Scarica Riassunto libro Storia di Roma tra diritto e potere e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Romano solo su Docsity! DIRITTO ROMANO CAP. 1 1.1 LE CONDIZIONI MATERIALI DEL LAZIO ARCAICO Le dimensioni del territorio erano modeste. Era limitato a nord dal Tevere, a ovest dal mare, a est dai rilievi che segnavano il confine tra i Latini e le popolazioni sabelliche (Tivoli e Palestrina). L’economia era basata su allevamento e agricoltura. L’ aggregazione si fondava sulle relazioni familiari o pseudoparentali. A impedire lo sviluppo della civiltà fu la difficoltà di assicurarsi zone ampie di territorio. Non era facile la difesa del territorio. 1.2 VILLAGGI, DISTRETTI RURALI E LEGHE RELIGIOSE Le elementari funzioni di guida del gruppo erano associate all’età, attribuite quindi ai patres, i membri più anziani del gruppo. Un ruolo permanente era quello dell’assemblea degli uomini in arme, che affiancavano i patres nel ruolo di guida. Nei momenti di crisi i poteri decisionali venivano affidati a guerrieri di valore e capacità. Ci fu un’affermazione di una gerarchia sociale e distinzione dei ruoli basata sulla ricchezza, che portò alla nascita dell’aristocrazia. 1.3 LA FONDAZIONE DI ROMA Risale, per convenzione, al 753 a.C. e nasce da un sinecismo di 3 ceppi: Latino, Sabino ed Etrusco. Ciascuna di queste tribù era suddivisa in dieci curie, suddivise a loro volta in dieci decurie. Questo sistema piramidale di distribuzione era finalizzato alla guerra, dato che ogni curia avrebbe dovuto fornire 100 uomini armati e 10 cavalieri, dando origine alla primitiva legione di 3000 fanti e 300 cavalieri. La nascita si presenta sia come una rottura rispetto alla fase precedente, sia come una novità che raccoglie e organizza realtà preesistenti, fondendole insieme. 1.4 STRUTTURE DI FAMIGLIA E ALTRE AGGREGAZIONI SOCIALI Famiglia e gens sono 2 strutture centrali nel corso della storia di Roma. La famiglia si identifica con familia proprio iure, nucleo centrale dell’organizzazione giuridica e sociale, che costituisce l’unità elementare di un sistema monogamico, consistente nella coppia di sposi con i diretti discendenti. Nella familia proprio iure convivevano, sottoposti alla volontà del pater familias, la moglie, i figli e le figlie non sposate e a questa volontà rimanevano sottoposti fino alla morte del pater, nel caso dei figli maschi. Le figlie ne uscivano nel momento in cui sposavano un altro uomo, passando sotto la volontà del pater familias appartenente alla famiglia del marito. Tutti i rapporti giuridici e i diritti appartenevano esclusivamente al pater familias. La gens, invece, non è un gruppo parentale. È un’aggregazione di famiglie che portano lo stesso nome. all’interno della società Romana c’era un dualismo tra gentes detentrici di terre e risorse, identificate come l’antica aristocrazia, e a un insieme di individui al margine dipendenti da quelli come clienti. L’aristocrazia verrà poi identificata dai Romani con il termine patrizi, mentre gli individui al margine verranno indicati come plebei. 1.5 La città delle origini come sistema aperto Già dalla sua fondazione, Roma si dimostra una società avanzata rispetto alle precedenti. Essa, infatti, si era formata dall’unione di 3 ceppi sociali, culturali e territoriali differenti, assorbendone le tradizioni. Questo processo si ripeté anche nel corso di conflitti successivi, dove la vittoria della comunità significava la scomparsa della città vinta e l’assorbimento della sua popolazione nella città vincitrice. Esemplare il caso di Alba Longa, la cui popolazione venne assorbita e trasferita a Roma a seguito della sconfitta. I suoi maggiorenti furono integrati all’interno dell’aristocrazia romana. Il risultato di tale processo di aggregazione fu un’accelerazione della crescita quantitativa e quindi politico militare di Roma. Questi processi di migrazione e assorbimento di gruppi gentilizi contribuirono a rompere le logiche del legame di sangue, obliterando il sustrato confederale della società primitiva, rafforzando il ruolo di supremo mediatore del rex CAP. 2 1.1La chiave di volta delle istituzioni cittadine: il rex Non c’era principio dinastico, quindi il figlio non succedeva al padre in questa monarchia. La consacrazione divina aveva un ruolo importante (inauguratio). Nell’avvento del nuovo re intervengono Senato e popolo, infatti l’inauguratio avviene dopo che il re è stato designato da un membro del senato, interrex. Dopo creatio e inauguratio, il re si sarebbe presentato davanti ai comizi curiati da lui convocati, per assumerne il comando. Il rex era è capo dell’esercito e garante della pace allo stesso tempo. In ogni sua funzione era accompagnato da una serie di collaboratori. Era magister populi (capo dell’esercito), affiancato dal magister equitium, capo della cavalleria; al governo della città era affiancato dal praefectus urbi, ruolo nel settore dei giudizi civili e repressione criminale. Le legis regiae erano pronunce del re di fronte all’assemblea cittadina. Altro ruolo del re era il custode del tempo, perché i Romani non conoscevano un calendario fisso. 1.6 Il populus Altro fattore determinante nella formazione cittadina è la costituzione come una società di individui, che postulò il superamento e la dissoluzione di organismi tribali. In origine c’erano le curiae, una divisione della popolazione distribuite in numero di dieci per ciascuna delle tribù in cui era distribuita la popolazione, basato sul principio di genera hominum (si è di una curia perché vi appartenevano i propri antenati). La persistenza dei clan parentali permetteva la sopravvivenza di logiche aristocratiche. Il popolo, fornire militari alle centurie, infatti gravava l’onere di un tributo, commisurata all’entità delle proprietà dei cittadini. Vennero introdotte tribù rustiche, per ripartire il popolo e determinare una diversa forma di organizzazione. 1.15 intervenire era la vita sociale. In particolare, bisognava regolare ed evitare i conflitti violenti tra cittadini. Venne fatto attraverso l’istituzione di nuove norme, le XII tavole. 1.16 CAP.4 La cacciata dei Tarquini e la genesi della costituzione repubblicana Nel VI secolo a.C: la politica espansionistica etrusca conobbe una battuta d’arresto a seguito di sconfitte ad opera dei Greci con gli alleati Latini. A Roma ci fu un colpo di stato da parte dell’aristocrazia, che cacciò Tarquinio il Superbo e cancellò l’istituzione della monarchia (509 a.C.). L’aristocrazia gentilizia puntò sulla modifica delle riforme serviane, con la soppressione del carattere vitalizio della carica suprema di governo e il suo sdoppiamento, eleggendo 2 consoli annualmente. Si realizzarono le premesse per lo spostamento del potere verso il senato. Inoltre, l’aristocrazia romana ripristinò il sistema delle gentes, estromettendo i plebei dall’aristocrazia 1.17 Patrizi e Plebei I plebei vennero esclusi dai patrizi dal governo della città. Riguardo il lato economico, i plebei chiedevano un alleggerimento dei debiti, che opprimevano gli strati economicamente più deboli della città, in particolare i ceti agricoli. Il punto più acceso riguardava lo sfruttamento della terra. I plebei chiedevano che i territori conquistati fossero divisi in parte in proprietà privata a tutti i cittadini, mentre i patrizi volevano mantenerne l’esclusivo controllo. La plebe replicò attuando una “secessione”, avvenuta sul Monte Sacro e sull’Aventino, dove si prospettava una nascita di una comunità politica alternativa ai patrizi, collocata in una diversa sede territoriale. La crisi fu superata solo con il riconoscimento alla plebe di strumenti protettivi contro la prevaricazione della magistratura dei patrizi. La secessione fu guidata dai tribuni della plebe, che vennero riconosciuti come organi della città, conferendogli l’inviolabilità della loro persona e il “diritto d’aiuto” a favore della plebe. Questo carattere li escluse però da un ruolo attivo di governo. Potevano porre però l’intercissio, un veto contro qualsiasi delibera dei magistrati o del senato. La plebe si riuniva in assemblea (concilium plebis), che votava delibere, sceglieva i propri magistrati e i tribuni. C’era l’impossibilità di matrimonio tra patrizi e plebei. I plebei ottennero il superamento con la lex Canuleia. Il cittadino poteva appellarsi al popolo di fronte al potere di repressione criminale del magistrato. Si vietava ai magistrati di condannare a morte un cittadino per una colpa capitale senza consultare il popolo riunito in comizi 1.18 Le XII Tavole Nel V secolo, al posto della normale coppia di consoli, si deliberò per eleggere un collegio di 10 membri, decamviri legibus scribundis, che aveva il compito di mettere per iscritto le leggi della comunità cittadina. Questa delibera fu appoggiata da Appio Claudio, un patrizio. Le XII Tavole rappresentarono la nuova realtà istituzionale. Le XII Tavole regolano le obbligazioni legali tra i privati: il debitore è sottoposto, anche personalmente, alla volontà del creditore. Si apre la possibilità di un accordo privato e vincolante tra le parti, che supera lo stadio della vendetta. È ancora poco sviluppato l’intervento della comunità a reprimere i comportamenti illeciti dei cittadini. I decamviri limitarono la potestas del pater familias con la mancipatio. Ci fu il superamento del matrimonio cum manu, che assimilava la moglie a una condizione di figlia sottoposta alla volontà del pater familias. Le XII tavole aiutano a distinguere delitti pubblici e privati: i delitti pubblici sono perseguibili dalla Res Publica, che può richiedere la pena capitale; quelli privati sono perseguiti solo dalla parte lesa e sono risolti con una sanzione pecuniaria. 1.19 CAP.5 Il consolato e il governo della città I consoli erano la coppia di magistrati al vertice dell’assetto di governo della città. Era conferito a loro il supremo potere di comando imperium, sovrastante al potere di ogni altro magistrato. La durata della carica era annuale. Prima di prendere ogni decisione pubblica, dovevano prendere l’auspicia, ovvero dovevano interrogare gli dei. Dovevano provvedere all’arruolamento dei cittadini, su decisione del senato, e dirigere la campagna militare, sempre supervisionati dal senato. Potevano mettere a morte i propri soldati, su approvazione del consilium. Potevano convocare comizi centuriati e senato. Gestivano il tesoro pubblico. Entrambi i consoli avevano gli stessi poteri; ciascuno dei 2 poteva paralizzare le attività dell’altro grazie all’intercessio ed erano intercambiabili. 1.20 Il pretore e le altre magistrature sotto i consoli c’era il pretore. Aveva l’imperium, cioè il potere supremo come i consoli, ma inferiore a loro, che esercitavano l’intercessio sul pretore, il quale non poteva esercitarlo su di loro. Poteva esercitare il comando militare. La funzione primaria era riferita alla sfera processuale, iurisdictio. Controllava le procedure e verificava la legittimità in base al diritto vigente. Avvenne la separazione tra il ruolo del magistrato e la valutazione della verità dei fatti. Vennero introdotti i quaestores, che allestivano la flotta e controllavano le coste, amministravano le finanze statali insieme ai censori. Nel comando dell’esercito avevano un ruolo di ufficiali superiori i tribuni militium. I tribuni della plebe potevano sanzionare gli autori di condotte dannose a danno dei plebei, potevano porre l’intercessio su qualsiasi iniziativa della magistratura, potevano uccidere i trasgressori delle leggi sacrate, potevano convocare la plebe in assemblea. Furono introdotti i censori, che avevano la lectio senatus, il potere di inserire nuovi nomi tra i membri del senato. Amministravano beni pubblici. Non avevano imperium, poiché estranei a compiti militari. 1.21 Il senato Era composto quasi solo da patrizi. Approvavano le leggi proposte dai comizi. Dettava l’orientamento su politica estera, affari religiosi e gestione di entrate e uscite. I magistrati preposti dovevano seguire le istruzioni del senato. Approvava la selezione dei candidati alle cariche magistratuali effettuate dai magistrati in carica. 1.22 Il popolo e le leggi Nell’assemblea, il voto dei cittadini era disuguale: era in relazione sia al censo, che all’età. Dall’inizio della Repubblica, la nomina dei magistrati superiori era di competenza dei comizi centuriati. Il monopolio legislativo dei comizi centuriati cambiò con le forme organizzative derivate dalle lotte plebee. Viene riconosciuto il valore delle delibere assunte dalle assemblee della plebe. Con il superamento della disputa patrizi-plebei, il tribuno della plebe divenne un elemento di un’architettura politica unitaria. C’era una larga prevalenza di leggi riguardanti provvedimenti relative alle singole magistrature, che ne ampliavano o modificavano le competenze. Nelle dichiarazioni di guerra, il popolo interveniva accanto al senato. 1.23 Tibuni militum consuli potestate vengono eletti a partire del 444 a.C. hanno un potere simile ai consoli. Vengono eletti perché Roma era in fase espansionistica e 2 consoli non bastavano. Nascono, quindi, per esigenze pratiche e il loro numero varia di anno in anno. Uno di questi, Mario Capitolino, cercò di farsi nominare dictator, fallendo. Nonostante ciò, l’episodio allarmò la Res Publica romana, che approvò 3 leggi: istituì una nuova magistratura, i pretori urbani, che aveva il compito di amministrare la giustizia civile; ci fu un’apertura del consolato ai plebei; vennero cancellati i debiti e venne istituita la riforma agraria, che stabiliva che le terre pubbliche fossero assegnate in 500 iugeni per ciascun cittadino e 250 per ciascuno dei 2 figli maschi. Queste leggi vennero approvate per diminuire il conflitto sociale e dare un assetto più maturo al sistema repubblicano. 1.24 Istituzione della pretura urbana venne istituita nel 367 a.C. I pretori erano in posizione minoritaria solo rispetto ai consoli. Avevano i compiti di amministrare la giustizia, comandare l’esercito fuori da Roma, convocare il senato e i comizi. I primi pretori erano esclusivamente patrizi, nel 337 a.C. . perché, a differenza dei consoli, i loro poteri non erano intercambiabili. Nel 242 a.C. venne istituito il pretore peregrino, che aveva il compito di o incerte; l’agere era l’azione processuale svolta per tutelare il cittadino in una controversia. 1.33 Scienza giuridica romana la maggior parte delle regole che disciplinavano la vita dei cittadini nella sfera giuridica non dipendeva da una legge votata dall’assemblea cittadina. Questo perché, accanto alla legge scritta nelle XII tavole, si affiancava la interpretatio dei giuristi. 1.34 Motivi del successo politico di Roma Uno dei motivi per spiegare il successo politico e militare di Roma è da attribuire, secondo Polibio, un intellettuale greco testimone delle imprese romane contro Cartagine prima, e in oriente poi, alla costituzione mista presente nella repubblica romana. La definisce costituzione mista perché all’interno della società c’è la perfetta tripartizione delle forme di governo principali: la monarchia, rappresentata dal ruolo dei consoli, l’aristocrazia, rappresentata dal Senato, la democrazia, rappresentata dal popolo riunto nei comizi. 1.35 Espansione imperialistica e trasformazione della società romana Roma era uscita trasformata e arricchita dalle guerre puniche, terminate con la distruzione di Cartagine e l’annessione dei territori del sud Italia e del Nord Africa nella civiltà romana sotto forma di province. L’aristocrazia e il ceto equestre erano stati i maggiori beneficiari delle conquiste, con la concentrazione di grande capitali nelle mani di pochi privilegiati. 1.36 La rottura del patto le comunità italiche erano state fondamentali per Roma durante le guerre Annibaliche e chiedevano un pieno riconoscimento della cittadinanza romana. Inoltre, c’era una grossa concentrazione di potere e ricchezza all’interno di un gruppo sempre più ristretto contrapposta a una base sociale, costituita da cittadini romani e italici, sottoposta a costi sempre più elevati. C’era una frattura all’interno della società, con alcuni che difendevano le vecchie tradizioni, mentre altri ritenevano il vecchio ordinamento un fattore di crisi e squilibri. Le divergenze esplosero nel II secolo. I gruppi politici si coagularono in optimates e populari. A testimonianza delle tensioni, ci fu l’istituzione del senato consultum ultime necessitate, che sul presupposto di qualche pericolo per la repubblica, prometteva di sospendere le garanzie di libertà e tutela giuridica dei cittadini. 1.37 Tiberio Gracco e la distribuzione dell’ager publicus per far fronte all’accumulo di terre da parte di una ristretta cerchia di aristocratici, si era pensato di rivitalizzare la legislazione de modo agrorum, risalente alle leggi Licinie Sestie, che stabiliva un limite massimo ai possessi terreni di ciascun cittadino. Nel 313 a.C. Tiberio Gracco si fece eleggere tribuno della plebe e avviò una politica riformatrice, proponendo ai comizi di tornare a stabilire il limite massimo per il possesso terriero. Il compito di riassegnare le terre fu affidato a un triumvirato eletto dai concilia plebis. Questa riforma toccava gli interessi dell’aristocrazia, ormai già impadronitasi di quelle terre. Questo potente gruppo si affidò a un altro tribuno, in modo che ponesse l’intercessio sulla riforma, impedendo di votarla. Tiberio fece votare ugualmente la sua proposta ai concilia, rompendo lo schema tradizionale. Inoltre, Tiberio si ricandidò per il ruolo di tribuno della plebe anche l’anno successivo, allontanandosi dai criteri del cursus honorum. Tiberio fu assassinato dai suoi oppositori, che a loro volta non rispettarono l’inviolabilità della persona garantita dal ruolo di tribuno della plebe. 1.38 Gaio Gracco riprese il programma politico del fratello, ampliandolo e potenziandolo. Una lex Sempronia stabilì la fondazione di una colonia a Taranto e Capua. Una lex Rubria de colonia Carthagine deducenda stabilì la formazione di una colonia a Cartagine, sottraendo al Senato la competenza nella gestione delle province romane. La lex Sempronia de provincia Asia toglieva il controllo del senato sugli appalti per le imposte nelle province dell’Asia. La lex Sempronia de provincis consularibus obbligava il senato a sorteggiare quali terre fossero assegnate ai futuri consoli prima delle elezioni. La strategia legislativa di Gaio era volta ad annullare il potere politico del senato. La lex sempronia de capite civis Romani riaffermò il potere dei comizi sui casi di applicazione della pena capitale. Gaio proponeva la soppressione del sistema di voto per classi di centurie, perché i ceti economicamente deboli erano irrilevanti, proponendo il sorteggio dell’ordine delle centurie. La lex Sempronia iudiciaria stabilì che i giudici dovettero essere scelti tra i membri del ceto equestre, non più del senato. 1.39 Reazione senatoria alle riforme dei Gracchi il senato organizzò l’assassinio di Gracco nei giorni precedenti alla sua terza rielezione a tribuno della plebe. Nel II secolo a.C. si delinearono due tendenze: Latini e Italici che chiedevano la cittadinanza romana e i Romani che non volevano concederla troppo rapidamente. Gaio era intenzionato a concederla solo agli antichi Latini che ne erano rimasti fuori, mentre per gli Italici immaginava una parziale assimilazione ai privilegi goduti precedentemente dai Latini. In questa circostanza, il senato isolò Gaio, usando un altro tribuno della plebe, che interpose il veto contro il progetto di estensione della cittadinanza. La linea politica graccana fu totalmente cancellata e, con la lex agraria epigraphica, si trasformò l’ager publicus in piena proprietà. 1.40 Riforme militari e crisi italica oltre alle tensioni presenti all’interno del territorio, Roma dovette affrontare la minaccia delle popolazioni germaniche. Gaio Mario assicurò la vittoria romana, che gli valse il comando della guerra in Nord Africa. Le difficoltà della leva vennero superate arruolando volontari nullatenenti speranzosi di fare qualche soldo con la guerra. Con la vittoria sui germanici, si ripropone il tema delle assegnazioni delle terre, ora volute anche dai veterani. 1.41 Guerra sociale e cittadinanza agli italici italici e Latini volevano la piena assimilazione e parità di condizioni con i cittadini Romani. In particolare, gli italici erano storici alleati dei Romani, che fornivano contingente militare ogni volta che c’era una guerra. Per questo, gli italici mandano una delegazione a Roma per chiedere la piena cittadinanza, ma il senato risponde negativamente, distruggendo le comunità. A questo punto, gli alleati italici decidono di muovere guerra a Roma, che incredibilmente perde. A questo punto, Roma cerca di fare proposte di cittadinanza, seppur non piene, accolte negativamente. 1.42 Silla e riforme Silla prese il comando della guerra in Oriente contro Mitridate. Nel frattempo, a Roma la guerra civile andò avanti, con i populares che si accanirono contro i membri del partito senatorio, uccidendoli. Così, il senato si arrese, concedendo la cittadinanza romana agli italici. Tornato in Italia, Silla accusa i populares della disfatta della guerra sociale e marciò su Roma, vincendo la guerra civile. Proclamò le liste di proscrizione, che dichiararono gli avversari politici di Silla nemici della repubblica, legalizzando l’assassinio di quest’ultimi. Con la lex Valeria de Sulla dictator creando si fece eleggere dittatore a vita. Successivamente, riforma la repubblica in chiave senatoria: aumenta il numero di senatori, questori e pretori; istituisce tribunali permanenti; stabilisce che le corti devono essere senatorie; abbatte il tribunato della plebe, imponendo che la carriera politica si sarebbe chiusa se si venisse eletti; vieta ai plebei di presentare proposte di legge; deduce colonie spalmate sul suolo nazionale, prendendo terre di chi si è schierato con i populares. Per far durare le sue riforme, Silla decide di abdicare, per non farsi odiare dalla popolazione, rimettendo i poteri in mano al senato 1.43 L’evoluzione del diritto e del processo criminale le riforme di Silla incidono anche sul processo criminale. Voleva sopprimere il ruolo delle assemblee popolari e ridurre i margini di arbitrio dei tribuni della plebe. Il diritto di provocatio e il controllo dei comizi centuriati fu costante nei giudizi capitali, estendendosi anche ai reati repressi con multe o detenzione. 1.44 Quaestiones perpetuas il senato, composto da un corpo di giurati e presieduti da un console o un pretore, fu chiamato a giudicare crimini di carattere politico in cui erano coinvolti magistrati. Furono così istituiti delle popolazioni governate. Si istituisce il ruolo di una figura dedita esclusivamente a questa disputa, il pretor de repetundis. L’accusa era alieno nomine, cioè poteva essere anche un cittadino estraneo alla controversia ad avanzare un’accusa al posto di chi aveva subito il danno. 1.52 Innovazioni della lex repetundarum tra le innovazioni ci sono la nomina di un pretore ad hoc, la previsione di una pena corrispondente al doppio del valore estorto, a differenza della lex Calpurnia che prevedeva la restituzione dell’esatta somma estratta. La giuria veniva scelta da accusatore e accusato, con l’accusa che sceglieva 100 membri estratti da un albo dei nomi (editio) e l’accusato sceglieva 50 tra i membri scelti dall’accusa (eletio). L’albo dei nomi fu anche oggetto di lotte politiche tra equites e senatori, perché entrambe le parti volevano il controllo sulla repressione criminale. L’acquisizione della prima giuria fu affidata agli equites. Prima di procedere con l’editio e l’eletio, il magistrato doveva assicurarsi che non c’era alcun tipo di rapporto tra giurati e parti in causa. Il processo era concluso quando i giudici avevano raggiunto una maggioranza. Qualora non accadesse, si concedeva l’ampliatio, cioè una nuova discussione di fronte alla giuria, presentando nuove prove. Se i giudici insistono a non trovare una maggioranza, il pretore aveva il compito di indirizzarli verso una chiusura. Un’altra novità era rappresentata dal fatto che un processo sarebbe partito solo se ci fosse stato un accusatore, che sarebbe stato anche premiato in caso di vittoria. (ad esempio avrebbe ottenuto la cittadinanza Romana se fosse stato straniero). Se, però, l’accusatore intentava un processo per ottenere il premio, veniva accusato di calunnia. Con la lex Repetundarum si crea il primo tribunale permanente Romano, che si occupava delle repetunde, ovvero malversazioni. 1.53 Tribunale permanente nel tempo vennero a formarsi diversi tribunali permanenti, che si dovevano occupare di diverse controversie. Venivano istituiti con una lex Publica, che conteneva già una pena prestabilita, in maniera tale che non fosse a discrezionalità dei magistrati. Vennero stabiliti tribunali per la quaestio maiestas, cioè casi di atti contrari al bene del popolo Romano, istituiti dalla lex Appuleia; la quaestio de sicariis, per punire omicidi realizzati con l’uso di armi; quaestio de veneficis, per punire omicidi realizzati tramite somministrazione di veleno; quaestio de plagio, per punire la riduzione in schiavitù di una persona libera o punire l’esercizio di uno schiavo altrui. 1.54 Riforme di Silla Silla prende il potere nell’82 a.C. con l’intento di riformare la Res Publica Romana in chiave senatoria. Interviene anche nel diritto criminale, razionalizzando le quaestiones perpetuae e attribuendo le giurie solo ai senatori. Cambia le regole per la selezione dei membri della giuria, con l’accusatore e l’accusato che fanno reietio ed eletio. L’accusa sceglie un nome dall’albo e la difesa decide se tenerlo o no. Cambia le regole della votazione, con l’accusato che può scegliere se vuole il voto palese o segreto. Con la crescita delle attività dei tribunali permanenti, aumenta il numero di magistrati e pretori, con i magistrati che possono nominare delle persone che svolgano le loro stesse funzioni, gli indices quaestione. Riduce la pena per le quaestiones repetundis, tornando alla restituzione totale della somma sottratta, non più, quindi, il doppio. Introduce la pena capitale per la quaestio de Maiestato, che diventerà uno strumento utilizzatissimo per la repressione degli oppositori politici. Introduce la quaestio de ambitus, dove punisce la corruzione elettorale con l’interdizione alle cariche pubbliche per 10 anni. Introduce la quaestio de falsis, ovvero la repressione con la pena capitale per il falso testamento. Raggruppa le quaestio de sicariis et veneficis, introducendo, anche qui, la pena capitale. In questa particolare circostanza, viene punita per la prima volta l’intenzionalità, dato che chiunque girasse armato poteva essere accusato. Introduce la quaestio de injuris, repressione per lesioni aggravate. L’innovazione, in questo caso, consiste nel fatto che solo la parte lesa può intraprendere un’azione legale, non più una persona “terza”. 3 secoli dopo, i giuristi Romani cercano di definire la iudicia publica, che ha 2 caratteristiche: la prima è che viene emanata con la lex publica, la seconda è che tutti i cittadini possono presentare un’accusa, anche una persona “terza”, ed è per questo motivo che i giuristi escludono la quaestio de injustis, dato che non poteva essere avanzata da tutti. 1.55 Quaestiones perpetuae da Silla in poi dopo Silla emergono nuovi interventi con la lex publica. La lex Plautia per le quaestio de vi, rappresenta la repressione della violenza pubblica; le leges Iuliae per i crimen repetundarum amplia i soggetti e le fattispecie punibili, oltre a introdurre indicazioni per regolare come si deve comportare un magistrato nelle province; con la lex iudiciaria suddivide equamente le giurie tra equites e senatori. 1.56 Svolgimento del processo l’accusa e la difesa pronunciavano le orazioni delle perpetuae, presentando alla giuria tutte le loro argomentazioni e le loro prove. All’accusa venivano date 2 ore di tempo per pronunciarsi, alla difesa 3. 1.57 Nascita del principato Ottaviano si era fatto eleggere console nel 31 a.C. insieme al suo uomo di fiducia Agrippa. Il titolo di console lo conservava anche nel 27 a.C., quando rinunciò ai poteri straordinari che gli erano stati conferiti dal senato, rimettendoli in mano ad essi. Durante le guerre civili, infatti, il senato gli aveva concesso tutti i poteri del tribuno della plebe, oltre a quelli che già deteneva in quanto console. Una volta restituiti i poteri, ricevette dal senato una serie di onori e nuovi poteri in segno di gratitudine per aver volontariamente rinunciato ai poteri straordinari, ma soprattutto, per ribadire la necessità che il senato aveva che Ottaviano continuasse nella sua opera. In primo luogo, ricevette un imperium esteso alle province romane, che gli permetteva di amministrare le province con un potere superiore a quello del proconsole. In questo modo, Ottaviano ottenne il controllo dell’intero apparato militare, dato che l’imperium conferitogli si estendeva anche alle province non pacificate, dove erano stanziate le legioni. Precedentemente, Ottaviano era stato nominato princeps senatus per aver fatto terminare le guerre civili. Gli venne attribuito il titolo di Augustus, ovvero un cittadino superiore per autoritas, ma non per potestas. Questa sua posizione fu integrata da un diritto d’intervento per salvaguardare ogni interesse pubblico. Nel 23 a.C., Ottaviano Augusto rinunciò al consolato, ottenendo la pienezza dei poteri tribunizi a vita, senza però occuparne la carica. Aveva, quindi, il potere di convocare senato e comizi, aveva l’inviolabilità della persona e il potere di veto contro ogni iniziativa dei magistrati in carica e una competenza nella repressione criminale. Dal 23 a.C., l’imperium di Ottaviano venne qualificato come maius, superiore a quello di tutti gli altri magistrati. Gli fu conferita anche la titolarità dell’imperium consolare a vita, legittimandolo a convocare e presiedere il senato. 1.58 Differenze tra Cesare e Augusto Augusto eviterà le accelerazioni che Cesare aveva tentato di compiere. Per far ciò, era necessario che le istituzioni antiche mantenessero un ruolo vero e proprio, non relegandole a una funzione formale. Il senato, ad esempio, era andato contro Augusto nelle guerre civili, appoggiando Antonio e che aveva ucciso suo padre adottivo, Cesare. Nonostante ciò, il progetto di Ottaviano, nonostante comportasse profondi riequilibri e trasformazioni, non riguardava la totale cancellazione della fisionomia della città, né tantomeno una rivoluzione sociale. Infatti tutti i superiori comandi militari e il governo delle legioni Romane erano affidati al ceto senatorio, depositario della tradizione militare romana. Ottaviano continuò a moltiplicare i formali atti d’ossequio verso il senato, senza rinunciare a eroderne i poteri effettivi. Questo processo non avvenne rapidamente come nel caso di Cesare, ma lentamente nel corso degli anni del suo principato. Un primo parziale svuotamento della costituzione repubblicana era dato dalla centralità dei due fattori divenuti i titoli di legittimità del nuovo potere: l’esercito e il popolo. Ne risaltava l’immagine di un governo fondato sul consenso popolare e sul supporto di un’armata. sua figlia Giulia prima con Claudio Marcello, poi con Agrippa. I 2 mariti di Giulia morirono, così come i loro figli. La scelta ricadde su Tiberio, fatto sposare anch’egli con Giulia. Augusto adottò, quindi, Tiberio, ammettendolo alla successione. Durante gli ultimi anni della vita di Augusto, Tiberio fu coinvolto nella titolarità dell’imperium proconsulare e della tribunicia potestas. Un ruolo di rilievo, durante il principato Augusteo, lo aveva avuto il senato, che aveva conferito ad Ottaviano tutti i poteri di cui disponeva. Con Tiberio e i successori queste logiche vennero riaffermate, facendo deliberare al senato l’intero pacchetto dei poteri che si erano sommati nella persona di Augusto. Nella lex de imperio Vespasiani sono specificamente elencate facoltà e poteri attribuiti in blocco, dal senato e dal popolo, al nuovo designato. Questi poteri erano stati ricavati da tutti quei ruoli che Augusto aveva acquisito nl corso degli anni, che venivano poi trasmessi al successore. 1.67 Una strada già segnata Augusto morì nel 14 d.C. Tra i successori appartenenti alla sua famiglia si stagliano Tiberio da un lato e Claudio dall’altro. Il trono fu preso da Tiberio Claudio Nerone, figlio della moglie del principe. Nonostante l’intenzione di ridare spazio alle logiche repubblicane, valorizzando il ruolo del senato, la sua condotta porterà ad esiti opposti. Il suo praefectus praetorio, Seiano, approfittò della sua assenza per infierire sul ceto senatorio, in una politica che mirava a eliminare possibili successori, vedendo la possibilità di succedere lui stesso al principe. Tiberio lo fece uccidere. Sotto Tiberio, la politica espansionistica si bloccò totalmente, pensando a consolidare un impero già definito. Altro pericolo per Tiberio è rappresentato dal suo figlio adottivo, Germanico, che comandava le legioni in Germania, infatti Tiberio aveva paura che gli potesse muovere guerra, infatti lo richiamerà, lo manderà a guidare le legioni in Oriente affiancato a un suo pretore di fiducia e successivamente lo avvelenerà. Con l’impero di Claudio, riprese la spinta espansionistica, ma soprattutto, si realizzò il primo potenziamento imperiale., con l’ampliamento degli uffici di governo, favorendo l’impiego dei liberti imperiali, con ruoli anche molto importanti. Inoltre, Claudio bloccò le costosissime operazioni volute da Caligola, che si erano dimostrate improduttive. Con Claudio, il senato ampliò le sue funzioni in campo legislativo. I senatoconsulti si sostituirono alle leges. 1.68 Il principato dei Flavi l’ascesa al potere di Vespasiano derivò soprattutto dall’acclamazione delle truppe che guidava in Giudea. Vespasiano non era di origine senatoria e questo segnava un cambiamento rispetto alla precedente dinastia. La sua politica si basava sul risanare e potenziare le finanze pubbliche, tanto che fu accusato di taccagneria da parte dei cittadini Romani, abituati ai fasti dei predecessori. Sotto Vespasiano, ci fu una rapida romanizzazione delle élite provinciali, testimoniato dal fatto che, alla fine della dinastia Flavia, ascese al potere Traiano, primo imperatore di origine provinciale. L’ascesa delle élite provinciali provocò un ulteriore fattore di arricchimento e unificazione della società imperiale. Questo processo di unificazione fu aiutato dal fatto che la nomina a senatore comportava obblighi di presenza alle sedute e uno spostamento delle ricchezze a Roma e in Italia a causa degli obblighi imposti ai senatori di investire parte delle loro ricchezze in Italia. Ci fu una correzione della strategia difensiva dell’impero, potenziando le linee difensive. Dopo la morte di Vespasiano, il potere passò in mano al figlio, Domiziano, che dovette fronteggiare numerosi attacchi da parte delle tribù germaniche e slave, a cui Domiziano resistette. Questo non evitò tensioni con il senato, che portò alla morte dello stesso Domiziano. La sua morte segna l’estinzione della stirpe dei Flavi. 1.69 Senatoconsulti si apre con la reptio di chi ha convocato il senato. Il magistrato può decidere di coinvolgere anche le comunità straniere. Alla discussione prendono parte i senatori: vengono ascoltati prima gli ex consoli, poi gli ex pretori e così via. Non c’è un limite di tempo, infatti se non si raggiunge una votazione il senato è aggiornato al giorno successivo. Una volta arrivati alla decisione definitiva, bisogna metterla per iscritto. Qui subentra il decretum, che è la parte elencativa del processo, nel quale vengono segnati i nomi e il numero dei senatori che hanno preso parte alla seduta e in cui viene trascritta anche la decisione presa. 1.70 Il governo dei migliori nel corso del II secolo, la successione fu sottratta a a una logica familiare per realizzarsi in base a quella dei più meritevoli. Con Traiano, si ebbe l’ultima stagione di conquiste, con l’acquisizione della Dacia. Tuttavia, nemmeno sotto Traiano i Romani riuscirono ad avere la meglio sui Parti. Il suo successore, Adriano, tornò alla politica del consolidamento del limes. A lui si deve la definizione dei tipi di carriera e le retribuzioni dei vari funzionari, secondo una gerarchia di 4 livelli stipendiari, di 60, 100, 200 e 300k sesterzi annui. Si definì anche l’organico dei vertici delle carriere burocratiche aperte al rango equestre. Venne codificato l’editto del pretore, confermando il potere giudiziario, ma bloccando la forza innovativa. Dopo la morte di Adriano, ci furono una serie di successori saliti al potere in base alla logica dei “più meritevoli”, che però non si dimostrarono capaci. La situazione venne ripristinata con la presa di potere di Settimio Severo, che continuò con la politica di difesa dei confini. 1.71 Consolidamento e trasformazione del potere imperiale sotto il governo di Settimio Severo, ci fu una concentrazione di potere sempre più evidente nelle mani del principe. In particolare, le categorie di diritto e legge si fusero nella figura del principe. 1.72 Ius respondendi, il valore di norma generale delle costituzioni imperiali e il nuovo ruolo della giurisprudenza Augusto introdusse lo ius publice respondendi ex auctoritate principis, cioè il diritto di dare responsa in base all’autorità del principe. In questo modo, il parere di un giurista possessore dello ius respondendi assumeva valore vincolante per il giudice. Questo diritto venne concesso ai migliori giuristi del periodo, appartenenti al rango senatorio. La forma di applicazione e amministrazione della giustizia cambiò radicalmente con l’avvento del principato. Infatti, lo schema classico della Repubblica, Senatoconsulti, leggi e plebisciti, cadde. L’attività dei comizi, ad esempio, svanì, dato che, gradualmente, avevano perso le loro funzioni: con Silla avevano perso la funzione di guida dell’esercito, con l’avvento delle quaestiones perpetuae persero la funzione di repressione criminale e con Tiberio anche la funzione legislativa, tanto che non si riunirono più. I senatoconsulti rimasero, ma erano subordinati alla volontà del principe, grazie all’introduzione dello ius publice respondendi ex auctoritate principis, che permetteva alla volontà del principe di assumere la funzione di legge, visto che il suo potere derivava dal consenso del senato e del popolo. La costituzione romana si divideva in 3 parti: decretum, epistola, edictum. 1.73 Giudici e giuristi nella prima età del principato nel principato, si fornì una tutela processuale extra ordinem riguardanti questioni di successione e di libertà. Un elemento che aveva agevolato questa innovazione sta nel principio secondo cui i cittadini potevano sempre appellarsi ad Augusto contro un atto di qualsiasi magistrato. Con la lex Iulia iudiciorum publicorum, Augusto aveva regolato la procedura delle quaestiones perpetuae, limitando l’ampia autonomia che avevano avuto i magistrati repubblicani. Il principe poteva esercitare anche il diritto della coertio, il potere di repressione del principe e dei suoi delegati, i 4 prefetti, urbi praetorio vigilum e annonae. L’efficacia della giurisdizione del pretore fu limitata dal fatto che era lo stesso imperatore a scegliere i pretori. 1.74 La crisi del III secolo si aggravò dalla morte di Severo Alessandro all’ascesa di Diocleziano. Due furono le cause: la crescente difficoltà nel difendere i confini e l’indebolimento del potere imperiale, testimoniato dal fatto che si susseguirono numerosi imperatori, restati in carica per un breve periodo, appartenenti all’apparato militare. Le tensioni interne si estesero a tutto il politica militare sull’assunzione dei popoli barbarici, affidando la difesa complessiva dell’impero a Stilicone, di origine vandala. 1.79 Il crogiuolo d’occidente e la lunga vita dell’impero d’Oriente con l’uccisione di Stilicone, l’impero romano d’occidente sprofondò in una grande crisi. Alarico, capo dei Visigoti, saccheggiò Roma, aprendo il dissolvimento dell’impero d’occidente, dando luogo ai regni romano-barbarici. Gli imperatori d’oriente, ormai unici eredi dell’antico impero d’occidente, delegarono la sovranità in occidente ai barbari. Si delinearono 4 entità politico-militare: 2 regni franco e burgundo in Gallia, uno visigotico in Spagna e uno vandalo in Africa. Nel 476 cadde ufficialmente l’impero romano d’occidente, con la caduta dell’ultimo imperatore, Romolo Augustolo. All’interno dei regni romano-barbarici si ricompose in minori entità la frammentazione dell’unità imperiale e le popolazioni locali si fusero con quelle barbariche. In Italia, questo processo di fusione avvenne grazie alla politica del re Teodorico, che favorì l’integrazione dei 2 popoli. Risale a Teodorico l’editto per il quale il diritto romano disciplina egualmente sia romani che ostrogoti. Ai barbari spettava il monopolio militare. Fu proclamata la lex Romana Visigothorum, emanata da Alarico. È riportata un’ampia parte del codice Teodosiano, semplificandone il testo. In Italia la frattura definitiva con la tradizione romana avvenne con i Longobardi. 1.80 La legislazione imperiale nell’età del dominato molte condotte illecite precedentemente regolate secondo una logica risarcitoria, vennero configurate come reati pubblici, venendo fatti rientrare nella maiestas. 1.81 La legislazione romano-barbarica le costituzioni imperiali emerse in questa nuova fase della storia di Roma risalgono a Diocleziano. Si tratta del Codice Gregoriano e del Codice Ermogeniano. Il Codice Gregoriano raccoglieva costituzioni dioclezianee, mentre quello Ermogeniano quelle di Settimio Severo e addirittura Adriano. I testi delle costituzioni erano ordinati per materia. Sotto Teodosio, venne realizzato il Codice Teodosiano, che non sostituiva i 2 precedenti Codici, ma semplicemente integrava le vecchie raccolte presenti nei 2 codici. Il Codice teodosiano rimase in vigore fino all’arrivo di Giustiniano in Oriente, mentre in Occidente il Codice rimase in vigore anche dopo Giustiniano. 1.82 L’opera di Giustiniano recuperò la tradizione giuridica romana. L’anno successivo al suo insediamento, enunciò il suo primo progetto di far redigere una raccolta di tutte le costituzioni imperiali. Lo scopo di Giustiniano era quello di dare un quadro completo della legislazione imperiale ancora valida. Aggiornò, quindi, i testi delle costituzioni precedenti. Nel 533 Giustiniano, con la costituzione bilingue, greco e latino, pubblicò il Digesto. Era una raccolta dei testi dei giuristi romani, tagliati lasciandone le parti più essenziali, e copiati secondo un ordine logico che presupponeva unità tematiche all’interno dei vari argomenti trattati.