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Riassunto manuale di educazione al genere e alla sessualità, Sintesi del corso di Sociologia di Genere

Riassunto dei capitoli 1,2,3,8 del libro "Manuale di educazione al genere e alla sessualità" più approfondimento prof.

Tipologia: Sintesi del corso

2023/2024
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Scarica Riassunto manuale di educazione al genere e alla sessualità e più Sintesi del corso in PDF di Sociologia di Genere solo su Docsity! 1 RIASSUNTO MANUALE DI EDUCAZIONE AL GENERE E ALLA SESSUALITÁ In questo testo ci si occupa principalmente di genere e mutamento sociale. Mutamento sociale fa riferimento a tutto ciò che cambia. La sociologia va inquadrata dal basso e quindi dalle azioni che le persone compiono nel corso della loro vita quotidiana ma anche dall’alto cioè prendere in considerazione i legami, le strutture, i condizionamenti da parte della politica ecc. Il nostro modo, quindi, di essere uomini o donne cambia nel corso del tempo e cambia anche in relazione al rapporto che abbiamo con le altre persone. A livello micro sociologico l’identità di genere, l’espressività di genere, l’orientamento sessuale, sono tutte dimensioni che attengono alla persona in un’ottica sempre sociologica e di relazione con l’altro. A livello meso sociologico si fa riferimento alle istituzioni che si occupano di socializzazione al genere ovvero di trasferire modelli di comportamento, di aspettative legate alla differenza sessuale. Di conseguenza vengono loro trasmessi una serie di obblighi e comportamenti che devono replicare nella loro vita quotidiana. I genitori, principalmente nella socializzazione primaria, trasferiscono questi modelli di base e di comportamento sulla base del sesso assegnato alla nascita e poi le altre agenzie di socializzazione come la scuola, il gruppo dei pari, i media sono terreno per performare. A livello macro sociologico si fa riferimento alle politiche di genere che si connotano a seconda degli aspetti sulle quali vogliono intervenire. Politiche che favoriscono le pari opportunità e la cittadinanza sessuale. Queste politiche fanno sì che per essere quello che vogliamo dobbiamo anche trovare le condizioni che ci permettano di essere ciò che vogliamo. CAPITOLO 1: COME SI DEFINISCE IL GENERE 1.1 Le teorie classiche Il genere è sociologicamente definito come costrutto sociale basato sull’insieme dei ruoli, dei comportamenti e degli attributi socialmente costruiti che una società considera appropriati per una persona. Concetto coniato dalle scienze sociali nel corso del XX secolo ma un’analisi di tipo scientifico rispetto alle differenze fra uomini e donne si è affermata a partire dalla seconda metà del XIX secolo. Temi come la diversità sociale nei nuovi spazi urbani o la nuova struttura sociale per classi sono stati oggetto delle prime indagini sociologiche, che hanno evidenziato come i fondamenti della vita sociale e le relazioni fra gli individui fossero determinati sia da caratteristiche ascritte (presenti alla nascita) sia da quelle acquisite (ottenute nel corso 2 della vita) da ogni individuo. Le più evidenti erano proprio quelle di tipo fisico, anatomico, biologico, che distinguono fra loro gli uomini e le donne. I primi esponenti della disciplina sociologica enfatizzano soprattutto gli aspetti oggettivi delle differenze sociali riferendosi ad una teoria della differenza naturale. Secondo questo modello, comportamenti, ruoli e aspettative di ogni individuo sono direttamente correlati alle proprie caratteristiche biologiche e fisiche candidandoli a svolgere determinate azioni, progressivamente modificatesi attraverso il processo di selezione naturale. Nel corso del XX secolo questa accezione fu ripresa dalla sociobiologia che intendeva contrapporsi alle tre prevalenti prospettive della trasformazione delle differenze sessuali. • La prima può essere definita una prospettiva conflittualista con cui si affermava una visione della società moderna secondo la quale ruoli e funzioni erano determinati da una cultura orientata da squilibri nell’accesso alle risorse economiche, politiche, sociali a favore degli uomini, che perpetuavano questo sistema per preservare la propria posizione dominante. Questa prospettiva fu al centro delle riflessioni di molti studiosi sociali e, fra questi, anche di donne come Mary Wollstonecraft che già nel corso del XVIII secolo sottolineava come le donne non fossero inferiori per natura agli uomini; e a Harriet Martineau si deve, invece, un’attenta riflessione sull’inadeguatezza del sistema democratico, perché non garantiva l’uguaglianza fra i membri di una società e un pari accesso ai diritti di formazione, lavoro, rappresentanza politica, famiglia e salute. Questi principi si tradussero nelle idee a fondamento di movimenti di pensiero e azione quali quelli per l’emancipazione femminile, votati a definire e stabilire l’uguaglianza economica, politica e sociale dei sessi. Fra questi uni dei più noti fu quello delle suffragette. Il pensiero dell’economista e filosofo inglese John Stuart Miller richiama l’abolizione della schiavitù dei neri negli Stati Uniti, avvenuta nel 1865, per richiedere che allo stesso modo fosse trattata l’ultima forma di schiavitù legalizzata, ossia quella delle donne subordinate agli uomini solo per il fatto di essere donne. La condizione femminile risultava di assoggettamento perché il riconoscimento sociale era impari nei due emisferi della vita sociale: scarso era, infatti, il riconoscimento pubblico delle attitudini associate al mondo femminile. Anche nell’ambito economico ciò era evidente, sia rispetto alla funzione produttiva della donna sia alla sua funzione di autonoma gestione di risorse economiche. Lo sottolineano anche Marx ed Engels (1846) a dimostrazione di un sistema sociale fondato sulle disuguaglianze tra uomini e donne sulla base delle loro caratteristiche 5 all’istruzione, alle professioni, alle istituzioni e anche ai sistemi politico- amministrativi, con diritto di voto e di eleggibilità. Anche la corrente ideologica del socialismo utopista fece propria la questione femminile con Marx e Engels che nello stesso modello di produzione capitalistica individuarono la possibilità di rivoluzionare i rapporti tra i sessi riconoscendo alle donne una funzione produttiva, e non più solo riproduttiva, anche fuori dall’ambito privato familiare. Questa base ideologica è stata tradotta in alcune proposte di legge nel Parlamento italiano dal deputato Salvatore Morelli che richiese l’introduzione del divorzio e altri diritti civili e politici, ottenendo, però, solo l’accesso delle donne alle testimonianze in atti pubblici e privati nel 1877. Nel frattempo dopo il riconoscimento del suffragio universale nel continente australe a cavallo del 1900, anche in Finlandia e Norvegia riconobbero il diritto di voto alle donne seguiti dal 1922 da altri Paesi nel mondo. La rappresentanza politica femminile fece da lenta introduzione anche ad altri diritti, a partire da quello dell’istruzione a quello dell’esercizio delle professioni. Esperienze come quella italiana con la stesura di una Costituzione attenta alle differenze fra uomini e donne nel 1948, e la Rivoluzione socialista in Russia diedero voce ad una lettura femminista della società che fu portata in primo piano dal mondo culturale e pose le basi per il secondo femminismo. In particolare due sono i riferimenti più importanti di quest’epoca: il primo all’opera di Virginia Woolf “Le tre Ghinee” del 1938 che si propone come un documento sull’organizzazione sociale. La scrittrice, infatti, simulando la possibilità di poter spendere le tre ghinee per iniziative che mettono al riparo dall’imminente conflitto mondiale, le sceglie tali che affermino l’importanza della differenza fra i sessi e della diversità che le donne apporterebbero se istruite, se esercitassero le professioni e i ruoli decisionali. Il secondo riferimento è all’opera del 1949 “Le dexieume sexe” scritta da Simone de Beauvoir sulle ragioni della subordinazione femminile e sulle strategie per uscirne. Ella distingue le azioni degli individui che sono libere fra quelle in sé, che si uniformano a valori e alle regole dominanti, e quelle per sé, che vi si contrappongono per modificare il mondo. Le donne esercitano solo le prime azioni in funzioni della cultura maschile dominante, vivendo nella dimensione originale della coppia in cui non è possibile la separazione dei sessi e nella quale la donna non rivendica sé stessa, non vive il suo legame con l’uomo nel segno della reciprocità e trova naturale questa condizione di secondo sesso. Solo quando le azioni delle donne saranno per sé opposte ai valori maschili dominanti, esse potranno emanciparsi da ogni inferiorità e riconoscersi reciprocamente come soggetti uguali e liberi. 6 Con il secondo femminismo, tra gli anni ’60 e ’70, l’affermazione delle differenze fra uomini e donne diventa l’oggetto dell’osservazione e delle rivendicazioni di pensatrici attiviste. Proprio sulla base delle differenze dei corpi, della sessualità e delle scelte di vita sarebbe stata richiesta la parità di accesso ai diritti, riconoscendo alla differenza sociale quel valore aggiunto per lo sviluppo sociale che il contributo delle donne alle varie fasi dei periodi bellici aveva assicurato. Un valore che non era evidente in una società progressista come gli Stati Uniti, almeno secondo i risultati del sondaggio condotto nel 1957 da Friedan presso migliaia di donne con alto grado di istruzione della classe media ma relegate alla vita familiare. Secondo Friedan, quindi, sarebbe stato necessario consentire alle donne di scegliere liberamente una professione, metterle in condizioni di coniugarla ai propri tempi di vita familiare, alle proprie esigenze sessuali e alle aspettative sociali e valorizzare cosi le loro differenze per il bene dello sviluppo sociale. Obiettivo che la pensatrice americana tentò di realizzare fondando la National Organization for Woman, allo scopo di proporre disegni di legge ad hoc. Negli ultimi due decenni del XX secolo, invece, si va affermando il terzo femminismo in forme sempre più integrate alle istituzioni politiche, economiche e sociali. Le agende di queste istituzioni sono sempre più piene delle numerose questioni riguardanti le donne in una società progressivamente più complessa. Ciò anche grazie a una maggiore presenza femminile in quelle istituzioni. Lavorare al loro interno per ottenere una parità consente alle donne di poter indirizzare l’azione sociale verso obiettivi specifici. Questo femminismo integrato ha portato alla conquista di molti dei traguardi che si erano posti nei decenni precedenti: dall’interruzione della gravidanza al divorzio, alle azioni positive come le quote rosa in politica e alla tutela delle lavoratrici madri. Il quarto femminismo è la rappresentazione contemporanea del femminismo, anche esso influenzato dalla condizione storica in cui si sta sviluppando. In particolare sono due quelli che plasmano in modo più netto il suo orientamento. Da una parte, il fattore che maggiormente incide sul cambiamento sociale in atto, quello tecnologico. Dall’altra parte il femminismo contemporaneo è connesso al primo e si identifica nella socializzazione al concetto di genere delle generazioni più giovani. I nativi digitali non sembrano assegnare al sesso e al genere la funzione di caratteri identitari stabili, entrambi possono essere modificati grazie alla medicina e alle tecnologie e rinegoziati in seno alla società. Approfondimento prof. Tutte le teorie femministe si concentrano principalmente su 4 domande: 1) E le donne? Le teorie femministe si chiedono perché le donne nonostante diano un contributo fondamentale nel mondo sono sempre svalutate e svilite. Le donne hanno contribuito, insieme agli uomini, a creare il mondo sociale in cui viviamo 7 ma i ruoli femminili, per quanto essenziali, appaino diversi e meno prestigiosi di quelli riservati agli uomini. 2) Perché la condizione delle donne è così come è? Perché tutto dipende dal significato che viene attribuito al genere femminile nella società in cui essa vive e alle aspettative sociali che al genere femminile vengono connesse. Il concetto di genere come costruzione sociale non deriva dalla natura ma viene creato dagli individui come parte dei processi che determinano la vita dei gruppi sociali di cui è parte. 3) Come possiamo cambiare le cose? Chiedendosi se con il proprio lavoro si sta contribuendo a migliorare la vita delle persone. 4) E le differenze tra le donne e le donne? L’invisibilità, le disuguaglianze, le differenze di ruolo rispetto agli uomini sono fortemente condizionate dalla situazione sociale in cui vivono, ovvero dalla loro classe sociale, dalla razza, dall’età, dalle preferenze affettive e sessuali, stato civile, etnia ecc. Questa situazione conduce al tema centrale del genere che come costruzione sociale fa si che ci si renda conto che in realtà la differenza tra maschile e femminile non esiste tanto nella biologia ma esiste nei modi in cui le società attribuiscono valore a queste differenze infatti ogni cultura dà un significato diverso a questa differenza. Esistono vari tipi di femminismo: Il FEMMINISMO CULTURALISTA che esplora il valore sociale del modo di essere femminile che è unico e distintivo rispetto a quello degli uomini. Esalta, inoltre, qualità positive del carattere e della personalità femminile. Tra le principali teoriche troviamo: Margaret Fullet, Jane Addams, Charlotte Perking, le quali postulano l’idea che per governare efficacemente la società sono indispensabili virtù tipicamente femminili come la cooperazione, il pacifismo e la non violenza per evitare conflitti. Nella contemporaneità troviamo Carol Gilligan che sostiene la tesi secondo cui le donne prendono le decisioni seguendo l’etica della cura rispetto all’etica dei diritti dell’uomo basata su principi astratti. Secondo le teorie del FEMMINISMO ESSENZIALISTA O FENOMENOLOGICO le donne sono marginalizzate in una cultura creata degli uomini. Secondo le studiose di questo filone di studi uomini e donne nascono in un mondo modellato dalla cultura maschile che ignora marginalizzandola l’esperienza delle donne. Secondo la teoria ISTITUZIONALISTA FEMMINILE le differenze di genere derivano dai ruoli che le donne e uomini interpretano entro diversi contesti istituzionali come nel caso della donna che svolgendo la funzione di madre e moglie è concentrata nella sfera domestica e pertanto le sue esperienze di vita sono sostanzialmente diverse da quelle che vogliono gli uomini. 10 1.4 I men’s studies I men’s studies si occupano degli uomini e del loro agire sociale. Nascono negli Stati Uniti e hanno alle spalle una lunga stagione di mobilitazione politica giovanile: quella che va dalle prime occupazioni dei campus universitari degli anni Sessanta ai movimenti femministi e pacifisti che hanno fatto seguito alla sconfitta del Vietnam nel 1975. In questo stesso periodo storico si è iniziato a parlare di liberazione maschile. Nel corso della modernità il bisogno di trasformazione maschile si è variamente affermato, e spesso infranto, nelle relazioni sociali tra i generi, scontando anche i limiti politici dei movimenti di protesta degli anni Settanta. Ciononostante è stato proprio sulla scia di questi movimenti e degli studi femministi che molti uomini hanno cominciato a interrogarsi e a riflettere sulla loro esperienza sessuata, sul significato del loro essere uomini, avviando un’operazione di decostruzione dei modelli dominati di virilità e di etero-patriarcato, costruendo a loro posto una domanda di libertà e di ridefinizione simbolica del maschile. La contestazione dei ruoli sessuali e sociali costruiti dagli uomini e sugli uomini ha condotto studiosi e studiose, ma anche persone comuni, a far propria l’idea che il genere fosse una costruzione sociale e non un destino biologico. Secondo questa prospettiva non si nasce uomini, ma lo si diventa diversamente da cultura a cultura. L’obiettivo di una parte dei men’s studies è stato quello di decostruire i modelli dominanti della mascolinità, di smontare la neutralità, di storicizzare la differenza di genere e ricollocare il maschile nella propria parzialità. Approcci contemporanei La discussione scientifica intorno al genere maschile ha un percorso indiscutibilmente più tortuoso, meno ricco di contributi rispetto alla produzione femminista. Definire che cosa sia un uomo e pensare al maschile in termini non patriarcali e secondo un’ottica pro-femminista mette un po’ in difficoltà la ricerca sociale. Gli studi sugli uomini, però, stanno gradualmente diventando più visibili nella comunità accademica e anche nel dibattito pubblico. Gli ultimi decenni hanno infatti visto un ampliamento degli studi critici sulle mascolinità, in cui termini come metrosessuale (giovane uomo single di classe economica elevata che vive e lavora in città e si configura come uomo metropolitano eterosessuale che dedica tempo, fatica e denaro al suo aspetto estetico ponendo poca enfasi sulle relazioni a lungo termine, sulla genitorialità o sul fare famiglia) e strutture linguistiche come mascolinità egemonica sono diventati punti fondamentali nello studio degli uomini. Grazie ai men’s studies emergono nuove identità e forme di mascolinità. Anche in Italia appaiono una serie di studi e di ricerche che puntano il dito contro la trasmissione di saperi e conoscenze realizzata con strumenti costruiti dagli uomini. Un primo approccio emerge come reazione agli studi di genere e al femminismo. Sebbene chi appartiene a questo filone riconosca l’oppressione storica delle donne, enfatizza in ogni caso l’idea che i sistemi patriarcali siano in grado di opprimere anche 11 gli uomini. Inoltre, questo filone esprime la preoccupazione che gli uomini sono esclusi dalla discussione più generale degli studi di genere o siano addirittura svalutati, perpetuando un senso di colpa e di inferiorità degli uomini rispetto alle donne. Il secondo approccio prevede una convivenza più pacifica con il femminismo e gli studi sulle donne. Secondo chi lo sostiene, la missione degli studi sugli uomini è continuare il progetto rivoluzionario degli studi di genere. Affinché le teorie di genere abbiano successo nella sensibilizzazione e nel cambiamento politico, sociale e culturale, l’impatto di tali idee sugli uomini e sul ruolo degli uomini nella società deve però essere esaminato in modo più approfondito e sistematico. Si tratta, dunque, di studi specialistici che arricchiscono la sociologia del genere; un insieme culturale e scientifico utile a portare alla luce quello che ciascun soggetto si gioca nelle relazioni sociali. Questi studi riconoscono la parzialità del genere uomo e rendono più attuale la prospettiva introno al genere maschile. Critica ai men’s studies È stata sollevata la preoccupazione che i men’s studies siano una forma di appropriazione maschile della produzione scientifica. Secondo questa idea, attraverso le loro riflessioni gli studiosi uomini avrebbero uno strumento potenzialmente utilizzabile per mettere a tacere il punto di vista femminile negli studi di genere, riverberando l’oppressione patriarcale anche sul piano culturale e scientifico. Questa lettura dei men’s studies solleva anche la questione del perché sia necessaria una modalità di indagine specializzata e basata sull’agire maschile, quando in sostanza già tutta la storia dell’umanità è stata dedicata agli studi sugli uomini. Chiaramente chi sostiene i men’s studies ha cercato di dimostrare che nonostante la storia dell’umanità sia stata tradizionalmente equiparata al maschile, ciò non esclude che l’analisi sociale debba occuparsi della dimensione del maschile come genere. De-costruire la mascolinità Tra le conseguenze di queste riflessioni, sono aumentate le spinte alla de-costruzione sociale del maschile. In particolare, sono stati inseriti elementi di critica alla sua crisi con l’introduzione di elementi sia strutturali sia bio-politici nel sostenere l’importanza dei men’s studies. Sul versante strutturale si afferma che la crisi degli uomini si manifesti in termini di salute. Allo stesso modo anche il super lavoro o altre condizioni di vulnerabilità sociale come quella di senzatetto rappresenterebbero indicatori di vulnerabilità sociale degli uomini. Gli storici hanno ipotizzato che questa visione di una crisi del maschio contemporaneo sia conseguenza dei processi di industrializzazione. 12 In termini sociologici, l’idea di crisi della mascolinità si sposa con l’analisi del danno che il patriarcato ha perpetrato non solo nei confronti delle donne in termini di esclusione socio-politica, ma anche verso gli uomini stessi quando realizzano sistemi sociali rigidi, oppressivi ed eccessivamente normativi. Vista da questa angolazione critica, la mascolinità non solo causa conflitti e situazioni di crisi con il genere femminile, ma anche tra gli uomini stessi, con il rischio che vengano trasmesse alle nuove generazioni di uomini caratteristiche strutturali patogene quali la paura del femminile, la capacità emotiva ridotta, l’omofobia e l’eterosessismo, l’aspirazione al potere e al controllo, oltre a comportamenti sessuali repressivi e, soprattutto, comportamenti di violenza contro le donne o le minoranze sessuali. Ricerche più recenti sostengono che la mascolinità è una pluralità mutevole che deve tener conto di prospettive intersezionali. Questo orientamento della ricerca empirica dei men’s studies sul ruolo sessuale maschile si nutre anche dei contributi degli studi LGBT+, soprattutto per quanto riguarda la decostruzione della maschilità egemonica, con una proliferazione della letteratura riguardante le emozioni degli uomini, le loro relazioni con le/i partner, con le famiglie, le identità, il lavoro, la salute e la sessualità; tutti elementi anch’essi legati alla crisi dell’identità maschile. In Italia Si avverte un’esigenza sempre più crescente di definire e delineare l’identità maschile non in modo totalizzante, ma identificando un maschile plurale. Il processo di ridefinizione delle identità maschili e femminili appare sempre più asimmetrico e meno dicotomico. Ad esempio, in Italia l’impegno nelle attività di cura aumenta con il crescere del titolo di studio del padre e riguarda una parte ancora limitata di uomini: in particolare il segmento di padri più giovani e di coloro i quali hanno fatto proprio un modello di mascolinità che non contrappone più cosi nettamente il pubblico dal privato. Ancora, il numero crescente di famigli con un solo genitore, miste, same-sex, ricostituite ecc. sta coinvolgendo l’interesse delle riflessioni scientifiche verso una figura di padre-marito di cui si sottolineano gli aspetti di contemporaneità rispetto a un passato genericamente rappresentato dalla famiglia eterosessuale e patriarcale. Il movimento per i diritti paterni è uno dei fenomeni più noti di questa dimensione di cambiamento. Sul fronte del desiderio sessuale, l’omofobia continua a costituire uno dei principi organizzatori della mascolinità. Il timore che qualcuno possa considerare una mascolinità omosessuale spinge gli uomini a mettere in atto comportamenti e atteggiamenti esageratamente virili, per assicurarsi che nessuno si faccia idee sbagliate su di loro. Anche il rifiuto del femminile costituisce un’altra dimensione critica in questo senso: a qualunque generazione, gruppo etnico, professione o anche orientamento sessuale si appartenga, essere uomo significa prima di tutto non essere una donna. 15 In ambito accademico ha iniziato a farsi sempre più spazio il già noto approccio poststrutturalista che si inserisce all’interno della riflessione sulle conseguenze della società postmoderna. Le principali caratteristiche della postmodernità possono essere riassunte in: perdita di fiducia nelle grandi narrazioni della modernità (come la religione, la politica, la famiglia); maggiore personalizzazione dei percorsi biografici; indebolimento degli schemi di orientamento dettati dalla tradizione. All’interno di questo scenario sociale, profondamente trasformato rispetto al passato, gli attori sociali sono considerati più liberi di agire e di costruire la propria identità, anche sessuale, in quanto le biografie individuali appaiono ormai slegate dai principi universali e unitari tipici della modernità. L’acquisizione dell’identità di genere viene descritta come un processo slegato sempre più dai condizionamenti ambientali, sociali e culturali grazie all’avanzamento scientifico. Come esito di queste profonde trasformazioni, nell’ambito della ricerca sulle identità sessuali, a partire dagli anni ’90 si sono fatti spazio sulla scena i cosiddetti queer studies. Il termine che significa “obliquo, trasversale” è stato utilizzato per la prima volta nel 1990 da Teresa de Laurentis per designare l’insieme delle teorie decostruzioniste dell’identità sessuale. Il carattere innovativo della prospettiva queer risiede nel fatto che questa si è proposta non solo di moltiplicare il discorso sulle differenze sessuali, ma anche di mettere in discussione alcuni filoni di ricerca propri degli studi di genere. L’obiettivo di questa operazione è stato condurre delle riflessioni più ampie e inclusive, capaci di superare il rischio di chiusura individuato in alcuni movimenti femministi e LGBT+ che rischiavano di comprimere le differenze e di ripresentare delle appartenenze auto- inclusive. Alla base di questa prospettiva vi è l’idea che occorra abbandonare una visione stereotipata e dicotomica dei sessi, dei generi, delle identità e degli orientamenti sessuali, in favore di forme meno cristallizzate e più fluide. Utilizzando tale chiave interpretativa, è possibile affermare che i queer studies abbiano promosso una decostruzione del gender-polarized world, ossia una concezione nettamente dicotomica della società sessuata, proponendo una visione inedita di considerare i modi di vivere il corpo, il desiderio erotico, la femminilità e la mascolinità. Essi, dunque, hanno sostenuto la possibilità che gli individui possono combinare le dimensioni del maschile e del femminile in modi innovativi, sperimentando contaminazioni e ibridazioni tra l’essere uomo e l’essere donna. Gli studi queer hanno iniziato a incoraggiare riflessioni e analisi sulle questioni che riguardavano la marginalità sessuali con il duplice obiettivo di promuovere la visibilità dei soggetti che si collocano oltre i tradizionali binari, da un lato, e, dall’altro, di 16 riconoscere piena legittimità alle configurazioni identitarie trasversali e ai processi complessi. Le più recenti teorizzazioni hanno iniziato così a dare spazio anche a quei soggetti che non si identificano pienamente con il modello di genere maschile o femminile, che rifiutano l’idea di collocarsi in un’unica identità di genere o che sentono entrambe come proprie, definiscono il proprio orientamento sessuale in base al proprio sentire e non in funzione dell’oggetto del desiderio. Per descrivere questo tipo di dinamiche agli attori sociali che vivono una condizione identitaria in divenire e non stabile è stato attribuito il termine “soggetti nomadi” proprio per indicare il loro vagare. Un’altra caratteristica degli studi queer è stata la volontà di creare un ponte tra teoria e pratica, per cui si sono proposti anche di sponsorizzare e portare avanti programmi che promuovessero il volontariato, il coinvolgimento delle comunità e l’attivismo, al fine di produrre un reale cambiamento sociale. L’obiettivo principale però di tale movimento è stato quello di consentire alle minoranze sessuali e di genere di potersi auto determinare per essere riconosciute pienamente a livello sociale. Approfondimento prof. La medicina ha imposto tante cose che sono un po’ lo stereotipo che viviamo, ha imposto un’ideologia abbastanza diffusa che con il corpo non puoi fare niente quindi bisogna intervenire in un certo modo e la mente è tutta fantasia. Tutto ciò che si può spiegare con la biologia sembra avere una sorta di scusa della società, è giusto perché è la nostra natura. Tutto ciò che viene spiegato dalla biologia viene perdonato nella società perché la medicina nel corso del tempo ha creato è stata considerata la massima espressione della verità. Per secoli, quindi, gli aspetti biopsicologici si sono basati su cinque grandi pilastri. Questo modello viene chiamato modello veterosessuale. • Il primo principio è la dicotomia biologica dei sessi: esistono solo due sessi, maschio e femmina e una condizione di intersessualità estremamente rara in cui un corpo biologicamente è nato dalla combinazione presente o assente di entrambi i sessi. Esistono, però, anche condizioni di agenesia dei generi ovvero persone che nascono senza sesso come angeli. • Il secondo principio è la corrispondenza tra sesso biologico e identità di genere: per la medicina al sesso maschile corrisponde il genere maschile; al sesso femminile corrisponde il genere femminile. Questa distinzione è utile in quanto il sesso concerne la biologia, l’anatomia; il genere, invece, è quello che io mi sento di essere. Ci dovrebbe essere nelle condizioni normo tipiche una corrispondenza tra il sesso ascritto alla nascita e l’identità di genere sviluppata nel corso del tempo. • Il terzo principio è l’orientamento sessuale eteronormativo: ciò significa che l’orientamento sessuale considerato normotipo è quello che permette il proseguimento 17 della specie, quindi quello eterosessuale. Tutti gli altri sono considerati devianza poiché non vi è il presupposto della generatività. • Il quarto principio è la corrispondenza tra genere e sesso che non può essere modificata tranne in caso di riconoscimento di patologie. L’incongruenza di genere è ancora considerata una patologia. Di solito si fa una diagnosi differenziale cioè per dare l’autorizzazione a fare il percorso bisogna appurare che la persona non abbia un disturbo della personalità e che la persona non senta di essere due entità dentro di sé. • Il quinto principio del modello veterosessuale è che i generi sono organizzati gerarchicamente: ciò significa che esiste un genere che porta avanti, storicamente, una serie di attitudini che hanno permesso il proseguimento della specie ed è quello maschile. Sicuramente nell’epoca preistorica l’uomo avrà dato il suo contributo per questione di forza, per una questione biologico, però non vi può essere una supremazia solo per questo. Sono, dunque, nati tutta una serie di movimenti che vanno contro questo dominio. Al modello veterosessuale si oppone il modello costruttivista, tipico del femminismo e delle teorie queer che propone un modello multidimensionale. Per spiegare il modello multidimensionale vi sono dei pilastri che fanno parte di quella che viene considerata la teoria gender. Ci sono quattro simboli fondamentali da capire: 1. L’aspetto; 2. Il cervello che concerne la mente; 3. Il cuore che concerne i sentimenti e l’attrazione; 4. Il sesso che rappresenta la parte biologica somatica. L’identità di genere rappresenta il sentire di una persona. Insieme di componenti che determinano l’identità della persona sulla questione di genere e può essere maschile, femminile o non binario (cioè nessuno dei due generi). Per quanto concerne l’orientamento, il cuore, rappresenta sostanzialmente verso chi provo attrazione emotivo e sessuale e può essere di tipo etero sessuale se si prova attrazione verso il genere opposto; bisessuale se si prova attrazione verso entrambi i generi; omosessuale se provo attrazione verso il sesso con cui ci autodeterminiamo; asessuale nessuna attrazione; pansessuale attrazione verso tutti i generi e le combinazioni possibili. L’espressività di genere: io come mi rappresento in base alla cultura di appartenenza. Ad esempio se un uomo si presenta da noi con una gonna e concerne alla nostra società è particolare, se concerne ad un’altra società come la Scozia no. Dipende, quindi, dalla cultura di riferimento. 20 a) un livello culturale che rappresenta la cornice culturale e sociale entro la quale i copioni sessuali sono attuati e orientati; b) un livello interpersonale che rappresenta gli schemi comportamentali e i copioni sessuali esercitati in relazione agli altri individui; c) un livello intrapsichico che rappresenta l’insieme dei sentimenti, delle emozioni, e dei vissuti che concorrono per l’accettazione e l’assimilazione dei copioni sessuali da parte dell’individuo. Successivamente Gagnon e Laumann postulano la teoria dei sexual markets secondo la quale ogni attività sessuale prevede delle transizioni sociali all’interno di relazioni che costruiscono le regole, le norme, le aberrazioni, i limiti e i sistemi di correzione dei comportamenti e delle condotte sessuali considerate idonee e coerenti con il frame culturale di riferimento. Cinque fattori determinano la costruzione dei mercati sessuali: a) i social network: costituiti dalle reti di relazione interpersonali, reali e virtuali, all’interno delle quali il soggetto può avviare processi di interazione sociale e sessuale; influenzate da parametri di affinità e corrispondenza; b) lo spazio fisico: rappresenta i confini geografici reali e virtuali entro i quali si può esprimere un processo partnering; c) la sexual culture: la costruzione culturale del sessuale può essere interna, relativa a specifici gruppi sociali e culturali, ed esterna, relativa alle combinazioni di regole, ruoli e aspettative regolate dalla macro-cultura di appartenenza; d) i sexual scripts; e) gli ambiti istituzionali: organizzazioni religiose, il sistema educativo e pedagogico, quello normativo e legislativo, ovvero quegli ambiti che concorrono alla costruzione delle regole e delle norme che stabiliscono la linea ideale tra quello che è riconosciuto come normativo ed aberrante. Anche i concetti di campo e habitus proposti da Bourdieu si sono rilevati utili per mettere in evidenza le disuguaglianze che attraversano i campi nei quali avvengono le interazioni socio-sessuali fra le persone, recuperando alcuni dei limiti delle teorie di stampo costruttivista. Ogni campo produce una propria subcultura e un complesso di regole e di criteri di desiderabilità dei quali tutti coloro che vi interagiscono sono consapevoli. Pertanto questa teoria si rivela efficace per mettere in evidenza meccanismi di discriminazione che si attivano verso tutti quei soggetti che, non essendo dotati di un sufficiente capitale erotico, ne sono di fatto esclusi. Negli anni più recenti la sociologia della sessualità si è interrogata sull’impatto che le nuove tecnologie hanno avuto sulle sfere dell’affettività e dell’intimità della persona. Il sociologo Cipolla evidenzia in che misura si è modificato il modo di approcciarsi delle persone al sesso, alla corporeità, alla relazione con l’altro. Le conclusioni alle quali previene rimandano a una determinata visione della soggettività e delle relazioni che sono quelle tipiche del Web society: da un lato il web consente di corrispondere alle esigenze plurime che i soggetti oggi esprimono anche in virtù di una 21 liberalizzazione sessuale che la rete stessa, per sua natura, ha contribuito a solidificare, dall’altro si assiste allo sviluppo di una visione solipsistica della sessualità, di una sovrabbonanza di strumenti che il web fornisce per l’appagamento del piacere individuale, che avendo meno impedimenti di carattere sociale e relazionale trova nel mercato del sesso online pieno di soddisfacimento. L’utilizzo del web sembra finalizzato alla soddisfazione del piacere sessuale fine a sé stesso, più che luogo entro il quale si cerca di entrare in connessione profonda con l’altro. Se è vero che il dating online sta in parte rimpiazzando le forme tradizionali d’incontro in presenza, è vero anche che la diffusione crescente di siti dating online sta segnando il passo a una concezione della sessualità sempre più consumistica, facendo del web un superamento dove ogni richiesta viene soddisfatta e assecondata in tempi più o meno celeri e costi più o meno ampi. 2.2 La costruzione sociale dell’identità sessuale Le più recenti teorie interpretative hanno ormai superato l’idea che l’identità sessuale sia qualcosa di dato e immutabile nel tempo e nello spazio. In epoca postmoderna so è invece diffusa l’idea che il Sé si costruisca socialmente nel corso di ciascuna biografia individuale. Durante la propria vita, infatti, gli attori sociali sono protagonisti di un processo volto alla scoperta e alla consapevolezza di sé che è in continuo divenire. Questo processo si nutre delle sollecitazioni provenienti dai contesti sociali e culturali, dalle spinte emotive e cognitive individuali, dalle esperienze vissute e dalle interazioni sociali. In altri termini, l’identità sessuale non può essere considerata solo un dato anagrafico determinato esclusivamente dall’anatomia ma anzi è un concetto multidimensionale che integra fattori biologici, psicologici, sociologici e culturali. Tuttavia occorre specificare che nel contesto sociale e culturale vige ancora una divisione in soli due gruppi, maschi e femmine, separati sulla base della differenza sessuale. Si tratta di una classificazione che deriva da esigenze di ordine sociale. Sin dall’infanzia, infatti, bambini e bambine sono avviati a un processo di stabilizzazione della percezione di sé come maschi o femmine. Sono, inoltre, spesso spinti da genitori, parenti e altri agenti di socializzazione ad assumere comportamenti specifici in base al loro sesso biologico, in linea con i dettami della cultura di appartenenza. Si tratta di sollecitazioni fornite talvolta in maniera implicita o inconsapevole, frutto di consuetudini sociali cosi radicate che appaiono quasi scontate. In questa situazione, il ruolo degli adulti che incoraggiano bambini e bambine ad assumere comportamenti diversi o a compiere attività specifiche sulla base del loro sesso biologico si configura come un importante fattore nella costruzione di quello che viene definito ruolo di genere che si riferisce a modi, comportamenti e tratti di personalità che ciascuna società, cultura e periodo storico prescrivono come maschili o femminili. Di conseguenza molti modi di agire, comportarsi e relazionarsi con gli altri possono essere condizionati nel processo di crescita da questo tipo di attese sociali. 22 Lo psicoanalista e psichiatra Lichtenberg ha individuato diverse fasi che si susseguono sin dall’infanzia nel processo di costruzione dell’identità sessuale. Tra il primo e il secondo anno, bambini e bambine sono incoraggiati da chi li accudisce ad assumere comportamenti considerati maggiormente in linea con il ruolo sessuale che è associato al sesso assegnatogli alla nascita. Questi stimoli conducono i bambini e le bambine ad apprendere e a ripetere gli atteggiamenti attesi al di là di qualsiasi loro motivazione interna. Entro i 3 anni bambini e bambine generalmente si riconoscono come maschi o femmine, secondo l’immagine di maschile e femminile proposta dalla società. Il processo di apprendimento del ruolo di genere si consolida tra i 3 e i 7 anni, periodo durante il quale bambini e bambine hanno la facoltà di comprendere compiutamente ciò che viene considerato tipicamente maschile e femminile in società. Ciascun individuo acquisisce poi maggiore consapevolezza di sé e tale processo conduce i soggetti a decidere se e quanto aderire ai ruoli sessuali fissati dalla società. Alcune persone possono avvertire un senso di disagio derivante proprio dall’incongruenza tra la propria identità sessuale e il sesso assegnato alla nascita. I soggetti che si discostano del tutto o in parte dalla cultura sono a rischio stigmatizzazione, dal momento che non aderiscono ai cosiddetti stereotipi di genere. In altri termini, la filosofia dello stereotipo di genere presupporrebbe il rispetto di specifiche regole di condotta che pongono chi non vi si adegua in una condizione quasi di difetto rispetto al resto della popolazione, che invece rispetta i canoni attesi. 2.3 La socializzazione alla sessualità in famiglia I processi di socializzazione alla sessualità sono definibili come un insieme di pratiche, significati, modelli di comportamenti trasferiti attraverso le principali istituzioni di riferimento della persona. Il processo di socializzazione alla sessualità non risulta mai completato una volta per tutte ma al contrario è collegato alle esperienze di vissuto, agli accadimenti che capitano agli individui all’interno del loro corso di vita. I sociologi mettono in evidenza la trasformazione delle tradizionali agenzie di socializzazione e, dunque, dell’allentamento della capacità di queste di orientare il comportamento dei singoli. Per quanto riguarda il contesto italiano, la famiglia dal secondo dopoguerra in poi ha subito notevoli metamorfosi prodotte dal progresso sociale, trasformando l’Italia da un Paese a tradizione prevalentemente agricolo/rurale a una delle più grandi potenze industriali; aspetto che ha determinato anche il passaggio dalla famiglia patriarcale allargata a quella nucleare. Negli ultimi decenni, va affermandosi, nella famiglia contemporanea, una visione puerocentrica: se in passato i figli sacrificavano sé stessi per gli obiettivi più ampi della famiglia, al contrario oggi è la famiglia a conformarsi alle esigenze dei più giovani. Inoltre, se in passato l’istruzione famiglia era orientata da riferimenti normativi e 25 ceto sociale di appartenenza, al livello di istruzione. Per questa agenzia di socializzazione, gli esperti differenziano modalità di socializzazione alla sessualità tipiche dei maschi rispetto a quelle delle femmine. Questa differenza si evidenzia rispetto ai modi in cui i giovani e le giovani si confrontano, all’interno delle loro cariche amicali, sulle prime esperienze sessuali e affettive, oltre al modo di raccogliere informazioni utili per approcciarvisi. Ricerche sociologiche sulla sessualità degli adolescenti italiani hanno messo in evidenza la pluralità di significati che essi associano ai diversi momenti che scandiscono il loro vissuto sessuale, significati che sembrano variare tra i ragazzi maschi rispetto alle loro coetanee. Se per i primi la verbalizzazione e la messa in scena dell’esperienze sessuali costituisce un passaggio fondamentale per avere conferme dal punto di vista identitario e per performare alcune caratteristiche associate a un modello ideale di maschilità incorporato, per le seconde discuterne avviene all’interno di cerchie più elettive, limitate a poche amicizie strette, o riferite ad altre figure femminili significative prossimali (come le sorelle, le zie ecc.). La socializzazione alla sessualità tra i maschi costituisce un momento al quale i ragazzi attribuiscono un significato importante per il passaggio all’età adulta, vissuto all’interno delle cariche amicali, sia strette sia allargate, con il quale il giovane si confronta. Le amicizie qui da un lato costituiscono i riferimenti, dai quali ottenere informazioni utili ad affrontare le prime pratiche ed esperienze sessuali, dall’altro costituiscono una sorta di palcoscenico ideale sul quale i ragazzi inscenano ed esibiscono la capacità d’interpretare i copioni sessuali condivisi. Parlare di sesso è tipico degli adolescenti in gruppo; e questa attività si collega direttamente al bisogno di confermare all’altro l’appropriatezza del modo di interpretare il proprio ruolo di genere, di allontanare da sé il sospetto di una presunta omosessualità. Per quanto concerne la socializzazione alla sessualità delle ragazze, sembra ancora prevalere il peso di una doppia morale incarnata nella cultura giudaico-cristiana, che limita la sessualità delle donne, sottoponendola ai vincoli di varia natura, lasciando invece una più ampia libertà ai ragazzi di poter esplorare e sperimentare la propria sessualità. Le amicizie dello stesso sesso in epoca adolescenziale costituiscono il principale riferimento entro il quale le giovani ragazze si confrontano, sciolgono dubbi relativamente alle esperienze sessuali quali: il primo bacio, il primo rapporto, mentre maggiormente argomento tabù risulta il tema della masturbazione. Le confidenze scambiate sembrano focalizzarsi più sugli aspetti emotivo-sentimentali. I passaggi fondamentali che rimandano alla trasformazione del corpo in epoca puberale costituiscono aspetti regolati socialmente all’interno delle varie agenzie di socializzazione, ma anche qui con elementi di differenziazione fra maschi e femmine. Nei maschi la prima eiaculazione costituisce un aspetto importante spesso raccontata agli amici della propria cerchia di appartenenza. Il menarca femminile invece è per le ragazze un aspetto intimo, vissuto con vergogna e fastidio soprattutto quando questo 26 diventa oggetto di attenzione da parte dei familiari. Questi aspetti confermano nuovamente il peso del controllo familiare sulla sessualità femminile, rispetto a una più generale indifferenza rivolta ai figli di sesso maschile sui quali il gruppo dei pari ha molta più influenza. Un ultimo aspetto deve essere dedicato al tema della socializzazione alla sessualità delle persone non eterosessuali. Da questo punto di vista le reti amicali costituiscono un fattore fondamentale, spesso suppletivo alle assenze o all’atteggiamento di chiusura evidenziato dalle altre agenzie di socializzazione, in particolare la famiglia, verso le persone omosessuali o con un’identità di genere non conforme. Corbisiero ha messo in evidenza il ruolo primario che occupano le reti amicali delle persone gay e lesbiche italiane relativamente al processo di costruzione dell’identità omosessuale. Le amicizie fra persone LGBT+ si rivelano un capitale sociale essenziale, giacché all’interno di queste si apprendono quelle che sono le regole e i processi relazionali che caratterizzano i mercati omoerotici, oltre a evidenziarsi centrali nel crear un clima di supporto rispetto ai processi di stigmatizzazione subiti in altri contesti. La ricerca pone l’accento sul valore che assumono le amicizie con persone eterosessuali per le persone omosessuali. I dati questa ricerca trovano conferma anche in ricerche psicologiche che hanno messo in evidenza come tra le persone omosessuali che hanno amici eterosessuali o di diverso genere e orientamento sessuale siano riscontrabili più bassi livelli di ansia sociale. 2.5 L’invenzione dei corpi La dimensione culturale interviene attribuendo un valore ai corpi e a parti di esso, organizzandone le differenze in una scala gerarchica, dettando funzioni e aspettative su cosa e come dovrebbe apparire, su quando considerarlo sano e quando no, su come dovrebbe muoversi, persino vestirsi o desiderare, attraverso una lente cognitiva che lo legge e lo rappresenta come qualcosa di totalmente afferente alla sfera della natura, tanto da diventare un concetto statico e immutabile. Il corpo parla di noi a prescindere dalle nostre intenzioni, ma il lavoro che operiamo costantemente su di esso può in qualche modo confermare o, al contrario, tentare di decostruire tutta una serie di presunzioni che ci investono. Da un lato, sembrerebbe che non ci si possa esimere dal fare il genere, dall’essere soggetti disabilitati, razzializzati ecc.; tuttavia, questo corpo frontiera ci permette di giocare con le possibilità che vengono date, negoziandone i limiti e utilizzando i codici imposti culturalmente ibridandoli e sovvertendoli. Fino alla fine del ‘700 il modello attraverso il quale si pensava e rappresentava il corpo era quello monosessuale: il corpo era quello maschile e quello femminile con una differenza dettata più da questioni di quantità che di qualità; gli organi genitali femminili venivano rappresentati come quelli maschili ma, semplicemente, di dimensioni più contenute e interni al corpo e neppure i nomi utilizzati per indicarli differivano. 27 La differenza tra maschile e femminile si basava, invece, su differenze legate a ruoli, condotte e posizioni sociali e agire in modo non conforme rispetto al proprio gruppo di appartenenza poteva incidere sulla materialità del proprio corpo, che si sarebbe modificato di conseguenza. A partire dal XVIII secolo, i saperi promossi dalla scienza medica produssero un cambio di paradigma: corpi, pratiche e condotte divennero terreno di misurazione, medicalizzazione e classificazione, promuovendo una lettura essenzializzante della sessualità che va dunque a enfatizzare la dimensione biologica. Questo corpus di saperi, tra il XIX e il XX secolo, prenderà il nome di sessuologia. Tale disciplina vede l’essere umano nascere con una natura sessuale biologicamente data. Il sesso diviene, secondo Garfinkel, un’attitudine naturale socialmente costruita che definisce i contorni di accettabilità sociale di maschilità e femminilità. Potere e carattere normativo richiedono correzioni o aggiustamenti per tutti quei corpi che, in qualche modo, vengono percepiti come eccedenti o imprevisti. È questo il caso delle persone intersex che presentano delle caratteristiche che, a livello cromosomico, ormonale, o fenotipico, non permettono la classificazione sessuale in un sistema binario maschile femminile. La loro stessa esistenza metterebbe in discussione la griglia di lettura che applichiamo ai corpi, facendo emergere la presenza di una varietà anatomica, ma tale è la pervasività del paradigma binario che la richiesta è quella di agire tempestivamente nei confronti di questa ambiguità, anche quando non necessario per motivi di salute, attraverso interventi di chirurgia estetica genitale. In altre parole, i corpi vengono percepiti e organizzati all’interno di determinati ordini di genere e sessuali che danno accesso a gradi differenti di potere. Persino il modo in cui si pensa al corpo all’interno delle interazioni sessuali racconta di un processo di interpretazione sociale di elementi che possono apparire neutrali e naturali. Cosi diventare sessuali significa apprendere credenze, rappresentazioni, preferenze, sistemi di valutazione e pratiche, assumere ruoli e vocabolari specifici all’interno di un processo di socializzazione sessuale che durerà per tutto il corso della nostra vita. Impariamo a essere sessuali e diventiamo produttori e consumatori simbolici di sessualità. Imparare a essere sessuali significa imparare a interpretare parti del corpo, azioni e interazioni come sessuali, a distinguerle da ciò che sessuale non è. Si pensi ad una visita ginecologica: paziente e medico potrebbero essere eterosessuali, è presente una forma di penetrazione, anche se attuata dal ginecologo con l’utilizzo di strumenti; eppure non definiremmo quel contatto, quell’incontro, come qualcosa di sessuale. Per far sì che una determinata situazione divenga sessuale è necessario poter attingere a quelli che potremo definire come repertori socio-sessuali. Tali repertori prendono il nome di copioni sessuali: questi agirebbero su tre livelli: quello degli scenari culturali, quello interpersonale e quello intrapsichico. Ciascun livello richiederebbe un processo continuo di improvvisazione, interpretazione e negoziazione, agite attraverso e sul corpo. 30 In secondo luogo, esso può essere considerato un riferimento orizzontale (socializzazione orizzontale), ovvero verso il gruppo dei pari, la classe sociale e i media. Infine, poiché la socializzazione è un processo che dura nel tempo, si può pensare anche a un riferimento di tipo cronologico e longitudinale (socializzazione longitudinale) che sposta l’attenzione sui momenti della socializzazione adulta o risocializzazione. Le relazioni familiari La socializzazione al genere all’interno delle relazioni familiari evidenzia la dimensione temporale della trasmissione di stili e aspettative tra genitori e figli. Il confronto tra queste due generazioni può mettere in luce differenze anche marcate. I genitori di oggi hanno probabilmente attese diverse da quelle che avevano i loro genitori, cosi i figli hanno attese ancora diverse. Ciò richiede un approfondimento sul come oggi avviene la trasmissione delle differenze basate sul sesso e si costruisce l’appartenenza di genere. Per quanto riguarda tale trasmissione, la famiglia è caratterizzata da un modo specifico di vivere e di costruire le differenze di genere, attraverso un processo che è sicuramente biologico, ma anche relazionale e sociale. In particolare, nella famiglia la caratterizzazione di genere è presente nelle individualità dei genitori che hanno dato origine, nella maggior parte dei casi anche biologicamente, al nuovo essere umano. Nella famiglia, la relazione con il padre e la madre assume un’importanza fondamentale nella definizione dell’appartenenza di genere, in quanto essi costituiscono per il figlio e la figlia le prime esperienze di relazione con il maschile e il femminile. Lo sviluppo dell’identità di genere avviene lungo la fase della crescita, in una continua interazione con i contesti di socializzazione caratterizzati dalla presenza di diverse generazioni, dove si acquisiscono i valori e i modelli di riferimento della propria appartenenza di genere. La famiglia assume un’importanza fondamentale all’interno del processo di costruzione dell’identità di genere, in quanto è la prima realtà con la quale il bambino e la bambina vengono a contatto e contribuiscono in maniera prioritaria e privilegiata a formare l’esperienza del mondo e la stessa identità. La socializzazione a scuola Un ulteriore contesto educativo e socializzato fondamentale che si caratterizza per la dimensione di genere è la scuola o l’insieme delle istituzioni formative. Oltre gli aspetti più chiaramente contenutistici, i percorsi formativi costituiscono un ambito relazionale importante che interviene nello sviluppo del soggetto anche dal punto di vista delle differenze di genere, poiché orienta i percorsi di ciascuno secondo le proprie inclinazioni e aspettative, riconoscendo le somiglianze e le differenze fra i sessi. 31 Per quanto riguarda in particolare le differenze di genere, un primo aspetto fondamentale è quello del rapporto tra uguaglianza e differenza che si è creato all’interno dell’ambiente scolastico in Italia negli ultimi decenni. La realtà scolastica è, a tutti gli effetti, un contesto da attribuzione, costruzione o ricostruzione di significati e di strutturazione di motivazioni, atteggiamenti e comportamenti legati direttamente all’appartenenza di genere. Altrettanto evidente risulta una generale tendenza, da parte della scuola e degli insegnanti, a considerare l’appartenenza di genere un elemento insignificante. L’aspetto negativo di questo tipo di opzione è stato però la crescente tendenza a considerare l’ambiente scolastico come neutro e indifferenziato. In sostanza, la scuola ha oggi di fronte a sé il problema rilevante del come affrontare la costruzione dell’identità all’interno di una serie di spinte contrastanti di affermazione e negazione delle differenze, compresa quella di genere. In Italia è stata promulgata la legge 107/15, chiamata “Buona scuola”, che prevede l’attuazione dei principi di pari opportunità promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni. Si raccomanda alle scuole di adottare interventi innovativi per promuovere il rispetto delle differenze, integrando ai contenuti di tutte le discipline nozioni di educazione alla cittadinanza. Un secondo aspetto è costituito dal fatto che nell’assolvere la funzione socializzante, la scuola trasmette i valori propri della cultura in cui si trova immersa. Ancora oggi, per quel che riguarda i ruoli sessuali, il modello proposto ai giovani per molte generazioni, nei testi scolastici e anche dagli insegnanti, è quello di una netta dicotomia tra l’uomo proiettato all’esterno e la donna ripiegata sulla famiglia, come figlia, moglie e madre: tali distinzioni sono stereotipi ereditati culturalmente. Questi stereotipi, che possono dare vita a pregiudizi, si apprendono in modi e contesti differenti. Essi però possono essere trasmessi anche dalle istituzioni, come la famiglia. Genitori e insegnati, tuttavia, possono modificare questi modelli oggi ponendo l’accento sì sulle differenze, ma non necessariamente sugli stereotipi. Proprio nella scuola si avverte sempre di più la necessità di condurre un’educazione di genere, che comprende l’insieme dei comportamenti e delle azioni messe in atto da chi ha responsabilità educativa in relazione al vissuto, ai ruoli e alle relazioni di genere. Generi e generazioni in dialogo Due tendenze sono compresenti nei processi di socializzazione delle nuove generazioni: la prima sostiene la necessità di una maggiore organizzazione dei comportamenti, la seconda pone l’accento sull’importanza della differenziazione e del mantenimento della/e diversità fra o generi. Entrambe queste modalità sono proposte sia dalla famiglia sia dalla scuola. 32 Nella società attuale assistiamo, soprattutto nella vita di adolescenti e giovani, all’omogenizzazione dei percorsi di crescita secondo il genere, perdendo o eliminando l’importanza della dimensione biologica di appartenenza. Dall’altra parte, invece, le istanze che stressano la distinzione in modi e tempi diversi si legano all’idea che vi siano dei percorsi differenziati anche all’interno dell’ambito maschile e femminile. Non esiste un unico modo per essere e sentirsi appartenenti al genere maschile o femminile, ma vi sono diverse esperienze sfumature che caratterizzano ulteriormente il campo di analisi. Infine, tutto ciò si origina nelle esperienze socializzative che ciascun soggetto vive e sperimenta, ossia dal fatto che la negoziazione dei valori e delle aspettative legate a diverse visioni dei modelli di genere avviene comunque attraverso l’asse generazionale, in famiglia, a scuola e nel rapporto con gli adulti. La realizzazione dell’identità di genere è conseguentemente un percorso relazionale, in cui la relazione si stabilisce sul coinvolgimento responsabile di diversi attori appartenenti a generazioni diverse con diversi background culturali. In tali ambiti, l’individuo apprende e rielabora una propria identità di genere attraverso un confronto con il contesto socioculturale in cui è inserito, poiché le caratteristiche e i ruoli maschili e femminili variano nello spazio e nel tempo. È un processo che può idealmente essere suddiviso in fasi che accompagnano lo sviluppo fisico, psicologico e sociale del soggetto. La prima fase è caratterizzata dall’iniziale riconoscimento della propria appartenenza biologica a uno dei due sessi. In un secondo momento, si presenta la fase della ricerca, in cui il soggetto cerca di definire la propria identità di genere anche in base agli stimoli culturali ricevuti dal contesto. Questa fase può approdare a una riorganizzazione soddisfacente per il soggetto, oppure, diversamente, può contare delle difficoltà. Oltre a diversificarsi nel tempo, l’identità di genere si differenzia anche in base ai contesti in cui si realizza, poiché il processo è sia individuale sia sociale e a esso contribuiscono tutte le agenzie di socializzazione: famiglia, scuola, gruppo dei pari, mezzi di comunicazione, esperienze lavorative ecc. Nel rapporto tra generazioni, che caratterizza i processi di socializzazione tra adulti, bambini e adolescenti, un tema importante è quello della differenza o indifferenza oppure disuguaglianza/uguaglianza di genere. Tale aspetto risulta fondamentale in una società sempre più multiculturale, in cui i contesti socializzativi sono caratterizzati da prospettive culturali differenti e a volte concorrenti, se non conflittuali. Il rapporto tra le generazioni è oggi più complesso e apre spazi di rinegoziazione sul che cosa significa essere donna e uomo rispetto al modo in cui lo intendono le 35 dei giocattoli e come quest’ultimo si sia indirizzato, solo di recente, a un ventaglio di offerte molto più neutre. Lo stile differenziato, durante le attività ludiche, resta sempre un tema discusso, poiché, già dai primissimi anni, è visibile come bambini e bambine giochino in maniera diversa. Questa visione, tuttavia, ha concesso ad alcuni studiosi di poter sostenere come le differenze siano di tipo biologico. Tale visione, di contro, si oppone completamente a chi sostiene che siano la cultura e gli stereotipi a influenzare i bambini e le bambine nella costruzione degli interessi prima e degli atteggiamenti dopo. Questi soggetti sono attratti da cose e comportamenti associati al loro sesso e utilizzano il genere come supporto identitario; per questa ragione, diventano investigatori di genere, poiché continuamente cercano di trovare indizi e informazioni sulla loro appartenenza alle tribù maschili o femminili. L’interesse a cose che sono associate al loro sesso permettono al bambino di percepire il genere maschio e femmina, di riprodurlo e di perpetuarlo addirittura. Si ritiene che le bambine e i bambini scelgano proprio di giocare a cose diverse, in modi diversi e di farlo con compagni del loro stesso sesso. Dunque, se i bambini sono interessati a cose che sono associate al loro sesso, alloro utilizzeranno forme diverse di gioco e comportamenti differenti. Tuttavia c’è chi azzarda l’ipotesi secondo cui le differenze di gioco siano universali. Partendo da questa concezione si afferma che la segregazione sessuale è cosi universale, che bambine e bambini trascorrono gran parte della loro infanzia in culture di genere separate con le proprie dinamiche e regole che influiscono sulle loro future relazioni reciproche. Non significa che tutte le bambine e i bambini rispettano gli standard sintetizzati; anzi atteggiamenti e comportamenti legati alle identità di genere variano a seconda degli spazi in cui i bambini giocano. Sotto quest’angolazione critica, sono interessanti i risultati della ricerca mostrati da Kilvington e Wood che ritengono come nei giochi all’aperto o per strada la segregazione di genere sia molto meno netta rispetto ai contesti scolastici. D’altronde i contesti outdoor favoriscono e potenziano la creatività e la libertà dei bambini e facilitano uno sviluppo del Sé svincolato da condizionamenti culturali. È proprio in questi contesti che i bambini giocano con qualsiasi cosa, indipendentemente dai rituali di genere. I bambini, infatti, amano giocare con elementi della natura che non sono associabili a nessun genere. Favorire, in questo modo, un’educazione outdoor non solo consentirà di creare ambienti fisici e sociali più inclusivi ma permetterà ai bambini e alle bambine di giocare con la fantasia in un gioco meno condizionato e segregato. Il queer nella socializzazione primaria al genere Sono molti i genitori che riconoscono la propria bambina o il proprio bambino gender creative. Tale concetto è stato introdotto per la prima volta dalla psicologa Ehernsaft per sostenere un modello che consideri una gamma più vasta di generi rispetto a quella riconosciuta dal nostro doppio sistema tradizionale. 36 In questo modo, i bambini hanno la possibilità di esprimere il loro sé autentico senza subire pregiudizi oppure restrizioni. Le bambine e i bambini hanno il diritto di definire la loro identità di genere individuale e gli adulti hanno la responsabilità di ascoltare quest’ultimi, nonché il dovere morale di sostenere tale libertà. In questo spettro di identità legate allo sviluppo della dimensione di genere la sociologia dell’infanzia rubrica il gender queer, che identifica anche nell’infanzia identità di genere non dicotomiche. Le questioni legate alla fluidità di genere dei bambini investono non soltanto il bambino in quanto tale, ma, anche, tutta la famiglia di educatori e le altre agenzie educative che sono a contatto con l’intero nucleo familiare. L’autodeterminazione di genere sembra incoraggiare i genitori e altri agenti educativi ad accettare l’identità dei bambini cosi come autodeterminata e consentirebbe loro di crescere creando le proprie personalità liberalmente. 3.3 La costruzione educativa del genere: il ruolo delle istruzioni Le evidenze empiriche in ambito psicologico, sociologico ed educativo mostrano quanto gli stereotipi di genere, i pregiudizi, il sessismo e l’omofobia si apprendono sin dai primi anni di vita attraverso i processi di socializzazione. Attraverso la socializzazione, le pratiche educative formali e informali, il linguaggio, la comunicazione dei vecchi e nuovi media e le norme sociali si concorre a mantenere la disparità di genere. Nel processo d’interiorizzazione dei ruoli di genere, vengono costruite le categorie socioculturali del femminile e del maschile, insieme ai cosiddetti stereotipi di genere. Si nasce con un corpo sessuato al quale diamo delle indicazioni rispetto alla prima differenziazione di genere, un fiocco rosa se nasce una bambina e un fiocco azzurro se nasce un bambino. Due colori che continueranno nella società occidentale a distinguere due sessi. L’idea di una società indifferente e neutra rispetto al femminile e al maschile socialmente intesi, e il non dover assegnare un valore alla differenziazione di genere e ai suoi condizionamenti nelle scelte di vita, può essere letto come un camuffamento del maschile. Significa pensare che eliminare le differenze di genere possa avvenire nell’accogliere l’idea che solo il maschile rappresenti il riferimento neutrale e come tale le azioni educative e sociali possono essere indirizzate all’assimilazione del femminile al modello di riferimento maschile. 37 In questo contesto il ruolo ricoperto da chi opera nei variegati contesti educativi è molto importante, poiché andrà ad incidere profondamente nello sviluppo più o meno marcato degli stereotipi di genere o nella parità e riconoscimento delle differenze di genere. Nei contesti educativi e formativi della socializzazione, il lavoro da compiere per superare il binarismo maschile/femminile e i congruenti stereotipi di genere piuttosto problematico, ma anche in questo ambito la legislazione gioca un ruolo preminente, insieme a un impegno delle istituzioni nell’investimento sulla cultura della parità. La formalizzazione dei luoghi dell’educazione È possibile affermare che i luoghi di lavoro dedicati alla cura e alla formazione vedono la prevalenza di figure professionali femminili rispetto a quelle maschili. Una differenziazione marcata principalmente dello stereotipo per il quale le donne sono più portate a svolgere lavori di cura rispetto agli uomini che si cimentano maggiormente con attività manuali, di azione e decisioni dirigenziali. Le donne non riescono ancora ad essere presenti nelle posizioni lavorative apicali, l’uguaglianza tra i sessi sembra essere un traguardo ancora distante da raggiungere. Il sistema educativo italiano degli anni Settanta è diventato un mondo al femminile, in crescente aumento, negli ultimi anni, anche nei ruoli dirigenziali scolastici. Neo primi gradi scolastici le donne sono presenti in modo monopolistico o preponderante in quasi tutti i Paesi europei. Per trovare una minore presenza del femminile, basta occuparci dei livelli più elevati: all’università le docenti universitarie e le ricercatrici sono il 35% del totale. Questo radicato stereotipo produce un effetto culturale, ma anche psicologico, in quanto a mano a mano che cresce e si accede ai livelli scolastici superiori, lo studente vene messo di fronte al fatto che più il contenuto culturale della scuola si eleva e si specializza, più esso è affidato ai maschi. Gli uomini vengono dunque percepiti come portatori di una sapienza più alta, col risultato di svalorizzare ulteriormente il ruolo femminile nell’istruzione. In Italia la vera emancipazione femminile si è realizzata dall’ingresso nell’istruzione media e superiore delle ragazze nel 1963, con la riforma della scuola media, ed esplode negli anni ’70, quando un numero crescente di donne s’inscrive alle facoltà umanistiche, come Lettere o Lingue, con ingresso lavorativo diretto nell’insegnamento, mentre i maschi si orientano verso indirizzi più tecnico-scientifici. Il <<gender gap>>: maschile vs femminile Le ragioni della segregazione lavorativa delle donne sono diverse, economiche e socioculturali in primis, un processo che si scontra con la presenza di evidenti squilibri di genere nel mondo del lavoro e delle professioni, ma le cui origini sono da ricercare nei processi educativi e formativi. 40 utilizzati nella loro forma regolare femminile per esempio ministra, ingenera, assessora, rettrice, magistrata, avvocata ecc. • Quando ci si riferisce a un gruppo formato da donne e da uomini, anche se nei casi in cui la componente femminile è maggioritaria tradizionalmente si ricorreva al maschile e quest’uso del maschile collettivo era sancito ufficialmente anche nelle grammatiche della lingua italiana. Questa asimmetria mette in evidenza la presenza degli uomini nei gruppi e opacizza la presenza delle donne. A questa asimmetria di genere, che svantaggia la componente femminile, si sta cercando di porre rimedio con delle soluzioni che si vanno pian piano diffondendo: - la ripetizione del termine nei due generi: care amiche e cari amici. Questa soluzione è elegante e corretta ma ha lo svantaggio dell’allungamento del testo, fastidioso soprattutto nella comunicazione veloce online o in lunghi testi dove le ripetizioni si presentano numerose volte; - il ricorso, per evitare eccessive ripetizioni, alla barra obliqua (/) per separare le desinenze: cari/e; - la scelta di termini che evitano di indicare il genere: per esempio chi intende prenotarsi o coloro che intendono prenotarsi oppure ogni insegnante; - il ricorso a elementi grafici come l’asterisco o la chiocciola per rappresentare simultaneamente i due generi con un solo carattere: queste soluzioni hanno però lo svantaggio di essere praticabili silo negli usi scritti della lingua, in quanto non sono pronunciabili oralmente; - l’uso, proposto di recente dalla linguistica Vera Gheno, del simbolo fonetico detto schwa, rappresentato da una “e” capovolta, che ha il vantaggio rispetto all’asterisco e alla chiocciola di essere pronunciabile; - l’uso, ben poco diffuso, di “-u” come desinenza ambigenere quindi caru, tuttu; - la scelta del solo femminile, a cui pure per la verità si fa ricorso molto raramente in italiano, motivata o dalla forte prevalenza delle donne in un gruppo con una minoranza di uomini. b) l’uso del maschile per indicare l’insieme dei membri di un gruppo formato da donne e uomini: i docenti, i cittadini. Questo è l’aspetto, tra quelli indicati dalle Linee Guida di Alma Sabatini, in cui ci sono stati i minori cambiamenti nell’uso. Ad esempio, se chi guida un Comune è una donna, questa potrà scegliere di definirsi e di essere definita Sindaca. Tuttavia nello stesso Comune da lei guidato si parlerà ancora comunque del ruolo di Sindaco, al maschile, e allo scadere del mandato della Sindaca verranno indette elezioni per il nuovo Sindaco, sempre al maschile. 41 c) l’uso del maschile per designare una funzione astratta, che potrà di volta in volta essere ricoperta da una donna o da un uomo: elezioni del sindaco, i compiti del dirigente scolastico, la scelta del successore. Persone LGBT+ e genere grammatica in italiano Il secondo grande ambito nel quale gli usi linguistici sono estremamente significativi per accompagnare e sostenere i profondi cambiamenti sociali e culturali in atto è quello che riguarda la scelta del genere grammaticale in relazione alle diverse categorie di persone incluse nell’acronimo LGBT+. Nel caso delle donne e degli uomini transgender, il sesso biologico definito alla nascita non coincide con l’identità di genere assunta successivamente dalle persone. La donna transgender era infatti stata registrata anagraficamente alla nascita come persona di sesso maschile ma ha adottato poi un’identità di genere femminile ed è diventata a tutti gli effetti sociali e anche legali una donna. L’uomo transgender, analogamente, era stato registrato anagraficamente alla nascita come persona di sesso femminile ma ha adottato poi una identità di genere maschile è e diventato a tutti gli effetti un uomo. L’ovvia conseguenza logica di tutto questo, dal punto di vista linguistico, è l’utilizzo del genere grammaticale corrispondente all’identità di genere acquisita. Va usato il nuovo nome prescelto al momento della transizione e non quello dato alla nascita e non più valido. L’accordo grammaticale col sesso biologico assegnato alla nascita e non con il genere acquisito rivela immediatamente un atteggiamento transfobico da parte di chi lo adotta e viene percepito come insultante, discriminante e aggressivo da parte di chi lo subisce. Nel caso invece di donne lesbiche e uomini gay, si tratta al contrario di persone che non hanno effettuato alcun cambiamento di genere, definite per tale ragione cisgender, termine che designa chiunque non abbia transitato nel genere opposto. Le donne lesbiche e gli uomini gay hanno infatti un orientamento sessuale rivolto a persone del loro stesso genere quindi donne che sono attratte da donne e uomini che sono attratti da uomini, senza con questo modificare la propria identità di genere. Le persone cisgender conservano infatti il genere attribuito alla nascita e vi si riconoscono sul piano anagrafico, identitario e socioculturale. Nel loro caso sesso biologico e identità di genere coincidono. Sul piano linguistico la logica è l’uso del genere grammaticale femminile per le donne lesbiche e di quello maschile per gli uomini gay. Quando una persona eterosessuale usa ostentatamente il maschile parlando di una donna lesbica o il femminile parlando di un uomo gay, sta adottando, in modo volutamente insultante, un atteggiamento omofobico e derisorio. 42 Tuttavia appare necessario accennare brevemente alla rapida, recente diffusione di quello che viene definito genere non binario, cioè di tutte quelle persone che rifiutano di assumere un’identità orientata decisamente verso il maschile o verso il femminile, secondo un modello tipicamente a due poli contrapposti, e si collocano in uno spazio altro, intermedio o esterno al binarismo, dove possono liberamente fluttuare da un genere all’altro oppure collocarsi stabilmente in un punto che non coincide né col maschile né col femminile. Dalla crescente diffusione di queste identità non binarie deriva anche la sempre più diffusa scelta nei modelli anagrafici di alcuni Paesi o nei moduli di questionari, sondaggi, eccetera, di fornire a chi risponde, oltre alle classiche risposte maschio e femmina, anche una terza opzione, definita di volta in volta <<altro>>, o <<non voglio dire>>, o <<non so>>. Anche questa categoria di persone pone nuove interessanti questioni legate agli usi linguistici e al genere grammaticale, a cominciare dai nomi propri di persona e dai pronomi con cui è corretto riferirsi a loro. Alcune delle soluzioni fino ad ora elencate come l’asterisco, la chiocciola, la -u e soprattutto lo schwa, sono state accolte anche dalle persone non binarie come modalità capaci di esprimere la loro scelta non-maschile e non-femminile. Queste forme genderless soddisfano le esigenze delle persone non binarie, ma possono risolvere anche alcuni dei problemi discussi sopra a proposito, per esempio, dei gruppi e delle funzioni astratte. Approfondimento prof. Nel film “Scusate se esisto” con Paola Cortellesi e Raoul Bova vengono replicate tutta una serie di dinamiche che vengono definite mail validation che è un concetto molto importante per quanto riguarda la segregazione di genere. La realtà esiste nel momento in cui è validata da un uomo cioè il lavoro, l’estetica, cercano continuamente, per poter esistere, l’approvazione del maschio. La mail validation si esprime in tutte quelle forme di legittimazione da parte del maschio etero. Ad esempio, l’approvazione di un padre che dice “non ti vestire cosi”, “non fare cosi”, “come ti comporti…”, è la prima forma di mail validation. Alla mail validation, nel film “Scusate se esisto”, è sottoposta la donna che è incinta e non vuole farlo sapere, il ragazzo gay che non vuole far sapere che lo è, il ragazzo pelato che non vuol far sapere che lo è ecc. quindi il capo sottopone alla mail validation tutti i collaboratori. CAPITOLO 8: LGBT+ 8.1 Universo LGBT+ L’acronimo LGBT (Lesbiche, Gay, Bisessuali, Trans), che nel corso del tempo è andato ad arricchirsi di ulteriori lettere e simboli (come la Q di Queer e Questioning, la I di Intersessuali e il + finale), è un espediente introdotto a partire dai primi anni del XX 45 delle forme di diritto a seconda dei terreni e delle circostanze storiche. Superando il rischio della sistematica subordinazione di alcuni ad altri, il mondo democratico si sta prodigando per superare stigma, intolleranza, omofobia ed eterosessimo. Nell’ultimo decennio l’Unione Europea ha messo in campo politiche, orientamenti e strategie per fronteggiare la discriminazione fondata sul genere e sull’orientamento sessuale, basando tale attività sul principio che tutti i cittadini europei, in quanto tali, hanno eguale valore e dignità. Sono diversi i Pesi in Europa che hanno adottato il matrimonio tra le persone dello stesso sesso o forme di riconoscimento giuridico a ridosso dell’Istituto matrimoniale. Sebbene la normativa dell’UE non obblighi a consentire o a riconoscere le relazioni o i matrimoni tra persone dello stesso sesso. Essa ha consentito alla giurisprudenza di obbligare i suoi Stati a trattare le coppie dello stesso sesso in maniera uguale alle coppie di persone di sesso diverso. Dopo essere stato genderizzato e razionalizzato, il tema della cittadinanza sessuale si estende anche alle persone LGBT+. Le discussioni sulla cittadinanza sessuale LGBT+ forniscono una prospettiva critica per molti temi chiave, a partire dal dibattito universalismo-particolarismo. In questo discorso si innesta la prospettiva queer, che si traduce in un dispositivo strategico di identificazione e di rinnovamento delle istanze omosessuali, attraverso obiettivi politici condivisi e azioni militanti comuni, con lo scopo di superare i condizionamenti imposti dall’eteronormatività. Ciò significa che la cittadinanza viene letta non solo come un insieme di diritti e doveri che tutti i cittadini hanno, ma anche un insieme di rappresentazioni che legittimano politicamente, culturalmente e sessualmente la persona nella sfera pubblica. Si tratta di una visione di codici simbolici che creano comunità e diventano la base per l’emancipazione delle persone omosessuali negli Stati del mondo. Nel marzo del 2021 il Parlamento europeo ha dichiarato l’Unione Europea una zona di libertà LGBT+, in una protesta simbolica contro le politiche discriminatorie promosse dalla Polonia e Ungheria. La genitorialità, i sistemi procreativi medicalmente assisiti, il matrimonio e l’adozione sono alcuni degli ambiti in cui i diritti di cittadinanza delle persone omosessuali sono parziali. Nonostante la crescente visibilità globale per le persone LGBT+, è da almeno un paio di decenni che le scienze sociali denunciano la fine del senso di comunità. Le concentrazioni residenziali delle comunità LGBT+ urbane sono ormai sempre più sfumate e l’abitare delle persone omosessuali va oltre la città. Le grandi città vedono la diminuzione dei luoghi di socialità arcobaleno come bar, ristoranti, librerie storicamente collocati entro spicchi urbani circoscritti, mentre si registra un aumento della migrazione residenziale dalle città più grandi a quelle più piccole; cosi come l’afflusso degli alleati eterosessuali in quelli che prima erano spazi esclusivamente gay. 46 8.1 La città arcobaleno La narrativa standard delle persone omosessuali che fuggono dalla campagna o dalle aree interne per andare a cercare iconici gayborhood urbani, luoghi in cui possono trovare l’amore, sentirsi normali ed essere circondati da gruppi omofili è oggi più complessa perché è cambiata la città. Essendo una minoranza, le persone omosessuali non hanno mai abitato interamente una città, ma ne hanno segnato alcuni tratti rendendoli prevalenti. L’abitare in certi distretti semiperiferici delle grandi città americane negli anni ’50, per esempio, ha gettato le basi per la diffusione delle comunità omosessuali nel mondo e ha marcato la differenza rispetto alla città mainstream, basata sul modello funzionale dell’ambiente breadwinner, bianco, eterosessuale, lontano dalla natura selvaggia di chi è omosessuale. Una concentrazione di aree a connotazione arcobaleno non è mai esistita neppure in Italia. L’epoca contemporanea registra, su scala internazionale, la presenza di individui e di comunità sempre più interterritoriali e intersezionali. Incoraggiare un mixité tra stili di vita, culture e gruppi di residenti eterogenei, facilita fecondazioni incoronate fra conoscenze, idee e creatività diverse. Anche il mondo del lavoro ha contribuito a cambiare il posizionamento delle persone omosessuali. Dato che molti di quegli omosessuali che Florida ha incluso nella classe creativa sono spesso professionisti autonomi, questi sono autosufficienti anche quando si tratta di organizzare la loro mobilità geografica. La questione è come queste nuove forme di mobilità contemporanee influenzano il processo di incorporazione dei luoghi che tendenzialmente aveva visto gli stili di vita omosessuali svilupparsi in maniera territorialmente circoscritta. Questa forma di distretto post-gay è probabilmente più vicino alla configurazione che assume oggi in Italia la comunità omosessuale. Alla significazione internazionale dei distretti gay l’Italia sostituisce un’urbanità LGBT+ poco pronunciata, costituita da gruppi eterogenei di persone che frequentano i pochi luoghi ricreativi strettamente LGBT+. A questa concentrazione ri-creativa di natura urbana, si affiancano azioni estemporanee che raramente hanno un radicamento territoriale di una lunga durata: progetti, iniziative politiche, culturali o sportive, flash mob, Gay Pride, pagine social ecc. Manca, in Italia, un progetto politico unitario di riconoscimento dei diritti delle persone omosessuali, così come è sempre stato assente un dispositivo di pianificazione democratica della città, che ha, di fatto, trascurato le esigenze specifiche della popolazione LGBT+. Al posto della città gay-friendly, glamour, ricreativa e gentrificata, prende forma, nel nostro Paese, una città simbolica che combina allegoria politica e atto giuridico, 47 assorbendo la sedimentazione urbana dell’orgoglio omosessuale. Nella città arcobaleno il radicamento spaziale è rarefatto e si indentifica piuttosto nell’agire sociale. L’Italia dà impeto alla fase di rivendicazione dei diritti di cittadinanza sessuale attraverso il lavoro dei suoi sindaci e delle relative amministrazioni. Si trova qui l’humus più adatto per ridurre le condizioni di minorità dei cittadini omosessuali, trattando allo stesso modo che con le persone eterosessuali situazioni di fatto identiche e in modo differenziato quelle diverse. In tal senso, l’obiettivo di queste città italiane è stato quello di fornire alle cittadine e ai cittadini omosessuali la garanzia di uguaglianza. La capacità di queste amministrazioni di progettare e realizzare azioni arcobaleno, efficaci e concentrate con le realtà associative dei territori e con gli altri livelli di governance urbana appare ora cruciale nel rendere effettiva l’uguaglianza sociale cosi tenacemente rivendicata nella storia dell’Italia omosessuale. A partire dall’esplosione dei Gay Pride fino ad arrivare alla diffusione dei registri delle unioni civili, le città arcobaleno di tutta Italia hanno promosso i diritti LGBT+ attraverso una gamma di dispositivi talvolta reali, talvolta simbolici, comuni a molte aree metropolitane e non del mondo occidentale. Siamo in presenza di una polis che sussume le funzioni delle politiche di tutela e di inclusione delle minoranze che uno Stato dovrebbe essere in grado di attuare. 8.3 Eteronormatività e omofobia Il concetto di eteronormatività è stato introdotto nell’ambito delle scienze sociali all’inizio degli anni ’90 da Warner. Con questo termine si fa riferimento a un sistema ideologico-culturale che non solo presuppone una subordinazione naturale delle donne agli uomini, ma che considera anche esclusivamente le relazioni tra persone di sesso diverso come la norma da seguire. In altri termini l’eteronormatività si basa sull’idea che in natura esistono esclusivamente due generi, quello maschile e quello femminile e che soltanto le relazioni tra uomini e donne siano socialmente ammissibili. L’egemonia sessista maschile su cui si fonda l’eteronormatività ha prodotto un modello sociale che si impone come unico e indiscutibile. L’assunzione di tale principio ha forti conseguenze sul piano empirico. Infatti, ancora oggi in molti Paesi del mondo godono di legittimità sociale e giuridica soltanto le identità e le relazioni sociali che si muovono entro il perimetro dell’eteronormatività. Tutte le altre sono diversamente disciplinate o condannate alla clandestinità. 50 e prevedono una reclusione che può andare da un minimo di 14 anno fino all’ergastolo. Anche la metà dei Paesi asiatici ancora criminalizza l’omosessualità. In realtà si evidenzia che il clima di ostilità di questi Paesi verso l’omosessualità risale a un’eccessiva preoccupazione che si registrò tra i Paesi europei, tra il XIX e il XX secolo, per le questioni eugenetiche alimentate dalla classificazione razziale, dalla professione medica e dalla nascente classe borghese. Tra le categorie classificate come pericolose all’epoca rientravano: gli omosessuali, i poveri, gli ebrei, gli irlandesi, le femministe, le prostitute, i malati di mente e i criminali. Le preoccupazioni eugenetiche, infatti, trovarono diffusione nelle società europee negli imperi coloniali, come in Asia e in Africa. Ritornando ai tempi recenti si evidenzia il tentativo di voler prendere le distanze da parte di questi Stati nei Paesi di antica dominazione e, in particolare, verso una cultura occidentale che avrebbe minato miti e valori delle culture originarie. Attraverso una rilettura de testi sacri – in particolare il Corano – alcuni studiosi dimostrano come l’Islam, al contrario di quello che si pensa, riconosce e sostiene l’uguaglianza di genere, ribadendo come nel corso dei secoli una ristretta élite maschile ha imposto interpretazioni distorte delle sacre scritture e sostenuto il patriarcato in nome del Corano. Oggi più che mai riflettere in maniera critica sui temi riguardanti l’Islam è assai faticoso. Si è soliti ridurre la complessità di questa religione a luoghi comuni e stereotipi. In risposta all’orientalismo si va affermando l’Occidentalismo che si prefigge di mettere in evidenza la diversità del mondo occidentale da quello arabo-musulmano. Sul versante atlantico Jasbir Puar sviluppa il concetto dell’omonazionalismo che ci parla dei modi in cui i poteri occidentali mettono in circolazione determinati tipi di idee circa le altre culture, al fine di produrre un’immagine dell’Occidente come culturalmente, moralmente e politicamente avanzato e superiore. Gli effetti dell’omonazionalismo diffuso nei Paesi occidentali sono stati evidenziati dalle ricerche condotte sulle rappresentazioni sociali dei soggetti migranti e queer. Ricorrendo alla definizione di soggetto etno-sessuale, la sessualità dei migranti pone in luce la persistenza di visoni essenzialistiche dell’identità etnica e sessuale dei migranti LGBT+ come comunità omofobe. I migranti sono considerati come portatori di questo conservatorismo, che si traduce nei temini di un’omofobia interiorizzata. Compito delle società di accoglienza è di sensibilizzare questi immigrati imponendo loro un controllo morale che li conduca ad accettare tali valori che si basano sul rigetto dell’omofobia. 51 8.5 Migranti LGBT+ Ogni anno in Europa 10.000 LGBT+ stranieri pongono domanda di protezione internazionale per orientamento sessuale e identità di genere. Sono persone che scappano da contesti dove l’omosessualità è considerata un reato, dove sono frequenti aggressioni, stupri e uccisioni di persone sorprese a svolgere pratiche omosessuali; spesso sono proprio le famiglie a denunciare alle autorità i propri membri. La scelta di migrare costituisce pertanto un percorso obbligato, che culmina nella richiesta di protezione internazionale in uno dei Paesi che prevedono forme di tutela per persone perseguitate per via dell’orientamento sessuale. Nei Paesi europei la possibilità dei migranti di richiedere una protezione è assicurata attraverso l’applicazione di quanto previsto dalla Convenzione di Ginevra che stabilisce con l’art. 1 la possibilità di fare richiesta di protezione per motivi di persecuzione concernenti la razza, la nazionalità, la religione professata. La persecuzione è considerata come violazione dei diritti umani e dei diritti fondamentali degli individui. Centrale è il ruolo delle associazioni di volontariato nel fornire supporto alle commissioni territoriali incaricate di svolgere le audizioni con i migranti richiedenti asilo. Diverse sono le difficoltà che gli stranieri incontrano nei Paesi di immigrazione per ottenere il riconoscimento di questo diritto, e non sono rari i dinieghi da parte dell’autorità incaricate a verificare la validità delle storie. Tra le difficoltà evidenziate, centrale è il modo cui gli attori istituzionali chiamati a concedere questo riconoscimento interpretano quelle che sono le leggi che sottendono il dispositivo di protezione internazionale poiché potrebbero dare più importanza alle persecuzioni fisiche, a discapito di forme di persecuzione e stigmatizzazione apparentemente meno gravi che comportano pur sempre una condizione di esclusione sociale della persona. Le associazioni LGBT+ sono spesso chiamate a preparare il soggetto migrante, che deve sostenere un’audizione nel compito di corrispondere ai bisogni di coerenza e linearità richieste dalle commissioni territoriali che valutano le storie. Si mette in evidenza l’esercizio di una violenza simbolica che sottende il percorso amministrativo e giuridico che si esprime attraverso una progressiva trasformazione di questi in persone vulnerabili. La violenza simbolica si esercita attraverso un processo che obbliga il soggetto migrante ad aderire a un modello di vulnerabilità idealtipico e nel quale l’autenticità e la credibilità della storia sono costantemente messe in dubbio. Tale modello di carriera omosessuale dovrebbe seguire un certo copione: sentimento e desiderio erotico e affettivo verso persone dello stesso sesso, scoperta della propria omosessualità presa di coscienza e accettazione della propria identità, ma soprattutto 52 presenza di sentimenti negativi o di omofobia interiorizzata, dato il contesto omofobico e transfobico del Paese di origine. Infine i tempi dell’audizione spesso comportano giudizi rapidi su situazioni complesse, favorendo l’utilizzo di stereotipi e pregiudizi nella valutazione della credibilità delle storie. Le autorità nazionali si basano, in molti casi, su stereotipi nell’esame delle richieste di asilo di persone LGBT+, con la conseguenza di escludere le lesbiche che non hanno atteggiamenti maschili o i gay non effeminati e le/i richiedenti LGBT+ che sono state sposate o stati sposati o che hanno figli. I componenti delle Commissioni devono quindi valutare la credibilità del richiedente sulla base della sua sola testimonianza, ma le persone LGBT+ migranti trovano difficoltà a spiegare la loro condizione di persecuzione davanti alle Commissioni. Non mancano situazioni nelle quali i giudici chiedono misure accertative della presunta Le poche ricerche sull’argomento si caratterizzano nell’inquadrare la sessualità dei migranti come un ambito attraverso il quale si riproducono processi di vittimizzazione e sfruttamento sessuale riconducibili alla devianza. Questo processo di proiezione che vede gli stranieri come coloro che portano nei nostri Paesi civilizzati una degradazione morale e sessuale trova origine nell’assenza di un’elaborazione adeguata del nostro passato coloniale, dei legami che in epoca contemporanea continuano ancora a evidenziarsi tra razzismo e sessismo. La presenza dello straniero nei Paesi occidentali ha riportato in vita alcuni stereotipi associati alle sessualità delle minoranze etniche: per esempio, ancora oggi gli uomini di colore sono visti come sessualmente lascivi e incontrollabili, mentre le loro donne sono intese come sottomesse e dai comportamenti lussuriosi. 8.5.1 Le ricerche sui gay e lesbiche migranti Dal punto di vista teorico, focalizzarsi sulla condizione degli omosessuali migranti maschi in Italia rimanda al significato che assume antropologicamente l’omosessualità maschile nei Paesi dell’area del Mediterraneo e al più ampio discorso sul concetto di maschilità egemonica. Se nel mondo occidentale ci si confronta con il modello degli omosessuali moderni, socialmente visibili e orgogliosi disposti a impegnarsi in relazioni sentimentali di lunga durata, con abbigliamento e movenze adeguati al genere, attivamente coinvolti in una comunità gay e lesbica urbana, altrove possono evidenziarsi modelli alternativi come quelli riscontrabili in alcuni contesti dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, tra cui quelli del Nord Africa. In questi contesti l’omosessualità è vissuta più in termini di pratica sessuale che informano e rimandano a precise identificazioni di genere alle quali sono associati altrettanti immaginari differenti.