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Riassunto libro - Nozioni di diritto della previdenza sociale - Ferrante - Unicatt, Sintesi del corso di Diritto della Previdenza Sociale

Riassunto completo e preciso del libro, con indice, fondamentale per sostenere e superare l’esame, materia diritto della previdenza sociale, Ferrante

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

In vendita dal 07/02/2022

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Scarica Riassunto libro - Nozioni di diritto della previdenza sociale - Ferrante - Unicatt e più Sintesi del corso in PDF di Diritto della Previdenza Sociale solo su Docsity! CAP. 1: STORIA E FONDAMENTO DELLA PREVIDENZA SOCIALE 1. Origini del sistema della previdenza sociale……………………………………………………… 2. Le assicurazioni sociali nella disciplina del codice civile………………………………………4 3. Le previsioni costituzionali…………………………………………………………………..….5 4. Evoluzione del sistema pensionistico e pluralità dei criteri che ne ispirano la costruzione……..5 5. Vincoli economici e universalismo delle prestazioni……………………………………………7 6. Le fonti internazionali ed europee…………………………………………………………….…9 CAP. 2: I SOGGETTI 1. Il rapporto giuridico previdenziale e la sua costruzione……………………………………..…10 2. Il lavoro irregolare…………………………….……………………………………………..…11 3. Il lavoro subordinato………………………………………….…………………………………11 4. L'appalto e la somministrazione di manodopera……………………………………………..…12 5. Le collaborazioni coordinate e continuative e il lavoro parasubordinato………………………13 6. Il lavoro autonomo intellettuale e non………………………………………………………….14 7. Il lavoro del socio di impresa cooperativa……………………………………………….……..15 8. La certificazione del rapporto di lavoro………………………………………………..………16 9. Il divieto di discriminazioni………………………………………….…………………………16 1. Il divieto di discriminazioni per sesso………………………………………………………16 2. Il divieto di discriminazioni per età…………………………………………………………18 3. Il divieto di discriminazioni per nazionalità……………………………………………..….18 10. Gli istituti assicuratori………………………………………….…………………………….…19 CAP. 3: LE PRESTAZIONI PARTE I: IL SISTEMA DELLE PENSIONI 1. Linee generali di evoluzione del sistema………………………………………….……………21 2. La riforma del 1992: la messa a punto del sistema retributivo…………………………………22 3. La necessità di una nuova riforma: il nodo delle pensioni di anzianità…………………………24 4. La riforma del 1995: l'introduzione del metodo contributivo……………………………..……25 5. Le riforme del 2004 e del 2007………………………………………….………………..……27 6. Le evoluzioni più recenti (2010-2019)…………………………………………………………28 7. La pensione di vecchiaia………………………………………….……………………………30 8. La pensione anticipata ………………………………………….………………………………32 9. Quota 100 e le ulteriori ipotesi di uscita anticipata……………………………………..………32 10. Le regole previste per i lavori usuranti…………………………………………………………33 11. Il regime previdenziale dei lavoratori non subordinati…………………………………………34 1. Lavoratori agricoli, commercianti, artigiani…………………………………………..……35 2. I liberi professionisti…………………………………………………………………..……35 3. I lavoratori iscritti alla quarta gestione …………………………………………….………36 12. Disposizioni per il lavoro subordinato flessibile ………………………………………………37 13. I lavoratori dipendenti da p.a. ………………………………………………………….………37 14. Il cumulo tra pensione e reddito da lavoro ……………………………………………….……39 15. L'assegno di invalidità …………………………………………………………………………40 1 16. La pensione ordinaria di inabilità ………………………………………………………………42 17. La pensione ai superstiti ………………………………………………………………..………43 18. La perequazione automatica delle pensioni …………………………………………………….44 19. Il minimale di prestazione e la quota sociale …………………………………………..………45 20. L'assegno sociale ……………………………………………………………………….………45 21. Le pensioni estere ………………………………………………………………………………47 1. La tutela previdenziale nei paesi dell’UE …………………………………………….……47 2. La tutela previdenziale nei paesi convenzionati ……………………………………………48 3. La tutela previdenziale in mancanza di accordi internazionali …………………….………48 PARTE II: INTERVENTI DI SOSTEGNO AL REDDITO E A TUTELA DEL LAVORO 1. Controllo della spesa pensionistica e tutela del lavoratore sul mercato del lavoro ……………50 2. Gli sviluppi più recenti (2012-2015) e la riforma dei trattamenti di disoccupazione …………51 3. La tutela in caso di disoccupazione: la NASpI …………………………………………..……53 4. La tutela in caso di sospensione dell'attività: la cassa integrazione guadagni …………………56 1. Origini, finalità e disciplina generale ……….………………………………………..……56 2. L'intervento ordinario e straordinario di integrazione salariale: ambito, causali e durata …58 3. CIGO e CIGS: procedura e finanziamento…………………………………………………60 4. I contratti di solidarietà……………………………………………………………………..63 5. Le misure promozionali: l’accordo di ricollocazione……………………………..………..64 5. I fondi bilaterali per il sostegno al reddito …………………………………………..…………65 6. La tutela nel caso della crisi d'impresa: il fondo di garanzia del TFR …………………………67 7. Prestazioni a tutela della famiglia …………………………………………………..…………67 1. L'assegno unico per il nucleo familiare ……………………………………………………67 2. La tutela della maternità e della paternità ………………………………………….………68 8. La tutela della salute ……………………………………………………………………..……70 1. L'assicurazione per malattia ordinaria …………………………………………….………70 2. L'assicurazione contro la tubercolosi ………………………………………………..……71 PARTE III: LA TUTELA CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO E LE MALATTIE PROFESSIONALI 1. Gli istituti assicuratori ………………………………………………………………….………72 2. I soggetti assicuranti …………….………………………………………………………..……72 3. Attività protette e soggetti assicurati ……..……………………………………………………73 4. L'oggetto dell'assicurazione: gli infortuni sul lavoro …………………………………………..74 5. L'accertamento dell’evento …………………………….………………………………………76 6. Le prestazioni e i ricorsi dell’assicurato ……….………………………………………………76 7. Le malattie professionali ………………………….……………………………………………78 8. L’art. 10 TU, l'esonero dell'assicurante dalla responsabilità civile e la corte costituzionale ..…79 9. Il problema del danno biologico …………………………………………….…………………80 10. La surroga e il regresso dell’Inail ……..………………………………………………………83 2 conseguenza alle varie leggi che nel tempo hanno disciplinato la materia, ove accanto alla fattispecie dei lavoratori subordinati si è nel frattempo assistito all’emergere di regimi speciali, per speciali categorie di lavoratori. Così la solidarietà previdenziale quale solidarietà di categoria, in quanto limitata ai soli soggetti appartenenti a quelle categorie e perciò costituita da una pluralità di essi non sempre comunicanti. 3) Le previsioni costituzionali L'assetto normativo risultante dallo stratificarsi dei vari interventi non poteva rimanere invariato a fronte del sopraggiungere delle disposizioni costituzionali, che, accanto alla norma dell’art. 38 Cost., pone all’art. 3 un generale principio che impone allo Stato di promuovere il pieno sviluppo della persona umana, rimuovendo gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono l'effettiva partecipazione di tutti lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese (cd. principio di eguaglianza sostanziale). Sarebbe stata accolta, secondo alcuni, l'idea di un indirizzo alla sicurezza sociale come manifestazione di un interesse pubblico alla tutela dei più deboli, giustificando che il finanziamento venga gravare direttamente sul bilancio dello Stato, alimentando l'imposizione fiscale generale. Una diversa lettura, tende a sottolineare la differenza fra i due primi commi dell’art. 38 in relazione al diritto di ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere al mantenimento e all'assistenza sociale (comma 1) e il diritto dei lavoratori a che siano preveduti i mezzi adeguati alle loro esigenze di vita, nel caso in cui essi siano divenuti in abili a garantirsi un reddito in forza del proprio lavoro (comma 2). Secondo tale impostazione, la costituzione accanto all'indicazione, rivolta al legislatore ordinario, diretta a garantire la libertà dei bisogni primari mediante la presa in carico all'erario dei costi correlati, avrebbe riconosciuto il diritto dei soli lavoratori ad una specifica prestazione, di più elevato importo, in quanto commisurata secondo il principio dell’adeguatezza dei mezzi, da finanziarsi attraverso l'imposizione contributiva (art. 38 comma 4). => la previdenza mirerebbe ad esigenze diverse rispetto a quelle garantite dalle previsioni del primo comma della norma costituzionale, venendo così a legittimare la differente misura dei trattamenti pensionistici, in parallelo alla proporzionalità del salario affermata dall’art. 36 Cost., instaurando un sistema pluralista, il quale trova consacrazione nella libertà dell'assistenza privata, ex art. 38 Cost. La lettura dei primi due commi dell’art. 38 Cost. finirebbe per ribadire i risultati raccolti nel periodo precedente, limitando l'ingresso le concezioni riformiste affacciatesi in Italia nell’epoca del dibattito in seguito al rapporto Beveridge. => si tratta di un dibattito che non ho trovato esiti condivisi, tanto che si è affermato che la norma costituzionale sufficientemente aperta da lasciare al legislatore ordinario spazio per soluzioni diverse, nell'ambito di un sistema integrato, che pure promuove l'iniziativa privata, collettiva ed individuale. La costituzione nel proclamare all’art. 38 Cost. i diritti dei cittadini e dei lavoratori ebbe ad intervenire su una realtà già consolidata e sebbene sia evidente l'intenzione di garantire che questa non venisse meno, è palese anche la volontà di attribuire un fondamento nuovo al fenomeno previdenziale, aldilà dell'originaria matrice assicurativa. 4) Evoluzione del sistema pensionistico e pluralità dei criteri che ne ispirano la costruzione Il cd. rapporto giuridico previdenziale, che si costituisce in via immediata ed imperativa (art. 2115, ult. co., c.c.) in forza della semplice prestazione di attività di lavoro, veniva ricondotto alla logica della corrispettività che informa il contratto di assicurazione di cui agli art. 1882 c.c. ss., nel significato proprio di un immediato e diretto nesso tra contribuzione e prestazioni. 5 => tale concezione non può più essere accolta oggi, dopo che le previsioni contenute nella costituzione all’art. 38 hanno inteso radicare la tutela dal bisogno sulle previsioni di eguaglianza sostanziale di cui all’art. 3 Cost., quale manifestazione di una solidarietà non più ristretta i componenti di una categoria professionale. Evoluzione conseguente alle previsioni della costituzione non appare però lineare, secondo uno sviluppo che ha conosciuto negli ultimi decenni un riflusso verso le più antiche logiche corrispettive. Nel sistema attuale si registrano disciplina ispirata a logiche spesso contrastanti, non sempre riconducibile ad un disegno unitario. Alcuni esempi, della vocazione universalistica della previdenza costituzionale, sono ravvisabili nell'assegno sociale, nella perequazione automatica delle pensioni, nella pensione ai superstiti. Tali esempi non sono i doni ad imprimere a tutto il sistema un carattere unitariamente universalistico, tanto più che gli interventi degli ultimi due decenni hanno mirato a ricostruire nel sistema pensionistico una più esatta proporzione fra la misura dei contributi versati da ogni lavoratore e l'entità dei trattamenti pensionistici a lui riconosciuti, al fine di assicurare un contenimento dei flussi di spesa del pubblico denaro e una più equa partecipazione dei singoli al finanziamento del sistema. E due sono gli istituti che si erano in passato richiamati a confronto dell'affermarsi di una mutata concezione della previdenza sociale. => Il primo è il cd. istituto dei minimali di prestazione diretto a garantire una pensione da montare minimo a chi avesse comunque versato contributi che, capitalizzati, avrebbero dato diritto ad una pensione di importo assai modesto. In tali ipotesi, si prevedeva l'erogazione di una integrazione al minimo, che rimaneva integrale a carico dello Stato, in aperto contrasto con ogni logica di tipo assicurativo, improntata alla corrispettivi ta tra contributi versati e prestazioni erogate => Tale istituto è stato però abrogato dalla riforma del 1995. Attualmente il diritto alla pensione, perché non abbia raggiunto l'età massima pensionabile (70 anni), viene riconosciuto solo nella ipotesi in cui l'importo della pensione da liquidarsi sia pari ad almeno una volta e mezza l'importo dell'assegno sociale, nella misura annualmente aggiornata. L'adeguatezza non costituisce più una caratteristica estrinseca della prestazione, che deve essere oggetto di una garanzia costituzionale ex art. 38, ma una condizione per il sorgere del diritto, in quanto sia diritto ad una prestazione solo ove questi risulti nel suo importo adeguata alle esigenze di vita. Tale conclusione sembra smentita dalla reintroduzione di una misura diretta all'integrazione dell'importo delle pensioni, attraverso la cd. pensione di cittadinanza: la sua applicazione rischia comunque di essere molto ampia, pur non essendo generalizzata, a ragione della misura della pensione che viene promessa (780 €), che appare assai elevato rispetto al valore medio delle pensioni liquidate mensilmente dall’Inps. Risulta così scardinata quella correlazione fra partecipazioni finanziarie al sistema pensionistico e importo della pensione individuale, che legislatore della riforma del 1995 aveva adottato sia per contrastare la tendenza alla frammentazione del sistema attraverso provvedimenti legislativi particolari, sia per coinvolgere gli stessi lavoratori nella lotta al lavoro nero, sia per evidenti ragioni di equità. Un altro esempio è dato dai criteri utilizzati dal legislatore per determinare la misura delle pensioni, a seguito della riforma del 95, che segna un ritorno all'originario sistema di tipo contributivo, sovvertendo le scelte a favore di una pensione di tipo retributivo. Differenze fra sistema retributivo e contributivo: nella legislazione delle origini il quantum della pensione veniva calcolato sull'ammontare dei contributi versati e sulla data dei versamenti, dedotte le spese di gestione dell'istituto previdenziale (sistema contributivo). A seguito della riforma del 6 1969, la determinazione dell'importo fu sganciata dai suddetti parametri, in quanto la pensione fu calcolata in via percentuale sulla media delle retribuzioni percepite negli ultimi anni di lavoro dell’assicurato. => In tale sistema (retributivo), il parametro costituzionale dell'adeguatezza veniva determinato in relazione al livello di reddito raggiunto, piuttosto che sui contributi versati, di modo che tale grandezza era considerata solo in relazione alla durata della vita lavorativa del pensionato. Perciò, si è passati da un sistema di finanziamento delle prestazioni previdenziali a capitalizzazione ad uno a ripartizione. In origine, vigendo la pensione di tipo contributivo, ogni lavoratore tramite il versamento dei contributi precostituiva la copertura finanziaria delle assicurazioni che avrebbe poi goduto al momento di andare in pensione. Successivamente, le prestazioni hanno trovato copertura economica in un sistema che ne addossa l'onere a quella parte di popolazione attiva che versa i contributi: così, chi è oggi lavoratore subordinato paga i contributi a chi è attualmente pensionato. => viene a definirsi come un patto di solidarietà intergenerazionale. Tuttavia, il sistema può reggere solo alla condizione che tra lavoratori in attività e lavoratori a riposo nel medesimo periodo di tempo sussiste un rapporto sufficientemente equilibrato. Infatti, qualora i pensionati siano in un numero eccessivo rispetto ai contribuenti, su questi grava, per esigenze di bilancio, un onere contributivo necessariamente elevato, a scapito della retribuzione netta e in generale del costo del lavoro. => così a partire dagli anni 70, successivamente alla riforma pensionistica del 69, dettata dall'evidente fine di migliorare l'entità dei trattamenti pensionistici in un momento di grande tensione, si è iniziato a registrare un forte calo di natalità ed un innalzamento dell'età media nazionale, conseguenze negative dell'andamento demografico. Il legislatore, quindi, ha abbandonato la pretesa di utilizzare come riferimento, per determinare la pensione individuale, il livello retributivo di cui godeva il lavoratore prima del pensionamento, preferendo prendere a base l'ammontare dei contributi versati lungo l'arco di tutta la carriera lavorativa, parametrando questo con l’importo finale del trattamento, tenuto conto della speranza di vita del soggetto: per ragioni di sostenibilità economica del sistema, il principio di adeguatezza viene ad essere correlato alla misura dei contributi accreditati, facendo emergere un limite che la legislazione precedente aveva occultato dietro la previsione di adeguatezza. Il metodo contributivo, inizialmente limitato dalla riforma del 95 i soli lavoratori di età più giovane, è stato ora generalizzato dalla riforma del 2011, che lo esteso a tutti lavoratori subordinati, pubblici e privati, rafforzando l'intima coerenza della precedente riforma e ribadendo una più precisa correlazione fra lo sforzo patrimoniale sostenuto dal singolo lavoratore e l'importo del trattamento pensionistico. 5) Vincoli economici e universalismo delle prestazioni L'ordinamento garantisce una tutela che non può più ricondursi ad una logica meramente assicurativa, per molteplici motivi. Innanzitutto, non mancano ipotesi nelle quali la tutela preso forma di prestazione universalistica, come nell'istituzione del servizio sanitario nazionale, il quale mira garantire a tutti una tutela della salute della persona tendenzialmente completa e duratura, lungo tutto l'arco della vita, anche nella forma dell'intervento preventivo. In secondo luogo, la previdenza registrato negli ultimi decenni un'espansione mai conosciuta, che tende alla protezione del lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni (art. 35 Cost.). Questo non implica che il sistema contributivo sia tornato alla logica di stampo assicurativa: poiché, permane la caratteristica del finanziamento del sistema tramite ripartizione anziché capitalizzazione (sebbene sia mutato il sistema di determinazione dell'ammontare della prestazione pensionistica, i 7 maternità, la malattia, gli infortuni sul lavoro, la dipendenza o la vecchiaia, oltre che in caso di perdita del posto di lavoro, secondo le modalità stabilite dal diritto comunitario e le legislazioni e prassi nazionali. Si tratta di una previsione generale in ordine alla necessità di una tendenziale integrazione dei sistemi nazionali; risultano, invece, più imperative le previsioni del terzo comma, secondo cui: Al fine di lottare contro l'esclusione sociale e la povertà, l'Unione riconosce e rispetta il diritto all'assistenza sociale e all'assistenza abitativa volte a garantire un'esistenza dignitosa tutti i colori che non dispongano di risorse sufficienti, secondo le modalità stabilite dal diritto comunitario e le legislazioni e prassi nazionali. CAPITOLO 2: I SOGGETTI 1) Il rapporto giuridico previdenziale e la sua costituzione Secondo l’art. 3 comma 2 Cost., lo scopo del diritto della previdenza sociale è la liberazione da situazioni di bisogno che ostacolano il pieno svolgimento della personalità umana. Tale finalità rispecchia la disciplina positiva, determinando alterazioni rispetto al modello originario, così da impedirne il riferimento alle norme del codice civile (art. 1886 c.c.), se non per una mera comparazione. La dottrina ha abbandonato anche l'idea che ci si trova innanzi ad un rapporto unitario, il quale unisce il lavoratore, il datore è l'Istituto assicuratore e nel quale finanziamento e prestazioni sono direttamente correlate, secondo principi di corrispettività (art. 1901 c.c.), per far spazio ad una concezione che scinde le due relazioni, collocandole su piani diversi. Il diritto della previdenza sociale, quindi, ha per oggetto lo studio dei rapporti che intercorrono tra assicurante ed istituto assicuratore per quanto concerne l'aspetto contributivo (cd. rapporto contributivo) e tra l'assicurato e l'istituto medesimo per l'aspetto delle prestazioni (cd. rapporto giuridico previdenziale). L'impiego dei termini propri del rapporto assicurativo di stampo privatistico assume una funzione meramente descrittiva tornando utile in astratto, in quanto consente la trattazione dei problemi tipici della materia. => Si può dire che l'assicurante è il soggetto che per legge è tenuto a versare i contributi previdenziali a favore del lavoratore assicurato. È tale non solo il soggetto imprenditore (art. 2082 c.c.), che si avvale normalmente di ausiliari subordinati (art. 2086 c.c.) ma, in generale, ogni soggetto datore di lavoro. Il presupposto dell'obbligo contributivo è la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, indipendentemente dal fatto che rapporto sia stato in violazione di norma di legge o dalla mancata effettiva corresponsione della retribuzione. Perciò, anche il privato che si avvalga in maniera puramente episodica della prestazione di un terzo sarà tenuto al versamento dei contributi per il lavoro prestato. => in realtà, l'obbligazione viene condizionata nel suo sorgere dalla qualificazione giuridica dell'attività prestata, poiché lavoro autonomo puramente occasionale resta esente dall'obbligo di contribuzione, ogni qualvolta il reddito che il prestatore ne ricavi sia inferiore ad un certo ammontare annuo complessivo. => l'obbligazione contributiva, come registrato dall’art. 2115 c.c., prevede che al pagamento dei contributi sono tenuti in generale anche lavoratori medesimi, ossia coloro che percepiranno le prestazioni previdenziali, seppure non sia più attuale il principio di un parto in misura eguale, di modo che la trattenuta operata sulla retribuzione del lavoratore rappresenta in genere un importo inferiore rispetto a quello dei contributi che rimangono in capo al datore di lavoro. 10 2) Il lavoro irregolare Non rileva ai fini della costituzione del rapporto giuridico contributivo, il fatto che la prestazione di lavoro sia resa irregolarmente, senza effettuare le prescritte comunicazioni agli organi pubblici e senza procedere al versamento delle imposte dovute. Regola analoga si applica ai diritti del lavoratore derivanti dal rapporto di lavoro subordinato, atteso il generale principio di libertà di forma del contratto e la speciale disciplina della nullità ex art. 2126 c.c., che vale a sanare per gli aspetti retributivi ogni violazione di norme poste a tutela del prestatore di lavoro. => infatti, sarebbe incongruo incoraggiare gli imprenditori disonesti, liberandoli dalle conseguenze che discendono dalla esecuzione dell'attività lavorativa, ove si facesse una indiscriminata applicazione del principio di improduttività degli effetti dei contratti nulli. La mancata denunzia da luogo a responsabilità per il datore che ho metta tale incombenza nella prospettiva di un risparmio sul piano dei costi contributivi (sanzioni ex art. 37 L. 689/1981). Si deve ricordare come la mancata denuncia all’Inail (art. 12 T.U. 1124/1965) non sia prima di effetti per l'imprenditore, in quanto non verrà ad operare la regola della traslazione del rischio in capo all'Istituto assicuratore, che interverrà riconoscere al lavoratore un indennizzo in forza del principio di automaticità (art. 2116 c.c.) solo in via di anticipazione e con riserva di rivalersi sul datore per l'importi sborsati detratta la somma corrisposta a titolo di contributi omessi. => Tale principio si applica per le altre prestazioni, nel limite della prescrizione della contribuzione, posto che è possibile per il lavoratore esperire solo l'azione di risarcimento dei danni di cui al comma 2 art. 2116 c.c.. => La costituzione dei rapporti invalidi non dispensa comunque il datore dall'obbligo contributivo. Problemi concernenti l'età dell'assicurato si sono posti soprattutto nel campo dell'agricoltura, poiché frequentemente accadeva che i minori tenuti all'obbligo scolastico ne venissero meno per essere utilizzati come manodopera nei campi. L’art. 205 del T.U. Inali limitava la tutela assicurativa contro gli infortuni solo dall'età di 12 anni: quindi, il minore di 12 anni che si infortunava non aveva diritto ad alcuna prestazione previdenziale. Con l’art. 4 L. 457/1972 si è disposto l’abolizione dei limiti d’età; inoltre è intervenuta la Corte costituzionale, disponendo l’illegittimità dei limiti in questione. In materia di lavoro dei minori resta la L. 977/1967, secondo cui occorre distinguere tra gli adolescenti (15-18 anni) e i bambini (<15 anni), i quali non hanno l'età minima per l'ammissione al lavoro. Con il d.lgs. 345/99 si è stabilito che l’età minima per l’ammissione del lavoro del minore sia fissata con riguardo al momento in cui questi abbia concluso il periodo di istruzione obbligatoria, fermo restando che non può essere inferiore di 15 anni. Dal punto di vista previdenziale qualunque sia l'età del minore, questi ha sempre diritto alle prestazioni assicurative previste, anche se è adibito al lavoro in violazione delle norme sull'età minima. Così, gli enti previdenziali per contro possono rivalersi nei confronti del datore per l'importo complessivo delle prestazioni erogate al minore, detratta la somma corrisposta a titolo di contributi omessi. Tali regole valgono anche per i lavoratori stranieri il regolarmente soggiornanti sul territorio italiano, per i quali datori sono comunque tenuti al versamento dei contributi indipendentemente dalla validità del contratto di lavoro, in conformità di espresse previsioni internazionali. 3) Il lavoro subordinato Nel diritto della previdenza sociale, il concetto di assicurato ricomprende principalmente quello di lavoratore subordinato, anche se non esclusivamente: in quanto, sono assicurati anche molte altre tipologie di lavoratori diverse: in quanto espressione di una precisa tendenza del diritto della previdenza sociale nel senso di estendere gli ambiti oggettivi e soggettivi di tutele a tutte le situazioni di bisogno in cui possano versare i cittadini in quanto tali e non solo di lavoratori subordinati (in ordini i primi destinatari della legislazione previdenziale). 11 Il punto di partenza però deve essere la norma dell’art. 2094 c.c. secondo cui: È prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga, mediante retribuzione, a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore. Per determinare quando ricorre la figura del lavoratore subordinato e, di conseguenza, l'obbligo di assicurare alla gestione numericamente più rilevante dell'Inps (FPLD: Fondo pensione lavoratori dipendenti), che costituisce la principale ipotesi di AGO (assicurazione generale obbligatoria). => la norma del codice pone quattro requisiti: l'obbligo di fare, la collaborazione, l'onerosità e la subordinazione. Solo l'elemento della subordinazione caratterizza in via esclusiva il rapporto di lavoro: infatti, solo se sussiste la subordinazione ricorre la fattispecie dell’art. 2094 c.c. e la figura dell’assicurato. Non deve però essere confusa con la subordinazione di cui si parla in relazione ad altri contratti (per esempio, appalto, trasporto di cose, agenzia). In questi casi viene in rilievo una subordinazione tecnica, mentre nel nostro caso si deve parlare di subordinazione al fine di individuare il potere del datore di organizzare a proprio piacimento la prestazione del lavoratore non soltanto in relazione al risultato, ma anche con riguardo alle modalità di raggiungimento dello stesso, così da eliminare ogni aspetto di discrezionalità del debitore nell'attuazione del rapporto. => infatti, la prestazione subordinata è stata definita come quell'attività lavorativa destinata ad essere inserita in un'organizzazione sulla quale il lavoratore non ha alcun potere giuridico di controllo e ad essere utilizzata secondo le direttive del datore per uno scopo in ordine al cui conseguimento il lavoratore non ha alcun interesse giuridicamente tutelato. Ne consegue l'irrilevanza, con riguardo all'obbligo retributivo, del raggiungimento dello scopo da parte del datore, ossia dell'avvenuta realizzazione di un profitto. In giurisprudenza sono stati individuati una serie di indici al fine di identificare il rapporto di lavoro come subordinato: l'inserzione del lavoratore nell'organizzazione predisposta dal datore, la sottoposizione alle direttive tecniche, al controllo e al potere discrezionale dell'imprenditore, le modalità di retribuzione, l'obbligo di osservare un orario di lavoro, il nome juris attribuito dalle parti al rapporto quale indice sussidiario della presuntiva natura del rapporto. Il diritto della previdenza sociale ampia sempre più il suo raggio di azione rispetto al diritto del lavoro in senso proprio, poiché si rivolge a tutte le forme di attività professionale esercitata in via stabile, indifferentemente dalla natura del contratto, assicurando contro gli infortuni sul lavoro anche chi pacificamente non può considerarsi come lavoratore subordinato (ad es. nella reciprocanza agricola ex art. 2139 c.c.). La disciplina previdenziale sembra addivenire ad applicazioni capaci di tutelare il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni => il legislatore ha ampliato il numero dei soggetti protetti, prevedendo forme di tutela per ogni figura di lavoratore. Tale tendenza ha registrato una battuta d'arresto, dovuta all'inversione di rotta assegnata dal legislatore, il quale dopo aver differenziato le fattispecie nel cui ambito veniva effettuato una prestazione di lavoro nel 2003, ha recentemente abrogato le disposizioni che regolavano il contratto di lavoro a progetto e, introducendo una disciplina restrittiva poco chiara. 4) L’appalto e la somministrazione di manodopera L’assicurazione previdenziale del lavoratore subordinato ricorre anche in caso di appalto e somministrazione di manodopera. => in questi casi si registra un rafforzamento dal lato passivo dell'obbligazione contributiva, mediante la previsione di una responsabilità aggiuntiva e dell'impresa utilizzatrice. L’appalto è il contratto (art. 1655 c.c.) In base al quale il soggetto appaltatore assume con organizzazione dei mezzi necessari e gestione a proprio rischio l'obbligo nei confronti del committente del compimento di un'opera; all'assunzione del rischio a proprio carico si correla l'esercizio del potere direttivo necessario al compimento dell’opera. 12 professioni intellettuali per il cui esercizio è necessaria l'iscrizione ad albi od ordini professionali (art. 2229 c.c.). Per i lavoratori autonomi, che ammontano complessivamente a poco meno di un terzo dei subordinati, la tutela previdenziale conosce forme varie differenti: i lavoratori autonomi tenuti ad iscriversi ad un apposito albo professionale, sono assicurati presso appositi enti di settore, del tutto distinti dall'Inps, e governati dagli stessi professionisti mediante organi di natura elettiva; gli altri lavoratori autonomi non intellettuali, vengono sovente inquadrati nell'ambito della gestione artigiani di competenza Inps, laddove si tratti di lavoro manuale o trovano collocazione nella quarta gestione speciale, destinata ai parasubordinati. Appaiono esonerati dall'obbligo contributivo solo coloro che svolgono attività lavorativa autonoma puramente occasionale, qualora tuttavia il reddito annuo che derivi dalla loro attività non sia superiore a 5000 €. (In passato si riteneva, che chi svolgesse attività di lavoro autonomo in via occasionale dovesse essere esonerato dall'assicurazione dalla contribuzione, sul presupposto che la natura occasionale dell'attività fosse indice dell'esistenza o di altro reddito o di altra attività svolta in via principale, e per la quale sussisteva già un'autonoma copertura previdenziale; per cui, la previsione di un obbligo assicurativo avrebbe finito per collocare tali soggetti in una posizione di sostanziale privilegio rispetto a chi lavorava e contribuiva in via stabile, alla sola condizione che essi intensificassero la loro attività negli ultimi anni immediatamente precedenti al pensionamento. Venuto meno tale rischio, grazie al passaggio dal sistema retributivo al sistema contributivo, la legislazione attuale finisce per escludere solamente quanti abbiano a svolgere attività di lavoro non subordinato in via del tutto saltuaria). => si finisce quindi per sottoporre a copertura previdenziale qualunque attività di lavoro, al fine di garantire una sorta di base comune di diritti, indifferentemente dalla natura giuridica del contratto nel cui ambito la prestazione professionale viene ad essere effettuata, ma anche tenendo conto che l'accumulazione previdenziale rimarrà comunque conveniente per l'istituto pubblico. 7) Il lavoro del socio di impresa cooperativa Un'altra ipotesi di mancanza di datore di lavoro in senso stretto si rinveniva nelle imprese aventi natura corporativa (art. 2511 c.c.), nelle quali, in caso di prestazione resa nei confronti della società stessa o di terzi per i lavoratori dalle stesse assunte, non sembrava sussistere propriamente un rapporto di subordinazione ex art. 2094 c.c., poiché si riteneva che la prestazione lavorativa venisse resa in esecuzione del vincolo sociale e al di fuori della distinzione tra lavoro autonomo e subordinato. In tal senso, ai fini previdenziali, i soci lavoratori di cooperative erano equiparati a lavoratori dipendenti: i contributi per questi lavoratori erano versati sulla base delle retribuzioni previste dai contratti collettivi per lavoratori subordinati del corrispondente settore. => Attualmente, l’art. 1 comma 3 L. 142/2001 ha separato il rapporto associativo da quello che ha ad oggetto la prestazione d'opera, prevedendo che quest'ultimo possa essere instaurato come un ulteriore distinto rapporto di lavoro, in forma subordinata autonoma o in qualsiasi altra forma, e che al medesimo si applichi la corrispondente tutela previdenziale. La modifica ha ridisegnato la fisionomia del rapporto, in capo alla società sussiste oggi un obbligo contributivo nei confronti di soci lavoratori, secondo il tipo di lavoro effettivamente realizzato, in conformità alle modalità materiali che caratterizzano l'esecuzione del rapporto, senza possibilità di distinguere tra lavoratori assunti dalla società per conto di terzi e lavoratori rientranti nello scopo mutualistico. Con il d. lgs. 423/2001, sono state così soppresse le disposizioni di legge che stabilivano, a beneficio della società, un salario convenzionale, di solito di importo minimo, di modo che l'intero 15 settore cooperativo è stato equiparato alle altre imprese, eliminandosi ogni vantaggio derivante alla forma giuridica adottata dal datore, e dunque l'alterazione della concorrenza che ne conseguiva. 8) La certificazione del rapporto di lavoro Al fine di ridurre il contenzioso relativo alla qualificazione del rapporto, il d .lgs. 276/2003 agli art. 75 ss., a previsto la possibilità di certificare i contratti di lavoro ad opera di apposite commissioni: costituite ad iniziativa di enti bilaterali rappresentativi di datori e lavoratori, delle direzioni provinciali del lavoro, delle università pubbliche private, delle province e delle fondazioni universitarie. Tale operazione costituisce uno strumento volontario, avente efficacia fidefaciente per le parti in ordine alla natura del rapporto di lavoro e dei suoi effetti. Le parti possono richiedere la certificazione della natura subordinata del rapporto ai fini previdenziali, tale certificazione effetto anche verso i terzi (ad es. gli enti previdenziali). Avverso il provvedimento adottato dalle commissioni è possibile proporre ricorso al giudice del lavoro, per erronea qualificazione del rapporto, per vizio del consenso o per difformità tra il programma negoziale così come qualificato e la sua successiva, concreto attuazione. => nel caso di accoglimento del ricorso, la sentenza che accerti la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato comporta tra le parti il prodursi dei relativi effetti fin dall'inizio del rapporto, mentre, nel caso di erronea qualificazione dal momento in cui ha avuto inizio la difformità tra il programma negoziale e quello certificato. Perciò, la sentenza di accertamento opera retroattivamente, solo tra le parti del rapporto, invece, nei confronti dei terzi mantiene la propria efficacia. L'effetto della certificazione consiste nella nullità di qualsiasi atto che presupponga una qualificazione del rapporto diversa da quella certificata: l'Inps non può chiedere il pagamento dei contributi come se venisse in rilievo rapporto di lavoro subordinato ad orario normale a fronte di una certificazione di diverso tipo di rapporto. Per cui, sarebbe necessario da parte dell'Inps e intervenire nel giudizio di impugnazione della certificazione, oppure agire separatamente con un'azione di previo accertamento della natura del rapporto. L'istituto avuto una ridotta applicazione, hai ragione delle difficoltà pratiche che la certificazione dei singoli rapporti di lavoro avrebbe in concreto comportato. Da rilevare che, non potendosi attribuire la certificazione, per il rispetto del principio del diritto al giudice naturale, alcuna efficacia vincolante in sede di accertamento giudiziario, l'attività delle commissioni appare in idonea a dare certezza assoluta in ordine alla effettiva qualificazione del rapporto. 9) Il divieto di discriminazioni 9.1. Il divieto di discriminazioni per sesso La piena parificazione è garantita ai lavoratori, indipendentemente dal loro sesso, dalla loro età o dalla nazionalità, per quanto attiene sia la disciplina del rapporto di lavoro sia alla materia previdenziale: il divieto di ogni discriminazione trova fondamento nelle previsioni costituzionali e nel diritto europeo. Vengono in rilievo l’art. 21 della Carta di Nizza e gli art. 3 Cost., per quanto attiene al sesso, e la previsione di cui all’art. 37 Cost. ove dispone che la donna lavoratrice agli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano ai lavoratori. Tale indicazione normativa è stata fonte di lunghi dibattiti, nonostante la sua portata precettivo, ossia immediatamente vincolante nei rapporti inter privati, non sembri necessitare di una legge di attuazione. Si è reso necessario l'emanazione della L. 903/1977 volte a garantire la parità di trattamento fra uomini e donne, a cui hanno fatto seguito numerosi altri provvedimenti legislativi, diretti a precisare l'esatta portata del divieto di discriminazione e ad assicurare strumenti processuali per tutelare le pari opportunità, attraverso azioni positive di promozione della presenza femminile. 16 Tutti i testi legislativi emanati sono stati poi trasfuse nelle disposizioni del codice delle pari opportunità tra uomo e donna: vengono in rilievo gli articoli 30 e 30 bis: l’art. 30 comma 3 concerne gli assegni familiari, le aggiunte di famiglie le maggiorazioni delle pensioni, tutte prestazioni di natura previdenziale a favore dei lavoratori con familiari a carico => la norma dispone che possono essere corrisposti, in alternativa, alla donna lavoratrice o pensionata alle stesse condizioni e con gli stessi limiti previsti per il lavoratore o pensionato. Nel caso di richiesta di entrambi i genitori debbono essere corrisposti al genitore con il quale il figlio convive. (=> la situazione precedente l'entrata in vigore della norma veniva regolata da previsioni che solo chi era considerato il capo famiglia aveva diritto alla corresponsione di tali prestazioni. Tale qualifica spettava normalmente al padre solo eccezionalmente alla madre, in ipotesi tassativamente individuate: tale anomalia portava situazioni di evidente svantaggio). Oggi la situazione è mutata per effetto della protezione del requisito di capofamiglia: la lavoratrice subordinata, sposata ad un lavoratore autonomo, può percepire gli assegni familiari, e così pure la lavoratrice dipendente coniugata con un lavoratore dipendente: in questo caso l'assegno potrà essere percepito solo da uno dei coniugi, da colui che li percepisce in misura maggiore. I commi 4-5 dell’art. 30 si occupano dei trattamenti ai superstiti vanificando la condizione del beneficiario, indipendentemente dal suo sesso, inoltre al comma 6 è stato introdotto il principio di parità in materia di prestazioni superstiti determinate da infortuni sul lavoro, le quali sono estesa le stesse condizioni stabilite per la moglie del lavoratore al marito della lavoratrice. Il punto di maggior interesse viene rappresentato dall'età di accesso alla pensione, che in vari regimi è stata spesso fissata in maniera differente, così da essere inferiore per le donne rispetto agli uomini: il comma 1 dell’art. 30 stabilisce che le donne lavoratrici hanno diritto di proseguire il rapporto di lavoro fino agli stessi limiti di età previsti per gli uomini => costituendo l'evoluzione di un principio che è interessato alla Corte costituzionale la Corte europea di giustizia. Si ricorda la sent. 137/1986 sul presupposto che l'avvento di nuove tecnologie e metodi di produzione di riforme intervenute nel campo del diritto del lavoro aveva reso il lavoro femminile meno usurante e più sicuro, la Corte costituzionale aveva dichiarato illegittima la disposizione della legge sui licenziamenti, nella parte in cui questa consentiva licenziamento della donna lavoratrice il compimento dell'età utile per il conseguimento della pensione di vecchiaia. Con la L. 903/1977 si stabiliva che la donna ha la facoltà di optare per la prosecuzione dell'attività lavorativa fino all'età pensionabile stabilita per gli uomini, dandone preventiva comunicazione al datore di lavoro, tre mesi prima della data di scadenza pena la perdita da parte della stessa della tutela contro i licenziamenti ingiustificati. (art. 4) => anche tale previsione fu dichiarata illegittima per violazione degli articoli 3 e 37 Cost., con sent. 498/1998, nella parte in cui subordinava il diritto della lavoratrice all'esercizio di un'opzione, da comunicarsi tempestivamente al datore di lavoro, in quanto si riteneva che un simile onere procedurale non fosse giustificato da alcuna legittima ragione, finendo per configurare un requisito discriminatorio. Attualmente, l’art. 30 del codice delle pari opportunità prevede il diritto della lavoratrice di proseguire il rapporto, così che la minore età pensionabile delle donne, destinata comunque ad essere del tutto eliminato a far data dal 1 gennaio del 2021, vale solo quale attribuzione di una facoltà di opzione, sulla quale il datore di lavoro non ha alcuna possibilità di interferire, sicché deve considerarsi discriminatorio il licenziamento della donna che ancora non abbia raggiunto l'età massima pensionabile prevista per l’uomo. Tale impostazione è stata assoggettata ad un ulteriore modifica a seguito di una pronuncia con la quale la Corte di giustizia dell’UE ha dichiarato illegittima per violazione del principio di parità di trattamento tra uomini e donne la diversa età pensionabile vigente nel settore del lavoro pubblico => 17 Ai fini della valutazione della posizione assicurativa di un soggetto occorreva pertanto avere riguardo ai diversi istituti previdenziali di appartenenza, ai quali si mette capo ancora oggi non già seguito di una dichiarazione di volontà del datore o lavoratore, ma in base alla natura giuridica e all'attività del datore. Prima dell'operazione di concentrazione, si distingueva tra dipendenti pubblici e privati, infatti: la previdenza dei dipendenti pubblici è stata gestita dallo Stato per i propri dipendenti, direttamente per il tramite del ministero del tesoro o a mezzo di fondi o casse speciali, e da appositi istituti di previdenza per gli altri dipendenti, che venivano a tal fine raggruppati in diverse casse. La tendenza legislativa è però stata sempre quella di attenuare il diverso regime giuridico che caratterizza l'impiego pubblico rispetto a quello privato. Accanto al regime previdenziale cd. esclusivo, per i dipendenti pubblici, nel campo dei rapporti di diritto privato si prevedevano forme di previdenza cd. sostitutive: Alle quali erano assicurati lavoratori subordinati ai quali era stato garantito un particolare più favorevole trattamento pensionistico che teneva luogo dell'assicurazione generale obbligatoria. All'interno dei regimi sostitutivi era possibile operare una distinzione, a seconda che la gestione dei rispettivi trattamenti di previdenza fosse affidata a dei fondi gestiti dall'Inps, con gestione autonoma sotto il profilo economico e contabile, oppure ad enti diversi, come in passato per i dirigenti di aziende industriali e per i lavoratori dello spettacolo. Si devono ricordare le speciali forme di previdenza esonerative presenti soprattutto nel settore del credito e la cui creazione si deve alla L. 636/1939. Per effetto del d.lgs. 357/1990 tutti i lavoratori e i pensionati già iscritti a tali forme sono ora assicurati presso l’Inps, mentre le prede di genti forme assicurative, esclusive o sostitutive, sono state trasformate in fondi integrativi dell'assicurazione generale obbligatoria, al fine di garantire prestazioni più favorevoli previste in precedenza, vedendosi parificate per questo aspetto ai fondi complementari. I rapporti assicurativi a capo dei diversi enti hanno mantenuto tuttavia autonomia economica, patrimoniale e gestionale, pur nell'ambito dello stesso ente unico. INPS: ossia l'Istituto nazionale della previdenza sociale rappresenta il principale ente collettore di soggetti assicurati: ad esso si fa continuo rinvio in riferimento all'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, vecchiaia e superstiti dei lavoratori dipendenti. Il d.lgs. 479/1994 ha disciplinato l'organizzazione, la quale mira rispecchiare l'apporto fornito dei lavoratori e dalle imprese, istituendo, accanto ad un presidente di nomina governativa a cui spetta l'attuazione delle linee di indirizzo strategico dell'istituto, il consiglio di indirizzo e vigilanza, formato dai rappresentanti di tutte le forze sociali che prendono parte al finanziamento della previdenza: chiamato a definire i programmi e ad individuare le linee di indirizzo dell'ente e ad approvare i bilanci. Con la concentrazione in capo all'Inps di tutte le gestioni non si è però fatto venir meno la disciplina specifica applicata ai singoli gruppi, potendosi continuare a parlare di fondi sostitutivi, esonerativi e integrativi. Si deve tener conto che oltre alle forme obbligatorie di previdenza sussistono dei fondi cd. integrativi che si aggiungono alle prime: per cui contributi, obbligatori e normalmente poste a carico dei datori di lavoro dei dipendenti, si sommano tutti gli altri contributi normalmente dovuti. Si deve registrare che l'istituto sono state anche attribuite competenze di tipo assistenziale relativamente all'area dell'invalidità civile e all'attribuzione dei trattamenti sociali, con la legittimazione passiva nel contenzioso giudiziario riguardante i medesimi procedimenti, mentre al fine di facilitare il finanziamento, si è creata dapprima Equitalia S.p.A., subentrata i concessionari nell'attività di riscossione dei crediti dell'istituto e, successivamente, si è proceduto ad una revisione della riscossione stessa e alla trasformazione della società in un ente pubblico economico. 20 CAPITOLO 3: LE PRESTAZIONI PARTE I: IL SISTEMA DELLE PENSIONI 1) Linee generali di evoluzione del sistema In origine il sistema pensionistico era limitato ai soli lavoratori che non potessero contare sul risparmio individuale come mezzo di sostentamento, per il momento in cui fosse cessata la loro attività lavorativa, sulla base di un sistema che prevedeva una modesta partecipazione finanziaria dello Stato nell’accumulo dei contributi, fissando indifferentemente il pensionamento a 65 anni. Tale impostazione venne meno con il r.d.l. 639/1939 che ridusse l’età di accesso alla pensione, differenziandola per sesso (60 anni per gli uomini, e 55 per le donne), con un’età contributiva pari a 15 anni ai fini della maturazione del diritto alla pensione. Inoltre, per sopperire alle carenze del sistema pubblico, si fece luogo a fondi integralmente privati, mentre attraverso i provvedimenti legislativi, diretti alla creazione di una pluralità di regimi speciali, si diede vita ad una frammentazione destinata a costituire un problema rilevante per gli anni a venire. L’evoluzione legislativa successiva alla Costituzione regista una ulteriore estensione di tutela alle categorie dei soggetti interessati, nella direzione di un miglioramento delle prestazioni per i lavoratori subordinati, rimediando alle difficoltà del dopo guerra, a causa dell’azzeramento delle riserve contributive pubbliche. L’evoluzione del sistema quanto al regime generale dei lavoratori dipendenti a inizio con la L. 153/1969, di riordino del sistema pensionistico per il settore privato, che consacrò il sistema della pensione retributiva, consentendo ai lavoratori subordinati una uscita anticipata, rispetto all’età della pensione di vecchiaia, a fronte di un versamento di 35 anni di contribuzione effettiva. => Il legislatore risolse una situazione di crisi, ma creò uno squilibrio strutturale che produce i suoi effetti anche oggi. Infatti, le esigenze del pareggio del bilancio statale divennero così pressanti da imporre delle revisioni del sistema pensionistico di vecchiaia e di anzianità, determinando una reazione popolare, da indurre il Parlamento a revocare la fiducia ai Governi chiamato all’intervento di riforma. Questo rese le condizioni di accesso alla pensione più rigide al fine di arginare le tendenze dell’evoluzione demografica della forza-lavoro. L’elemento che ha determinato la necessità di una modifica dei trattamenti si rinviene nei crescenti costi del sistema previdenziale conseguenti all'innalzamento dell'età media nazionale e al progressivo slittamento in avanti dell'età d'ingresso nel mondo del lavoro. Infatti, proprio nel periodo successivo alla riforma del 1969, l'andamento demografico italiano assegnato un costante rallentamento: così negli anni più recenti si è registrato un complessivo invecchiamento della popolazione, a causa sia del forte calo di natalità, sia del contemporaneo incremento della speranza di vita degli italiani. => questi due fenomeni hanno prodotto una profonda modifica nella struttura demografica della popolazione italiana, che rischia di rendere quantomai precario l'equilibrio fra il flusso dei contributi riscossi e l'ammontare delle prestazioni erogate, a fronte del fatto che il sistema pensionistico rimane fondato su un finanziamento a ripartizione: sussistendo l'esigenza di modificare il rapporto fra popolazione attiva e pensionati, attraverso progressivi incrementi dell'età di accesso alla pensione. Inoltre, non si deve dimenticare che il prolungamento della vita lavorativa attiva è determinato non solo dal dato biologico ma anche dal fatto che i lavoratori giungono ai primi versamenti utili in età ormai avanzata, a causa del prolungamento dei cicli di istruzione e della disoccupazione giovanile. 21 L'innalzamento dell'età pensionabile consegue anche alla necessità di poter maturare un'anzianità contributiva sufficiente a garantire un significativo tasso di sostituzione è un reddito non troppo ridotto nell'età della pensione secondo quanto previsto dall’art. 38 comma 2 Cost. Dal 1995 ad oggi, si è provveduto ad innalzare l'età minima di accesso alla pensione e ad incrementare gli anni necessari per una uscita anticipata: così un lavoratore che avesse maturato 35 anni di contributi si sarebbe visto corrispondere il primo rateo di pensione solo a raggiungimento dell'età di 62 anni. Tale rapido incremento non è stato sufficiente per il legislatore, tanto che, nella disciplina post riforma del 2011, il pensionamento anticipato viene ora consentito, per gli uomini dopo un periodo lavorativo di 42 anni e 10 mesi, mentre l'età necessaria per ottenere la pensione di vecchiaia è fissata ad oltre 67 anni. Negli ultimi due decenni, si devono segnalare cinque importanti tappe: 1) la prima riforma, si realizzò nell'ambito dell'intervento di correzione del bilancio per mezzo della L. 412/1992; 2) un secondo intervento di riforma, è stato realizzato con la L. 335/1995 (riforma Dini-Treu), che ha mantenuto in vigore la precedente disciplina per quanti avessero maturato già una certa anzianità contributiva, dando luogo alla coesistenza di regimi distinti; 3) una terza modifica venne dalla L. 243/2003 che ha posticipato l'entrata in vigore della gran parte delle sue disposizioni, di modo che essa si è limitata solo a pre-annunziarla; 4) dal 2008 al 2010, vennero promulgate una serie di misure rivolte all'incremento della durata della vita lavorativa nella prospettiva di una riduzione della spesa corrente dello Stato, sino a che con l’art. 24 D.L. 201/2011 (riforma Monti-Fornero), si è dato origine ad un disegno di contenimento della spesa pubblica, al fine di contrastare la grave crisi finanziaria che aveva determinato le dimissioni del precedente governo; 5) il repentino innalzamento dei requisiti di accesso al pensionamento però innescato un processo di segno contrario, sfociato alla fine nella introduzione di una misura (quota 100) diretta garantire nuovamente ai lavoratori un esodo fortemente anticipato rispetto ai requisiti previsti per la pensione di vecchiaia. 2) La riforma del 1992: la messa a punto del sistema retributivo Fino al 1992, il diritto alla pensione spettava a coloro che erano in possesso di: - assicurazione di durara paro ad almeno 15 anni; - contribuzione per un minimo di 15 anni, anche se non continuativa, pari a 780 contributi settimanali; - un’età minima di 60 anni se uomini, di 55 se donne. => questi requisiti costituiscono la base del sistema retributivo (abbandonato solo nel 2012, ma ancora in vigore, per l solo calcolo degli anni precedenti, per i lavoratori più anziani). Nel primo requisito si dece notare come l’assicurazione prende data dal primo contributo versato, e non coincide con il periodo di contribuzione (=> ad es. se un soggetto assicurato nel 1978, per il periodo compreso tra il 1981 e il 1983 non abbia accreditato contributi, al 1993 il requisito assicurativo sarà pari a 15 anni, ma non così quello contributivo che sarà pari a 13 anni). Per quanto concerne l’età anagrafica si precisa che i requisiti di età sono necessari ai fini della maturazione del diritto, ma non comprano l’obbligo di andare in pensione => infatti, le parti sono libere di obbligarsi a dare via o a mantenere un rapporto di lavoro subordinato anche oltre il limite previsto per la pensione. Gli artt. 1-2 D.lgs. 503/1992 hanno gradualmente innalzato tali limiti, portando a 20 anni di assicurazione e contribuzione necessari, e a 65 o 60 anni, rispettivamente per uomini e donne, l’età richiesta per avere accesso alla pensione di vecchiaia. 22 di lavoro disponibili. Si spiega così come, nel caso di attività lavorativa, l'erogazione della pensione d'anzianità venisse sospesa: poiché, si finiva per risolvere le prime grandi crisi industriali derivanti dall'introduzione di nuove tecnologie, che rendevano inutile la manodopera di centinaia di migliaia di lavoratori a bassa specializzazione e scolarità. => anche se trattasi di un trattamento anticipato rispetto alla pensione di vecchiaia, la modalità di calcolo della pensione di anzianità fu stabilita secondo i criteri dettati la pensione di vecchiaia, senza tener conto del fatto che i pensionati avrebbero beneficiato del trattamento per un periodo ben più lungo rispetto a quello che veniva assicurato a quanti accedevano alla pensione per vecchiaia. Il legislatore del 1992, non riuscì a incidere sul trattamento pensionistico anticipato, sebbene si disponesse la radicale misura della sospensione di ogni trattamento pensionistico di anzianità previsto da leggi, regolamenti o accordi collettivi nel periodo intercorrente tra il 92 e 93. Si è previsto che, dal 94, la decorrenza delle pensioni potesse avvenire solo in particolari momenti, al fine di prolungare la vita lavorativa attiva: si stabilì che le pensioni di anzianità potessero essere riconosciute in data non anteriore al 1 maggio di ciascun anno per gli assicurati con 57 anni di età, o 52 sei donne, ed in data non anteriore al 1 novembre se di età inferiore; successivamente i termini furono differiti di due mesi. Bisogna ricordare come un altro merito della legge del 92 fu quello di porre mano ad un processo di armonizzazione fra i trattamenti pensionistici pubblici e privati, attraverso un graduale innalzamento dei requisiti anagrafici e contributivi richiesti nel settore pubblico per avere accesso alla pensione anticipata: si trattava di una necessità a fronte del fatto che rimaneva all'epoca ancora aperta la questione della indicizzazione dei salari all'andamento inflazionistico (scala mobile), di modo che sarebbe stato illogico un intervento di contenimento della dinamica dei salari e delle pensioni che non purificasse pienamente il lavoro pubblico a quello privato. => la riforma del 1992 può essere considerata come una anticipazione delle line del successivo intervento che si realizzerà, sul versante retributivo, attraverso l'accordo di concertazione del luglio del 1993, e sul piano della disciplina del rapporto, mediante l'intervento di privatizzazione della disciplina del rapporto di lavoro, disposta mediante il D.lgs. 29/1993. La riforma del 1992 si dimostra come l'anticipazione del successivo intervento del 1995. Al fine di favorire la possibilità per i lavoratori di garantirsi comunque prestazioni di un certo rilievo economico, si autorizza il governo ad emanare per la prima volta una disciplina sistemica delle forme pensionistiche complementari, allo scopo di incentivare la Loca mento di una contribuzione previdenziale aggiuntiva, nella prospettiva di assicurare così trattamenti adeguati alle esigenze di vita, secondo la formula costituzionale. Da questo momento in poi le norme contenute nel d.lgs. 124/1993 hanno costituito il terreno per successivi interventi del legislatore, spesso in coincidenza con la modifica della disciplina della previdenza di base. 4) La riforma del 1995: l’introduzione del metodo contributivo La L. 335/1995, di riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare, costituisce il frutto di una faticosa concertazione tra governo e sindacati che ebbe a suscitare forti riserve da una parte non indifferente della base sindacale. Il consenso si arrestava alla constatazione della necessità di un urgente cambiamento: così, il calo della popolazione attiva e l'improbabilità di una crescita delle retribuzioni hanno determinato l'impossibilità di garantire ai lavoratori condizioni così favorevoli come quelle di cui in passato; l'alternativa all'intervento correttivo, sarebbe consistita in un insolvenza strutturale degli istituti previdenziali, che si sarebbe ripercorsa sulle future generazioni mediante una maggiore pressione contributiva e fiscale. Su tali considerazioni, la legge di riforma esordisce mettendo prima di tutto in luce le finalità costituzionali da essa perseguito attraverso l'adozione del sistema contributivo: in forza di questo, i trattamenti pensionistici vengono commisurati sulla base dei contributi versati, in modo non 25 dissimile dal modello assicurativo privatistico. I due sistemi, nella lunga fase transitoria, erano destinati a coesistere e si deve solo alla riforma del 2011 l'aver generalizzato il metodo, determinando la conservazione del sistema retributivo solo per il passato. Nel sistema contributivo l'assegno mensile della pensione risulta dalla somma dei contributi versati nell'arco dell'intera carriera lavorativa, opportunamente rivalutati, cui si applica un coefficiente di trasformazione, determinato dalla legge stessa in ragione dell'età anagrafica del beneficiario. Il coefficiente rappresenta il numero di mensilità di cui verrà a godere il pensionato, sulla base della sua speranza di vita: esso rappresenta un divisore più elevato, quanto minore è l'età del pensionato. Il sistema mira a garantire l’invarianza in termini di costo dell'opzione individuale, lasciando la libertà dei singoli la scelta quanto al momento in cui andare in pensione. L'adozione di un meccanismo trasparente, prevedibile ed imparziale è dovuta anche alla consapevolezza che non di rado l’annuncio di una riforma produce il risultato di spingere verso il pensionamento soggetti che sceglierebbero altrimenti di rimanere attivi, ma che scelgono ritiro come una sorta di difesa preventiva. Perciò, un modello matematicamente neutro valere assicurare il singolo sulla stabilità della disciplina nel tempo, affidando alla sola sua scelta il momento del ritiro dalla vita attiva. => la fissazione dei coefficienti, per quanto correlata alle rilevazioni demografiche dell'Istat, riveste un'importanza centrale nell'economia del sistema, di modo che non deve stupire l'alternarsi delle soluzioni normative che in così breve arco di tempo si sono registrati in ordine alla loro modifica: infatti, mentre inizialmente i coefficienti erano stabiliti direttamente dalla stessa legge 335, in un arco che variava dai 57 ai 65 anni, adesso i coefficienti vengono aggiornati con provvedimento ministeriale e sono riferiti anche ad età superiori, sino a 70 anni, così da incentivare la permanenza al lavoro anche aldilà dei limiti della pensione di vecchiaia. La seconda finalità della riforma consisteva in una armonizzazione dei diversi regimi pensionistici, al fine di evitare privilegio disparità: si deve segnalare la progressiva erosione delle difformità esistenti tra il regime dei dipendenti da privati datori di lavoro e dei dipendenti pubblici, tra lavoratori dipendenti ed autonomi, tra uomini e donne. La terza finalità atteneva a riordino di istituti vari di previdenza e di assistenza, con gli articoli dal 4 al 16 che si occupavano di riscrivere le disposizioni in tema di previdenza complementare. => il legislatore del 1995 ha stabilito che le disposizioni della legge 335 costituiscono principi fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica, non suscettibile di eccezioni o deroghe se non in forma espressa. Tale clausola mirava a rimarcare l'intenzione del legislatore di evitare che l'intero sistema non perdesse di coerenza, se non in forza di un'esplicita presa di posizione parlamentare sul punto. In base all'esperienza pregressa, che aveva conosciuto il depotenziamento di riforme faticosamente raggiunte, attraverso successivi provvedimenti di legge allo scopo di introdurre deroghe a favore di questo quella categoria. Tutta la riforma appare ispirata all'esigenza di stabilizzazione della spesa pubblica rispetto al PIL, quale parte integrante di una manovra pluriennale diretta riequilibrare la finanza pubblica, come prova del collegamento della materia previdenziale con le condizioni economiche finanziarie del paese. La stessa costituzione si è espressa nel senso che il precetto che siano preveduti assicurati mezzi adeguati alle esigenze di vita dei lavoratori si riferisce principalmente all'organizzazione alla gestione della previdenza obbligatoria, alla quale deve essere garantito un flusso di contributi degli assicurati e proporzionato ai bisogni da soddisfare, mentre l'intervento solidaristico della collettività generale va limitato a casi giustificati da particolari condizioni equamente selezionati, e comunque contenuto nei limiti delle disponibilità del bilancio dello Stato. 26 Si è riconosciuto come gli equilibri di bilancio costituiscono un elemento rilevante ai fini della determinazione del concreto contenuto di ogni posizione pretensiva va riconosciuta nell'ambito del sistema di previdenza assistenza sociale. La riforma conteneva però un grave limite quanto all'abbandono del sistema retributivo, che rimaneva in vigore per i lavoratori in attività da almeno 18 anni. Il nuovo ordinamento trova integrale applicazione solo nei confronti dei lavoratori neo-assunti in data 1 gennaio 1996: per coloro che a tale data potevano riunire una anzianità contributiva, occorreva distinguere a seconda che questa anzianità fosse pari a 18 anni o meno: nel primo caso, le prestazioni continuavano ad essere integralmente calcolate con il preveggente sistema retributivo (basato sulla media delle ultime annualità di retribuzione e rimasto sostanzialmente invariato); mentre, chi avesse maturato un'anzianità contributiva inferiore a 18 anni veniva calcolata la propria pensione con il metodo pro data (secondo sistema retributivo per i trattamenti maturati fino al 31 dicembre 1995), e con il nuovo sistema contributivo per la quota maturata successivamente al 1 gennaio 96. => si prevedeva a favore degli assicurati che potevano vantare un'anzianità contributiva di almeno 15 anni, di cui cinque maturati nell'ambito del sistema contributivo, la possibilità di optare per l'integrale applicazione di quest'ultimo regime. Le successive modifiche hanno sempre rispettato tale l'imposizione che resta ancora in vigore, sebbene dal 1 gennaio 2012 il sistema della pensione contributiva è stato esteso a tutti i lavoratori e dunque anche a quanti avevano conservato il diritto a vedersi applicato il sistema retributivo, perché avevano maturato più di 18 anni di anzianità contributiva l'hai data di entrata in vigore della legge del 95. 5) Le riforme del 2004 e del 2007 Riforma del 1995 ha garantito un sostanziale decennio di inattività del legislatore, nell'attesa che la sua definitiva entrata a regime e mostrasse i risparmi raggiunti: l'obiettivo di cancellare la pensione di anzianità, legata a requisito contributivo a prescindere dall'età dell'assicurato, era stato sicuramente raggiunto, a fronte di una prestazione unica, il cui importo varia in relazione ai diversi coefficienti di trasformazione nell'ambito del sistema contributivo, che si applica in via esclusiva solo a coloro che siano stati assunti dopo il 1 gennaio 1996. Il diritto al trattamento di anzianità a permesso a favore di coloro che fossero stati già assicurati alla data di entrata in vigore della riforma, nei confronti dei quali alcune norme di diritto transitorio individuavano un lungo periodo (dal 1996 al 2008), nel corso del quale era possibile maturare il diritto al trattamento anticipato sulla base di un doppio requisito: anagrafico e contributivo. Era poi previsto una fattispecie alternativa, in forza della quale il diritto alla prestazione si acquistava, indipendentemente dall'età anagrafica, sulla base del solo requisito contributivo, elevato in misura crescente. A fronte delle sollecitazioni che derivavano da un peggioramento della finanza pubblica con la L. 243/2004 (L. Maroni), invece che prendere patto dell'imminente entrata regime della riforma, si preferì procedere ad un ulteriore modifica delle condizioni di accesso ai trattamenti di anzianità e di vecchiaia, emanando un testo legislativo, che si presentava privo di un effetto immediato nella materia, in quanto destinato a produrre effetto solo dal 1 gennaio del 2008. La legge di riforma 243/2004, intervenendo sul regime delle prestazioni liquidate con il regime retributivo a modificato le condizioni di accesso alla pensione di anzianità, prevedendo che dal 2008 l'innalzamento del requisito anagrafico da 57 a 60 anni, è rimasto invariato il requisito contributivo di 35 anni di anzianità, nonché la possibilità di accedere al trattamento anticipato in caso di una anzianità contributiva pari a 40 anni. La legge ha introdotto una distinzione in base al sesso, consentendo alle lavoratrici di accedere alla pensione con i requisiti previsti dalla normativa precedente (35 anni di contributi e 57 anni di età), 27 contribuzione, o siano stati esonerati dal servizio, anche al fine di prestare assistenza ai figli affetti da disabilità grave. La successiva legislazione conosciuto una serie ulteriore di misure dirette a facilitare il raggiungimento delle soglie di accesso al pensionamento, sia attraverso la possibilità di un calcolo unificato delle anzianità contributive maturate presso differenti gestioni grazie all’accumulo introdotto dalla L. 228/2012, sia mediante la previsione di specifiche ipotesi derogatorie poi culminata nell'intervento del gennaio 2019, avente portata più ampia. 7) La pensione di vecchiaia Il sistema di previdenza sociale delineato dalla L. 335/1995 a modificato l'assetto delle prestazioni pensionistiche, dando vita (art. 1 comma 19) ad un nuovo sistema caratterizzato dal ritorno ad una pensione di stampo contributivo, la quale viene erogata attraverso un'unica prestazione che sostituisce trattamenti di vecchiaia e di anzianità previsti nel regime antecedente. Tale modifica riguardava però solo i neo-assunti (cd. sistema contributivo puro) e chi non superava i 18 anni di contribuzione (cd. sistema pro rata o misto). La riforma del 1995 ha lasciato in vita la pensione retributiva per quanti avessero maturato almeno 18 anni di contribuzione prima dell'entrata in vigore della legge (tale eccezione non era stata mai intaccata dalle successive modifiche). La riforma del 2011 lascia le previsioni antiche, ma stabilisce che il sistema contributivo venga sempre applicato dalla data del 1 gennaio 2012: in tal modo anche quanti avevano mantenuto il diritto a vedere calcolata la propria pensione sulla scorta del sistema retributivo, in forza della riforma del 95, si vedranno applicato, per i periodi successivi alla riforma del 2011, il sistema contributivo => il calcolo della pensione sarà quindi secondo il metodo retributivo (fino alla data del 31/12/2011) mentre per gli anni successivi secondo sistema contributivo. => quindi, mentre nel sistema retributivo, una volta raggiunta l'anzianità massima non si registrava alcun incremento della misura della pensione (pari all'80% della base pensionabile), dopo la riforma del 2011 tutti i contributi comunque versati producevano un incremento della prestazione, in modo che non sussistevano più limiti all'importo massimo della pensione => in questo senso, la legge di stabilità 2015 a modificato l’art. 24 comma 2 D.l. 201/2011 stabilendo per tali soggetti che in ogni caso, l'importo complessivo del trattamento pensionistico non può eccedere quello che sarebbe stato liquidato con l'applicazione delle regole di calcolo vigenti prima della riforma. => In conclusione, nel sistema attuale, unificato sulla base del metodo contributivo, il diritto alla pensione di vecchiaia sorge sul presupposto che l'assicurato, previa risoluzione del rapporto di lavoro, possa vantare almeno 20 anni di contribuzione effettiva ed unità minima di 66 anni. Ulteriore requisito di ordine negativo è che l'ammontare della pensione risultante non sia inferiore a 1,5 volte l'importo dell'assegno sociale, a meno che l'assicurato abbia già compiuto 70 anni: In tal caso, bastano 5 anni di contribuzione effettiva e la pensione verrà liquidata nell'importo comunque raggiunto (post legge 1995, la pensione doveva essere pari al 120% dell'assegno sociale e si prescindeva dal requisito dell'importo minimo in caso di età pari a 65 anni). La riforma, dunque, sembra imporre a quanti arriveranno in età avanzata senza un montante sufficiente a garantire loro la pensione, di prolungare la loro vita lavorativa sino a ben oltre la soglia della vecchiaia: l'esperienza insegna che si tratta di soggetti addetti ad attività umili e che spesso si trovano ad operare in settori connotati da elevata evasione contributiva e fiscale. La previsione non sembra determinare una lesione del principio costituzionale di adeguatezza, a fronte della possibilità lasciata al lavoratore, i cui contributi sono insufficienti a garantire il raggiungimento del trattamento minimo, di far ricorso all'assegno sociale (cd. pensioni di cittadinanza) ove sussistono le condizioni di età e di reddito previste dalla legge per l'erogazione di tali trattamenti. 30 In un sistema base contributiva, interventi rivolti a garantire un livello minimo di prestazione non risultano essere più un compito della previdenza sociale, poiché secondo la corte costituzionale ad essa deve essere garantito un flusso di contributi degli assicurati proporzionato ai bisogni da soddisfare, mentre rientra tra i compiti dell’assistenza sociale. Tuttavia, perché il sistema possa presentarsi come improntato ad equità sarebbe necessaria un'azione di contrasto al nero, al fine sia di equilibrare la spesa pensionistica, sia di evitare che la condizione dei più deboli fra i lavoratori sia resa più grave dalle omissioni dei datori di lavoro. => Rimane invariato il sistema di determinazione della pensione in quanto, il calcolo delle prestazioni: occorre partire dei contributi, che vengono annualmente versate agli istituti assicuratori (Inps) e che sono calcolati in misura percentuale alla retribuzione imponibile (circa il 33% per i lavoratori dipendenti); tali contributi sono di anno in anno rivalutati su base composta, tenendo conto anche delle precedenti rivalutazioni, applicando un tasso annuo di capitalizzazione calcolato dall'Istat è dato dalla variazione media quinquennale del PIL nominale. => La somma dei contributi annualmente versati e rivalutati viene denominata montante contributivo. All'atto del pensionamento il montante viene moltiplicato per un coefficiente di trasformazione che cresce con l'età del lavoratore: il quale aumenta col progredire dell’età, perché sembra iniquo, a parità di montante contributivo, attribuire la stessa pensione ad es. a chi abbia 66 anni rispetto a chi ne abbia 62, posto che il pensionato più anziano godrà della pensione per un periodo di tempo minore. La legge del 2011 volendo incentivare la permanenza al lavoro ben oltre l'età del pensionamento stabilisce ora coefficienti anche per le classi di età pari o superiori a 66 anni, giungendo sino ai 70 anni: è apparso il logico al legislatore che i coefficienti fossero gli stessi per tutti coloro che superavano i 65, a fronte del fatto che il divisore veniva profondamente modificato in ragione della più ridotta speranza di vita residua. => il coefficiente di trasformazione è un valore non più fissato per legge, ma suscettibile di essere modificato periodicamente per effetto di un semplice atto amministrativo. Moltiplicando il montante contributivo per il coefficiente di trasformazione individuale si determina l'importo annuo lordo del trattamento di vecchiaia, che è suscettibile di rivalutazione annua in ragione della sopravvenuta inflazione. La riforma del 2011 ha determinato un notevole irrigidimento delle condizioni di pensionamento: a provveduto ad innalzare l'età di accesso alla pensione, su un periodo transitorio di nove anni, ma che ha finito in breve tempo per fissare l'età di accesso alla pensione a 66 anni di età anagrafica per divenire pari a 67 anni. => si tratta di limiti assai elevati, specie se confrontati con quelli di altri paesi europei, senza che però ci si sia davvero preoccupati dei lavoratori che abbiano visto ridotta anzitempo la loro effettiva capacità lavorativa, mediante la previsione di strumenti che garantiscono una effettiva partecipazione dei lavoratori anziani al mercato del lavoro anche in età avanzata. Così, l'innalzamento dell'età pensionabile non è soluzione che possa adattarsi indistintamente a tutti i lavoratori, in quanto vi sono attività che richiedono una particolare efficienza fisica che non sempre può rintracciarsi nel corso di tutta la vita professionale => infatti, ferma la possibilità di costruire percorsi di carriera che prevedono una sorta di riconversione obbligatoria mansioni meno faticose, se non si vuole un amento delle pensioni di inabilità resta la necessità che siano anche provvedute misure di effettiva promozione del lavoratore anziano (aldilà delle discipline sui lavori usuranti). In questa prospettiva, si devono ricercare innovazioni che consentono un’uscita flessibile dal mondo del lavoro, secondo le convenienze e le situazioni di salute individuale, attraverso congedi, banche delle ore, staffette….: a riguardo si è pensato ad una disciplina speciale del part- time, non più vincolata all'esigenza di conciliazione che la corte costituzionale ha correttamente 31 tenuto in considerazione nelle sue pronunce, attingendo così all'esperienza comparata, che conosce svariate forme di flessibilità dirette ad evitare che i lavoratori arrivino esausti al pensionamento. 8) La pensione anticipata La legge del 2011 e tutti i successivi interventi hanno previsto un'ampia serie di deroghe, che consentono un'uscita anticipata dal mondo del lavoro, riproducendo quel dualismo fra pensioni di vecchiaia e di anzianità che alla base di tutta l'evoluzione recente del sistema pensionistico, salvo che per l'aggiunta delle penalizzazioni che derivano dall'applicazione dei coefficienti di trasformazione propri del sistema contributivo. Le ipotesi sono almeno quattro: si tratta della pensione anticipata, delle norme di favore per i lavoratori precoci; dell'anticipo pensionistico, della cd. opzione donna e della pensione quota 100 (ex DL. 4/2019). Regole particolari e sovrapponibile a quelle di cui all'ipotesi di pensione anticipata, sono dettate per i lavoratori usurati => si tratta di una pluralità di ipotesi che flessibilizzarlo le festività di accesso alla pensione e che rischiano di dar vita ad un contenzioso di legittimità costituzionale sul piano del rispetto del principio di eguaglianza: bisogna ricordare come la riforma fornero non abbia proceduto all'abolizione della pensione di anzianità, che è rimasta in vita con il nome di pensione anticipata, per il caso in cui siano maturati 42 anni e 10 mesi di contribuzione (uomini) e 41 anni e 10 mesi (donne). Si tratta di soglie fissati in via definitiva dall’art. 15 DL. 4/2019, il quale introdotto un intervallo di tre mesi (finestra) fra la maturazione del diritto al trattamento il momento di effettivo godimento dell’assegno. Il legislatore del 2019 ha eliminato del tutto le penalizzazioni ed ha disposto che, in relazione all’ipotesi in cui lavoratore avesse percepito la pensione prima dell'età di 62 anni e poi ammorbidite dalla legislazione successiva, non trovino applicazione sino al 2027 gli eventuali incrementi conseguenti all'aumento della speranza di vita di cui all’art. 12 DL: 78/2010. Il comma 11 stabilisce che nell'ambito del sistema contributivo, la pensione anticipata possa essere anche conseguita al compimento dell'età di 63 anni, purché risultino versati almeno 20 anni di contribuzione effettiva e purché l'importo della pensione sia pari ad almeno 2,8 volte l'importo mensile dell'assegno sociale: si tratta di un incentivo riconosciuto, al pari dell'opzione donna, nella prospettiva di una severa riduzione del tasso di sostituzione che ordinariamente consegue il criterio di calcolo adottato in questi casi. Accanto a queste ipotesi, È previsto di recente un ulteriore ipotesi di uscita anticipata, inizialmente introdotta dalla legge Maroni, riconoscendo alle sole lavoratrici che avessero maturato un'anzianità anagrafica di 57 anni e 35 anni di contribuzione il diritto ad una pensione anticipata da calcolarsi esclusivamente con il metodo contributivo: tale facoltà (opzione donna) viene confermata dall’art. 16 DL. 4/2019 E solo in via provvisoria e solo per coloro che dal 2019 avessero maturato non meno di 35 anni di contribuzione e che avessero 58 anni di età: si tratta di un'ipotesi che si calcola in tendenziale conflitto con la nuova misura introdotta sotto il nome di quota 100: Di modo che l'efficacia delle disposizioni è protratta dall’art. 16 solo al fine di consentire la presentazione della domanda in ogni momento successivo all'entrata in vigore della riforma stessa, mentre si dispone l'applicazione di una finestra mobile di 12 o 18 mesi. 9) Quota 100 e le ulteriori ipotesi di uscita anticipata Il DL. 4/2019 ha previsto la possibilità di accedere al pensionamento con 38 anni di contribuzione e a 62 anni di età anagrafica, maturando il diritto al trattamento solo al termine di un periodo (finestra) di tre o sei mesi, a seconda che si sia lavoratori del settore privato pubblico. => A differenza della opzione donna, la pensione quota 100 verrà liquidata secondo il regime misto, ossia mantenendo il diritto ad una quota commisurata alla media delle ultime retribuzioni percepite nel periodo antecedente il 1996, così da rendere più conveniente l'opzione offerta ai singoli. 32 Per mezzo del D.lgs. 276/2003, si è fatto un tentativo di riordinare la materia, creando una nuova fattispecie sostanziale, quale lavora progetto: il quale affiancato la fattispecie delle collaborazioni, senza assorbirle del tutto. La riforma del 2015 (per mezzo degli art. 2-52-53-54 d.lgs. 81/2015) ha disposto l'abrogazione (Superamento) del contratto di lavoro a progetto, senza però dare indicazioni in ordine al futuro delle centinaia di migliaia di rapporti in atto alla data di entrata in vigore della legge, di modo che il legislatore ha finito per ritornare sostanzialmente alla situazione di partenza, con la modifica dell’art. 409 c.p.c. disposta dall’art. 15 comma 1 L. 81/2017. => il moltiplicarsi delle tipologie nell'ambito delle quali può essere fornita la prestazione lavorativa arreso necessaria la riscrittura delle norme che presiedono alla totalizzazione dei contributi, al fine di consentire ai numerosi lavoratori di raggiungere adeguati accantonamenti contributivi, cumulando i contributi versati alle diverse gestioni. In conclusione, deve dirsi che nell'ambito dell'Inps sono state costituite tre gestioni speciali per l'assicurazione di invalidità, vecchiaia e per i superstiti, per i lavoratori che effettuano la loro prestazione al di fuori di un vincolo di subordinazione: a tali gestioni si è recentemente aggiunta una ulteriore gestione (quarta gestione), a carattere residuale, nella quale confluiscono figure professionali che non trovano diversa collocazione. 11.1) Lavoratori agricoli, commercianti, artigiani La L. 1047/1957 ha istituito la gestione speciale, alla quale sono oggi scritti i coltivatori diretti, i coloni e i mezzadri, nonché gli imprenditori agricoli professionali: l'attività agricola è diretta alla coltivazione del fondo, ma altresì alla silvicoltura, all'allevamento del bestiame, alla pesca, all'acqua coltura, nonché alle attività connesse (art. 2135 c.c.). Un ulteriore gestione è stata istituita dalla L. 463/1959 e ad essa possono iscriversi: gli artigiani e i familiari coadiuvanti che nell'impresa artigiana svolgono attività in modo abituale e prevalente. Alla gestione per gli esercenti l'attività commerciale (ex L. 613/1966) sono iscritti quanti esercitano un'attività commerciale, turistica o un'altra dell'attività del settore terziario, oltre ai familiari coadiutori => la L. 662/1996 ha poi esteso l'obbligo di iscrizione a tutti i lavoratori autonomi che operano nel settore terziario e che svolgono la propria opera abituale e prevalente in attività organizzate di natura commerciale, turistica, di produzione, di intermediazione e produzione di servizi, anche a carattere finanziario. La riforma del 1995 a modificato sistema di assicurazioni introducendo anche per tali lavoratori il metodo contributivo, per la definizione dell'ammontare delle pensioni dei soggetti iscritti per la prima volta ad una delle gestioni speciali dopo l'entrata in vigore della legge, di modo che anche costoro trovano applicazione in generale le medesime disposizioni previste per i lavoratori dipendenti delle imprese private. A seguito della riforma, la pensione di vecchiaia viene liquidata alla raggiungimento dell'età pensionabile (66 anni) in presenza di un'anzianità contributiva di 20 anni; la pensione di anzianità spetta nell'ipotesi di una anzianità contributiva di 42 anni e 10 mesi per gli uomini (41: e10 mesi per le donne), mentre quota 100 viene riconosciuta le medesime condizioni. Vengono poi erogati i trattamenti di maternità nonché trattamenti di famiglia. 11.2) I liberi professionisti L’art. 2230 c.c. che definisce il contratto d'opera intellettuale ha delineato uno status speciale per le professioni intellettuali, stabilendo che per esercizio di esse fosse necessaria l'iscrizione in appositi albi o elenchi (art. 2249 c.c.) => prefigurando una speciale tutela previdenziale per tali soggetti. Le leggi che regolano le singole professioni intellettuali prevedono l'obbligo dell'iscrizione ad una cassa di categoria per quanti esercitano in via abituale la professione di volta in volta regolata. 35 Il D.lgs. 509/1994 adottato ogni cassa di autonomia contabile ed organizzativa (privatizzazione), riconoscendo la sussistenza di un potere ministeriale di controllo, di modo che sia l'aspetto contributivo che quello delle prestazioni trova una disciplina differenziata in ragione delle diverse professioni regolate. L’art. 14 del d.l. 98/2011 ha assoggettato a tali casi il controllo ispettivo della commissione di vigilanza per i fondi pensione, in ordine sia agli investimenti delle risorse finanziarie, sia alla composizione del patrimonio, mentre la L. 92/2012 ha elevato a 50 anni la durata del bilancio tecnico. => regime speciale previsto per i soggetti che svolgono un'attività il cui esercizio di libera professione senza vincolo di subordinazione, per il cui esercizio sia necessaria l'iscrizione in appositi albi o elenchi, nel caso in cui non sia stata costituita un'apposita cassa di categoria. 11.3) I lavoratori iscritti alla cd. quarta gestione L’art. 2 comma 26 ss. L.335/1995 ha previsto l'istituzione di un apposita gestione separata, presso l'Inps per quanti svolgono: a) per professione abituale, ancorché non esclusiva attività di lavoro autonomo senza aver titolo per l'iscrizione di alcuna delle casse istituite per i liberi professionisti; b) per i titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa e per gli incaricati alla vendita a domicilio. => l'assicurazione, avente carattere obbligatorio, si presenta come una forma di tutela per l'invalidità, la vecchiaia e a favore dei superstiti, regolata da un sistema esclusivamente contributivo, secondo le disposizioni analoghe a quelle che si applicano i soggetti di nuova iscrizione a regime dell'assicurazione generale obbligatoria (art. 2 comma 31). L'aliquota di finanziamento, originariamente fissata al 10% del reddito, è stata incrementata da numerosi successivi provvedimenti legislativi, tanto che essa è stato ormai equiparati in alcuni casi a quella dei lavoratori subordinati. Nell'ambito di una generale sistemazione delle forme di lavoro non subordinato, il legislatore ha disposto che coloro che svolgono attività di lavoro autonomo siano obbligati all'iscrizione alla gestione separata, ogni qualvolta che il reddito annuo derivante da tale attività sia superiore a 5000 € oppure nel caso in cui l'impegno complessivo di ogni soggetto superi le 30 giornate lavorative l’anno => l'ipotesi regolata si riferisce ad un soggetto che non dà vita ad un rapporto di lavoro parasubordinato, per carenza del requisito della continuità, di modo che dovrebbe ritenersi che per i lavoratori parasubordinati l'obbligo del versamento contributivo sorga indipendentemente dai livelli di reddito annualmente raggiunti. In origine la normativa previdenziale prevedeva l'esclusione dell'obbligo contributivo, poiché la natura occasionale dell'attività lasciava intendere che tali soggetti avessero una diversa attività principale, oppure svolgessero attività lavorativa in misura solo marginale: in tale prospettiva, l'occasionalità non determinava il sorgere dell'obbligo contributivo, in quanto si presumeva l'insussistenza di uno stato di bisogno; anzi, l'ingresso nel sistema previdenziale anche di soggetti che solo saltuariamente producevano reddito avrebbe finito per determinare il riconoscimento di un diritto alla pensione a condizioni estremamente più vantaggiose rispetto a quelle di coloro che stabilmente provvedevano al versamento dei contributi. Attraverso l'insieme delle estensioni realizzate nella legislazione recente, ogni attività, non occasionale, di lavoro resta assoggettata all'obbligo contributivo, indipendentemente dalla cornice giuridica entro la quale la prestazione sia fornita, di modo che sono esclusi dal sistema previdenziale solo i redditi che siano di genuina espressione di un'attività di impresa oppure che siano conseguenza dello sfruttamento delle opere dell'ingegno o del diritto d'autore, od ancora che derivino dall'apporto di capitali nell'ambito di contratti di cui all’art. 2549 c.c.. 36 => infine per gli iscritti alla gestione separata si applica il sistema della pensione contributiva, anche quando siano titolari di altre posizioni previdenziali e che i limiti anagrafici e contributivi per il pensionamento sono analoghi a quelli applicati alle altre tre gestioni speciali costituite presso l’Inps. 12) Disposizioni per il lavoro subordinato flessibile Le disposizioni speciali regolano i trattamenti pensionistici a favore di lavoratori subordinati il cui contratto si distacchi dallo standard del lavoro a tempo pieno e indeterminato => infatti, l’art. 25 d.lgs. 81/2015 dispone l'applicazione di un principio di non discriminazione per ogni trattamento in atto nell'impresa, e dunque tale previsione si applica anche per gli aspetti previdenziali. Tuttavia, al fine di scoraggiare attraverso gli oneri contributivi il ricorso a forme di lavoro precario, la Legge Fornero aveva introdotto una contribuzione aggiuntiva, in misura pari all'1,4% sull'imponibile contributivo di tutti i contratti a tempo determinato, finalizzata ad arricchire il finanziamento dell'assicurazione contro la disoccupazione involontaria (NASpI). => tale importo è stato ulteriormente incrementato nel 2018 di 0,5 punti percentuali in occasione di ciascun rinnovo del contratto a tempo determinato. Tuttavia, al fine di incentivare la stabilizzazione dei rapporti di lavoro, il contributo addizionale può essere recuperato dai datori di lavoro, in caso di successiva assunzione a tempo indeterminato del lavoratore. Per quanto concerne il lavoro a tempo parziale (part-time), alcune speciali disposizioni hanno regolato la misura della contribuzione imponendo il rispetto degli importi giornalieri minimali E in relazione ai criteri di calcolo per la determinazione dell'importo della pensione nel sistema retributivo. Infatti, ove si fosse riferita la media relativa la retribuzione pensionabile anche a periodi nei quali la prestazione sia stata resa ad orario ridotto, il risultato sarebbe stato quello di un'ingiusta diminuzione => quindi si è sentita l'esigenza di un proporzionamento del periodo di riferimento retributivo all'orario di lavoro effettivamente svolto, attraverso un sistema che riconduce le ore di prestazione ad una durata conforme al rapporto di lavoro standard. Fra i contratti speciali di lavoro devono menzionarsi anche i contratti di lavoro a contenuto formativo, come l'apprendistato: si tratta di un approccio speciale che si avvantaggia di un finanziamento ad aliquota contributiva ridotta, in particolare per le imprese che abbiano non più di 9 dipendenti. La disciplina del contratto di formazione e lavoro che stabiliva un'articolata serie di sgravi contributivi, al fine di incoraggiare l'assunzione di giovani è stata però censurata dalla Corte di Giustizia Europea che, confermando la precedente decisione della commissione, al condannato lo Stato italiano ritenendo contrarie alle disposizioni del Trattato in materia di libertà di concorrenza delle disposizioni di legge che disciplinavano sgravi contributivi a favore dei contratti di formazione lavoro senza 1:00 verifica circa i soggetti beneficiari. La riforma attuata con il D.lgs. 276/2000 ha sancito l'emanazione del contratto di formazione lavoro: restano da affrontare però le conseguenze che discendono dalla dichiarazione di legittimità => perciò le agevolazioni contributive distribuite in quanto illegittime costringono gli imprenditori che hanno goduto di tali illeciti vantaggi a restituirli, senza che possono riversare su istituzioni pubbliche l'onere finanziario relativo. 13) I lavoratori dipendenti delle PA Il rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici è stato disciplinato da una normativa diversa rispetto a quella applicata ai lavoratori del settore privato, sia per quanto attiene agli aspetti previdenziali ma anche in relazione alle posizioni soggettive delle parti nella fase di esecuzione del rapporto. La disciplina del pubblico impiego realizzava per tale aspetto, un esatto rovesciamento rispetto al settore privato, nel quale il T.F.R. è considerato quale elemento salariale differito, mentre alla 37 valere dei contributi nei confronti dell'Inps, sia pure in misura insufficiente per il sorgere del diritto alla pensione di vecchiaia => tale situazione postula che non vi sia stata ricongiunzione dei contributi nell'ambito di un'unica gestione. La liquidazione da parte dell'Inps di una pensione supplementare subordinato al conseguimento dell'età pensionabile o al riconoscimento di invalidità; l'importo viene oggi quantificato secondo i criteri adottati per la generalità delle pensioni: si tratta di un trattamento reversibile che spetta anche agli iscritti alla gestione separata. 15) L’assegno (pensione) d’invalidità Il lavoratore può trovarsi in una situazione di bisogno costituzionalmente protetta a ragione del venir meno delle forze conseguenti all'età, ed anche a causa del sopraggiungere di una malattia che limiti permanentemente la sua capacità di provvedere al sostentamento proprio e della sua famiglia, attraverso il suo lavoro: in questi casi si prevede il riconoscimento di una specifica prestazione denominata assegno di invalidità (mentre, per i casi in cui non residua alcuna capacità, viene liquidata una pensione di inabilità). Entrambe le prestazioni di invalidità/inabilità vengono gestite dall'Inps: la disciplina in precedenza vigente (L. 160/1975) assumeva come elemento costitutivo necessario ai fini del sorgere del diritto una riduzione della capacità di guadagno in misura superiore a due terzi: in capo all'assicurato doveva residuare una misura inferiore a un terzo => ex art. 24: si considera invalido l'assicurato la cui capacità di guadagno, in occupazioni confacenti alle sue attitudini, sia ridotta in modo permanente, a causa di infermità o difetto fisico o mentale, a meno di un terzo). Occorreva poi un periodo di almeno cinque anni di assicurazione e altrettanti di contribuzione. Capacità di guadagno: ossia la capacità di continuare a svolgere la medesima attività lavorativa svolta in precedenza dal soggetto infortunatosi => si deve notare la differenza rispetto al concetto di capacità di lavoro, operante nel campo degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali: tale criterio indica la generica capacità del soggetto assicurato a svolgere un qualunque genere di attività lavorativa. Differenze => quindi, l’INPS eroga la pensione qualunque sia la causa della lesione, mentre l'NAIL eroga una rendita solo se l'infortunato avviene in occasione del lavoro; l'INPS richiede requisiti contributivi ed assicurativi con un'anzianità di almeno cinque anni, mentre l'INAIL non ne pone; la percentuale di incapacità richiesta dall'INPS è pari a più di due terzi, riguardo la capacità di guadagno, mentre l'INAIL eroga una rendita solo a fronte di una diminuzione pari al 10% della capacità di lavoro, non indennizzando le menomazioni inferiori al 6%; per il calcolo dell'indennità l'INPS prende a base l'ammontare ed il valore dei contributi versati, l'INAIL applica un sistema misto che prevede due elementi (uno a reddituale in ragione della misura della lesione, così come definita da un apposita tabella, in correlazione con l'età e il sesso del soggetto, è un altro, dove le percentuali sono messi in rapporto con l'importo della retribuzione). => dunque, l'assicurato che si infortuni al di fuori delle occasioni di lavoro che sia privo dei requisiti contributivi non ha diritto a nulla. Avrebbe diritto alla rendita INAIL se l'infortunio fosse avvenuto in occasione del lavoro e, in presenza delle condizioni di legge in ordine ai requisiti assicurativi e contributivi, anche alla pensione dell’INPS. Oltre alla capacità di guadagno, un altro fattore contribuiva a rendere maggiormente frequente l'erogazione delle prestazioni in esame, ossia la circostanza che ai fini della concessione del trattamento pensionistico l'Inps dovesse tenere in considerazione la situazione socio economica della provincia ove risiedeva l’infortunato. => questo determinava che la valutazione dell’evento lesivo fosse diversa da provincia a provincia => determinando di fatto un aggravio del deficit della gestione pertinente la pensione di invalidità ed un rialzo della relativa aliquota al fine di riequilibrare il bilancio. 40 Il legislatore è intervenuto con la L. 222/1984 prevedendo il diritto del lavoratore a due distinte alternative prestazioni: l'assegno ordinario di invalidità e la pensione ordinaria di inabilità => la quale viene corrisposta all'assicurato solo se sia rimasto incapace nella misura del 100% e non nel caso di lesioni inferiori. La nozione di capacità appresa la base non è più quella di guadagno ma di lavoro; i requisiti di assicurazione e contribuzione sono sempre pari a cinque anni, ma negli ultimi cinque anni di assicurazione si richiede una contribuzione di almeno tre anni. Inoltre, l’art. 1 comma 1 stabilisce che si considera invalido ai fini del conseguimento del diritto all'assegno di invalidità il lavoratore dipendente o autonomo assicurato presso l'Inps la cui capacità di lavoro, in occupazioni confacenti alle sue attitudini, sia ridotta in modo permanente a causa dell'infermità o difetto psico-fisico a meno di 1/3. Il comma 2 prende in esame il problema del rischio precostituito e dispone che il diritto all'assegno sussiste anche nei casi in cui la riduzione della capacità di lavoro oltre i limiti dei 2/3 preesista al rapporto assicurativo, perché vi sia stato successivo aggravamento siano sopraggiunte nuove infermità. => tale problema consisteva nella precostituzione del rischio, ossia il fatto che il grado di incapacità avvenga in un periodo anteriore al sorgere del rapporto assicurativo. In tal senso l'Inps, sostenuta dalla giurisprudenza, negava il diritto sulla base degli articoli 1888 e 1895 del codice, L’art. 1886 c.c. dettato in materia di assicurazioni sociali stabilisce che in mancanza di leggi speciali le lacune vadano colmate applicando le norme in materia di assicurazioni private. L’art. 1895 c.c. dettato in materia di rapporto privatistico di assicurazione, stabilisce che il contratto è nullo se il rischio non è mai esistito oppure abbia cessato di esistere prima della conclusione del contratto: in effetti, se l'evento dannoso si verifica prima della stipulazione del contratto di assicurazione, la conclusione dello stesso non risponde ad alcun interesse meritevole di tutela e se ne afferma la nullità. Anche la giurisprudenza costituzionale e la cassazione hanno accolto tale argomentazione, anche se attentamente distinguevano il caso del rischio precostituito, che non determina il sorgere del diritto, dall'aggravamento del rischio stesso, avvenuti in costanza degli ulteriori requisiti richiesti: in tale ultimo caso se aveva diritto alla prestazione e tale soluzione è stata recepita dalla legge di riforma del 1984. Il comma 3 ai fini del calcolo dell'ammontare dell'assegno di invalidità, rimanda alle norme in vigore per la pensione di vecchiaia, stabilendo che nel caso in cui l'assegno risulti inferiore al trattamento minimo garantito dalle singole gestioni viene integrato da un importo pari a quello della pensione sociale, a carico del relativo fondo: il diritto all'integrazione non sorge tuttavia nel caso di assicurati che siano titolari di redditi imponibili ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche di importo superiore a due volte l'ammontare annuo della pensione sociale e di importo superiore a tre volte l'ammontare suddetto nel caso in cui l'assicurato sia coniugato o non legalmente separato. Il comma 4 dispone che, ai fini della disposizione del comma 3, l'assicurato è tenuto a presentare all'Inps copia della propria dichiarazione dei redditi. Il comma 6 precisa che l’assegno d’invalidità non è reversibile ai superstiti, non trattandosi di una pensione. Il comma 7 chiarisce la questione della temporaneità, carattere di distinzione da una pensione: infatti, l'assegno viene riconosciuto per un periodo di tre anni, decorsi i quali è onere dell'assicurato chiederne conferma e sottoporsi ad una visita medica che accerti il permanere delle condizioni che hanno permesso il sorgere del diritto all’assegno. Il comma 8 statistiche che successivamente a tre riconoscimenti consecutivi, l'invalidità si considera permanente e pertanto l'assegno automaticamente confermato. 41 Il comma 9 sancisce la possibilità, in costanza di percepimento dell'assegno, di una contribuzione che potrà rilevare ai fini della liquidazione di supplementi: questi contributi permettono di ricalcolare l'importo della prestazione. Il comma 10 dispone che a raggiungimento dell'età richiesta per il diritto alla pensione di vecchiaia l'assegno di invalidità si trasforma, in presenza dei requisiti di assicurazione e contribuzione, in pensione di vecchiaia: a tal fine, i periodi di godimento dell'assegno in corrispondenza dei quali non vi sia stata attività lavorativa vengono considerati utili ai fini della maturazione del diritto alla pensione stessa ma non per il suo ammontare, che non potrà essere inferiore al trattamento garantito dall'assegno di invalidità in godimento al compimento dell'età pensionabile. 16) La pensione ordinaria d’inabilità La pensione ordinaria di inabilità postula i medesimi requisiti contributivi ed assicurativi propri dell'assegno di invalidità: per l'aspetto dell’incapacità, l’art. 2 comma 1 richiede che l'assicurato o il titolare dell'assegno di invalidità, a causa di infermità o difetto fisico o mentale, Siri trovi nell'assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa => per cui, occorre un completo annullamento della capacità di lavoro. La riforma della L. 222/1984 a comportato che il numero delle pensioni d’inabilità sia relativamente basso, differenza degli assegni di invalidità, traducendosi in un forte risparmio da parte dell’Inps. La concessione della pensione è ulteriormente subordinata ai requisiti restrittivi: l'assicurato deve cancellarsi dall'elenco dei lavoratori agricoli o dai nominativi dei lavoratori autonomi o dagli albi professionali, deve rinunciare ai trattamenti contro la disoccupazione così come ad ogni altro trattamento sostitutivo od integrativo della retribuzione; deve rinunciare ad ogni compenso per attività di lavoro autonomo o subordinato svolto in Italia o all'estero in epoca successiva la concessione della pensione. Secondo il comma 6 se l'inabilità deriva da un infortunio sul lavoro o dalla malattia professionale il soggetto non ha diritto alla pensione ed alla rendita erogata dall'INAIL, ma solo ad una maggiorazione di quest’ultima. L’art. 3 dispone che sia l'assegno di invalidità, sia la pensione di inabilità non possono essere liquidati agli assicurati che presentino domanda in data successiva al compimento dell'età pensionabile; la norma avrebbe potuto legittimare situazioni sostanzialmente ingiuste: come il caso in cui l'infortunato non avesse potuto neanche percepire la pensione di vecchiaia per mancanza di requisiti contributivi => La Corte costituzionale ha disposto che l'assicurato infortunato in età pensionabile ha diritto alle prestazioni in esame in mancanza di requisiti contributivi per le altre pensioni. L’art. 5 disciplina il cd. assegno di accompagnamento: ossia un assegno mensile, integrativo della pensione, rilasciato ai fini dell'assistenza personale continuativa ai pensionati, la cui ratio consiste nell'incentivazione dell'assistenza domiciliare il luogo del ricovero ospedaliero, ben più oneroso e fonte di emarginazione sociale dell’assistito. Gli articoli 10 ss. si occupano di riformulare I requisiti di assicurazione e contribuzione in precedenza vigenti, ed eliminano il riferimento alla situazione socio-economica del territorio ai fini dell'erogazione delle prestazioni pensionistiche. La riforma del 1995 ha determinato per la pensione di inabilità la sua non cumulabilità con una rendita INAIL dovuta infortunio sul lavoro o malattia professionale, che sia eventualmente riconosciuta per la stessa causa => ma, nel caso di importo inferiore, è previsto che l'assicurato riceva in pagamento dall'Inps la differenza delle due prestazioni. => le pensioni ante 1995 continuano ad essere pagate integralmente ma ad esse se non vengono applicati I successivi aumenti fino al riassorbimento del maggior importo pagato. 42 Al pari degli automatismi retributivi previsti dal precedente sistema della scala mobile, anche la perequazione automatica determinava un effetto di attesa che alimentava la spirale inflazionistica, rendendo più difficile il controllo sull'andamento dei prezzi e incrementando la spesa per far fronte agli interessi prodotti dal debito pubblico. La necessità di contenere l'andamento dei salari e dei trattamenti pensionistici determinò una serie di misure successive, intesa dura allentamento della dinamica infrattiva. Il legislatore ha stabilito quindi una perequazione semestrale che operava tramite la variazione percentuale semestrale della scala mobile dei lavoratori dell'industria: tale percentuale veniva applicata per intero sulle quote di pensione non eccedenti il doppio del trattamento minimo, per il 90% gli importi compresi fra il doppio il triplo, per il 75% oltre il limite del triplo. Successivamente, in seguito ad un rallentamento della crescita perequative, l’art. 11 D.lgs. 503/1992 a previsto che l'istituto abbia scadenza annuale (al 1 novembre di ogni anno) e che l'aumento sia calcolato sull'effettivo incremento del costo della vita, e non sul tasso di inflazione programmato. La percentuale di aumento si applica per l'intero sull'importo di pensione non eccedente il doppio del trattamento minimo del fondo pensioni lavoratori dipendenti, mentre per le fasce di importo ricomprese tra il doppio ed il triplo del minimo e per quelle ulteriormente eccedenti la percentuale da aumento viene ridotta rispettivamente al 90% ed al 75%. 19) Il minimale di prestazione e la quota sociale L’istituto del minimale di prestazione rappresenta l'importo minimo che si ritiene adeguato a garantire una capacità di sostentamento dell'assicurato, in conformità al parametro costituzionale dell’adeguatezza. L'integrazione al trattamento minimo e l'integrazione automaticamente disposta con riguardo ai trattamenti pensionistici che, calcolati in base alle modalità disciplinate, risultino di importo inferiore all'ammontare minimo. L'onere economico dell'integrazione resta a carico delle singole gestioni pensionistiche. Tale prestazione (oggi a 513 € mensili) non è più prevista a beneficio delle pensioni calcolate secondo il metodo contributivo: per quanti non riescono a maturare, al momento del raggiungimento dell'età massima per la pensione l'importo minimo previsto per quel sistema non resta che l'intervento dell'assegno sociale oppure, sussistendone i presupposti di reddito, il ricorso alla cd. pensione di cittadinanza. => la maggiorazione viene ricollegata dal legislatore ad una situazione di effettivo bisogno, di modo che essa non spetta ai soggetti che percepiscono un reddito superiore a certe soglie, determinata in relazione alla situazione individuale o coniugale del pensionato. L’integrazione al trattamento minimo non spetta ai soggetti che posseggano: a) nel caso di persona non coniugata, oppure coniugata ma legalmente ed effettivamente separato, redditi proprio assoggettabili all’imposta sul reddito delle persone fisiche per un importo superiore a due volte l'ammontare annuo del trattamento minimo del fondo pensioni lavoratori dipendenti; b) nel caso di persone è coniugata, redditi propri per un importo superiore a quello precedente, oppure redditi cumulati con quelli del coniuge per un importo superiore a 4 volte il trattamento minimo. Alcune norme speciali hanno disposto in passato trattamenti di importo più elevato più favorevoli limiti di reddito. 20) L’assegno (e la pensione) sociale L’assegno (pensione) sociale costituisce attuazione dell’art. 38 Cost. e si concretizza in un trattamento avente natura strettamente assistenziale, riconosciuto in caso di bisogno al singolo, indipendentemente da ogni requisito contributivo. 45 => tale trattamento spetta sia quanti abbiano avuto una vita lavorativa assai breve, tale da non consentire il naturale del diritto a pensione, sia anche a soggetti che non abbiano mai prestato attività lavorativa. La prestazione, originariamente prevista dall’art. 26 L. 153/1969 nella forma delle pensione sociale, oggi è regolata dall’art. 3 comma 6 e 7 L. 335/1995 che ne a modificato la denominazione, facendone assumere quella attuale (assegno) per tutte le prestazioni liquidate successivamente alla data di entrata in vigore della legge. Il diritto all'assegno sociale spetta ai cittadini italiani effettivamente residenti in Italia che abbiano compiuto 67 anni: il venir meno del requisito della residenza comporta la revoca del diritto. => analogo diritto spetta ai residenti cittadini di San Marino o comunitari che abbiano svolto attività lavorativa, autonomo o subordinato in Italia; ai rifugiati politici residenti; ai cittadini extracomunitari che hanno ottenuto un permesso di soggiorno di lungo periodo. L’erogazione della prestazione subordinata, in tutti i casi, alla condizione che l'interessato non sia titolare di reddito alcuno oppure lo sia per un ammontare inferiore a quello della pensione sociale. Nel caso che l'interessato sia coniugata e non legalmente separato, oppure in comprovato stato di abbandono, i redditi accumulati dei coniugi non devono essere superiori ai limiti stabiliti dalla legge. Ai sensi dell’art. 3 comma 6 l’assegno sociale è erogato con caratteristiche di provvisorietà sulla base della dichiarazione rilasciata dal richiedente ed è conguagliato, entro il mese di luglio dell'anno successivo, sulla base della dichiarazione dei redditi effettivamente percepiti. => il reddito che costituisce base per il riconoscimento dell'assegno viene ad essere determinato secondo regole particolari, che costituiscono una sorta di anticipazione degli indicatori introdotti nell'ordinamento in relazione all'ammissione ai benefici del sistema dei servizi sociali (ISEE). => Alla formazione del reddito concorrono i redditi di qualsiasi natura, compresi quelli esenti dall'imposta e quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta o ad imposta sostitutiva, nonché gli assegni alimentari corrisposti. Non si computano nel reddito i TFR, le anticipazioni sui TFR, le competenze arretrate soggetto a tassazione separata, il proprio assegno il reddito della casa di abitazione. => agli effetti del conferimento dell'assegno non occorre a formare reddito la pensione liquidata secondo sistema contributivo in misura corrispondente ad 1/3 dell’assegno sociale. L’onere dell'assegno sociale è a carico della gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali (GIAS), il cui finanziamento viene integralmente assicurato dallo Stato: è una riprova che il moderno sistema di previdenza sociale non è più ancorato a schemi mutualistico- assicurativi, ma si incentra sulla constatazione dello stato di bisogno dei cittadini e sul conseguente fisiologico intervento finanziario dello Stato, e quindi dell'intera collettività in ottemperanza ai doveri costituzionali di solidarietà. La prestazione esente da imposizione tributaria non è reversibile, non è cedibile, sequestrabile o pignorabile. L’art. 3 comma 7 dispone la riduzione dell'assegno, fino al 50%, nel caso in cui l'interessato sia ricoverato in istituti o comunità con rete a carico di enti pubblici; hanno diritto all'assegno misura intera i soggetti non coniugati che non possiedono alcun reddito e i soggetti coniugati che hanno un reddito familiare inferiore al totale annuo dell’assegno. Tali norme dovranno essere integrate poi con la cd. pensione di cittadinanza di cui alla D.L. 4/2019 che prevede condizioni reddituali di accesso diverse, riconoscendo un importo ben superiore a quello attualmente in corresponsione per l'assegno sociale. 46 21) Le pensioni estere 21. 1) La tutela previdenziale nei paesi UE Allo scopo di armonizzare le discipline degli ordinamenti europei in materia di previdenza sociale sono stati emanati appositi regolamenti comunitari, i cui principi fondamentali sono: 1) la parità di trattamento tra lavoratori dei paesi comunitari all'interno dell’UE. In applicazione di tale principio la CGUE ha statuito che contrasta con il diritto comunitario una normativa nazionale che neghi ad un lavoratore straniero ma cittadino di un paese comunitario una prestazione che sarebbe spettata al lavoratore nazionale; in un'altra occasione, si è statuito che nel valutare il diritto del lavoratore straniero aspirando ad una determinata prestazione previdenziale subordinata dall'avere familiari a carico, si tenesse conto anche dei familiari a carico residenti all’estero. 2) l'assoggettamento del lavoratore alla legislazione previdenziale dello Stato in cui si svolge la prestazione lavorativa, quindi non dello Stato in cui c'è la sede principale dell'impresa datrice od in cui è stato assunto. 3) la possibilità di cumulare i periodi contributivi, ovunque localizzati all’interno dell’UE: si tratta della cd. totalizzazione. => affinché si realizzi la fattispecie costitutiva del diritto alle prestazioni previdenziali di carattere pensionistico è necessario un certo numero di contributi: il principio della cumulabilità significa che tale cifra può essere raggiunta anche lavorando in più paesi membri: quindi, il minimo contributivo non deve essere raggiunto almeno in uno Stato, ma è sufficiente che si è raggiunto accumulando i periodi lavorativi trascorsi nei vari paesi dell’UE. Il cumulo dei periodi contributivi non può invece significare sovrapposizione degli stessi: infatti, se lavoratore avesse lavorato tot anni in Italia, ma l'ultimo anno avesse contemporaneamente lavorato in Francia, non avrebbe raggiunto gli anni necessari => per cui, non possono considerarsi distintamente periodi contributivi temporalmente coincidenti: la doppia contribuzione non rileva ai fini della maturazione del diritto ma ai fini dell’importo. Con riguardo alla prestazione pensionistica concretamente irrogata, il problema consiste nel ripartire equamente tra i vari Stati l'onere economico della stessa: quindi, se un cittadino italiano presenta domanda di pensione all'Inps a fronte di un minimo contributivo raggiunto tramite il cumulo di contribuzione effettuata in vari paesi dell'unione, è iniquo addossare l'intero esborso sull'istituto assicuratore italiano => si opera una ripartizione tra i vari istituti assicuratori europei in base al criterio cd. pro rata temporis: ossia in proporzione ai periodo di contribuzione nei vari stati. Quindi, nel caso in cui il lavoratore vanta annualità di contribuzione differenti in vari paesi europei: l'assicurato può presentare domanda per la pensione di vecchiaia in Italia, avendo raggiunto gli anni di contribuzione richiesti => l'Inps non dovrà sobbarcarsi interamente l'onere economico della prestazione, ma solo per la sua parte: calcolando l'importo teorico della prestazione alla quale l'interessato avrebbe diritto se tutti i periodi di contribuzione compiuti fossero stati compiuti in Italia, dividendo poi il risultato per il numero complessivo di anni di contribuzione e moltiplicando per gli anni di contribuzione effettuati all'interno del singolo Stato. ==> si deve precisare che l'assicurato non deve inoltrare la sua domanda tutti gli istituti previdenziali presso i quali vi siano stati versamenti, ma risulterà sufficiente una sola domanda, con l'indicazione dei vari anni di contribuzione nei diversi Stati: spetterà poi agli istituti previdenziali dei diversi Stati erogare l'importo della pensione, ciascuno per la quota di sua pertinenza, direttamente all’assicurato. Una particolare questione si pone quando il lavoratore, pur avendo raggiunto l'età pensionabile in Italia non l'abbia conseguita rispetto al sistema pensionistico di altri paesi presso i quali risultano versati i contributi e: in tal caso, l'istituto previdenziale italiano erogherà immediatamente la sua 47 CAPITOLO 3: LE PRESTAZIONI PARTE II: INTERVENTI DI SOSTEGNO AL REDDITO E TUTELA DEL LAVORO 1) Controllo della spesa pensionistica e tutela del lavoratore sul mercato del lavoro Successivamente alla L. 335/1995 emerse il legame che univa tale intervento normativo alla regolamentazione della disciplina del lavoro subordinato: l'analisi delle dinamiche della spesa pensionistica rese evidente che sarebbe rimasto uno strutturale disequilibrio nel sistema ove si fossero completamente armonizzati diversi regimi previsti nell'ambito del lavoro subordinato. L’evoluzione dell'andamento demografico hanno fatto sì che il sistema di previdenza fosse molto precario: l'Inps, a differenza dei fondi di previdenza complementare, non gode di accantonamenti patrimoniali, per cui il pagamento delle pensioni avviene utilizzando le somme che l'istituto ritrae mensilmente dal pagamento dei contributi => l'equilibrio economico del sistema pensionistico rimane fragile, in quanto basta una riduzione del gettito contributivo per metterlo in crisi. Il legislatore ha mirato dunque rendere più stabile il sistema pensionistico attraverso provvedimenti che si sono indirizzati ad aspetti, apparentemente lontani dalla materia previdenziale, ma indirizzati ad un ampliamento della popolazione attiva e ad un incremento del gettito contributivo. Anche l'Unione Europea ha imposto i suoi Stati membri un'azione di contrasto alla disoccupazione, lungo le direttrici identificate dalla cd. strategia europea occupazionale: adattabilità, occupabili ta, pari opportunità ed imprenditorialità => attraverso cui si è inteso disegnare un modello di lavoro che coniugasse la flessibilità della produzione industriale (imprenditorialità) con i diritti sociali (adattabilità), stimolando la crescita degli investimenti sul capitale umano (occupabili), e la promozione della presenza femminile sul mercato del lavoro (pari opportunità). => I risultati raggiunti sono stati modesti, tanto che l'azione europea è stata ridisegnata da un nuovo piano (cd. Horizon 2020), che tiene conto della generale contrazione dell'occupazione registrata sia al seguito della crisi finanziaria dell'estate del 2008 e che segna ai paesi membri nuovi obiettivi da raggiungere entro il 2020. => il principale obiettivo perseguito dal legislatore è consistito nel fare in modo che il finanziamento del sistema previdenziale partecipasse una base quanto più ampia possibile di lavoratori, incrementando il tasso di popolazione attiva e la percentuale di lavoratori occupati, compresi nella fascia di età fra i 15 e i 64 anni. In tale direzione si è cercato di favorire l'emersione del lavoro nero attraverso programmi di regolarizzazione graduale, abbandonati a ragione della insussistenza di un meccanismo coercitivo che spingesse l'impresa e mettersi effettivamente in regola auto-denunziandosi, favorendo così l'intensificazione dei controlli, mediante un loro coordinamento, che ha prodotto risultati apprezzabili. => per quanto concerne l'ampliamento della popolazione attiva, si è provato ad attirare le donne sul mercato del lavoro: sei messo in evidenza come nel nostro paese sia ridotta la percentuale di partecipazione al mercato del lavoro, individuando tale ritardo non solo in fattori di ordine culturale ma anche nella difficoltà che le donne spesso incontrano conciliare il doppio ruolo del sé rivestito nella società. Infatti, nel nostro come in altri paesi europei, le funzioni di cura vengono ancora stabilmente svolte dal sesso femminile: se tentato di sviluppare maggiore attenzione a tali funzioni, promuovendo misure specifiche di conciliazione oppure la individuazione di orari più compatibili con le esigenze familiari. In secondo luogo, si è ipotizzato di realizzare un ampliamento della base contributiva con un più attento governo dei flussi di lavoratori extracomunitari: ogni azione diretta contrastare la tendenza alla riduzione delle nascite potrà avere effetti sul sistema di finanziamento della previdenza solo quando i nuovi nati entreranno sul mercato del lavoro, di modo che fino a quel momento 50 l'incremento del numero dei lavoratori attivi passa necessariamente attraverso l'integrazione dei lavoratori stranieri nel sistema previdenziale italiano. Lo sforzo diretto all'ampiamento della popolazione attiva conduce alla tendenza di promuovere, nell'ambito del lavoro subordinato, forme contrattuali che sappiano rispondere le esigenze imprevedibili della produzione industriale e del commercio, intercettando la domanda di lavoro temporanea o discontinua. Inoltre se hai provato ad abbassare l'età d'ingresso nel mondo del lavoro attraverso una rinnovata attenzione verso l'apprendistato, ritenendo che la sua diffusione potesse facilitare la collocazione dei giovani nel mondo del lavoro, supplendo alla storica carenza di un sistema formativo di tipo tecnico-professionale. => tali fattispecie contrattuali ed il frammentarsi del rapporto di lavoro subordinato in pluralità di articolazioni tipo logiche hanno determinato una concorrenza fra forme di lavoro più o meno garantite, le quali al posto di incrementare il tasso complessivo degli occupati sembrano aver finito per generare una profonda contrapposizione all'interno del mondo del lavoro in ordine al livello delle tutele individuali (la cui conseguenza è una contraddizione quanto ai principi di eguaglianza e solidarietà che improntano lo stesso tessuto normativo della costituzione). => alcuni hanno quindi prospettato, per meglio fronteggiare i costi sociali della precarietà, una profonda riforma del sistema dell'indennità di disoccupazione (cd. ammortizzatori sociali), nel senso di estendere i mezzi di protezione del reddito in caso di disoccupazione anche alle numerose categorie di lavoratori che, sulla base della disciplina tradizionale, non ricevevano alcuna tutela. => si è quindi sottolineato lo squilibrio che per decenni ha caratterizzato l'ordinamento italiano, nel quale le risorse finanziarie sono state prevalentemente concentrate verso i lavoratori licenziati dalle imprese industriali di dimensioni medio-grandi, grazie all'intervento della cd. Cassa integrazione guadagni: che ha finito per rappresentare per lunghi anni il solo reale trattamento per ipotesi della disoccupazione, lasciando ai tanti che perdevano loro lavoro una tutela più modesta e quindi insufficiente. È nata quindi, l'aspirazione alla definizione di un nuovo sistema di Wellfar, più attento alle situazioni di bisogno determinate dalle modifiche della struttura sociale del mercato del lavoro, a coronamento del quale viene posto un ulteriore intervento di riforma riguardante il sistema dei servizi per l'impiego, oggetto di plurimi interventi di riforma negli ultimi 15 anni. => in un primo momento, al fine di trasferire la gran parte delle competenze statali alle regioni, e poi alle province, privilegiando le politiche attive mirate a creare occupazione attraverso azioni specifiche in tema di formazione professionale, e il potenziamento dell'intero sistema dell'intermediazione tra domanda offerta di lavoro, nel solco di una collaborazione fra pubblico e privato. I risultati sono ancora lontani da quelli prospettati e sperati, come dimostra il D.lgs. 183/2015 che tenta di riorganizzare il sistema, con attenzione al contenimento della spesa e al coordinamento fra le esperienze regionali (istitutivo dell’Agenzia nazionale: ANPAL). 2) Gli sviluppi più recenti (2012-2015) e la riforma dei trattamenti di disoccupazione Attraverso il potenziamento del sostegno al reddito in caso di disoccupazione e lo sviluppo di servizi diretti a facilitare l'incontro fra la domanda e l'offerta di lavoro si è inteso offrire al legislatore la possibilità di derogare alla normativa più antica, diretta ad assicurare stabilità al rapporto di lavoro, modificando la disciplina che stabiliva la reintegra come misura sanzionatorie nei casi di licenziamento illegittimo => tale disegno richiesto più di 10 anni ragione delle numerose incertezze che hanno caratterizzato i primi interventi normativi ed in conseguenza al sopraggiungere della crisi finanziaria, la quale ha segnato l'instaurarsi di politiche disegno spesso opposto. Si deve ricordare come riordino degli ammortizzatori più volte prospettato sia stato messo da parte a ragione dell'emergere di una nuova forma di intervento di integrazione salariale: ossia la cd. cassa in deroga: attraverso la quale si sono finalizzati a livello regionale una pluralità di interventi, diretti 51 ad estendere l'intervento di integrazione salariale o oltre limiti di tempo altrimenti stabiliti, o oltre il novero dei soggetti previsti dalla L. 223/1991. => inoltre, il disegno di riforma dei servizi pubblici per l'impiego ha dovuto registrare una battuta d'arresto a seguito della mancata riforma delle province, per mezzo della L. 56/2014, ma mai realizzatesi a seguito della bocciatura della riforma della costituzione conseguente referendum confermativo del 2016. => gli ultimi anni hanno registrato un'accelerazione nel disegno di riforma, seppure il quadro complessivo che risulta dagli interventi più recenti in materia appare ancora fluido, a fronte di tre importanti interventi di riforma: In primo lugo, la L. 92/2012: Riforma Fornero: Mira alla creazione di un sistema ispirato al principio di eguaglianza, nel quale i trattamenti di disoccupazione vengono ad essere indirizzati al fine di garantire parità di condizioni a tutti lavoratori, incrementando la protezione per coloro che fossero comunque esclusi dalle forme più protettive di tutela contro la disoccupazione. => l'obiettivo viene perseguito attraverso rafforzamento dell'indennità di disoccupazione (ordinaria e a requisiti ridotti) denominate assicurazione sociale per l’impiego (ASpI) e mediante l'istituzione di fondi bilaterali di solidarietà, destinati a operare per i settori non coperti dalla normativa in materia di integrazione salariale, con la finalità di assicurare lavoratori una tutela in costanza di rapporto di lavoro nei casi di riduzione o sospensione dell'attività lavorativa per cause previste dalla normativa in materia di integrazione salariale ordinaria o straordinaria (art. 3 comma 4). => tali fondi sono chiamati a completare la tutela assicurata dallo Stato, destinata ad assicurare solo un livello essenziale di tutela, senza oneri aggiuntivi per le finanze pubbliche. In secondo luogo, il d. lgs. 22/2015: Jobs Act: ha inteso portare a compimento la riforma di tre anni prima, attraverso l'ampliamento dei soggetti protetti e il contestuale assorbimento in essa di ogni altra indennità ancora lasciata in vita dalla riforma Fornero. Il decreto dà vita alla Nuova ASpI (NASpI) => ossia ad una prestazione che aspira a presentarsi in termini di universalità, che allarga il periodo da prendere a riferimento per la durata della prestazione, dando rilievo alla contribuzione del quadriennio antecedente la perdita del lavoro: il risultato è che ai lavoratori che abbiano goduto di continuità di occupazione viene assicurata una prestazione di durata biennale, al pari della mobilità antecedente alla riforma 2012: infatti, con riguardo alla durata del trattamento, la riforma del 2015 prevede che questa viene calcolata in misura pari alla metà delle settimane di contribuzione fatta registrare i 4 anni anteriori la fine del rapporto. => il sistema sembra abbandonare l'approccio precedente che calibrava la durata del periodo di godimento della prestazione sulla base del tempo presumibilmente necessario per rintracciare una nuova occupazione, per valorizzare la posizione di ciascuno. Appare evidente che il possibile prolungamento del periodo di godimento della prestazione deve considerarsi come conseguenza del venir meno dell'indennità di mobilità, per cui la NASpI si dimostra funzionale ad accompagnare i lavoratori alla pensione, al pari di quanto avviene in altri ordinamenti. => la riforma ha ampliato il novero dei beneficiari, individuando ai fini del riconoscimento del diritto requisiti meno stringenti di quelli previsti prima: il prezzo che consegue a questa scelta una riduzione della durata del periodo di assistenza assicurato, con il risultato che si finisce per polverizzare gli interventi senza tener conto del fatto che è un carattere strutturale della disoccupazione italiana e proprio l'assoluta incertezza circa i tempi necessari per rintracciare un'altra occupazione. In tale situazione la tutela contro la disoccupazione rischia di perdere completamente il carattere di prestazione ponte, destinata ad accompagnare il lavoratore nella ricerca di una nuova attività, per trasformarsi in una misura di puro assistenzialismo. 52 Con la L. 160/1988 l'importo dell'indennità è stato fissato in misura percentuale, progressivamente elevata da successivi provvedimenti normativi, ed è stato levato dalla L. 92/2012 al 75% della retribuzione mensile media calcolata con riferimento al periodo di maturazione del diritto e comunque nel rispetto di un tetto massimo. Il Jobs Act ha confermato tale regola, modificando l’importo massimo della prestazione. Vengono poi corrisposti gli assegni per il nucleo familiare e viene riconosciuto l'accredito dei contributi figurativi, nella misura pari alla retribuzione di riferimento, senza che l'importo accreditato possa superare un tetto pari a 1,4 volte l'importo massimo mensile della prestazione NASpI per l’anno in corso. L’art. 2 comma 9 L. 92/2012 prevedeva una riduzione del 15% dopo i primi 6 mesi di fruizione è un interiore decurtazione del 15% dopo 12 mesi di fruizione, al fine di segnalare al lavoratore l'esigenza di trovare una nuova occupazione in tempi brevi: il Jobs Ace semplifica tale regola, prevedendo una riduzione del 3% per ogni mese successivo al terzo. => riguardo a tale finanziamento di deve dire come la riforma Fornero ha stabilito che il sistema dell’ASpI giova della contribuzione individuale ed aggiuntiva, corrisposta dal datore nel caso di assunzioni a tempo determinato e di licenziamenti (venendo a sopperire la mancanza dell’indennità di mobilità). Altri problemi sono sorti riguardo alla sussistenza delle condizioni necessarie per poter avere accesso al beneficio: la normativa, in conformità al dettato costituzionale, subordina il diritto alla prestazione ad uno stato di disoccupazione involontaria, escludendo colui che si sia dimesso dal proprio posto => la Corte costituzionale ha ritenuto però che il diritto alla prestazione sussiste già dall'ottavo giorno in tutti i casi di una scelta del lavoratore sia stato determinato da un comportamento del datore, che abbia costituito giusta causa di dimissioni del lavoratore ex art. 2119 c.c. L’art. 76 r.d.l. 1827/1935 prevede che quando la disoccupazione derivi dal licenziamento in tronco (ossia per giusta causa), il diritto al trattamento non viene meno, ma il periodo indennizzabile ridotto di 30 giorni dalla data di cessazione del lavoro. La L. 92/2012 ha chiarito che l'indennità spetta anche quando il rapporto sia risolto consensualmente quando un tale esito sia raggiunto nell'ambito della speciale procedura che si svolge innanzi al DTL, in caso di licenziamento cd. per ragioni economiche, intimato a titolo di giustificato motivo oggettivo => ribadito anche dal Jobs Act, com la precisazione che non trova applicazione per coloro assunti dopo il 7 marzo 2015. Un’altra questione riguarda i periodi di inattività nell'ipotesi in cui lavoratore svolga un'attività stagionale, in quanto sussiste un espressa previsione (in senso negativo) nell’art. 76 comma 1 r.d.l. => la Corte ha fornito un'interpretazione adeguatrice, riconoscendo il diritto alla indennità nei periodi di stagione morta => ed è stata poi chiamata a pronunciarsi sulla stessa ratio decidendi nel lavoro part-time verticale, nel quale a periodi di lavoro si alternano altri di non lavoro, la corte ha però ritenuto legittima si fatta esclusione, in quanto in tali casi appare certa la ripresa dell'attività e dunque il lavoratore non può considerarsi disoccupato, posto che rapporto di lavoro non viene interrompersi come avviene nell'attività stagionali. In passato si prevedeva che il diritto alla prestazione venisse meno in caso di inadempimento ingiustificato degli obblighi finalizzati a comprovare lo stato di disoccupazione dell'assicurato oppure dell'obbligo di frequenza di corsi di riqualificazione o nell'ipotesi di rifiuto ingiustificato ad accettare una nuova occupazione. Attraverso il Jobs Act si rinvia a delle misure dirette ad E accertare l'effettiva partecipazione del beneficiario iniziative di attivazione lavorativa (art. 7: cd. condizionalità). Inoltre, si prevede una 55 serie di misure dirette a rendere cumulabile il godimento della prestazione NASpI con altri redditi da lavoro => infatti la stessa è compatibile con l'instaurazione da parte del beneficiario di un rapporto di lavoro subordinato, purché la retribuzione percepita non sia superiore al limite annuale previsto per l'esenzione dell'imposizione fiscale (salva l'ipotesi che la prestazione non superi 6 mesi di durata => poiché l'indennità resta sospesa per la durata del rapporto di lavoro); => se il limite reddituale superato il beneficiario dei cade dal diritto a ricevere la prestazione. Il lavoratore conserva la prestazione purché abbia comunicato all'Inps il reddito annuo che ritiene di poter guadagnare, ma vedrà ridotta l'indennità di un importo pari all'80% del reddito previsto, rapportato al periodo di tempo intercorrente tra la data di inizio di attività e la fine del periodo di godimento: al fine del mantenimento del diritto alla prestazione, il rapporto di lavoro deve instaurarsi con soggetti diversi e non collegati al precedente datore => tale regola si applica nel caso di svolgimento di attività di lavoro autonomo o di impresa, il cui reddito annuale sia inferiore al limite utile ai fini della conservazione dello stato di disoccupazione (4.800 euro). Si prevede poi che l'importo della prestazione possa essere liquidato anticipatamente in un'unica soluzione quando il beneficiario intende avviare un'attività di impresa o di lavoro autonomo nonché nel caso in cui sottoscrive una quota di capitale sociale di una cooperativa nella quale il rapporto mutualistico ha ad oggetto la prestazione di attività lavorativa da parte del socio. Nell’ambito dell’agricoltura il trattamento di disoccupazione riservato ai lavoratori agricoli subordinati, iscritte negli elenchi nominativi, che possono vantare un requisito assicurativo di due anni ed almeno 102 contributi giornalieri nel biennio: l'indennità, determinata in misura percentuale pari al 30% del salario medio convenzionale e provinciale, è corrisposta per un numero di giorni pari alla differenza tra il numero fisso di 270 ed il numero di giornate di lavoro compiute nell'anno per il quale si è presentata domanda, fino ad un massimo di 180 giornate annue. 4) La tutela di sospensione dell’attività: la Cassa integrazione guadagni 4.1) Origini, finalità e disciplina generale La disciplina dell'indennità di disoccupazione si è caratterizzata per una lunga disattenzione legislativa: così, nel caso di una crisi l’impresa raramente come soluzione i licenziamenti, per cui al trattamento di disoccupazione veniva funzionalmente a sostituirsi quello di integrazione salariale: erogato dalla cassa integrazione guadagni (CIG), a beneficio dei lavoratori, che solo in via fittizia continuavano ad essere considerati come occupati, mentre i complessi industriali nei quali avevano prestato la loro attività erano stati spesso già del tutto smantellati oppure erano inattivi. Tale protezione finiva spesso per avere una durata del tutto superiore a quella formalmente prevista dalla legge generale (cd. cassa in deroga). Anche per i lavoratori, che fossero stati espulsi dal processo produttivo delle imprese di maggiori dimensioni, erano tutelati un'indennità speciale (cd. di mobilità) cui si accompagnavano speciali benefici in termini di ricollocamento lavorativo. Tale differenziazione fra i trattamenti di sostegno al reddito, che ha caratterizzato l'Italia, veniva a costituire un palese vulnus al principio di universalità (quindi di eguaglianza): in quanto nessuna tutela veniva garantita quanti perdessero il lavoro dopo aver lavorato nelle imprese di minori dimensioni oppure in quelle del settore terziario. Tutti gli interventi legislativi più recenti hanno mirato alla riduzione del divario incrementando i trattamenti di disoccupazione e rendendo la cassa più aderente alla funzione di sostegno temporaneo di imprese sostanzialmente sane, così da evitare eccessi evidenti di assistenza. => rilevano 3 modifiche: 1) Si è notevolmente incrementato il costo a carico dell'impresa in caso di ricorso alla cassa, attraverso la previsione di un contributo addizionale in caso di ammissione alla integrazione e mediante la promozione del contratto di solidarietà; 56 2) Si è proceduto a eliminare ogni tutela speciale per le imprese che procedevano a licenziamenti e all'abolizione dell'indennità di mobilità, in conseguenza del venir meno del diritto all'integrazione salariale in caso di crisi aziendale che comporti l'accesso alle procedure concorsuali; 3) Si è definito un nuovo sistema di tutela per i settori esclusi dalla cassa, attraverso la previsione di fondi finanziati dalle stesse imprese e dei lavoratori. Excursus Storico: la cassa integrazione guadagni trova origine nel contratto collettivo del 41 stipulato dalle confederazioni industriali e dei lavoratori dell'industria, dotato di efficacia erga omnes e riferito esclusivamente agli operai del settore industriale; per gli impiegati era già previsto un apposita tutela in forza della quale, nel caso di interruzione o sospensione del lavoro, questi avrebbero avuto comunque diritto alla retribuzione. => le previsioni del contratto collettivo e dei successivi interventi legislativi andavano a favore del datore di lavoro: si voleva evitare che lavoratori, in occasioni di sospensioni o interruzioni dell'attività abbandonassero il loro datore, lasciandolo privo di maestranze => per cui, grazie all'intervento della cassa, sulla quale gravava il finanziamento degli interventi di integrazione salariale, era reso possibile il mantenimento del rapporto, tramite una traslazione dell'onere retributivo a carico degli istituti previdenziali. => con il mutamento della realtà socio economica il problema si spostò nel tasso di occupazione e quindi sui lavoratori, e si sentì l'opportunità di un intervento legislativo che disponeva sulla materia in via generale. Gli interventi del legislatore non hanno condotto ad un definitivo punto di arrivo, in quanto la disciplina è stato oggetto di numerose modifiche ad opera dei successivi provvedimenti che hanno dato vita a regimi, in relazione a singoli settori o dare occupazionali. Con la L. 92/2012 si è messo ordine nella materia, ampliando il campo di applicazione ad ulteriori tipologie di imprese, che erano state provvisoriamente inserite nel novero dei beneficiari ed eliminando alcune ipotesi fra quelle suscettibili di integrazione salariale => tale impostazione è stata confermata dal Jobs Act che ha poi introdotto dei limiti in merito alla durata. => L’originaria normativa restringeva l'area di operatività soggettiva dell'intervento di integrazione salariale soli operai dipendenti da impresa industriali; la L. 223/1991 ha esteso il trattamento ordinario anche agli impiegati e ai quadri, lasciandone esclusi i soli dirigenti, posto che la recente riforma ricompreso fra i beneficiari anche giovani assunti con contratto di apprendistato professionalizzante. Inoltre, anche l’originaria limitazione al settore industriale è stata del tutto cancellata, posto che vengono ormai in rilievo, a determinate condizioni, anche dipendenti del commercio e dell'agricoltura, in quanto trattasi di attività connesse o da accessoria ad attività industriali e da queste dipendenti. L’integrazione salariale: è sempre dovuta nella misura dell'80% della retribuzione globale che sarebbe spettata ai dipendenti per le ore di lavoro non prestate, compresi fra le 0 ore ed il limite orario settimanale fissato nei contratti collettivi. L'intervento della cassa integrazione opera pertanto anche nell'ipotesi in cui lavoratori svolgono effettivamente le loro prestazioni lavorative: in tal caso lavoratore percepirà la retribuzione per le ore effettivamente lavorate per le restanti ore percepirà il trattamento di cassa integrazione. Nei periodi di cassa integrazione il lavoratore ha diritto alla contribuzione figurativa, calcolata sulla base della retribuzione globale cui è riferita l’integrazione. Sulla retribuzione erogata per le ore di lavoro prestate nel caso di integrazione ad orario ridotto occorre pagare i relativi contributi effettivi. => in tal modo, come per la NASpI, il lavoratore non vedrà pregiudicato il suo diritto alla pensione per i periodi per i quali avrà goduto dell'integrazione salariale a carico della cassa. 57 gli obiettivi concretamente raggiungibili finalizzati alla continuazione dell'attività aziendale e alla salvaguardia occupazionale. - Crisi aziendale: si stabilisce che l'intervento della cassa non è più ammesso per tale causale, partire dal 2016, quando si versi in caso di cessazione dell'attività produttiva dell'azienda o di un ramo di essa: il comma 4 prevede per 3 anni nessuna eccezione, seppure nell'ambito di tetti di spesa predeterminati quando sussistono concrete prospettive di rapida cessione dell'azienda e di conseguente riassorbimento occupazionale. Inoltre, il comma 6 precisa che l’impresa non può richiedere l'intervento straordinario di integrazione per le unità produttive per le quali abbia richiesto, con riferimento agli stessi periodi e per causali coincidenti, l'intervento ordinario. Differente risulta poi il trattamento: per la CIGO, 3 mesi prorogabili fino a 12 (senza limiti in caso di eventi oggettivamente non evitabile; per la CIGS, il termine varia in relazione alle cause di intervento: 1 anno (crisi aziendale); 2 anni (ristrutturazione, riorganizzazione e conversione). => per evitare poi abusi sono previsti dei requisiti: la CIGO, il comma 2 art. 12 prevede che dopo la fruizione di 52 sett. consecutive sia trascorso un periodo di almeno 52 settimane di normale attività lavorativa. Il comma 3 limita l’integrazione a più periodi non consecutivi alla complessiva durata di 52 settimane nel biennio mobile. Il comma 5 art. 12 prevede che non possono essere autorizzate ore di integrazione salariale ordinaria eccedenti il limite di un terzo delle ore ordinarie lavorabili nel biennio mobile, con riferimento a tutti i lavoratori dell'unità produttiva mediamente occupati nel semestre precedente la domanda di concessione dell'integrazione salariale. => Limiti salariale valgono per la CIGS che al comma 2 dell’art. 22 stabilisce che in caso di crisi aziendale una nuova autorizzazione non possa essere concessa prima che sia decorso un periodo pari a due terzi di quello relativo alla precedente autorizzazione. Il comma 4 prevede che per le causali di riorganizzazione aziendale crisi aziendale, possono essere autorizzate sospensioni del lavoro soltanto nel limite dell'80% delle ore lavorabili nell'unità produttiva nell'arco di tempo di cui al programma autorizzato. 4.3) CIGO e CIGS: procedura e finanziamento Procedura: la CIGO è subordinata alla delibera della sede provinciale dell’INPS, mentre la CIGS richiede un decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, a conclusione di un inter procedurale che si articola in 2 fasi: 1) il datore è tenuto ad informare e consultare i lavoratori; 2) e al termine presenta la domanda al soggetto competente per ottenere il provvedimento di integrazione. => Il coinvolgimento delle rappresentanze dei lavoratori nel procedimento di concessione dell’intervento di integrazione salariale è conseguenza di un’opzione del legislatore già prevista nella L. del 1975 => importante per capire l’evoluzione dell’istituto prima favorevole al datore, mentre ora al lavoratore. => Viene disposto che l'imprenditore, prima di presentare domanda di integrazione salariale per i propri dipendenti, deve avviare una procedura di consultazione in ordine alla crisi dell'azienda con i sindacati => che si deve concludere in un termine non superiore a 25 giorni, ridotti a 10 per le imprese fino a 50 dipendenti, deve essere allegata documentazione all’atto della domanda. Tramite l'iter procedimentale, il datore non può più abusare dell'istituto di integrazione in quanto oggi i sindacati hanno il potere di controllare l'esercizio della prerogativa dell'imprenditore di richiedere l'intervento integrativo. Al termine della fase sindacale la domanda di concessione deve essere presentata entro 15 giorni (7 per la CIGS) all'autorità amministrativa competente (Inps o ministero): nel caso di tardivo da messa 60 presentazione della domanda deriva la perdita parziale o totale del diritto all'integrazione salariale, l'imprenditore è tenuto a corrispondere al lavoratore una somma di importo equivalente all'integrazione salariale non percepita. => Ai fini della concessione della cassa l’impresa è tenuta ad inviare alle RSA/RSU ed alle articolazioni territoriali delle ass. sindacali, comparativamente più rappresentative, una comunicazione con l’indicazione delle cause di sospensione o di riduzione dell’orario di lavoro, dell’entità e la durata prevedibile, o il numero dei lavoratori interessati. Segue poi, su richiesta delle parti, un esame congiunto della situazione avente ad oggetto nel caso di CIGO la tutela degli interessi dei lavoratori in relazione alla crisi d’impresa; mentre, una procedura semplificata è prevista per i casi di eventi oggettivamente non evitabili che rendano non differibile la sospensione o la riduzione dell'attività produttiva. Al termine della fase di informazione consultazione sindacale, l'impresa è libera di presentare domanda all'Inps per l'ammissione al trattamento ordinario di integrazione salariale, indicando la causa della sospensione o riduzione dell'orario di lavoro e la presumibile durata, i nominativi dei lavoratori interessati alle ore richieste. => La procedura della CIGS (risulta più complessa): entro tre giorni dalla comunicazione iniziale alle rappresentanze sindacali, le parti possono richiedere che l'esame congiunto della situazione aziendale si svolga in sede amministrativa innanzi all'ufficio competente per l'esercizio delle politiche attive del lavoro: qualora l'intervento richiesto riguardi le unità produttive ubicate in più regioni, l'esame si svolgerà presso il ministero del lavoro. L'esame congiunto per oggetto il programma che l'impresa intende attuare e le ragioni che rendono non praticabili forme alternative di riduzione di orario, nonché delle misure previste per la gestione delle eventuali eccedenze di personale. L'esame congiunto ad oggetto inoltre i criteri di scelta dei lavoratori da sospendere, che devono essere coerenti con le ragioni per le quali è richiesto l'intervento: si tratta di un punto di estrema importanza, in quanto vale ad individuare in concreto i lavoratori da cassa-integrare => per cui legislatore prevede che si adotti la modalità della rotazione, salvo che non vengono esplicitate ragioni tecnico-organizzative che giustificano l'adozione di sistemi differenti. Al momento della presentazione della domanda di concessione del trattamento straordinario l'impresa deve trasmettere l'elenco nominativo dei lavoratori interessati dalle sospensioni o riduzioni di orario, finché l'Inps possa inoltrare in via elettronica tali informazioni alle strutture regionali competenti per i necessari controlli e per attivare nei confronti di lavoratori eventuali misure di formazione per la ricerca di nuova attività. L’art. 25 prevede che la sospensione o la riduzione dell'orario a inizio entro 30 giorni dalla data di presentazione della domanda: la norma impone l'eventuale smaltimento di ferie arretrate prima di avere accesso all'intervento di integrazione. La concessione della cassa avviene con decreto del ministero del lavoro, da adottarsi entro 90 giorni dalla presentazione della domanda da parte dell'impresa; la domanda deve essere presentata contestualmente al ministero del lavoro e alle direzioni territoriali del lavoro, al fine di consentire le necessarie verifiche finalizzate al rispetto degli impegni aziendali. La norma prevede che l'impresa a seguito di nuova consultazione sindacale, possa chiedere una modifica del programma nel corso del suo svolgimento. Con riguardo alla natura del provvedimento di concessione, la giurisprudenza ritiene che esso abbia natura amministrativa: eventuali ricorsi avverso la mancata concessione dell'integrazione possono essere proposte innanzi alla magistratura amministrativa, nel rispetto del termine decadenza Ale di 60 giorni. In caso di rigetto della domanda è possibile un ricorso amministrativo al comitato paritetico provinciale. 61 Finanziamento: Il finanziamento dell'intervento ordinario grava solo sull'imprenditore, mentre la copertura dell'intervento straordinario provvede anche la contribuzione dei lavoratori, ma soprattutto il finanziamento a carico dello Stato. Via un contributo ordinario, differenziato fra intervento ordinario e straordinario, a carico di tutte le imprese beneficiarie, calcolato sulla base della retribuzione imponibile e ridotto per le imprese con meno di 50 dipendenti; vi è poi un contributo addizionale a carico delle sole imprese che beneficiano degli interventi, da calcolarsi sulla base della retribuzione globale che sarebbe spettata ai lavoratori in assenza di sospensione; esso è raddoppiato in caso di mancato rispetto dei meccanismi di rotazione. => un'altra questione riguarda il diritto del lavoratore in cassa integrazione a zero ore all'indennità sostitutiva delle ferie: infatti, l'obbligo di collaborazione si traduce nel mantenersi a disposizione, a fronte di un eventuale chiamata da parte del datore => la questione attiene al fatto che l'indennità a natura di vere propria retribuzione: la cassazione ha negato il diritto del lavoratore all'indennità sostitutiva sulla base del rilievo che, diversamente, avrebbe goduto di un trattamento più favorevole del lavoratore mantenuto in servizio, il quale avrebbe diritto alla sola retribuzione feriale, e non anche all'integrazione salariale, il che costituirebbe una manifesta disparità di trattamento. => altra questione consiste nel dubbio circa la sussistenza di un obbligo, da parte del datore di lavoro, di anticipare lavoratori le somme corrisposte poi dall'Inps: il rischio era che il datore ragazza anticipazioni che sarebbero poi rivelate come ingiustificate nel caso di mancato accoglimento della richiesta di cassa integrazione: su tale base la giurisprudenza ha negato l'obbligo di anticipazione. La materia viene regolata dall'articolo sette che ammette il pagamento diretto da parte dell'Inps a seguito di specifica autorizzazione amministrativa. => ulteriore problema consisteva nella scelta dei lavoratori da mettere in cassa integrazione: il criterio dell'assoluta discrezionalità in materia in capo al datore non è mai stato seguito sulla base della considerazione che detta discrezionalità incontra sempre dei limiti; se è così fatto ricorso ai criteri dettati dall'accordo interconfederali per i licenziamenti per riduzione del personale del 1950, che richiamava i criteri delle esigenze tecniche ed amministrative, dell'anzianità del lavoratore, dei carichi di famiglia, della situazione economica del nucleo familiare del dipendente => si trattava di un'applicazione analogica molto forzata. La scelta del personale fu rimessa agli accordi intervenuti a livello aziendale tra il datore rappresentante dei lavoratori: tale sistema però aveva due difficoltà: in primis, fattuale: poiché la crisi della rappresentatività dei sindacati non garantiva contro contestazioni organizzate da gruppi indipendenti o da sindacati, ma soprattutto la giustificazione dell'efficacia generale degli accordi. Così gli accordi stipulati dalle organizzazioni sindacali trovavano efficacia solo per gli aderenti alle stesse, e non per i lavoratori iscritti ad organismi indipendenti e non affiliati ad alcuna organizzazione; diversamente si sarebbe dovuto ammettere l'esistenza nel nostro ordinamento di contratti a danno dei terzi. => la soluzione più equilibrata consisteva nel riconoscere la discrezionalità del potere di scelta del datore in materia, con il duplice limite derivante dalle regole di correttezza e di buona fede oggettiva e della congruità fra le ragioni collocata alla base della richiesta di intervento e la posizione occupata dei lavoratori nell'ambito dell'organizzazione dell’impresa: quindi, sia limiti esterni che interni. => Il problema della definizione dei criteri di scelta trova risoluzione normativa nel disposto della L.223/1991 che recepì i criteri previsti dagli accordi interconfederali, consentendo alla contrattazione collettiva di derogare ai criteri di legge, purché non si fosse pervenuti alla individuazione nominativa dei lavoratori in esubero. La Corte costituzionale ha stabilito il fondamento dell'efficacia degli accordi nella limitazione che questi imponevano le prerogative di scelta del datore, altrimenti libere, ritenendo quindi sussistente il profilo di violazione del principio di libertà dell'organizzazione sindacale. 62 L'istituto della mobilità sembra però rinascere per mezzo dell'accordo di ricollocazione: inserito nell’art. 25-bis D.lgs. 148/2015, che stabilisce un insieme di misure promozionali a favore dei lavoratori, a fronte della stipula di un accordo collettivo nei casi di riorganizzazione di crisi aziendale per i quali non sia previsto il completo recupero occupazionale: i lavoratori licenziandi possono richiedere all’ANPAL l'attribuzione anticipata del sostegno di ricollocazione al fine di ottenere un servizio intensivo di assistenza nella ricerca di un altro lavoro; sono previsti numerosi vantaggi di ordine economico, nel caso in cui lavoratore trovi altra occupazione. Si prevede che il lavoratore possa beneficiare dell'esenzione da reddito imponibile ai fini IRPEF delle somme percepite a corrispettivo della risoluzione del rapporto, entro il limite massimo di 9 mesi. Inoltre, l'impresa che assume il lavoratore beneficio dell'esonero del versamento del 50% dei complessivi contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro, con esclusione dei premi e contributi dovuti all’INAIL (max 4k anno). 5) I fondi bilaterali per il sostegno al reddito Alcune imprese rimangono fuori dall'orbita di applicazione della cassa, per l'attività esercitata, per le dimensioni o in relazione alla categoria legale di inquadramento. Nella prospettiva di universalità dei trattamenti, la funzione di sostegno ai lavoratori esclusi dalle tradizionali forme di ammortizzatori sociali viene affidata ad una misura sperimentale: ossia quella di raccogliere custodire una contribuzione aggiuntiva, utile secondo un modello mutualistico e assicurativo, per l'erogazione di trattamenti di integrazione salariale o di solidarietà a beneficio di quelle categorie o di quei settori di impresa esclusi dal campo di applicazione della disciplina della CIG. => il modello è costituito dai fondi di solidarietà per i quali legislatore rimette alla contrattazione collettiva l'iniziativa per la costituzione, dettando le condizioni per l'erogazione di un trattamento, analogo alla cassa (nel caso di riduzione o sospensione dell’attività di lavoro) oppure la possibilità di finanziare interventi di formazione professionale o forme di prepensionamento (nel caso di riduzione del personale). In alternativa, viene valorizzata l'esperienza dei fondi bilaterali: costituiti quali strutture di amministrazione del contratto per il pagamento di certi elementi retributivi o per il finanziamento di operazioni nel settore della salute e sicurezza, sviluppando nell'ambito di operatività. => La differenza risiede nel fatto che il fondo di solidarietà non ha personalità giuridica, e l'obbligo di contribuzione discende da una fonte pubblicistica; mentre il fondo bilaterale è un ente di diritto privato (associazioni-fondazioni) e la contribuzione al fondo e conseguente all'adesione della singola impresa, sulla scorta delle previsioni della contrattazione collettiva. Con la riforma del 2015, il legislatore ha promosso i fondi-gestioni Inps, prendendo a riferimento al settore del credito e il suo fondo di solidarietà => il legislatore ha delineato tre modelli (art. 26-35): ===> L’art. 26 ipotizza la creazione di gestioni, nell'ambito del bilancio Inps, denominate fondi di solidarietà bilaterali, prive di personalità giuridica ed amministrate secondo i criteri definiti dal regolamento di contabilità dell'istituto: si tratta di una soluzione simile alla previsione dell’art. 2117 c.c. = > Tali fondi vengono costituiti sulla base di accordi e contratti collettivi, intercorrenti fra le organizzazioni sindacali e imprenditoriali, mediante decreto del Ministro del lavoro qui spetta di determinare con riferimento al settore di attività, la natura giuridica e la classe di ampiezza dei datori di lavoro. Tale sequenza viene poi prescritta per ogni modifica al corpo così adottato, precisandosi che le prestazioni possono essere modificate con decreto adottato dai dirigenti dei due ministeri interessati, sulla base di una proposta del comitato di amministrazione. => tale meccanismo consente di dotare di efficacia generale pattuizioni collettive dirette ad istituire i fondi di solidarietà bilaterali: giungendosi per mezzo della necessità di garantire che la raccolta dei 65 contributi sia generalizzata nei confronti di tutti i datori e sia assistita da speciali privilegi. Perciò l'esperienza dei fondi di previdenza complementare insegna che, in assenza di obblighi di comunicazione legale, mancano strumenti idonei a garantire continuità di gettito, per la difficoltà di individuare la misura della contribuzione dovuta e per l'assenza di personale ispettivo. Per cui, l'Inps e alla funzione di parificare i contributi dovuti a tali entità e quelli obbligatori per legge, garantendosi così ai fondi I benefici previsti per la contribuzione all’AGO. => Il comma 7 precisa che l'istituzione dei fondi è obbligatoria per tutti i settori non coperti dalla normativa in materia di integrazione in relazione alle imprese che occupano più di cinque dipendenti: si tratta di contributi qualificati come obbligatori, per cui è coerente che la disciplina collettiva venga ad essere inserita in un provvedimento normativo generale. La riforma nel sancire la costituzione obbligatoria dei fondi stabilisce all’art. 27 che nei settori nei quali già operano consolidati sistemi di bilateralità le parti collettive possono limitarsi ad adeguare le fonti normative ed istitutive alle esigenze richieste. => in caso di inerzia delle parti sociali che conduce al fallimento della riforma, l’art. 28 prevede che per le imprese con più di 15 dipendenti operanti in settori non ricompresi, si provvede ad un fondo di solidarietà residuale: chiamato ad integrare la retribuzione dei lavoratori sprovvisti di cassa integrazione, con un trattamento periodico per una durata di 6 mesi in relazione alle causali di riduzione o sospensione dell'attività lavorativa previste dalla normativa in materia di CIGO e CIGS, oltre ad un assegno di solidarietà per le ipotesi di riduzione consensuale dell'orario di lavoro su base collettiva. => tale sistema evita di procedere ad una estensione della disciplina della cassa integrazione, ma si ravvisano qualche in precisazioni che non rendono tale istituto idoneo per un pieno funzionamento: l’art. 35 nel disciplinare il funzionamento dei fondi impone l'obbligo di pareggio del bilancio, stabilendo il divieto di erogare prestazioni in carenza di disponibilità se non nei limiti delle riserve finanziarie già acquisite: nei momenti di crisi tale previsione finisce per impedire qualunque intervento. Altra cattiva previsione riguarda il far confluire verso gli enti di nuova costituzione quanto già avrebbe dovuto finanziare le attività di formazione ed aggiornamento, atteso che si corre rischio di distogliere tali somme dal fine che dovrebbero avere propriamente, senza che si realizzi quell'arricchimento dell'individuo che costituisce il miglior rimedio contro le cicliche crisi della produzione. Le prestazioni: I fondi di solidarietà costituiti quali gestioni Inps devono assicurare ai lavoratori prestazioni equivalenti a quelle della cassa per non meno di 13 settimane (assegno ordinario): inoltre, le aliquote di contribuzione ordinaria, ripartite tra datori e lavoratori nella misura di 2/3 e 1/3, vengono determinate con provvedimento ministeriale. Questi fondi potendosi rivolger è anche imprese assoggettate alla CIG sono libere di prevedere: prestazioni integrative in termini di importi o durata, oppure prestazioni integrative in termini di importo; un assegno straordinario per il sostegno al reddito a lavoratori che raggiungono i requisiti per il pensionamento di vecchiaia o anticipato; un contributo di finanziamento di programmi formativi di riconversione o riqualificazione professionale. I fondi di solidarietà alternativi assicurano almeno una delle prestazioni: un assegno ordinario di importo pari all'integrazione salariale, di durata non inferiore a 13 settimane in un biennio mobile; un assegno di solidarietà. È prevista l'istituzione di un'aliquota complessiva di contribuzione ordinaria di finanziamento non inferiore allo 0,45% della retribuzione imponibile previdenziale dal 2016, ripartita fra datore e lavoratore. Per i datori, che occupano più di 15 dipendenti, non rientranti nel sistema della CIG e che non abbiano costituito fondi di solidarietà bilaterali, fondi di solidarietà bilaterali alternativi, opera il 66 fondo residuale: esso è obbligato a garantire entrambe le prestazioni richiamate prima per i fondi bilaterali e quindi l'assegno ordinario, l'assegno di solidarietà e dal 2016 l'aliquota di finanziamento del fondo è fissata allo 0,65%, per i datori di lavoro con più di 15 dipendenti, 0,45%, per i datori di lavoro con -15 dipendenti: è stabilita una contribuzione addizionale a carico dei datori di lavoro connessi all'utilizzo delle prestazioni previste, pari al 4% della retribuzione persa. => in caso di intervento da parte di tutti i fondi è necessario che i fondi stessi provvedono a versare alla gestione di iscrizione del lavoratore interessato alla contribuzione correlata alla prestazione: si tratta di una misura funzionalmente equivalente alla contribuzione figurativa che dà luogo ad un effettivo esborso a carico dei fondi di cui agli articoli 26 27 28. 6) La tutela nel caso di crisi di impresa: il fondo di garanzia del TFR Nell’ipotesi di crisi d’impresa vige la speciale assicurazione sociale diretta ad attribuire al lavoratore la garanzia del pagamento del trattamento di fine rapporto: il quale costituisce un elemento retributivo obbligatorio per tutte le categorie dei prestatori di lavoro subordinato, maturato nel corso della prestazione, in proporzione al salario dovuto al lavoratore, secondo la formula prevista dall’art. 2120 c.c. (definita poi dalla contrattazione collettiva). Tale somma viene corrisposta al momento dell'interruzione del rapporto di lavoro, indipendentemente dalla causa che lo abbia determinato, salvo nell'ipotesi di richiesta anticipata di corresponsione parziale, prevista dalla legge a determinate condizioni. L'accantonamento dei ratei annoi a natura contabile, senza determinare un flusso finanziario effettivo, se non nell'ipotesi nella quale il trattamento sia destinato al finanziamento dei fondi di previdenza complementare, infatti può accadere che (nel caso in cui il datore di lavoro sia fatto oggetto di esecuzione in forma concorsuale) il lavoratore sia costretto per realizzare il proprio credito ad affrontare l'accertamento in sede giudiziale e nonostante la causa di prelazione dovrà attendere la conclusione della procedura concorsuale. In base alla disciplina comunitaria si è formato un sistema assicurativo diretto ad una più efficace tutela del credito, al fine di garantire al lavoratore subordinato una prestazione di importo pari al trattamento maturato, ogni qualvolta il relativo debito sia stato accertato con l'inserimento nello stato passivo oppure tutte le volte che sia stata in utilmente intrapresa l'esecuzione forzata verso il datore di lavoro non soggetto a procedure concorsuali. Il trattamento si estende poi alle ultime tre mensilità di retribuzione, ove non siano state corrisposte: il fondo destinato alla gestione di tale forma assicurativa è stato istituito presso l'Inps che lo gestisce il regime di contabilità separata ed è finanziato da un versamento contributivo a carico dei datori, pari allo 0,20% della retribuzione. Da ultimo, accertato in sede giudiziale o concorsuale l'ammontare del credito, il fondo dopo l'erogazione del trattamento, si surroga al lavoratore esercitando i diritti di questo e sopportando il rischio dell'eventuale in capienza dell'attivo, affrontando i costi e tempi collegati alla definizione dell'esecuzione concorsuale. 7) Prestazioni a tutela della famiglia 7.1) L’assegno unico per il nucleo famigliare Sussiste l'esigenza di corrispondere un trattamento economico più elevato agli assicurati con familiari a carico, attraverso prestazioni di carattere previdenziale sulla base delle previsioni costituzionali che correlano la misura della retribuzione dovuta al prestatore all'esigenza di vita sue ma anche della propria famiglia ex art. 36 Cost. 67 8) La tutela della salute 8.1) L’assicurazione per malattia ordinaria Il concetto di malattia, si riconduce nell'ottica del diritto alla salute di cui all’art. 32 Cost. Come affezione che produce un'incapacità del lavoratore a rendere la sua prestazione. La nozione che rileva ai fini giuridici appare più ristretta rispetto a quella della scienza medica, come dimostra la questione avvertita in giurisprudenza in relazione a quelle patologie che per loro cura richiedono cure idrotermali: si tratta di malattie fastidiose ma non sempre tali da rendere la condizione fisica del lavoratore in idonea la prestazione lavorativa; oppure si tratta di affezioni che si presentano in forma cronica, anche un lungo periodo di cura non riesce a registrare una perfetta guarigione, ma piuttosto un regresso della malattia. => per tale ragione la questione relativa la legittimità di quella prassi aziendale per la quale si imponeva al lavoratore di differire la fruizione di tali cure al periodo feriale, si sostenne in giurisprudenza costituzionale che la malattia in sorta durante il periodo di ferie ne sospende il decorso, a fronte dell'esigenza del lavoratore di fruire di un congruo periodo di riposo, per ritemprare le energie psico-fisiche usurate dal lavoro e per soddisfare le sue esigenze ricreativo- culturali e più incisivamente partecipare alla vita familiare sociale. Se poi affermata la soluzione per cui, innanzi a patologie che richiedono cure idrotermali, il congedo per malattia può essere riconosciuto al lavoratore, al di fuori dei congedi ordinari delle ferie annuali, esclusivamente per la terapia o la riabilitazione relativa ad affezioni o Stati patologici per la cui risoluzione sia giudicato determinante un tempestivo trattamento, emotivamente prescritto da un medico specialista del SSN. => la tutela previdenziale si concreta nel riconoscimento di un'indennità giornaliera posta a carico dell'Inps: tale prestazione viene riconosciuto il sole operai, dal momento che per gli impiegati ancora in vigore la previsione precedente la quale impone al datore di retribuire le assenze per malattia del proprio dipendente, secondo una certa misura percentuale, integrale per i primi periodi di malattia e poi decrescente. La prestazione viene alimentata da una quota parte dei contributi, a determinati in misura percentuale alla retribuzione imponibile: tali contributi alimentano altresì le indennità di maternità. Si riscontra un vivace dibattito in giurisprudenza se i datori siano tenuti al versamento contributivo per quei lavoratori ai quali debbono comunque corrispondere la retribuzione, in caso di assenza per malattia, a motivo dell'insussistenza del rischio specifico: la questione è stata risolta in senso positivo dalla giurisprudenza, con soluzione confermata dal legislatore, facendo leva sul fatto che in caso di disoccupazione o di sospensione del rapporto di lavoro senza accesso all'integrazione salariale il trattamento viene a gravare in capo all'istituto previdenziale. L'indennità giornaliera di malattia spetta solo al termine di un periodo di carenza, di durata generalmente pari a tre giorni, per un periodo massimo di 180 giorni in un anno solare o, per i lavoratori a termine, per un periodo di durata pari all'attività lavorativa prestata nei 12 mesi precedenti l'evento morboso: l'importo dell'indennità varia relazione alla durata della malattia alle categorie dei lavoratori e ai diversi settori merceologici. La contrattazione collettiva a previsto a carico del datore di lavoro una integrazione dell'importo dell'indennità giornaliera erogata dall'Inps, così sia equiparata la misura del trattamento complessivo degli operai a quella goduta per disposizione di legge dagli impiegati. L'indennità viene di regola anticipata dal datore di lavoro che provvede poi a trattenere l'importo al momento del versamento dei contributi mensili, secondo il sistema del conguaglio; per i periodi di 70 malattia viene accreditata la contribuzione figurativa, massimo 24 mesi di assenza dal lavoro, secondo una misura ridotta per i periodi successivi al 12º mese di malattia. Al fine di arginare le cosiddette assenze di comodo, il legislatore è intervenuto dettando norme specifiche per precisare gli obblighi di certificazione di reperibilità, gravanti in capo al lavoratore malato, al fine di consentire un controllo relativo al suo effettivo stato di salute: il lavoratore assente per malattia è così obbligato a comunicare al datore il motivo della sua assenza e la durata presunta della malattia, a provvedere successivamente a trasmettere all'Inps e al datore copia di un certificato medico curante => il ritardo determina la perdita dell'indennità di malattia corrispondente giorni in cui ritardo stesso si è protratto. Riguardo a tali obblighi, la giurisprudenza di legittimità e costituzionale, con riguardo all'ipotesi che legittimano l'assenza del lavoratore alla visita di controllo, ha inteso in maniera rigida il progetto di reperibilità, limitato a due fasce orarie giornaliere per una durata complessiva di quattro ore, ritenendo che grava sul lavoratore un particolare onere di diligenza che lo costringe a provvedere ad assicurare la sua reperibilità in tutti i casi in cui questa possa essere in qualche modo compromessa: in altri casi è stata ritenuta causa di legittima senza la necessità di sottoporsi a cure o a visita medica. La norma che statuisce la perdita dell'intero trattamento economico di malattia per i primi 10 giorni a danno del lavoratore risultato assente ad un'unica visita di controllo è stata dichiarata legittima dalla corte costituzionale che ha ritenuto incompatibile con la garanzia a mezzi adeguati alle esigenze di vita ex art. 38 Cost., la ulteriore previsione della perdita di metà del trattamento economico, a partire dall'11º giorno e per tutta la durata della malattia, quando non sia subordinata ad un secondo accertamento di controllo. 8.2) L’assicurazione contro la tubercolosi L'assicurazione contro la tubercolosi è una forma particolare di previdenza, sorta nel passato, quando la malattia era fortemente diffusa: proprio per l'aspetto della sua diffusione sono assicurati contro la stessa sia lavoratore che i familiari a carico. Spetta la gestione di questa all'Inps, presso la quale sono assicurati anche i dipendenti statali: l'ente previdenziale si limita ad erogare delle prestazioni di carattere economico, in quanto l'assistenza sanitaria viene attualmente garantita dal SSN. Il requisito necessario ai fini delle prestazioni è un periodo assicurativo contributivo di un solo anno: le prestazioni sono di due tipi sanatoriali o post-sanatoriali a seconda che vengano erogate durante il periodo di ricovero meno: - sanatoriali, l'importo è di ammontare inferiore rispetto al secondo, in considerazione del fatto che durante il ricovero lo Stato già sostiene gli oneri relativi; - post-sanatoriali, viene erogata, per un periodo non superiore a due anni, quando ricovero abbia avuto una durata non inferiore a 60 giorni. È previsto un assegno mensile di cura e sostentamento, qualora la malattia abbia inciso sulla capacità di guadagno degli assistiti misura superiore al 50%: l'assegno, erogato solo una volta cessata la corresponsione dell'indennità, è riconosciuto per un periodo di due anni, rinnovabile senza limiti, in concomitanza con i periodi di corresponsione delle indennità spetta riconoscimento d'ufficio della contribuzione figurativa. 71 CAPITOLO 3: LE PRESTAZIONI PARTE III: LA TUTELA CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO E LE MALATTIE PROFESSIONALI 1) Gli istituti assicuratori La tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali rappresenta storicamente la prima forma di tutela previdenziale emergente a livello legislativo, mette capo all’INAIL (istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro), il quale gode di una competenza di tipo generale a cui risultano iscritti tutti lavoratori assoggettati all'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, eccezion fatta per gli impiegati e i dirigenti delle imprese agricole, assicurati presso l’ENPAIA. Il monopolio attribuito all’INAIL è stato oggetto di una pronuncia da parte della CGUE ad iniziativa di un gruppo di imprese che intendevano sottrarsi all'obbligo di versamento a favore dell’istituto per rivolgersi ad altre imprese private, lamentando la violazione dei principi comunitari di tutela della concorrenza (art. 105 e 7 TFUE): la Corte ritenuto che non sussista contrasto tra regime interno e la normativa europea che proibisce l'abuso di posizione dominante, essendo la gestione dell'Inail improntata a criteri di solidarietà, tali da escluderne il carattere di attività economica, propriamente intesa: l'ente non ha il potere di determinare in via autonoma gli importi delle prestazioni e dei premi, i quali sono calcolati in proporzione ai livelli retributivi e non all'incidenza del rischio e secondo criteri del tutto diversi da quelli propri di un'assicurazione privata. L'attività dell'Inail è integralmente regolata dal d.P.R. 1124/1965 (T.U. delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali). 2) I soggetti assicurati Secondo l’art. 9 del TU I datori di lavoro soggetti alle disposizioni in materia assicurativa sono le persone gli enti privati e pubblici che occupano dipendenti per i quali sussiste il rischio di infortunio e per i quali non sussiste l'obbligo di assicurazione presso altro ente previdenziale => sono considerati come datori anche altri soggetti, operanti al di fuori di un contratto di lavoro. Ai sensi dell’art. 4 d.lgs. 38/2000 sono soggetti all'obbligo assicurativo anche i dirigenti anche qualora vigano previsioni, contrattuali o di legge, di tutela con polizze privatistiche; ex art. 5 d.lgs. sono poi soggetti all'obbligo assicurativo anche i lavoratori parasubordinati, qualora svolgono le attività di cui all’art. 1 TU; Vengono tutelati anche i lavoratori agili, che pur in presenza di un vincolo di subordinazione, si avvalgono di strumenti tecnologici per lo svolgimento della prestazione, che può quindi anche essere eseguita presso il proprio domicilio. => si deve sottolineare che sussistono differenze rispetto al modello di rapporto assicurativo in capo all'Inps, specialmente per quanto concerne l'aspetto contributivo: il contributo prende il nome di premio, e viene calcolato sulla retribuzione dei soli lavoratori aventi diritto alle prestazioni in caso di realizzazione dell'evento lesivo (mentre, per le gestioni Inps i contributi per gli assegni per il nucleo familiare devono essere erogati anche a fronte di assicurati non aventi diritto a queste prestazioni). Il tasso di determinazione, che viene espresso in millesimi, non viene stabilito in misura fissa ma bensì variabile, a seconda del grado di rischio statisticamente accertato delle lavorazioni svolte; la tariffa dei premi viene ordinata secondo una classificazione tecnica di lavorazione che è ormai articolata su quattro gestioni separate hai finita di fare: industria, artigianato, terziario, altre attività (credito, assicurazioni, enti pubblici). 72 Affinché l'assicurato abbia diritto alle prestazioni dell'Inail in caso di infortunio devono realizzarsi tre presupposti: 1) la causa violenta, ossia l'evento dalla cui verificazione discendono effetti dannosi, si verifica con carattere di evidenza e repentinità: in tal senso il requisito vale a differenziare nettamente la fattispecie di infortunio sul lavoro rispetto alla malattia professionale, nella quale la stessa causa della lesione opera impercettibilmente ed in modo diluito nel tempo; 2) Requisito per cui l'evento si sia realizzato in occasione del lavoro: tale circostanza vale a differenziare il rischio specifico che grava sul lavoratore dal rischio generico, gravante sulla generalità dei consociati: il problema si è posto con riguardo all'infortunio in itinere, ossia l'infortunio che colpisce l'assicurato nel corso di spostamenti che trovano motivazione nel rapporto di lavoro. Vi è l'indennizzo di tali eventi che si verificano quando l'attività lavorativa debba svolgersi necessariamente in itinere => al fine di risolvere il problema di individuare un criterio idoneo a distinguere quali infortuni fossero indennizzabili e quali non lo fossero (in precedenza, per affermare l'indennizzabilità occorreva riferirsi al concetto dell'aggravamento del rischio generico: l'infortunio in itinere era indennizzabile nel momento in cui sul verificarsi dell'evento avessero inciso circostanze connesse con la prestazione di lavoro e circostanze che consentissero di collegare il percorso compiuto con il servizio da rendere; un altro criterio era rappresentato dall'individuazione nell’infortunio dell'elemento della necessità o finalità di lavoro: secondo cui vi era indennizzo nell'impossibilità, di adempiere gli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro o nel conseguire la finalità di questo, di sottrarsi ad un rischio, anche non collegato causalmente con l'attività lavorativa, ma che risulti peculiare dal contesto circostanziali dell'attività dal punto di vista della densità). Conseguentemente a tali acquisizioni giurisprudenziali, l’art. 12 d.lgs. 38/2000 ha esteso la tutela contro gli infortuni a tutti gli infortuni occorsi alle persone assicurate durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro, durante il normale percorso che collega due luoghi di lavoro se il lavoratore ha più rapporti di lavoro e, qualora non sia presente un servizio di mensa aziendale, durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro a quello di consumazione abituale dei pasti. => si prescinde quindi dal mezzo di locomozione utilizzato e l'infortunato resta privo di tutela solo in caso di deviazione interruzione del percorso del tutto indipendenti dal lavoro o non necessarie. => l'occasione di lavoro deve escludersi quando l'infortunio consegue ad un comportamento doloso del lavoratore medesimo, ossia nel caso di autolesionismo: nel caso di colpa, occorre distinguere a seconda che si tratti di un comportamento imprudente, negligente o imperito ma pur sempre connesso all'adempimento della prestazione lavorativa, dal caso in cui (rischio elettivo) il comportamento sia del tutto estraneo all'esecuzione del lavoro. 3) l’evento lesivo: quale alterazione peggiorativa delle capacità Psico-fisiche dell'assicurato in modo da diminuire o sopprimere radicalmente ogni attitudine a svolgere attività lavorativa: vengono in considerazione tre fattispecie: 1) La morte dell’assicurato; 2) L'inabilità permanente in via assoluta o parziale, 3) L'inabilità temporanea ed assoluta. => l'inabilità si considera permanente o temporanea seconda della mancanza di attitudine lavorativa protratta nel tempo o meno, mentre la distinzione tra inabilità assoluta e relativa si determina sulla base di apposite tabelle allegate al TU che, quantificando in punti percentuali il grado di inabilità che deriva dall'infortunio, permettono di verificare se il lavoratore abbia subito una lesione superiore al 10%, ossia il limite minimo al di sotto del quale non sussiste diritto a prestazione indennità aria alcuna, fino al limite del 100%, 75 coincidente con l'assoluta inabilità: nessuna tabella indennità aria spetta nel caso di inabilità parziale e temporanea. 5) L’accertamento dell’evento Lo stesso infortunato deve denunciare immediatamente l'infortunio all’assicurante (Datore di lavoro) ex art. 52 TU => il datore a propria volta deve inoltrare la denuncia all'Inail e all'autorità locale di pubblica sicurezza, normalmente entro due giorni da quando avuto notizia dell'evento (cinque in caso di malattia professionale) e deve essere corredata da un certificato medico; nel caso di infortunio mortale, occorre che sia effettuata telegraficamente entro 24 ore dallo stesso (art. 53). => Per consentire l'apertura di un'inchiesta tesa a verificare la copertura assicurativa dell'infortunio, l'autorità pubblica di sicurezza inoltrava copia della denuncia al pretore nel cui mandamento si era verificato l'evento lesivo: si trattava di una deroga alla normale competenza del pretore in quanto giudice del lavoro, giustificata in considerazione della circostanza che nella fattispecie non veniva in rilievo l'esercizio di funzioni giudiziarie ma amministrative. Il pretore svolgeva l'indagine sul luogo dell'infortunio in contraddittorio con gli interessati: in mancanza dell'infortunato dei suoi rappresentanti il Proter e disponeva la partecipazione all'inchiesta di due prestatori d'opera addetti ai lavori nell'esecuzione dei quali è avvenuto l'infortunio ed aveva facoltà di interrogare tutte quelle persone che riteneva potessero far luce sull’accaduto. All'inchiesta prendeva parte anche un funzionario dell'Inail il quale era in grado di evidenziare tutte le regole di sicurezza sul lavoro eventualmente violate, che dovevano essere applicate nel caso concreto: la partecipazione si spiega in considerazione del fatto che l'Inail non sopporta sempre l'onere economico delle stesse, attesa la possibilità di agire in regresso nei confronti del datore che sia considerato responsabile, secondo quanto previsto dall’art. 10 TU. => attualmente la procedura di accertamento non viene più svolta dal pretore, il cui ufficio è stato represso, bensì dall'ispettorato territoriale del lavoro, in forza delle previsioni di cui all’art. 1 d. lgs. 149/2015 di riordino e semplificazione dell'attività ispettiva: anche la disciplina è stata oggetto di varie modifiche ed ora in caso di incidenti mortali o che provochino una rilevante inabilità al lavoro, con prognosi superiore a 30 giorni, sussiste un obbligo di denunzia in capo al datore di lavoro, di modo che nei successivi quattro giorni si procederà allo svolgimento dell'inchiesta su richiesta del lavoratore infortunato, di superstite o dell’Inail (art. 56 TU). 6) Le prestazioni e i ricorsi dell’assicurato Le prestazioni sono informati dal principio di automaticità: in quanto risponde ad un'esigenza di effettiva tutela dell'assicurato, più stringente in considerazione della gravità dell'evento generatore della situazione di bisogno. L'erogazione delle prestazioni di carattere indennitario, a fronte di inabilità temporanea assoluta, avviene per tutta la durata dell'inabilità, ma solo a partire dal quarto giorno dell'infortunio: se gli effetti dell'infortunio si esauriscono in non più di tre giorni, non sorge alcun diritto nei confronti dell’ente. => occorre sottolineare che il primo giorno di infortunio resta ad integrale carico del datore, tenuto al pagamento della retribuzione, mentre il secondo il terzo giorno vengono parimenti addossati al datore nella misura del 60%, salvo migliori condizioni eventualmente contemplate ad opera della contrattazione collettiva (art. 73 TU). La prestazione pecuniaria a fronte di inabilità temporanea prende il nome di indennità temporanea ed è corrispondente misura pari al 60% della retribuzione sino al 90º giorno successivo all'infortunio, mentre a decorrere dal giorno successivo la percentuale è elevata al 75%. 76 La rendita permanente si verifica nell'eventualità in cui, rimangono dei postumi superiori al 10%: nel caso di inabilità permanente la prestazione prende il nome di rendita, e la sua misura varia a seconda che sia parziale o assoluta => assoluta e quando toglie completamente e per tutta la vita l'attitudine al lavoro, e determina l'erogazione di una rendita pari alla retribuzione annua relativa ai 12 mesi precedenti l'infortunio o l'insorgere della malattia, entro un determinato massimale fissato dall’Inail; nel caso di inabilità parziale, la rendita spetta in misura ricompresa tra il 50 e 60% se l'inabilità va dall'11 al 60%, mentre se va dal 61 al 79% spetta in misura analoga. Nel caso di inabilità compresa tra l'80% e il 100% la rendita è pari al 100% della retribuzione. Queste percentuali devono essere applicate sulla retribuzione annua, ossia sulla retribuzione è corrisposta l'infortunato durante i 12 mesi prima dell'infortunio: anche per la retribuzione rilevante ai fini Inail viene rilievo massimale ed un minimale. Una parte della rendita va ad indennizzare il danno biologico purché esso sia superiore al 16%, mentre quando esso si colloca fra il sei e il 16%, viene solo erogato un indennizzo in capitale L’art. 66 TU disciplina un assegno per l'assistenza personale continuativa, una rendita ai superstiti in caso di morte dell'assicurato ed un assegno una tantum per spese funerarie, cure mediche chirurgiche, compresi gli accertamenti clinici, e le forniture degli apparecchi di protesi; per gli invalidi nei cui confronti non opera il collocamento obbligatorio, viene prevista l'erogazione di un assegno di incollocabilità. => riguardo alle lesioni possono sorgere due ordini di problemi: 1) l'ipotesi di concause di lesioni, si realizza quando una lesione normalmente guaribile entro un certo termine guarisce entro un termine maggiore, in considerazione delle peculiari condizioni fisiche dell'infortunato: sorge il problema di verificare se l'Inail debba corrispondere le sue prestazioni per il termine ordinario o per il termine di effettiva convalescenza => in tal caso, l'Inail deve coprire il periodo più lungo, in considerazione del fatto che diversamente l'assicurato verrebbe a trovarsi sprovvisto di tutela proprio quando si trova in un più grave stato di bisogno; 2) Le concause di inabilità, non si verificano nell'ipotesi in cui un soggetto subisca nel corso del tempo più lesioni la cui somma, se singolarmente considerate, determinerebbe un'incapacità in misura superiore al 100% => è intervenuta la formula Gabrielli, per la quale la perdita percentuale deriva dagli infortuni e successivi al primo non va calcolata in termini assoluti, ma in relazione al grado di attitudine lavorativa sussistente dopo l'ultimo infortunio verificatosi. => con riguardo al termine di prescrizione, il diritto alle prestazioni si prescrive nel termine breve di tre anni, stante l'esigenza di una rapida istruttoria e di un sollecito riconoscimento della prestazione. Si prescrive nel termine ordinario di 10 anni il diritto alla liquidazione della rendita per inabilità permanente quando la stessa sia già stata riconosciuta dall'Inail, in quanto secondo l'indirizzo giurisprudenziale verrebbe meno la suddetta ratio. Il termine comincia a decorrere nel caso di infortunio dal giorno stesso, mentre nel caso di malattia professionale la manifestazione della malattia professionale coincide con il primo giorno di astensione completa dal lavoro oppure, in caso di mancata astensione o di patologia manifestatasi dopo l'abbandono della lavorazione causa della malattia, con il giorno in cui si è presentata l'istituto la denuncia con il certificato medico. => La Corte costituzionale a chiarito che è possibile che l'inabilità permanente superi la soglia di indennizzabilità solo in un momento successivo all'infortunio, pertanto solo da tale momento il diritto può essere esercitato e può decorrere la prescrizione: quindi, la manifestazione della malattia professionale coincide con l'emersione obiettiva della stessa, accertabile mediante valutazione medico-legale o tramite presunzioni semplici ricollegate anche al comportamento dell’assicurato. In seguito a tale indirizzo la cassazione ha ritenuto che la consapevolezza da parte dell'assicurato dell'emersione della malattia si presume sussistere dalla data della domanda amministrativa di 77 mentre verrebbero ad aumentare i profili di disparità di trattamento rispetto agli assicurati ammessi senza limiti all'esercizio dell'azione risarcitoria. Il problema è stato affrontato dalla corte costituzionale che ha sostanzialmente ampliato la responsabilità civile del datore in tutti i casi in cui il danno sia causato da un comportamento costituente reato perseguibile d'ufficio, posto in essere dal datore assicurante o da persone dalle quali egli debba rispondere a norma delle leggi civili: questo accertamento è possibile in via incidentale innanzi al giudice civile, chiamato al fine di giudicare in merito alla condanna risarcimento sul presupposto di un fatto di reato. Quindi, sia sancita l'illegittimità costituzionale dell’art. 10 TU nella parte in cui limita le fattispecie di responsabilità nelle ipotesi nelle quali il fatto di reato all'origine dell'infortunio sia imputabile esclusivamente ai dipendenti incaricati della direzione e sorveglianza del lavoro, e non agli altri dipendenti del cui operato il datore di lavoro debba rispondere a norma del codice. Inoltre, si è dichiarato incostituzionale il quinto comma della disposizione nella parte in cui non prevede che in ipotesi di prescrizione del reato permanga il potere del giudice civile ad accertare se il fatto dell'infortunio abbia egualmente costituito reato. Con la sent. 102/1981 la Corte ha dichiarato l'illegittimità della preclusione all'Inail di agire in regresso nei confronti del datore qualora il processo penale intentato nei suoi confronti o di un suo dipendente si sia concluso con la soluzione è l'istituto non sia stato posto in grado di partecipare al detto procedimento; È stato poi ritenuto illegittimo l’art. 10 TU nella parte in cui non consente che l'accertamento del reato possa essere compiuto dal giudice civile anche nei casi in cui il procedimento penale nei confronti dei soggetti suddetti si sia concluso con proscioglimento in sede istruttoria o vi sia stato provvedimento di archiviazione: l'Inail, se non ho potuto prendere parte al processo penale, può agire in sede civile contro il datore per far accertare una responsabilità penale della quale egli debba rispondere. Con la sent. 118/1986 la Corte ha esteso il diritto dell'assicurato ad agire nei confronti del datore anche nel caso di procedimento penale nei suoi confronti conclusosi con archiviazione o proscioglimento in sede istruttoria. Tuttavia, malgrado i correttivi introdotti, la tenuta costituzionale del modello assicurativo postulato nel 1965 era minacciata dall'evoluzione complessiva della nozione di danno. 9) Il problema del danno biologico Il problema della tenuta costituzionale del modello assicurativo postulato dal 10 TU si era ulteriormente aggravato perché a partire dagli anni ’70 la giurisprudenza aveva iniziato a riconoscere quale diritto suscettibile di autonomo risarcimento in caso di lesione il danno biologico. Oggetto di quest’ultimo, ora come allora, non sono le conseguenze economiche di carattere negativo, sotto la specie di danno emergente (per es. cure mediche) e lucro cessante (per es. mancati futuri guadagni, eventualmente sotto la specie di diminuzione del reddito), verificatesi in capo all’assicurato a seguito dell’infortunio, ma radicalmente la stessa alterazione delle qualità psicofisiche dell’individuo o la sua salute, tutelata dal 32 Cost . Essendo la salute diritto fondamentale dell’individuo, la lesione della stessa comporta necessariamente un obbligo risarcitorio a favore dell’assicurato a carico dell’assicurante che ne fosse civilmente responsabile. Ne conseguiva che il datore assicurante era tenuto civilmente al risarcimento, senza alcun esonero, e ciò minava ulteriormente il modello compromissorio del 10 TU. La questione poi era ulteriormente complicata dal fatto che anche la lesione della capacità lavorativa era indennizzata dall’INAIL senza riferimento all’incidenza dell’infortunio o della malattia sul patrimonio dell’assicurato danneggiato. 80 Ne conseguiva che se il danneggiante-assicurante veniva escusso dall’INAIL in sede di regresso e poi dal danneggiato-assicurato con l’azione risarcitoria ordinaria, poteva eccepire a quest’ultimo l’intervenuta estinzione dell’obbligazione risarcitoria in relazione alle somme versate a titolo di regresso dell’INAIL. Se poi a venire in rilievo erano lesioni di rilievo ridotto, tali da non determinare alcun danno patrimoniale (e quindi al legittimare il danneggiato ad agire solo per i danni non patrimoniali), si verificava che l’INAIL, una volta erogato l’indennizzo, tramite l’azione surrogatoria nei confronti del responsabile civile finiva per incamerare l’intero risarcimento, lasciando privo l’assicurato del diritto al ristoro per queste voci di danno. Si deve infatti considerare che il sistema delineato dal TU si basava sulla tendenziale irresponsabilità civile del datore di lavoro nel caso di danno subito dall’assicurato, a meno che lo stesso derivi da un comportamento costituente reato del quale egli sia tenuto a rispondere a norma delle leggi civili. L’INAIL in questo caso, e nel caso di responsabilità civile di terzi soggetti distinti dall’assicurante (che in quanto tali non godono di alcun esonero dalle ordinarie regole di responsabilità) può agire per il recupero delle somme erogate a titolo di prestazioni economiche a favore dell’assicurato nei confronti del datore di lavoro assicurante (azione di regresso: 11 TU) ovvero del terzo responsabile (azione di surroga: 1916 (Diritto di surrogazione dell'assicuratore) e l. 990/1969: infatti di solito si tratta di danni imputabili a terzi derivanti da incidenti stradali). L’azione di regresso presuppone la responsabilità civile del datore derivante da un fatto di reato del medesimo o dei suoi collaboratori, del cui operato debba rispondere, e che il reato sia perseguibile d’ufficio: circostanze accertabili incidenter tantum dal giudice civile (non occorre una previa condanna penale, rileva il fatto reato). Ciò premesso, occorre rilevare che l’INAIL, prima del d. lgs. 38/2000 (col quale disciplinato il danno biologico in ambito INAIL), erogava una rendita in caso di infortunio o di malattia qualora togliesse per tutta la vita l’attitudine al lavoro. Si trattava secondo la dottrina di un danno la cui entità prescindeva dal reddito del danneggiato. È sorta la figura del danno biologico (ossia del danno derivante da lesione del diritto alla salute, a prescindere dalle ripercussioni patrimoniali dello stesso), sorto il problema derivante dalla somiglianza tra i due tipi di danno: trattandosi di lesioni risarcite indipendentemente dalle loro ripercussioni patrimoniali, si intuiva il rischio di una duplicazione risarcitoria: con la conseguenza che il danneggiante, se escusso prima dall’INAIL con regresso, e poi dal danneggiato con ordinaria azione di responsabilità civile, poteva eccepire a quest’ultimo l’intervenuto soddisfacimento del suo interesse a seguito del pagamento effettuato dall’INAIL. Se poi il danno all’assicurato era di entità tale da essere trascurabile sul piano patrimoniale, e dava a dito solo al risarcimento del danno biologico, l’INAIL, una volta erogato l’indennizzo ed agito in via surrogatoria nei confronti del datore di lavoro, finiva per incamerare l’intero risarcimento dovuto, non lasciando nulla in mano al danneggiato, posto che non si distingueva a seconda che le voci di danno fossero ricomprese o meno nell’oggetto della copertura assicurativa. La Corte costituzionale (319/1988) ha quindi precluso all’INAIL di esercitare l’azione surrogatoria nei confronti dell’assicuratore del responsabile civile (si trattava del caso di infortunio derivante da incidente stradale causato da un terzo) con pregiudizio del diritto del danneggiato al risarcimento del danno biologico: pregiudizio derivante dall’incapienza del massimale assicurativo in ordine alla somma pretesa dall’ente assicuratore in via di surroga e dall’assicurato danneggiato a titolo di danno biologico. Il problema per˜ a questo punto si nuovamente complicato perché la netta distinzione tra i due tipi di stata offuscata da una successiva sentenza della Corte, la 356/1991, che ha sancito l’illegittimità del 1916 (Diritto di surrogazione dell'assicuratore) nella parte in cui consente 81 all’INAIL di surrogarsi nei confronti del terzo responsabile anche con riguardo alle somme da questi dovute al danneggiato a titolo di risarcimento del danno biologico. La Corte ha infatti statuito che il danno biologico ed il danno coperto dall’INAIL sono parzialmente coincidenti, e ci˜ sull’assunto che il danno ristorato dall’INAIL non ha per oggetto esclusivamente il danno patrimoniale (posto che la prestazione spetta a prescindere dalla sussistenza di un’effettiva perdita o riduzione dei guadagni dell’assicurato), ma neppure ha per oggetto il danno biologico di per sé stesso e nella sua integralità. La Corte infine statu“ l’illegittimità del 10 TU 1124/1965 nella parte in cui precludeva all’assicurato di chiedere la condanna del datore di lavoro al risarcimento dell’intero danno biologico, anziché la sola quota di danno eccedente la somma già indennizzata dall’INAIL. In conseguenza di questo frazionamento teorico del danno biologico (parte inteso come relativo alla capacità lavorativa generica, parte invece agli aspetti extralavorativi della persona dell’assicurato), parte della giurisprudenza ha ritenuto allora che l’assicurato danneggiato non potesse pretendere dal danneggiante l’intero risarcimento del danno biologico, ma solo una frazione dello stesso, individuata talvolta nella misura di 2/3 dello stesso (ci˜ sul presupposto che per 1/3 lo stesso fosse già coperto dal sistema degli indennizzi dell’INAIL; il frazionamento in terzi sarebbe stato peraltro desumibile dal fatto, rilevabile secondo l’id quod plerumque accidit, che la parte di giornata mediamente destinata al lavoro di 8 ore su 24). Di riflesso, all’INAIL era concesso rivalersi nei confronti del danneggiante, nella misura di 1/3. Presupposto di quest’orientamento era la convinzione che l’attitudine al lavoro di cui al TU 1124/1965 fosse un aspetto particolare (siccome non terrebbe conto della vita extralavorativa del danneggiato) del danno biologico. Altra parte della giurisprudenza non ha invece ritenuto di seguire tale indirizzo, ritenendo che l’attitudine al lavoro sia concetto del tutto differente da quello di capacità lavorativa generica ed inerente piuttosto ad una capacità lavorativa in atto, e quindi ad un valore di natura patrimoniale. Le conseguenze erano che il lavoratore assicurato poteva pretendere l’intero risarcimento del danno, e che l’INAIL non poteva agire in regresso avverso il datore-assicurante a titolo di danno biologico neppure pro parte. Ciò poteva determinare degli squilibri, per es. nel caso in cui l’infortunio non avesse avuto ripercussioni patrimoniali apprezzabili, considerato anche che le percentuali di invalidità dell’ elevate rispetto a quelle elaborate ai fini del risarcimento del danno biologico in sede civile, accadeva che l’assicurato danneggiato incassava per intero sia l’indennizzo INAIL che il risarcimento del danno biologico dal responsabile civile, ma poiché l’INAIL non poteva agire in surrogazione per tale ultima voce di danno contro il responsabile civile, si verificava un ingiustificato lucro del danneggiato. Il d. lgs. 38/2000 ha anzitutto ricompreso nell’ambito dell’INAIL il danno biologico, definito dal 13 come la lesione all’integrità psico-fisica suscettibile di valutazione medico legale della persona. Con ci˜ evitato in capo all’assicurato l’onere di rivolgersi al responsabile civile per ottenere il relativo risarcimento e, di riflesso, impedendogli di ottenere un doppio risarcimento sul punto. Permangono per˜ dei problemi, derivanti dal fatto che a tutt’oggi il risarcimento del danno biologico, in sede di giudizio di responsabilità civile, avviene sulla base di tabelle predisposte in via ufficiosa (ossia senza portata vincolante) dai vari Tribunali e/o distretti di Corte d’appello senza avere riguardo alla c.d. tabella delle menomazioni (di cui al 13 d. lgs. 38/2000), di cui invece si deve avvalere l’INAIL per quantificare l’indennizzo per il danno biologico. Nel caso in cui la medesima inabilità conseguente al danno biologico sia valutata di nelle prime tabelle rispetto a quella prevista per l’INAIL, sorge il problema relativo alla possibilità del danneggiato di chiedere il risarcimento del danno differenziale. 82 CAPITOLO 3: LE PRESTAZIONI PARTE IV: MISURE DI CARATTERE ASSISTENZIALE 1) Gli interventi di tipo assistenziale Il legislatore non aveva mai proceduto a disciplinare una misura universale di tutela per quanti siano sprovvisti dei mezzi necessari per vivere, ma aveva concentrato pochi interventi attuati solo a beneficio di specifiche categorie come ad esempio gli invalidi civili, i non vedenti e sordomuti. Per quanti fossero affetti da queste disabilità sono state applicate così misure di carattere economico o promozionale, al fine di facilitarne il collocamento sul mercato del lavoro. Vi era una mancanza riguardante modalità di intervento generale indirizzata ad assicurare misure di sostegno a soggetti che, pur dotati di una piena capacità lavorativa, si trovassero in situazioni di bisogno momentaneo: anzi, la direzione era opposta, ossia attraverso disposizioni dirette ad incoraggiare la collocazione lavorativa di tutti i cittadini, nella logica che attraverso interventi di sostegno economico si finisce per alimentare il lavoro del mercato nero, consentendo ai soggetti assistiti, a fronte della integrazione del reddito proveniente dai sussidi pubblici, di poter accettare anche lavori remunerati con una retribuzione di importo minore rispetto a quello dovuto amente dei livelli della contrattazione collettiva. => l'Italia quindi si è trovata priva di una rete di strumenti di sostegno quanti versassero in situazioni di disagio, senza però rientrare nell'elenco delle poche categorie tutelate dalla legislazione: si tratta di situazioni di disagio materiale, quantomai differenziate di difficile definizione attraverso riferimento ad 1:00 condizione tipizzabile. Lo stato di povertà non è in quanto tale, destinatario di uno specifico intervento assistenziale, se non in merito all'iniziative caritatevoli o filantropiche dei singoli o dei gruppi oppure la tradizionale assistenza comunale, assicurata una volta attraverso le istituzioni di pubblica assistenza e beneficenza. Si deve poi rilevare come in diretto contributo ad alleviare tali situazioni di povertà venisse dalla presenza di una legislazione vincolistica in materia di abitazione, che finiva per incidere fortemente su una delle principali voci che concorrono alla consumazione del reddito proveniente da attività del lavoro. Un ruolo centrale è poi stato svolto da specifici enti pubblici che provvedevano alla costruzione di abitazioni, poi assegnate a canone a favore ai richiedenti, secondo graduatorie che tenevano conto dei carichi di famiglia e delle situazioni di disagio => si tratta di attività che rientrano nella tradizione assistenziale degli enti pubblici territoriali e che venivano un tempo finanziata attraverso uno specifico prelievo contributivo sui redditi da lavoro dipendente. Lo sviluppo delle misure universali di coesione sociale si è affermato dalle istituzioni comunitarie, nell'ambito del metodo di coordinamento aperto: tale espressione designa uno speciale sistema di consultazione periodica fra tutti gli Stati membri inteso ad innescare un processo di emulazione, diretto all'avvicinamento nel progresso delle condizioni materiali dei cittadini europei => per mezzo dell'aggiornamento dei sistemi di assistenza si mira ad assicurare a tutti lavoratori la garanzia di adeguati mezzi di sussistenza, così da costituire un buon sistema di contrasto alla the disoccupazione alla povertà. => così è intervenuta la legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali che mira ad affidare agli enti locali la materia della lotta all'emarginazione sociale; la legge ha disegnato una complessa architettura che coinvolge Stato, regioni e comuni, attribuendo all'ente comunale la principale responsabilità nell'erogazione dei servizi e dei trattamenti monetari. 85 La riforma è completata dalla identificazione di speciale indici, intesi a rivelare le reali condizioni economiche dei soggetti che intendono accedere a prestazioni assistenziali o tariffa sociale, sull'evidente presupposto che il regime di tassazione sul reddito sia in idonea a dare prova della reale situazione patrimoniale dei soggetti. Il legislatore ha previsto un sistema che risulta largamente in attuato per la scarsità dei fondi messi a disposizione per l'incapacità delle istituzioni di governare il decentramento, assicurando uniformità di tutele nell'ambito del territorio nazionale, attraverso la definizione dei livelli essenziali quanto ai servizi offerti. Il prototipo della tutela universale resta il servizio sanitario nazionale, il quale assicura cura tutti i cittadini, in forma tendenzialmente gratuita, di modo che, sul piano strettamente assistenziale, gli interventi più importanti rimangono quelle a favore dei soggetti affetti da disabilità fisica o psichica. 2) Il Servizio Sanitario nazionale In base al dettato costituzionale dell’art. 32: la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Al fine di attuare il principio, il legislatore ordinario dovuto operare in un contesto normativo difforme dalle intenzioni del legislatore costituente: l la stratificazione delle diverse leggi in materia, aveva portato ad un sistema caratterizzato dal fatto che servizi erano assicurati nei confronti dei soli lavoratori e dei loro familiari => la tutela veniva assicurata in riferimento a determinate malattie e con un carattere di intervento meramente curativo e non anche preventivo: infine, il livello delle prestazioni medico-sanitarie variava da categoria categoria, in relazione dell'ente pubblico assicuratore. In un'ottica costituzionale, si sottolinea come la tutela della salute costituisca l'obbligo dello Stato fondato su di un diritto fondamentale, che trova protezione nell'interesse della persona, conseguendone la generalità della stessa, ossia la sua estensione a tutti i cittadini (non solo ai lavoratori) => quindi, si ravvisa il carattere indifferenziato della tutela, nel senso di un livello minimo di prestazioni da garantirsi a chiunque. Sia così previsto con la legge 833 del 1978 l'istituzione del servizio sanitario nazionale (SSN), in un'ottica che abbandonava la logica assicurativa per sposare un criterio di attribuzione delle tutele di tipo universalistico: il servizio coinvolge non solo lo Stato, ma anche le regioni e si apre alla collaborazione con soggetti privati, che siano stati fatti oggetto di un'apposita procedura di accreditamento, propedeutica alla stipula di convenzioni per la fornitura di specifiche prestazioni. Il processo di trasferimento delle competenze e delle funzioni dello Stato alle regioni, è stato rafforzato dai successivi interventi di riforma legislativa, trovando consacrazione nell'articolo 117 della costituzione, in seguito alla riforma costituzionale tre del 2001, che attribuisce alla legislazione concorrente di Stato regioni la materia della tutela della salute. I soggetti protetti dal SSN sono tutti i cittadini sono sia tutti i cittadini italiani, compresi lavoratori all'estero, ma viene estesa anche agli stranieri residenti in Italia che ne facciano richiesta e a particolari condizioni, i cittadini stranieri presenti nel territorio italiano. Originariamente il servizio era alimentato dal fondo sanitario nazionale, successivamente abrogato, ora in seguito alle modifiche si è dotato di ulteriori nuovi cespiti provenienti da una quota di compartecipazione sull'Iva, una quota addizionale dell'imposta sul reddito delle persone fisiche è una quota parte dell'accisa sul costo della benzina. L'evento generatore del bisogno e la malattia, tuttavia, le prestazioni sanitarie sono erogate anche a favore di chi crede soltanto di essere malato, essendo le prestazioni diagnostiche finalizzate proprio all'accertamento di un oggettivo stato patologico. Le prestazioni di carattere economico vengono corrisposte dall'Inps e sono anticipate dal datore di lavoro, come nel caso dell'assicurazione per la malattia ordinaria. 86 Le prestazioni di carattere sanitario sono erogate per mezzo delle varie aziende sanitarie (ASL) Sparse nel territorio nazionale, o da medici e strutture convenzionate con le medesime. Le prestazioni erogate possono raggrupparsi secondo le finalità perseguite, un primo gruppo di attività finalizzato alla prevenzione, in relazione a fattori di rischio di carattere epidemiologico e ambientale, al profilarsi degli eventi morbosi, attraverso l'adozione di misure idonee a prevenire l'insorgenza; un secondo gruppo è preordinato a garantire una attività di cura attraverso prestazioni mediche di tipo generico o specialistiche, assicurate dalle aziende ospedaliere o da soggetti privati; un terzo gruppo attiene agli interventi di riabilitazione; ed un quarto gruppo all'attività medico- legale, che si concreta in un'attività di accertamento o di certificazione. 3) Tutela della disabilità: il collocamento obbligatorio Per far fronte alla situazione inconciliabile con la moderna libertà del lavoro, dal 1991 al datore rivolgendosi agli uffici di collocamento, anziché limitarsi ad indicare il numero dei lavoratori necessari (cd. richiesta numerica), a potuto dare indicazione specifica della persona iscritta nelle liste di collocamento che si intendeva assumere (cd. richiesta nominativa). È stata poi attribuita la facoltà ai datori di concludere direttamente il contratto di lavoro con i lavoratori, senza necessità di dover ottenere in via preventiva l'apposita autorizzazione o il nullaosta dagli uffici di collocamento: si tratta di una modalità di assunzione che permane oggi, accompagnata da solo obbligo di comunicazione dell'avvenuta assunzione agli organi amministrativi. Venuto meno il principio della richiesta numerica la funzione di avviamento al lavoro originariamente svolta dagli uffici di collegamento a cessato di essere una esclusiva degli appalti pubblici, in aderenza all'indicazione proveniente dal diritto comunitario ostile al monopolio pubblico in materia. L'articolo 117 della costituzione ha fatto sì che le funzioni sono state ripartite da un lato tra lo Stato e le regioni, al primo dei quali compete di dettare i principi fondamentali in materia di disciplina dei servizi per l'impiego, e dall'altro tra i suddetti soggetti pubblici e gli operatori privati (aziende per l'impiego) autorizzati a svolgere attività di collocamento iscritti in un apposito albo unico. Il contesto di liberalizzazione del mercato del lavoro ha determinato anche un sostanziale arretramento della tutela di chi presenti maggiore difficoltà di inserimento: perciò per far fronte alle discriminazioni più evidente, si è provveduto a dettare norme di promozione dei lavoratori svantaggiati, così come definiti dalla legislazione comunitaria: la disciplina per i lavoratori con handicap nella prospettiva di rendere effettivo il diritto del lavoro dei disabili prevedendo la promozione dell'inserimento e dell'integrazione lavorativa nel mondo del lavoro attraverso servizi di sostegno e di collocamento mirato. La condizione di disabile viene accertata da apposite commissioni presso le aziende sanitarie locali, integrate dalla presenza di un operatore sociale è un esperto, mentre in caso di infortunio sul lavoro o malattia professionale risulta certificata dall'Inail: i disabili intenzionati ad una occupazione conforme alle loro capacità devono iscriversi in un apposito elenco, tenuto dai centri per l'impiego, che viene ordinato su base regionale in base all'anzianità di iscrizione, la condizione economica, il carico familiare e alla difficoltà di locomozione sul territorio. L'obbligo di assunzione grava sui datori con 15 o più dipendenti, in misura differenziata a seconda delle dimensioni aziendali. 87 CAPITOLO 4: LA CONTRIBUZIONE 1) Sinallagma e retribuzione In relazione all'obbligazione di pagamento dei contributi previdenziali, il primo problema che viene in rilievo concerne le modalità di calcolo degli stessi: annualmente vengono rese note dall'Inps apposite tabelle, all'interno delle quali si espongono, a seconda del settore di attività del datore, le aliquote vigenti in varie voci, a seconda delle diverse gestioni. Nella tabella, l’aliquota viene generalmente indicata nella sua misura totale, ed in quella a carico del lavoratore; la differenza tra le due indica la percentuale che rimane in capo al datore. La questione consiste nella base di calcolo (base imponibile) alla quale applicarle: questa è data dalla retribuzione => tuttavia il suo inquadramento non è stato pacifico, in quanto la materia era disciplinata da molteplici norme diverse che variavano tra dipendenti pubblici e privati, tra gli stessi assicurati di uno dei due gruppi. In precedenza, per i dipendenti privati occorreva rifarsi al d.p.r. 797/1955 (art. 27 e 28) che specificava cosa intendersi per retribuzione imponibile ai fini degli assegni familiari, con una disposizione ritenuta applicabile ai fini contributivi presso l’Inps; e al d.p.r. 1124/1965 (art. 29) rilevante ai fini dell'assicurazione Inail: entrambe le norme procedevano secondo un modello casistico; infatti, vi erano due elenchi, ricomprendente l'indennità considerate retribuzione assoggettabile a contribuzione, e quelle non assoggettabili. Inconvenienti del sistema erano gravi per il fatto del mancato coordinamento delle norme, che imponeva che determinati voci retributive potessero considerarsi imponibile ai fini Inps e non imponibili ai fini Inail; inoltre, il datore di lavoro che, in accordo con i dipendenti, avesse voluto sottrarsi all'obbligo del versamento dei contributi, avrebbe potuto erogare parte della retribuzione a titolo di indennità non ricomprese nell'elenco delle voci assoggettabili a contribuzione. => il sistema era perciò di economico, anche quando l'Istituto assicuratore avesse avuto sentore dell'elusione, avrebbe dovuto intentare causa per ottenere il versamento dei contributi, determinando un alto tasso di litigiosità giudiziaria alimentato dall'insussistenza di univoci indirizzi giurisprudenziali in materia. La questione risentiva anche delle concezioni dottrinali in tema di retribuzione: si consideravano tali solo quelle somme che, erogate dal datore, trovavano giustificazione nella prestazione lavorativa del dipendente. Fu merito della dottrina giuslavoristica più avanzata avviare un ripensamento sul rapporto di lavoro, inquadrandolo nell'ambito di un rapporto obbligatorio complesso in cui, accanto agli obblighi primari di prestazione, si ponessero ulteriori obblighi, integrativi o strumentali o di protezione. => la conseguenza derivante da tale impostazione fu quella di rivedere il concetto di retribuzione, ricomprendendovi anche quelle prestazioni non immediatamente connessa all'attività lavorativa del dipendente, ma conseguenti per esempio periodi di ferie, malattia svolgimento di funzioni pubbliche elettive o sindacali. 2) La retribuzione imponibile Al fine di rendere certo cosa dovesse intendersi per retribuzioni evitando al tempo stesso facili elusioni, il legislatore intervenne con l’art. 12 L. 153/1969 stabilendo il concetto di retribuzione in generale: il comma 2 stabiliva che si considera retribuzione e tutto ciò che lavoratore riceve dal datore di lavoro in denaro o in natura… in dipendenza del rapporto di lavoro. => tali disposizione enuclea il principio di onnicomprensione della retribuzione, proiettandosi anche alle attribuzioni patrimoniali in natura, di cui il lavoratore si giova in dipendenza del rapporto di lavoro. => nozione molto ampia che richiama le prestazioni in natura, richiede poi l'applicazione di criteri analitici, al fine di precisare quale valore si debba attribuire agli elementi corrisposti, sia 90 distinguere gli incrementi della sfera patrimoniale del lavoratore da quelle somme e quelle prestazioni che presentano il carattere di un mero rimborso delle spese affrontate per conto dell'impresa al fine della esecuzione della prestazione richiesta. Non mancano poi norme dirette a prevedere esoneri su aspetti specifici, al fine di favorire l'incremento di produttività del lavoro e la contrattazione collettiva aziendale. Innanzitutto, il primo problema concerneva lo stabilire se i contributi dovessero calcolarsi sulla somma effettivamente corrisposta al lavoratore oppure su quella dovutagli per legge o per contratto collettivo => in tal senso, ex L. 389/1989 non rileva la retribuzione in concreto pagata, ma quella dovuta in forza dei contratti collettivi sottoscritti dai sindacati: si tratta di una misura rivolta ad ampliare il campo di applicazione del contratto collettivo di diritto comune, a fronte della mancata attuazione dell’art. 39 Cost., posto che risulta poco pratico per il datore versare la contribuzione sui minimi sindacali e corrispondere ai lavoratori una retribuzione inferiore a questi. Nonostante la disposizione poi si riferisca ad un dato effettivo anziché a un diritto, la costante giurisprudenza di legittimità ha stabilito che alla base del calcolo dei contributi previdenziali deve essere posta la retribuzione dovuta per legge o per contratto individuale o collettivo e non quella di fatto corrisposta, in quanto l'espressione utilizzata dall'articolo 12 per indicare la retribuzione imponibile va intesa nel senso di tutto ciò che ha diritto di recedere: appare pacifico che i contributi vadano versati anche in assenza di un effettivo pagamento al lavoratore. => in virtù dell'ampiezza del criterio adottato dalla norma si è posta fin da subito la questione dell'imponibilità ai fini contributivi di importi che hanno natura risarcitoria o che mirano a tenere indenne il lavoratore da alcune spese che abbia affrontato nell'interesse del datore e al solo fine di eseguire correttamente la propria prestazione. L'articolo 12 conteneva al proprio interno un elenco tassativo di voci che dovevano escludersi dal concetto di retribuzione ai fini previdenziali (esempio: rimborsi a piedi lista) => ipotesi di somme rimborsate per spese di viaggio, vitto alloggio regolarmente fatturate giustificate da motivi di lavoro. Anche l'indennità di cassa ricompresa nel settore del credito, corrisposta al lavoratore che abbia maneggio di denaro del datore e sia nei suoi confronti personalmente responsabile di eventuali ammacchi, nel senso che debba rispondere per la liquidità indicata nelle scritture contabili o della presenza di banconote false. => si tratta di ipotesi di non facile soluzione sulla base delle regole generali, tanto che la norma del mio 969 appariva animata da spirito pratico e da un animo equitativo => il legislatore, con disposizioni di legge, a stabilito che tali erogazioni azioni imponibili limitatamente al 50% del loro ammontare. Il concetto di retribuzione imponibile era previsto, in origine, in riferimento a regime previdenziale dei lavoratori subordinati presso l'Inps: in seguito, con la legge del 1995 si è generalizzato il medesimo concetto di retribuzione dell'articolo 12, estendendo la portata anche ai dipendenti dello Stato e degli enti locali, al personale assicurato presso autonomi gestioni, anch'essi presso l’Inps. L'articolo due della legge del 95 ha sancito l'esclusione di un ulteriore serie di voci della nozione di retribuzione imponibile. La modifica normativa più importante della definizione di retribuzione ai fini previdenziali sia registrata nella cosiddetta riforma Visco, che a novellato l'articolo 12 al fine di consentire un'armonizzazione tra normativa fiscale e previdenziale => perciò nel testo attualmente vigente si prevede che costituiscono redditi di lavoro dipendente ai fini contributivi quelli derivanti ai fini dell'imposta sui redditi; in base a tale disposizione, sono redditi di lavoro dipendente quelli che 91 derivano da rapporti aventi per oggetto la prestazione di lavoro, con qualsiasi qualifica, alle dipendenze e sotto la direzione altrui e maturati nel periodo di riferimento. Il comma 2 dell’art. 12 stabilisce che per il calcolo dei contributi di previdenza assistenza sociale si applicano le disposizioni dell'articolo 51 TUIR, secondo cui costituiscono reddito da lavoro tutte le somme e valori in genere, quantunque titolo percepiti nel periodo d'imposta, anche sottoforma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro: tali somme, nel comma 3, devono intendersi al lordo di qualsiasi contributo e trattenuta, salvo quanto specificato nei successivi commi => infatti, il comma 2 art. 51 contiene un dettagliato elenco delle voci escluse dal calcolo del reddito ai fini fiscali. Si tratta di disposizioni che prendono in considerazione trattamenti collegati a specifiche caratteristiche della prestazione. Il criterio adottato dal legislatore non risulta però del tutto chiaro, infatti si discute del significato del rinvio a tale ultime disposizioni: secondo una prima tesi è stato sostenuto che la nozione di retribuzione utile ai fini contributivi si ricava solo dall'articolo 51, integralmente considerato; mentre, secondo un altro indirizzo si ritiene che la definizione di retribuzione ai fini contributivi sia ricavabile dall'articolo 49 del testo unico, mentre l'articolo 51 avrebbe solo fini di determinazione delle voci da escludere dall'imposizione fiscale. => nonostante ciò, il comma 4 dell’art. 12 individua specifiche e tassative ipotesi nelle quali pur a fronte di un in punibilità fiscale, non sorge l'obbligo del versamento dei contributi. - Somme corrisposte a titolo di TFR; - Somme corrisposte in occasione di cessazione del rapporto di lavoro al fine di incentivare l'esodo dei lavoratori; - Proventi e indennità conseguite a titolo di risarcimento danni; - Somme provenienti da gestioni e fondi previdenziali obbligatori, polizza assicurative, compensi erogati per conto terzi non aventi attinenza con la prestazione lavorativa; - Somma a carico del datore di lavoro destinata al finanziamento della previdenza complementare. Relazione tra contribuzione collettiva e base imponibile: la base imponibile è rappresentata dalla retribuzione, definita dalla contrattazione collettiva, o dal contratto individuale di lavoro, ove più favorevole a mente del principio del favor di cui all’art. 2077 c.c. Bisogna verificare se la contrattazione collettiva possa intervenire sulla struttura della retribuzione, nel senso di contemplare voci sottratte alla contribuzione previdenziale, in senso uguale a quanto avviene per il TFR in ordine al quale si contempla la possibilità che l'autonomia collettiva sottragga alcune voci retributive sulla base del calcolo. In passato vi era l'esclusione della base imponibile per le erogazioni previste dai contratti collettivi, delle quali fossero incerte le corresponsione, in quanto correlate dal contratto medesimo alla misurazione di incrementi di produttività, qualità e altri elementi di competitività assunti come indicatori dell'andamento economico dell'impresa e dei suoi risultati. => la norma è stata abrogata e il beneficio è stato riformulato nel senso di stabilire un regime di esenzione non più generale e mirato alla promozione della qualità del lavoro prestato, ma nel senso di prevedere a posteriori e su domanda delle singole imprese, una riduzione dell'aliquota fiscale per le ipotesi di prestazioni di lavoro straordinario rese da lavoratori a basso reddito => ritenute dall’INPS spesso irrilevanti. L’art. 3 L. 402/1996 ha sancito che la retribuzione dovuta in base ad accordi collettivi di qualunque livello non può essere individuata in difformità dell'obbligazioni, modalità e tempi di adempimento come definiti negli accordi stessi, e che conservano pieno e valore anche ai fini previdenziali e le clausole che limitano l'incidenza degli emolumenti diretti su quelli indiretti => per garantire la corretta applicazione della disposizione, si prevede che i contratti e gli accordi collettivi o le 92 percentuale, con la possibilità di eventuali ulteriori differenziazioni a seconda che si tratti di contributi versati per i lavoratori o per le lavoratrici. Altre norme preferiscono riconoscere un vantaggio a certe condizioni tramite il versamento di somme inferiori a quelle dovute a titolo di obbligo contributivo. La distinzione tra fiscalizzazione e sgravi contributivi non è agevole => parte della dottrina suggerisce il carattere contingente o meno dell'intervento dello Stato, la circostanza che il credito riconosciuto al datore di lavoro sia determinato in misura fissa o percentuale, all'area di intervento circoscritto a determinate zone oppure all'intero territorio nazionale, ritenendo trattasi di sgravi nel primo caso mentre di fiscalizzazione nel secondo. Gli sgravi contributivi possono essere subordinati a diverse circostanze: aumento dei lavoratori dipendenti occupati, localizzazione dell'impresa in determinate aree; altre norme sono dirette a promuovere l'assunzione di lavoratori svantaggiati o la diffusione di elementi retributivi di produttività: gli interventi legislativi in materia peccano di eccessiva frammentarietà, impedendo di cogliere dei principi unitari i fini dell'applicazione della normativa stessa. Sussisteva poi un dubbio di costituzionalità ove la legge richiedeva che l'impresa, ai fini della concessione del beneficio, adesso integrale applicazione a favore dei propri dipendenti dei contratti collettivi nazionali di categoria: in tal caso, sembrava venire in questione è la lesione del diritto di non associarsi liberamente alle associazioni sindacali, tramite un'indiretta equazione della divisione stessa. Per questo motivo, successivi interventi subordinavano il beneficio al fatto che siano assicurati dipendenti trattamenti economici non inferiore ai minimi previsti dai contratti collettivi: si tratta della clausola sociale. La fruizione dei benefici contributivi pone dei problemi a riferimento ai principi del diritto comunitario, posto che gli interventi in esame possono risolversi in illegittimi aiuti alle imprese, così da falsare la libera concorrenza all'interno dell'area comunitaria: in tal senso, la CGUE ritenuto che contrastassero con il principio comunitario gli sgravi degli oneri fiscali previsti per i giovani lavoratori assunti con il contratto di formazione e lavoro. Nell'ambito delle finalità correlata la fiscalizzazione degli oneri sociali, è inoltre possibile inquadrare il fenomeno comune in passato delle dichiarazioni di emersione da parte del datore desiderosa di regolare le posizioni contributive dei suoi dipendenti. 6) Minimale e massimale Gli istituti del minimale del massimale vengono in rilievo sia sotto l'aspetto contributivo che sotto l'aspetto delle prestazioni: Dal punto di vista contributivo, il minimale l'importo più basso su cui vengono calcolati i contributi, qualora la retribuzione venga corrisposta in misura inferiore: la ragione dell'istituto corrisponde all'esigenza attuariale e sociale di attivare gli istituti previdenziali solo a fronte di attività che si presentino come continuative dotate di una minima consistenza economica => la L. 389/1989 all’art. 1 dispone che la retribuzione sulla quale calcolare i contributi non può comunque essere inferiore a quella prevista ai contratti collettivi nazionali: la regola subisce delle eccezioni nel caso di contratto di somministrazione, i cui contributi previdenziali sono versati per il loro effettivo ammontare in deroga la vigente normativa in materia di minimale contributivo in relazione all'indennità di disponibilità spettante per il lavoro intermittente. Sempre in ambito contributivo, il massimale consiste nella cifra massima su cui vengono calcolati i contributi: in origine, per i contributi Inps non esisteva un massimale, quindi qualsiasi fosse l'ammontare della retribuzione, sulla stessa occorreva calcolare i contributi; di seguito l'istituto il massimale sulle contribuzioni è stato introdotto dall'articolo due della legge del 95, al fine di 95 limitare il prelievo contributivo individuale; lo stesso vale solo per quanti prendono per la prima volta iscrizione all'assicurazione sociale successivamente alla data di entrata in vigore della legge, oppure per coloro che optano per il calcolo della pensione di vecchiaia unificata con il nuovo sistema contributivo. In precedenza, poiché per l'Inps esisteva un massimale per le prestazioni pensionistiche, ossia una somma oltre la quale ai fini del calcolo delle prestazioni pensionistiche non venivano prese in considerazione eventuali eccedenze, poteva verificarsi il caso di un datore di lavoro che pagasse i contributi sulle retribuzioni di importo superiore a fronte di prestazioni calcolate non oltre il massimale suddetto: la corte costituzionale giudica la questione infondata, poiché ritenne che il calcolo della pensione non rispondesse a logiche di tipo assicurativo e che al contrario l'obbligo contributivo l'erogazione delle prestazioni hanno finalità diverse, di solidarietà e di sostegno del reddito al fine della liberazione dal bisogno: così il nesso di corrispettivi ta tra i due momenti, esistente in passato, deve ritenersi venuto meno. Dal punto di vista delle prestazioni, esiste un trattamento minimo mensile di pensione a carico del fondo pensioni lavoratori dipendenti, il cui importo rappresenta, prima del reddito di cittadinanza, l'importo che legislatore ritiene individua il minimo necessario alla sopravvivenza e costituiva un tempo oggetto di specifica garanzia volta alla integrazione dei trattamenti pensionistici dei più basso importo: dopo la riforma del 95, esso rappresenta invece la base necessaria ai fini della liquidazione della pensione anticipata, di modo che se il singolo non raggiunge tale livello, dovrà attendere il raggiungimento dell'età della pensione di vecchiaia per potersi ritirare dal lavoro. 7) Contribuzione effettiva, volontaria e figurativa In mancanza di retribuzione, che si verifica quando l'assicurato sia senza lavoro, questo può fare domanda per il versamento dei contributi volontari, interamente a proprio carico, utili ai fini del conseguimento del diritto a pensione oppure per incrementare l'ammontare della stessa, ed in generale per l'ottenimento di quelle prestazioni previdenziali che richiedono come requisito un certo ammontare di contributi, eventualmente in prossimità di tempo rispetto alla data di maturazione del diritto. Alla contribuzione volontaria possono essere ammessi coloro che vantano almeno tre anni di contribuzione effettiva nei cinque precedenti la domanda, oppure cinque anni di contribuzione effettiva in qualunque epoca avvenuta; in negativo occorre che il richiedente non sia già coperto da contribuzione obbligatoria, in quanto lavoratore subordinato assicurato presso l'Inps o altre forme di previdenza, libero professionista tenuto al versamento dei contributi presso le forme di previdenza del relativo ordine. La contribuzione volontaria viene effettuata tramite versamenti trimestrali su appositi conti correnti postali intestati all'Inps, restando articolata su base mensile. Le aliquote contributive si applicano su di un importo determinato dall'istituto, che provvede ad inquadrare il richiedente in una delle classi di reddito prevista appositamente. Diversamente, i contributi figurativi sono ipotesi tassative di suscettibili di applicazione analogica, considerati come utili ai fini della maturazione e dell'ammontare della prestazione pensionistica, il loro onere economico ricade sullo stesso istituto previdenziale oppure su appositi fondi pubblici, trovando giustificazione sostanziale riferimento a periodi nei quali l'assicurato non ha potuto lavorare per cause indipendenti dalla sua volontà. Sono riconosciuti a richiesta dell'interessato, in corrispondenza di determinati periodi, come: il servizio militare, di leva e volontariato; i periodi di persecuzione politica razziale; periodi di assenza per malattia infortunio sul lavoro; periodi di assenza obbligatoria e facoltativa. 96 Uno speciale regime vige per i periodi di aspettativa del lavoratore è chiamato a ricoprire cariche pubbliche elettive o cariche sindacali provinciali e nazionali, sembra che non vi sia mantenimento della retribuzione e quindi della contribuzione, da parte del datore. 8) Riscatto e ricongiunzione Per la maturazione del diritto alla pensione dell'incremento dell'ammontare della stessa, l'assicurato può richiedere il versamento a suo carico di contributi effettivi relazione determinati periodi di tempo nel corso dei quali non ha svolto attività lavorativa: è possibile riscattare presso l'Inps e gli anni del corso legale di laurea, gli anni di lavoro subordinato svolto all’estero ed altre ipotesi tassativamente previste. La materia è stata innovata dal D.lgs. 184/1997 e dalla L. 247/2007 => si tratta di disposizioni che si collocano nell'ambito del sistema contributivo, di modo che l'incremento di anzianità complessiva giova l'assicurato soprattutto ai fini della misura del montante dei contributi, mentre non appare utile ad assicurare un'uscita anzitempo: si tratta di una misura spesso costosa, poiché commisurata alla retribuzione in essere al momento della domanda, mentre evidente nell'effetto depressivo della retribuzione, quando venga richiesta immediatamente dopo l'assunzione in ruolo. Non a caso molti abbiano rinunciato negli ultimi due decenni a procedere al riscatto degli anni di laurea di modo che il D.L. 4/2019 a previsto il diritto ad operare un nuovo tipo di riscatto, stabilendo a riguardo un costo forfettario molto contenuto e comunque rateizzabili: tale facoltà era però riservata solo a beneficio dei lavoratori con meno di 45 anni, limite venuto meno al momento della conversione in legge. La frammentazione dell'attività lavorativa richiede peraltro strumenti diretti a consentire il sommarsi dei vari periodi di contribuzione che possono registrarsi presso gestioni separate. La ricongiunzione, disciplinata ora dalla L. 29/1979, è l’istituto volto a porre rimedio al verificarsi di situazioni in cui lavoratore che, avendo svolto diverse attività restando conseguentemente assicurato presso diversi istituti previdenziali, non potesse vantare il minimo contributivo necessario al fine di sorgere del diritto alle prestazioni previdenziali presso nessuno di essi: i primi tre commi dell'articolo uno prevede una favore del lavoratore dipendente la possibilità su domanda di ricongiungere presso l'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e superstiti dei lavoratori gestita dall'Inps i contributi. La ricongiunzione avviene ai fini del diritto e della misura di un'unica pensione. => fino al 2010 l'opzione era gratuito al fine di favorire la modalità, ma successivamente è il legislatore ha stabilito che alle ricongiunzioni si applicano le disposizioni dell'articolo due, ponendo a carico dei richiedenti l'onere di sostenere i costi economici dell'operazione, sulla base della misura stabilita dal D. lgs. 184/1997 => ci si è avviati verso la totalizzazione fra i diversi periodi, con applicazione però di un regime assai sfavorevole per i lavoratori. 9) La totalizzazione e il cumulo contributivo La ricongiunzione consente di ricostituire un'unica posizione assicurativa tramite il trasferimento dei contributi da una gestione un'altra: lo spostamento si verifica presso l'ente che eroga il trattamento più vantaggioso così che sono posti dei requisiti e degli oneri finanziari a compensare il trattamento più favorevole è determinato dalla ricongiunzione presso la singola gestione. La Corte costituzionale, per ovviare ai limiti della ricongiunzione ha sollecitato legislatore a provvedere affinché l'assicurato che non sia in grado di operare la ricongiunzione a causa della sua eccessiva onerosità possa comunque avvalersi dei periodi contributivi ovunque maturati. Viene in rilievo il diverso istituto della totalizzazione: che risponde anche ad esigenze di politica sociale legata all'accresciuta flessibilità dei rapporti di lavoro, in quanto consente al lavoratore di 97