= la sua ricerca analizza il modo in cui i soggetti omosessuali utilizza o e incorporano le tecnologie della comunicazione nelle loro vite per soddisfare bisogni o desideri esistenti; lui sostiene che le loro identità online riproducono molte delle caratteristiche che condizionano il modo in cui essi si percepiscono nel mondo offline e queste pulsioni offline è probabile che diano forma e condizionino le loro identità negli ambienti digitali. —> non è detto, dunque, che il cyberspazio offra loro un modo per sfuggire a stereotipi e condizionamenti culturali anzi genere, sessualità, età, religione, etnia, età… condizionano ancora le relazioni sociali online nella Rete. Viene dimostrato, infatti, che l’identità in Rete è ancora fortemente tipizzato in ruoli oppressivi anche se non è compreso il corpo. Il sessismo nelle interazioni online= un altro lavoro che critica la credenza nel potere liberatorio del cyberspazio è quello analizzato da Lori Kendall (2002): analizzando gli scambi comunicativi che avvenivano tra uomini e donne all’interno di un MUD chiamato BlueSky, lei dimostra che le interazioni online raramente producono cambiamenti significativi nelle comprensioni di genere. Anzi credenze e pregiudizi sui comportamenti M e F ritenuti più appropriati rischiano di rafforzarsi all’interno di questi spazi. Nella maggior parte dei casi, questi partecipanti si relazionano tra loro in modi che supportano la maschilità eterosessuale e continuano ad oggettivare le donne—> sessismo e razzismo sono problemi strutturali. Questo significa ignorare qualsiasi comprensione della razza e del genere come socialmente costruiti, ridurre sessismo e razzismo a reazioni quasi automatiche, a indizi e di conseguenza sopravvalutare la capacità delle interazioni online di sovvertire le gerarchie di potere insite nelle identità di genere, di classe e razziali—> Rischio—> il sollevarsi di chi ha il compito di governare dalla responsabilità politica di agire per cambiare le strutture sociali e le condizioni materiali che determinano tali fenomeni. Il modello SIDE= le ricerche di Campbell e Kendall confermano i risultati raggiunti dalla Social Identity Deindividuation Theory- SIDE, un approccio teorico che si è andato sviluppando negli stessi anni e che mette in discussione l’ipotesi che l’anonimato visivo della CMC possa produrre un effetto di equalizzazione delle identità sociali. Il modello SIDE sostiene che le persone non sono mai davvero anonime negli spazi online ma riescono comunque a trasmettere alcuni indizi rivelatori della propria identità sociale & nella comunicazione mediata al computer siamo più portati a dare importanza alla nostra “identità sociale”, a quella percezione di noi tessi che nasce dall’identificazione con gruppi e categorie sociali ai quali sentiamo di appartenere. Quindi, è possibile che nell’interazione online la propria identità personale venga messa in secondo piano mentre l’identità sociale e l’attaccamento di gruppo siano fenomeni ancora più marcati poiché gli individui sono portati ad allinearsi ai comportamenti e alle regole percepite delle reti sociali con cui interagiscono in quel momento (gli/le utenti sono più spinti/e a rispondere a stereotipi di genere ad esempio in uno spazio di discussione di videogiochi). 4. SPAZI CYBERQUEER Il cyberspazio e la comunità LGBTQIA+= questa fetta della popolazione deve affrontare maggiori rischi di salute e più alti tassi di discriminazioni rispetto al resto per quanto riguarda il creare legami sociali o impregnarsi in pratiche di partecipazione collettiva all’interno dei media digitali. Prima ancora che Internet entrasse a far parte della realtà quotidiana di ciascuno di noi, la CMC ha avuto un impatto notevole sulle comune queer, soprattutto su quelle persone che vivevano in condizioni di isolamento geografico o psicologico. Attraverso le liste di posta elettronica; gruppi USENET e le BBS (Bulletin Board System) private, la comunicazione su Internet e altre reti informatiche ha rappresentato un prezioso strumento dove poter trovare risorse informative, supporto o amicizia o semplicemente esprimere la propria identità di genere e sessualità in modo più libero e aperto. Sin dai primi anni Ottanta, quando la comunicazione al computer si limitava ancora alla posta elettronica e a sporadici forum di discussione testuale, la Rete era già popolata di numerosi spazi queer. Si pensi che il primo ambiente online esplicitamente omosessuale risale al 1983 e si chiama soc.motss, laddove «motss» sta per membri dello stesso sesso, un acronimo abbastanza criptico che serve a rendere il gruppo meno facile bersaglio della censura. Il gruppo emerge in un periodo storico particolarmente difficile per la comunità gay, violentemente stigmatizzata dall'opinione pubblica mondiale, che le imputava la colpa di contribuire a diffondere il virus dell'AIDS con le loro abitudini sessuali definite perverse e devianti. Si inizia così a comprendere che poter condividere fonti alternative di notizie ed esperienze personali all'interno di uno spazio percepito come protetto può costituire un efficace strumento di contrasto all'omofobia dilagante di quegli anni. Anche l'esperienza lesbica ha beneficiato delle nuove modalità di comunicazione mediata al computer: nel 1987, ad esempio, viene lanciata SAPPHO, la prima mailing list lesbica americana—> le comunità queer, dunque, sono state tra le prime a rendersi conto delle potenzialità emancipatore delle forme digitali emergenti. Internet com e spazio cyberqueer= saggio di Nina wakeford, dove sottolinea l’importanza degli spazi digitali come punti di resistenza che gli attivisti LGBTQIA+ possono sfruttare per ribaltare il paradigma dominante che vede l’eterosessualità come unico orientamento sessuale normale o naturale. Nuove tecnologie anni ’80-’90—> offrire ai gruppi più marginaòizzari un’occasione per reinventare il proprio io—> il cyberspazio viene salutato come il luogo della fluidità identitaria, lo spazio trans per eccellenza. Due vantaggio per le persone queer ricavano dalla frequentazione della Rete: - possibilità do fuggire dal proprio corpo, poiché questo diventa ciò che si sceglie di rappresentare mentre si digita sulla tastiera; i soggetti queer possono sfruttare l’anonimato degli ambienti digitali per esplorare la propria identità oltre i limiti imposti dalla realtà corporea e così facendo, sfidare la logica identitaria che li categorizza in un presunto genere autentico naturalmente. - Il corpo come costrutto discorsivo= possibilità di trasformare il proprio corpo in un costrutto discorsivo: all'interno degli ambienti anonimi in cui avvengono le interazioni comunicative, il principale strumento discorsivo di (auto)identificazione è il testo: la parola scritta rappresenta l'enunciato che produce un soggetto con un'identità socialmente comprensibile. Ne consegue che l'identità online si definisce come effetto delle performance linguistiche che vengono agite in uno spazio comune. In Rete, cioè, il genere si costituisce come un insieme di atti performativi discorsivamente vincolati: un'idea che rimanda al pensiero di studiose quali Judith Butler, che proprio in quegli stessi anni elaborava la sua famosa teoria della performatività del genere. Questa particolare condizione permette alle soggettività non normative di prendere coscienza del fatto che ogni realtà fisica è sempre dipendente da una percezione discorsiva e, in tal modo, agire più facilmente per mettere in discussione qualsiasi concezione che considera il genere e la sessualità come aspetti innati e naturali dell'essere umano. Le possibilità di Internet per le comunità queer= la possibilità di performare la propria identità online rappresenta solo una delle opportunità che la Rete offre alle soggettività queer. Tante altre analisi hanno dimostrato il modo in cui l'esperienza degli ambienti digitali impatta sulle vite quotidiane delle persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender. L'ipotesi maggiore è che Internet offre uno «spazio sicuro» dove i gruppi marginali possono esprimere liberamente la propria identità senza temere di essere giudicati o discriminati. Per molti, si tratta di luoghi di compagnia e consolazione; per altri, offrono occasioni di esplorazione erotica e di scoperta di sé, dove si affermano i desideri sessuali e si forgiano nuove concezioni di sé; e per altri ancora sono ambienti di fraternità dove si mantengono vecchie amicizie e ne nascono di nuove. Quindi gli spazi cyberqueer: - Permettono di fare coming out, ossia dichiarare apertamente un aspetto importante della propria identità di genere o orientamento sessuale che nella vita reale si nasconde per paura di essere stigmatizzati; - Offrono un modo per sviluppare forme di intimità tra persone che condividono un medesimo orientamento sessuale, un porto sicuro dove poter trascorrere del tempo con qualcuno che desiderano conoscere meglio per poi decidere magari di incontrarsi di persona; - Garantiscono più facile accesso a informazioni rilevanti sui temi come sesso, identità di genere e salute sessuale. Allo stesso tempo, molte persone queer sono solite praticare il cosiddetto “sesso virtuale” per sperimentare la propria sessualità in modo sicuro; - Rappresentano un modo per soddisfare il bisogno di appartenenza di un individuo, farlo sentire parte attiva di una vera e propria comunità che condivide interessi, valori, esperienze, terminologia e stile di vita comuni—> Es. il caso del BDSM, la combinazione delle abbreviazioni B/D (Bondage e Discipline), D/S (Dominance e Submission) e S/M (Sadism e Masochism), termine che fa riferimento a tutte quelle fantasie erotiche che traggono piacere dall’esercizio del dolore e della costrizione e del dominio e della sottomissione tra due o più partner adulti e consenzienti. Storicamente, queste pratiche sono state sempre soggette a discriminazioni da tutti ma grazie a Internet, si è assistito alla crescita di una vasta comunità di appassionati e praticanti che hanno contribuito a veicolare un’immagine migliore più positiva e realistica del BDSM. Il concetto del contropubblico= comunità in rete come quella precedentemente nominata, rappresentano un esempio di quelli che Nancy Fraser definisce “contropubblici”: una particolare tipo di arena discorsiva dove gruppi storicamente esclusi e marginalizzati dal dibattito pubblico inventano e fanno circolare contro- discorsi, che permettono loro di formulare interpretazioni delle proprie identità, bisogni e interessi, in aperta contrapposizione a quelle che circolano nei discorsi dominanti. In tal modo, tante soggettività queer possono superare la paura di nascondere le proprie inclinazioni e arriveranno invece ad ostentarle orgogliosamente. 5. SESSO E SESSUALITÀ ONLINE Internet e l’esplorazione della sessualità= il cyberspazio è anche una sfera di discussione della sessualità. Per rifarsi ai contenuti e alle attività connesse al sesso e alla sessualità in Rete si usano i termini Internet libertario, egualitario e democratico, in cui le persone possono, da un lato, sentirsi uguali a prescindere dal loro corpo e dall’altro, affrancarsi da tutte quelle marcature di genere che condizionano e danno forma all'esperienza materiale. Le ricerche sulle differenze di genere online= Molte ricerche iniziano così ad interessarsi del modo in cui le differenze non tendano a sparire con Internet, ma continuino a condizionare fortemente le modalità con cui uomini e donne usano i media digitali. In particolare, questi lavori confermano quanto siano presenti i tradizionali stereotipi di genere sia nell'uso del linguaggio testuale che nella scelta delle immagini da mostrare sui social network. Significative discordanze tra uomini e donne si ritrovano, anzitutto, nelle interazioni con altre persone attraverso chat, messaggistica istantanea, forum di discussione, commenti sui blog e altro: i primi sono più propensi a usare un linguaggio autorevole e a rispondere negativamente nelle interazioni, mentre le seconde sono più disposte a concordare esplicitamente, a sostenere gli altri, e a dare contributi maggiormente personali ed emotivi. Altri studi hanno dimostrato che ragazze e ragazzi differiscono per quanto riguarda i tipi di immagini di sé che scelgono di pubblicare sui loro profili: mentre gli uomini tendono a conformarsi alle norme più stereotipate di maschilità, enfatizzando qualità come forza, successo e potere, le donne prestano maggiormente attenzione a mostrarsi attraenti e carine agli occhi del proprio pubblico di riferimento. Il modo in cui uomini e donne costruiscono e comunicano la propria identità online finisce, così, per confermare gli immaginari più stereotipati provenienti dai media mainstream che vedono la donna sessualmente disponibile e l'uomo forte ed emotivamente distante. Esiste, dunque, un alto grado di «normatività di genere» nelle autopresentazioni di uomini e donne sui social media. Molti studi dimostrano cioè che le pressioni complesse e contraddittorie che caratterizzano le esperienze offline non scompaiono nel passaggio ai media digitali, ma condizionano in maniera decisiva il modo in cui gli individui vivono la Rete. In particolare, le rappresentazioni delle donne come oggetti sessualizzati in cerca di attenzione maschile continuano a circolare ampiamente all'interno delle reti digitali, finendo per riprodurre le norme e i valori culturali eterosessuali dominanti. La sensibilità postfemminista in Rete= Studiose come Jessica Ringrose e Rosalind Gill leggono in maniera critica queste modalità di rappresentazione femminile nei media digitali e le considerano una chiara testimonianza di una più ampia sensibilità culturale definita «postfemminista». La sensibilità postfemminista vede nella sessualizzazione del corpo femminile il risultato di una scelta della donna che esprime in tal modo la sua agentività e diviene così fonte di empowerment. Laddove nel passato la costruzione di una femminilità ipersessualizzata veniva considerata come una forma di oggettivazione sessuale subita dalle donne, nell'ottica postfemminista essa viene interpretata come atto di volontà agito coscientemente dalle ragazze stesse, misconoscendo così le pressioni sociali e le dinamiche di potere a essa sottostanti. Ne consegue che i corpi delle donne sono ancora in mostra, e continuano a essere enfaticamente femminilizzati e disciplinati per gli spettatori eterosessuali maschi. Solo che adesso sono oggettivati in modo agente e consapevole. In tal modo i principi di autodeterminazione femminile, finiscono per confluire nella celebrazione individualista (e consumista) della donna emancipata, sessualmente attiva, libera di usare il proprio corpo come strumento di seduzione e arma di provocazione. 7. GENERE, INFRASTRUTTURE, PIATTAFORME E AFFORDANCE Una delle conseguenze dell’avvento delle piattaforme dei social network è stato il ripensamento di alcune prospettive teoriche primitive del web. Molti di questi studi cercavano di dimostrare l'effetto che l'uso delle tecnologie poteva avere sulla vita quotidiana degli utenti, compreso l'impatto sulle questioni di genere e della sessualità. Il limite di tale visione era quello di essere eccessivamente deterministica, ossia di immaginare la tecnologia come una forza neutrale e autonoma dalla società in cui è inserita che produce trasformazioni e cambiamenti della nostra realtà quotidiana. Il modellamento sociale della tecnologia= questa è una prospettiva più utile a capire i processi di incorporazione delle nuove tecnologie della comunicazione nella vita quotidiana delle persone; essa considera la biunivocità d'influenza e la modificazione reciproca esistente tra le potenzialità (affordance) offerte dalla tecnologia e gli usi che ne fanno individui. Donald MacKenzie e Judy Wajeman spiegano che gli oggetti e gli artefatti non sono mai separati dalla socie-à, ma sono parte del tessuto sociale che li tiene insieme. In altri termini, come il campo degli science and technology studies (STS) insegna, le tecnologie non sono neutre e non rappresentano una forza indipendente che muove il comportamento umano. Letto in chiave femminista, questo significa che esiste una stretta reciprocità tra genere e tecnologia, dove le tecnologie sono concettualizzate come fonte e conseguenza dello strutturarsi delle relazioni di genere, e da cui discendono specifiche dinamiche di potere. L’approccio STS negli studi di genere= grazie a quest’approccio, comprendiamo che anche i media digitali non sono tecnologie neutrali, ma contribuiscono a formare le nostre idee riguardo al genere e alla sessualità intervenendo nelle dinamiche di potere e nella riproduzione delle posizioni egemoniche. Se guardiamo alla loro architettura e analizziamo il funzionamento di piattaforme, motori di ricerca o applicazioni che usiamo quotidianamente, possiamo osservare come queste spesso riproducono una idea egemonica di genere. Ciò avviene a causa di tre elementi: - Gli aspetti strutturali legati allo sviluppo delle tecnologie e, quindi, a chi lavora concretamente nelle industrie che danno forma al digitale. I ruoli apicali dell'industria tecnologica (soprattutto quella europea e statunitense) sono ancora dominati dagli uomini e ciò ha una grossa influenza sui prodotti che vengono creati e sull'esistenza di un pregiudizio di genere tecnologico. Tali pregiudizi agiscono già a partire dai processi di progettazione e design delle tecnologie poiché il team addetto solitamente realizza il prodotto immaginando chi sarà l'individuo che andrà a utilizzare quella tecnologia (solitamente maschio). In questo caso spesso si crea un allineamento tra tecnologia e maschilità egemone che riproduce l'ordine simbolico eteronormativo. - Gli aspetti materiali delle tecnologie e, quindi, cosa viene creato e sviluppato. Molte interfacce che siamo abituate/i a usare vanno a rinforzare alcune logiche sociali mediando, attraverso l'architettura software delle piattaforme, il genere. Basti pensare a quando apriamo un nuovo account in un social network e alle possibilità di scelta che abbiamo nel selezionare il genere del nostro profilo: alcune piattaforme ti permettono di scegliere tra un ventaglio molto ampio di possibilità, mentre altre si limitano alle opzioni uomo/donna/altro. - Come tali tecnologie vengono utilizzate, ossia agli usi degli utenti che, nelle loro pratiche quotidiane, possono arrivare a modificare queste tecnologie rispetto agli intenti per cui erano state create—>. sebbene i media digitali possono riprodurre o rinforzare le più convenzionali logiche sociali collegate al genere, andando a favore di certi gruppi di utenti e perpetuando politiche sessiste ed escludenti, allo stesso tempo, però, essi permettono agli utenti di agire performance di genere più varie, come dimostra la possibilità offerta da alcuni videogame di creare personaggi o avatar che vanno oltre i binarismi a cui siamo abituate/i. —> I modi in cui le tecnologie sono progettate e realizzate hanno, dunque, conseguenze sociali. Basti pensare alle ricerche fatte sui motori di ricerca che ci mostrano come l'algoritmo, viziato da stereotipi di genere, restituisce determinati risultati che conterranno a loro volta stereotipi che saranno riprodotti dall'intelligenza artificiale del motore di ricerca stesso. Un importante lavoro in questo settore è quello di Safiya Umoja Noble che si è occupata dei bias presenti su Google sottolineando come i pregiudizi umani si innestano nei software che utilizziamo quotidianamente. La discriminazione algoritmica= I suoi studi si concentrano prevalmentemente sui giudizi negativi che colpiscono soprattutto le donne non bianche. Es. se digitiamo su Internet ragazze nere, asiatiche o latine spesso i primi risultati sono immagini pornografiche; mentre se digitiamo donne bianche non succede lo stesso. Un altro esempio è che alcuni algoritmi si occupano della selezione del personale e spesso questi discriminano le donne rispetto gli uomini. Questo per dire che spesso gli algoritmi che stanno alla base delle piattaforme tendono a riprodurre la visione del mondo di coloro che li hanno progettati. Le affordance di genere= Al pari degli algoritmi, anche le affordance non sono da considerarsi come qualcosa di connesso esclusivamente all'architettura dei media digitali, ma come elementi culturali strettamente dipendenti dal contesto in cui vengono sviluppate. Lo spiega bene il concetto di affordance di genere, secondo il quale le affordance dei social media possono essere intese come genderdizzate. Questo significa che le affordance spingono le/gli utenti a compiere azioni differenti in base ai repertori di genere e culturali ai quali esse/essi (e le/i designer) hanno accesso. In tal modo, esse contribuiscono a riprodurre le strutture di disuguaglianza sessuale e le divisioni di genere nella società. Le gendered affordance, dunque, sono diventate un elemento fondamentale nei processi di definizione dei significati che gli utenti e le utenti mettono in campo quando interagiscono negli ambienti digitali. 8. SOGGETTIVITÀ QUEER E SOCIAL NETWORK I pregiudizi progettuali delle piattaforme= L'avvento delle piattaforme dei social network rappresenta una sfida per le persone che appartengono alla comunità LGBTQIA+. Alcuni spazi digitali contengono al loro interno dei pregiudizi progettuali legati alle proprie specifiche affordance che rischiano di aumentare le forme di discriminazione sociale. Es. Facebook è stato concepito con il presupposto che tutte/i utilizzino il nome che usano nella vita quotidiana e blocca gli account delle/degli utenti non considerate/i reali. Ciò, tuttavia, contribuisce a rafforzare una concezione eteronormativa dell'identità come statica, singolare e convalidata dalle istituzioni sociali (statali, mediche, legislative) che rischia di svantaggiare le persone LGBTQIA+. La scelta di cambiare nome può essere un aspetto importante del lavoro identitaria delle persone queer (spesso loro sperimentano nickname temporanei). Il problema della visibilità pubblica per i soggetti queer= Allo stesso modo, piattaforme come Facebook o Twitter sono progettate in modo da privilegiare una forma di visibilità pubblica obbligata. Anche alla base di questa scelta vi è un pregiudizio progettuale: l'idea che essere visibili e in pubblico è in qualche modo una condizione neutrale, a basso rischio, non connotata in termini di razza, genere, sesso. Per le persone queer può essere un vantaggio e portare a benefici ma per molte altre la scelta della visibilità pubblica può essere rischiosa. Come molte ricerche dimostrano, uno dei maggiori problemi che si trovano ad affrontare gli utenti LGBTQIA+ su Facebook è proprio il collasso dei contesti, ossia la possibilità che informazioni sensibili arrivino a propria insaputa a membri della loro famiglia, a persone omofobe e scarsamente sensibilizzate rispetto a certe tematiche, o comunque a un insieme vagamente definito di connessioni personali. Per questo, molte/i utenti queer cercano di contrastare la visibilità su Facebook adottando strategie di pseudonimato, curando un profilo che non possa essere trovato sui motori di ricerca, fornendo solo dettagli selettivi su di sé, togliendo l'amicizia a persone che potrebbero avere comportamenti omo/bi/transfobici e curando le liste di amici che possono vedere i contenuti postati. Questo lavoro di cura del proprio profilo permette loro la creazione di un mondo queer, uno spazio sicuro dove potersi rivolgere a una rete di contatti specifica su argomenti specifici. Il caso di Tumblr= piattaforme come Instagram e Tumblr vengono percepite come ambienti più aperti e sicuri per l'esplorazione identitaria—> Tumblr è diventato nel corso degli anni il social network queer per eccellenza: i/le giovani appartenenti alle comunità LGBTOIA+ usano Tumblr più frequentemente di tutto il resto della popolazione. - Uno dei motivi per cui lo preferiscono è che non è una piattaforma progettata per essere automaticamente pubblica come altri social network. Per questo può rappresentare uno spazio di comfort, dove non si è esposti in modo obbligato e quindi ci si può lasciar andare, esprimere emozioni più intime e profonde, non sentire la pressione di una costante sorveglianza omofoba e razzista. - Tumblr permette una maggiore libertà in termini di account multipli e non obbliga all'utilizzo di un nome legale. L'essere anonime/i è importante in quanto permette a molte persone queer di non essere immediatamente identificabili né facilmente ricercabili. - A differenza di altri social network, Tumblr non richiede alcuna forma di ancoraggio con la vita esterna alla piattaforma. In tal modo è più facile mantenere una netta separazione dei diversi ambiti e gestire i confini degli spazi in cui si potrebbero verificare episodi di stigma ed emarginazione. Tumblr come tecnologia trans= Sono tre, in particolare, i modi in cui questa piattaforma permette di vivere esperienze trans significative: - Tumblr è visto come uno spazio aperto, un luogo confortevole dove le persone possono rivelare informazioni sensibili e sentirsi compresi e accettati. Le persone trans utilizzano Tumblr per pubblicare contenuti che testimoniano i loro cambiamenti, molti dei quali hanno spesso un carattere educativo o medico e permettono loro di raccogliere informazioni preziose su come effettuare la transizione e su come vivere nel genere che si è scelto. - Quella tra sesso e public life, che fa emergere quali tipi di sessualità sono visibili, quale condannate, o al contrario celebrate. - Quella tra public life e media digitali, che si focalizza su cosa è pubblico o no in internet e in che modo le affordance dei media digitali influenzano alcuni comportamenti. - Infine quella tra media digitali e sesso che tocca il modo in cui le caratteristiche delle tecnologie digitali possono intrecciarsi con lo stigma e le sperimentazioni sessuali. Per ciò che riguarda l’intersezione tra sesso e vita pubblica, uno strumento concettuale che può venirci in supporto è quello creato da Rubin negli anni 80, in così detto charmed circle. Possiamo osservare come oggi ancora ci sia una certa sessualità che è ritenuta normale, mentre tutte le altre forme di sessualità rientrano tra quelle considerate immorali o devianti. Alle discussioni che si generano attorno all’intersezione tra public life e media digitali, possiamo notare come online vi sia un’ampia varietà di contesti e attività che possono essere considerati estremamente privati o completamente pubblici. Può anche capitare che la stessa pratica possa essere valutata in modo differente da persone diverse. Infatti, i confini tra pubblico e privato non sono sempre così chiari e spesso ciò che permette di mantenere alcuni contenuti privati è il ricorso all’anonimato o l’utilizzo di pseudonimi. Agli occhi di alcuni soggetti, internet diviene un luogo sufficientemente privato, da poter affrontare temi legati alla sessualità. Se consideriamo internet parte della sfera pubblica non possiamo slegare le discussioni sul piano sessuale presenti in Rete della così detta Sexual Citizenship→ cioè i diritti che le persone hanno relativamente alle espressione sessuali. L’ultimo intreccio identificato da Tiidenburg e Nagel riguarda appunto, più direttamente il rapporto tra i media digitali e il sesso. L’anonimato di internet rappresenta sicuramente una delle maggiori caratteristiche che ha spinto un maggior numero di persone a utilizzare questo mezzo per pratiche connesse alla sessualità; ma allo stesso modo ha cristallizzato alcune visioni di cosa sia definibile come normale o anormale, e ha prodotto un certo allarme nei riguardi di un accesso ritenuto estremamente semplice e incontrollato per quel che attiene a specifici contenuti. Panico morale→ sovrapporsi di sesso, tecnologie e vita pubblica, chiamato così dai media studies. Un processo nel quale alcune preoccupazioni vengono amplificate e rappresentate in modi tali da essere percepite come problemi rilevanti a livello sociale. Il panico relativo a sesso e media digitali è un movimento importante da comprendere perché crea specifiche politiche e risposte anche da parte delle stesse piattaforme. Le Partenered Arousal Online Sexual Activities nel tempo hanno attirato maggiormente l’attenzione di ricercatori e ricercatrici. In un suo celebre libro, Rheingold (1991) aveva predetto che eni successivi decenni sarebbe stato possibile fare sesso a distanza, usando occhiali 3D, questo si sarebbe chiamato sesso virtuale o cybersex. Le studiose e gli studiosi degli anni 90 descrivono questa attività completamente immersiva e la immaginano in un futuro prossimo come una vera e propria ibridazione dei corpi con componenti tecnologiche. Il web 2.0 ha permesso ai differenti utenti di creare comunicazione anche attraverso l’utilizzo degli user generated content (contenuti generati dagli utenti), tra i quali trovano sin da subito ampio spazio i temi, immagini e dialoghi a sfondo sessuale. Il cybersex rappresenta una delle prime forme di interazione sessuale online, che, sin dall’inizio, mostra non poche ambivalenze. Le interazioni sessuale mediate vengono definite da Turkle (1995) Tinysex, una sorta di dimensione minima ed essenziale del sesso. Il cybersex può avere un ampio spazio di significati per chi lo pratica. (un’avventura, una forma di divertimento, un modo per imparare nuove tecniche sessuali). Se restringiamo il fuoco dell’attenzione delle sessualità non normative, sulle persone con disabilità o su quelle anziane, la letteratura ha mostrato come per molte di queste soggettività il cybersex e le OSA in generale possa offrire risorse di informazione e di sperimentazione pratica insostituibile, che consentono di avere contatto con altri individui nella stessa condizione. Far parte di una minoranza, spinge a utilizzare i media digitali a fini sessuali di più e prima di quanto accada ad altri. Attraverso il sesso virtuale è possibile confrontarsi con modelli comportamentali non penalizzati socialmente, ma anche di scoprire reti comunitarie alle quali è possibile appoggiarsi. Renato Stella si concentra sulle sessualità non normative, nel suo libro “corpi virtuali”. Una ricerca sugli usi erotici del web, avanza un’interpretazione interessante che definisce l’ipotesi cyborg. Questa descrive i casi in cui il cybersex egemonizza il vissuto soggettivo. L’ipotesi cyborg suggerisce che i media digitali possono diventare dominanti nella vita sessuale e relazionale delle persone che li utilizzano. Secondo la visione di Renato Stella, le persone adattano il cybersex a specifici stili di vita facendo del web una protesi duratura e insostituibile che trasforma il soggetto che la utilizza in un cyborg. Tornando a uno sguardo più ampio sul cybersex possiamo osservare anche come questo si sia evoluto nel tempo incorporando i cambiamenti tecnologici degli anni 90 a oggi. Il sesso virtuale ad esempio si è spostate in piattaforme ad esempio quelle dedicate al gaming dando vita a giochi erotici multi player. ➔ Tecnologie per interagire sessualmente e per quantificare il sesso: l’arrivo dei media convergenti e mobili ha sganciato la fruizione di internet dagli spazi fisici in cui era collocato il computer rendendolo accessibile tramite smartphone, tablet o computer portatili. L’utilizzo erotico di internet ha assunto nuove peculiarità dando spazio a pratiche innovative che permettono interazioni sessuali a distanza in forma sincrona. Sexting→ deriva dai termini inglesi sex e texting, questo termine ha cambiato varie accezioni nel corso degli ultimi anni. Se inizialmente questa etichetta era riferita all’utilizzo dei telefoni cellulari per organizzare incontri sessuali, nel tempo il significato è mutato arrivando a indicare l’invio di messaggi di testo sessualmente espliciti o provocatori. Uno dei lavori sul sexting è quello di Adele Hasinoff che definisce il sexting come una crisi tecnologica, legale, sessuale e morale che si presenta in diverse forme. Hasinoff sottolinea nel suo studio come il sexting tra ragazzi sia spesso interpretato come una forma di pedopornografia o in alcuni casi come cyberbullismo. Per quanto riguarda gli adulti invece, il sexting diviene oggetto di attenzione in due prospettive: - Da un lato emergono problematiche che riguardano il revenge porn, l’infedeltà e gli scandali che interessano le celebrity. - Dall’altro lato, nella stampa popolare, quando gli si riconoscono invece dei vantaggi per i rapporti sessuali e affettivi. Le campagne pubbliche che hanno a che fare con il sexting, come ricorda anche Attwood, continuano a inquadrare i giovani, vittime o carnefici di un crimine, mettendo in guardia ragazze e ragazzi rispetto alle conseguenze che questa pratica potrebbe avere sulla loro reputazione e sulla loro carriera e trovando l'unica soluzione percorribile nell'astinenza da questo tipo di interazione mediata. Sempre Hasinoff spiega che i resoconti mediatici che parlano di sexting e giovani si focalizzano per lo più su donne e ragazze che hanno condiviso le loro immagini. Il sexting avviene per lo più tra due persone che sono già partner o lo stanno per diventare. Più raramente lo scambio di questi contenuti avviene tra persone che non si conoscono. Inoltre, è importante notare che nella maggior parte dei casi sono i tardo-adolescenti a fare ricorso a questa pratica. Gran parte della letteratura sul sexting si basa sull’assunto che ci sia qualcosa di problematico o perverso nei sexter cioè coloro che praticano sexting. Un'altra porzione delle ricerche su questo fenomeno (di cui fanno parte i lavori di Attwood, Hasinoff e Scarcelli), invece, sottolinea la distinzione tra sexting consensuale e atti violenti che coinvolgono la condivisione non autorizzata di immagini, situando rischi e benefici del fenomeno nei loro contesti sociali. Questi studi suggeriscono che il sexting (consensuale) rappresenta una parte delle relazioni romantiche di ragazze, ragazzi e adulti che vi fanno ricorso poiché esso è ritenuto una via, anche divertente e piacevole, di migliorare la comunicazione con il proprio partner. Senza ignorare che esistono forme di violenza che riguardano la distribuzione non consensuale di immagini private, gli studi che stiamo considerando ci mostrano che è importante rifuggire dal cosiddetto «sexting panic», per porre l'accento su intere questioni che fanno da cornico al fenomeno. Gli studi sul sexting ci permettono di osservare il modo in cui le culture digitali si intrecciano con il genere e la sessualità. Questi lavori riguardano molti fenomeni sociali relativi alla scoperta del corpo e del sé: dalla sperimentazione erotica, all'identità di genere e sessuale, facendoci capire come, anche nell'epoca dei media digitali, vi siano ancora differenze sostanziali e codici egemoni di comportamento e definizione dei ruoli. Un altro importante aspetto, che le analisi che si occupano di media digitali, genere e sessualità prendono in considerazione quando si focalizzano sulle interazioni sessuali è quello che riguarda il sex work online. I mutamenti sociali e quelli tecnologici hanno modificato l'industria del sex work online, la sex industry è diventata main-stream e ha subito un processo di privatizzazione. Di conseguenza le lavoratrici e i lavoratori del sesso si sono sempre più spostati dalle strade ad ambienti chiusi, per passare poi (anche) al web. In generale possiamo dire che le piattaforme digitali, da un lato, fungono da luogo per promuovere attività di sex work offline, come la pubblicizzazione di escort o l'organizzazione di attività di turismo sessuale, e, dall'altro, permettono nuove forme di online sex work come per esempio, i live sex show via webcam. Le/gli utenti, quindi, hanno oggi un ampio ventaglio di opportunità per ottenere o per offrire servizi sessuali. Possiamo distinguere 4 diverse tipologie di olnine sex work: 1- Le esperienze sessuali dirette in presenza→ si riferiscono alle attività sessuali commerciali che avvengono di persona tra sex worker e cliente, ma che sono organizzate o pubblicizzate online 2- L’acquisto o il consumo di materiale sessualmente esplicito→ prevedono l’uso delle piattaforme per comprare materiale sessuale senza la presenza fisica o l’interazione del sex worker 3- Il consumo, l’interazione asincrona e le esperienze live indirette a distanza→ si riferisce a interazioni con il sexworker in modo asincrono tramite ad esempio l’acquisto di video prodotti dal sex worker su piattaforme come Onlyfans. Webcamming→ sesso telefonico o sexting a pagamento. Questo webcamming consiste nella messa in atto da parte di un o una performer di uno show davanti alla webcam che viene fruito dal cliente attraverso il proprio device. Teledildonics→ con questo termine si intendono quegli incontri erotici, non faccia a faccia, in cui si utilizzano specifiche tecnologie, ad esempio sex toy azionabili a distanza. Secondo Angela Jones (2020) il webcamming (parlando di donne) ha inoltre, riequilibrato le relazioni di potere tra i generi che sottostanno alla pornografia ridando alle cammer il controllo sulla propria performance e rendendole più libere rispetto agli standard dell'industria sessuale. Ciò ha permesso al webcamming di prosperare, sia come mezzo attraverso il quale ottenere un reddito, sia come modalità per ricercare il piacere. Questo tipo di sex work, secondo la studiosa, viene preferito dalle donne perché minimizza i rischi associati ad altre forme di lavoro sessuale e rende più autonome le persone che lo esercitano. ➔ Direzioni future: Il rapporto tra industria pornografica e tecnologie= questo rapporto è sempre stato circolare, ovvero di reciproca influenza. Come ricorda Renato Stella, alla fine degli anni Settanta l'industria pornografica decide di scommettere sul VCR, il videoregistratore. Questo segna un cambiamento epocale, tanto nelle pratiche che nei soggetti di consumo. Dove prima la fruizione di pornografia avveniva in una dimensione collettiva (i cinema a luci rosse), la sessualità tornava nella dimensione domestica, privata e, potenzialmente, individuale. Questo permetteva una maggior libertà nella pratica di consumo, venendo meno il vincolo dei luoghi e degli orari della programmazione e, almeno in linea teorica, un allargamento della potenziale audience. Allo stesso tempo, come sottolinea Jane Juffer, coloro che per molto tempo non avevano accesso ai luoghi del porno, ad esempio le donne o le/i più giovani, potevano avvicinarsi in modo più discreto a quel tipo di prodotto senza il rischio di dover subire una qualche forma di sanzione sociale. Certo, la distanza percepita tra pornografia e fruitrici non si esauriva nella difficoltà di accesso e nell'assenza di privacy. Il fatto stesso di non essere in qualche modo pensate e pensabili come potenziale audience rappresentava un ostacolo. Il discorso pubblico e quello accademico poi, non facevano che confermare e riprodurre tale distanza, orientando il proprio sguardo, come già segnalato, verso una lettura superficiale e astorica del fenomeno della pornografia e contribuendo alla stigmatizzazione, anche di genere, di un intero settore. Tuttavia, sono anni particolarmente fruttuosi dal punto di vista dei più ampi scenari culturali, soprattutto, riguardo alla presa di parola (e di sguardo) da parte delle donne all'interno della pornografia. Rovesciamento di sguardi= Proviamo a ripercorrere alcune tappe particolarmente rilevanti. Nel 1983, in quella che per quantità e qualità dei materiali prodotti può essere definita la golden age del porno, un gruppo di donne, appartenenti alla prima vera generazione di pornostar, fonda il Club 90, un luogo di confronto che, a cadenza settimanale, tenta di mettere a tema il significato e il ruolo dell'essere donne e femministe che lavorano in quello che viene descritto come il settore maschile e maschilista per eccellenza. Rispetto, ad esempio, alla rigidità del dibattito delle sex wars, la riflessione aggredisce le dinamiche e gli ordini di genere presenti anche, e non solo, nelle industrie pornografiche. L’anno seguente, Candida Royalle, cofondatrice del Club 90, si propone sul mercato con la casa di produzione Femme Productions con l'obiettivo di dare spazio alle donne sia dietro la macchina da presa che davanti agli schermi, pensando dunque a prodotti fatti dalle donne per le donne. Nello stesso anno, a San Francisco, nasce Fatale Media, casa di produzione di film porno fondata da donne lesbiche per un pubblico di donne lesbiche. E interessante, inoltre, ricordare che già prima, nel 1981, Giuliana Gamba, sotto lo pseudonimo di Therese Dunn, gira il primo film che cerca, con una regista donna, di modificare le convenzioni del genere. Le case di produzione e il target di riferimento= Le case di produzione citate diventano interessanti punti di osservazione poiché ciascuna di esse ha degli aspetti peculiari rispetto all’altra. Target di riferimento—> FEMMINISTE ANTI-PORN (femminismo radicale) FEMMINISTE PRO-SEX La pornografoa è maschilista e porta ad interiorizzare una rappresentazione violenta e misogina della donna. La pornografia costituisce uno spazio di liberazione ed esplorazione della sessualità femminile La pornografia è un’industria dominata da registi uomini che realizzano prodotti perché ne fruiscano altri spettatori uomini La pornografia può offrire spazio alle donne e mettere in discussione pratiche produttive e lavorative dell’industria mainstream La pornografia è incapace di rappresentare il desiderio e la sessualità femminile La pornografia permette di realizzare e lanciare sul mercato prodotti fatto dalle donne per le donne La pornografia riproduce il binarismo, attribuendo a ogni genere caratteristiche, ruoli e aspettative rigide e escludenti La pornografia garantisce spazi di rappresentanza queer così da mettere in discussione i rigidi binarismi di genere Donne ridotte a meri accessori sessuali privi di agency, tanto da arrivare alla famosa dichiarazione di Robin Morgan secondo la quale la pornografia è la teoria mentre lo stupro è la pratica. Femme, in realtà, non parlava tanto alle donne, ma alle donne inserite in relazioni di coppia eterosessuali. Il porno per coppie non era una novità assoluta nel panorama pornografico e, indubbiamente, a fare la differenza erano altri elementi: il fatto che nell'idea di Royalle, le donne dovessero prendere possesso dei mezzi di produzione, promuovere pratiche organizzative e lavorative che tenessero conto delle asimmetrie di potere e di possibilità presenti nella società tra donne e uomini, integrare nelle narrazioni e negli immaginari dei principi e dei valori di ispirazione femminista cercando di dare spazio ai processi sociali di formazione del desiderio e alle fantasie sessuali femminili. Fatale Media, prendeva come riferimento le donne lesbiche, iniziando dunque a decostruire e mettere in discussione l'equazione pornografia/maschilità. Il fatto di confrontarsi con un pubblico o con un altro incideva non solo sul tipo di contenuti inseriti nei propri prodotti ma sulle pratiche produttive e distributive tout court. Entrambe le esperienze, a conferma di una certa portata innovativa, hanno dovuto superare molti ostacoli prima di potersi posizionare nel mercato, fosse anche in una sua nicchia marginale. Al di là dell'esito prettamente economico o dell'influenza eventualmente esercitata sull'industria pornografica, a Fatale Media e Femme Production va riconosciuto il merito di aver reso manifesto ciò che veniva in qualche modo ignorato o negato: il porno non era solo una questione maschile. Porno femminista, porno queer e porno etico= Dalla comparsa nel panorama pornografico di queste due peculiari esperienze, nel tempo si sono moltiplicate le case di produzione che hanno deciso di mettere a tema la questione degli ordini di genere e sessuali, tanto nelle pratiche organizzative che nei contenuti proposti al proprio pubblico. Tali produzioni, invero estremamente diverse le une dalle altre, sono spesso state comprese sotto il termine ombrello di porno femminista a indicare prodotti che in qualche modo rappresentassero corpi, pratiche e interazioni sganciate da uno sguardo sessista, omolesbobitransfobico, abilista, razzista, esotizzante. Alcune compagnie, o performer, hanno invece optato per l'etichetta di «queer porn» che, oltre alle caratteristiche già elencate, respingeva in modo netto e chiaro qualsiasi deriva binaria dal punto di vista del genere eventualmente ancora presente anche nelle produzioni di porno femminista. Qualunque fosse l'etichetta sotto la quale identificare i propri prodotti, tutte queste produzioni hanno basato la propria comunicazione pubblica dal punto di vista della trasparenza ed eticità dei propri processi produttivi, distributivi e di lavoro che hanno portato ad abbandonare, almeno parzialmente, le precedenti designazioni a favore della dicitura di «porno etico» o ethical porn. La creazione di una rete= Ruolo centrale per lo sviluppo di una rete, tanto comunitaria, quanto produttiva, distributiva e definitoria di una sorta di canone, è (ed è stato) assunto da una serie di Festival a questi prodotti specificamente dedicati. Uno dei più conosciuti è sicuramente il Feminist Porn Award di Toronto, creato nel 2005 e attivo fino al 2016 (dopo è diventato il Toronto International Porn Festival) , nato con la volontà di promuovere altri immaginari rispetto a quelli più diffusi nella pornografia commerciale eterosessuale. A ideare il festival Good For Her, rivenditore di sex toys e centro culturale sex-positive e transfemminista di Toronto. In Italia, il più famoso festival dedicato al queer porn è l’Hacker Porn di Roma. Iniziative come queste hanno garantito la circolazione di prodotti che non avrebbero avuto grandi margini di manovra all’interno dei canali distributivi più importanti. Eppure, nonostante le nuove opportunità offerte dalla tecnologia e la prova tangibile fornita da queste nuove compagnie, i discorsi sulla pornografia continuano a essere caratterizzati da una profonda cecità in proposito. Si moltiplicano i materiali a disposizione del pubblico, usi e costumi sociali vedono una sempre maggior centralità del sesso e delle rivendicazioni legate alla sessualità nella scena pubblica; i corpi, soprattutto femminili, si spogliano, anche solo per pubblicizzare prodotti o accompagnare presentatori in prima serata ma il porno continua a essere trattato come un problema. Talmente tanto da essere posto al centro delle più disparate iniziative o proposte legislative, tutte basate sull'assunto della necessità di tutelare alcune categorie (donne e bambine/i) dal presunto rischio legato al consumo di pornografia. Carattere repressivo e produttivo della legge= Come spiega Feona Atwood è importante sottolineare un elemento: accanto al carattere repressivo delle leggi, che indicano cosa non può essere creato, distribuito, fruito, c'è sempre un carattere produttivo che delinea invece ciò che può esserlo—> questo passaggio rivela come alcune iniziative legislative finiscono per impedire la circolazione di nuovi linguaggi, immaginari e pratiche, e per riprodurre le caratteristiche più tradizionali delle pornografie audiovisive. Un circolo vizioso per il quale si muove alla pornografia l'accusa di offrire immaginari stereotipati e ripetitivi e di influenzare le maschilità e le femminilità in determinate maniere ma poi, di fatto, si impedisce che tali immaginari considerati altamente problematici possano in qualche modo evolversi. Il concetto di body genres= Un punto di svolta per quelli che poi verranno accorpati sotto l'etichetta di porn studies è l'uscita di un contributo di Linda Williams che dà una spinta sostanziale al riconoscimento della pornografia come un tema di studio legittimo. Nel suo pioneristico lavoro del 1989, la studiosa opera un tentativo di normalizzazione dello studio della pornografia—> sfruttare un criterio semantico-sintattico: significa concentrarsi sia sugli aspetti semantici, ossia le caratteristiche tematiche e iconografiche comuni a più film, quali ambienti, personaggi, situazioni, sia sugli aspetti sintattici, ossia le strutture narrative che si ripetono e il modo in cui vengono organizzate nelle opere filmiche che si presume appartengano a un medesimo genere cinematografico. A tal proposito, Williams mette al centro della sua analisi il concetto di body genres, termine che fa riferimento a tutti quei generi che utilizzano la spettacolarizzazione del corpo femminile, rappresentato come eccedente, allo scopo di stimolare una reazione corporea dell'audience. All'interno del body genres, l'autrice inserisce, e mette dunque sullo stesso piano, la pornografia con altri generi come il melodramma e l'horror. Ad accomunarli è il fatto che tutti utilizzano specifiche strategie di elicitazione: gli spasmi nel caso del porno, i singhiozzi nel melodramma e le urla nell'horror. Inoltre, l'autrice offre delle riflessioni innovative sul rapporto tra pornografia, genere e patriarcato: - sottolinea come la pornografia sia pressoché l'unico genere popolare a offrire un immaginario non punitivo verso le donne che cercano di ottenere il proprio piacere sessuale. Vale la pena sottolineare come la cittadinanza sessuale femminile si muova ancora sul filo della reputazione all'interno di un sistema di doppia morale che premia l'agency sessuale maschile mentre giudica, stigmatizza e limita quella femminile. - rileva che la pornografia, nonostante voglia parlare di sesso, in realtà mette in scena il genere, ma che il genere stesso assume significato per coloro che la consumano solo perché loro stessi sono già immersi nei processi di costruzione dei generi, ossia, sono stati già genderizzati nei discorsi. In altre parole, interpretiamo le dinamiche e le questioni di genere raffigurate dalla pornografia solo perché queste esistono e vengono performate nella vita di tutti i giorni, oltre, prima e dopo l'ideazione di questi medesimi prodotti. Riconosce, dunque, nella pornografia un sistema di rappresentazione con delle costanti specifiche e generiche, che sono assolutamente intrecciate a determinate narrazioni su genere e potere e problematizza la centralità fallica in tali produzioni in quanto utilizzata come strumento di misurazione e di possibilità del desiderio. Il problema, dunque, non è il focus della pornografia sul pene, sulla sua erezione e sull'eiaculazione (caratteristiche, queste, ricorrenti in determinate produzioni) ma la sua pretesa di leggere in questi elementi la prova, la condizione per immaginare e descrivere il desiderio e il piacere sessuali. Tuttavia, concetti come potere e genere, in quanto tali, hanno la possibilità di mutare nel tempo e questo, per l'autrice, definisce il sistema di rappresentazione del porno come un sistema aperto—> Williams riconosce una relazione tra le interpretazioni che ne diamo e la società in cui tali discorsi fioriscono e si diffondono, tra il testo e il contesto di produzione. Tale riflessione rappresenterà un caposaldo nella maggior parte dei contributi afferenti alla (neo) disciplina dei porn studies. Così, a essere interessanti, diventano le pratiche di consumo per determinate categorie, come queste si integrano nella quotidianità, il rapporto tra contenuti e media in senso più ampio, etc… A promuovere questa svolta non è solo la centralità assunta dalla Rete, ma anche alcuni cambiamenti relativi al contesto culturale e accademico più ampio—> oltre alle già citate innovazioni tecnologiche, c’è l'attenzione riservata dai nuovi cultural studies ai prodotti della cultura popolare e a come il significato dei testi vada ricercato nel loro legame con il contesto culturale, sociale ed economico più ampio; così come la centralità assunta dalle riflessioni e chiavi di lettura fornite dal movimento femminista, LGBTQIA+ e dalla loro traduzione accademica, ovvero l'area dei women's studies, men’s studies e queer studies. Le cinque aree di ricerca dei porn studies= Federico Zecca (2012) identifica cinque aree principali di ricerca all'interno dei porn studies: 1. La prima è interessata ai mutamenti di ordine linguistico-istituzionale del genere; un'area, questa, più vicina a quella dei film studies e a quanto detto riguardo il contributo di Linda Williams alla nascita della disciplina stessa dei porn studies. garantisce un'esperienza più intima e personalizzata con le/i performer, è interessante rilevare due questioni: - praticamente alla stessa cifra mensile rispetto a Pornhub Premium, OnlyFans crea l'accesso ai materiali di una/un performer mentre l'aggregatore, per definizione, offre una quantità e varietà di materiali non paragonabile. - direttamente collegata alla prima, ha proprio a che fare con il livello di coinvolgimento che, dal punto di vista di chi produce contenuti, implica un lavoro emozionale e una pressione sul tipo di presentazione del sé da offrire al pubblico particolarmente faticosi da sopportare sul lungo periodo. Per competere con l'offerta di Pornhub Premium le/i performer subiscono una forma di richiesta implicita di offrire contenuti sempre più particolari, personalizzati, esperienze sempre più intime e memorabili per chi è abbonatalo che altrimenti potrebbero spostare il proprio interesse verso altre persone. Interviste, dietro le quinte, richieste particolari, ma anche prodotti performati ad hoc per loro sulla base di indicazioni e desideri specifici vanno a ridefinire ed erodere, nuovamente, la linea di distinzione tra chi produce e chi consuma e quella dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori del sesso. La questione del reddito delle/dei performer= Molte lavoratrici e molti lavoratori accettano di lavorare dietro compenso scarso o nullo nel porno come strategia di marketing e promozione del reddito della propria immagine, con l'obiettivo di dirottare verso canali più remunerativi potenziali clienti. Il porno rappresenta il più prestigioso tra i lavori sessuali ma, al contempo, il meno redditizio. A tal proposito, Sophie Pezzuto sottolinea come, nel momento in cui non possono più fare affidamento sulle grandi case di produzione per avere un reddito garantito, i porn performer si trasformano in porntropreneur, ossia veri e propri imprenditori digitali che sfruttano le piattaforme digitali per guadagnare da una gamma diversificata di servizi erotici e sessuali e curano accuratamente la propria immagine come fosse quella di un brand. Questo processo di autocommodificazione del sé si estende a vari aspetti della loro vita pubblica, ma anche privata e modella tutte le loro decisioni. Non è un caso che i profili più di successo su OnlyFans sarebbero quelli di soggetti che hanno un folto seguito anche al di fuori della piattaforma, soprattutto su altri social, come ad esempio Instagram, e che rispondono meglio a determinate caratteristiche, modelli estetici dominanti e aspettative di genere e sessuali. Di conseguenza, per soggetti come donne trans, razzializzate, o con disabilità, diventa più complesso riuscire a situarsi con successo nel mercato e avere accesso a quelli che abbiamo già indicato come guadagni indiretti, ovvero la possibilità di essere scritturate dalle porn company (quindi l’attività di porntropeneur non è esente dai processi di gerarchizzazione e accesso al potere). 3. DIREZIONI FUTURE Quello tra pornografia, tecnologia e genere è un rapporto complesso e di influenza reciproca che va a definire e ridefinire costantemente i confini delle rappresentazioni così come le pratiche produttive, lavorative e di consumo. La pornografia. nuovamente, si è evoluta e con essa il contesto più ampio. Nuove prospettive disciplinari e tecniche di ricerca, come gli studi sulle piattaforme, quelli informatici, sulle economie digitali, sulle realtà virtuali, iniziano a illuminare aspetti differenti del fenomeno, andando a colmare i gap conoscitivi di un universo in continuo e imprevedibile mutamento. Pornografia e realtà virtuale= Alcuni studi si stanno occupando di indagare questo rapporto, in particolare gli effetti di vari gradi di immersione sulla percezione del materiale pornografico. A un campione di sessanta uomini, ad esempio, è stato mostrato materiale porno alternativamente su un monitor bidimensionale e su un display VR tridimensionale ad alta immersione montato sulla testa (HMD), misurando l'eccitazione fisica come risposta di conduttanza cutanea e quella sessuale soggettiva utilizzando un altro tipo di dispositivo. I risultati hanno mostrato che la visualizzazione tramite la tecnologia VR ha avuto un effetto più forte sulle reazioni psicofisiologiche e sull'esperienza soggettiva rispetto alla fruizione convenzionale. Altre ricerche, invece, analizzano le strategie di progettazione tecnica dei porn tubes. Attraverso il data mining, i porn tubes utilizzano delle identità algoritmiche, modificabili nel tempo, che mediano le categorie sessuali e consentono una navigazione ripetitiva. Il rischio di una fuga di dati= Molti contributi si occupano della condivisione a terzi o del furto dei dati raccolti dai siti porno, giungendo alle conclusioni che il rischio di una fuga di dati sul consumo di pornografia è nettamente maggiore rispetto ad altri tipi di dati raccolti online. Molte/i utenti non prestano il proprio consenso alla raccolta dati; le politiche sulla privacy del sito non sono chiare e, inoltre, l'impatto di tale imprevisto è sensibilmente più negativo per soggetti e comunità marginalizzate (persone queer e donne). In tal senso, un fenomeno analogo che sembrerebbe colpire in modo sproporzionato le donne è il deepfake porn, ovvero, la pratica di montare sui corpi delle/dei performer il viso di altre persone, ottenendo risultati estremamente realistici. Alcune ricerche hanno dimostrato che una buona consuetudine per limitare la diffusione di deepfake porn è quella ideata da una sezione di Reddit, Gonewilde; questa prevede l'invio di una fotografia che ritrae la donna che tiene in mano un cartello scritto a mano con il suo nome utente, la data e il nome del subreddit—> i cambiamenti che caratterizzano il porno 2.0 necessitano di approfondimenti, avendo rivoluzionato prima ancora che venisse completamente compreso, il panorama della pornografia. CAPITOLO 6 → MEDIA DIGITALI E DATING Con il termine dei dating online ci si riferisce ai servizi Internet-based utilizzati per entrare in contatto con potenziali partner, con obiettivi che variano da incontri occasionali e relazioni più impegnate, senza escludere contatti di altra natura come la conoscenza o l'amicizia. Oggi il dating online è supportato da applicazioni geocalizzate fruite tramite dispositivi mobili, tecnologie che garantiscono un’esperienza in tempo reale e ubiqua. Negli USA il dating online è la modalità più diffusa di contatto tra le coppie omosessuali e di recente anche tra quelle eterosessuali. I giovani adulti, le persone di età compresa tra i 24 e i 34 anni, sono stati i primi utilizzatori delle app di dating e poi l’uso si è esteso anche presso altre generazioni. In Italia la diffusione è meno ampia rispetto ad altri paesi occidentali, sebbene negli ultimi anni le app di dating abbiano perso buona parte del loro stigma sociale e siano diventate mainstream anche tra gli adulti. Nel nostro paese il 34% delle persone non sposate usa un servizio di dating, il 65% è di sesso maschile e il 70% ha meno di 30 anni. L’utilizzo di tali app ha avuto un incremento durante la pandemia da Covid-19. Anche in Italia gli apripista sono stati gli utenti omosessuali maschi: Grindr è stata la prima app dedicata alla comunità gay e attualmente molte delle app mainstream offrono opportunità anche a individui appartenenti al mondo LGBTQIA+. Meno noti e meno studiati sono gli ambienti esclusivamente dedicati alle donne che cercano altre donne. Un primo motivo di interesse per il dating online risiede nel fatto che questo mette in luce in modo plastico il nesso tra attività online e contesti della vita offline. In altri termini, le preferenze espressa dagli utenti sulle piattaforme di dating condizionano in modo concreto le loro esperienze di vita e la geografia delle loro relazioni e analogamente le esperienze e le preferenze espresse nel mondo fisico (offline) hanno un ruolo significativo nelle forme di presentazione del sé e nelle interazioni che si istaurano all’interno degli ambienti di dating. Infatti, le scelte impostate come utente (raggio geografico, limiti d’età, ecc.) condizionano la lista dei profili disponibili, gli scambi di messaggi, gli incontri e lo sviluppo delle relazioni future. Le pratiche che si sviluppano negli ambienti di dating online si prestano ad essere indagate attraverso uno sguardo di genere. Tinder Tinder, creata nel 2012, è l’applicazione di online dating più famosa al mondo ed è proprietà di Match Group. Tinder nasce con il nome di Matchbox ed è stata una delle prime app a introdurre l’azione dello swipe, ovvero la possibilità di mostrare o meno apprezzamento verso un utente in modo anonimo. Tinder ha 750 dipendenti, è diffusa in 90 paesi del modo e viene utilizzata da 75 milioni di persone al mese. Attraverso Tinder gold gli utenti sottoscrivono a un servizio a pagamento che consente funzionalità aggiuntive. In passato, l’azienda ha dichiarato di basarsi sul cosiddetto Elo score, un algoritmo ideato per attribuire un punteggio di desiderabilità di ciascun utente che veniva poi utilizzato per favorire l’incontro tra persone con un punteggio simile. Una co-fondatrice di Tinder, ha poi lasciato Tinder per creare Bumple, app che si caratterizza per la scelta di lasciare solo alle donne la possibilità di avviare un primo contatto. 1. I PRINCIPALI APPROCCI DI ANALISI I servizi di dating commerciali online hanno iniziato a diffondersi dalla metà degli anni Novanta del Novecento. Nei decenni precedenti esistevano sistemi di appuntamenti basati su inserzioni in quotidiani e periodici. I primi servizi commerciali online, tra cui Match.com, sono stati lanciati nel 1995 parallelamente con lo sviluppo del web. Nel 2007 sono state proposte sul mercato le prime app di dating ideate per dispositivi mobili (Skout e Zoosk) e basate sulla geocalizzazione. Le persone appartenenti alla comunità LGBTQIA+ rappresentano una fetta rilevante degli utenti delle app di dating perché mostrano maggior propensione ad iniziare una relazione online. Infatti, i servizi di dating favoriscono la creazione di legami tra persone che altrimenti avrebbero maggiori difficoltà a entrare in contatto, magari a causa della minore presenza di luoghi di incontro a loro dedicati o perché scelgono di sperimentare la propria sessualità in ambienti più protetti: in questo senso i servizi di dating online rappresentano risorse preziose per accompagnare diverse persone nei processi di emancipazione e di scoperta della propria sessualità Fin dall’avvento di Internet, le persone omosessuali e/o non binarie hanno svolto un fondamentale ruolo di apripista nello sperimentare le modalità di incontro mediate dal digitale ed infatti molte app sono nate per supportare esclusivamente interazioni tra utenti dello stesso sesso, mentre altre app si rivolgono a un pubblico più generalista. Il dating online ha ridefinito l’immaginario relativo agli incontri con sconosciuti e ha contribuito a riorganizzare alcune conformazioni familiari, rompendo i classici vincoli geografici. Grindr supporta l’incontro tra pseudonymous strangers cioè persone che non abbiamo ancora conosciuto dal vivo ma alla cui persona online ci connettiamo attraverso app e dispositivi digitali, diventando consapevoli della loro prossimità anche geografica. Il processo di dating online si articola in tre fasi: 1. creazione profilo utente che fornisce una sua breve presentazione 2. impostazione dei criteri di ricerca dei potenziali partner tra una lista di opzioni e caratteristiche del potenziale partner 3. interazione con altri utenti: l’app agisce come un vero e proprio motore di ricerca e fornisce a oggi utente una diversa lista di contatti che rispondono alle preferenze elencate. Le applicazioni non sono trasparenti nel fornire informazioni rispetto a quali criteri sono utilizzati e a come questi influenzano la lista dei risultati. Per ciò che concerne i tradizionali ruoli di genere alcune ricerche hanno mostrato che in contesti eterosessuali anche negli ambienti dating online tendono a persistere quei dating script convenzionali che assegnano ruoli stereotipati a uomini e donne. Si tratta di copioni ovvero di un insieme di comportamenti ritenuti adeguati per uomini e donne. Questo insieme di regole non scritte ma sedimentate sul piano sociale e culturale, definisce le condotte considerate adatte. In alcuni casi gli ambienti online possono diventare uno spazio per l’espressione di forme di maschilità tossica o egemone che rischiano di portare ad esempio all’invio di materiale fotografico sessualmente esplicito e non desiderato o comunque in forme espressive sessualmente esplicite e non consensuali. Alcune piattaforme paiono contrapporsi sia alle forme di maschilità più convenzionale, sia alla presenza di dating script e ruoli di genere tradizionali. In particolare AdottaUnRagazzo costruisce un ambiente orientato al concetto di girl power e la piattaforma si autodescrive come un ambiente basato sull’inversione dei ruoli e come una community dove a fare il primo passo sono le ragazze. Tuttavia, questa app ricade sull’adesione a quelli che vengono definiti i ruoli che sono solo momentaneamente sospesi. Diverso è il caso di Bumble poiché, nonostante a fare il primo passo siano le donne, la funzionalità non viene presentata come volta a sovvertire generici ruoli, ma si sottolinea la distanza da dinamiche di potere tradizionali e l’obiettivo di garantire maggiore equality. 3. DIREZIONI FUTURE Il caso italiano è particolarmente interessante in quanto nella nostra società si rileva ancora uno stigma sociale nei confronti dell’uso delle app di dating che è superiore di quello registrato in altri paesi: spesso gli utenti italiani/e esprimono imbarazzo nel rilevare di avere conosciuto i propri partner online e percepiscono di essere oggetto di giudizi negativi in quanto utenti di app di dating. La società italiana è inoltre ancora caratterizzata da una elevata omotransfobia e da una cultura mainstream fortemente eteronormativa. Le persone del mondo LGBTQUIA+ sono spesso più restie che in altri paesi nel dichiarare pubblicamente il proprio orientamento sessuale. Inoltre, è interessante analizzare gli stereotipi legati al corteggiamento e all’espressione del proprio desiderio sessuale. Importante e interessante è studiare inoltre l’uso delle app di dating da parte dei più giovani così da comprendere come le relazioni intime si modificano a contatto con le logiche dell’universo digitale. Infine, merita attenzione l’utilizzo delle app durante la pandemia Covid-19. MEDIA DIGITALI E SESSUALITA’ NON NORMATIVE: (capitolo 8) Intro: in questo capitolo si parla del rapporto tra il mondo LGBTQIA+ e internet concentrandoci su come queste soggettività abbiano messo in atto pratiche di costruzione del sé e di messa in scena della sessualità che hanno dato loro la possibilità di svincolarsi da rappresentazioni essenzialmente stereotipate. Alcuni autori sostengono che con l’avvento delle nuove tecnologie digitali si assiste a una nuova rivoluzione sessuale che porta a una riorganizzazione complessiva delle relazioni socio sessuali negli ambienti mediali delle tecnologie. In termini generali si può sostenere che lo sviluppo dei media digitali offra due elementi di novità: 1- Da un lato modifica le cornici e gli elementi dell’interazione faccia a faccia. 2- In secondo luogo i media digitali permettono la fusione tra pubblici diversi che spesso non condividono il medesimo spazio o il medesimo tempo, dando vita a nuovi ambienti sociali. ➔ Rappresentarsi: la costruzione del sé LGBTQIA+ nei mondi digitali: i media digitali prevedono la possibilità di definire performance complesse in cui coesistono la presentazione del sé, la rappresentazione e l’embodiment. In particolare, essi diventano l’ambiente in cui ha luogo un lavoro identitario digitale dove le rappresentazioni identitarie vengono prodotte per essere poi condivide e conservate nei dispositivi o nei social. Le affordance dei digital media, indicano, pure senza predeterminarle, nuove modalità di socialità in termini di interazione, relazione, condivisione e produzione di contenuti. Un fenomeno che dimostra l'importanza rivestita dalle infrastrutture nel condizionare le strategie di ridefinizione identitaria degli utenti è il così detto «collasso dei contesti». I social network possono determinare una contrazione e collisione dei contesti: come ad esempio su Facebook, su Instagram o altri social network sia facile avere tra i propri contatti persone che appartengono a mondi sociali spesso molto distanti tra loro. Tale collasso ha ovviamente un impatto peculiare per gli appartenenti alla comunità LGBTQI+. Questi ultimi si trovano costretti a dover ridefinire intenzionalmente la propria identità sessuale attraverso diversi pubblici, o a gestire uno svelamento non voluto della propria identità per via delle condizioni sociali delle loro reti online. Le affordance possono offrire ai diversi pubblici interconnessi performance identitarie che non permettono di distinguere ribalta e retroscena, con effetti di potenziale stigmatizzazione e necessarie strategie di gestione dell’informazione identitaria. - Un esempio del fenomeno del collasso dei contesti lo si trova nell’uso delle “mobile dating app”, come ad esempio Tinder, lanciata nel 2012, all’inizio Tinder e Facebook erano collegati. Un modo attraverso cui gli ambienti digitali offrono alle soggettività LGBTQIA+ una sperimentazione della propria identità, la narrazione del proprio sé e la costruzione dei propri desideri, sono quelle che potremo definire come storie di coming out digitale. Possono essere considerate come espressioni di attivismo quotidiano dal basso che permettono di far convergere nella narrazione personale istanze collettive e politiche di rivendicazione e di far emergere contro discorsi. È sempre più crescente infatti, l’uso dei social media come ambiente mediato per la condivisione dei propri racconti di disvelamento identitario e delle diverse strategie di fronteggiamento potenzialmente utili per soggetti che vivono queste esperienze. Gli LGBTQIA+ tramite questi spazi offerti dalle piattaforme digitali, dibattono tra di loro su argomenti della propria sfera privata, ma offrono allo stesso tempo le proprie riflessioni a un pubblico potenzialmente differenziato e rendono accessibile uno storytelling intimo digitale. Progetto It Gets Better creato dal giornalista e attivista per i diritti gay Dan Savage; creò un archivio online di video di adulti omosessuali che condividono le proprie storie di discriminazione, di omofobia e di resistenza. Se ci focalizziamo sul coming out digitale, possiamo identificare YouTube come il principale oggetto di riflessione per i lavori che si sono concentrati sul tema dello sviluppo identitario. I creators con i propri video sono in grado di adattare le loro storie di coming out a contesti specifici, a dinamiche peculiari, a momenti concreti del processo di disvelamento, al ruolo che possono svolgere i familiari, il gruppo dei pari e i contesti educativi. I video di coming out assumono una duplice funzione: - Da una parte, permettono di diffondere informazioni, acquisire prospettive comuni o condividere un vocabolario di motivi che offra l’opportunità di acquisire quelle competenze necessarie per avviare percorsi di resistenza all’interno di contesti sociali discriminatori. - Dall’altra parte, attivano processi di visibilità, intesa non semplicemente come la possibilità di far circolare rappresentazioni delle identità sessuali e spettatori potenzialmente illimitati, ma nell’accezione di rendersi visibili e reali come soggetti incarnati. Un altro esempio del modo in cui i media digitali funzionano come banchi di prova per sperimentare la propria identità sono i video di transizione realizzati da persone transgender. Le prime ricerche sulla costruzione delle identità trans si occupavano soprattutto dei forum di discussione. I vlogs trans costituiscono una forma di azione politica che consente a coloro che li realizzano di diventare soggetti legittimati a disporre dei propri corpi, contrapporsi ai saperi esperti istituzionalizzati e dar vita a forme di autocoscienza digitale attraverso l’uso di un linguaggio informale in gradi di trasmettere maggiore autenticità e confidenza ai propri pubblici. Troviamo poi un problema legato alle piattaforme digitali, riguarda tutte quelle situazioni di stress, e disagio che possono provare le persone che si ritrovano nel mezzo del processo di transizione. La presenza dei social media può danneggiare in qualche modo, soprattutto coloro che vogliono nascondere informazioni sulla loro identità passata. Nonostante tutte le promesse di emancipazione, i media digitali presentano numerosi limiti per le soggettività LGBTQIA+. Possono escludere tutti quei soggetti che non aderiscono a rappresentazioni normative, normalizzando le identità più plausibili e impedendo la possibilità di autorappresentarsi a una serie di altre sessualità; in secondo luogo, finiscono per introdurre modelli lineari di sviluppo identitario. Infine, rischiano di semplificare eccessivamente anche i processi di coming out omosessuale. ➔ Relazioni socio-sessuali digitali e popolazione LGBTQIA+: Il mondo digitale è oggetto dell'interesse delle scienze sociali anche per quanto riguarda la costruzione delle relazioni intime, la selezione dei partner e la sperimentazione di pratiche sessuali. In particolare, l'uso di applicazioni mobili per incontri contribuisce non solo a facilitare amicizie e creare un senso di appartenenza, ma consente anche forme diversificate di sperimentazione sessuale e di negoziazione degli spazi virtuali con quelli materiali, soprattutto per tutte quelle sessualità non normative spesso discriminate nel mondo offline (app come Grinder, Tinder, Badoo, hanno contribuito a riconfigurare le modalità relazionali delle minoranze sessuali, facilitandone gli incontri attraverso i match, e la geolocalizzazione). Gli intrecci tra mondi digitali e materiali prevedono la coesistenza di obiettivi multipli che ridefiniscono profondamente la differenziazione tra spazi prettamente gay ed esclusivamente eterosessuali. Le caratteristiche e il design dei dispositivi di hook up hanno introdotto trasformazioni nelle pratiche e nelle dimensioni relazionali rispetto alle infrastrutture e gli ambienti preesistenti. Questi cambiamenti hanno investito gli spazi tradizionali delle minoranze sessuali. Alcuni studiosi e studiose sostengono che l'abbandono di tali spazi abbia determinato un impoverimento culturale e una più complessiva depoliticizzazione dei gay village. Altri, al contrario, ritengono che i media digitali producano una ibridazione tale degli spazi online e offline da rendere difficoltoso concettualizzare in modo distinto le due realtà. Applicazioni mobili come Grinder e social network come Gaydar, ad esempio, vincolano attivamente la formazione e la gestione identitaria dei maschi gay attraverso le loro infrastrutture tecno-digitali e le loro affordance, limitano l'auto rappresentazione individuale all'interno di categorie orientate al marketing e alla pubblicità oppure condizionano gli utenti ad assumere caratteristiche di genere specifiche che veicolano rappresentazioni normative della maschilità. Un caso interessante nelle forme di rappresentazione del sé è la pratica dello straight-acting, ossia ogni strategia estetica, comportamentale o personologica virilizzante messa in atto per apparire iper-mascolini. Come alcuni studi dimostrano, lo straight-acting viene utilizzato anche negli ambienti digitali per riprodurre ed estendere i limiti delle performance accettabili della maschilità. - la riflessione sulla relazione tra performance ed exhibition: nei social media le/gli utenti in realtà non attuano una vera e propria performance che ha le caratteristiche di essere effimera e in tempo reale, quanto piuttosto scelgono accuratamente i contenuti da pubblicare, selezionandoli nel tempo come se si trovassero appunto in una esibizione pubblica. È un approccio interessante, ma che appare superato almeno in parte dal fatto che oggi i social media possono ospitare contenuti live ed effimeri unendo quindi la performance con l'exhibition. Theresa Senft è una delle prime autrici a interessarsi delle forme di rappresentazione della femminilità in Rete. Il suo studio unisce i due filoni prima evidenziati, mostrando come fin dall'inizio la ricerca sulla rappresentazione della femminilità online unisca a un approccio sociologico anche la riflessione femminista. La performatività di genere= la sua analisi aggiunge infatti al concetto di performance di Goffman quello di performatività di genere elaborato dalla studiosa Judith Butler. Secondo la filosofa statunitense, il genere non è una realtà fissa derivata a priori dalla binarietà dei sessi e dunque non è dato una volta per tutte. Esso è variabile, in quanto costruito in base ad una serie di performance, ossia parole e azioni che vengono interpretate e incorporate dal soggetto nel corso della sua vita. Attraverso la loro ripetizione, queste performance finiscono per diventare un insieme di pratiche regolatrici - istituite e mantenute socialmente come cosiddetti «regimi discorsivi» - che creano il genere stesso, e producono degli effetti sui modi in cui ci percepiamo e rappresentiamo in quanto donne o uomini. NB—> Fra performance e performatività sussiste dunque una differenza: la performance può essere considerata l'atto di presentazione del sé in un determinato contesto; la performatività, al contrario, si riferisce al fatto che il genere non sia un'entità definita ma possa essere variabilmente rappresentato e che tali rappresentazioni costituiscano modalità di definizione dello stesso. Questi due concetti ricorrono spesso insieme all'interno degli studi che hanno messo a tema la rappresentazione del sé al femminile sui social media. Una prima riflessione che muove in questa direzione è contenuta nell'introduzione a un numero speciale della rivista Women and Performance—> analizzando l'esperienza di una community virtuale online statunitense composta prevalentemente da donne, la ricercatrice arriva a sostenere che gli studi sulla Rete di quegli anni stessero focalizzando troppo l'attenzione sull'idea degli spazi digitali (o virtuali come venivano chiamati negli anni Novanta) quali luoghi di gender swapping (ovvero di presentazione di un genere differente dal proprio), come se il genere potesse essere considerato performativo solo quando agisse online. Il concetto di identità prostetica= Proprio per superare quello che era diventato oramai un luogo comune, viene introdotto questo concetto, ovvero di una identità che si articola fra online e offline, dimensione organica e inorganica. A tal proposito, Senft richiama anche il concetto di cyborg, ovvero di un corpo che unisce cibernetico - inorganico - e corpo umano - organico. Lo studio sulle camgirl= Il secondo lavoro di Senft importante da menzionare è Camgirls: Celebrity and Community in the Age of Social Networks pubblicato nei 2008. Si tratta di una delle prime ricerche interamente dedicate all’uso delle nuove tecnologie e alla rappresentazione della femminilità in Rete. Il volume descrive i risultati di un lavoro di studio etnografico sull'uso delle webcam da parte di un gruppo di camgirl condotto fra il 2000 e il 2004. Le camgirl sono donne che scelgono deliberatamente di posizionare nella propria casa una webcam che riprende le loro attività quotidiane. Decidono di farlo per numerosi motivi, fra i quali desiderio di connessione, di celebrità, o per finalità artistiche. Occorre tener conto che, nei primi Duemila, i video delle camgirl non generavano un flusso continuo ma un insieme di immagini che si aggiornavano con una frequenza più o meno veloce in base alla connettività e alla tipologia di visione. Analizzando il fenomeno, Senft dimostra come dietro al processo di costruzione del sé si intrecci un complesso di pratiche attuate dalle camgirl per ottenere un effetto di realismo che appare una novità sul fronte dei media e si distingue anche dal contemporaneo fenomeno della reality television. I contenuti diffusi dalle camgirl sono invece (apparentemente) non curati, dal momento che le webcam sono collocate nello spazio domestico e lo streaming è immediato. La relazione fra ribalta e retroscena, per dirla con Goffman, è più complessa, perché se è vero che le telecamere riprendono la vita domestica delle camgirl in un contesto che abitualmente sarebbe rubricato come retroscena, esso, diventando pubblico, si trasforma di fatto a sua volta in una ribalta di cui esiste un ulteriore retroscena. Micro-celebrità, branding e lavoro emozionale= L'attenzione sulle modalità di presentazione del sé permette a Senft di introdurre una serie di concetti oggi ampiamente utilizzati per teorizzare e comprendere il fenomeno degli influencer, quali «micro-celebrità», branding e «lavoro emozionale» (emotional labour). La visibilità delle camgirl dà vita a episodi di vera e propria micro-celebrità, ovvero un nuovo stile di performance online in cui gli utenti accrescono la propria notorietà estendendo la loro presenza anche su blog e social network, raggiungendo però una forma di popolarità che differisce da quella tradizionale perché si basa su un principio di connessione e dialogo con il proprio pubblico e non di lontananza. Inoltre, per emergere le camgirl attuano una serie di meccanismi di branding, di costruzione del proprio marchio personale attraverso caratteristiche specifiche e riconoscibili che rimandano a quelle utilizzate dai brand. Infine, le camgirl sono coinvolte in forme di lavoro emozionale, ovvero sfruttano nel processo di mercificazione del sé anche la propria sfera emotiva e relazionale. Questi meccanismi culminano anche in veri e propri esperimenti costruiti ad hoc, come il celebre caso di Lonelygirl15. Senft legge questi fenomeni in chiave femminista, con l'obiettivo di sovvertire alcuni luoghi comuni, come il fatto che necessariamente l'uso della webcam sia legato all'esibizionismo così come quello che la visione da parte degli spettatori sia connessa a pratiche voyeuristiche. Il lavoro di Senft costituisce ancora oggi un punto di riferimento per la ricchezza dell'analisi e dell'approccio rispetto ai processi di rappresentazione del sé, di popolarità e di celebrità in Rete. LONELYGIRL15=> uno dei più noti esperimenti sociali legati alla costruzione in Rete di un profilo fittizio presentato però, almeno nella sua fase di lancio, come autentico sfruttando una profonda conoscenza dei meccanismi di costruzione e performance dell'identità online. Si tratta di fatto di una webserie con protagonista una ragazza di nome Bree (lonelygir|15) pubblicata fra il giugno 2006 e l'agosto 2008 su YouTube sotto forma di videoblog periodici della ragazza. Sono video in cui il/la protagonista racconta la propria vita quotidiana e si distinguono quindi da altri formati tematicamente connotati presenti su YouTube come le recensioni o i tutorial. Per rafforzare l'illusione di autenticità viene aperta a nome di Bree anche una pagina su MySpace, social network molto popolare in quegli anni, e un sito web. Già prima che fosse ufficialmente rivelato che il progetto era in realtà una finzione, gli utenti avevano dato vita sul sito dedicato a diverse discussioni in merito, analizzando nel dettaglio le incoerenze di contenuto e di setting. A settembre 2006 viene finalmente rivelato che la serie è una finzione. Nonostante questo, le visualizzazioni continuano a crescere. Nel 2008 la serie raggiunge più di 110 milioni di visualizzazioni su tutte le piattaforme. L'importanza di questo caso risiede in diversi motivi evidenziati da svariati studi: a) la riproduzione delle strategie di narrazione attuate dagli utenti in modo da creare una realtà finzionale che sembra però reale; b) il coinvolgimento attivo degli utenti nella produzione del contenuto non tanto come forma di valorizzazione della cultura della convergenza ma come sfruttamento del loro lavoro per capitalizzare poi le visualizzazioni della serie tv; c) la trasformazione della cultura di YouTube da piattaforma che consente la narrazione video a piattaforma di monetizzazione dei contenuti. Due ulteriori concetti importanti per comprendere la piega più recente degli studi che analizzano la rappresentazione della femminilità in Rete sono il postfemminismo e il neoliberismo. Il postfemminismo= Il termine inizia a diffondersi soprattutto a partire dagli anni Novanta in ambito angloamericano e sotto la forte influenza dei media di massa. Nella sua accezione più comune, il postfemminismo si propone di superare la tradizione dei movimenti femministi dei decenni precedenti. Secondo questa visione, dal momento che le donne occidentali hanno oramai ottenuto parità di diritti e opportunità, continuare a rivendicare l'emancipazione collettiva femminile è diventato irrilevante. Piuttosto, le donne devono lottare per affermare la propria libertà di diventare tutto ciò che vogliono essere e realizzarsi a livello personale (da cui il concetto di empowerment). Non è un caso che alcune delle eroine mediali postfemministe dell'epoca vadano dai personaggi di Sex and the City ad Ally McBeal fino a Bridget Jones: donne che affermano il diritto di usare i propri corpi come strumenti di seduzione, in linea con i dettami del mercato e della società dei consumi. QUATTRO ACCEZIONI DEL POSTFEMMINISMO= Tuttavia, il concetto di postfemminismo non si limita a questa unica accezione comune. Come spiega la sintesi operata da Gill e Scharff, esso può essere definito in quattro modi: - Postfemminismo come superamento della seconda ondata di femminismo, che si basava su battaglie e rivendicazioni sociali collettive (chiave storica); - Postfemminismo come reazione rispetto al femminismo ritenuto irrilevante, dal momento che le donne hanno raggiunto la parità (backlash, reazione); - Postfemminismo come strumento di inclusione di tutte le differenze esistenti tra le donne (basate su razza, etnica, ceto, orientamento sessuale); - Postfemminismo come sensibilità contemporanea, in cui le istanze femministe vengono accolte ma riportate ad un pensiero individualistico, che non mette in discussione le strutture patriarcali che alimentano le disuguaglianze sociali. Il neoliberismo= nato come corrente politica ed economica caratterizzata da un elevato livello di privatizzazione e allontanamento dello Stato dalla gestione dei servizi pubblici, il neoliberismo è diventato negli anni un paradigma in cui il soggetto viene rappresentato come autonomo, autodeterminato, libero e indipendente, fautore delle proprie sorti. Nelle società occidentali, il neoliberismo definisce una precisa forma di vita che spinge l'individuo a concepirsi alla stregua di una impresa che vende un servizio su un mercato e gestisce la sua condotta e il suo rapporto con gli altri in modo calcolatore e utilitarista, come se fosse sempre impegnato in relazioni di competizione e concorrenza. Esso determina, così, quella che si può definire come una «generalizzazione dell'etica aziendale» che va a influenzare tutta la nostra esistenza: dalla realtà personale all'attività professionale, dall'intimità affettiva alla partecipazione politica. I legami tra postfemminismo e neoliberismo= Come evidenziano ancora Gill e Scharff , vi sono diversi legami fra postfemminismo e neoliberismo, in particolare il focus sull'autonomia e l'autodeterminazione del soggetto. Le due studiose notano che nei discorsi popolari sulla rappresentazione femminile, le donne sono chiamate a disciplinarsi e a regolarsi più degli uomini. Sono le donne, difatti, a essere celebrate per le loro abilità creative, spirito imprenditoriale e capacità di disciplinare i propri corpi (es. moda, fitness). Sono loro a incarnare quei principi di responsabilità personale, empowerment individuale e opportunità di «poter essere tutto quello che si vuol essere» che rimandano ai più ampi discorsi politici neoliberali che fanno leva proprio su consapevolezza individuale e meritocrazia. Per questo, secondo le due studiose, il neoliberismo è condizionato dal genere e le donne sono costruite come il suo soggetto ideale. In questa direzione, si può citare il lavoro di Amy Shields Dobson, la cui ricerca su culture digitali femminili e presentazione del sé analizza lo sviluppo dei social media, utilizzando proprio i concetti di postfemminismo. In particolare, nella sua opera la studiosa raccoglie una serie di indagini condotte negli anni precedenti legate all'analisi del concetto di performatività e rappresentazione della femminilità sui social media da parte delle giovani donne. Il suo obiettivo è quello di indagare come le ragazze si confrontino con gli ideali della femminilità postfemminista. Gli ideali della femminilità postfemminista= Secondo Dobson, la femminilità postfemminista si compone di due messaggi complementari ma contraddittori: - le giovani ragazze sono rappresentate come sicure di sé e capaci; continuano a vedere i loro corpi come oggettivati, ma è un oggettivazione è voluta e agita infatti gli ideali tipici della femminilità convenzionale sono presentati come una scelta consapevole delle ragazze. - Dall’altro lato, i soggetti femminili nei dibattiti sulla sessualità femminile, sono presentate come soggetti vulnerabili, dipendenti dall’esigenza di attenzione degli altri e quindi da difendere e proteggere. A partire da queste cornici teoriche, Dobson si concentra soprattutto sull'analisi di pratiche che vengono tradizionalmente stigmatizzate come sbagliate o sovversive per diverse ragioni, come la rappresentazione esplicita della propria sessualità, il sexting, la condivisione nei social media di racconti di disagio o dolore. Nella sua prospettiva tali pratiche sono significative dal punto di vista sociopolitico perché rivelano i modi in cui il postfemminismo e la femminilità sono oggi attivamente negoziati dalle giovani ragazze. Quello che emerge dal lavoro della studiosa è che la presentazione del sé sui social media è invece ambivalente e tende spesso a riprodurre gli stili e gli stereotipi culturali presenti nei media broadcast. 2. MATERNITÀ E CORPOREITÀ Fra le riflessioni più recenti emergono, per esempio, quelle che analizzano i regimi di regolamentazione del corpo e di rappresentazione culturalmente e religiosamente connotati, come la presenza delle donne con l'hijab (il velo islamico) su Instagram anche con un significato religioso oppure le atlete turche in bikini su Instagram la cui attività si lega a forme eteronormative e culturalmente connotate di regolazione del corpo femminile, ma costituisce anche uno spazio di resistenza per le donne stesse. Infine, un altro allargamento del tema delle rappresentazioni del femminile può riguardare i corpi disabili o altre situazioni di marginalità. La sessualità è un altro degli argomenti rilevanti analizzati dalle ricerche—> la riappropriazione della sfera sessuale e, in questo caso, della sua rappresentazione, è un tema caratterizzante, sebbene in modo differente, le diverse ondate del femminismo e intreccia, di conseguenza, anche i feminist media studies. 3. DIREZIONI FUTURE Nelle analisi del rapporto tra rappresentazione femminile e media digitali la componente tecno-sociale delle piattaforme ha assunto negli ultimi anni una notevole importanza. Tale prospettiva non si limita ad analizzare l'aspetto mediale e tecnologico, pure molto rilevante, delle piattaforme, quanto anche le implicazioni sociali, culturali ed economiche in quanto parte integrante del processo d'uso. Proviamo quindi a delineare alcuni macro-temi che saranno rilevanti per lo sviluppo delle ricerche in questo settore. Gli algoritmi= Un aspetto è collegato ai meccanismi di selezione gestiti dagli algoritmi che regolano la circolazione dei contenuti online e che si legano anche alle metriche che misurano l'interazione da parte del pubblico (ad esempio commenti, mi piace). Tali logiche informano l’azione delle/degli utenti che, mossi dal desiderio di avere visibilità e ricevere un riscontro di gradimento da parte delle/degli utenti, tendono a interiorizzare le norme d'uso e a elaborare strategie di produzione dei contenuti che possano essere rispondenti a quanto viene premiato dalla piattaforma. Una terza declinazione delle affordance si lega strettamente all'aspetto commerciale delle piattaforme che, va ricordato, sono aziende vere e proprie spesso quotate in borsa. Un esempio dell'influenza esercitata dalla loro logica mercificata è l'evoluzione del movimento body positivity—> visto che i media hanno spesso rappresentato in modo stereotipato il corpo femminile, negli anni sono nati dei movimenti che ne hanno sollecitato la diversificazione delle rappresentazioni. Le radici di questo movimento risalgono agli anni ’60 come reazione femminista contro la discriminazione verso le persone obese (in USA e Canada) e come incoraggiamento per la rappresentazione di tutte le corporeità. Il movimento è diventato popolare negli ultimi anni (2012) con la diffusione di diversi hashtag. In sintesi, l’idea che porta avanti è quella di non circoscrivere la rappresentazione del copro femminile a forme stereotipate, edulcorate o patinate ma di condurlo verso una realtà più accettabile 8anche per contrastare lo shaming). Il fenomeno ha avuto particolare successo tra gli/le utenti di Instagram, che lo hanno utilizzato non solo per portare avanti una propria filosofia di accettazione corporea ma anche per inserirsi nei trend e ottenere così visibilità e popolarità. Nel corso del tempo la filosofia è stata infatti appropriata anche da influencer e aziende che si sono inserite in quest'area rischiando di mercificare il movimento, ovvero di depotenziarlo rispetto alla propria componente valoriale al fine di legarlo a strategie di marketing o posizionamento. Gli studi mostrano l'ambivalenza del fenomeno, importante nello scardinare alcune forme di rappresentazione ma anche soggetto a essere incorporato in logiche economiche che rischiano di cristallizzarlo e svuotarlo di significato. Instagram e la pubblicità= Come testimoniano alcuni studi, da quando Instagram è diventato una piattaforma pubblicitaria nel 2013, le tendenze commerciali hanno fatto perdere la spinta originaria e autentica del movimento rendendolo non inclusivo. La presenza di pubblicità ha, infatti, da una parte sottoposto le attività delle/degli utenti a un processo di mercificazione per renderli target di pubblicità profilata, e dall'altra parte ha dato spazio ai brand che si sono appropriati dei valori del movimento e li hanno sfruttati ai fini del proprio posizionamento strategico. Altri studi al contrario, analizzando un corpus di immagini su Instagram legate ad account legati alla body positivity, hanno riscontrato che le immagini contenenti sponsorizzazioni e collaborazioni commerciali fossero comunque coerenti con il messaggio complessivo portato avanti rispetto all'accettazione del corpo. PIATTAFORME E RAPPRESENTAZIONI=> - Le affordance delle piattaforme tendono a riprodurre rappresentazioni stereotipate del genere, che confermano le ideologie dominanti (esempio: filtri su Instagram he contengono al loro interno forme di rappresentazione codificata del genere, ad esempio sovrapponendo al viso un trucco preimpostato oppure conformando il volto a fisionomie standard). - Le strategie di produzione dei contenuti delle piattaforme diventano strumenti che le/gli utenti interiorizzano per aumentare visibilità e gradimento. - Le logiche commerciali delle piattaforme trasformano le/gli utenti in target per il mercato e danno spazio al brand (esempio: evoluzione del movimento legato alla body positivity). - I termini di servizio delle piattaforme rappresentano meccanismi che regolano forme e modi di rappresentazione del corpo (esempio: nudi femminili su Instagram, le immagini di allattamento). CAPITOLO 11→ MEDIA DIGITALI E MASCHILITÀ L'idea delle maschilità globali è un concetto che pone l'accento sulle dimensioni transnazionali, appunto globali, di costruzione dei modelli di genere in cui i media digitali sono uno dei luoghi in cui questi si sostanziano e vengono messi in pratica. Gli spazi digitali sono sempre più territori di emersione pratiche maschilità variabili rispetto ai modelli normativi; ciò produce diverse implicazioni in termini di relazioni fra i generi e intragenere, ossia tra gli stessi uomini. I media digitali aprono la strada alla definizione di nuove maschilità più facili da mettere in scena e rivendicare online grazie anche all'anonimato e/o al sostegno delle comunità di pratiche costituite da uomini geograficamente disperse. Questa pluralizzazione dei modelli di maschilità che avviene negli spazi del web dà vita a due fenomeni tra loro opposti: da una parte genera processi di ibridazione e dall'altra i media digitali possono offrire occasioni di trasformazione delle relazioni intragenere, in grado di favorire l'emancipazione di maschilità che vengono definite come subordinate. 1. Studiare le maschilità: dalle origini alle maschilità globali Gli studi critici sulla maschilità, i men’s studies, hanno iniziato a svilupparsi negli anni 80 in particolare nel contesto anglosassone a seguito dell'evolversi dei movimenti femminista e omosessuale e degli studi di genere. Analisi sulla maschilità: 1. la riflessione sulla maschilità deve essere messa in relazione con il femminismo e i suoi temi di studio 2. Sono necessari degli strumenti teorici che pongono attenzione sulla produzione storica delle categorie sociali, ossia che rendano esplicito il fatto che il genere non è qualcosa che esiste si esaurisce su un piano individuale ma il frutto di condizionamenti strutturali. 3. Viene sottolineata la centralità della dimensione del potere che deve essere investigato tenendo conto sia del rapporto di interdipendenza con il genere femminile, e quindi delle disuguaglianze fra uomini e donne, sia delle relazioni di potere che prendono forma all'interno dello stesso genere maschile. La maschilità e la femminilità si fanno e si producono costantemente nel corso delle interazioni quotidiane e possono essere interpretate come una pluralità di configurazioni di pratiche che vengono adottate nella sociale della vita quotidiana e che permettono che ci si riconosca e si venga riconosciuti come appartenenti a un genere o all'altro. Nel sistema delle relazioni di genere non esiste un’unica configurazione di pratiche che definisce la maschilità ma ve ne sono molteplici, legate tra loro da relazioni di tipo gerarchico. • La relazione più importante tra maschilità è quella di egemonia, una dinamica culturale per cui un gruppo è in grado di mantenere una posizione dominante riconosciuta nella vita sociale. Nello studio delle maschilità, il concetto di egemonia indica quella configurazione che garantisce la posizione dominante degli uomini rispetto alle donne e che si trova in cima alla gerarchia di maschilità, permettendo così al sistema patriarcale di conservarsi e riprodursi. La maschilità egemone consente infatti agli uomini di detenere e conservare il potere, inteso con prestigio sociale e come accesso alle risorse economiche e alle posizioni di influenza. La teoria della maschilità egemone non prevede solo una posizione di superiorità del maschile rispetto al femminile, ma anche nei confronti di altre maschilità. L'organizzazione sociale della maschilità si basa su diverse forme di relazione all'interno della maschilità stessa: una prima relazione è quella di subordinazione, in base alla quale alcuni gruppi di uomini occupano una posizione inferiore nella gerarchia di potere (un esempio sono le maschilità gay e le maschilità effemminate). Un secondo tipo di relazione è quello di complicità che deriva dal fatto che gli uomini che effettivamente corrispondono alla norma culturale stabilita dai caratteri della maschilità egemone non sono molti, ma tutti trattengono comunque vantaggio da quella egemonia nella generale subordinazione delle donne. L'ultima forma di relazione è quella di marginalizzazione che deriva dall'interazione del genere con altre strutture di differenziazione sociale, come la classe sociale o l'etnia. • Negli anni 2000 è stata proposta la maschilità ibride: con l'ibridazione si intende la capacità da parte della maschilità egemone di appropriarsi di alcune pratiche e caratteristiche simboliche delle maschilità non egemoni o della femminilità però con l'obiettivo di conservare la posizione dominante nella società. Sono state poi immaginate maschilità che potessero modificare i rapporti di potere: la maschilità inclusiva e le maschilità accudenti. • La maschilità inclusiva si basa sull'idea nella società contemporanea siano progressivamente venendo meno due elementi caratteristici della maschilità egemone: che il rifiuto dell'omosessualità e della femminilità. Secondo la teoria ciò porterebbe alla coesistenza di due forme dominanti di maschilità: una ortodossa più conservatrice e uno invece inclusiva caratterizzata dalla possibilità per gli uomini di esprimere vicinanza emotiva e fisica fra di loro senza la paura di essere tracciati di omosessualità. Il punto di arrivo ideale immaginato da questa proposta teorica e la scomparsa dell'omofobia e la proliferazione di maschilità multiple non più in relazione gerarchica fra di loro. • Le maschilità accudenti sono immaginate come una forma di maschilità che, riconoscendo l'importanza della vita affettiva e relazionale anche degli uomini e il costo emotivo di aderire all'ideale egemonico, rifiuta il dominio e fa suoi i valori della cura, dell'emotività e dell'interdipendenza fra individui. In tal modo gli uomini esprimerebbero un impegno verso la parità di genere e l'annullamento delle gerarchie fra i generi. • Gli studi critici sulla maschilità hanno iniziato a interessarsi alle cosiddette maschilità multiple, ossia maschilità che danno vita a molteplici forme di espressione, di pratiche, di relazioni e di possibilità di cambiamento. Uno degli ambiti di analisi più importanti in cui questa prospettiva sulla maschilità multiple si è andata ad affermare e quello tecnologico: le innovazioni in campo tecnologico hanno aperto la strada a nuove modalità e possibilità di espressione di diverse maschilità e relazioni di genere. Tuttavia, il rapporto tra uomini e tecnologia non ha ancora trovato un posto definito in una corrente di studi a sé: alla nascita dei computer e delle tecnologie informatiche se inizialmente associato un certo tecno-ottimismo rispetto al fatto che questo campo sarebbe stato neutrale dal punto di vista del genere. Mentre le tecnologie non digitali sono state storicamente dominati dagli affidabilità professionale e dall'altro c'è chi li segue in quanto espressione di maschilità alternative. La rilevanza dei pubblici e degli spazi protetti per le espressioni di maschilità alternative emerge laddove spostiamo lo sguardo verso ambienti frequentati da utenti che promuovono la maschilità inclusiva. È il caso di un blog dedicato al tema della body positivity dove gli individui pubblicano immagini di sé in cui mostrano corpi non conformi e fotografie che li ritraggono assieme ai propri partner, con l'obiettivo di dare un messaggio positivo a chi non ha un'immagine fisica ritenuta socialmente normale e che non rispetta certi standard convenzionali. Infine, un esempio di spazio digitale dedicato all'espressione di una maschilità accudente è rappresentato dai dad blog, ovvero i blog gestiti da uomini che producono e diffondono contenuti esplicitamente dedicati all'esperienza della paternità. La paternità ha attraversato interessanti trasformazioni che possono essere riassunte come un progressivo passaggio da un modello di padre procacciatore di reddito e pressoché assente dalla cura e dalla vita affettiva dei figli a un modello invece più partecipe ed emotivamente vicino. Si è diffuso il modello degli stay-at-home dad, un’etichetta che indica quei padri che decidono di lasciare il lavoro per occuparsi dei figli a tempo pieno e nei paesi scandinavi questo modello è stato istituzionalizzato e sostenuto dalle politiche, proponendo una visione neutrale rispetto al genere o fluida delle relazioni familiari e di coppia in generale. Dunque, online si possono trovare varie forme di maschilità anche tra loro in forte contraddizione. 3. DIREZIONI FUTURE Il concetto di maschilità femminile: questo mette l’accento sul fatto che la maschilità non ha necessariamente a che fare con il corpo maschile e che, essendo un insieme di pratiche, anche le donne possono agire una maschilità che può riprodurre dinamiche misogine e rafforzare modelli egemonici oppure sfidarli. Ricerche future saranno sempre più orientate a indagare il rapporto con le rappresentazioni di maschilità che popolano i cosiddetti media tradizionali per comprendere se e come quest’ultimi recepiscano e facciano propria la variabilità delle rappresentazioni di maschilità sui media digitali e con quali effetti. MEDIA DIGITALI E ATTIVISMO FEMMINISTA LGBTQIA+ (cap. 14): intro: in questo capitolo si parla dei modi in cui i media digitali, in particolare i social, trasformano i lunghi percorsi di azione collettiva legati al genere. Nonostante la crescente attenzione che soprattutto i media tradizionali e l’opinione pubblica prestano alle iniziative online, va precisato che l’attivismo digitale orientato al genere, non causa ne esaurisce la totalità dell’attivismo femminista e per i diritti delle soggettività LGBTQIA+, ci sono state delle mobilitazioni, ma non significa che siano stati i media digitali ad averle inventate. Piuttosto, la diffusione virale di contenuti di lotta contro le discriminazioni di genere affonda le proprie radici in sforzi collettivi di lungo periodo, come l'attivismo delle proteste di Stonewall, che nel 1969 diedero avvio alla mobilitazione per i diritti delle soggettività LGBTQIA+, o la lunga storia di azione dei movimenti femministi che già all'inizio del diciannovesimo secolo rivendicavano il diritto di voto attivo e passivo delle donne. I movimenti LGBTQIA+ contemporanei, agiscono sia negli spazi fisici sia in quelli digitali. La fase attuale della lotta di genere è sostenuta allo stesso modo da eventi di protesta (come i Pride o gli scioperi femministi) e dalla condivisione di esperienze e inviti alla mobilitazione attraverso hashtag. ➔ Alle radici dell’attivismo femminista e LGBTQIA+: i movimenti sociali sono da intendersi come processi sociali che possiamo pensare come reti di azione collettiva caratterizzati da alcuni tratti particolari. In primo luogo, sono animate da una molteplicità di attori anche molto diversi tra loro che collaborano in modo più o meno sostenuto nel tempo per realizzare azioni politiche indirizzate da altri attori. In secondo luogo, queste reti di collaborazione sono rese possibili dalla condivisione di una specifica identità collettiva, cioè dalla presenza di un orientamento comune rispetto alla causa per la quale ci si mobilita, agli obiettivi da raggiungere e alle strategie da adottare a questo scopo. Anche i movimenti femministi e LGBTQIA+ sono processi sociali sostenuti da reti di azione collettiva che presentano queste caratteristiche. Gli attori sociali e politici che li promuovono e sostengono sono di vario tipo: organizzazioni e associazioni formali come D.i.Re (donne in rete contro la violenza); gruppi meno strutturati e più informali, ma anche singole attiviste. Diverse sono anche le forme di coordinamento tra questi attori: dallo scambio di informazioni, competenze, consigli, alla realizzazione di campagne di sensibilizzazione e manifestazioni. Collaborazioni differenti tra attori diversi hanno portato nel tempo l'attivismo femminista e LGBTQIA+ a tradursi in azioni politiche di varia natura, nate in risposta a specifiche dinamiche di oppressione o discriminazione in contesti diversi. In questo senso, tipicamente si parla di «ondate» del movimento femminista che uniscono le lotte per il suffragio nel diciannovesimo secolo alle rivendicazioni dell'emancipazione femminile tra gli anni Sessanta e Ottanta del secolo scorso. In tutta la loro diversità, queste modalità di azione fanno parte di quello che gli studiosi dell'azione collettiva chiamano il «repertorio di azione» di un movimento sociale, (una sorta di cassetta degli attrezzi all'interno della quale le/gli attiviste/i scelgono una specifica strategia che reputano più adatta ai loro obiettivi e più in linea con il loro modo di interpretare il mondo e di agire collettivamente). La collaborazione tra attori è resa possibile dalla presenza nel movimento, di un’identità collettiva. Il sociologo Alberto Melucci sostiene che questa identità collettiva consiste in una definizione condivisa delle realtà da parte degli attori di un movimento che spesso è in contrasto con le interpretazioni più diffuse e dominanti. Gli attori che partecipano ai movimenti sociali sono continuamente impegnati in processi di definizione delle loro identità che si sviluppano in diversi luoghi e a diverse velocità; a volte fluiscono veloci e sono pubblicamente visibili, come accade nelle manifestazioni e in altri eventi di protesta; ma nella maggior parte dei casi avvengono in momenti semipubblici, come ad esempio durante riunioni e assemblee, o in privato, durante incontri informali tra singoli attivisti e sempre più spesso, attraverso la produzione e il consumo di contenuti digitali. Una parte fondamentale di questo lavoro portato avanti da attivisti e attivisti, è stato definito da Snow e Benford “frame di azione collettiva”→ con questo concetto si intendono quegli schemi di interpretazione all’interno dei quali è possibile dare senso alle azioni politiche che si intraprendono dentro un movimento, più precisamente i frame sono costruzioni cognitive che gli attori definiscono in modo strategico per individuare le cause che stanno dietro agli sforzi di mobilitazione, come pure le ragioni per le quali è importante agire. Riuscire a raccontare cause, soluzioni e motivazioni che guidano l’azione collettiva in maniera efficace è fondamentale per fare in modo che gli individui decidano di prendere parte ai percorsi politici dei movimenti. L’azione collettiva si svolge all’interno di un contesto sociopolitico che garantisce ai movimenti due ordini di opportunità: - Opportunità politiche→ insieme di condizioni che caratterizzano il sistema politico nel quale un movimento agisce, come ad esempio il grado di apertura delle istituzioni. - Opportunità discorsive→ fanno riferimento alle condizioni culturali in cui operano i movimenti. ➔ Attivismo 2.0: come i media digitali intersecano i processi di movimento femministi e LGBTQIA+: i media digitali trasformano sia le condizioni strutturali all’interno delle quali i movimenti si sviluppano, sia le tantissime pratiche individuali e collettive che li sostengono. La presenza dei media digitali fornisce ai movimenti sociali una serie di opportunità tecnologiche che compensano quelle che caratterizzano il contesto politico e culturale. In questo senso si parla di una struttura delle opportunità tecnologiche che si fonda sulla molteplicità di possibilità di comunicazione e di costruzione di reti generate in particolare dai social media. Come sottolineano Bennett e Segerberg, quel che conta è il modo in cui i media digitali sono inseriti e sfruttati all’interno delle dinamiche di mobilitazione, a fare la differenza è in pratica, il moltiplicarsi di sistemi sociotecnici di azione collettiva, cioè l’incrociarsi di eccezionali opportunità di comunicazione e networking fornite dalle tecnologie con i progetti di azione e cambiamento portati avanti dagli attori di movimento. La produzione e la circolazione di contenuti online genera una serie di conseguenze cruciali per l’attivismo di genere. - In primo luogo, permette di aumentare notevolmente sia la visibilità dei movimenti femministi e per i diritti delle soggettività LGBTQIA+; sia delle critiche e delle istanze di cui essi si fanno portatori. Il discorso mediato mainstream ha sempre concesso alle femministe un grado di opportunità ancora minore rispetto a quelle date agli attivisti uomini di altri movimenti, in qualche modo sostenendo che le donne siano meno attive rispetto agli uomini. Ci fu il famoso caso Me Too nel 2017, dove, grazie alla circolazione di questo hashtag, ha portato in cima all’agenda globale il tema delle molestie sul luogo di lavoro e della violenza sessuale. - In secondo luogo, l’uso dei media digitali permette di creare comunità che scavalcano i limiti dello spazio fisico e diventano luoghi all’interno dei quali costruire rapporti e interazioni che non rimangono confinate nel digitale, ma sono anche in grado di trasferirsi offline. Questo è stato particolarmente evidente in occasione della grande Women’s March che nel 2017 ha riunito in diverse città degli Stati Uniti più di 2 milioni di persone subito dopo l’insediamento alla presidenza di Donald Trump (un tale livello di partecipazione è stato alimentato grazie ad un post su Facebook di una donna, che ha stimolato il coinvolgimento di più di 400 tra associazioni e collettivi). Ad oggi, la Women’s March si è trasformata in un’organizzazione distribuita su tutto il territorio statunitense. Da una parte l’attivismo femminile e LGBTQIA+ online mira a denunciare e correggere i termini di un discorso digitale multimediale che spesso è stereotipato, discriminante, quando non direttamente violento. Dall’altra parte l’attivismo di genere online mira a generare anche una trasformazione più ampia che investe la società nel suo complesso, soprattutto in quei contesti in cui le organizzazioni femministe, o per i diritti delle soggettività LGBTQIA+ sono estremamente marginalizzate. Una delle caratteristiche principali dell'attivismo online è la sua natura flessibile e personalizzata. In questo senso, Bennett e Segerberg parlano di azione connettiva. Questo concetto indica una forma di partecipazione che vede i social media giocare il ruolo di hub al posto delle più tradizionali organizzazioni di movimento e che si basa sulla costruzione tecnologicamente assistita di vastissime reti digitali di collaborazione e scambio, nutrite da contenuti prodotti da una molteplicità di attori individuali, come singole cittadine e cittadini, e collettivi. Nell'azione connettiva, i frame e le narrative del movimento non sono, come avveniva in passato, elaborati a monte dalle organizzazioni di movimento e adottati dalle attiviste. Gli individui interpretano e contribuiscono al discorso prodotto dai movimenti alla luce della loro discussione in rete e di pubblici che consumano i contenuti diffusi da altri cittadini interconnessi, ha raggiunto il suo apice digitale grazie ai meme. Questa produzione memetica, segna il passaggio fondamentale alla logica dell’azione connettiva perché si legano insieme i repertori individuali con gli schemi cognitivi dell’azione personale dei diversi attori sociali che in questo modo riescono a creare comunità connesse che condividono norme e valori, in cui si formano poi le identità collettive. Con l’arrivo e la diffusione delle piattaforme digitali, il processo di produzione memetica ha trovato una nuova vita nella inarrestabile “vernacular creativity” che le opzioni tecnologiche consentono di manifestare online ai pubblici interconnessi. Con questa espressione si fa riferimento a una forma di creatività pop che trae origine dal remix dei contenuti reso possibile dai processi di digitalizzazione delle informazioni e che \possiede un elevato potenziale democratico, dato che permette di esprimere e condividere le proprie opinioni, emozioni e interpretazioni. Grazie a queste nuove opportunità, in rete si assiste a un incessante processo di “memizzazione” della discussione pubblica, ovvero l’attivazione di un meccanismo attraverso cui gli attori sociali si appropriano e reinterpretano i temi presenti nell’agenda pubblica tramite pratiche di remix tra contenuti politici ed elementi della cultura pop. Il prodotto di questa creatività individuale assume una visibilità collettiva quando viene poi messo in condivisione con altri utenti all’interno delle piattaforme digitali. I meme si traducono in uno strumento connettivo che permette di partecipare alla discussione pubblica e di consolidare o ridefinire attraverso dei livello di significato associati a ogni meme, le coordinate dell’ideologia mainstream. Nelle culture digitali attuali, i meme hanno un ruolo chiave nella messa in comune di valori e chiavi interpretative che favoriscono la creazione di community. In questi gruppi nei quali si può essere “se stessi insieme”, il processo di codifica e di decodifica dei significati associati ai meme si attiva grazie a un campo semantico condiviso, costruito su un’affinità di tipo culturale e ideologico. Proprio perché è basato sulle aggregazioni di singoli individui in una molteplicità di comunità diverse, questo processo di memizzazione può veicolare interpretazioni ideologiche fortemente eterogenee rispetto al mainstream dominante. Queste interpretazioni sono connesse all’insieme di significati, valori, credenze e visioni del mondo che ogni meme porta con sé, la cui decodifica dipende dalla conoscenza dell’universo simbolico e del sistema ideologico in cui il meme è stato prodotto e in cui viene consumato. La funzione comunicativa dei meme può essere riassunta in un continuum che si muove tra due poli antitetici e in costante tensione tra loro: ➔ il rafforzamento del pensiero dominante e il mantenimento dello status quo da un lato: rispetto a questo primo polo i meme possono interpretare l’ideologia mainstream in molti modi strettamente interconnessi e dipendono dagli attori coinvolti e dagli obiettivi comunicativi che ne orientano la creazione. La produzione memetica da questo punto di vista, può essere insidiosa perché i diversi frame, cioè le cornici interpretative, non sono immediatamente riconoscibili e decodificabili, specialmente da pubblici meno esperti nell’interpretare molteplici livelli di significati che compongono i meme. I meme possono essere vettori agili per stereotipi misogini e sessisti; la facilità con cui riescono a far circolare tali stereotipi dipende da due fattori: -da un lato, i meme si nascondono dietro l’uso del registro ironico, ricorrendo spesso al sarcasmo, -dall’altro lato, essi possono incarnare una posizione ideologica celandola dietro l’anonimato degli autori che li hanno messi in circolazione. ➔ la reinterpretazione ideologica e la spinta verso il mutamento sociale dell’altro: rispetto a questo secondo polo, la capacità dei meme di ampliare il pubblico dei destinatari riguardo ai temi dell’agenda pubblica permetta la propagazione di rappresentazioni eterogenee, rese visibili attraverso dinamiche connettive che partono dalla base e che sfruttano le logiche algoritmiche delle piattaforme digitali con l’attivazione di azioni coordinate. Un esempio sono i testimonial rallies, cioè assemblee digitali alle quali gli individui contribuiscono con i loro artefatti personali, esprimendosi così sui temi dell’agenda pubblica. Gli stereotipi di genere e i costrutti sessisti su internet hanno proliferato grazie a un pensiero profondamente maschilista che caratterizza alcune subculture della rete, tanto da essere definita “maschiosfera”; una sfera pubblica eterosessista e eteronormativa. Da questo punto di vista, il registro ironico che spesso connota la produzione memetica diventa l'innesco che consente l'espressione di una cultura strettamente ancorata al maschilismo, alla misoginia, all'eteronormatività, rispetto alla quale il ricorso all'ironia diventa un depotenziante delle offese contenute nella produzione memetica: chi si offende non sa stare allo scherzo. Spesso, quando i meme vengono considerati come umoristici attivano una predisposizione acritica nei riceventi. I meme possono essere facilmente strumentalizzati per una contrapposizione basata sull’ideologia sessista e sugli stereotipi di genere. Ne è un esempio la Great Meme War→ avvenuta durante le elezioni statunitensi in cui le sostenitrici e i sostenitori di Trump hanno contribuito a una narrazione misogina su Hillary Clinton, basata su una produzione memetica armata. Questa produzione è stata orientata da due principali famiglie di stereotipi, che sono un tratto comune del rapporto conflittuale tra meme e genere. - La prima categoria è legata alla dimensione biologica e rafforza giudizi sulla base di caratteristiche fisiche, estetiche, vita privata. Riguarda quindi i pregiudizi sulla donna che la caratterizzano come persona e che la condannano in quanto fallisce nell’essere all’altezza delle aspettative del suo ruolo. (es. i meme che raffiguravano la Clinton si sono concentrati sul tema della debolezza biologica, con riferimenti alla sua salute fisica e mentale). - La seconda serie di stereotipi deriva dalla violazione delle prescrizioni comportamentali ascritte al genere femminile, quando queste si associano con quelle imposte dal ruolo di leader, sostanzialmente alcune caratteristiche associate positivamente alla leadership nella sua declinazione al maschile, diventano valutazioni negative quando sono interpretate da una donna. Tornando all’esempio della Clinton, lei è stata spesso raffigurata come disonesta e inaffidabile in contrapposizione alle norme di genere. In sintesi, una narrazione che mira a rappresentarla come non adatta a ricoprire il ruolo di futura presidente degli Stati Uniti. Al contrario, a Trump veniva assegnato il ruolo di salvatore della patria, sulla base di un frame sessista, razzista, misogino e patriarcale che ha caratterizzato lo storytelling della produzione memetica che lo raffigurava. I meme sono ormai elementi stabili delle strategie comunicative politiche contemporanee, dato che sono diventati un amplificatore eccezionale per influenzare le cornici ideologiche che orientano il discorso pubblico. Nel caso delle elezioni americane, come riconosce Merrin, gli strateghi della comunicazione di Trump hanno cercato all’interno delle comunità che sono presenti in piattaforme più di nicchia, la cui produzione è motivata dalla contrapposizione della cultura del politicamente corretto. La strategia comunicativa adottata per alimentare la circolazione virale dei contenuti contro la Clinton prevedeva poi il trasferimento dei meme in piattaforme più diffuse come Facebook, per diffondere questi contenuti a una audience più ampia. Si tratta di un meccanismo di Partecipatory Propaganda che si sviluppa attraverso strategie comunicative orientate a influenzare le percezioni e i comportamenti dei pubblici con l’obiettivo di farli diventare amplificatori nel processo virale della diffusione di contenuti sfruttando la logica algoritmica delle piattaforme. Questo processo viene favorito dall’anonimato dietro cui l’emittente si può nascondere, senza svelare i propri obiettivi e le proprie intenzioni propagandistiche in maniera trasparente. Queste strategie non solo vengono costruite facendo leva sulle inconsapevolezze dei pubblici, ma spesso traggono vantaggio da un loro coinvolgimento nella diffusione dei contenuti. Gli stereotipi di genere sono così radicati nell’immaginario collettivo da essere adottati anche nelle comunità che sostengono i diritti delle donne o LGBTQIA+. C’è un altro aspetto da considerare rispetto alle modalità con cui si possono armare i meme, cioè le pratiche di hijacking→ è una forma di appropriazione e rielaborazione volontaria e creativa di un’idea o di un prodotto culturale tale da fargli assumere un significato opposto a quello veicolato nella produzione originaria. Spesso la pratica ricorre quindi a una produzione memetica che si basa sulla costruzione di un così detto monstrous feminine (femminile mostruoso); donne come mostri sìdescritte come delle problematiche che diventano oggetto di produzione mirata e enfatizzare negativamente le loro caratteristiche fisiche, biologiche e mentali. I discorsi memetici sono ambivalenti e, a seconda della comunità dove sono inseriti, possono facilitare simultaneamente sia l’empowerment sia la marginalizzazione. Un caso particolare di questo tipo di appropriazione è rappresentato dai meme social justice warrior, nonostante quest’etichetta abbia una connotazione positiva, è stata completamente distorta dall’uso che ne hanno fatto le comunità alt-right, cioè quei gruppi che condividono convinzioni fasciste, razziste, nazionaliste, antifemministe. I meme di SJW (social justice warrior) sono diventati una visione depotenziata del nucleo tematico originario e sono stati utilizzati come base di un hate speech dalle comunità misogine vicine all’all-right per attaccare i sostenitori del politicamente corretto e delle politiche identitarie. In questo modo la famiglia memetica di SJW, a seconda dal contesto o della collocazione in cui viene utilizzata può allo stesso modo raccontare una narrativa di empowerment femminile o al contrario può evidenziare le caratteristiche peggiori associate alle donne. Questa doppia anima permette di comprendere alcuni aspetti importanti della cultura di rete: il parallelismo tra più temi che ripropongono la stessa narrazione tematica; la criminalizzazione delle donne negli ambienti online, tanto da trasformare la loro femminilità in mostruosa. Da un lato quindi, i meme vengono utilizzati per accettare direttamente chi interviene concentrandosi sulle sue caratteristiche fisiche o identitarie, invece di rimanere sui contenuti che esprime, così gli stereotipi vengono riprodotti e potenziati. Dall’altro lato, criminalizzano le donne e disincentivano i processi di empowerment e di resistenza. ➔ I meme come arma per sensibilizzare sugli stereotipi di genere: l’attivazione degli stereotipi di genere viene favorita anch’essa dalla disponibilità di un’infrastruttura tecnologica che mette le persone in interconnessione in maniera molto più rapida rispetto al passato e che rende possibile veicolare e dare visibilità a discorsi polivocali, cioè discorsi in cui possono trovare spazio espressivo una pluralità di punti di vista eterogenei. La produzione memetica offre l’opportunità di fare femminismo in rete attraverso la presa di coscienza collettiva e la costruzione di comunità più coese. Da questo punto di vista le piattaforme digitali permettono la diffusione di una contronarrazione di genere, che sfruttando l’ironia, riesce a estendersi anche oltre le comunità più attente e interessate alle questioni di genere o LGBTQIA+, mobilitando soggetti che contribuiscono alle istanze di cambiamento sociale attraverso pratiche che possono essere definite di culture jamming. Con questo termine si indicano tutte quelle forme di sabotaggio culturale che passano attraverso la destrutturazione collettiva delle narrative ideologiche, riuscendo a mobilitare anche altre persone. attraverso queste pratiche, l’ironia e l’umorismo diventano gli elementi portanti di una ridefinizione dei frame semantici che caratterizzano l’ideologia dominante. I meme offrono una sponda che favorisce la reinterpretazione collettiva dei contenuti mainstream all’interno di spazi digitali in cui la contronarrazione e la mobilitazione possono esprimersi con più facilità. ➔ Culture jamming: può essere tradotto in sabotaggio culturale, si tratta di una pratica culturale che si effettua decostruendo i messaggi e le immagini mediali attraverso la tecnica del detournement, questa tecnica consiste nella trasposizione dei prodotti culturali in contesti semantici totalmente diversi da wuelli originari in modo che il loro significato risulti stravolto parzialmente o totalmente. professionalizzazione definito come mascolinizzazione della professione informatica: dal lavoro d'ufficio di basso rango (spesso eseguito dalle donne), la programmazione viene gradualmente e deliberatamente trasformata in una delle professioni tecniche maschili più apprezzati e pagate. La trasformazione dell'informatica in un dominio degli uomini avviene nel momento in cui le aziende che vogliono assumere personale informatico iniziano a far circolare il pregiudizio che la programmazione debba essere un lavoro prettamente maschile. I meccanismi di reclutamento si rivolgono primariamente a maschi antisociali, più interessati alla matematica e all'astrazione logica e di conseguenza si sviluppa lo stereotipo dell'informatico come un individuo taciturno, trasandato e individualista, un individuo che preferisce lavorare con le macchine piuttosto che con le persone. La mascolinizzazione della professione informatica ha avuto due importanti conseguenze: 1. Ha finito per allontanare le donne dalla nascente cultura del computer e promuovere una visione della tecnologia come dominio privilegiato del maschile 2. Ha contribuito a creare l'identità dei cosiddetti computer boy, i giovani maschi tecnologicamente esperti che diventeranno la sottocultura più influenti nell'ambito informatico. Anche la storia dell’hacking è stata una vicenda prevalentemente maschile. Con la parola hacker in ambito informatico si definisce un esperto di programmazione, reti telematiche e sicurezza informatica che utilizza le proprie competenze per tre scopi da lui ritenuti etici: 1. Rendere informazione accessibile a tutti 2. Avere la possibilità di mettere le mani su qualsiasi sistema chiuso per aprirlo, capirne il funzionamento e migliorarne l'utilizzo in maniera originale e creativa 3. Trasmettere alle altre agli altri le proprie competenze affinché qualsiasi persona possa contribuire a mantenere questi artefatti liberi ed efficienti. Le origini della cultura hacker nasce alla fine degli anni 50 e 60 tra gli studenti del Massachusetts Institute of Technology di Cambridge: qui alcuni ragazzi iniziano a organizzare una serie di incursioni notturne nelle stanze del quartiere universitario per utilizzare i primi computer con l'obiettivo di allargare la possibilità di sfruttare la macchina per scopi differenti da quelli per cui è stata creata. Da qui nasce il principio dell’hacking, ossia la capacità di adoperare le proprie abilità di programmazione per manipolare un hardware o software informatico guidati da svariati obiettivi. Quello degli hacker è un mondo popolato esclusivamente da giovani uomini le caratteristiche ricordano quelle dei computer boy: sono considerati individui con scarse abilità sociali che si incontrano in ambienti di socialità tra uomini dove domina gergo specialistico, competizioni tra programmatori, maratone di videogiochi, ecc. Sherry Turkle analizzato il modo in cui la cultura hacker ha influenzato la nascente computer culture degli anni 80: in questo periodo, non solo i personal computer si stavano ampiamente diffondendo tra le famiglie, ma gli stessi hacker sono ormai diventati un fenomeno mainstream. Secondo la studiosa, quella hacker è una cultura maschile che ruota attorno a tre elementi: - la padronanza che riguarda il rapporto che si ha nei confronti dello strumento tecnologico. Gli uomini sarebbero più propensi a una padronanza rigida che porta l'imposizione della propria volontà di controllo e dei propri obiettivi di pianificazione sulle macchine. Le donne al contrario tenderebbero verso una padronanza morbida, simile a un dialogo. La padronanza rigida è quella che spinge gli hacker a immaginare la programmazione al computer come un fine in sé e gli hacker sono in un certo modo posseduti dal loro mezzo. Questa differenza tra paranza rigida e morbida rispecchia differenze sostanziali che due generi sperimentano nel mondo reale: laddove le ragazze concepiscono il computer come un oggetto concreto tangibile con cui creare relazioni che superano l'oggettività, al contrario i ragazzi vedono nel sistema formale della programmazione un mondo oggettivo in cui possono esercitare le proprie necessità di controllo. - la semplicità: per un hacker ciò che conta è dominare la complessità. La cultura hacker sembra essere formata da adolescenti che hanno la necessità di evitare situazioni sociali complesse e complicazione nei rapporti umani, tipicamente dell’universo maschile. Cioè la scienza dei computer permette agli uomini di costruire dei muri tra sé e una realtà in cui non si sentono a proprio agio. - Senso della conquista: nell'immaginario popolare, gli hacker sono gli spiriti irrequieti, nemici dell'istituzione e del conformismo, difensori del genio e del culto dell'individuo, che si irritano di fronte a qualsiasi tipo di restrizione o confine, alle leggi, regole e regolamenti. Questa è l'idea dell'hacker come eroe libero o fuorilegge trova conferma nel fatto che la principale retorica con cui si descrive il cyberspazio è quella del mito della frontiera del selvaggio West: non a caso l'immagine di Internet è quella di una terra selvaggia da conquistare. pagina 277 2. La MASCHILITÀ NEGLI SPAZI DIGITALI: NERD, GEEK, TROLLING E MANOSPHERE A mettere in dubbio il potenziale democratico della rete sono gli studi di Susan Hering riconduce alcune tra le più importanti ricerche sulla differenza di genere nelle modalità di partecipazione alle forme di comunicazione immediate al computer. La studiosa analizza gli scambi di opinioni che avvengono in un gruppo di discussione accademica dedicati ai temi della linguistica e scopre che le donne partecipano in misura minore al dibattito rispetto agli uomini. Il motivo e che i due sessi tendono ad operare una modalità comunicativa diversa: gli uomini utilizzano uno stile più aggressivo e competitivo e ti corrono leggermente al sarcasmo all'espressione di emozioni forti e finiscono spesso in discussioni e sfruttano la pratica del flaming, ossia litigio online verbale. Diversamente le donne impiegano forme espressive meno combattive e più aperte al dialogo e sono più portate a esprimere dubbi, scuse, porgere domande personali e suggerire idee. Questo secondo la studiosa, deriva dal fatto che la comunicazione degli uomini e delle donne attinge a sistemi di valori divergenti: gli uomini credono nell'ideale dell’agonismo anarchico, cioè vedono la libertà di parola come una virtù assoluta e considerano i confronti accesi come il modo migliore per arrivare a una comprensione più profonda dei problemi, le donne al contrario confidano nel principio della cortesia positiva, ossia usano la comunicazione online per sviluppare un clima di collaborazione e supporto reciproco. Questi due modelli comunicativi non garantiscono le stesse possibilità di partecipare al dibattito pubblico, ma finiscono per creare una vera e propria egemonia discorsiva maschile che mette in secondo piano le voci femminili: avviene una monopolizzazione del discorso il silenziamento delle donne. Tali analisi dimostrano che negli ambienti digitali si riproducono molte delle disuguaglianze di genere che caratterizzano le conversazioni faccia a faccia, dove gli uomini, in generale, sono abituati a parlare di più e assumere ruoli maggiormente dominanti all'interno dei gruppi sociali, mentre le donne ricevono in media meno considerazioni e spesso sono ignorate e non prese sul serio. Il nerd= l'archetipo del nerd si ispira direttamente all'immagine dell’hacker quindi, come uomo bianco socialmente inadeguato che grazie alla sua superiore intelligenza riesce a emergere per creare le tecnologie del futuro. Il nerd è sempre apparso come una figura demascolinizzata, che manca di alcune caratteristiche che la cultura occidentale convenzionalmente attribuita all'essere maschio, quali la forza fisica, la prestanza sportiva, la virilità sessuale. Allo stesso tempo il nerd compensa questa assenza di qualità maschili recuperando altri aspetti tipici dell'ipermascolinismo, come ad esempio la valorizzazione dell'intelletto e il primato delle competenze la tecnologica. Scambiandosi consigli su argomenti tecnici, gli uomini nerd tendono a rafforzare il proprio senso di appartenenza a una specifica sottocultura maschile dalla quale vengono escluse le donne. Dal momento che la cultura occidentale ha storicamente considerato la femminilità incompatibile con l'abilità tecnologica, diventa molto più difficile per una ragazza prendere parola in un ambiente dove il concetto di saper tecnico sembra rimandare naturalmente al maschile. Inoltre, il disagio del nerd viene espresso attraverso l'uso di un tono vittimistico o sarcastico che punta il dito contro le donne, descritte come oggetti sessuali irraggiungibili e proprio per questo degne di disprezzo. Il fenomeno del trolling= il termine troll inizia a circolare nelle comunità virtuali di Internet per indicare un utente, generalmente anonimo, che interagisce con gli altri attraverso messaggi prevalentemente provocatori, fuori tema, talvolta senza senso, il cui intento è quello di disturbare la comunicazione e fomentare le reazioni degli altri interlocutori. Una delle parole d'ordine dei troll è che “niente dovrebbe essere preso sul serio”: infatti molte azioni di trollaggio sono motivate da ciò che essi chiamano lulz, neologismo che prende origine dall'acronimo inglese LOLs. Con il termine lulz si fa riferimento a quel particolare divertimento che si ottiene quando si riesce a provocare disagio e turbamento nelle altre persone con cui si sta interagendo. La maschilità del trolling si caratterizza per: - l’uso di una modalità argomentativa aggressiva e competitiva, il cui obiettivo è quello di vincere sul proprio avversario per riaffermare su di esso il proprio dominio. - il principio della “dissociazione emotiva”, ossia la capacità dei troll di separare quello che fanno online rispetto alle loro vite reali, riuscendo a ignorare il danno che causano agli utenti che prendono di mira. - la logica del privilegio che sta alla base del loro rapporto con la tecnologia I geek= il prototipo del gamer è il cosiddetto geek chi sono i classici maschi beta: ragazzi troppo grassi o troppo magri o non abili nello sport, non convenzionalmente attraenti e così infatuati dai violenza e creato nuovi strumenti per danneggiare e controllare le categorie già marginalizzate. L’uso della tecnologia digitale ha ampliato e intensificato la violenza contro donne, che seguendo logiche simili alla violenza offline mira a escludere e zittire i soggetti femminili e la loro libertà di espressione. Le identità di genere oggi vengono viste ancora come fisse e immutabili e strettamente connesse a una serie di atteggiamenti sociali basati sul proprio sesso biologico. L’arrivo di internet ha ampliato e diffuso le forme in cui la violenza sessuale contro le donne si manifesta, tanto che è sempre più frequente sentir parlare di violenza sessuale digitale. Nel 2015, uno studio delle Nazioni Unite sottolinea che in Europa sono circa 9 milioni le donne e ragazze che hanno subito una qualche forma di violenza online prima dei 15 anni. ➔ Evoluzione del fenomeno della misoginia nella CMC: la violenza di genere online non è un fenomeno nuovo di per sé e condivide molti spetti con la violenza di genere tout court. La peculiarità di questo tipo di violenza risiede nel mezzo attraverso cui si diffonde, le nuove tecnologie dell’informazione, le loro caratteristiche e continue evoluzioni nel tempo. Si tratta quindi di un aspetto che può essere riscontrato già nelle prime forme di “comunicazione mediate da computer” (CMC); con questo termine si intende tutta una serie di scambi comunicativi a distanza che avvengono tramite una rete telematica composta da due o più computer. La comunicazione mediata da computer può essere sia mediata che grafica, e può avvenire in modo sincrono o asincrono. La CMC costituisce anche una parte di studi che si interessa al modo in cui cambiano le forme di comunicazione e interazione con l’utilizzo delle nuove tecnologie dell’informazione. I primi studi in questo settore si sono concentrati soprattutto sul carattere aperto della rete e il suo potenziale democratico. Le caratteristiche imputate alla CMC hanno avuto importanti ripercussioni anche per quanto riguarda il genere. Da un lato bisogna notare che il campo della tecnologia e dell’innovazione è stato tradizionalmente dominato dalla presenza maschile, erano uomini i primi fruitori della CMC e di internet. I primi focus sugli studi sulla relazione tra CMC e genere sostenevano che le nuove tecnologie avevano la potenzialità di superare la performance dell’identità di genere. Molte ricerche si concentrano ad esempio sull’utilizzo dell’anonimato da parte delle donne che partecipavano alle prime conversazioni online e su come il fatto di poter nascondere la loro identità permettesse loro di esprimersi più liberamente. Con il tempo gli studi sulla CMC hanno sempre più evidenziato gli aspetti negativi legati a questo tipo di comunicazione, primo fra tutti, come ricorda Turkle, il fatto che la comunicazione mediata dal computer altera le modalità di interazione e mette a repentaglio le forme di comunicazione tra gli individui. La CMC ha visto incrementare sempre di più le diverse forme di violenza di genere online. La CMC rappresentava un modo per costruire la propria identità secondo i tradizionali e stereotipati ruoli di genere. In questo contesto le molestie e la violenza ai danni di soggetti femminili crescevano anche nel digitale, e gli strumenti tecnologici venivano usati sempre di più per cercare di estromettere le donne da luoghi dedicati alla presenza maschile. Non era importante che gli utenti di internet fossero uomini o donne: per fare in modo di mantenere la CMC una sfera di dominio maschile, le donne vennero da subito discriminate, ridicolizzate e spesso molestate. Uno dei primi siti nati per umiliare la presenza femminile in rete è stato il famoso Babes On The Web, sviluppato nel 1995, che raccoglieva senza consenso i link a fotografie di accademiche e professioniste della comunicazione, insieme ai loro contatti. Le forme di violenza che hanno caratterizzato le prime fasi della vita online non sono sparite nel tempo, ma si sono evolute in parallelo all’innovazione tecnologica. L’avvento dei social media ha determinato alcuni importanti cambiamenti nelle modalità e diffusione sulla violenza di genere in rete. I social hanno dato nuova vita a nuove forme e nuovi spazi per permettere alla violenza di genere di espandersi. Attraverso ad esempio Facebook Instagram o Twitter. I social consentono di raggiungere un vasto pubblico, di propagare contenuti i modo immediato, capillare e persistente e anche di sentirsi legittimati e legittimati a diffondere tali contenuti. Un altro importante cambiamento riguarda la condizione di anonimato. Con l’aumento dei social è aumentato anche l’uso dell’anonimato. A ogni account social corrisponde un profilo, i cui movimenti sono registrati dalle piattaforme sotto forma di dati. Anche se ciò non significa che l’uso di account finti o di pseudo-anonimato non siano più possibili. Una delle certezze che possiamo avere oggi a riguardo degli strumenti digitali, è che le loro proprietà e funzionalità riproducono molto spesso i preconcetti di chi le ha create. Ciò significa che oltre alle forme di violenza di genere online che avvengono attraverso gli strumenti comunicativi messi a disposizione dalle piattaforme, va tenuto conto anche delle nuove forme di discriminazione e violenza di genere che capitano attraverso le interfacce stesse delle piattaforme e gli algoritmi che le regolano. A questo proposito si parla di discriminazione algoritmica per indicare come gli algoritmi possono avere degli effetti discriminatori nei processi di selezione e organizzazione dei contenuti online. Gli algoritmi presentano dei bias, cioè dei pregiudizi che possono favorire alcuni gruppi, anziché altri e rafforzare le disuguaglianze esistenti nella società nel suo complesso. Online si è verificato il problema della presenza di molto odio, soprattutto basato su una matrice di genere, è bene notare che le piattaforme come Facebook, Instagram e Twitter si stanno muovendo per moderare i loro contenuti e per regolare i modelli di violenza che si possono trovare navigando sulle loro pagine. Una delle pratiche su cui i social media stanno puntando maggiormente è il deplatforming, cioè l’espulsione di alcune persone e contenuti da determinate piattaforme digitali. Ci sono già stati dei tentativi di estirpare il linguaggio d’odio di stampo razzista e misogino proveniente da soggetti che appartengono alla galassia dell’all-right, attraverso la cancellazione di alcuni degli account più influenti che veicolano questi messaggi. Anche nel caso della violenza di genere si è visto come alcuni gruppi Facebook, dedicati alla condivisione non consensuale di materiale intimo e al revenge porn, siano stati chiusi. Tutti questi processi destinati a migliorare la situazione presentano numerosi limiti e possono avere conseguenze negative. I discorsi violenti non spariscono del tutto ma si spostano su altre piattaforme alternative, considerate non mainstream, come ad esempio Telegram. Quest’ultimo si è rivelato uno spazio privilegiato per condividere immagini intime a insaputa delle persone ritratte, insultare e umiliare le donne. Il modo in cui le piattaforme digitali più mainstream stanno affrontando il problema della violenza di genere online rischia di concentrarsi esclusivamente su un approccio definito “tecno-soluzionista”, cioè che mira ad offrire soluzioni tecniche e ben definite a problemi che derivano invece, da complesse situazioni sociali. Spazi come Instagram e Facebook, o dedicati a contenuti pornografici come pornhub hanno tentato di sviluppare degli strumenti di rilevazione automatica di contenuti sessuali non consensuali con scarsi risultati. Un ultimo limite, riguarda il fatto che la maggior parte dei social network ha cominciato ad adottare regole sempre più stringenti per quanto riguarda la nudità e i discorsi che girano attorno ad argomenti di sessualità. Tutto ciò diventa un problema per coloro che fanno di questi argomenti il fulcro della loro attività sui social, persone volte a diffondere un approccio positivo del sesso e alla sessualità in tutte le loro forme. In questo senso il tentativo di limitare la violenza e l’odio online rischia di creare ulteriori discriminazioni che non garantiscono a tutti un’equa partecipazione in rete. ➔ Le forme della violenza di genere online: la violenza di genere online è un fenomeno in continuo mutamento, che si modifica in parallelo all’evolversi di internet e delle tecnologie digitali. Essa si presenta infatti in un’ampia varietà di forme e modalità. Tutte queste pratiche seguono un obiettivo comune: insultare apertamente le vittime, danneggiarne la reputazione e credibilità e violare la loro intimità e privacy, con la conseguenza di umiliarle, sorvegliarle e silenziarle. La violenza di genere online assume diverse manifestazioni che possono essere presenti contemporaneamente, rafforzarsi a vicenda e rientrare nelle logiche della violenza di genere intesa in senso più ampio. Possiamo individuare due macrocategorie di pratiche: da un lato, abbiamo forme di abuso che avvengono per lo più in modo verbale, come le molestie sessuali e il linguaggio d’odio; dall’altra abbiamo invece, pratiche di violenza che si avvalgono di immagini e video, come la condivisione non consensuale di materiale intimo, le dickpic e i deepfake porn. All’interno della prima categoria rientra l’hate speech, cioè l’utilizzo di attacchi mirati e di linguaggio d’odio, e le molestie sessuali, cioè qualsiasi atto o approccio a carattere sessuale che non sia né richiesto né desiderato da chi lo subisce. Molte delle vittime di violenza di genere online dichiarano di ricorrere all’autocensura o abbandonano i social media per evitare di incappare in forme di umiliazione, con importanti ricadute psicologiche. Una sottocategoria delle molestie sessuali in rete e del linguaggio d’odio è il gendertrolling→ cioè una pratica comunicativa specificatamente rivolta nei confronti delle donne in quanto tali, include molto spesso minacce di stupro o morte. Le molestie sessuali e il linguaggio d’odio sono spesso accompagnate da una serie di comportamenti che rende evidente quanto sia sottile il confine tra online e offline. Tra queste è importante citare il doxing→ cioè la diffusione di informazioni personali come il nome e il cognome, numero di cellulare delle vittime. Questa pratica può anche aprire a una serie di forme di violenza, tra cui lo stalking. Nella seconda categoria troviamo invece, pratiche che sono maggiormente basate sull’utilizzo di immagini note con il nome di image-based sexual abuse, cioè forme di abuso che mettono al centro il ruolo delle immagini. Queste forme di violenza si instaurano in un contesto culturale che è estremamente influenzato dalla comunicazione visuale: come su Instagram e Tik Tok. Tra queste manifestazioni di violenza di genere rientra il revenge porn. Con questo termine si indica la condivisione di immagini intime senza il consenso della persona ritratta. Nella maggior parte dei casi la pubblicazione di immagini intime non avviene per una forma di vendetta, ma come un modo per riaffermare il potere maschile. Il concetto di vendetta presuppone che le vittime abbiano commesso un comportamento che necessita di essere punito, lasciando spazio al victim blaming, cioè alla consapevolezza della vittima. Usare l’espressione revenge porn non è corretto dal momento che la produzione di materiale pornografico è una pratica strettamente consensuale. Per questi motivi è meglio parlare di condivisione non consensuale di materiale intimo, che rientra a tutti gli effetti tra le forme di abuso. È bene notare che non solo le donne sono vittime della condivisione non consensuale, ma che questo fenomeno si presenta anche all’interno della comunità LGBTQIA+. Altri tipi di violenza di cui si sente parlare quando si fa riferimento alla condivisione di foto e video intimo in forma non consensuale, sono i così detti creepshot→ cioè scatti di nascosto al corpo delle donne, vestite oppure svestite. Nel contesto delle forme di abuso sessuale commesso attraverso l’immagine, è possibile nominare anche le dickpic (foto dei genitali maschili). Quando non richiesta, la ricezione di dickpic può essere considerata una vera e propria molestia. In caso di condivisione di materiale intimo non consensuale, è molto comune che vengano diffusi anche dati personali delle vittime. Inoltre si possono avere anche pratiche di sextortion, cioè la minaccia di pubblicazione di foto e video intimi al fine di estorcere denaro alla vittima. La violenza di genere online rappresenta un continuum in cui diverse pratiche e comportamenti si intrecciano e si alimentano a vicenda, tra realtà online e offline. ➔ Direzioni future: Una delle specificità della violenza di genere online sta nel fatto che si tratta di un fenomeno in costante mutamento e che si evolve di pari passo ai cambiamenti nell'ambito delle tecnologie digitali. Nonostante una maggiore sensibilizzazione e attenzione alla misoginia online, continuano a sorgere nuovi modi di umiliare e silenziare le donne. Le forme più recenti della violenza di genere online si avvalgono delle possibilità nel diffondere i contenuti grazie all'utilizzo di specifici bot, cioè applicazioni che operano su Internet e che svolgono compiti ripetitivi in modo automatico e non dipendono dall'intervento umano. In particolare, alcuni bot su Telegram permettono di sistematizzare e velocizzare la diffusione di materiale intimo non consensuale offrendo al pubblico, una serie di contenuti intimi, insieme alle informazioni personali delle donne