Scarica Riassunto libro “ Storia di Roma tra diritto e potere” edizione 2021 e più Dispense in PDF di Diritto Romano solo su Docsity! DIRITTO ROMANO Capitolo 1 —> LA GENESI DI UNA NUOVA COMUNITÀ POLITICA Nell’ ultimo millennio a. C. (Dal 1000 al 1 a.c.) il Lazio era occupato da molteplici insediamenti umani che, in breve tempo avrebbero dato origine a Roma e alle altre città del latium vetus (il Lazio antico). Queste antiche comunità risultavano alquanto isolate a causa della conformazione geologica del territorio nazional, caratterizzato da vasti acquitrini, avvallamenti e aree boschive. Dal punto di vista economico possiamo distinguere diversi settori che contribuirono allo sviluppo di queste antiche comunità: 1. Il settore maggiormente sviluppato era l’allevamento: oltre alla pecora fortemente allevato era il maiale (animale capace di sopravvivere nutrendosi dei prodotti dei prodotti dei boschi, senza la necessità di particolari cure da parte degli allevatori. 2. L’agricoltura, anche se primitiva, era praticata con successo. Dato il clima umido che caratterizzava il Lazio il prodotto prediletto dai romani era il farro (un cereale molto resistente anche se povero dal punto di vista nutrizionale ). Anche gli alberi da frutto venivano sfruttati dalle comunità del Lazio antico, in particolare il fico e l’ulivo. 3. Infine non bisogna dimenticare l’importanza che il commercio rivestiva per queste comunità.La circolazione delle merci e delle persone avveniva attraverso una serie di rotte commerciali coperte per terra o per mare. Quando si pensa alle comunità del Lazio antico, non bisogna immaginare delle realtà simili alle poleis greche o alle città costruite successivamente alla fondazione di Roma. Il Latium vetus era infatti caratterizzato dalla presenza di numerosi villaggi costituiti da poche capanne. Il fattore su cui si fondava l’unione di queste comunità era la presenza di legami familiari o pseuoparentali, ancorati alla memoria di una discendenza comune. Anche i vincoli religiosi contribuivano a unire queste antiche comunità: un esempio eclatante è rappresentato dai popoli albenses, un insieme di villaggi collocati nel cuore dei castelli romani, accomunati da un culto religioso (iupiter latiaris). In queste comunità primitive la funzione di guida del gruppo era connessa con l’età e con le competenze militari. È possibile distinguere 2 figure, in cui si concentravano tutte le funzioni direttive e organizzative: 1. I patres—> erano gli anziani della comunità, dotati della saggezza necessaria ad organizzare guidare la collettività. Oltre a alle funzioni amministrative avevano funzioni religiose che gli conferivano grande prestigio all'interno della comunità. 2. L’assemblea degli uomini in arme—> I guerrieri più valorosi e capaci esercitavano una forte influenza sulle scelte della collettività. In tempo di guerra è probabile che loro poteri erano più forti rispetto a quelli dei Patres. Questi piccoli insediamenti, viste anche le dimensioni modeste del luogo, erano caratterizzati da un fitto sistema di relazioni: usavano la stessa lingua, celebravano alcuni culti insieme e condividevano interessi di carattere economico (controllo degli scambi commerciali, spartizione di pascoli e terre agricole). A partire dall’8 secolo a.C. nelle comunità del Lazio marca hai così registrano una serie di cambiamenti che in breve tempo porteranno alla fondazione di Roma. Tali cambiamenti furono: 1. Un notevole aumento della popolazione—>reso possibile dallo sviluppo dell'agricoltura che, a parità di terreno, riesce a sostenere un maggior numero di individui rispetto all’allevamento. 2. Un importante sviluppo tecnologico—> la produzione domestica dei manufatti viene sostituita da una produzione specializzata, in cui gli artigiani concentrarono la loro attenzione sui beni da produrre e non dovendo più partecipare attivamente alle attività agricole o pastorali. Ciò rafforzò lo scambio fra i prodotti agropastorali e quelli artigianali. 3. L'affermazione di una aristocrazia dominante che aveva accumulato ricchezze attraverso la guerra. Attorno ai guerrieri e i gruppi familiari più forti si concentrarono un numero crescente di seguaci, che portò ad una stratificazione sociale di queste antiche comunità. Il mutamento economico sociale ha portato ben presto a un'evoluzione delle antiche comunità laziali che assunsero gradualmente le caratteristiche di vere e proprie città. 1 Si giunse alla presenza di fenomeni di sinecismo dei villaggi sul Palatino(è un termine che indica la formazione di città dall'unificazione di diversi insediamenti). Questo colle, che dopo molti secoli diverrà la residenza degli imperatori di Roma, fu il nucleo originario della città eterna. Non è un caso che i romani credessero che il Palatino fosse il luogo in cui la lupa allevo Romolo e Remo. L'importanza del Palatino era strategica: dalla sommità di questi colli era infatti possibile controllare uno dei pochissimi punti di attraversamento del Tevere. Tradizionalmente la fondazione di Roma si fa risalire al 21 aprile del 753 a.C. data che viene tramandata da Varrone, colto romano c vissuto alla fine della Repubblica. A prescindere dall'esattezza di questa data, che suscita diverse perplessità fra gli archeologi e gli storici, nella seconda metà dell’8 secolo a.C. un vento di cambiamento investì i villaggi del Latium, spingendoli ad abbandonare le loro caratteristiche antiche per evolversi verso uno schema urbano. La leggenda di Romolo che traccia i confini della città, simboleggia tutti i cambiamenti che si realizzarono con l'abbandono delle strutture tipiche degli antichi villaggi. Una volta confermato il re dal consenso degli dei e dei concittadini, il fondatore definisce la forma sociale e istituzionale della città. Per quanto riguarda la forma sociale va a distinguere i suoi seguaci in Patrizi e plebei. Per quanto riguarda la forma politica distibuisce il popolo nelle in 3 tribù: 1. Romnes 2. Tities 3. Luceres Ciascuna di queste era divisa in 10 curie, suddivise a loro volta in 10 decurie. Ci troviamo quindi di fronte a un sistema piramidale di distribuzione della popolazione costituito da 300 decurie, 30 curie e 3 tribù. Questa era una distribuzione finalizzata alla guerra poichè ciascuna curia avrebbe dovuto fornire alla città 100 uomini armati e 10 cavalieri, dando così luogo a una legione di 3000 fanti e 300 cavalieri. Le antiche comunità del Latium vetus erano connesse attraverso legami familiari o pseudoparentali. Questi legami non vennero meno con l'avvento della città ma anzi costituirono la base su cui nacque il sistema delle gentes. Durante tutta la storia di Roma sono 2 le strutture centrali su cui si è fondata la convivenza delle popolazioni riunite all'interno di questa città: 1. La familia—> I romani distinguevano due tipologie di familia: • La familia proprio iure: essa è costituita dalla coppia di sposi con i loro diretti discendenti, in altre parole gli individui che abitano all'interno della stessa casa. Nella familia proprio iure convivevano, sotto la potestas del pater la moglie, i figli, le figlie non sposate e i successivi discendenti per linea maschile con le loro eventuali mogli. • La familia agnatizia : essa comprendeva tutti i parenti per linea maschile fino al sesto o settimo grado. 2. La gens —> costituisce un'aggregazione di famiglie che portano lo stesso nome. Secondo Cicerone: “i gentili sono coloro che portano lo stesso nome, che discendono da ingenui (cioè cittadini nati liberi) e che nei loro antenati abbiano solamente ingenui che non hanno subito nessuna capitis deminuti“. Per capitis deminuti si vuole intendere qualsiasi situazione di degradazione legale: perdita della libertà, della cittadinanza, ma anche il carattere illegittimo della nascita. L'appartenenza al gruppo gentilizio era immediatamente indicata dal nomen che insieme al prenomen, anch’esso scelto per il nuovo nato all'interno di un gruppo di nomi tipici di quella gente, era l'attributo di ciascun cittadino. Solo in seguito si aggiunse anche un cognomen per distinguere i singoli individui e i lignaggi, realizzandosi cosi l'onomastica tipica dei romani della tria nomina: - pronome personale - nome gentilizio - cognome del lignaggio - il prenomen: era il nome personale, quello attribuito ai bambini alla nascita e con il quale si presuppone che venissero chiamati in famiglia. - Il nomen: era quello della gens. Le gentes romane iniziali erano abbastanza, tra di esse sicuramente la gens Iulia, gens Cornelia, gens, Claudia, gens Cassia, gens Sempronia.. 2 tradizioni romane , vegliavano sul buon andamento della famiglia, della proprietà o delle attività in generale). Questi culti sono di competenza del pater familias. • Accanto ai culti familiari, troviamo i culti delle gentes e infine i culti della città . Ai culti arcaici cominciarono ad unirsi questi nuovi culti che piano piano presero il sopravvento. Chiara manifestazione di questa trasformazione religiosa fu la sostituzione delle 3 supreme divinità arcaiche (Giove, Marte e Quirino) con quelle della triade capitolina (composta da Giove, Giunone e Minerva). Da queste premesse è possibile esaminare i vari collegi religiosi che influenzavano la vita della città: • Il collegio delle vestali—> composto da sacerdotesse in cui il compito era la custodia delo fuoco sacro, simbolo della città di Roma, che non doveva mai essere spento. • Il collegio dei feziali —> il cui compito era di legittimare le relazioni internazionali fra Roma e gli altri popoli. Solamente attraverso i feziali era possibile dichiarare una guerra giusta e successivamente alla sua conclusione, stabilire le condizioni per la pace. Quanto detto fin ora non deve indurre a pensare che fossero i feziali a stipulare la pace, al contrario essi dovevano solamente garantire che gli atti internazionali venissero conclusi secondo le forme previste dai mores (norme consuetudinarie). • Il collegio degli auguri—> gli auguri erano dei sacerdoti il cui compito era quello di ricorrere agli dei per chiederne l’intervento. I romani usavano distinguere gli auguria dagli auspicia. - Gli auspicia: erano formulati dal Rex e dai magistrati che lo coadiuvavano nelle sue funzioni. Al momento di compiere un atto, in particolare se dotato di una certa importanza, il Rex o i suoi magistrati verificavano che non vi fossero auspici sfavorevoli (segno di una divinità che non voleva che l’atto fosse compiuto quel giorno). L’atteggiamento ostile della divinità, attestato dalla lettura degli auspici, non impediva pero che lo stesso atto fosse portato a termine nei giorni successivi. Si capisce che gli auspici erano connessi a situazioni specifiche e immediate. - L’augurium: può riguardare qualunque situazione, anche molto lontana nel tempo, rispetto alla quale si chiede l’aiuto della divinità. Con l’augurium il sacerdote non va semplicemente a ricercare una manifestazione della volontà divina: il suo scopo è quello di richiedere un intervento attivo degli dei. • Il collegio dei PONTEFICI —> esso ebbe un ruolo fondamentale nello sviluppo del diritto. Il collegio era presieduto dal pontifex maximus (ruolo di grade prestigio) e da 5 membri, tra cui i flamines maggiori, destinati a restare in carica tutta la vita come il pontifex Maximus. Il pontefice massimo aveva il controllo su tutte le forme della vita religiosa romana, inoltre aveva anche una funzione di consulenza nei confronti del rex. Soprattutto grazie a questa sua funzione di consulenza garantiva la pacifica convivenza tra i singoli cittadini e i vari gruppi familiari, portando alla repressione criminale. Inoltre i pontefici registravano e trasmettevano oralmente il diritto. Compito fondamentale di questo collegio era la conservazione e l’interpretazione delle leges regiae, cioè le leggi elaborate dal Rex la cui fonte primaria erano i mores (le norme consuetudinarie) di cui facevano parte anche le regole vigenti prima della fondazione di Roma. A conclusione di questo discorso intorno ai collegi religiosi presenti a Roma , occorre notare che solamente pochissimi ruoli presupponevano una totale consacrazione alla divinità. Tutti gli altri compiti non impedivano al sacerdote di continuare i suoi precedenti affari come normale cittadino. Si tratta di un elemento molto importante che permette di distinguere l’ordinamento romano, che potremmo definire in un certo senso laico, rispetto alle altre società orientali. Dopo aver completato l’analisi degli organismi che componevano la città di Roma al tempo dei Rex, una domanda sorge spontanea: in quel’ epoca esisteva gia un corpo normativo, che secondo i nostri canoni, potremmo chiamare diritto? La risposta è che in origine lo ius (il diritto)risultava confuso e mescolato insieme con il fas (il costume), con le credenze religiose, con le pratiche magiche e con i culti delle gentes. Secondo gli storici le prime norme giuridiche è probabile che si formarono proprio grazie alle gentes, o meglio grazie alla diffusione di tradizioni e comportamenti che fino a quel momento erano rimasti circoscritti alle singole gens. Le credenze religiose, le pratiche sepolcrali, i sistemi 5 matrimoniali delle diverse gentes contribuirono alla formazione della religione romana e di una forma di diritto. A differenza dei tempi moderni, in cui il diritto è creato dal legislatore, per i romani lo ius preesisteva al legislatore che interveniva solo per modificare o innovarlo. Fondamento dello ius erano infatti i mores: le consuetudini radicate nella cultura romana su cui si basava l’organizzazione della città. Il rex poteva intervenire per limitare il ruolo del pater familias nella repressione domestica, vietarne determinati eccessi ma non poteva svuotarlo completamente delle sue prerogative, dal momento che le organizzazioni familiari erano il punto fondamentale su cui si basava la vita della città. Le strutture fondamentali dell’ ordinamento romano risultavano dunque poggiate sui mores e solo in minima parte sulle singole leges adottate dal rex. ——————————————————————————————————————————— Capitolo 3—> I RE ETRUSCHI Nel 6 secolo a. c. Roma subisce una profonda trasformazione politica e istituzionale. Questo venti di cambiamento arriva con l’avvento al potere di una serie di re di origine etrusca: - Tarquinio Prisco - Servio Tullio - Tarquinio il superbo Secondo gli storici il mutamento politico istituzionale di questi anni è reso possibile dalla crescita sociale ed economica di Roma i cui si registra: • Un rafforzamento della struttura urbana • Un espansione delle attività artigianali e mercantili: superando l’economia arcaica fondata sull’ agricoltura e sull’ allevamento • Un notevole incremento delle grandi opere pubbliche • Una radicale trasformazione sociale : il grande sviluppo della città eterna andò a scontrarsi con la logica chiusa delle curie. La nuova economia permise a singole famiglie di arricchirsi, spingendole a staccarsi dalle gentes a cui appartenevano. Accanto a queste famiglie aristocratiche, che attraverso il distacco dalla loro gens d’origine cercavano di rafforzare la loro ricchezza, andarono moltiplicandosi gli artigiani, custodi di un sapere tecnico che veniva tramandato di padre in figlio e che in nessun modo voleva essere condiviso con lontani parenti. Questa situazione rafforzò la divisione della popolazione in 2 categorie: 1. Gli aristocratici —> raggruppati all'interno delle gentes 2. Il popolo—> tenuto insieme dai legami della famiglia “ristretta” In questo dualismo gli storici vedono i primi segni di quella distinzione tra patrizi e plebei, che andò affermandosi a partire dall'epoca repubblicana. Questo è dunque lo scenario in cui si realizza l'avvento della monarchia etrusca. Caratteristica comune ai tre re etruschi è la loro ascesa il regnum in forme definite dagli storici "difettose": senza la tradizionale inauguratio, la fase dell'interregnum (con ritorno del potere al Senato), senza la presentazione del re davanti ai comizi curiati. Secondo le fonti i tre re etruschi salirono al trono con la violenza. Il loro regno fu caratterizzato da una forte connotazione militare, compensata tuttavia da un diretto appoggio del popolo. Gli storici usano paragonare i re etruschi ai tiranni greci (primo fra tutti i Pisistrato). I etruschi spazzarono spazzarono via l'ordinamento precedente fondato sulle curie portando all'affermazione di uno nuovo ordine che esaltava la ricchezza individuale. Tarquinio Prisco avviò 2 riforme: 1. l’ampliamento del Senato: che sotto il suo regno passò da 200 a 300 membri. Lo scopo di questa riforma era creare un gruppo di senatori fedeli al re, le cui fortune erano strettamente connesse con le sorti del sovrano. 2. l'allargamento della cavalleria: lo scopo fu del tutto simile a quello perseguito con l'aumento del numero di senatori. Il sovrano, cosciente del potere detenuto dalle antiche gentes, volle inserire al vertice dell'esercito gruppi a lui fedeli che si sarebbero contrapposti alla vecchia aristocrazia gentilizia. Se le riforme introdotte da Tarquinio Prisco furono importanti, quelle di Servio Tullio portarono a un radicale cambiamento nell'organizzazione dell'esercito romano. Il sovrano etrusco, infatti, ruppe definitivamente con il passato, sostituendo l'ordinamento curiate con l'ordinamento 6 centuriato. La primitiva legione curiata, composta dai soldati inviati alle curie e armati solamente con armi da offesa (spada, asce ecc..) venne sostituita dallo schieramento oblitico: un contingente composto da guerrieri dotati sia di armi offensive che difensive (corazze, scuri…). Questa evoluzione della composizione dell'esercito di Roma, fu resa possibile dagli sviluppi tecnologici di quel periodo (in particolare dall'aumentata produzione metallica) e dalla presenza di un maggior numero di individui dotati della ricchezza necessaria all'acquisto di questi armamenti. L'introduzione dello schieramento oplitico avvenne contestualmente ad una nuova divisione dei cittadini, non più in base alla discendenza ma in base alla ricchezza. Con Serivio Tullio venne introdotta a Roma la prima forma di timocrazia (termine che deriva dal greco e significa potere della ricchezza). Questo è il sistema di suddivisione sociale voluto da Servio Tullio: tutti i cittadini vennero distribuiti in 5 classi (centurie) sulla base dei diversi livelli di ricchezza della cittadinanza. In totale si contarono 193 centurie. Inizialmente la distribuzione dei cittadini per classe era basata sul calcolo della ricchezza fondiaria, mentre in seguito si fece riferimento alla moneta romana: l’asse. • la prima classe era composta da coloro che avevano un capitale di 100.000 assi (o 120.000 assi). Essa forniva all'esercito, oltre alle centurie di cavalieri, che ammontavano a 18, ben 40 centurie di juniores , cittadini tra i 18 e 46 anni di età che costituivano il vero corpo combattente della città, e 40 centurie di seniores, soldati più anziani che servivano da riserve. • La seconda classe di 75.000, la terza di 50.000, la quarta di 25.000 : tutte e tre le classi fornivano 10 centurie di juniores ciascuno e 10 di seniores. • La quinta classe era composta da chi aveva un capitale di 12.500 assi. Essa forniva 15 centurie di juniores e 15 di seniores. • A queste 188 cinture si devono aggiungere ancora 5 centurie: 2 di soldati del genio —>tecnici che si collocavano accanto alle centurie della 1 classe; 2 di musici —> posti accanto alla 4 classe; infine 1 centuria di capite censi —>in cui erano inclusi tutti i cittadini privi di qualsiasi capitale. La riforma serviana comportò che le classi più ricche dovevano fornire più uomini all'esercito. Ciò non solo aumentò la loro importanza nella difesa della città, ma andò anche a rafforzare il loro potere politico. L’ ordinamento centuriato si estese alla dimensione politica facendo sì che il voto dei membri delle prime classi pesasse molto di più rispetto a quello dei soggetti appartenenti alle classi inferiori. La riforma introdotta da Servio Tullio, richiedeva una conoscenza precisa dei livelli di ricchezza della popolazione. A tale scopo il re etrusco introdusse 2 nuovi strumenti: 1. Il censimento: il cui scopo era quello di accertare con precisione la condizione economica di ogni famiglia romana. 2. La distribuzione della popolazione in tribù territoriali territoriali: essa avvenne attraverso la sostituzione delle vecchie 3 tribù dei Ramnes, tities, e luceres, con nuove tribù suddivise a loro volta in tribù urbane (in cui erano collocati gli individui privi di proprietà fondiarie) e tribù rustiche (dove venivano raggruppati i proprietari dei fondi). In questo modo era possibile accertare con facilità la distribuzione della ricchezza fondiaria. Le tribù dovevano fornire alle varie centurie il sostentamento loro necessari attraverso un tributo. Questa prima forma di tassazione era proporzionata della ricchezza dei singoli proprietari. Con il tempo il numero delle tribù rustiche andò aumentando infatti alla fine della monarchia le tribù erano 19, poi all'inizio della Repubblica divennero 21 e infine, cinquant'anni dopo, arrivarono ad essere 35 (31 rustiche e 4 urbane). L'ordinamento centuriato, introdotto da Servio Tullio, ebbe fra i suoi effetti di accentuare l'intervento autoritativo della città attraverso: • Un diffuso controllo sociale: finalizzata ad evitare lo spreco di ricchezze (Spesso utilizzate dagli aristocratici per costruire tombe sfarzose più delle loro stesse dimore). • La repressione dei comportamenti individuali pericolosi per la comunità: la repressione criminale risultava ancora molto circoscritta. La maggior parte dei reati, infatti, venivano puniti direttamente dalle famiglie, che ricorrevano a loro diritto all’autodifesa. Fra i reati puniti 7 garantita dal collegio dei pontefici. I mores resistevano alla comunità cittadina, che doveva solamente adeguarsi al loro contenuto. Del tutto opposta è la legge che sta alla base delle 12 tavole: una legge scritta, formalmente approvata dalla comunità politica, avente il valore irreversibile di un testo scritto che garantisce uguaglianza a tutti i cittadini. Le 12 tavole, costituiscono una nuova realtà istituzionale, la legge delle 12 tavole divenne il fondamento dello ius civile, sebbene in esse non fosse contenuto tutto il diritto vigente (per questo non possono essere definite un codice). Secondo la maggior parte degli storici nel 450 a.C. il collegio dei decemviri legibus scribundis venne rieletto per il secondo anno consecutivo, in modo da completare la redazione della legge delle 12 tavole e in quel anno il decemvirato venne integrato da un certo numero di membri provenienti dal ceto plebeo. Questa "democratizzazione" del collegio, presieduto nuovamente da Appio Claudio, attirò gradualmente l'ostilità dei Patrizi che in breve tempo causarono la crisi del decemvirato e la conseguente espulsione di Appio Claudio. Questa situazione evidenzia qualcosa che si ripeterà continuamente nella storia di Roma: l'aggressione del ceto aristocratico contro gli altri patrizi che, pur appartenendo all’Elite del potere, cercano di stravolgere l'equilibrio cittadino, fondato sulla concentrazione del potere e delle ricchezze nelle mani di pochi. Da Appio Claudio fino ad arrivare a Giulio Cesare, la storia di Roma è caratterizzata dalla presenza di un'aristocrazia che agisce con uno scopo ben preciso: preservare la libertas repubblicana, intesa come libertà di pochi patrizi destinati a governare la città e a possedere la maggior parte delle sue ricchezze. Appio Claudio è un tipico esempio di patrizio che, dal punto di vista degli stessi aristocratici, ha "tradito" i suoi "simili" per schierarsi al fianco della plebe. Il decemviro, infatti, aveva fra i suoi obiettivi la concentrazione delle funzioni legislative e di governo tra i decemviri e l’assemblea popolare, con lo scopo finale di realizzare una democrazia fondata sulla sovranità del demos (popolo). Nel 449 a.C., dopo la redazione delle ultime due tavole e la cacciata di Appio Claudio, nel collegio dei decemviri leguibus scribundis venne sciolto, restituendo il potere ai consoli e agli altri magistrati che fino a quel momento avevano governato Roma. L'approvazione delle 12 tavole, costituiscono una nuova realtà istituzionale.Nonostante alcuni La novità della legge delle 12 tavole non è tanto nelle norme in essa contenute, quanto nella presenza di un testo scritto. Esso permette, infatti, a tutti i cittadini di conoscere il diritto della città, condizionando l'attività dell'interprete che nel modificare-innovare le nuove norme troverà un punto di partenza proprio in questo testo, noto e controllato da tutta la comunità. Passando ad occuparci delle norme contenute nella legge delle 12 tavole, esse riguardano principalmente i rapporti tra privati. La legge delle 12 tavole rimane, in ogni caso, una legge primitiva fortemente legata al valore della familia proprio iure. ciò nonostante in questi anni vengono introdotti elementi nuovi: • Nelle obbligazioni. La figura più importante rimane il nexum, una forma di garanzia, codificata nella tavola 6 con la seguente formula: "quando qualcuno fa un accordo o un trasferimento lo annuncia oralmente, gli sarà data ragione”. Con l'accettazione del nexum il debitore forniva come garanzia di un prestito l'asservimento di se stesso, o di un membro della sua famiglia su cui avesse la potestà (un figlio ad esempio), in favore del creditore fino all'estinzione del debito. Al nexum andò gradatamente affiancandosi il pactum che supera lo stadio della vendetta per trasformarsi in un accordo privato vincolante, la cui inadempienza portava a delle sanzioni. • Nella struttura della familia proprio iure: il sistema decemvirale incise sulla pesante autorità del pater familias .Particolarmente importante fu il superamento del sistema patriarcale del matrimonio cum manu (che assimilava la moglie e la condizione di una figlia di famiglia sottoposta completamente all'autorità del pater familias). • Fondamentale risulta infine, la distinzione dei beni in due categorie diverse: le res mancipi e le res nec mancipi che hanno due diversi sistemi di circolazione. Per le res Mancipi (immobili, animali da lavoro e schiavi) c'era una sola forma di trasferimento della proprietà: la mancipatio, cioè una forma negoziale solenne. Per le res nec Mancipi (elefante, cammello) erano beni individuali senza importanza sociale e senza valore economico sociale. La loro circolazione era meno rigorose bastava usare il semplice negozio giuridico non formale della traditio(consegna), con cui la traslazione della proprietà era immediata. • Il sistema della successione dei familiari nel patrimonio del defunto era ben disciplinato, in quanto il defunto poteva disporre del suo patrimonio mediante testamento. 10 Abbiamo visto che dopo lo scioglimento del collegio dei decemviri, il potere ritornò alle vecchie istituzioni repubblicane. I plebei, forti delle loro recenti conquiste, premevano per l'ammissione alla carica di console. Questo è probabilmente il motivo che sta alla base della frequente sospensione della coppia consolare, sostituita (negli anni che vanno dal 444 a.C. al 367 a.C.) dai tribuni militum: ufficiali delle regioni, eletti ogni anno in un numero variabile tra da 3 a 6, erano dotati di un potere (imperium) inferiore a quello dei consoli (potevano convocare il Senato solo in via eccezionale, non accedevano al trionfo, non mantenevano alcun prestigio dopo la cessazione della carica). La mossa dei Patrizi non sortì tuttavia l’effetto sperato. I tribuni militum, infatti, erosero gradualmente la supremazia patrizia. Ciò nonostante i Patrizi continuavano a detenere in via esclusiva il controllo sul ager publicus, rendendo sempre più gravoso l indebitamento degli strati più deboli della plebe. Una svolta si registrò nel 396 a.C. quando Roma conquistò militarmente la ricca città etrusca di Veio.. A seguito della vittoria a tutti i cittadini romani venne distribuito un apprezzamento di 2 ettari, ricavato dalle terre strappate a Veio. Questa politica di redistribuzione attenuò la lotta fra patrizi e plebei, fungendo da base per la successiva equiparazione politica dei due ceti, realizzata con le cosiddette leggi Licinie Sestie del 36 7 a.C. (Così chiamate in onore dei magistrati proponenti). 1. la prima delle tre leggi: prevedeva che uno dei due consoli potesse essere un plebeo (facoltà che divenne un obbligo negli anni seguenti). In questo modo si garantiva la possibilità della plebe di accedere a tutte le magistrature cittadine, civili e religiose. 2. la seconda legge introduceva un limite alle terre pubbliche che potevano essere possedute da ciascun cittadino: 125 ettari. Questa norma erose il monopolio dei patrizi nello sfruttamento del ager publicus, rendendo lo sfruttamento di lotti minori accessibile a un maggior numero di cittadini. 3. la terza legge limitava il peso dei debiti: stabilendo che gli interessi già pagati dal debitore dovessero comportarsi come parte del capitale da restituire. In seguito nel 326 a.C. ci sarà una riforma ancora più importante: la Lex potelia papiria: essa eliminava l'asservimento personale del debitore al creditore (tipica del nexum), introducendo un vincolo solo dal punto di vista economico-giuridico. Le leggi Licinie Sestie portarono all'ascesa di una nuova aristocrazia politica, la nobilitas patrizio-plebea selezionata sulla base dell'appartenenza alle cariche magistraturali, che si sostituì nel governo della città alll'antica nobiltà di nascita costituita dai patrizi. In quello stesso anno un nuovo magistrato, il pretore, viene introdotto fra le cariche cittadine. Il suo compito sarà quello di amministrare la giustizia e regolare le controversie fra i privati. ——————————————————————————————————————————— Capitolo 5—> IL DISEGNO DELLE ISTITUZIONI REPUBBLICANE Parlando del quadro istituzionale della Roma repubblicana, occorre abbandonare l'idea di ordinamento istituzionale: inteso come un insieme di organi, puntualmente regolamentati nel loro funzionamento da una norma fondamentale (una costituzione). Nel mondo romano non solo non esisteva una costituzione scritta, ma le stesse leggi che regolavano il funzionamento delle istituzioni, erano soggette a continui cambiamenti. Per questo motivo nell'esaminare le istituzioni repubblicane, appare preferibile concentrare l'attenzione solamente su quegli organi che si sono conservati e perfezionati nel tempo, tralasciando quelli che hanno fatto da "comparsa" nella storia della Repubblica romana. I CONSOLI: la carica consolare venne introdotta all'inizio della Repubblica, tuttavia si consolidò definitivamente solo nel 367 a.C. Ai consoli era conferito il supremo potere di comando, definito dai romani imperium maius (in quanto superiore al potere di ogni altro magistrato). Parlando dell'imperium consolare bisogna distinguere: • l'Imperium domi: esercitato dai consoli all'interno dei confini della città. Nel tempo vennero introdotte una serie di limitazioni a questo potere, con lo scopo di proteggere i cittadini della Repubblica (si pensi al diritto dei cittadini di appellarsi al popolo contro la repressione dei magistrati, mediante la cosiddetta provocatio, o al potere di veto: l’ intercessio, esercitata dai tribuni della plebe nei confronti delle altre magistrature, compresi i consoli). Dentro la città i consoli svolgevano i seguenti compiti: - convocavano i comizi centuriati: attraverso l'esercizio dello Hughes ad Andy CUM popolo. Ciò avveniva lo scopo di far eleggere nuovi magistrati o approvare le leggi. 11 - chiedevano il parere del Senato: esercitando lo ius agendi cum populus . Questo potere era esercitato quando i consoli dovevano affrontare questioni particolarmente importanti per la città (in particolare decisioni di politica estera, politica monetaria..). - Gestivano il tesoro pubblico: sotto il controllo del Senato e con l'ausilio dei questori. - Reprimevano le condotte criminali e fino alla creazione dei pretori, risolvevano le controversie private che insorgevano fra i cittadini. • L'imperium militae : minori limitazioni erano applicate ai consoli quando svolgevano le funzioni militari. Essi infatti non potevano decidere di andare in guerra (tale compito spettava ai comizi centuriati). Tuttavia avevano il potere di: - arruolare i cittadini - imporre dei tributi. Passando ad esaminare le caratteristiche della carica consolare, esse sono essenzialmente 2: 1. L'annualità: i consoli venivano eletti annualmente dal popolo riunito nei comizi centuriati. 2. La collegialità: essa acquisiva un ruolo fondamentale in quanto a entrambi i consoli erano riconosciute le stesse funzioni e gli stessi poteri. Per questo motivo ciascun console era dotato del potere di paralizzare qualunque attività del suo collega, ricorrendo all’intercessio. Il potere di intercessio era utilizzabile dai consoli contro qualunque altro magistrato: ciò evidenzia il carattere gerarchico dell'ordinamento repubblicano, in cui i consoli erano al vertice. Questo sistema, il cui scopo era quello di evitare l'eccessiva concentrazione di potere nelle mani di un solo uomo, lasciava ampio spazio a conflitti e sovrapposizioni tra i due consoli. Questi conflitti erano particolarmente pericolosi in tempo di guerra, quando i consoli esercitavano l'imperium militae. Per garantire l'efficienza durante le campagne militari, il potere dei consoli venne definito in modo netto assegnando a ciascuno di essi una provincia. Sin dall'inizio della Repubblica i romani avevano previsto la possibilità, in condizioni particolarmente critiche, di sospendere le normali magistrature per attribuire tutti i poteri ad un unico magistrato: il dictator . Esso non veniva eletto dal popolo bensì nominato da uno dei consoli con l'accordo del suo collega e del Senato. Il carattere militare di questa carica è dimostrata dal fatto che la sua carica dura 6 mesi (il tempo di una campagna militare, dato che i romani combattevano essenzialmente nel periodo estivo). In conclusione appare utile ricordare che con l'avvento della Repubblica i consoli persero qualunque funzione religiosa che venne ereditata dal Rex sacrorum. Questa distinzione fra potere politico e potere religioso, segna il momento in cui si realizza la laicizzazione del governo cittadino. Nonostante i consoli siano privati della funzione sacra tipica del sovrano (che aveva, il compito di consultare gli dei e disporne la volontà mediante gli auspicia), rimaneva comunque necessario consultare gli dei, attraverso la consultazione e l'interpretazione degli auspicia. IL PRETORE E LE ALTRE MAGISTRATURE—> Accanto i consoli vennero introdotte, con l'avvento della Repubblica, una serie di cariche civili e militari. Per poter descrivere l'assetto istituzionale che ha caratterizzato Roma a partire dal 367 a.C. bisogna distinguere 2 categorie di magistrati: 1) I magistrati superiori: si tratta dei magistrati dotati di imperio (o come dicevano i romani Magister cum imperio. L'imperium è un potere di stampo militare che conferisce al suo titolare la facoltà di impartire ordini ai quali i destinatari non possono sottrarsi, con conseguente potere di sottoporre a pene coercitive di natura fisica (fustigazione o, nei casi più gravi decapitazione) o patrimoniale.Simboli esteriori di questo potere sono i fasci littori, utilizzati in precedenza dal Rex per indicare il potere di decapitare chi si fosse sottratto ai suoi ordini. A questa categoria appartenevano: • i consoli • il dictator • il pretore: il cui compito fondamentale era l'amministrazione della giustizia, attraverso l'esercizio della giurisdizione nei processi tra privati.Il pretore era un magistrato dotato di imperium, poteva condurre l'esercito in battaglia (esercitando l'imperium militae) rimaneva comunque subordinato ai consoli, che erano dotati del potere di esercitare nei suoi confronti l’intercessio per paralizzarne le decisioni. La sua iurisdictio (un termine che derivava dall'unione di due parole, ius e dicere, che significano dire il diritto) riguardava essenzialmente il controllo delle procedure e il loro rispetto durante il processo. Il pretore non decideva le cause nel merito, 12 Per quanto riguarda il rapporto fra le leggi comiziali e i plebisciti: il superamento del conflitto fra patrizi e plebei, rese possibile il riconoscimento del valore generale dei plebisciti. La tradizione fa risalire la parificazione dei plebisciti e delle leggi comiziali alle leggi Valerie orazie del 449 a. c. Da quel momento le leggi comiziali, approvate facendo ricorso ad un apparato decisamente più pesante rispetto all'assemblea popolare in cui venivano adottati i plebisciti, vennero utilizzate solamente per regolamentare gli aspetti più importanti della vita cittadina, in particolare: - elezione dei magistrati cum imperio - la correzione delle norme volte a regolamentare il sistema di governo della Repubblica: in particolare i provvedimenti relativi alle singole magistrature, al funzionamento dei comizi, all’organizzazione delle varie figure sacerdotali. - le delibere che portavano alla dichiarazione di guerre, accordi internazionali, alla fondazione di colonie, la concessione della cittadinanza romana a singoli stranieri o intere comunità. - le politiche sociali: con particolare attenzione alle politiche agrarie (si pensi alle cosiddette leggi suntuarie che negli ultimi secoli della Repubblica prevedevano la distribuzione di grano alla plebe a prezzi ridotti o, in certi casi, gratuitamente), alle politiche urbanistiche, alla coniazione delle monete. Appare utile inoltre effettuare la distinzione fra Lex rogata e Lex dicta: - la prima nascita della rogatio (dalla proposta) del magistrato e veniva e emanata grazie all'approvazione dell’assemblea. - La seconda, invece, non richiedeva l'approvazione dell’assemblea. Il potere riconosciuto ai comizi è una chiara espressione di quanto statuito nella legge delle 12 tavole: "qualsiasi cosa stabilisca il popolo diventerà legge efficace". In questa frase si coglie un principio molto caro i romani, almeno in epoca repubblicana. Con la res publica si crea un nuovo concetto di legalità che consiste nell'uguaglianza dei cittadini di fronte alle norme della città e nella consapevolezza che la res publica limiti tutti gli organi della città. A partire dal 357 a.C. (metà del 4 secolo a.c.) la Repubblica romana acquisì la sua fisionomia definitiva. Da quel momento una nuova idea di legalità si sostituì a quella esistente durante il governo semi dispotico dei Rex: l'uguaglianza di tutti cittadini davanti alle norme della città. Su questo principio generale si basano una serie di altri principi, che vanno a limitare il potere del legislatore: - il divieto di legiferare a danno di specifiche persone. - il divieto di adottare una legge con lo scopo di privare un gruppo di individui della libertà o della cittadinanza. - Il divieto di attentare alla vita della Repubblica. - L’ adfectatio regni: il divieto di aspirare alla corona. Sulla base di questa accusa molti esponenti politici sono stati messi a morte nella storia romana. Cesare stesso venne assassinato per questo motivo: celebre è la fase che, secondo quanto tramandato dalle fonti, Bruto avrebbe pronunciato inferendo il corpo finale all'agonizzante Cesare: "così muoiono i tiranni”. Oltre il principio di uguaglianza, altri principi hanno regolato la vita dell'istituzioni repubblicane: si pensi a quella parte delle 12 tavole in cui si afferma che "qualsiasi cosa stabilisca il popolo diventerà legge". Questa formula richiama alla mente il principio di sovranità popolare contenuto all'articolo 1 della nostra costituzione che afferma: "la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della costituzione”. Tutti questi principi hanno come scopo di garantire la libertas repubblicana. Oggi giorno e si verrebbero formulati all'interno di una carta costituzionale. Essa era sconosciuta ai romani, che spesso non scrivevano neanche questi principi, ritenendoli incorporati nella stessa storia di costruzione della repubblica. Non era possibile andare contro questi principi senza minare l'essenza stessa della Repubblica. Questi principi, dunque possono essere considerati il nucleo essenziale della costituzione repubblicana. L'aspetto più interessante di questi principi è il loro carattere indeterminato: era impossibile conoscerli ex ante, si manifestavano solo dopo che una norma positiva (adottata dal legislatore) andava violarli. Per questa ragione i principi fondamentali lasciavano un ampio margine di variabilità, la cui elasticità, mutevolezza e creatività dipendeva proprio dall'assenza di principi rigorosi, redatti per iscritto all'interno di una carta costituzionale. 15 Questo carattere indeterminato era quindi incompatibile con l'idea di una carta e di un disegno predeterminato di regole fondanti e ancora meno l'esistenza di un organo che ne valuti la possibile violazione. Per tutti questi motivi, parlando dell'ordinamento giuridico romano in epoca repubblicana, gli storici usano riferirsi all'esistenza di una costituzione materiale (intesa appunto come un insieme di principi non scritti) piuttosto che a una costituzione formale (come quelle moderne), redatta per iscritto e resa, in tal modo, immutabile se non seguendo particolari procedimenti (si pensi all'attuale procedimento di revisione costituzionale). Quanto detto fino ad ora subirà un profondo cambiamento con l'avvento del principato. La costituzione repubblicana verrà sostituita dalla costituzione imperiale: composta una serie di scritti provenienti dall'imperatore, diretta emanazione della sua volontà. ——————————————————————————————————————————— Capitolo 6—> LA STRADA PER L’EGEMONIA ITALICA Negli anni immediatamente successivi alla sua fondazione, Roma esercitava il controllo su un territorio che non superava i 100 km quadrati. Le conquiste militari degli anni seguenti e l'assorbimento delle comunità minori del Lazio, aumentarono notevolmente il territorio di Roma che già nel 6 secolo a.C. controllava un territorio di circa 900 km quadrati (9 volte più ampio). Uno strumento fortemente utilizzato da Roma agli albori, per accentuare il suo ruolo dominante nel Lazio, fu la religione: basta pensare all’ istituzione di un culto di Diana, attraverso la costruzione sull'Aventino di un apposito tempio da parte di Servio Tullio, con lo scopo di trasformare Roma e il principale centro di culto della religione. L'ampiezza del territorio romano alla fine del 6 secolo a.C. può essere ben intesa attraverso la lettura del Primo trattato fra romani e cartaginesi che, secondo Polibio, sarebbe stato stipulato negli anni immediatamente successivi alla cacciata di Tarquinio il Superbo, ultimo re di Roma. Questo trattato pone dei limiti alle possibili aggressioni di Roma da parte dei Cartaginesi e viceversa. È interessante il fatto che questo "patto di non aggressione" riguarda tutte le città del Lazio, il che ci deve far concludere che già alla fine del 6 secolo a.C. il controllo di Roma si estendeva su tutta la regione. L'immediata conseguenza di questa espansione territoriale fu l'aumento della popolazione, che viene diviso in due parti: - cittadini—> erano dotati di diritti politici - non cittadini—> ne erano privi. Ad eccezione dei diritti politici, a Roma vigeva il principio della territorialità del diritto: in base al quale il diritto dello Stato si applicava a tutti coloro che si trovavano all'interno del suo territorio, indipendentemente dalla loro cittadinanza. Gli stranieri dunque erano tenuti a rispettare le leggi civili e penali di Roma che gli forniva una tutela analoga a quella garantita ai cittadini. Ciò segna un netto contrasto rispetto alle Poleis Greco- italiche in cui prevaleva il principio della personalità del diritto: in base al quale ogni individuo era soggetto alle leggi dello Stato di appartenenza. Quando un individuo si trovava in un altro Stato la sua protezione e non era garantita dagli uomini ma dagli dei (la frase "l'ospite è sacro" giunta fino ai giorni nostri, dipende da questa protezione che l'ospite chiedeva agli dei quando si trovava in terra straniera). LATINI E CITTADINI DELLE COLONIE—>Il trattato stipulato con Cartagine sarà seguito pochi anni dopo da un altro trattato ancora più importante: il Foedus cassianum, un patto di alleanza fra romani e latini che istituiva una lega comune il cui scopo era garantire la protezione reciproca dei cittadini appartenenti alle diverse comunità alleate. La logica di questo accordo appare ben diversa rispetto a quella che sta alla base del trattato Roma - Cartagine: esso voleva sancire una forma di comunanza giuridica tra romani e latini prisci. In base a questa assimilazione giuridica fra le due comunità, ai latini che si fossero trovati a Roma sarebbero stati garantiti alcuni diritti fondamentali: Il cittadino latino godeva dello: - Ius commerci: il diritto di commerciare liberamente con Roma con la possibilità di ricorrere al magistrato per la tutela dei propri atti negoziali. - Ius connubi: il diritto di contrarre matrimonio con un cittadino romano. - Ius migrandi: questo diritto non viene introdotto con il foedus Cassanium, bensì in epoca successiva. Esso stabiliva la possibilità dei latini di acquistare la cittadinanza romana, spostando la loro residenza a Roma. 16 Un'altra importante conseguenza di questo trattato fu la possibilità che l’insieme delle città della lega fondasse nuove colonie. Si trattava di piccole comunità semi-urbane, create dalla città- madre e situate in punti strategici anche molto distanti. Questa facoltà della lega di fondare colonie fu effettivamente esercitato durante tutto il 5 secolo a.C.. A partire dal 4 secolo a.C. Roma, avendo acquisito il predominio sulle città del Lazio, si appropriò del potere di fondare autonomamente le colonie. Fu l'inizio della fine della lega, che venne definitivamente sciolta nel 338 a.C. La fondazione di colonie da parte di Roma non solo garantiva il controllo su nuovi territori, ma servì anche a realizzare una politica demografica economica. Le colonie, infatti, assicuravano l'alleggerimento demografico della città (spesso sovrappopolata) tramite il trasferimento di gruppi consistenti di popolazione in nuovi territori che venivano in tal modo urbanizzati. Numerose persone si insediarono in aree poco sfruttate da cui erano stati espulsi gli antichi abitanti favorendo così l'urbanizzazione e la romanizzazione. La fondazione di una nuova colonia avveniva sulla base di una delibera del Senato e con l'approvazione dei comizi, che nominava i magistrati incaricati delle procedure necessarie alla sua istituzione. Contestualmente veniva redatto uno statuto che ne avrebbe regolato la vita e l'organizzazione interna. Una delle caratteristiche più importanti delle colonie romane che le distinguevano dalle colonie latine è lo stretto legame con la madrepatria. - Le colonie romane infatti non erano una struttura istituzionale estranea Roma ma solo un suo segmento organizzativo i cui membri godevano dello statuto di cittadini romani. - Le colonie latine erano invece una comunità separate di stranieri a Roma: coloro che partecipavano alla sua fondazione perdevano la cittadinanza di origine e acquistavano la condizione giuridica di latini. Altra caratteristica essenziale è l’organizzazione urbanistica della colonia romana. Essa avveniva per mezzo degli agrimensori: tecnici nominati a tal scopo dai magistrati incaricati della fondazione della colonia. Gli agrimensori, dopo aver identificato un punto centrale, tracciavano due linee perpendicolari (una orizzontale e una verticale) che dividevano la colonia in quattro rettangoli. Queste linee (chiamate cardo e decumano maggiore) rappresentavano gli assi centrali dell'intero sistema urbanistico. In parallelo a queste linee venivano tracciate altre linee (cardini e decumani) che incrociando si creavano tanti rettangoli di uguale dimensioni. Questi rettangoli erano le centurie, la loro area era di circa 50 ettari. Questo è il sistema della limitazione (limites =confini). Attraverso queste linee i romani creavano nella colonia una fitta rete di strade rurali, così da assicurare a tutte le unità fondiarie un rapido accesso alla via pubblica. Lo scopo finale di questa politica urbanistica era di rendere efficiente la colonia, favorendone un rapido sviluppo. Nel corso degli anni Roma acquisì sempre un maggior potere nel territorio italico. Ciò fu reso possibile oltre che dalle colonie e dalle espansioni non violente, anche dalla guerra. La politica militare romana subì nel tempo un profondo cambiamento. • All'epoca della conquista di Veio (394 a.C.): Roma non seppe far altro che distruggere questa ricca città etrusca, disperdendo nella popolazione o riducendola in schiavitù. Si tratta di una politica abbastanza comune, tipica delle Poleis greco-italiche, ma che era affetta da un forte limite: l'indebolimento eccessivo della città conquistata che, di conseguenza, non poteva portare grandi benefici e risorse alla conquistatrice • Molto diversa fu la conquista attuata dai romani nel 338 a.C. quando, davanti all'ennesima rinuncia dei latini dall’alleanza, li aggredirono militarmente sconfiggendoli. In conseguenza di questa vittoria Roma ottenne il potere sovrano su tutte le città della lega. A differenza di quanto era avvento all’ epoca di Veio, in questo caso Roma non distrusse le città latine ma le sottomise al suo potere. Alle città latine veniva lasciato un ampio margine di autonomia organizzativa interna. Ai loro cittadini venivano riconosciuti lo ius commerci, lo ius connubi e lo ius migrandi. Roma, tuttavia, si preoccupò di recidere rapidamente i legami esistenti fra le città latine, in modo da evitare la creazione di una alleanza anti-romana. Questa distinzione tra romani e latini permarrà fino al I secolo a.C. quando a tutti gli italici verrà concessa la cittadinanza romana. 17 Questo schema verrà utilizzato in epoche successive per intere province, costrette a pagare un tributo a Roma in cambio della sua protezione. Negli anni in cui si realizzò l'avvento della nuova nobiltà Patrizio plebea, Roma aveva esteso enormemente i suoi territori, fino a controllare l'intera Italia centrale. Dopo la sconfitta dei latini (nel 338 a.C.) e il conseguente scioglimento della lega introdotta dal foedus Cassianum, i principali nemici di Roma divennero i Sanniti (un antico popolo italico stanziato negli attuali territori della Campania settentrionale, dell'alta Puglia, di gran parte del Molise, del basso Abruzzo). Iniziò dunque una lunga guerra, che nel tempo porterà Roma a dominare l'intero territorio italico. Dopo una serie di vittorie delle divisioni romani nel III secolo a.C. Taranto, ultima roccaforte dei Sanniti, era pronta a cadere. I sanniti, certi la sconfitta, chiesero aiuto a Pirro, per resistere alla potenza di Roma. Tutto fu vano: nel 272 a.C. le armate di Roma conquistarono prima Taranto poi Brindisi, eliminando ogni residuo resistenza dei sanniti. Oltre ai sanniti i romani combatterono in quegli anni molti altri popoli : i galli, gli umbri, gli etruschi. Questa ininterrotta e felice politica militare, produsse un enorme espansione di Roma non solo dal punto di vista territoriale ma soprattutto economico. Il problema è che questa grande espansione rese molto più complessa la gestione delle entrate finanziarie e delle spese, in particolare quelle utilizzate per il sostentamento dell’esercito. I magistrati, la cui carriera come abbiamo visto aveva una forte connotazione militare, erano incapaci di gestire adeguatamente la complessa situazione finanziaria di Roma. La soluzione fu semplice: appaltare a privati imprenditori le attività economiche di interesse statale.Eccone alcuni esempio: - le terre pubbliche, ottenute grazie le campagne militari in cui Roma era costantemente impegnata, venivano affidate ai privati a fronte del pagamento di un canone periodico. Questi, a loro volta, suddividevano le terre ricevute in gestione in tanti ager publicus, che venivano assegnati a piccoli agricoltori dietro il pagamento di un canone. Gli appaltatori guadagnavano grazie alla differenza fra la somma periodica che dovevano versare allo Stato e i canoni che si ottenevano dai contadini (somme che, secondo le fonti, erano piuttosto elevate). - le riscossioni tributarie nelle province: di essi venivano incaricati dei privati (tramite un appalto). Essi si facevano carico di questa incombenza, lucrando la differenza fra il percepito e la somma da versare alle casse di Roma. - Lo sviluppo delle opere pubbliche, l'organizzazione del vettovagliamento per gli eserciti: tutte queste attività si svolgevano mediante degli appelli stipulati dalla città con privati imprenditori. Questo complesso sistema fu reso possibile dall'affermazione di un nuovo gruppo sociale: gli equites —>coloro, cioè, che nella divisione in centurie erano capaci di fornire all'esercito i cavalieri. La loro ricchezza verrà fortemente utilizzata nel corso della storia di Roma (basti pensare al finanziamento della flotta romana, durante la prima guerra punica o al sostentamento delle armate durante la lunga guerra contro Annibale). APPIO CLAUDIO—> uno dei personaggi che meglio rappresenta il clima politico sociale del 4 secolo a.C. è Appio Claudio.Egli fu rieletto al consolato nel 307 a.C. e nel 296 a.C. Svolse un'importante opera di modernizzazione della città, intervenendo nei più vari settori. - Fra di essi particolarmente importante è l'attività urbanistica: sotto Appio Claudio infatti venne costruita la via Appia, chiamata dei romani “la regina delle vie", il cui nome deriva proprio dal personaggio di cui stiamo parlando. Questa grande opera pubblica è una chiara espressione della politica economica voluta da Appio Claudio. Al contrario dei gruppi i tradizionalisti, orientati verso il consolidamento dei possedimenti fondiari, Claudio riteneva fondamentale stabilire una via di comunicazione di commercio con la Magna Grecia. Ciò avviene attraverso la costruzione di strade (come l'Appia che univa Roma con la Campania e con la Puglia) e attraverso lo sfruttamento del mare. Claudio aveva capito che la fortuna di Roma dipendeva dalle terre situate nel meridione. L'attenzione di appio Claudio per il commercio, lo indusse a valutare una serie di riforme: 1. modificò la composizione delle tribù: tenendo conto, nel conteggio della ricchezza, non solo dei beni immobili posseduti (la ricchezza fondiaria) ma anche della ricchezza mobiliare. In questo modo i soggetti privi di rendite fondiarie, precedentemente iscritti nelle 4 tribù urbane, vennero conteggiati fra le tribù rustiche. 20 2. Permise ai liberti di accedere alle cariche senatoria, una riforma che fece storcere il naso alla maggior parte dei romani. Queste due riforme, appena illustrate, erano troppo radicali per una città tradizionali come Roma, per questo vennero eliminate negli anni successivi. 3. Attenuò il potere del collegio dei pontefici , Che fino a quel momento aveva esercitato il monopolio sul controllo sull'interpretazione delle leggi cittadine. Appio Claudio, per mezzo del suo segretario Gneo Flavio, rese pubblici i calendari e i formulari delle azioni processuali, permettendo a tutti i cittadini di conoscere direttamente gli strumenti necessari per agire in giudizio (ciò avvenne con il cosiddetto ius flavianum). Una novità assoluta dato che fino a quel momento i cittadini dipendevano dal collegio dei pontefici, incapace di gestire la realtà giuridica romana, resa più complessa dall'introduzione di nuove figure. Con il tempo il collegio pontificale verrà svuotato delle sue funzioni fin quando gli esponenti del governo si impadroniranno del diretto controllo sul diritto, consapevole dell'importanza politica e sociale di questo straordinario strumento. In quel momento si realizzò il passaggio dalla giurisprudenza sacrale dei pontefici a quella laica della nobilitas patrizio plebea. Questo passaggio permise a tutti i cittadini di accedere alla conoscenza degli strumenti fondamentali per la tutela processuale dei loro diritti (fino ad ora conosciuti solo dal collegio pontificale): questo portò ad un salto in avanti nei processi di fusione delle conoscenze giuridiche e ad una maggiore conoscenza delle nuove esigenze nel piano del diritto. La fine del monopolio pontificale determinò un grandissimo processo di crescita e la creazione di un mercato di giuristi in cui fu presente una logica di tipo gerarchico in cui viene esclusa ogni forma di eguaglianza. Ultimo grande intervento legislativo nell'ambito del diritto privato risale alla Lex Aquilia che disciplinava i comportamenti dannosi e le relative responsabilità legali: fu l'ultima innovazione dei comizi, perché negli anni successivi tutte le grandi trasformazioni furono opera dell’ interpretatio giurisprudenziale del pretore: da allora le leggi votate nei comizi servirono solo a perfezionare o completare l'edificio già esistente. ——————————————————————————————————————————— Capitolo 8—> L’EVOLUZIONE DEL DIRITTO ROMANO E GLI SVILUPPI DELLA SCIENZA GIURIDICA I GIURISTI E IL DIRITTO PRIVATO—> Nel diritto romano il fondamento dello ius civile si trovava nei mores e nella legge delle 12 tavole. Esso rimase per molto tempo l'unica forma di diritto utilizzabile dai cittadini romani a causa dell'atteggiamento conservatore del collegio pontificale. La svolta si realizzò con la censura di Appio Claudio, il quale laicizzò il collegio pontificale, garantendo la nascita di un'ampia comunità di giuristi laici che, nel corso di alcuni anni, furono capaci non solo di innovare gli istituti dello ius civile ma anche di creare una vera scienza del diritto. Un ulteriore passo in avanti si ebbe con il pontificato di Tiberio Coruncanio (primo pontefice plebeo eletto nel 254 a.C.) che rendendo pubbliche le sedute dei pontefici, permise anche ai cittadini che non erano membri del collegio di comprendere i metodi e le norme applicate dai pontefici. Nacque così una nuova classe di giuristi il cui compito era quello di assistere i propri cittadini: consigliandoli sugli atti giuridici da stipulare (cavere), aiutandoli nell'interpretazione di situazioni legali incerte (respondere) assistendoli durante eventuali litigi (agere). I giuristi ricevevano nelle proprie abitazioni amici e clienti, così intorno a loro si creò presto un pubblico di uditores che diventavano a loro volta giuristi. Uno degli elementi che maggiormente contribuì al tramonto del collegio pontificale fu la diffusione della scrittura. In passato, infatti, anche se la scrittura era già utilizzata (basti pensare al fatto che la legge delle 12 tavole è una legge scritta), il diritto veniva spesso tramandato, conservato e applicato oralmente. Nel III secolo a.C. si assiste ad una notevole ampliamento delle forme scrittorie: basti pensare che in quegli anni ebbe inizio la letteratura latina. È in questo momento che la nobilitas laica utilizzò la scrittura per dare vita a testi scritti in cui conservare le soluzioni già discusse e le proposte avanzate dai diversi giuristi. Con il tempo questi testi cominciarono a circolare, favorendo l'evoluzione del sistema giuridico attraverso la stesura di ragionamenti sempre più complessi. Poste queste premesse è possibile esaminare gli strumenti utilizzati dal collegio pontificale prima e dai giuristi laici poi, per conservare e innovare il diritto: • Il collegio pontificale: dovendo applicare il diritto arcaico (mores e leggi delle 12 tavole) era obbligato a ricorrere a 2 strumenti essenziali: la finzione giuridica (= ipotesi in cui la legge considera vero o avvenuto un fatto nel caso in cui non può accertare se si è verificato o nel caso 21 in cui sia accertata una realtà contraria e l’analogia. Tramite questi strumenti realizzava una distorsione consapevole degli istituti originali, in modo da utilizzarli per altre finalità. • I giuristi laici: con la laicizzazione della scienza giuridica, le soluzioni univoche, fornite dal collegio pontificale in precedenza, vennero sostituite da una pluralità di pareri provenienti da molti giuristi. Ovviamente non tutte le opinioni giuridiche avevano pari valore: di volta in volta prevalevano, infatti, le soluzioni prospettate dalle personalità più autorevoli (autorevolezza che derivava dal consenso degli altri giuristi e dal favore dell'opinione pubblica). I pareri non giungevano più da un'unica autorità, ma da una molteplicità di individui: venivano accettate le interpretazioni più convincenti e quelli derivati dai personaggi più autorevoli. Questo comportava però dell'incertezza circa la soluzione di ciascun caso pratico, ma anche incertezze e il comportamento da mantenere, in quanto spesso ci si doveva orientare secondo opinioni contraddittorie ma uniformi: veniva quindi sacrificata l'idea di certezza. I pontefici erano stati i soli depositari e quindi la loro autorità nell'interpretare era assoluta. Invece, per quanto riguarda i laici, il punto di partenza del loro lavoro erano le antiche formule legislative negoziali, per cui era importante innanzitutto la comprensione spiegazione letterale delle parole in essa impiegate: ciò non era facile perché spesso il latino arcaico era difficilmente comprensibile, ma anche perché attraverso le diverse possibili interpretazioni poteva essere completamente modificato il significato della norma. La nascita di questa nuova scienza del diritto portò ad un cambiamento che fino ad allora non era mai stato teorizzato: la creazione di norme completamente nuove, non previste dai mores o dalla legge delle 12 tavole (si pensi ad esempio alla creazione di diritti reali di godimento, come l'usufrutto o di servitù prediale). La nobilitas laica inizia quindi a scrivere i testi in cui si conservavano i casi e le soluzioni già discusse, testi che iniziarono a circolare. L'utilizzo della forma scritta permise di giungere, grazie all'articolazione del pensiero, a ragionamenti più complessi. IL PRETORE—> In questo contesto, caratterizzato da un'evoluzione continua del diritto, un ruolo fondamentale viene interpretato dal pretore. La sua cavali capacità di innovare e modificare il diritto, viene inizialmente limitata dalla rigidità e dal formalismo dell'antico sistema processuale romano: le legis actiones. L'esistenza di rigidi schemi hanno vincolato per lungo tempo la capacità innovativa del pretore. Un radicale cambiamento si verificò quando il collegio dei pontefici venne trasformato in un organismo laico. Il pretore, allora, comincia ad assumere quel ruolo fondamentale che lo avrebbe contraddistinto negli anni successivi. Tra le sue funzioni, molto importante fu l'adozione di norme volte a regolamentare il rapporto fra i cittadini romani e un numero sempre crescente di stranieri, spesso privi dello ius commercium (che avrebbe comportato l'applicazione allo straniero del diritto civile romano). Queste norme vennero adottate dal pretore. Infatti la maggior parte di questi stranieri non aveva il diritto di ius commerci con i romani e necessitava quindi di una protezione giuridica, che doveva essere fornita al di fuori dello ius civile in quanto erano esclusi. Tutto ciò si ottiene grazie al pretore, il quale con la sua giurisdizione si interessò di una serie sempre più ampia di questioni e litigi che dovevano prescindere dagli schemi dello ius civile che erano ispirati ad una logica più equitativa (perché dovevano essere più semplici e accessibili alle culture giuridiche lontane dalla lingua latina). Gli intervento del pretore divennero nel tempo talmente numerosi che nel 242 a.C. avanti al vecchio pretore (da allora chiamato urbanus, cioè cittadino) venne creato il prater peregrinus, con il compito di intervenire nei litigi tra gli stranieri o tra romani e stranieri. Questi interventi portarono al superamento della logica delle legis actiones. Si andò oltre la rigidità diA atti o frasi che dovevano essere rispettate affinché certi effetti legali si verificassero e che divenissero vincolanti. Questi rapporti furono infatti tutelati con forme processuali meno rigide delle legis actiones (e che vennero poi estese anche ai rapporti riguardanti i romani), cosa che insieme alle forme di protezione giuridica offerta dal praetor peregrinus portò al definitivo tramonto delle legis actiones. Questo nuovo processo prende il nome di processo formulare in quanto fondato su formule predeterminate in modo circostanziato che il pretore rilasciava alla fine delle discussioni preliminari. Queste formule fornivano al giudice criteri da seguire nel decidere la controversia : la loro struttura e il loro contenuto potevano variare all'infinito, adeguando l'astrattezza delle antiche regole alla varietà dei 22 1. la prima guerra punica (265 a.C. al 241); 2. l’occupazione della Sardegna e della Corsica, fino a quel momento controllate dai Cartaginesi da parte dei romani (nel 238 a.C.) 3. L'alleanza dei romani con Sagunto, città della Spagna utilizzata dei romani in funzione anti- cartaginese (nel 231 a.C.); 4. La seconda guerra punica (dal 2018 al 202 a.c) in cui Roma trovò un degno avversario: Annibale il quale mise a rischio l'intero progetto politico romano. Non bisogna dimenticare le guerre combattute a Roma sulla "fronti centro settentrionale”. Esse furono incentivati dai dirigenti del "partito agrario", interessati ad un'espansione romana verso il nord (da ricordare la conquista del Piceno e della Pianura Padana sotto il comando di un grande dirigente plebeo: Gaio Flaminio, sotto la cui censura venne realizzata la via Flaminia nel 220 a.C. per unire Roma alla costiera adriatica). Di tutte le guerre combattute in quel periodo, particolarmente importante fu la seconda guerra punica. Annibale, dopo una serie di vittorie contro l'esercito romano, oltrepassò le Alpi con i suoi famosi elefanti e ivase l’Italia fino a giungere alle porte di Roma. Nonostante i suoi iniziali successi, alla fine di questa guerra (conclusasi nel 202 a.C.) Roma ebbe la meglio. Secondo gli storici il motivo di questa vittoria risiede nella compattezza del blocco politico costituito fra Roma e le comunità italiche assimilate, più o meno forzatamente, nel corso dei secoli. Annibale riteneva che tutte le comunità assoggettate a Roma si sarebbero unite contro il comune nemico: e così invece non è stato. Solo le popolazioni di più recente sottomissione, come i galli, gli etruschi e Capua appoggiarono il cartaginese nella sua battaglia contro i romani. Le altre comunità rimasero fedeli a Roma. Dal punto di vista politico, la guerra con Cartagine fu vinta perché il comando passò dal partito oltranzista alla fazione più prudente e meno entusiasta della guerra con il comando di Quinto Fabio Massimo. Essa adottò una strategia completamente nuova: riconobbe la superiore capacità militare di Annibale e perciò evitò sempre di giungere a uno scontro frontale, avviando così una serie di battaglie di logoramento e usando la tecnica della terra bruciata. La vittoria definitiva contro Annibale si deve a Publio Cornelio Scipione a Zama nel 202 a.c. , chiamato da quel momento l’africano. La vittoria di Roma su Cartagine ebbe norme conseguenze sulla "politica estera" romana: si apriva, infatti, la strada dell’imperialismo. Della vittoria contro Annibale andarono a beneficiare alcune grandi figure, in primis Scipione l'africano, che ottennero: - Enormi ricchezze: le quali permisero l'affermarsi, sulla scena politica cittadina, e di nuove personalità capaci di minacciare il potere dell'oligarchia senatoria. - Un esercizio duraturo del potere, attraverso il ricorso alla prorogatio imperi: un istituto che permetteva di prorogare il comando militare dei magistrati superiori, dopo la scadenza naturale del loro mandato. Dal momento della prorogatio essi continuavano ad esercitare il comando in qualità di promagistrati (proconsoli e propretori) , cioè magistrati speciali con poteri prorogati nel tempo. Questo strumento venne utilizzato nel 211 a.C., quando Publio Cornelio Scipione viene investito del comando della guerra in Spagna contro i Cartaginesi. La sua nomina egli avesse in precedenza rivestito la carica di magistrato ordinario (console). È in quel momento che il potere di comando (l’ imperium) viene svincolato dall'esercizio della magistratura ordinaria. Il successo ottenuto da Scipione l'africano andò a incidere profondamente sugli equilibri politici della città. Egli, infatti, pur rivestendo la carica di senatore della Repubblica, acquisì col tempo un peso fondamentale nelle scelte di Roma, fino a diventare un vero e proprio Princeps del Senato. Molti a Roma cominciavano a temere il ritorno della monarchia e fra questi vi era Catone il censore il quale, avvio dei processi contro il fratello di Scipione l'africano, riuscendo a intaccare il prestigio di quest'ultimo e spingendo ad auto esiliarsi nei suoi possedimenti in Campania. Ciò nonostante il "germe" dei poteri personali aveva ormai contagiato Roma, che ben presto assisterà al definitivo crollo della Repubblica. IL GOVERNO PROVINCIALE—> Negli anni immediatamente successivi alla prima guerra punica, Roma era subentrata a Cartagine nel controllo della Sicilia e della Sardegna, che vennero trasformati in province romane. Il termine provincia, usato in passato per indicare la sfera di competenza di un magistrato dotato del potere di imperio, indicò da quel momento il territorio conquistato da Roma (e ovviamente la sua popolazione) e sottoposta al potere di imperio di uno specifico magistrato. 25 A differenza dei territori situati intorno alla città di Roma, che ormai erano entrati a far parte del blocco politico romano, le province venivano considerati salvadanai tra da cui trarre le risorse per il sostentamento e lo sviluppo di Roma. La Sicilia e la Sardegna furono le prime province ad essere sfruttate dai romani, che applicarono un principio tipico dei regni ellenistici d'oriente: il monarca (in questo caso Roma) era il proprietario dell'intero territorio sottoposto al suo controllo. Conseguenza di questo principio era che coloro che sfruttavano la terra, innanzitutto i piccoli agricoltori dovevano pagare una tassa a Roma consistente in una quota di prodotti (normalmente la decima parte: per questo il tributo prese il nome di decima). Queste tasse venivano riscosse con il tipico sistema degli appalti. Gli agricoltori dovevano essere inseriti in un apposito registro in cui venivano segnati il nome e la quantità di terra coltivata. I romani erano comunque attenti a garantire la sopravvivenza di un'organizzazione cittadina delle province. Per questo la grande maggioranza delle città provinciali conservò una più o meno ampia autonomia, il proprio sistema di leggi e le proprie istituzioni. L'unico limite consisteva nel controllo esercitato dal governatore provinciale, nell'obbligo di pagare a Roma un tributo (il cosiddetto stipendium) e di sottostare a specifici obblighi (ad esempio le città libere siciliane vennero obbligate a vendere a Roma frumento con prezzo stabilito). Questo sistema degenerò quando gli appaltatori responsabili delle riscossioni tributarie (cosiddetti publicani, chiamati in questo caso decumani in quanto riscuotevano la decima ), aumentarono esponenzialmente i tributi che dovevano essere pagati dalla popolazione, in modo da aumentare la differenza fra le somme incassate e quelle da versare a Roma. I governatori, invece di condannare questo comportamento, si associarono con i pubblicani per lucrare anch'essi a spesa delle popolazioni sottoposte. Un altro problema fondamentale delle province era la nomina dei magistrati incaricati di governarle. Con il moltiplicarsi delle province sottomesse a Roma, i magistrati ordinari divennero insufficienti dal punto di vista numerico. A questo punto Roma, anziché nominare nuovi magistrati ordinari, utilizza l'istituto della prorogatio imperii per affidare il governo delle province a quei magistrati (consoli e pretori )che avevano terminato il loro anno di mandato. La prorogatio permetteva al magistrato di mantenere il suo potere di imperium, non più come magistrato ordinari in carica, bensì come proconsole o propretore, incaricato di governare una certa provincia. Avrebbe conservato tale carica fino a che il Senato non avesse nominato un suo successore. La nomina a governatore di una provincia divenne uno dei motivi su cui si fondarono le maggiori contese fra i magistrati superiori, data la possibilità di arricchirsi enormemente grazie lo sfruttamento delle province. Per quanto riguarda l'organizzazione amministrativa delle province, per ognuna di esse viene adottato uno statuto, redatto da 10 cittadini (cosiddetti decem legati), sotto la supervisione del Senato. Una volta completato lo statuto veniva emanato dal governatore provinciale, nel frattempo nominato dal Senato, nell'esercizio del suo potere di imperium. Oltre al governatore il Senato nominava un gruppo di legati di rango senatorio, per coadiuvare e controllare lo stesso governatore. Importante era, inoltre, la figura del questore: dotato sia di funzioni militari che di compiti finanziari. I poteri del governatore si estendevano, tra l'altro, al controllo del sistema giudiziario. Il diritto romano, infatti, viene utilizzato per regolamentare la vita delle comunità sottomesse a Roma (ad eccezione delle città alleate, che, in base a specifici trattati, mantenevano la loro autonomia giuridica). La repressione criminale, invece, dipendeva dall'esercizio dell'Imperium militae da parte del governatore (il potere di intervenire militarmente a difesa della provincia). L’INNESTO DELLA CULTURA ELLENISTICA—> Dopo la sconfitta di Cartagine durante la seconda guerra punica, Roma puntava a conquistare tutti i cosiddetti regni ellenistici (la Grecia, la Siria, l'Egitto, il regno del ponto, la macedonia, e i regni dell'Asia minore). I romani erano consapevoli che se tutti questi regni si fossero uniti insieme in una alleanza anti- romana, Roma non avrebbe avuto scampo. Per questo, fra il 200 e il 167 a.C., venne ideata una strategia semplice e geniale: dividere questi regni tra di loro stringendo alleanze con alcuni, isolando altri, combattendo battaglie individuali. In questo modo vennero conquistati nell'ordine: la macedonia, la Siria, l’egitto, la Grecia. 26 Queste vittorie di Roma ebbero l'effetto di incrementare enormemente il numero di province direttamente controllate dai governatori romani. La conquista di questi territori, inoltre, non arricchì Roma solo dal punto di vista economico. Essa comportò l'introduzione di nuove idee, valori, modi di pensare. È in questo momento che la classe dirigente imparò il greco come sua seconda lingua (si arrivò ad un un bilinguismo culturale). La classe dirigente si acculturò nei campi del sapere dove Atene era stata maestra, andando a scuola da filosofi e oratori greci. Questi furono tutti strumenti che influenzeranno non poco la vita politica e giudiziaria di Roma, contribuendo inoltre alla formazione di questa scienza giuridica. Questo allargamento culturale di Roma, contribuì a indebolire quella certezza che i romani avevano sempre riposto nella tradizione e nei valori costitutivi della Repubblica. Infatti vennero meno anche i valori costitutivi della res publica. LA TRASFORMAZIONE DELLA SOCIETÀ ROMANA—>Uno degli effetti più significativi dell'espansione territoriale di Roma, fu la trasformazione della città che mutò radicalmente le sue caratteristiche. I principali cambiamenti sono: 1. Un aumento esponenziale delle ricchezze: concentrate nelle mani dell'aristocrazia e del ceto equestre. 2. L’investimento di queste ricchezze in attività remunerative, che a loro volta comportavano un ulteriore arricchimento. Fra le principali attività occorre ricordare: • gli investimenti immobiliari: realizzati attraverso l’acquisto di insulae , i "palazzoni" dove abitava la plebe (le insulae sono le case dei romani. Per il numero di persone che ospitano, potrebbero essere definiti dei villaggi messi in verticale. La loro altezza è considerevole, spesso superando i 21 m. I primi piani delle insulae erano i più lussuosi, destinati a ricchi professionisti o a magistrati minori, che impreziosivano la loro casa con preziosi arredi. Più si salivano i piani, più aumentava la povertà; il motivo è semplice: gli abitanti dei piani superiori, in caso di incendi, che erano molto frequenti a Roma, avevano meno probabilità di uscire vivi dal caseggiato). Questi palazzoni, una volta acquistati, venivano concessi in affitto a un amministratore professionista. Tra i proprietari e l’amministratore c'era un accordo: il proprietario dava in affitto tutti i piani alti dell'amministratore per 5 anni e in cambio chiede solo il canone dell'appartamento al piano terreno, che spesso ha il costo di una domus patrizia. L'amministratore, inoltre, dovrà impegnarsi a mantenere il decoro del palazzo, effettuare le dovute manutenzioni e riscuotere gli affitti. • L'acquisto di proprietà fondiaria: un investimento facilitato dall'abbandono delle terre da parte dei contadini che, a causa della lunga guerra contro Cartagine, avevano passato gran parte la loro vita lontano dai campi. Non era facile per costoro tornare, una volta lasciato l'esercito, a "zappare la terra”. Appariva molto più conveniente trasferirsi in città per dedicarsi al commercio o arruolarsi per le guerre d'oriente, nella speranza di collezionare ricchi bottini.Si assistette quindi a una grande attività di spopolamento delle campagne, questo ridusse semplicemente il problema del sovrapopolamento. • Il largo utilizzo di manodopera schiavista: La nascita di enormi tenute agricole, sottoposte al controllo di pochi aristocratici romani, rese necessario l'uso massiccio di manodopera schiavista. Gli schiavi vennero utilizzati in vari settori (agrario, minerario, navale). Accanto a questi schiavi "non specializzati" ve ne erano erano altri la cui importanza fu fondamentale per la crescita culturale ed economica di Roma: artisti, letterati, filosofi, commercianti, esperti nelle materie economiche, artigiani. La loro influenza non deriva tanto dai servigi che essi fornivano ai loro padroni quanto dalla possibilità di questi ultimi di liberarli, riconoscendogli la cittadinanza romana. Divenuti liberi questi schiavi costituivano un nuovo gruppo sociale, le cui differenze sociali e culturali avrebbero contribuito all'arricchimento della società romana. La manomissione degli schiavi acquista ancora più importante se si tiene conto che i figli di ex schiavi, nati dopo che i loro genitori erano stati liberati erano considerati ingenui, cioè cittadini a tutti gli effetti capaci di ascendere alle magistrature superiori. Da questo punto di vista Roma è una delle società più aperte del mondo antico. LA TEORIA DELLA COSTITUZIONE MISTA—> Verso la metà del II secolo a.C. un grande storico greco, Polibio, si interroga sui motivi dello straordinario successo politico di Roma. Secondo lo studioso il vantaggio di Roma sarebbe derivato dalla sua capacità di coniugare insieme le tre forme di governo che caratterizzavano tutte le società umane: il potere monarchico (identificabile nella forza dei consoli); il potere aristocratico (dei senatori) e il potere democratico (dei comizi). L'analisi di Polibio è interessante in quanto ci permette di capire che a differenza degli 27 ancora restati fuori e di estendere agli alleati italici i benefici che erano stati dei latini (commercium e conubium ). Il Senato cercò di isolare Gaio facendolo contrastare da Druso (altro tribuno) che si scagliò contro la proposta di Gaio di estensione della cittadinanza e cancellò successivamente la politica graccana con la Lex agraria epigrapicha (111 a.C. ). riconsolidò gli antichi possessi di ager publicus trasformati in proprietà e permise l'alienabilità delle assegnazioni graccane in modo da far recuperare le terre agli antichi possessori. ——————————————————————————————————————————— Capitolo 11—> IL TENTATIVO DI RESTAURAZIONE SILLANA E IL TRAMONTO DELLA REPUBBLICA LE RIFORME MILITARI DI MARIO E LA CRISI ITALICA—> La sconfitta dei Gracchi non aveva risolto i problemi che le loro proposte avevano cercato di superare: - la crisi demografica con i fenomeni di inurbamento. - La pressione degli italici per la cittadinanza Negli anni immediatamente successivi alla morte di Gaio Gracco, vi fu una difficile campagna militare contro l’invasione dell’ Italia da parte di popolazioni celtiche e germaniche. La campagna venne guidata da un bravo generale di origine plebea : Gaio Mario, che riuscì a difendere la penisola. Durante questa campagna Gaio Mario dovette affrontare un problema fondamentale: la crisi dell'esercito romano, causata dall'assenza di quella classe di contadini-soldati che fino a quel momento avevano formato la base delle legioni romane. Mario, per risolvere il problema, arruolò volontari tra i cittadini nullatenenti, attirati dal soldo e dal bottino. Questo porterà ad una trasformazione dell'esercito romano: da un esercito composto da contadini-soldati fedeli alla resa pubblica a un esercito di mestiere, i cui veterani avrebbero avuto una più diretta e esclusiva fedeltà nei confronti dei propri comandanti. Gli stessi comandanti, alla fine del loro comando, erano sempre più restii a rientrare nei ranghi come semplici membri dell'aristocrazia senatoria. Dopo la fine della campagna militare contro i Celti e i Germani, Mario viene eletto ripetutamente al consolato. Per lunghi anni dominò il panorama politico romano come membro del "partito" popolare. Nonostante il suo prestigio, la guida effettiva del "partito" era stata assunta dai più radicali Saturnino e Glaucia. Saturnino e Glauca si rivelarono i due cervelli del partito popolare. I loro obiettivi erano: - distribuzione di grano alla plebe a prezzi irrisori - fondazione di colonie oltremare - la distribuzione di terre ai veterani di Mario - una nuova legge giudiziaria - Molto pericolosa fu la la Lex Appuleia de maiestate minuta: che ampliava la figura del crimen maiestatis con cui si colpivano i reati politici. Saturnino e Glauca raggiunsero il culmine della scelleratezza quando nel 100 a.C. per farsi rileggere come tribuni della plebe, assassinarono il candidato avversario. Questo evento portò il Senato emanare il senatus consultum ultimum, incaricando lo stesso Mario di intervenire contro i suoi alleati. Questo evento segnò il tramonto politico di Gaio Mario. La guida dei popolari fu assunta da Cinna, anche i tribuno della plebe. Negli stessi anni fece la sua comparsa sulla scena politica Livio Druso (figlio dell’ avversario di Gaio Gracco). La sua politica si discosta da quella paterna (che era contraria ai Gracchi), essendo per molti versi simile a quella dei Gracchi. Druso diede molta attenzione al problema dell'estensione della cittadinanza agli italici: come tribuno della plebe presentò ai comizi una proposta di legge che prevedeva una progressiva concessione della cittadinanza romana agli alleati italici. Il senato bloccò l'approvazione della legge e i più oltranzisti assassinarono Druso. Di fronte a questa chiusura dei romani sul tema della cittadinanza, scoppiò una ribellione delle città italiche, che rivendicavano quella estensione della cittadinanza più volte promessa dai politici del partito popolare. Il motivo della rivolta degli italici è che queste città erano effettivamente oppresse da Roma che le teneva la giogo. L'ambizione della maggior parte degli italici e dei latini era dunque quella di ottenere una completa parificazione con i romani. Roma reagì inizialmente alla rivolta ricorrendo all'uso della forza. Ben presto, tuttavia, il Senato si rese conto dell'impossibilità di piegare gli alleati italici ricorrendo alle armi e decise dunque di seguire un'altra strada. Nel 90 a.C. venne adottata la Lex iulia de civitate latinis et sociis danda: essa riconosceva la cittadinanza romana ai latini e a tutte le città italiche che avessero deposto le armi contro Roma. 30 Subito si presentò il problema della trasformazione delle numerose comunità italiche in municipi romani. L'aristocrazia romana, inoltre, voleva evitare che queste nuove città acquisissero eccessivo potere per questo agirono in due direzioni: - da un lato il quadro i nuovi cives in un numero molto limitato di tribù così da circoscrivere il loro peso politico. - Dall'altro stabilì la regola per cui le riunioni comiziali avvenissero a Roma con l'ovvia conseguenza che non tutti poterono recarvisi. L'estensione della cittadinanza portò, in ogni caso, ad un rapido mutamento linguistico della penisola a favore del latino, e al deperimento delle tradizioni autoctone (soprattutto giuridiche). L’ AFFERMAZIONE DI SILLA—> Della crisi fra Roma e i suoi alleati italici approfittò Mitridate, re del Ponto che, dopo essere stato provocato da un'avventurosa spedizione contro di lui da parte di un modesto esercito locale, guidato da forze romane, invitò la popolazione dei piccoli staterelli ancora indipendenti e delle numerose città assoggettate da Roma a massacrare tutti i commercianti romani e italici che si trovavano nei loro territori. Roma non poteva sopportare un simile affronto e per questo viene mediata mente organizzare una campagna militare contro Mitridate il cui comando venne assegnato a Lucio Cornelio Silla, esponente del partito degli optimates. Durante questa campagna militare, nota con il nome di prima guerra Mitridatica, Lucio Cornelio Silla riuscì a cacciare Mitridate dalla Grecia, ma dovette ritornare immediatamente a Roma. Durante la sua assenza, infatti, i contrasti fra optimates e populares avevano raggiunto un punto critico. Fu un susseguirsi di leggi comiziali incompatibili e contraddittorie, abusi, violazioni, iniziarono i processi criminali de maiestate avviati dai popolari per eliminare esponenti dell’aristocrazia e proposte di senatus consultum ultimum per spezzare la forza dei populares. Questa guerra civile assunse particolarmente evidenza durante la prolungata assenza da Roma di Silla. Il partito popolare (prima Mario poi Cinna) iniziò forti persecuzioni e assassini nei confronti dei membri del partito senatorio compresi gli stessi familiari di Silla. Ma La vendetta di Silla non si fece attendere: tornato in Italia nel 82 a. c., vittorioso dalla Grecia marciò militarmente contro Roma, debellando l'armata dei capi popolari messa davanti alle porte della città. Una volta entrato in città impose un ordine legale fondato sul terrore. Vi furono stragi e massacri dei membri del partito popolare attraverso delle liste di proscrizione, mediante le quali i capi popolari e avversari personali di Silla furono dichiarati nemici della Repubblica, i loro beni vennero espropriati e poi uccisi. A questo punto Silla decise che era il momento di ottenere il pieno controllo sulla Repubblica romana. Nell'82 a. c. fece approvare dai comizi centuriati, ormai sottoposti al suo volere, la Lex Valeria de Sulla dictatore: questa attribuì a Silla i poteri assoluti in qualità di "dittatore per ricostruire la Repubblica e scrivere le leggi". Silla rimase in carica 3 anni. Allo scadere del termine, pur potendo rimanere dittatore a vita, si ritirò non ritenendo necessari i poteri che gli erano stati conferiti. LE RIFORME SILLANE—> Durante i 2 anni in cui fu dittatore, Silla introdusse una serie di riforme finalizzate a riaffermare l'antica centralità del Senato come sede primaria della politica, limitare il potere del tribunato della plebe e contrastare la crescita e il peso politico dei comandi militari. 1. restituì al Senato il controllo dell'intero sistema criminale romano. 2. Riaffermò il controllo senatorio sui processi legislativi: stabilendo nuovamente che una legge dei comizi potesse considerarsi valida solamente se confermata dal Senato successivamente alla sua approvazione in assemblea (non era più sufficiente l'autorizzazione preventiva al magistrato che proponeva la legge ai comizi). 3. Reintegro le file dei senatori: Il cui numero era notevolmente diminuito nel corso delle lotte sociali che si susseguirono dai Gracchi fino al dominio di Silla. Quest'ultimo fissò a 600 il numero dei senatori, con il chiaro scopo di inserire molti esponenti della classe equestre, in modo da garantire un'integrazione dei gruppi sociali al vertice della Repubblica, la nobiltà e i cavalieri, chiaramente in funzione anti- plebea. 4. Ridisegnò il tribunato della plebe: con lo scopo di impedire che questi magistrati potessero compiere atti eversivi (anti- aristocratici) come era accaduto con i Gracchi. Per questo motivo stabilì: 31 - la preventiva approvazione dei candidati da parte del Senato (fino a quel momento erano eletti liberamente dall'assemblea popolare); - la regola per cui coloro che avevano ricoperto questa magistratura non potevano rivestirne altre (in particolare quelle cum imperio) - Una drastica riduzione dei loro poteri: l'intercessio poteva esplicarsi solo a favore del singolo cittadino colpito da un atto di un magistrato, non potendo più essere utilizzato per paralizzare decisioni che investivano l'intera città (o meglio l'intero territorio di Roma). La riforma imposta da Silla al tribunale della plebe appare contraddittoria: il tribunale della plebe, infatti, era uno degli organi che meglio rappresentava la tradizione repubblicana, fondata sull'equilibrio dei poteri attraverso la condivisione di ogni singolo potere da parte di più soggetti. Con il ridimensionamento dei tribuni, Silla finì con l'intaccare la tradizione repubblicana ancora di più rispetto a quanto aveva fatto in passato la fazione dei populares. 5. soppresse le frumentationes: uno strumento utilizzato fino a quel momento dai capi popolari per ottenere supporto della plebe urbana. 6. Accentuò la distinzione fra governo civile per (Imperium domi) e comando militare (imperium militae): questo al fine di evitare che qualcuno, imitando il suo esempio, marciasse su Roma in armi e imponesse a tutti la sua politica. La decisione di Silla fu molto efficace: vietare l’esercizio dell'imperium militare all'interno dei confini sacri di Roma. Questa decisione spogliò definitivamente i consoli dell'imperium militae, affidandolo alle promagistrature. 7. Definì più precisamente il corsus honorum: proibendo il rinnovo delle magistrature per più anni di seguito e specificando l'età per accedere a determinate cariche. 8. Riaffermò la competenza e la libertà del Senato nell'assegnazione delle province e aumentò il numero di magistrati minori e pretori. Fino alla fine del II secolo a.C. il sistema di repressione dei comportamenti delittuosi era molto debole, soprattutto se paragonato al processo civile. 1. Inizialmente erano pochi i crimina che venivano perseguiti dalla città direttamente, la maggior parte richiedevano la reazione diretta e personale degli offesi. 2. Nel corso del tempo si ampliò l'intervento diretto della città: che si realizzò diversamente: - per i reati maggiori: la competenza spettava ai pretori (in quanto magistrati dotati dell'impero) e ai tribuni della plebei. - Per i reati minori: invece, erano giudicati dai questori e dagli edili a meno che non si fossero stati colti in flagrante, in questo caso la repressione era esercitata direttamente dai tresviri capitales (magistrati con poteri di polizia). I tresviri capitales operavano irrogando direttamente sanzioni come: la fustigazione, in incarceramento e per i reati più gravi istituivano il procedimento criminale. Tuttavia si era registrata la sottrazione dei giudizi criminali alla competenza esclusiva dei magistrati mediante la provocatio ad populum (i magistrati avevano solo una funzione istruttoria, mentre la funzione giudicante era passata all'assemblea popolare. I limiti imposti dai magistrati furono poi rafforzati dalle leges porciae : con esse la provocazione dei cittadini romani contro la loro fustigazione si estese anche nel caso in cui essi si fossero trovati fuori da Roma e dalle province. Il problema della provocazione ad popolum è che l'assemblea popolare, convocata per giudicare il soggetto responsabile di un grave crimine, era da una parte influenzata politicamente e, dall'altra, condizionata dall'emotività tipica di ogni riunione di persone in numero elevato. Questa situazione porta alla necessità di una riforma di tale sistema LE QUAESTIONES PERPETUAE—> La riforma interviene stabilendo che i processi più gravi e delicati, in particolare se vedevano l'imputato un membro della classe senatoria non fossero risolti mediante la provocatio ad popolum bensì affidandone la soluzione ad un magistrato cum imperio, coadiuvato da un consilium di senatori. Questo schema inizialmente utilizzato per specifici reati (come la corruzione, il broglio, gli attentati alla sicurezza della Repubblica) vennero inizialmente indicati come questiones extraordinarie (eccezionali). Con il tempo, tuttavia, alcuni di questi procedimenti divennero ordinari (questiones perpetuae) portando alla qualificazione di diversi reati che dovevano necessariamente essere giudicati seguendo questo sistema. Eccone alcuni esempi: - concussione ai danni dei provinciali: un reato particolarmente diffuso a Roma; - alto tradimento e comportamenti pericolosi per l'ordine pubblico; - sottrazione di beni pubblici; 32 Il potere di Cesare era fondato sull'attribuzione di diverse cariche, solitamente appartenenti ad individui differenti: - console (dal 45 per 10 anni) - proconsole (per il comando dell’esercito) - dittatore (dal 45 a vita) - Censore: carica attribuita a Cesare dai comizi - imperatore: titolo attribuito ai magistrati al comando di un esercito vincitore. (con Cesare diviene parte del suo nome e trasmissibile agli eredi.) - Col tempo acquisì poteri del Senato: come il potere di attribuire il governo delle province ai vari magistrati. - Accumulo anche simboli di prestigio personale: come la toga purpurea che veniva indossata solo dei magistrati nel giorno del trionfo, la corona d'alloro e una guardia personale composta cavalieri e senatori. Tutte queste cariche gli permisero, nel giro di pochissimi anni, di riformare ogni aspetto dell’istituzioni e della società romana: 1. Riprese il processo di integrazione: estendendo la cittadinanza alla Galia Cisalpina 2. Portò a 900 i senatori: includendo tra essi alleati e Galli appena divenuti cittadini. Con il chiaro scopo di porre all'interno del Senato degli uomini a lui fedeli (in modo da bilanciare gli esponenti aristocratici che, anche se celatamente, tramavano contro di lui). 3. Pose le basi per la formazione dell'impero municipale: pur mantenendo il potere centrale a Roma, organizzò un sistema periferico caratterizzato da ampi margini di autonomia organizzativa. 4. Contrastò la sfruttamento delle province: Cesare, infatti, credeva che il loro eccessivo sfruttamento avrebbe portato a grandi tensioni oltre che alla distruzione della ricchezza presente sul territorio. Per questo limitò questo “sciacallaggio”. 5. Favorì i processi di organizzazione anche nelle province. 6. Distinse le province in 2 differenti categorie: a seconda che fosse necessario o meno un penetrante controllo militare. 7. Portò il calendario 365 giorni. Il calendario giuliano è un calendario solare, cioè basato sul ciclo delle stagioni. Fu elaborato dall’ astronomo greco Sosigene di Alessandria e promulgato da Giulio Cesare (da cui prende il nome), nell'anno 46 a.C. Esso fu da allora il calendario ufficiale di Roma e dei suoi domini; successivamente il suo uso si estese a tutti i paesi d'Europa e d’America. 8. Fece, a Roma, diversi piani di sistemazioni urbanistica e vasti programmi di opere pubbliche. 9. A livello legislativo tentò di eliminare le dissipazioni e i lussi eccessivi: razionalizzò il sistema normativo con la codificazione dell'intero sistema del diritto civile. Con la concessione della cittadinanza cerano state pesanti pesanti conseguenze per le varie comunità: la condizione per l'acquisizione della cittadinanza romana era infatti la rinuncia agli antichi sistemi giuridici: questo processo non fu sicuramente di breve durata in quanto la sostituzione del diritto romano era difficile e richiedeva tempo. Tuttavia con con Cesare si concluse la lunga storia della graduale assimilazione del mondo italico. Piano piano, l’ Insieme dei diritti privati venne indicato con l'espressione ius italicum, che assunse la fisionomia di un vero statuto giuridico concesso a comunità e individui nelle province. I territori soggetti a tale regime furono esonerati dal pagamento dell'imposizione tributaria ordinaria. non sappiamo se il numero delle tribù aumentò e se si fosse preservato l'antico criterio di distribuzione dei cittadini in base alla localizzazione delle proprietà fondiarie oppure se si fosse imposto un nuovo criterio fondato sulla loro residenza. Gli abitanti municipali vennero considerati da un lato come appartenenti alla comune patria romana ma anche distinti per la minore patria d'origine: la prima rappresentava la comune identità giuridico istituzionale, la seconda definiva l’origine concreta (origo). Era impossibile per coloro che non fossero di Roma recarsi ai comizi, ma soprattutto c’era stato un deperimento dei comizi. Così la fisionomia giuridico-amministrativa dell’Italia si trasformò: ogni centro cittadino moltiplicò in piccolo il sistema di governo romano: con il suo senato (i decurioni: avevano la gestione finanziaria delle risorse necessarie alla vita della comunità), i suoi magistrati, le loro assemblee, il Foro e il piccolo Campidoglio dove c’erano i templi per le divinità 35 romane. Si viene quindi a creare un sistema di autogoverno fondato sul controllo di gruppi dirigenti locali. L’ immenso potere di Cesare unito al prestigio e alla popolarità aveva creato intorno a lui un clima di inquietudini che portarono a complottare contro di lui. Il 15 marzo (famose idi di marzo) del 44 a. C. Cesare venne pugnalato in Senato con 23 coltellate, il che ci fa comprendere che nell'ultimo periodo fosse isolato sulla scena politica e le sue accelerazioni erano forse state eccessive. Ad alimentare le incertezze e i sospetti furonoanche i preparartivi per la guerra contro i Parti , che fecero pensare ad un generale spostamento della sede centrale di Roma ad Oriente, dubbio accentuato dalla sua relazione con Claeopatra non più privata visto che venne a Roma con il figlio Cesarione (avuto insieme). Tutti aspetti che lo diceva avvicinavano sempre di più la fisionomia di un monarca orientale. Tuttavia fu fin da subito evidente la fragilità del sistema politico, in quanto i congiurati, in seguito all'uccisione di Cesare continuarono a rifarsi solo ed esclusivamente all'antica libertas repubblicana, che però non era più possibile dopo gli stravolgimenti apportati da Cesare: era perciò evidente che la precaria ripresa dell'aristocrazia poteva durare solo fino a quando i capi del partito popolare non fossero riusciti a formare un fronte compatto. Infatti nel 43 a.C. si arrivò all'accordo tra Antonio e Ottaviano. Appunto per la debolezza del piano dei congiurati si imposero al centro della scena politica gli eredi di Cesare, i quali grazie ad una specie di tregua armata poterono organizzarsi meglio dopo aver trovato un accordo sulla spartizione dell'eredità politica di Cesare firmando il SECONDO TRIUMVIRATO. Questo secondo triumvirato attribuiva ampissimi poteri di governo e l’imperium militae a Marco Antonio (collaboratore e generale di Cesare) a Gaio Ottaviano (pronipote e erede di Cesare) e a Marco Lepido (eminente capo popolare). La carica era quinquennale e sarebbe scaduta nel 38. Vi fu subito una nuova stagione di sanguinose vendette fondata sul sistema delle liste di proscrizione sillane. Tutti i congiurati, molti membri della nobiltà senatoria e del ceto equestre furono inseriti nelle liste (non solo per motivi politici ma anche economici, tra questi figurava anche il senatore Cicerone). Nel 42 a.C. a Filippi le legioni di Ottaviano e Antonio sconfissero definitivamente l'esercito di Cassio e Bruto, che si suicidarono, segnando la fine della tradizione repubblicana. LO SCONTRO TRA OTTAVIANO E ANTONIO—> Il triumvirato tra Ottaviano, Antonio e Lepido che aveva ben funzionato cominciava a stare stretto ai 3 triumviri in tempo di pace. Per evitare che si giungesse ad un cconflitto viene trovato un accordo che prevedeva una spartizione territoriale delle competenze: - Ad Antonio: venne assegnato l'oriente, parte più ricca e popolosa dell’impero - Ad Ottaviano: l'Italia e le province occidentali. - A Lepido: l’Africa. Ben presto Lepido venne esaurendo escluso dai suoi poteri. Nel 37 a.C. viene stipulato un nuovo triumvirato in cui tutti i poteri vennero suddivisi fra Antonio Ottaviano, mentre Lepido fu solamente concessa la carica onorifica di pontefice massimo. Una volta rimasti solamente in due al potere, divienne inevitabile lo scontro. Antonio assunse un atteggiamento che l'avrebbe portato rapidamente alla rovina. A indebolire la posizione di Antonio furono: - il fallimento della spedizione contro i Parti, che si concluse con il solo assoggettamento dell'Armenia, che sarebbe stato uno Stato cuscinetto contro i Parti. - La creazione e il riconoscimento di piccoli Stati e monarchie piuttosto che annetterli. - Il dubbio che egli volessi spostare in Oriente il cuore politico, dubbio dovuto allo scioglimento del matrimonio con Ottavia (sorella di Ottaviano) e il matrimonio con Cleopatra. - La lettura del suo testamento da parte di Ottaviano, testamento in cui veniva espresso il suo desiderio di lasciare tanti piccoli Stati orientali ai figli di Cleopatra, assumendosi così le prerogative di un vero sovrano orientale. Ottaviano aveva invece rafforzato la sua posizione: - sconfiggendo Sesto, figlio di Pompeo - difesa dell'antica centralità di Roma e dell'Italia rispetto alle tendenze orientalizzante di Antonio, nonostante Antonio fosse un ottimo generale e rispettasse ciò che diceva, a differenza 36 di Ottaviano, che se poteva veniva meno e non aveva grandi abilità militari, egli prevalse per la sua superiore capacità politica: scelse grandi generali (Agrippa) e soprattutto nei 10 anni successivi a Filippi non fece altro che accrescere la sua popolarità, mantenendo un atteggiamento cauto con l'aristocrazia senatoria e propugnandosi difensore degli interessi italici. Alla fine del 32 a.c. Ottaviano entrò in guerra contro Cleopatra: Antonio si vede quindi costretto ad entrare in guerra a fianco di Cleopatra, diventando così hostis rei pubblicae, essendo Cleopatra nemica di Roma. Antonio entrò in guerra nelle peggiori condizioni possibili, con un esercito demoralizzato: messa alle strette la sua flotta ad Azio non combattè preferendo invece raggiungere Cleopatra che si era subito sottratta allo scontro. Antonio e Cleopatra così si uccisero nel 31 a.C. ad Alessandria determinando la fine delle guerre civili. ——————————————————————————————————————————— Capitolo13—> AUGUSTO E LA COSTRUZIONE DI UN NUOVO MODELLO POLITICO- ISTITUZIONALE Ottaviano doveva provvedere a formalizzare il nuovo sistema di potere, cosa che fece in un arco di tempo relativamente lungo. Possiamo distinguere diverse fasi che lo portarono ad ottenere il potere assoluto a Roma. Nel 27 a.C. si fece eleggere console con il fidato Agrippa. Immediatamente: - assunse la funzione di Princeps del Senato, al quale sembrò restituire prestigio e annunciò che la crisi della Repubblica era finita. Successivamente al 27 a.C. egli da princeps Senatus divenne princeps universorum (di tutti) a sottolineare il suo ruolo di preminenza nella res pubblica e il fondamento militare di tale potere. - mantenne costantemente i poteri della tribunicia potestas (poteri di veto, dei tribuni della plebe). Assunse il controllo militare attraverso l'imperium in tutte le province non pacificate. - Ottenne dal Senato la nuova designazione di Augustus: a sottolineare la sacralità del suo ruolo. Inoltre da Cesare ottenne il prenome un “imperator”. - Nel 23 a.C. capì che non aveva più senso circoscrivere le sue funzioni attraverso l'elezione di una magistratura repubblicana. Il potere, infatti, gli era assicurato dal carattere sacro santo della sua persona che gli permetteva: • di convocare i comizi • Di esercitare il veto contro ogni possibile iniziativa dei magistrati: un potere derivante dalla tribunicia potestas (a vita) • di convocare e presiedere il Senato assumendo preminenza su esso (lo ius agendi cum patribus tipico dei consoli) • Di esercitare i suoi poteri proconsolari, per interferire anche sulle province senatorie che si trovavano oltre il pomerio. • Di esercitare la funzione di censore: con censimenti e revisioni dei ranghi del Senato. Nel 22 a.C. ripristinò l'ordinaria coppia di censori, scegliendo due illustri senatori per ricoprire tale carica. Nel corso dei suoi lunghi anni al potere, declinò molte cariche che richiamavano al periodo della guerra civile come il dictator, il censor perpetuus.., perché non si voleva ricollegarsi alle antiche cariche magistratuali. La politica di Augusto fu senza dubbio geniale: onde evitare di essere accusato di voler ripristinare la monarchia, egli inizialmente conserva tutte le strutture tipiche della Repubblica romana ma arrogandosi la maggior parte dei poteri. Questo enorme potere personale, garantito dal pieno controllo dell'esercito, sono alla base dell'avvento di Ottaviano come imperator Caesar Augustus.Il suo principato durò molti anni (fino al 14 d.C.), ciò gli permise di dare stabilità al suo progetto politico realizzando la pax augustea (simboleggiata dall’ ara pacis costruita nell’ 8 d.c.), e avviando, grazie alla straordinaria durata del suo impero, il secolo d’oro augusteo, caratterizzato finalmente da pace e certezze. Augusto eviterà le brusche accelerazioni che Cesare aveva tentato di dare al sistema politico- istituzionale romano, mantenendo i valori della tradizione repubblicana e confermando un ruolo alle antiche istituzioni (in primis il Senato). Il suo governo sarà caratterizzato dall'equilibrio tra le antiche istituzioni e il nuovo sistema politico in cui il potere è accentrato nelle sue mani ma, sebbene appaia come una monarchia, sarà da 37 giurisdizione criminale entro 100 miglia da Roma). I titolari di tale carica, nominati direttamente dal principe, dovevano appartenere alla classe senatoria e aver gestito il consolato. 2. il comando delle truppe scelte per proteggere Roma fu affidato al prefetto del pretorio, la carica più elevata a cui potevano aspirare gli esponenti del ceto equestre. Per proteggere la città eterna furono stanziate 9 corti da 1000 uomini. Questa carica si sviluppò notevolmente nel tempo: estendendo la competenza nel campo della giurisdizione sotto il controllo del principe; assumendo il comando delle armate romane. Col tempo, infine, divenne una sorta di vicario dell’imperatore. 3. Il controllo sui mercati e l'approvvigionamento di Roma venne affidato al prefetctus annonnae: Di ceto questo è sotto il controllo del princeps. 4. La prevenzione e la difesa della città degli incendi venne affidata al praefectus vigilum, scegliendo tra gli esponenti del ceto equestre. In virtù delle sue funzioni da censore, che gli imponevano di esercitare un controllo sulle attività economiche di Roma, il principe agisce su diversi fronti: 1. assunse, attraverso l'opera di curatores (appartenenti al ceto equestre), la gestione e la tutela dell'immenso patrimonio immobiliare di Roma. I monumenti religiosi e pubblici, le vie, gli acquedotti, le fognature e altre strutture pubbliche a Roma e in Italia furono sottoposte all'attenzione, in diretta, del princeps. 2. Un campo molto importante fu la segreteria del principe: necessaria al coordinamento dei vari uffici del governo centrale. Questo fu reso possibile grazie a una fitta e ben organizzata rete di comunicazione. Generalmente tale ruolo viene ricoperto da funzionari scelti nel ceto equestre coadiuvati da liberti imperiali. 3. Il patrimonio privato dell'imperatore (res privata) fu progressivamente inserito nel sistema delle finanze pubbliche e gestito secondo le logiche delle grandi signorie aristocratiche fondate su schiavi e liberti. L'istituzionalizzazione del patrimonio personale del principe portò da una parte alla concentrazione verso di esso di nuovi flussi economici. Conseguenza di questo fu che il nuovo patrimonio privato non sarebbe stato devoluto secondo le logiche della successione ereditaria privatistica, ma trasmesso al successore nel potere imperiale e affidata a un procurator a patrimonio. 4. Altro organismo fondamentale creato da Augusto fu il consilium principis,con il compito principale di garantire i suoi rapporti col Senato (essendo composto da molti senatori) col tempo assunse un valore molto più ampio ricomprendendo esponenti autorevoli del vertice del sistema di governo imperiale e i migliori giuristi (con Adriano non solo venne riconosciuta l’appartenenza al consilium, ma i partecipanti vennero anche retribuiti). IL FISCO—> Un settore dove Augusto incise profondamente fu la politica finanziaria monetaria dell'impero. 1) Disciplinò le competenze riguardo il diritto di battere moneta (da sempre del Senato), attribuendo a se stesso la monetizzazione d’oro e d’argento e al Senato quella di bronzo (per rispettare formalmente quel dualismo principe-Senato che caratterizza il suo governo). 2) Introdusse, a fianco all’ aerarium populi, un nuovo tesoro. L’aerarium populi diventò il tesoro amministrato dal senato romano, mentre il princeps ne creo uno nuovo denominato fiscus. Vero è che il Princeps aveva il controllo generale dell'intero sistema fiscale, compreso l’aerarium populi. In sostanza si veniva così a creare un dualismo nell'amministrazione finanziaria imperiale con la separazione tra due fondi, uno appartenente al Populous e un altro al princeps. 3) Costruire casse separate (rationes) per vari settori della spesa pubblica: bilancio militare, spese per il sistema burocratico, acquisendo la gestione diretta delle entrate. Molto importante tra queste è l’aerarium militare (gestito da 3 praefecti di rango pretorio che rispondevano al principe, nel quale confluivano varie imposte di successione e contributi diretti del principe) con la funzione di supportare parte delle spese militari (non il pagamento delle truppe) e principalmente la liquidazione dei veterani (prima in terre poi denaro) di cui doveva conservarsi la fedeltà. Questo complesso sistema fiscale lasciava ampio spazio a possibili conflitti. Per questo motivo per tutelare l'impero vennero nominati vari giuristi e, con Adriano, venne istituito l’advocatus fisci, chiamato a rappresentare l'interesse dell'amministrazione finanziaria nei rapporti con i privati e nei relativi contenziosi. Claudio invece istituì il procurator a rationibus con il compito di tracciare una specie di bilancio generale dello Stato. 40 IL GOVERNO PROVINCIALE—>Il sistema istituzionale delineato da Augusto e il rallentamento dell'espansione militare romana, resero possibile un periodo di pace (non a livello imperiale e delle Élite, che continuavano con congiure, omicidi e lotte di potere) avvertito sia livello centrale che provinciale. Questo sistema continuò a funzionare fino a Marco Aurelio. Il primato di Roma e dell'Italia non aveva impedito un processo di romanizzazione delle elites locali: - Claudio (imperatore dal 41 al 54 d.C.) : inserì nel Senato esponenti provinciali e si impegnò in una politica di concessione della civitas romana a numerose comunità provinciali. - i Flavi al potere dal 69 al 96 d.C. (Vespasiano, Tito e Domiziano) : latinizzarono intere province. L’elemento che maggiormente permise alle elites provinciali di compiere questa "scalata sociale" fu l’esercito. Esso, infatti, permetteva di accumulare enormi ricchezze, sufficienti da garantire l'accesso al rango equestre; rendeva possibile la nomina delle magistrature superiori e il conseguente inserimento nella nobilitas senatoria o, come accadde a Vespasiano e a Traiano, l'accesso al principato. (Infatti Traiano venne adottato da Nerva e potè accedere ) Per quanto riguarda le province si vennero suddivisi in due categorie: 1. province populi romani: sotto il controllo del Senato e governate da proconsoli. 2. Province imperiali: governate dall'imperatore attraverso legati augusti princeps. Per quanto riguarda l'esazione fiscale, essa non venne più affidata in appalto ai pubblicani, i quali spesso erano responsabili spesso di un eccessivo aumento delle imposte, bensì ai procuratori imperiali. Ciò garantì un notevole miglioramento rispetto al precedente sistema degli appalti, evitando lo sfruttamento irrazionale delle fonti di ricchezza. La condizione dell'Egitto era particolare per le ricchezze e la produzione granaria fondamentale per l'approvvigionamento di Roma: Augusto agli occhi degli egiziani appariva come un erede dei faraoni che assumeva gli stessi onori divini e umani goduti dai Tolomei. L'Egitto era sottoposto ad un controllo diretto, attraverso un praefectus aegypti (carriera più elevata per coloro che erano di rango equestre): era vietato ai senatori e i più importanti membri del ceto equestre recarsi in Egitto senza l'autorizzazione imperiale. La situazione dell'Egitto non fu l'unica, ma c'erano anche altre province governate da praefecti o procuratores. L’APPARATO MILITARE—> il fondamento militare del nuovo potere imperiale e la professionalizzazione degli eserciti si era già realizzato con Gaio Mario. Nel I secolo del principato l'insieme delle legioni doveva aggirarsi intorno ai 150.000 uomini (sotto Augusto 25 legioni da 5000 uomini a cui devono aggiungersi gli ausiliari e la flotta). Il servizio militare durava 16 anni (+ 4 anni di riserva) che divennero quindi nel 5 d.C. 20 + 5. La liquidazione era conferita principalmente in denaro e non più in terreni. I veterani ottenevano anche una serie di privilegi: la cittadinanza romana, la legittimazione del matrimonio con la convivente (infatti durante il servizio non potevano sposarsi e avere figli). Salvo la sconfitta della selva di Teoburgo dove 3 legioni romane vennero distrutte da guerrieri germanici guidati da Arminio (comandante dell'esercito di Varo che decise di "tradire" i romani per mettersi a capo delle tribù germaniche che volevano combattere con il tentativo di occupare una parte di Roma) e salvo la conquista della Britannia meridionale sotto Claudio e della Dacia con Traiano, la strategia militare romana fu principalmente di consolidamento e difesa dei confini. Le armate romane erano stanziate al di fuori dal territorio italico. Nei porti di Ravenna e Miseno (Napoli) erano stanziate le flotte romane. Tali flotte erano alle dipendenze dei praefecti Classis, che avevano il compito di garantire la sicurezza delle coste italiche e anche di controllare le comunicazioni marittime. Questo portò ad una concentrazione maggiore dell'organo militare in alcune zone delle regioni e una diminuzione in altre. Il grosso fu messo ai confini dell'impero (corpi d'armata in Germania superiore inferiore, in Pannonia, in Cappadocia contro i parti e in Siria 4 legioni) I soldati spesso vivevano separati dalla civiltà urbana, vista la durata del servizio e la dislocazione in luoghi dove raramente sorgevano i centri urbani. Ai soldati era anche vietato di contrarre matrimonio con le donne locali anche se si crearono delle unioni permanenti poi regolate dei governatori romani. Inoltre lo sfruttamento dei territori più marginali costituì uno stimolo di avvio ai processi di urbanizzazione. Il sistema sviluppato da Augusto non era chiuso e definitivo. Vi fu un vero e proprio salto di qualità accentuato dei meccanismi conoscitivi e decisionali posti in essere dal sistema: la cancelleria imperiale era lo strumento indispensabile per governare l'universo imperiale. In 41 questo modo il sistema periferico era soggetto ad una costante opera di monitoraggio. Inoltre questa cancelleria comportava una specializzazione del personale reclutato dal principe. Il rapporto tra centro e periferia fu possibile perché fu attuato un po' un complesso sistema di circolazione dell'informazione delle direttive imperiali. In questo sistema assume importanza l'ufficio ab epistulis, strumento di comunicazione con l'esterno del principe diviso in 2 per la corrispondenza in latino e in greco (le due lingue dell'impero), sotto la direzione di 2 procuratori la cui retribuzione era molto alta (300.000 sesterzi). Augusto poteva emanare: • Edicta: rivolti alla provincia o a singole comunità, i municipi e alle colonie. I destinatari immediati erano i magistrati e i funzionari: essi avevano in genere contenuto normativo che poteva avere portata generale, rivolto cioè a tutti i cittadini. • Mandata: specifiche istruzioni ai governatori provinciali che riguardavano anche aspetti della vita giuridica. • Decreta: più strettamente riferiti alla sfera giuridica. Consisteva in una decisione giudiziale relativa una questione giudiziale sottoposta al principe, al di fuori del sistema ordinario del processo romano e che egli aveva ritenuto opportuno esaminare • Epistulae e rescripta: l'imperatore dava risposte ai quesiti a lui rivolte da giudici o da privati cittadini. Fornendo una soluzione per casi particolari qualora l'enunciazione si ispirava ad un criterio generale che andava oltre la singola questione: in tal caso la decisione imperiale era destinata a tradursi in una regola generalizzata e fonte di diritto nuovo. Quando il quesito era rivolto ad un giudice o a un funzionario la risposta veniva inviata con un'epistola, mentre in caso fossero i privati a mandarla la risposta si trovava alla fine del testo. ——————————————————————————————————————————— Capitolo 15 —> GLI SVILUPPI DEL NUOVO ORDINE IMPERIALE IL PROBLEMA DELLA SUCCESSIONE —> Uno dei maggiori problemi della nuova forma di governo era costituito dal meccanismo di trasmissione del potere. La somma dei poteri in cui si era sostanziata la figura del princeps derivava dall'investitura formale da parte del Senato e dei comizi. Augusto seguì 2 schemi paralleli ma distinti: 1. Da una parte, garantì la trasmissione delle tue sue prerogative al successore da lui selezionato facendolo sposare con la sua unica figlia Giulia e adottandolo. Inizialmente come successore venne selezionato Marcello, morto prematuramente, poi venne scelto Agrippa, storico generale di Augusto, anch’ esso morto prima dell'apertura delle successioni di Augusto. Infine la scelta del Princeps ricadde su Tiberio, un giovane e brillante soldato che si distinse per il suo talento militare conducendo numerose campagne lungo i confini settentrionali dell'impero, in Illiria (regione corrispondente all'attuale penisola balcanica) e rimediando alla disfatta di Teoburgo, attraverso l'invasione della Germania e la definitiva sconfitta delle tribù germaniche (il cui progetto era invadere i territori romani). 2. Dall’altra parte inserì immediaticamente il suo successore designato all'interno dei meccanismi del potere, affidandogli la titolarità dell'imperium proconsolare e della tribunitia potestas. Inoltre andavano coinvolti nel processo di designazione del successore anche il Senato e il popolo.Era quindi necessario riaffermare i poteri delineati dal senato: viene infatti creata la legge sull'imperium (Lex de imperio vespasiani, con cui il Senato aveva attribuito i poteri che erano stati assegnati ad Augusto). Si venne a creare quindi una vera e propria legge d’investitura dei poteri del principe. Mentre il popolo aveva perso importanza, avevano iniziato a questo non accadde ai pretoriani i quali iniziarono ad intervenire attivamente per acclamare il nuovo imperator. Per quanto riguarda ciò che accade dopo la morte di Augusto (nel 14 d.c) : nel corso del tempo la rilevanza dei comizi andò diminuendo, finché la delibera del Senato non assunse la forma di una Lex de imperio. Disponiamo oggi di uno straordinario documento in proposito costituito da un lungo testo, in cui è riportata incisa nel bronzo una parte della Lex de imperio vespasiani la quale sono specificamente elencate le facoltà e poteri attribuiti in blocco dal senatore e dal popolo al nuovo designato. 42 TRASFORMAZIONE DEL POTERE IMPERIALE—> Con Settimo Severo possiamo considerare concluso, in linea di massima, il lungo percorso iniziato da Augusto e che aveva avuto, soprattutto con Adriano, un momento di consolidamento. Attraverso un sistema di governo fondato sulla progressiva concentrazione del potere nella figura del principe e sul funzionamento di una complessa macchina burocratica militare, da lui dipendente, ma dotata di una logica propria, l'ambiguità iniziale si era risolta. Probabilmente a partire da Adriano, e ancor più con l'ulteriore sviluppo intervenuto da Settimo Severo possiamo affermare che avesse ormai preso consistenza il nucleo fondante di ciò che noi indichiamo con il termine “Stato”. È chiaro che termini come "Stato" sono inappropriati per descrivere la realtà storica romana. Tuttavia con Settimo Severo la complessa macchina burocratica arrivò ad essere equiparabile allo "stato" così come noi oggi lo conosciamo, anche se con le dovute differenze. Un ruolo essenziale l'aveva svolto il diritto e i giuristi. I giuristi infatti avevano aiutato il principe a identificare le funzioni svolte da un ufficio e definire i criteri che dovevano ispirare il loro lavoro e il diritto aveva plasmato l'architettura imperiale. Roma, infatti si distingueva dagli altri grandi imperi per l'attenzione alle regole e il riferimento ai criteri generici, ciò la rendeva più “moderna". Invece, i principali limiti per lo sviluppo della macchina burocratica nell'età del principato: - La limitatezza degli strumenti di governo e di intervento pubblico; - la mancata distinzione tra governo e amministrazione e il fatto che questo apparato militare fosse totalmente dipendente dal principe. - Un altra limitazione fu l’autonomia delle città a cui vennero lasciate anche funzioni di carattere amministrativo in quanto l’impero si fondava su un dualismo: una struttura centralizzata di governo per alcuni settori (sistema finanziario, controllo delle province e delle strutture militari) e un sistema periferico affidato alle città. Roma era caratterizzata da una tradizione politica in grado di assimilare i vinti e di trasformarli in una nuova componente dei vincitori. Pertanto si poté assistere alla rottura dei vincoli di sangue: Questo fu il vero spartiacque con il mondo antico. Gli stranieri conquistati potevano inafatti progredire per statuti successivi, prima latini, poi cittadini, gli schiavi potevano entrare all'interno della comunità dei liberi, i loro figli potevano nascere "ingenui" come i figli degli aristocratici romani e non c'erano delle limitazioni fondate sulle appartenenze etiche e religiose. Tutto ciò era un fatto nuovo. Altro aspetto fondamentale era dato dalla laicità del principe. A differenza dei faraoni egiziani egli non diventa espressione di un potere ultraterreno. Il potere dell’ imperatore consiste in una sorta di delega fatta dal popolo all’ imperatore. Le strutture portanti, come nel passato, erano l'esercito da un lato, e i vertici del governo e dell'amministrazione dall'altro ancora identificati con il ceto senatorio ed equestre. Anche allora, pur venissero riservate molte cariche a esponenti dell'ordine senatorio, il maggior numero di esse continuava a essere affidato a membri del ceto equestre, il quale costituiva il grande serbatoio per il governo imperiale. La vecchia aristocrazia senatoria era stata piano piano tagliata fuori e dall'età di Settimo Severo si era formato un Senato non più costituito dalle antiche famiglie patrizie dei membri della nobilitas Patrizio plebea, ma da militari e burocratici. Per questo il Senato mantiene l’ influenza ma non ha più il ruolo di fonte del potere politico- militare, ma costituisce il punto d'arrivo delle carriere dei detentori di tale potere. La svolta politica del principato augusteo rese possibile un ridisegno dei rapporti economici, con lo scopo di favorire la crescita economica dell'Italia, che si era già garantita ottime entrate con le esportazioni di vino, olio e arredi in ceramica prodotti in serie. Questo sviluppo venne favorito: - dall’introduzione in Italia di manodopera a buon mercato: ottenuta grazie alle varie conquiste belliche. - dai primi forzosi di beni servizi dalle province a favore del centro (che alteravano il funzionamento del mercato e la formazione dei prezzi ). Con Augusto e i suoi successori si vide la fine dei prelievi di tipo privatistico e uno sviluppo razionale del prelievo pubblicistico. L'unificazione politica, la sicurezza anche giuridica, le opere pubbliche, le strade, resero possibile lo sviluppo del modello economico di “Hopkins". Lo storico di Cambridge, analizzando la situazione di Roma nel periodo trattato, concluse che l'equilibrio dell'impero romano fu caratterizzato da un ciclo economico (definito sistema chiuso) nel quale il centro dell'impero importava ricchezza dalla periferia (cioè dalle province) grazie la sua supremazia politica, le periferie producevano e vendevano beni al centro in modo da poter pagare i tributi che venivano a 45 loro volta utilizzati dal centro per acquistare i beni delle province.Questo portò un indebolimento economico del centro che fu tuttavia compensato dallo sviluppo della periferia. Bisogna infine ricordare che sul sistema economico romano pesò sempre di più il costo della macchina da guerra romana, supportato interamente dalla base economica dell'impero unificato (e non autoalimentato dalla conquista come avveniva precedentemente). ——————————————————————————————————————————— Capitolo 16—> IL DIRITTO DEL PRINCIPE LO IUS RESPONDENDI —> La presa di Augusto ebbe grande applicazione nel governo della vita giuridica. Egli decise di non riorganizzare in un sistema unitario tutto il diritto romano, ma scelse una forma più diretta di intervento. Il fondamento dell'intero sistema era l’interpretatio dei giuristi associata all'editto del pretore giusdicenti. In apparenza nulla sembrò mutare in quegli anni: il pretore entrando in carica emanava il suo editto e i giuristi continuavano il lavoro di interpretazione dando responsa. In seguito i giuristi più apprezzati ebbero lo ius respondensi ex auctoritate principis (il diritto di dare responsa in base all'autorità del principe): non dava poteri specifici ma accresceva il potere dei beneficiari. Il parere di un giudice che aveva lo ius respondendi ex auctoritate aveva un valore vincolante per il giudice e l'opinione del giurista che beneficiava dello ius respondendi aveva un valore superiore all'opinione dei giuristi privi di questo riconoscimento ufficiale.Questo riconoscimento venne dato ai giuristi migliori di quel periodo, tutti appartenenti all'ordine senatorio. Solo in seguito lo ius respondendi fu concesso personaggi di rango inferiore che appartenevano anche al rango equestre. I giuristi vennero infatti introdotti nei settori più rilevanti dell'amministrazione e introdussero le logiche proprie del loro lavoro: il formalismo e l'attenzione per la coerenza logica. Aveva iniziato ad esserci la conservazione degli atti del principe mediante la cancelleria. Non meno importante fu il ruolo dei giuristi i quali ebbero il compito di selezionare quanto di questo materiale avrebbe potuto avere la forma di una disposizione generale per poi raccoglierlo come una vera e propria fonte autonoma di diritto. Era un nuovo corpo normativo per andare a integrare l'antico diritto (legge comiziali, interpretatio, mores e edicta ) di cui essi erano custodi. Il loro compito era quindi quello di comprendere cosa fosse più rilevante al fine di ridefinire i vari aspetti del diritto privato e delle istituzioni pubbliche. Infatti era possibile che gli atti imperiali nascondessero il loro nucleo in discorsi più ampi e ricchi di riferimenti e perciò il compito del giurista era quello di ridefinire il nucleo sintetizzandolo e chiarendolo. I vari tipi di costituzioni furono riunite in raccolte in modo da rendere più accessibile l'insieme degli interventi imperiali aventi un contenuto normativo: queste costituzioni assunsero cosi un valore analogo analogo alla legge. Inoltre i rescripta, i decreta e le epistulae del principe non stravolsero il patrimonio giuridico (di ius civile e ius honorarium) ma al contrario lo integrarono attenuando certi ostacoli (che derivavano da un'applicazione troppo logica e coerente delle soluzioni già sperimentate). Il coinvolgimento dei giuristi stimolò una riflessione teorica dell’ordinamento. GIUDICI E GIURISTI NELLA PRIMA ETA DEL PRINCIPATO—> L’ intervento del principe si fece sentire anche nel sistema processuale. Augusto con le leges iuliae iudicariae diede un'organica sistemazione all'intero settore. Va però definito un altro strumento processuale al di fuori delle forme giuridiche vigenti, costituito dalla tutela processuale extra ordinem a situazioni degne di protezione: si trattava di materie marginali tra cui successioni e questioni di libertà. Questo processo extra ordinem era eccentrico rispetto al processo civile ordinario. La competenza di questo processo non venne affidata al praetor urbanus, ma a altri pretori e anche ai consoli. Costoro giudicavano direttamente senza deferire al giudice privato, venne cosi eliminata la fisionomia arbitrale del processo civile. Su questi nuovi processi influì l’esperienza del processo provinciale in quanto il processo normale era costituito dalla fase di competenza del magistrato (per impostare la controversia in termini legali) e quella lasciata iudex privato che si concludeva con la sentenza. Il governatore provinciale invece emanava lui stesso la sentenza: sia per i provinciali sia per i cittadini romani residenti nella provincia. Con questo processo i cittadini potevano tutti appellarsi ad Augusto contro un atto di qualsiasi magistrato. Questo processo extra ordinem venne poi ad ambiti inizialmente sottoposti al giudizi ordinari: i due procedimenti (formulare e cognitio) vennero così a svolgersi secondo una logica parallela che permise la crescita d’importanza del nuovo procedimento, che a partire dal 2 secolo d.c. andò a sostituire la vecchia procedura formulare. La cognitio extra ordinem ebbe grande sviluppo nel processo criminale rispetto a cui non sussistevano le condizioni per la persistenza dell'antica 46 competenza comiziale (infatti i comizi avevano perso importanza). Con la legge iudiciorum publicorum Augusto aveva regolato la procedura delle quaestiones, limitando l’ampia autonomia che avevano avuto i magistrati repubblicani. A ridurne ulteriormente gli spazi fu la coercitio, cioè il potere di repressione da parte del principe e dei suoi delegati, cioè 4 prefetti (urbi, praetorio, vigilum e annonae)—> esso si attuava nella cognito extra ordinem dove il giudice cercava le prove della colpevolezza dell'imputato mentre questi era tenuto a dimostrare la sua innocenza. Già durante Augusto c'era la relegatio, cioè il forzato allontanamento dalla città, in seguito essa assunse connotati peggiori diventando deportatio. La condanna di questa serie di reati ad metalla comportava l’ estraniazione dalla vita civile (si applicava ai cittadini di rango inferiore ridotti ad un pesante lavoro di semiservitù e in seguito a tale condanna assegnati al pesante lavoro nelle miniere senza neppure una scadenza alla pena inflitta). Dal 1 secolo a.c. iniziarono ad apparire vasti commentari dedicati allo ius civile e allo ius honorarium, dove sembra affiorare, rispetto alle vecchie raccolte di responsa un interesse teorico. C'erano poi i commentari riguardanti singoli rami del diritto, singoli istituti, figure di magistrati, opere istituzionali destinate alla didattica: istitutiones, regulae, sententiae: dal carattere espositivo abbastanza semplice e diverso dalla restante letteratura giuridica. Il pensiero del giurista continuava ad essere espresso mediante l'analisi dei singoli casi e la loro soluzione, senza che fossero ricondotti a regole di carattere generale. Bisognava, quindi, non solo cogliere la coerenza dell'insieme delle soluzioni proposte ma anche l’utilizzazione degli schemi: quasi come se fosse una teoria inespressa. Vi era così una vera e propria costruzione della tradizione visto che il lavoro di ciascun giurista partiva dal costante riferimento alle opinioni e alle soluzioni proposte dalle generazioni di giuristi precedenti, che venivano accolte, corrette o integrate. Questa esplorazione delle logiche dei testi dei giuristi romani ha fatto sì che si formasse una scienza del diritto. LA MATURA STAGIONE DELLA SCIENZA GIURIDICA—> Già nell'età repubblicana e nelle caustica si potè denotare un mutamento nella composizione sociale dei giuristi. Infatti romani con la presenza di giuristi di origine equestre accanto a quelli di tradizioni nobiliari. Nel I secolo d.C. si formarono due scuole: i proculiani (fondata da Labeone ma prende il nome dal suo successore Proculo) e i sabiniani (fondata da Masurio Sabino). Ci fu questa divisione poiché la scuola sabiniana si occupava di operazioni più astratte. Piano piano il lavoro dei giuristi iniziò trasformarsi in un lavoro retribuito sia nell'insegnamento sia nella partecipazione al governo imperiale. Con Adriano vi fu poi il consolidamento in un testo ben definito dell'editto del pretore, che l'imperatore affidò a Salvio Giuliano, oltre che al potenziamento del consilium principis con una maggiore presenza di giuristi. Il coinvolgimento dei giuristi nel processo di formazione del nuovo diritto si era fuso con il potere imperiale: ciò non impedì la fioritura della scienza giuridica romana nell'età degli Antonini e dei Severi (con cui si pose fine alla fase della giurisprudenza classica). Numerosi furono i giuristi che rivestirono numerosi ruoli nel governo imperiale (Pomponio, Papiniano, Paolo e Ulpiano). Papiano fu ucciso a causa di Caracalla e Ulpiano venne ucciso dai pretoriani sotto gli occhi di Severo Alessandro. UNA LACUNA DEI GIURISTI ROMANI?—> I giuristi appaiono disinteressati al diritto amministrativo della macchina di governo del principato. L'attenzione dei giuristi infatti era rivolta alla rilevazione dei poteri propri delle varie figure magistratuali, in quanto in età repubblicana si era solo delineata la sfera di competenza dei vari organi della Repubblica. Già in età repubblicana la protezione del cittadino rispetto al magistrato era protetta da altri magistrati (tribuni della plebe) e non dai tribunali. Potrebbe anche essere che i silenzi della scienza giuridica potrebbero essere stati dovuti alla selezione della produzione scientifica dei giuristi romani, ma in realtà abbiamo molte notizie riguardo le opere della giurisprudenza romana e sono rari i temi relativi al funzionamento degli uffici imperiali. Non solo sono scarsi gli argomenti riguardanti l'organizzazione della Repubblica, ma ci si concentra sempre su un complesso di doveri e funzioni dei vari funzionari e magistrati. Abbiamo quindi dei trattati di buon governo che restano però lontani da una scienza interessata a definire le relazioni tra gli organi della Repubblica e tra questi e i cittadini. Era quindi oscura la tutela dei privati di fronte alle prevaricazioni dell'amministrazione, quasi come se il principe fosse disinteressato a definire i 47 LA CERTEZZA DEL DIRITTO—> La circolazione di opere di commento e di responsa era limitata alla costosa produzione manoscritta, ma raggiungeva sicuramente i gruppi sociali primariamente interessati ad un'adeguata conoscenza del diritto (giuristi avvocati). Nella Repubblica si era creata una raccolta di testi legislativi votati dai comizi con una generale funzione di certificazione del diritto. Un mutamento di questa situazione si ebbe quando un numero maggiore di persone si trovò a fruire del diritto romano. Allora lo strato sottile in cui circolavano i mores, gli scritti dei giuristi e le opere di interpretazione si ampliò notevolmente: tuttavia nei lontani municipi non era semplice informarsi sulle modifiche annuali del pretore o sulla conoscenza della ricca produzione scientifica che definiva la soluzione pratica dei casi, spesso andando a innovare la disciplina e incidendo sulla giurisdizione del pretore. La situazione si complicò nel corso del principato con l'espansione del diritto romano nel mondo provinciale, anche se già molte erano le zone che fruivano del diritto romano. Tuttavia in queste zone vi erano delle gravi lacune nella conoscenza e conoscevano solo le regole decemvirali , le leggi repubblicane e i senato consulti. Quando le difficoltà si aggravarono emersero le prime linee di difesa che l'organizzazione giuridica eresse per assicurare un livello minimo di certezza del diritto. Infatti lo ius respondendi ex auctoritate principis è un criterio di orientamento per i privati e per i giudici: esso assicurava una selezione delle opinioni diminuendo i margini di incertezza nella vita pratica del diritto. Anche il principe intervenne con i rescripta, le epistulae e i decreta per diminuire le incertezze dei privati e dei giudici: questo anche perché il principe voleva assicurare un orientamento vagamente unitario alla periferia dell'impero anche se in realtà un ostacolo nella corretta conoscenza del diritto era dato dal fatto che in ogni area non si poteva avere una conoscenza di ciò che era il diritto nelle altre singole aree dell’impero. LA NATURALE CONCLUSIONE DI UNA LUNGA VICENDA—> Su quale fosse l'effettiva circolazione delle opere giuridiche e su quale fosse l'effettiva applicazione del diritto soprattutto nel mondo provinciale abbiamo pochissime informazioni. Sappiamo però con certezza che l'imperatore Caracalla emanò la constitutio antoniana (212 d.C.) estendendo a quasi tutti i sudditi dell'impero romano la cittadinanza romana. Lo storico Cassio Dione era ostile a Caracalla. Egli infatti considerava la cittadinanza finalizzata a incrementare le entrate fiscali infatti con l'estensione della cittadinanza romana, tutti i sudditi avrebbero dovuto pagare la tassa di successione. Secondo l'autore il venir meno della separazione formale tra cittadini e non: - dovette, in alcuni casi, rendere il diritto romano più permeabile alle pratiche locali. - aumentò le differenze sociali: infatti nel II secolo aveva assunto una valenza formale una distinzione in 2 categorie dell'intera popolazione dell'impero: honestiones e gli humiliores : questa distinzione comportava notevoli diversità in ambito processuale e della repressione criminale, infatti gli honestiones potevano essere sottoposti alla tortura nelle inchieste criminali. ——————————————————————————————————————————— Capitolo 18 —> CRISI E TRASFORMAZIONE LA CRISI DEL 3 SECOLO—> La crisi si aggravò nel cinquantennio che va dalla morte di Severo Alessandro (235 d.c) all’ ascesa di Diocleziano (284) sia sotto il profilo politico, sia sotto quello militare. Due appaiono gli aspetti più vistosi: - Le crescenti difficoltà di difesa delle frontiere imperiali, anche per l’accentuata pressione delle popolazioni esterne - il pericolosissimo indebolimento del governo centrale per il susseguirsi di una serie di imperatori. Infatti solo 27 erano stati gli imperatori che si erano succeduti fino a Severo Alessandro. Sempre più infatti le aumentate esigenze militari richiedevano una diretta presenza del principe sui luoghi dove gli eserciti erano impegnati nella difesa dell’ impero. Pertanto una serie imperatori- soldati occuparono la scena del 3 secolo. In questa drammatica stagione, a differenza di quanto abbiamo visto verificarsi in precedenza, tutte queste tensioni non investirono solo i ceti dirigenti ma si estesero a tutto il mondo provinciale. Allora, infatti, con l’indebolimento del potere del potere centrale si moltiplicarono gli insuccessi. Nella seconda metà del 3 secolo la pressione dei Goti, una belllicosa popolazione germanica e del regno di Persia portò, nel 260 d.c. a una drammatica sconfitta romana in cui lo stesso imperatore Valeriano cadde prigioniero dei persiani, lasciando il potere romano incapace di reagire. La moltiplicazione degli scenari di guerra avevano indebolito la centralità del governo imperiale. 50 Inoltre fu un fattore di crisi anche l’insorgenza dei fenomeni che minacciavano l’unità dell’ imperio. Questo favorì, soprattutto in Oriente, la formazione di veri e propri regni separati, corrispondente interi raggruppamenti di provincia.mentre la parte occidentale tali situazioni di crisi dette luogo a frequenti ribellioni contadine. La continua lontananza degli imperatori da Roma contribuì progressivamente a far perdere a questa città il suo ruolo di centro dell’impero. In questa difficile stagione, la persecuzione del nuovo culto cristiano, sotto due imperatori Decio (250-251) e Valeriano (257 260), farebbe pensare a un progresso della nuova religione, infatti il cristianesimo era riuscito ad entrare tra negli strati più modesti della popolazione. Questa religione era pero estranea alle antiche tradizioni. Questa nuova persecuzione, tuttavia, non riuscì a produrre effetti sostanziali: il figlio di Valeriano, una volta salito al trono, revocò i provvedimenti del padre, inaugurando un periodo di di tolleranza durato fino a Diocleziano, nel corso del quale il nuovo culto rafforzò ulteriormente il suo radicamento. Dopo la sua uccisione a seguito di una congiura ascesero alla carica imperiale: Claudio "gotico" prima e Aureliano, poi. Va inoltre ricordato che si riacutizzò la pestilenza, che porto alla morte, nel 270 d.c. di Claudio “il gotico, interrompendo la sua efficace azione di restaurazione della forza imperiale. La svolta avvene nel 284 d.c. con l’ascesa alla carica imperiale di un comandante militare di umili origini: Valerio Diocle, con il nome di Diocleziano. DIOCLEZIANO—> la crisi che ci fu non deve essere interpretata come un collasso, ma al contrario come l'inversione di tendenza sul piano militare e nel governo civile per far fronte alle cattive condizioni. Questo rese possibile l'ascesa al trono di un comandante militare di umili origini: Diocleziano.egli diede una svolta risanatrice che sarò destinata ad avviare quello che viene chiamato il "luminoso crepuscolo" dell'impero di Roma. L'opera di restaurazione dell'edificio imperiale da lui intrapresa non sarebbe comunque stata possibile senza una profonda modifica delle strutture di potere, delle sue forme organizzative e dell'intero apparato amministrativo e militare. Innanzitutto vuole recuperare il dualismo delle magistrature repubblicane pertanto venne istituito un collega minore del principe, che nel caso di Diocleziano fu Massimiliano. Questo comportò una più netta ripartizione territoriale: Diocleziano si riservava il controllo della parte orientale e Massiminiano di quello della parte occidentale.l'impero conservava così la sua unità sotto i due augusti. Sotto i due augusti furono nominati due cesari, legittimi successori, ciascuno del proprio gusto. Questo portò ad un efficace governo degli eserciti a garantire un sistema ordinato di successione che evitasse complotti. Fu anche creato un complesso sistema di matrimoni che però non funzionò, mentre funzionò la logica sottostante a tale costruzione: la divisione territoriale che permise la riorganizzazione dell'apparato imperiale e soprattutto un suo coinvolgimento nella difesa dei confini. Tale esigenza spiega lo spostamento delle sedi imperiali da Roma ormai troppo lontana dalle aree strategiche: - Massimiliano: si insediò a Treviri, poi a Milano a Aquileia e infine a Ravenna. - Diocleziano: Sirmione, Antiochia e poi Nicomedia. Vi furono quindi numerose modifiche dell'organizzazione stadale sia nel campo militare che nell'organizzazione.Vi fu la frammentazione delle antiche province che giunsero a essere da 50 a 100 e che furono raggruppate in 12 diocesi. A capo di ogni diocesi fu posto un vicario, delegato diretto del prefetto del pretorio. Il prefetto del pretorio con Diocleziano conservò sia le supreme funzioni militari sia quelle di diretta collaborazione con ciascun imperatore. Alle sue dipendenze vennero introdotti: un rationalis summae, responsabile della politica monetaria e fiscale un magister rei privatae , il governo del patrimonio imperiale. In ambito militare Diocleziano trasformò le legioni in unità più flessibili e mobili e ne moltiplicò il numero. La rigida linea di fortificazione costituita da forti corpi stanziali venne sostituita con un'armata mobile pronta a seguire l'imperatore nei suoi spostamenti: il comitatus, in grado di intervenire nei punti di crisi. Con Diocleziano aumentarono i militari che giunsero al numero di mezzo milione. L'obiettivo di Diocleziano fu anche quello di risanare le difficili condizioni economiche mediante: - bloccare la spirale inflazionistica: stabilizzazione monetaria mediante l'accresciuto valore del contenuto metallico delle monete coniate, ciò però non poteva eliminare l'insicurezza collettiva sul potere d'acquisto. Inoltre nonostante l'imperatore volesse conservare il valore della moneta di bronzo, l'obiettivo venne ostacolato dall'apprezzamento della moneta aurea. 51 - riorganizzare l'intero sistema fiscale: fissando per legge i prezzi di numerosi merci e servizi. Questo provvedimento, però, non fu un successo in quanto molti prodotti scomparvero dal mercato. Diocleziano faceva in particolar modo leva sul sistema di requisizioni a favore dell'esercito: tali requisizioni furono la fonte principale delle entrate statali, commisurando il carico fiscale alle esigenze militari. Visto che consistevano in un trasferimento in natura essi comportavano il vantaggio di evitare l'erosione del valore reale delle imposte generato dall’inflazione. L'imposta fondiaria fu ripartita per unità fiscali omogenee (iuga) e commisurata non solo alla qualità dei terreni, ma anche alle forze produttive, schiavi e animali, calcolate secondo un'unità costituita dal caput, equivalente ad un uomo: i non proprietari erano sottoposti al pagamento di un'imposizione da pagare in denaro. In questo periodo l’augustus non era più solo il princeps e neppure solo l'imperatore: assunse un'aura sacrale diventando dominus at deus, egli era semidivinizzato. Un numero sempre minore di funzionari ebbe così accesso diretto alla persona dell'imperatore cosa che finì per isolare il cuore dell'impero dall'intero sistema. Colui che era ammesso al cospetto dell'imperatore doveva protrarsi nell’ adoratio, baciando l'orlo della sua veste mentre il vecchio consilium principis fu rinominato costitorium, forse perché dovevano stare in piedi al suo cospetto. Il regno di Diocleziano, che egli lascio spontaneamente nel 305 d.C. fu lo spartiacque tra gli assetti durati fino ad allora e la nuova fase dell'impero romano, con la legittimazione del culto cristiano e la suddivisione in parte orientale e occidentale. Con l'impero romano cristiano non vi è una prosecuzione della fase precedente. COSTANTINO E L’INIZIO DELL’ IMPERO ROMANO-CRISTIANO—> Dopo 20 anni di governo assoluto, nel 305, Diocleziano, lasciò la carica imperiale, costringendo anche il collega Massiminiano a fare altrettanto. Si aziona il meccanismo della successione pacifica. Tuttavia questo meccanismo si mostrò inadeguato. Il collasso del sistema fu praticamente immediato, generato dalla contrapposizione tra vari aspiranti alla carica imperiale: dopo pochi e confusi anni di contrasti, emersero alla fine 2 contendenti al potere di uccidente: Costantino, figlio di Costanzo Cloro e Massenzio, figlio di Massimiliano. Massenzio il primo a cogliere, presso Roma, nel 312, una vittoria definitiva. Nonostante era tramontato il sistema tetrarchico (=divisione dell impero in 4 parti) rimase la divisione dell'impero in due parti: quella occidentale era governata da Costantino e quella orientare da Licinio. Ma si trattò di una situazione solo provvisoria, infatti ben presto i contrasti tra i due imperatori, si acutizzarono anche per il loro diverso atteggiamento verso il cristianesimo : Licinio aveva assunto atteggiamenti progressivamente più ostili, sfociarono in lotta aperta. Tale lotta si concluse nel 324 con la vittoria di Costantino e la scomparsa di Licinio. L'evento, che segnò un mutamento epocale fu la legalizzazione del cristianesimo. Nel 313 Costantino e Licinio proclamarono ufficialmente l'eguaglianza di tutte le religioni e la libertà di culto (editto di Milano). Questo comportò la riattribuzione alle chiese di tutti i beni che erano stati precedentemente sequestrati e la rapida ascesa del clero cristiano in una posizione di rilievo nel nuovo assetto imperiale. Per quanto riguarda l'organizzazione del potere, Costantino non fece che proseguire sviluppare la politica già avviata in età Diocleziano. L'innovazione di maggior rilievo fu probabilmente i prefetti pretorio che con Diocleziano avevano conservato importanti funzioni a livello centrale, furono inseriti nelle 4 grandi aree in cui fu suddiviso l'impero, che a loro volta comprendevano ognuna più diocesi, assumendo un ruolo essenzialmente decentrato. Pertanto vennero tagliati fuori dall’imperatore. Costantino aveva sviluppato delle riforme già avviate da Diocleziano, ma non sempre ottenne degli esiti positivi. Ad esempio la riduzione degli organici delle legioni, da lui effettuata, aveva comportato l’eliminazione dell'unità militare, mentre l'accentuata separazione tra i comandi della cavalleria e quelli della fanteria ostacolava l’ unità che era necessaria per il comando delle operazioni sul campo. Al centro delle sue riforme in campo militare vi è la costituzione di una milizia palatina. Tale milizia era nettamente separata dall'esercito di linea. Questo aspetto evidenzia un punto debole costituito dalla dissoluzione del corpo centrale delle armate in innumerevoli e insignificanti unità. I principali collaboratori del principe vennero qualificati, come comites. Tale termine indicava un 52 Queste divisioni non restarono assolutamente nel chiuso dei dibattiti dottrinali, ma si rifletterono anche sulla vita materiale di intere popolazioni. Quest'ultima saldatura tra istituzioni politiche, vita civile e lotte religiose appare come l'ovvia conseguenza del ruolo attribuito alla nuova religione come collante dell’impero. Fu l’unità cristiana a costituire il primo terreno di incontro tra il vecchio mondo romano e questi popoli nuovi. Questi processi di saldatura contribuirono al rinnovamento dell’impero. I BARBARI E L’IMPERO—> Sin dall'età di Augusto la stabilizzazione dei confini imperiali aveva contribuito ad accentuare il senso di separatezza tra le comunità da essi ricomprese e il mondo esterno. D'altra parte, come sappiamo, il termine che aveva originariamente indicati soggetti estranei Roma: peregrinus, aveva mutato radicalmente di significato, designando ormai categorie di individui all'interno del sistema imperiale romano. Si diffuse così, per indicare ogni tipo di società o individuo estraneo a Roma un altro vocabolo: barbarus (carico di una connotazione in senso negativo associando l'idea di separatezza e quella di inferiorità culturale). Gli scambi commerciali, l'afflusso costante di merci pregiate proveniente dal lontanissimo oriente, le acquisizioni di schiavi effettuati dei romani nelle relazioni con le popolazioni germaniche, la spinta missionaria della nuova religione. Tutti questi fenomeni favorirono il continuo afflusso di elementi barbarici. Il canale privilegiato per l'ingresso di tali popolazioni fu l’esercito. Proprio in merito all'esercito nacquero delle preoccupazioni a seguito di un aumento della presenza barbarica negli eserciti romani. Infatti non solo era cresciuto il numero dei barbari arruolati nell'esercito, ma si era verificata anche l'ascesa di alcuni di essi ai più alti livelli dei comandi militari. Fin dall'età degli Antonini e dei Severi, si era diffusa la pratica di permettere a popolazioni barbariche provenienti dal di fuori dei confini dell'impero di stanziarsi in territori all'interno di essi. Si trattava di aree relativamente spopolate che potevano quindi essere utilmente valorizzate dal punto di vista agrario. Successivamente si arrivò a integrare una popolazione barbarica per intero: i Goti a cui venne affidata la difesa esterna. Quest'operazione fu effettuata sotto Valentiniano II, intorno al 377 d.c., di fronte alle difficoltà di arruolare adeguati organici militari di fronte alla necessità di fronteggiare gli Unni. Da allora la storia militare e sociale dell'impero d'Occidente, più di quella della Pars orientis, fu attraversata di continuo dalla presenza di popolazioni provenienti da fuori i confini. Fu segnata anche da molteplici crisi "di rigetto" da parte delle popolazioni locali e dall'esplosione di improvvisi conflitti tra comunità estranee e ostili. Questi eserciti barbarici al servizio degli imperatori romani si trovavano in un rapporto di alleanza: questo comportò che costoro conservarono le loro tradizioni senza sottoporsi all'impero del diritto romano. Soprattutto Teodosio I fondò la sua politica militare sull'assunzione degli eserciti barbari, nelle schiere romane. Egli si spinse così ad affidare la difesa dell'impero a uno dei più grandi generali: Stilicone, di origine vandala (un'altra potente popolazione barbarica che si era espansa verso la Spagna). Alla sua morte, gli affidò la tutela dei suoi figli, ancora in età minorile: Arcadio in oriente e Onorio in Occidente. Arcadio tuttavia non accettò tale limitazione. Pertanto Stilicone poté governare solo la parte occidentale dell'impero, fino a quando si sviluppò una reazione antibarbarica. La reazione antibarbarica dei romani e la conseguente uccisione di Stilicone e dei suoi ufficiali, nel 408, non fece che precipitare la crisi dell'impero d’Occidente. Alarico, capo dei Visigoti, da allora via libera per marciare contro Roma e saccheggiarla. Si apriva cosi la fase finale del processo di dissolvimento dell'impero d'Occidente, dando luogo a quelli che gli storici chiamano "regni romano-barbarici". L’ impero d’ Occidente era ormai al collasso. Gli imperatori d'oriente, erano ormai gli unici veri eredi dell'antico potere. Con la morte di Onorio, nel 423, i vandali contribuirono all'ulteriore frammentazione dell’impero. Si delinearono così 4 nuove entità politico militari: 2 regni Franco e burgundo in Gallia, 1 regno visigoto in Spagna e 1 nuovo regno vandalo in Africa. Non fu facile cogliere il momento finale dell'antica storia imperiale. Il punto d’ arrivo è individuato più o meno nel 476 d.c. quando cioè il capo germanico, Odoacre, depose il giovane imperatore d'Occidente, Romolo Augusto, affermò la propria signoria su tutta l’Italia. Teodorico, re degli Ostrogoti, fu incaricato dallo dall'imperatore Zenone di strappare il potere a 55 Odoacre. Negli anni successivi, Teodorico uscì vincitori dallo scontro e divenne il nuovo sovrano d'Italia, ma egli conservò verso l'imperatore d'Oriente un particolare riguardo. Infatti pur esercitando di fatto un potere assoluto, egli non si qualificò come imperatore o princeps, ma solo come il Rex dei Goti. A partire dalla seconda metà del 5 secolo si viene a creare ormai una nuova realtà politica e sociale: i regni romano barbarici. È al loro interno che l'ormai avvenuta frammentazione dell'unità imperiale si ricompose minori entità in cui la popolazione locale si trova a coesistere con elemento barbarico, certo più forte militarmente, ma assai inferiore dal punto di vista numerico. In questo quadro non solo continuò a funzionare l'originario apparato burocratico amministrativo dell'impero, ma restò di competenza romana, anche per ovvi motivi da acculturamento e alfabetizzazione, mentre l'elemento germanico si riservò in genere il monopolio della forza militare. Le strutture istituzionali e culturali dell'impero si saldarono con le varie culture barbariche sopravvenute nei vari territori. In Italia si impose il regno di Teodorico. Questo sovrano infatti perseguì una consapevole e efficace politica di integrazione dell'elemento ostrogoto con quello romano. In questo quadro ben si comprende il mantenimento delle strutture centrali e periferiche del vecchio assetto imperiale. A Teodorico risale infatti un editto in cui vari principi del diritto romano appaiono generalizzati a disciplinare egualmente sia Ostrogoti e romani. Il contenuto dell'editto di Teodorico attesta in modo significativo la penetrazione della tradizione giuridica romana in questa nuova realtà. Nella nostra penisola, la frattura definitiva con la tradizione romana intervenne solo con il dominio longobardo. In esso si coglie infatti la forte persistenza delle radici germaniche, con il conseguente irrigidimento della distanza tra la minoranza guerriera dei longobardi al vertice della nuova società e la maggioranza della popolazione "latina" assoggettata e umiliata. È netta la distinzione tra gli statuti giuridici della popolazione sottomessa - i latini- e dei dominatori di stirpe germanica. La stessa vicenda longobarda si verificò anche per le antiche province occidentali dell’impero. Diverso invece fu il destino della parte orientale dell'impero dove l'eredità romana si trasfuse, senza mai dissolvere le sue radici, nell'impero bizantino. Diocleziano accentuò il carattere repressivo della legislazione. Moltissime condotte illecite, in precedenza regolate nell'ambito di rapporti privatistici tra gli individui, secondo una logica essenzialmente risarcitoria, vennero configurate come reati di carattere pubblico. Molte di queste condotte, più che degli illeciti, appaiono essenzialmente i fenomeni di disfunzione amento dell'istituzioni statali, imputabili a funzionari pubblici.Tuttavia esse vennero fatte rientrare nella pericolosa sfera degli attentati alla maiestatis dello stato, fino a colpire addirittura con la condanna morte semplici comportamenti omissivi. Assunsero naturale criminale addirittura comportamenti anomali, come il matrimonio con donne straniere, o l'assunzione di uffici incompatibili con i doveri di alcune classi sociali e persino un uso di vesti di popolazioni straniere. Un nuovo settore della repressione criminale fu rappresentato dalla persecuzione dell'eresia, dei culti pagani e delle altre religioni. Con la proclamazione del cristianesimo come religione ufficiale dell'impero, la precedente normativa si aggravò fino a giungere in alcuni casi, alla pena capitale. Ugualmente l'influenza cristiana si avverte anche nel campo della disciplina della famiglia, sia rafforzando la tutela del matrimonio, sia aggravando le forme di repressione degli illeciti sessuali, soprattutto dell'adulterio, anche qui giungendo fino alla che pena capitale. ——————————————————————————————————————————— Capitolo 20—> DIRITTO E GIURISTI DA DIOCLEZIANO A GIUSTINIANO PRESERVAZIONE E RECUPERO DI UN ANTICO PATRIMONIO—> Con Diocleziano, Costantino e i successori fondamentali il fattore di continuità con il passato fu costituito dal diritto. Ma di che diritto si trattava e quanto dell'enorme patrimonio giuridico era sopravvissuto fino agli albori del 4 secolo? Con quali criteri bisognava procedere per effettuare una classificazione delle molteplici, contraddittorie opinioni dei giuristi? E come organizzarle? Questo sistema poteva funzionare solo con la l’aiuto di una forte scienza giuridica in grado di orientarsi e di orientare all'interno di un mare sterminato di pareri e soluzioni alternative, senza che fossero espliciti i criteri di scelta, e le logiche da seguire. Tutto ciò diviene semplicemente impossibile con l'indebolimento di tale tradizione scientifica dopo che la costituzione antoniana aveva moltiplicato il numero dei fruitori del diritto romano, estendendolo a tutti i nuovi cittadini. Infatti Gli scritti dei giuristi del principato e le costituzioni imperiali erano diventati inaccessibili, 56 non solo ai privati ma anche all'istituzioni pubbliche.Si deve infatti tener conto non solo del probabile disordine delle cancellerie, ma soprattutto delle difficoltà di conservazione, ma ancor più di recuperare i testi ormai vecchi di secoli. Il problema più immediato che dovettero affrontare i funzionari imperiali, ma anche quei professori che ancora continuavano a insegnare nelle varie scuole di diritto presenti nelle maggiori città dell'impero, era cosa fare di questi scritti dei giuristi antichi, tutti riferite a casi specifici ,come ricavare delle regole iuris. EPITOMI, ANTOLOGIE E LE “ISTITUZIONI GAIANE”—> A partire dalla seconda metà del III secolo, si moltiplicarono le raccolte e le antologie di frammenti di giuristi antichi e, soprattutto, le "epitomi": sintesi abbreviate e esemplificate di testi “classici". Era infatti sempre più indispensabile poter disporre di strumenti operativi sufficientemente chiari, rapidamente utilizzabili dai giudici e degli avvocati. Ma spiega anche l'enorme spazio che ebbe un manuale redatto da uno sconosciuto giurista del II secolo, che tuttavia acquisì un enorme importanza per la sua semplicità concettuale e la chiarezza nell'esposizione: le Institutiones di Gaio che, insieme agli altri suoi testi conobbero, in età tardo antica, una fortuna straordinaria. In questa sua opera, che fortunatamente ci è pervenuta nella sua interezza, grazie al ritrovamento di Neighur nella biblioteca di Verona, l'autore offriva agli studenti di diritto una sintesi efficace dei principali istituti del diritto romano, non rinunciando tuttavia a menzionare aspetti della loro storia più antica, ormai privi di utilità pratica, ma offrendo in questo modo al docente la possibilità di approfondire tali aspetti. Accanto a questo manuale nuove opere videro la luce. Ne sono l'esempio i Vaticana fragmenta: scopertI nel 1821 nella biblioteca vaticana, una raccolta redatta successivamente al 372 d.C. in cui si riportano insieme ai testi di alcuni giuristi classici (Papiniano, Paolo e Ulpiano ) varie costituzioni imperiali che vanno dall'età di Diocleziano fino alle 372. Più importanti invece sono le Paule sententiae, dove si riportano insieme frammenti di testi giuridici e di costituzioni imperiali che vanno dal 2 al 4 secolo d.C. Si tratta di un'opera che ebbe larga diffusione e fu ampiamente utilizzata nella pratica. Tra i giuristi del principato, accanto a Gaio, particolarmente sfruttato continuò essere Papiniano seguito da Paolo e Ulpiano con le loro vaste sintesi della tradizione precedente, inoltre anche Modestino (anche se un giurista ancora più tardo) che aveva non di rado scritto in greco (lingua della pars orientis). Quasi tutte le raccolte di questi giuristi attestano un certo restringimento degli orizzonti su cui si erano mosse le generazioni precedenti. Vi è anche un elemento di continuità nel modus operandi di questa nuova stagione di vita del diritto romano, rispetto al passato, rappresentato dal carattere casistico che continua a essere ben presente negli scritti dei giuristi menzionati. LE CODIFICAZIONI E LA LEGISLAZIONE ROMANO BARBARICA—> Importanti sono 2 raccolte private delle antiche costituzioni imperiali effettuate sotto Diocleziano: 1. il Codice Gregoriano (contente le costituzioni da Settimio Severo e fino Adriano) 2. e il Codice Ermogeniano (contenente le costituzioni dioclezianee). Di essi abbiamo solo alcuni frammenti perché furono cancellati dalla comparsa di elaborazioni di carattere ufficiale, ma ebbero importanza fino alla codificazione giustinianea. Nel 4 secolo d.C. ci fu la legge delle citazioni: essa era una direttiva imperiale contenuta in una Costituzione Imperiale promulgata nel 426 d.C. da Valentiniano III, che vincolava avvocati e giuristi ad utilizzare le citazioni di soli 5giuristi: Papiniano, Gaio, Ulpiano, Paolo e Modestino. Il giudice doveva seguire l’opinione prevalente e in caso di parità quella di Papiniano, gli altri giuristi potevano essere utilizzati solo mediante citazioni delle loro opere fatte dai 5 giureconsulti. In questo modo scomparve la libertà interpretativa. Vi fu il progetto di una raccolta ufficiale di tutti i testi giuridici ancora vigenti, rappresentati sia dalle costituzioni imperiali sia dalla giurisprudenza imperiale: questo era il programma di Teodosio 2 enunciato nel 429 d.C. con un’apposita costituzione: egli diede il compito ad 8 giuristi di redigere 2 raccolte che comprendessero tutto il diritto esistente: 1. la prima avrebbe dovuto riguardare le costituzioni imperiali partendo dal materiali dei due codici Gregoriano ed Ermogeniano. 2. L’altra avrebbe dovuto essere una raccolta di iura, cioè frammenti ricavati dai testi dei giuristi classici che offrisse una conoscenza adeguata di tutto il sapere antico. Tuttavia tale progetto non 57