Scarica Riassunto "Manuale di letteratura e cultura inglese" a cura di Crisafulli e Elam e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Inglese solo su Docsity! “MANUALE DI LETTERATURA E CULTURA INGLESE” A CURA DI LILLA MARIA CRISAFULLI E KEIR ELAM PARTE PRIMA IL MEDIOEVO INTRODUZIONE La storia dell'isola britannica nel Medioevo è caratterizzata da ondate successive di invasioni e dal conseguente susseguirsi di scontri e incontri tra etnie e culture. Nel 410 le ultime guarnigioni romane abbandonarono definitivamente l'isola e i Britanni, popolazione celtica che risiedeva nella parte centrale e meridionale dell'isola, si trovarono a dove contrastare la calata dei nuovi invasori provenienti dalla Scozia settentrionale. I Britanni fecero appello a una popolazione di etnia germanica, i Sassoni, i quali, seguiti da Angli e Iuti, presero possesso dell'isola a partire dal 250 circa. Gli invasori anglo-sassoni parlavano una lingua di ceppo germanico che si evolse indipendentemente dal celtico e dal latino fino a dare origine all'anglo-sassone, o Old English, strumento di espressione delle prime opere della letteratura inglese. Se l'anglo-sassone non subì sostanziali variazioni a seguito delle ripetute invasioni danesi, a cambiare radicalmente la storia della lingua inglese venne la conquista normanna. I Normanni parlavano una varietà di francese che va sotto il nome di franco-normanno e che darà vita al Middle English. L'oscillazione tra il mondo germanico e quello neolatino attribuì alla letteratura inglese delle origini un marcato ibridismo. La storia sociale e politica dell'Inghilterra tardo medievale ebbe peraltro anche caratteristiche autonome e originali a conseguenza dell'importanza economica e del peso sociale acquisiti dalla classe media. La letteratura inglese medievale è dunque un fenomeno complesso e polifonico nella forma e nei contenuti. E' necessario avere consapevolezza della sua alterità, conseguenza del fatto che le opere si collocano a cavallo tra la produzione orale e quella scritta e all'interno di una tradizione la cui conoscenza era indispensabile alla loro fruizione ; i testi ci sono inoltre giunti in larga misura anonimi. La storia della letteratura inglese delle origini è stata dunque ricostruita sulla base di una documentazione frammentaria e casuale, spesso recuperata e ripristinata in contesti culturali del tutto differenti. DA BEOWULF A MALORY LA LETTERATURA IN OLD ENGLISH La cultura anglosassone trovò dapprima terreno fertile nelle regioni del nord del paese, in particolare nella città di York. Quasi tutti i poemi anglosassoni che possediamo ci sono giunti in quattro manoscritti: il Cotton Vitellius A 15, lo Exter Book, il Vercelli Book e lo Junius XI, tutte copie del X secolo che costituiscono solo una piccola parte della poesia prodotta in quel periodo, ma sono comunque rappresentativi delle forme che questa dovette assumere. Due sono le caratteristiche formali distintive della poesia in Old English: il metro allitterativo e l'uso di un linguaggio fortemente formulaico. Tali aspetti li presenta anche Beowullf, poema di 3182 versi, unico esemplare della produzione eroica del suo tempo; composto presumibilmente all'inizio dell'VIII secolo. Accanto alla poesia epica, la letteratura anglosassone ci ha lasciato una produzione elegiaca che risale al VII-VIII secolo, rappresentata da sei opere – Widsith, Deor, The Wanderer, The Seafarer, The Ruin e The Wife's Lament – che propongono temi come quelli della perdita, del viaggio e dell'esilio, che torneranno frequentemente nella storia della letteratura inglese. Forte valenza documentaria e artistica hanno i poeti Caedmon e Cynewulf, anche se di loro conosciamo i nomi e qualche dettaglio biografico: di Caedmon sappiamo che fu ispirato a cantare la Creazione, nonostante egli fosse solo un umile mandriano; Cynewulf visse nella Northumbria, al tempo centro della cultura d'Inghilterra, e a lui si fa risalire la maggior parte della produzione cristiana della letteratura anglosassone. Quando i Normanni giunsero in Inghilterra, la cultura anglosassone stava attraversando una fase di piena maturità e questo spiega perché il sopraggiungere della cultura normanna non sia riuscito a cancellare del tutto le istanze del passato, ma abbia dato vita a una complessa interpolazione di istanze culturali, di generi letterari e mezzi di espressione. LA LETTERATURA IN MIDDLE ENGLISH: IL ROMANCE E IL DREAM-POEM Il romance cortese nacque in Francia, per poi diffondersi in Inghilterra. Il romance in lingua inglese presenta notevoli differenze rispetto a quello francese: la divaricazione è riconducibile al fatto che gli aristocratici normanni usufruivano della produzione nata in suolo inglese in lingua francese, mentre il romanzo in volgare era destinato alla popolazione locale. I primi romances in inglese furono rielaborazioni di romances anglo-normanni e comparirono intorno alla prima metà del XIII secolo: ne può essere esempio Havelok the Dane (1285 ca.). Il romance – nato in Francia in un contesto cortese, il romance giunge nel XII secolo in Inghilterra dove subisce un processo di anglicizzazione e diviene genere delle classi medie oltre che dell'aristocrazia. E' incentrato sulla tematica della soddisfazione del desiderio, implica un progresso verso un obbiettivo finale e un combattimento tra due forze opposte. L'opera di maggior qualità letteraria di questo genere è il poemetto Sir Gawain and the Green Knight, che testimonia il risultato raggiunto dal processo di appropriazione e rielaborazione del genere; è giunto in un unico manoscritto nel quale è inserito accanto a tre poemetti di stampo dichiaratamente religioso (Pearl, Cleanness, Patience) probabilmente a mano di un unico autore, il cosiddetto “Gawain-poet”; la materia appartiene al ciclo bretone, ed è l'incontro tra il romanzo cavalleresco di tradizione cortese e continentale e il folk-tale di provenienza celtica e popolare. La finalità etico-didattica è sottolineata anche dall'accostamento in un unico manoscritto di Sir Gawin and the Green Knight a tre poemetti di stampo religioso: mentre Cleanness narra del diluvio universale e delle caduta id Babilonia e Patience riferisce la storia biblica di Giona, Pearl è un tipico esempio di dream-poem, genere atto a descrivere un'esperienza di tipo visionario vissuta come sogno dal narratore. A caratterizzare il dream-poem di matrice inglese è l'interpolazione di diverse tradizioni, per cui l'ambientazione iniziale di stampo cortese si fonde col sogno i impronta classicheggiante e con la visione cristiana della Gerusalemme celeste. Il maggio esempio di dream-poem della letteratura in medio inglese è The Vision of Piers Plowman di William Langland; ciò che suona particolarmente innovativo nel genere del dream- poem è la composizione della folla che partecipa a quest'esperienza. Il dream-poem, un sogno o una visione costituiscono la cornice di questo genere; derivante dalle letterature classiche e dalle Sacre Scritture, esso consente di narrare tramite le due voci del poeta e del sognatore il viaggio di un essere umano in un mondo al di là dell'oridaria esperienza alla ricerca di una verità assoluta. GOEFFRET CHAUCER E LE ORIGINI DELLA LETTERATURA INGLESE MODERNA Nessuno può esemplificare lo stato della società e della cultura letteraria inglese della seconda metà del Quattrocento meglio di Geoffrey Chaucer. Nato a Londra intorno al 1340, egli rappresenta quella borghesia che tanta importanza stava acquisendo nel contesto sociale ed economico dell'Inghilterra del tempo; godette del favore del duca di Lancaster John of Gaunt, per la morte della cui moglie compose The Book of the Duchess (1369); Chaucer ebbe una vita attivissima e la letteratura non costituì la sua principale professione, ma ricoprì incarichi commerciali e diplomatici che gli consentirono di compiere viaggi in Europa, dai quali tornava portando con sé manoscritti delle letterature con cui veniva in contatto; soltanto nell'ultima parte della sua vita si dedicò maggiormente alla letteratura, Chaucer recepì le diverse tradizioni letterarie antecedenti, dalle quali riconobbe l'auctoritas ma che rielaborò adattandole ai tempi e la conoscenza dei contemporanei francesi e italiani; non di secondaria importanza è infine l'impatto che la sua attività e il suo successo ebbero sulla storia della lingua inglese: si deve a lui il fatto che il dialetto londinese divenisse ufficialmente la lingua della letteratura. Chaucer operò nell'ambito di numerosi generi: nel Book of the Duchess egli ripropone l'espediente del sogno, ma fu uso di ottonari a rima baciata; l'espediente del sogno è presente anche in The House of Fame (1378-1380), in cui si dimostra una più approfondita conoscenza sia dei classici che della letteratura italiana; ancora medievale nella struttura è The Legend of Good Women (1385-1387). Al genere del romance Chaucer dedicò Troilus and Crseyde (1382-1386), che deriva direttamente dal Filostrato di Boccaccio; The Canterbury Tales si basano sull'impianto della cornice che racchiude una serie di racconti alla maniera del Decameron di Boccaccio. Chaucer ci propone un'immagine composita e contraddittoria della società del suo tempo, stereotipata e tradizionale e al contempo dinamica e realistica; la sua scrittura è una combinazione di vecchio e nuovo, in cui incontriamo citazioni della Bibbia e della letteratura classica, usate come strumenti per affermare il proprio diritto della parola. Caratteristica dello stile chauceriano è infatti quella di attribuire a ogni personaggio una voce narrante sempre diversa e adeguata al suo status, alla sua cultura e al suo temperamento e di riconoscere anche nei personaggi marginali all'interno della cultura del tempo il diritto di parlare e di essere ascoltati. IL TEATRO MEDIEVALE La critica non è stata ancora in grado di colmare il solco che separa le rappresentazioni ecclesiastiche in latino, o tropi, che si diffusero in Inghilterra, così come nel resto d'Europa, nel X secolo, e i cicli di drammi biblici che costituirono una delle più diffuse e popolari forme di intrattenimento nel Medioevo. Nelle prime rappresentazioni che si svolsero nelle chiese tre , travestiti da Marie, si recavano presso un altare che fungeva da sepolcro. La prassi delle rappresentazioni durante le funzioni liturgiche acquisì popolarità e si estese ad altre occasioni, prima di tutte la Natività. I tropi contenevano già nell'idea della personificazione, nel travestimento e nel dialogo gli elementi fondamentali della drammaturgia. E tuttavia sorprende che la storia dello spettacolo in Inghilterra proponga nel Trecento una eccellente fioritura di drammi ispirati alla Bibbia che si svolgevano al contrario in spazi aperti, usavano il volgare, accostavano agli eventi biblici episodi contemporanei, ed erano finanziati e organizzati dalle guild, le corporazioni di arti e mestieri, come ad esempio la corporazione degli orafi. La testimonianza più completa di questa forma di spettacolo è a noi pervenuta in quattro cicli di rappresentazioni bibliche, o mystery plays, che vanno sotto il nome di ciclo di Chester, ciclo di York, ciclo di Wakefield e Ludus Coventriae. Il dramma ciclico era infatti uno spettacolo eminentemente cittadino, organizzato in grossi borghi con un'economia fiorente e in cui gli artigiani rappresentavano una delle componenti sociali maggiori e meglio organizzate. Nel basso Medioevo no spettacolo che si svolgeva nella piazza o per le strade della città veniva proposto a tutta la cittadinanza, dai notabili, al clero, alle classi più umili. Non solo, ma ad esso prendeva parte anche la popolazione contadina delle zone limitrofe, attratta non solo dall'occasione ludica, ma anche dalla possibilità di concludere contrattazioni e scambi commerciali. Il dramma ciclico operava pertanto Perseverance è un dramma molto lungo e complesso, in quanto vi compaiono ben trentacinque personaggi. La vicenda segue la parabola spirituale, dalla nascita al giorno del giudizio, del personaggio Umanità, che viene conteso fra le forze del bene e le forze del male. Il manoscritto in cui è stato tramandato il play, il cosiddetto manoscritto “Macro”, contiene anche una pianta annotata, dalla quale vediamo che The Castle of Perseverance veniva messo in scena all'aperto, in uno spazio circolare (il place) circondato da un fossato, con al centro un castello, sotto al quale era posto il letto di Umanità; intorno al place si trovavano cinque palchi. Appartiene già all'epoca Tudor quello che viene considerato il capolavoro di questo genere teatrale: Everyman, composto alla fine del secolo e, probabilmente, traduzione di una moralità fiamminga. Il dramma conta soltanto 921 versi e narra come Everyman, nella tappa finale del suo viaggio terreno, spaventato di fronte alla Morte, trovi soltanto Good-deeds disposto ad accompagnarlo fin nella tomba. Everyman è introdotto da una prefazione che dimostra come il genere abbia acquisito piena consapevolezza (essendo utilizzati i termini “morality plays”). IL TEATRO DEL PERIODO TUDOR Tuttavia, l'ultimo scorcio del Quattrocento, che vide la fine delle guerre civili che avevano insanguinato l'Inghilterra per un trentennio e l'avvento della dinastia Tudor , vide anche il graduale affermarsi degli interludi, rappresentazioni drammatiche eredi dirette delle moralità, con le quali condividevano la finalità edificante. Gli interludi reinventano la psicomachia. Sotto l'influsso del pensiero umanistico, la lotta tra i vizi e le virtù diventa la lotta tra il nuovo sapere e l'ignoranza. In Interludi più propriamente politici, invece, il protagonista, che nelle moralità rappresentava il genere umano, è il principe, e l'obiettivo da raggiungere non è la salvezza, ma il buongoverno. Con la Riforma, poi, l'interludio assume i toni della polemica religiosa, e la lotta tra i vizi e le virtù diviene quella tra il cattolicesimo e la nuova fede. Negli anni '60 e '70, infine, gli interludi diventano satira sociale e attaccano il materialismo. Anche il teatro degli interludi è popolato principalmente da astrazioni, ma accanto a queste cominciano ad apparire dei tipi sociali e, a volte, anche dei personaggi storici. Inoltre, questi drammi accentuano il carattere ibrido che era già proprio delle moralità, che tendevano a mescolare elementi seri ed elementi comici. Gli interludi sono, infatti, dominati dal Vice che è fonte inesauribile di riso. Il termine “interludio” copre una grandissima varietà di testi drammatici, molto diversi tra loro. Questi drammi erano generalmente brevi. Gli interludi venivano per lo più rappresentati nelle sale dei banchetti delle dimore signorili o a corte. Venivano anche messi in scena, però, nelle piazze, nelle chiese, nei cortili delle locande, in sale municipali e nei saloni di monasteri, di scuole, di università e di corporazioni. L'uso indiscriminato del termine “interludio” tanto nei frontespizi dei testi che ci sono pervenuti quanto nei documenti del periodo Tudor fa dedurre che l'espressione non venisse usata per designare un particolare genere drammatico, ma fosse, piuttosto, sinonimo di rappresentazione drammatica. Si è soliti, perciò, indicare convenzionalmente con il termine interludio tutta la produzione drammatica dal 1485 (data in cui il primo sovrano Tudor, Henry VII, accede al trono) al 1576 (data di apertura del primo teatro pubblico a Londra). Nonostante la grande varietà di tematiche trattate, però, ciò che l'interludio non perde mai è il legame con il contesto politico, sociale e culturale. Sono questi gli anni in cui prende forma lo stato inglese moderno, in cui sempre più si afferma il potere centrale del sovrano e si costituisce la corte quale centro propulsore della cultura, in una Londra che vede aumentare la propria influenza, economica e sociale. Sono anche gli anni delle grandi controversie religiose. L'interludio non rispecchia soltanto i mutamenti di un periodo tanto travagliato, ma contribuisce ad innescarli: animato da spirito rinascimentale, divulgando la nuova concezione del mondo e dell'uomo; in periodo riformista, facendo una vera e propria opera di propaganda; oppure, come “specchio dei principi”, elargendo consigli e ammonimenti, più o meno celati, al monarca, al cui cospetto gli interludi venivano abitualmente rappresentati. Le compagnie che mettevano in scena gli interludi erano di due tipi: itineranti o no. Quelle non itineranti erano formate da gruppi di persone impegnate in altri tipi di attività e che, occasionalmente, si esibivano in rappresentazioni drammatiche. Oltre a questi gruppi amatoriali troviamo, nel periodo Tudor, delle troupe professioniste e itineranti. E' con l'interludio, infatti, che comincia la professione attoriale vera e propria. Nel passaggio dalle moralità agli interludi, il ridursi dell'impianto spettacolare fece sì che i drammi potessero essere messi in scena da compagnie ridotte, generalmente composte da quattro o cinque elementi (la compagnia ideale si dice che fosse formata da “four men and a boy”) che, per coprire tutti i ruoli drammatici, faceva ricorso al doubling, recitando più parti ciascuno. Gli attori erano generalmente al servizio di un patrono, che poteva appartenere alla nobiltà di provincia, ma poteva anche essere un dignitario di corte o, addirittura, il sovrano. Quella che era una prassi comune diventò presto una necessità, poiché dal 1572 gli attori, per non incorrere nelle sanzioni previste contro i vagabondi, dovevano poter dimostrare di essere al servizio di un nobile. Due drammi politici molto importanti e molto diversi tra loro appartengono ai regni di Mary Tudor (1553-1558) e della sorellastra Elizabeth I (1558- 1603): Respublica e Gorboduc. In Respublica, attribuito a Nicholas Udall e messo in scena da una compagnia di ragazzi durante le festività natalizie del 1553, tutti i personaggi sono astrazioni, sebbene Avarice, “the vice of the play”, potrebbe già essere definito un tipo sociale. Gorboduc è la prima tragedia regolare inglese e la prima opera drammatica ad adottare il black verse, cioè il pentametro giambico non rimato destinato a diventare il verso drammatico per eccellenza. Il dramma fu composto da Thomas Norton e Thomas Sackville nel 1562 e rappresentato al cospetto della sovrana. Gorboduc, modellato su Seneca, fa parte di un nutrito gruppo di drammi di derivazione classica comprendenti tragedie e commedie che venivano composte, per lo più, per essere messe in scena in scuole e università. Per concludere, prendiamo brevemente in considerazione alcuni interludi scritti dagli anni '60 agli anni '80. Sono i cosiddetti “money plays”, così chiamati perché trattano tematiche di natura economico-sociale. Bersaglio della critica contenuta in questi drammi è l'avidità, il materialismo che domina la società contemporanea e che genera corruzione anche nella giustizia e nella chiesa. Nei drammi di Robert Wilson, drammaturgo e attore vissuto attorno al 1600, la finalità edificante è ancora dominante. I suoi drammi, tuttavia, ci fanno capire come le moralità e gli interludi si pongano in un rapporto di continuità con il teatro elisabettiano del periodo successivo all'apertura dei teatri pubblici, quel teatro che ha visto i capolavori di William Shakespeare. IL VICE Il Vice (Vizio) è il mattatore degli interludi. Il Vice è la star del dramma e gli altri vizi, quando compaiono, sono figure di minore importanza al servizio del loro leader. Come una sorta di regista, il Vice dirige l'azione e annuncia le sue diaboliche intenzioni al pubblico. I CONTEMPORANEI DI SHAKESPEARE UN TEATRO PLURALE Gli spettatori che fra il 1586 e il 1587 assistettero alla epocale Spanish Tragedy di Thomas Kyd, dovettero notare la provocatoria congiunzione di elementi familiari ma solitamente separati: i richiami biblici sposati a quelli classicheggianti, la storia contemporanea incrociata al tema privato dell'onore. Ed è proprio la pluralità il tratto forse più sgargiante del teatro elisabettiano, a cominciare dalla sua moltitudine di storie: ma non sono certo minori la ricchezza di temi, o della pluralità di stili capace di collassare in poche battute l'aulico e il grottesco, il poetico e il popolaresco. Quasi in una prefigurazione della connessione infinita del Web (nell'età moderna non esisteva forse un luogo più simile allo spazio virtuale della Londra elisabettiana), lo scrittore di teatro elisabettiano interagisce con una rete costituita da un repertorio sconfinato di fonti stilistiche e tematiche. L'interazione avviene poi in una nuova sede teatrale, aperta a un pubblico meno selezionato di quello degli spettatori di corte cinquecenteschi, ma segnata da diversi limiti alla libertà di composizione. IL MODELLO POETICO E LE FONTI In questo panorama di nuove possibilità e costrizioni, non stupisce che l'autore elisabettiano debba innanzitutto decidere se presentarsi come una figura nuova di scrittore o come esemplare moderno del poeta, già convalidato dalla tradizione classica. Il modello prevalente è appunto il secondo che vede gli autori di teatro ricorrere alla tradizione poetica per legittimare il loro lavoro. Il poeta è infatti figura di più facile difesa rispetto alle frequenti accuse dei nemici del teatro, secondo cui questi nuovi autori “popolari” inciterebbero a imitare e meglio apprendere il vizio. Il criterio generale è l'allusione. Così, il passato rimanda al presente: la storia antica, la Bibbia e la storia della chiesa, la storia rinascimentale, il passato della storia inglese, alludono sempre all'attualità. L'elemento straniero illumina quello domestico: la cronaca, la storia e la letteratura europea forniscono un contrappunto alla costruzione del passato inglese e della sua nascente potenza. E il privato esemplifica il pubblico: dietro le singole vicende individuali, i personaggi illustrano le preoccupazioni tipiche dell'epoca moderna. L'allusione permette dunque all'autore di parlare di storia, religione e politica senza incorrere il più delle volte in reprimende. Ma l'imitazione, soprattutto in questa prima fase, riguarda non solo i temi, ma anche i modelli formali ed espressivi. Gli elisabettiani traggono i loro modelli, poi, proprio paesi con cui sono in guerra diretta, quali la Spagna, o che sono la sede della depravazione e corruzione da loro collegata al cattolicesimo, come la Francia o i modelli italiani. Contraltare a questo esorbitante catalogo di fonti straniere sono due prepotenti tradizioni autoctone, la didattica e la retorica. Nella prima prevalgono i riferimenti alla Bibbia. A questo filone si affiancava quello innervato dalla passata tradizione delle moralities e dei mysteries. Dal punto di vista formale, la seconda tradizione naturalmente presente agli elisabettiani è quella della retorica, intesa non solo come un repertorio di figure, ma anche come una classifica di generi oratorii e di stili alti, medi e bassi che ritroviamo collegati allo status dei personaggi teatrali. L'IMITAZIONE: LODGE, GREENE, KYD Gli autori del teatro elisabettiano (salvo poche, notevoli eccezioni come Jonson, Shakespeare e Kyd) provengono dalle università di Oxford e Cambridge, dagli Inns of Court della professione legale a Londra, o comunque da qualche forma di istruzione scolastica superiore. Il teatro elisabettiano esordisce dunque con degli scrittori che vantano studi di retorica, la conoscenza delle lingue classiche e non raramente una infarinatura di altre lingue nazionali (francese e italiano, soprattutto). Alcuni di loro compiono frequentemente viaggi all'estero, ad esempio nel caso di Robert Greene e Thomas Lodge. Nonostante la tendenza a rimarcare la differenza artistica fra questi primi autori e Christopher Marlowe, per non parlare di Shakespeare, le loro opere compaiono proprio a ridosso dell'apoteosi del primo e dell'inizio dell'affermazione del secolo. L'esplosione generativa del teatro elisabettiano si concentra di fatto nei pochi anni fra il 1586-1587, periodo di rappresentazione della Spanish Tragedy, e il 1594, anno della morte del suo autore. In questo breve spazio di tempo (anche a causa della perdita di molte altre opere) si concentrano le pubblicazioni delle prime sperimentazioni elisabettiane. Nel 1592 compare ad esempio il celebre testo ora attribuito a un autore minore, Henry Chettle, Groatsworth of Wit, dove la descrizione della morte di Greene lascia spazio alla celebre invettiva contro il nuovo autore che si sta facendo bello con le penne degli altri, il “corvo” Shakespeare. Segno non solo che una nuova canonizzazione era in atto, ma che la polemica ora si rivolgeva, oltre che ai nemici del teatro, anche alle sue nascenti fazioni. I primi autori elisabettiani non scrivono solo teatro, ma scrivono anche teatro, anzi sembrano interessarsi soprattutto alla prosa e alla poesia, ed è infatti il modello del poeta a prevalere. Lodge scrive una Defence of Poetry, Music and Stage Plays per difendere le arti, quella teatrale inclusa. L'unica opera attribuita con qualche certezza a Lodge (in collaborazione con Greene) è A Looking Glasse for London, il cui evidente intento è additare la corruzione dei costumi agli abitanti della nascente metropoli londinese. Pur nello scarso numero di opere preservate, appare significativa e coerente la produzione di Greene. La sua invenzione eclettica illustra perfettamente il rapporto dell'autore elisabettiano con i modelli e le fonti. Ad esempio egli adatta l'opera dell'Ariosto in The Historie of Orlando Furioso. L'opera teatrale riceve la sua legittimità dalla comunanza con la poesia, e ricalca i modelli stranieri. La prevalenza di questi modelli, spesso sovrapposti l'uno all'altro, con il repertorio retorico che sostiene l'argomentazione morale traendo esempi dalla storia lontana e presente, colorata con venature allegoriche rinascimentali, giunge al suo culmine nell'opera che consoliderà gli esperimenti elisabettiani e sancirà col successo di pubblico la possibilità di creare un teatro moderno, la Spanish Tragedy di Kyd, autore cui pure viene attribuita una versione di Hamlet precedente a quella shakespeariana. In questo documento esemplare della fase contemporanea agli inizi di Shakespeare troviamo le varie fonti tematiche e stilistiche. La storia, basata sulla ricerca di vendetta da parte di Hieronimo, Maresciallo di Spagna, dell'omicidio del figlio, contiene tutti i segmenti tematici e stilistici propri dell'appropriazione elisabettiana: il contesto apparentemente forestiero che permette al contempo di fingere che quegli stravolgimenti della psiche e dell'eloquio siano esclusivo appannaggio dei mediterranei, laddove la tematica della vendetta e dell'onore è una preoccupazione anche elisabettiana; il gusto per la rappresentazione dell'intrigo di corte; i fantasmi di gusto senecano che decretano la cornice di riferimento dell'opera. LA TRADUZIONE ELISABETTIANA: MARLOWE E JONSON La compresenza di modello poetico e fonti molteplici sopravvive nelle opere del principale autore di questa fase, Christopher Marlowe. Con gli autori provenienti dalle università Marlowe condivide la formazione accademica e la familiarità con la tradizione classica. L'imitazione di Marlowe, a differenza degli altri autori, trae dalle fonti straniere soprattutto storie e trame. Marlowe ribadisce la natura poetica dell'impresa teatrale e adotta lo stile elevato, riservato tradizionalmente alla tragedia e ai personaggi di alto rango. Esempio lampante sono le due parti di Tamerlane (1587), travolgente successo di pubblico dell'epoca e unica opera dell'autore pubblicata in vita. Il despota, opportunamente orientale e pertanto corredato all'armamentario di raffinatezze e crudeltà associate allora a quella parte di mondo, conduce in prima persona stragi, omicidi e immani guerre di conquista. L'impresa è resa possibile dal capolavoro poetico di Marlowe, l'uso del verso sciolto (black verse) che diventerà il metro principale del teatro elisabettiano. L'altro abile “traduttore” a comparire verso la fine del Cinquecento è ben Jonson, la cui lunga carriera arriverà a coprire tutte le fasi del teatro elisabettiano divenendone quasi un modello di riferimento. Le sue prime opere ricalcano gli impianti della commedia classica ed erudita di segno italiano e insieme si appoggiano alla schematica suddivisione dei personaggi in umori il cui eccesso ne spiegherebbe il comportamento in chiave quasi meccanica. Con Marlowe e Jonson, le sterminate fonti disponibili non vengono soltanto omaggiate e ripetute in ossequio alle forme continentali, ma anche adattate al pubblico inglese. Con una distinzione fondamentale: per Marlowe, la traduzione delle forme classiche e rinascimentali è soprattutto la creazione di un linguaggio poetico elevato; per Jonson, è piuttosto la creazione dei tipi inglesi ricalcati su quelli classici e rinascimentali e sulla formazione degli intrecci. Sarà la seconda direzione a prevalere nel primo Seicento. IL NUOVO TEATRO PUBBLICO E I TEATRI PRIVATI Il primo teatro pubblico inglese, The Theatre (1576-1598), venne fatto costruire nel 1576 dall'attore e impresario James Burbage in una zone a nord della city, nei cui pressi l'anno successivo sorse il Curtain (1577-1627). I principali teatri pubblici vennero tuttavia costruiti sulla sponda meridionale del Tamigi, fuori dalle mura (luogo sconsacrato), nelle liberties sottratte alla giurisdizione della city ma facilmente raggiungibili dagli abitanti, e già luogo divertimenti più o meno edificanti, che includevano gli spettacoli con animali e i bordelli: il Rose (1587- 1605), lo Swan (1595-1637), il Globe (1599-1613), sede della compagnia teatrale di Shakespeare e costruito da Richard Burbage, figlio di James e celebre attore – il Fortune (1600-1621) e il Red Bull (1604-1663). Di norma il teatro aveva una struttura circolare a tre ordini di gallerie che davano su un palcoscenico a forma squadrata, aggettato su un cortile dove, attorno ai tre lati, si poteva trovare posto in piedi a poco prezzo. Sopra la pedana fuoco… Perdonate, cortesi spettatori, le nostre disadorne e anguste menti se abbiamo osato presentarvi qui, su questo nostro indegno palcoscenico, sì grandioso argomento. Come potrebbe mai questa platea contenere nel suo ristretto spazio, le sterminate campagne di Francia? Come stipare in questa “O” di legno pur solo gli elmi che tanto terrore sparsero per il cielo di Agincourt? E perciò, vi ripeto, perdonateci; ma se può un numero, in breve spazio, con uno sgorbio attestare un milione, che sia concesso a noi, semplici zeri d’un sì grande totale, stimolare col nostro recitar le vostre menti. Immaginate dunque che racchiusi nella cinta di queste nostre mura si trovino due regni assai potenti, e che le loro contrapposte fronti alte erigentesi su opposte sponde separi un braccio di rischioso mare. Sopperite alle nostre deficienze con le risorse della vostra mente: moltiplicate per mille ogni uomo, e con l’aiuto della fantasia createvi un poderoso esercito. Quando udrete parlare di cavalli pensate di veder cavalli veri stampar le orme dei lor superbi zoccoli sopra il molle terreno che le accoglie. Sarà così la vostra fantasia a vestire di sfarzo i nostri re, a menarli dall’uno all’altro luogo, saltellando sul tempo, e riducendo a un volger di clessidra gli eventi occorsi lungo diversi anni; e a questo fine vogliate permettere a me, Coro, d’entrare in questa storia, e di pregarvi qui, in veste di Prologo, di ascoltar con benevola pazienza il dramma che vi andiamo a presentare, e con molta indulgenza giudicarlo. E' su questo patto convenzionale fra attori e pubblico che si basa il teatro elisabettiano in tutta la sua potenza simbolica e figurativa. LE PROPRIETA' DEL TEATRO SHAKESPEARIANO: LA SCENA APERTA Sono tre le proprietà insieme spaziali e culturali del teatro elisabettiano che rendono possibile l'emergere dell'attore-personaggio shakespeariano: la sua apertura, la sua multidimensionalità e la sua fluidità. La prima di tali caratteristiche, l'apertura, dipende dalla peculiare forma del palcoscenico e dal rapporto che si instaura fra scena e arena nel cosiddetto teatro pubblico. Trattandosi di una scena detta aggettante (in inglese, thrust stage), che appunto si “gettava” in mezzo al pubblico, il palcoscenico era di necessità aperto e relativamente privo di ostacoli alla vista, quali gli oggetti scenici. Gli unici spazi fissi della scena erano la frons scenae – il fondo della scena ornato di pitture, all'interno del quale si aprivano le due (o in alcuni teatri forse tre) porte di ingresso-uscita – e i due pilastri di legno, dipinti per assomigliare a colonne romane di marmo, che sostenevano il tetto sovrastante il palco. Tale “architettura” era forse il risultato dell'evoluzione degli spazi informali, quali i palchi eretti nelle piazze e nei cortili delle taverne, impiegati in epoche precedenti, anche se non è escluso un qualche richiamo all'anfiteatro greco-romano. I vantaggi che una simile apertura della scena pubblica offriva all'attore, e tramite quest'ultimo al drammaturgo, erano diversi. Prima di tutto, investiva appunto quasi esclusivamente l'attore della responsabilità di essere oggetto dell'attenzione del pubblico e fonte di informazioni, di emozioni e di intrattenimento. Ciò a sua volta permetteva alla scena elisabettiana di essere nel contempo un teatro di azione scenica, centrato sul corpo dell'attore, e un teatro di parola. In secondo luogo consentiva agli spettatori un accesso visivo e uditivo primo di barriere. E infine, dava alla rappresentazione scenica la possibilità di svolgersi in modo rapido e dinamico. Riferimenti testuali alo svolgimento degli spettacoli del tempo parlano di una durata della rappresentazione di circa due ore, un tempo la cui brevità riesce oggi difficilmente concepibile, ma in realtà resa possibile dal veloce avvicendarsi delle scene, senza necessità di cambiamenti di scenografia. L'ARTICOLAZIONE SPAZIALE: DIMENSIONE ORIZZONTALE E VERTICALE La seconda proprietà caratteristica e determinante del teatro shakespeariano, la sua multidimensionalità, riguardava la struttura dello stesso palco e la sua articolazione nello spazio. Le probabili dimensioni della scena del Globe Theatre erano di circa 13 metri in larghezza e 8 metri in profondità. Colpisce la straordinaria ampiezza del palco che era strettamente funzionale alla drammaturgia. Oltre a simboleggiare la grandezza del mondo raffigurato, e permettere a tutti gli attori della compagnia (normalmente fra i 14 e i 18) di stare contemporaneamente sul palco quando necessario – ad esempio per scene di folla – tale ampiezza offriva la possibilità di moltiplicare l'azione orizzontalmente, creando effetti di simultaneità e di contrapposizione. L'area di recitazione in un teatro elisabettiano è quindi molto ampia, a differenza di altri teatri europei come quelli italiani. Un ruolo cruciale nell'utilizzo della dimensione orizzontale è svolto dalle due porte di scena, evidenti nello schizzo di Johannes De Witt (che mostra il teatro Swan), collocate come già detto nella frons scenae sullo sfondo con la doppia funzione di nascondere lo spogliatoio degli attori, e di permettere loro l'ingresso e l'uscita. I plays elisabettiani non venivano divisi in atti e scene, ciò che segnava la fine di una scena e l'inizio di un'altra era semplicemente l'avvicendarsi degli attori o di gruppi di attori, che erano momentaneamente compresenti in scena. La convenzione elisabettiana voleva infatti che i due attori o gruppi in questione – quello entrante e quello uscente – fossero “invisibili” gli uni agli altri, anche se la loro compresenza poteva creare effetti di comicità o di sorpresa. L'utilizzo delle due porte giocava anche un ruolo simbolico, nel rappresentare due realtà spaziotemporali distanti fra loro. In Hamlet, il fantasma conduce il figlio in un luogo appartato, lontano da Orazio e dagli altri presenti, in modo da potergli parlare confidenzialmente. I due attori escono da una porta per poi, con ogni probabilità, rientrare immediatamente dall'altra, uno spostamento minimale che rappresenta un immaginario tragitto nello spazio e nel tempo. La possibilità, poi, di dividere la scena in due o più spazi sul piano orizzontale, grazie appunto alla sua ampiezza, permetteva a Shakespeare e alla sua compagnia di creare effetti di contrapposizione fra parti o schieramenti opposti, come ad esempio negli accampamenti avversari contemporaneamente in scena nei drammi storici (come Henry V) e romani (Julius Caesar). Consentiva inoltre di stabilire importanti nessi narrativi fra scene o trame distinte. In Otello, per esempio, Iago crea uno strategico legame fra due eventi che accadono in spazi e momenti diversi: mentre egli entra con Otello da una parte della scena, Cassio, intravedendoli, esce frettolosamente dall'altra parte, interrompendo un colloquio con Desdemona alla quale chiedeva di intercedere con Otello. Non meno significativa è la dimensione verticale della scena, creata grazie all'esistenza di ben tre aree di recitazione: rispettivamente sotto il palco, sopra il palco e naturalmente sul piano del palco stesso. La presenza di un sottopalco utilizzabile dalla compagnia derivava dall'elevazione del palco di circa 1,5 metri dal suolo, permettendo così maggiore visibilità alla scena. Tale caratteristica era in parte retaggio dei carri tardo medievali impiegati per la performance in piazza dei mystery plays e morality plays, nei quali l'utilizzo del sottopalco aveva una finalità strettamente simbolica e ideologica, in quanto area abitata da diavoli e spiriti maligni, che facevano le loro entrate e uscite tramite un'apposita botola. A dimostrazione della sopravvivenza di un simbolismo religioso così antico e ben radicato, gli attori elisabettiani continuavano a battezzare la zona sottostante il palco come hell (inferno), anche laddove essa non aveva più alcun ruolo teologico. Analogamente, il soffitto sovrastante il palco, che recava dipinti di costellazioni, veniva chiamato familiarmente, da parte degli attori, heavens (cieli). D'altronde, il teatro di Shakespeare nutriva ambizioni antropologiche quale luogo deputato alla rappresentazione dell'uomo, i cui affari terreni si trovano così posti in scena equidistanti fra il celo e l'inferno. Non a caso il nome del secondo teatro della compagnia di Shakespeare, The Globe: è un teatro del mondo (o globo) intero, capace di navigare liberamente nello spazio e nel tempo. Non a caso, Shakespeare si lascia sedurre dalla suggestione dell'antico simbolismo teologico-teatrale in diverse opere, ma soprattutto in Hamlet. La tragedia fa leva non solo sull'altica opposizione sopra-sotto, e sul lessico degli attori (heaven-hell, appunto), ma anche sul significato teologico di tale lessico nel porre una delle questioni centrali del dramma – anzi, forse il vero “dilemma” – di Amleto, vale a dire la provenienza e la stessa del fantasma di suo padre. La grande difficoltà conoscitiva di Amleto verte precisamente sulla possibilità che lo spettro non sia segno benevolo del defunto re bensì simulacro malefico proveniente dall'inferno. Nell'incipit della tragedia, Shakespeare mette pienamente in gioco tale simbolismo legato alla dimensione verticale della scena. Quando, per esempio, Bernardo si accinge a narrare la precedente comparsa del fantasma, egli invita dapprima i presenti in scena a sedersi, alla pari con gli uditori nelle gallerie, e poi indirizza lo sguardo di tutti, in scena e fra il pubblico, in alto, verso la stella, probabilmente indicando il cielo stellato dipinto sul soffitto, detto appunto heavens. Proprio in questo momento, quindi, entra in scena l'oggetto del racconto, il fantasma medesimo, ma entra di sotto, dallo hell, tramite la botola, spiazzando e creando un'opposizione fra sotto e sopra. A sua volta, la collocazione in alto, sopra la scena e perciò vicino al cielo, talvolta assume in Shakespeare un significato prettamente simbolico e ideologico, per esempio nel contesto politico della contesa per il trono. I drammi storici di Shakespeare fanno riferimento alla nozione della sacralità della corna, richiamando la dottrina medievale del diritto divino dei re al trono, dottrina conservatrice che sanciva l'incontestabilità del potere sovrano, anche se sono gli stessi drammi storici shakespeariani a dimostrare che nei fatti la corona è tutt'altro che incontestata. In Richard II l'ultima comparsa pienamente “reale” di Riccardo ha luogo sul balcone sopra la scena – il cosiddetto upper stage – destinato, oltre all'occasionale azione scenica, ai musici e agli spettatori più prestigiosi. L'opposizione alto-basso trova una diversa espressione politica e drammaturgica nell'incipit della tragedia giovanile Titus Andronicus, dove una didascalia insolitamente lunga e dettagliata (Shakespeare, specie nelle opere mature, è piuttosto parsimonioso di indicazioni sceniche) detta precisamente l'ordine e la posizione d'entrata dei diversi schieramenti. I due opposti gruppi di potere, i senatori e tribuni, entrano sopra, sull'upper stage, mentre sotto entrano – separatamente, tramite le due porte di scena – i due fratelli rivali per il titolo di imperatore, e i loro rispettivi seguiti. In questo caso la scelta fra i candidati posti sul palco sarà effettuata sopra, in Senato. Dopo l'annuncio dell'avvenuta elezione – non di uno dei fratelli rivali bensì di Tito Andronico – il fratello di quest'ultimo, il tribuno Marco, compare, sempre in alto, con in mano il simbolo del potere imperiale. Infine, chi sta sotto, sul palcoscenico, sale al Senato per guardare, da spettatore privilegiato, l'arrivo di Tito Andronico in basso. L'azione poi si sposta tutta sul palco principale, come per dare inizio alla tragedia vera e proprio, ma intanto è stato ben introdotto il tema della gerarchia del potere. In altre opere l'antitesi fra stage e upper stage assume connotazioni più sociale che politiche e religiose. FLUIDITA', DISTANZA VARIABILE E RAPPRESENTAZIONE DELL'IO La terza dimensione caratteristica, e drammaturgica significativa, del teatro elisabettiano, la fluidità, riguarda il rapporto fra scena e platea, in particolare fra attore e spettatore. Il palco, oltre alla sua notevole larghezza, era dotato anche di una non indifferente profondità, che permetteva alla compagnia di variare molto le distanze che intercorrevano fra azione e ricezione. Soprattutto, data la particolare struttura del palco aggettante, l'attore era in grado di stabilire rapporti di notevole vicinanza con il pubblico, ponendosi all'estremità anteriore della scena, in modo da essere al massimo a 9,6 metri dagli spettatori più lontani, e in contatto quasi fisico con quelli più vicini (i cosiddetti groundlings in piedi intorno al palco). Posti sull'avanscena, Richard Burbage o altri attori potevano bisbigliare nelle orecchie del pubblico. Tale complicità e intimità con il pubblico ha influito sullo sviluppo della drammaturgia shakespeariana. Hamlet nasce dalla possibilità di esprimere l'interiorità del personaggio-individuo, possibilità che presuppone il suo agire in stretto contatto ideale e spaziale con chi ascolta. Il miracolo del teatro elisabettiano, e soprattutto di quello shakespeariano, è quello di aver creato una drammaturgia “privata”, quella del soggetto che interroga se stesso. Shakespeare sperimentò la creazione del personaggio-io in un dramma storico relativamente giovanile, Richard III. Riccardo non si presenta come rappresentante di un insieme (vale a dire, la casata York coinvolta nell'epica guerra civile contro i Lancaster), ma anzi prende esplicitamente le distanze dai suoi parenti-alleati mettendo se stesso in scena in tutti i sensi come “io” mostruosamente egocentrico. Il monologo iniziale di Riccardo, basato proprio sull'opposizione io-altro – i pronomi e aggettivi plurali iniziali (“our”) cedono al prepotente pronome singolare (“I”) – chiama in causa la fluidità del palcoscenico nella spettacolare discesa del personaggio verso il contatto con il pubblico, costringendo lo spettatore ad entrare in un rapporto di intimità e complicità con lui. Quello che probabilmente impressionò il primo pubblico fu l'autopresentazione nell'hinc et nunc (qui ed ora) di un personaggio storico che aveva lo status di mito, anche in quanto “nemico pubblico” della dinastia Tudor. Il “now” di Riccardo fonde, pertanto, almeno tre dimensioni temporali e conoscitive: il momento storico in cui il personaggio è collocato; il momento storico della messa in scena; il momento in cui l'attore-personaggio si rivolge direttamente al suo uditorio. E' l'ebrezza di tale convergenza che costituisce gran parte del fascino del teatro storico di Shakespeare. E' evidente che in un personaggio come Riccardo la dimensione soggettiva dell'io è per molti versi fasulla: infatti Riccardo rimane in parte maschera. Anzi, da un certo punto di vista è diretto discendente del cattivo del dramma morale tardo medievale, il “vizio”, come emerge nell'ultima scena nella quale viene visitato dai fantasmi delle sue vittime che lo maledicono, prima di benedire il personaggio “buono”, il futuro Enrico VII. Ciononostante, il dramma permette a Shakespeare di inventare per la prima volta la messa in scena dell'io nel contesto della storia inglese. E' significativo, inoltre, che Riccardo sia il primo personaggio shakespeariano ad accennare a una qualunque dimensione “psicanalitica”, pur sempre all'insegna dell'inganno. Nel soliloquio iniziale egli “confida” al pubblico il presunto motivo del suo rifiuto dell'amore a favore della guerra, ossia la propria innata deformità (salvo poi, nella scena successiva, esercitare una paradossale e spettacolare seduzione erotica e politica nei confronti di Lady Anne, vedova di una delle sue vittime). Shakespeare rivisiterà la modalità del discorso intimo ma ingannevole qualche anno più tardi con un altro celebre malvagio, Iago, il quale, come Riccardo, si confessa allo spettatore, seppure in modo sempre poco affidabile, inventando lì per lì, davanti agli occhi e orecchie della sua audience, la trama per la distruzione del Moro e di Desdemona. Cosa diversa, naturalmente, è la soggettività messa in mostra da Amleto, altro grande esponente non solo del soliloquio ma anche del rapporto “a tu per tu” con l'ascoltatore. A differenza di Riccardo e Iago, Amleto offre una gamma di monologhi e soliloqui retoricamente e drammaturgicamente molto diversificati fra loro. E a differenza dei suoi predecessori, l'autenticità della comunicazione non è in discussione. Se il monologo per eccellenza, “To be or not to be”, pare a primo udito un'auto-interrogazione “segreta” sulle ragioni più profonde del vivere, ad una lettura più attenta si rivela discorso “pubblico” strutturato come un intervento in un dibattito sulla quaestio vita vs morte; altri rappresentano un vero e proprio monologo interiore ad alta voce. Il monologo confidenziale è un genere di discorso che verosimilmente portava l'attore Burbage (il quale aveva recitato anche la parte di Riccardo) sull'avanscena. Anzi, non è esagerato sostenere che lo stesso Amleto prenda vita quale massima espressione delle potenzialità create dagli artigiani padri della scena elisabettiana, a partire dall'attore-falegname James Burbage che costruì il primo teatro pubblico, The Theatre, nel 1576 (e che fu anche letteralmente padre dell'attore Richard, il primo Amleto). Un altro aspetto della fluidità del teatro elisabettiano è che si trattava di una scena pluriprospettica, la quale, proprio in assenza di un unico punto di focalizzazione, permetteva l'uso di tutte le aree recitative del palco e chiedeva agli attori grande agilità e abilità negli spostamenti e nei posizionamenti in scena. L'attore, avendo a disposizione un ampio raggio di dominio performativo, doveva essere in grado di catturare l'interesse da qualsiasi parte del palcoscenico egli si trovasse, e di indirizzarsi, viceversa, ad ogni angolo della platea. Anzi, sarebbe stato inopportuno – anche politicamente – indirizzarsi prevalentemente agli spettatori più vicini al bordo del palco, dal momento che questi – i groundlings – rappresentavano la parte socialmente meno elevata del pubblico. Gli spettatori privilegiati, perché più ricchi e influenti, stavano in posizioni diverse rispetto alla platea, ossia nelle gallerie (specie quelle più in alto) o addirittura dietro il palco. La fluidità pluriprospettica del teatro era tale che anche all'estremo della distanza attore-spettatore, e cioè in fondo al palcoscenico, il teatro elisabettiano offriva ampie possibilità di sfruttare la profondità del palco per creare effetti di strategica lontananza, senza con questo, naturalmente, perdere l'interesse del pubblico. Sempre in Richard III, per esempio, la scena dell'incoronazione di Riccardo probabilmente aveva luogo sullo sfondo, vicino alla frons, per dare la prima categoria definitoria della poesia del Cinquecento inglese. Il concetto di “classico” nel Rinascimento inglese comprende sia gli autori di tradizione greca e latina, sia gli autori italiani e francesi, ovvero i più diretti continuatori e innovatori di quella tradizione antica. Quanto lo svecchiamento di questa lingua fosse arduo e quanto lavoro fosse necessario per staccarsi dalle forme poetiche medievali, è testimoniato dalla ricchezza di trattati che (sulla scia delle discussioni che facevano in Italia) furono pubblicati negli ultimi decenni del Cinquecento: spicca tra tutti, The Defence of Poesy di Sir Philip Sidney. TRADIZIONE COME INNOVAZIONE Uno dei mezzi principali messi a disposizione per questo lavorio di rinnovamento fu la traduzione, sia di autori classici che di autori contemporanei. Tradurre volle dire accostarsi a testi sentiti come modelli da imitare. Importantissima fu la traduzione dei Salmi, favorita dalla Riforma protestante e dalla volontà di offrire i testi sacri in lingua inglese, a segno di totale distanza dalla pratica della chiesa cattolica romana. La traduzione, più che resa letterale, era più spesso intesa come interpretazione e rielaborazione. Un ruolo importantissimo ebbe Sir Thomas Wyatt, il primo che tradusse alcuni sonetti di Petrarca nella loro propria struttura e forma metrica. POESIA E CORTE L'ambiente che più di ogni altro condizionò e influenzò l'attività poetica del Cinquecento fu la corte, in particolare quella di Henry VIII e Elisabetta I, dal momento che la sorte dei poeti cortigiani e della poesia era legata al monarca. Importante a questo proposito fu l'opera di un grande poeta come Sir Walter Raleigh, favorito per un certo periodo di Elisabetta I. Dal Canzoniere di Petrarca, i poeti inglesi trassero in particolare la dimensione della sospensione esistenziale del poeta italiano, il suo descriversi come intimamente diviso tra gioia e disperazione, tra speranza e disillusione; ne trascurarono però il lato più spirituale e religioso. La voga dei canzonieri di stampo petrarchesco fu iniziata dalla pubbliczione nel 1591 di Astrophel and Stella di Sir Philip Sidney; ad esso seguirono altri numerosi canzonieri, o sonnet sequences. Il culmine di questo percorso di allontanamento dallo spirito di Petrarca sarà raggiunto con i Sonnets di Shakespeare (1609) in cui l'io poetico non è semplicemente sospeso tra la speranza di ottenere l'amore della donna amata e la coscienza disperata di non poterla mai raggiungere, ma è diviso tra due amori, per un “fair youth” e una “dark lady”: all'amore per una donna, che è lo specchio rovesciato di Laura, si aggiunge l'amore per un ragazzo, in un ambito terreno che si fa prigione. La regina Elisabetta fu cantata con svariati nomi: Gloriana, Belphoebe, Astrea, Diana, Cinzia. La poesia inglese si pone come obbiettivo il riordinamento del caos, l'unione della frammentarietà, la sospensione del passare del tempo attraverso lo strumento della retorica, intesa come mezzo razionale che dà ordine al pensiero, alla forma letteraria e al mondo. I poeti prediligono forme fisse e chiuse, per ingabbiare e fissare l'esperienza del sensibile: a questo poposito è emblematico il canzoniere di Edmund Spenser, composto dalla sequenza di sonetti Amoretti e dal poemetto “Epitalamio”. POESIA E POETICA Per Sidney la poesia è superiore alla filosofia e alla storia, in quanto essa supera il dato particolare per giungere all'universale; e il poeta, quale saggio, profeta e creatore, può dare vita a mondi ideali, i quali si pongono come modello da imitare; sopo della poesia è ordinare e insegnare, trasmettere la conoscenza di quest'ordine che il poeta, primo fra tutti, ha saputo cogliere e al quale ha “dato forma” (al pensiero e alla riflessione deve seguire però anche l'azione, concetto molto caro all'Inghilterra protestante). Tuttavia, l'utopia poetica che vince il tempo e il sogno di un'armonia cosmica devono scontrarsi con la realtà del mondo sensibile: il mondo è allora raffigurato come un teatro dove l'uomo è un semplice attore, la vita è rappresentata come un palcoscenico dove commedia e tragedia si alternano. La più grande opera del secolo è The Faerie Queene di Spenser, un'opera immensa che è poema cavalleresco come l'Orlando Furioso, poema epico-nazionale come l'Eneide, poema eroico-religioso come la Gerusalemme Liberata: con essa Spenser ha voluto dare all'Inghilterra quel poema epico che ancora mancava, quello che doveva celebrare la dinastia Tudor nella figura di Elisabetta I e la nuova religione anglicana. Nel corso del Cinquecento fece la sua comparsa in modo meno sporadico che in passato la scrittura femminile: Mary Sidney diffuse i propri componimenti poetici nel circolo chiuso della nobiltà; Isabella Whitney compì l'atto rivoluzionario di una donna che, invece di occuparsi della casa, prende in mano la penna e scrive, a questa rivoluzione però fa da contraltare il tono moralizzatore dei suoi versi, la volontà di insegnare alle sorelle il retto comportamento femminile, rivelandosi garante dell'ordine costituito. LA TRADUZIONE E LA LINGUA LETTERARIA INTRODUZIONE I traduttori elisabettiani contribuirono in prima persona allo sviluppo e all'arricchimento della propria lingua mediante le lingue straniere con cui erano necessariamente a contatto UN SECOLO DI TRADUZIONI Il Cinquecento è contrassegnato da un'intensa attività traduttiva in lingua volgare; la traduzione trasportò dal passato al presente opere di ogni genere. In ambito elisabettiano, vi furono alcune traduzioni significative per l'impatto sulla lingua, la cultura e la letteratura di opere passate e coeve, come le Metamorfosi di Ovidio per mano di Arthur Golding o i Saggi di Montaigne tradotti da John Florio. “TRANSLATION […] IS LEARNING IT SELF”: LA TRADUZIONE COME MEZZO DI CONOSCENZA Questa frenetica attività traduttiva era alimentata dalla forte istanza divulgatrice dei traduttori e degli stampatori, supportata dai bassi cossi della stampa che rendevano il libro un prodotto largamente accessibile anche a chi non era in grado di capire le lingue straniere sia classiche che moderne. Questa istanza divulgatrice incontrava il desiderio di alfabetismo di un pubblico sempre crescente di lettori che volevano accostarsi direttamente sia ai testi religiosi che laici. Il volgare era sempre d'obbligo: nel primo caso perchè evitava l'intermediazione degli uomini di chiesa, nel secondo caso perchè era più facile autoistruirsi in una società moderna in cui era sentita la necessità di consultare manuali di ogni genere e di conoscere sia il mondo dell'antichità attraverso i classici sia il mondo circostante con la lettura di opere contemporanee di paesi più culturalmente avanzati. L'intento didattico e utilitario dei traduttori e degli stampatori veniva spesso dichiarato da loro. L'istanza democratizzatrice che spingeva a tradurre dagli antichi ai moderni era accompagnata dalla difesa della traduzione intesa sia come mezzo per accedere al sapere sia come mezzo di arricchimento della parola. VERSO UNA LINGUA ELOQUENTE Il problema dell'arricchimento del volgare vide schierate tra scuole di pensiero (Neologizers, Purists e Archaizers), ma alla fine il processo di arricchimento prevalse e i risultati non si fecero attendere, perchè già verso l'ultimo quarto di secolo la lingua non era più considerata “barbara” ma “eloquente”. IL SEICENTO INTRODUZIONE Data la complessità di un secolo caratterizzato da profondi cambiamenti è opportuno operare una distinzione fra la prima e la seconda parte del Seicento. 1603-1660 Alla morte di Elizabeth I salì al trono James I che riunì i regni di Scozia, Irlanda e Inghilterra. Il figlio di Mary Stuart, l'odiata cugina di Elizabeth, ereditò una situazione complessa a causa della irrisolta questione religiosa che divideva il paese fra anglicani, cattolici e puritani; il sovrano, accolto con diffidenza dalla maggior parte della popolazione, peggiorò la situazione ribadendo con forza nei suoi scritti e nei discorsi al Parlamento il diritto divino del re. I frequenti contrasti fra il re e il Parlamento continuarono, e peggiorarono, con il suo successore Charles I sfociando infine in una guerra civile che vide la maggior parte della ricca borghesia cittadina e i proprietari terrieri schierarsi contro il re, sostenuto dall'aristocrazia e dall'alto clero anglicano. L'esercito parlamentare sconfisse le forze fedeli al re e nel 1649 il re fu giustiziato e la sua famiglia fuggì in esilio in Francia. Venne instaurata una repubblica (Commonwealth) e Cromwell fu nominato Lord Protettore nel 1653. Alla sua morte, nel 1658, gli successe il figlio Richard, che non possedeva nessuna delle qualità di leader del padre e che dopo solo un anno fu costretto ad abdicare. Al caos che seguì, l'unica soluzione parve quella di richiamare il figlio del re in esilio, Charles II, e di restaurare la monarchia: era il 1660. Sia sotto James I che sotto il suo successore la corte era un luogo importante di attività letterarie e numerose erano le rappresentazioni teatrali: Shakespeare era ancora in attività nei primi anni del secolo e all'apice della fama. Soprattutto celebri a corte erano gli spettacoli masques, nei quali spesso recitavano e danzavano anche membri della corte e della famiglia reale. Ancor più sofisticati divennero questi intrattenimenti durante il regno di Charles I e della regina Henrietta Maria, la quale portò dalla Francia un gusto raffinato che trovò espressione in ogni manifestazione artistica e in un generoso mecenatismo. 1660-1700 La restaurazione della monarchia e il ritorno di Charles II Stuart diede nuova speranza a una nazione esausta e lacerata da venti anni di guerra civile; la corte e la chiesa anglicana riconquistarono tutti gli onori e i puritani furono perseguitati e sottoposti a dure sanzioni. Anche i cattolici furono emarginati ed esclusi per la maggior parte dalla vita pubblica. Tuttavia i problemi che avevano diviso Charles I e il Parlamento non furono risolti: il nuovo re aveva promesso di governare tramite il Parlamento, ma ciò che fece in realtà fu consolidare la propria autorità evitando di confrontarsi con il Parlamento, nascondenti inoltre le proprie simpatie per la chiesa cattolica. La crisi si palesò allorché il re sciolse il Parlamento; il paese si divise in due, in due nuovi partiti politici: i Tories sostenevano il re in quanto garante della stabilità sociale e politica, erano conservatori e avevano l'appoggio del clero anglicano e dei proprietari terrieri; i Whigs erano più aperti alla tolleranza religiosa e sostenevano il commercio, raccogliendo nelle proprie fila esponenti di classi diverse: nobili gelosi del potere sempre più forte della corona, mercanti e finanzieri della capitale, un certo numero di vescovi e sacerdoti e i puritani dissenzienti. Una cosa soltanto univa i due partiti: entrambi non potevano accettare che alla morte di Charles II governasse il fratello James II, convinto cattolico, il quale, non appena salito al trono nel 1685, si arrogò il diritto di promulgare le leggi senza consultare il Parlamento e cominciò a far entrare i cattolici nell'esercito e nel governo. Quando la nascita di un erede maschio al trono rese concreta la prospettiva che una dinastia cattolica si consolidasse in Inghilterra, iniziarono negoziati segreti fra Parlamento e William d'Orange, campione del protestantesimo sul continente e marito di Mary, una delle figlie di James II. William sbarcò con un piccolo esercito e si diresse verso Londra, mentre James fuggiva in Francia in esilio: la “Glorious Revolution”, conclusasi senza spargimento di sangue, portò alla stesura del Bill of Rights del 1689, scritta dal Parlamento e sottoscritta dal nuovo sovrano, un documento che limitava i poteri della corona, riaffermava la supremazia del Parlamento e garantiva alcuni fondamentali diritti del cittadino. Accanto ai cambiamenti politici della seconda parte del secolo, altrettanto importanti furono i mutamenti e le nuove aperture in campo letterario. La seconda parte del '600 è detta anche “età Augustea” o “neoclassica”, con esplicito richiamo al regno di Cesare Augusto seguito all'assassinio di Giulio Cesare: periodo della storia romana che godette di notevole stabilità politica e vide un nuovo fiorire delle arti e della letteratura. Così in Inghilterra, dopo gli anni caotici della guerra civile, si apriva un periodo di stabilità e di prosperità economica. Lo scetticismo e la sempre maggiore esigenza della libertà di pensiero ebbero un risvolto positivo in quanto incoraggiarono la nuova scienza a sfidare con sempre maggior convinzione le conoscenze e le certezze legate al passato. Specie l'ultimo scorcio del secolo rivela caratteristiche sempre più marcate, che si rafforzeranno nel secolo seguente: l'epoca ha una forte impronta razionale, come dimostra il grande sviluppo delle scienze naturali, dell'astronomia e la diffusione del metodo scientifico. Sia il termine “augusteo” sia il termine “neoclassico” indicano l'aspirazione all'eleganza formale dei classici, alla misura e al decoro. La poesia rifugge dall'effusione sentimentale e è elegante esercizio intellettuale molto vicino alla prosa; del resto è la prosa a dominare l'epoca, specie negli ultimi decenni, che vedono la nascita del giornalismo, del romanzo e della saggistica. IL TEATRO DEL PRIMO SEICENTO GUERRE FRA TEATRI Il teatro del primo Seicento si rivolge a considerare con matura sicurezza artistica lo stesso contesto londinese dove si svolge, che diviene pertanto fonte di osservazioni comiche. Dopo avere sostanzialmente superato la guerra contro i puritani e altri nemici del teatro, ora il teatro elisabettiano è libero di guerreggiare al suo interno. Al di là delle dispute poetiche e personali, la guerra è segno di molteplicità: sono aumentate le sedi e le scene possibili, grazie ai teatri nella city. Non meno importante, ovviamente, la corte, dove si sviluppa il genere raffinato del masque, un insieme di balli, musiche, scenografie e poesia in cui eccelle l'opera di Ben Jonson. Un altro elemento che contribuisce alla moltiplicazione è la collaborazione fra autori. Molte opere presentano un doppio intreccio spesso affidato a due o più autori separati, al punto che talvolta diventa difficile non solo riconoscere chi sia responsabile delle varie parti, ma addirittura a chi vada prevalentemente attribuita l'opera. TEATRI PRIVATI Accanto ai teatri pubblici già esistenti, fra cui il Globe (andato a fuoco nel 1616 e poi ricostruito), compaiono i teatri “privati”. In luogo del dissolto convento dei dominicani (black friars), già nel 1576 sorgeva una sala destinata agli spettacoli; nel 1596 venne fatto costruire un secondo teatro da Burbage. Nel 1608 il teatro venne acquistato dai King's Men, che così potevano alternare le rappresentazioni fra il Blackfriars (al chiuso) e il Globe (all'aria aperta). Sempre nella city venne creato nel 1616 il Cockpit (ricostruito col nuovo nome di The Phoenix nel 1617, in seguito ai danni provocati da una sommossa degli apprendisti). Si è voluto vedere un'autentica contrapposizione fra teatri pubblici e privati. E' vero che i secondi, oltre a godere di una sorta di illuminazione artificiale con candele che permettevano un maggiore realismo nella creazione di oscurità sul palco, disponevano di maggiore e confortevole spazio per il pubblico, di norma proveniente da ceti più elevati rispetto ai frequentatori del Globe: i prezzi di conseguenza erano più alti; i gentiluomini potevano, pagando, sedersi sul palco stesso. TRE FILONI PRINCIPALI In questo periodo di esuberanza è possibile rintracciare tre tendenze fondamentali, tre raggruppamenti possibili di mode teatrali. Una prima fase, che per lo più riguarda il periodo che va dell'inizio Seicento fino al 1616 (anno della morte di Shakespeare), presenta un'aggregazione dei generi tragico e comico, segnata dalla sperimentazione nella tragedia e dalla creazione di una commedia domestica. A questo gruppo si accompagna una seconda fase di maturità, che parte sempre agli inizi del secolo e si estende grosso modo fino all'avvento al trono di Charles I (1625). nel periodo che giunge fino alla chiusura dei teatri (1642) segue una terza fase di proliferazione (espansione) dei generi. La triplice scansione ricorda in fondo quell'alternarsi di drammaturghi principali all'interno della compagnia dei King's Men: Shakespeare fino al 1614, John Fletcher dal 1616, e Philip Massinger negli anni Trenta. L'AGGREGAZIONE PER GENERI La tragedia Nel primo gruppo di opere la consueta esuberanza di forme del teatro elisabettiano si deposita nella creazione di generi teatrali domestici. Si segnala la predominanza della tragedia, tradizionalmente ritenuta la forma più alta. Sono di questo periodo le tragedie di Jonson basate su un'attenta traduzione e selezione delle fonti classiche. Ma è soprattutto la tragedia domestica ad avere successo, e domestica già nel senso stretto e familiare del termine. E' William Congreve. Se a livello tematico il declino della componente eroica comportò l'affermazione dell'elemento patetico e sentimentale, a livello formale va rilevata la diffusione di scene di forte impatto emotivo il cui scopo principale era quello di provocare una reazione affettiva nel pubblico, mosso a compassione e pertanto istruito, secondo la teoria aristotelica della catarsi, proprio attraverso l'impatto emozionale dell'evento rappresentato. Questi drammi vennero ribattezzati she-tragedies proprio in rispetto della centralità assunta dall'elemento femminile. Ne rappresenta un esempio The Rival Queens di Lee. Il dramma patetico e la tragedia al femminile tipici del secondo Seicento testimoniano come la focalizzazione sulla dimensione privata implichi una profonda mutazione culturale, resa evidente attraverso la maggiore corrispondenza tra l'opera teatrale e la realtà che questa imita. Spostandosi dunque verso il secolo successivo la tragedia abbandona le sfere della ragion di stato e inizia a privilegiare un'ambientazione realistica e domestica. I personaggi vengono adesso scelti non tanto in virtù della loro statura sociale o politica quanto per quella morale. Questi nuovi canoni implicano infine un profondo mutamento nella relazione tra contenuto e forma che venne ad investire anche il linguaggio tragico, mentre si preannunciava la centralità dell'individuo medio. La commedia Al polo opposto troviamo la commedia, genere caratterizzato da ambientazioni, eventi, personaggi, e linguaggio realistici, facilmente riconoscibili e dunque pienamente condivisi da parte del pubblico. Questa commistione inscindibile tra spettatori e spettacolo, con il conseguente azzeramento dello scarto tra gli eventi che si svolgevano sulla scena e quelli che avevano luogo nella vita vera, evidenzia la dimensione sociale della produzione leggera della Restaurazione, nota anche con i nomi di “satira sociale” o “commedia di costume”. Se luoghi e avvenimenti realistici conferiscono infatti alle commedie di costume un'impronta strettamente legata alla quotidianità urbana, da un punto di vista linguistico i dialoghi adottano a modello quella conversazione basata sul witticism – la battuta di spirito, talvolta accompagnata da un doppio senso a carattere sessuale – che caratterizzava la vita della corte Stuart, con le sue convenzioni di comportamento, i suoi rituali mondani e le sue regole di divertimento. Evidente è l'influenza del teatro francese, soprattutto per tramite del grande modello offerto dall'opera di Molière, i cui personaggi dimostrano un disincanto che torna anche nelle commedie inglesi. DAL TEATRO AL ROMANZO La tradizione drammatica della Restaurazione si rivelò un inesauribile serbatoio tematico e formale per la storia della letteratura inglese nel suo complesso. Al di là dell'influsso profondo che essa esercitò sulla letteratura drammatica del secolo successivo è infatti proprio dalla trasposizione sulle pagine di commedie di costume e drammi barocchi e, soprattutto, dal riadattamento narrativo a cui questi furono sottoposti che ebbe origine la grande tradizione del romanzo inglese settecentesco. L'ambientazione e l'uso di personaggi e situazioni realistici in cui il pubblico poteva riconoscersi e immedesimarsi furono fondamentali. Dalla tragedia barocca, e in particolare dal sottogenere del dramma patetico e della she-tragedy, si adottò invece l'interesse per le trame incentrate sulle vicende private dell'individuo, in particolare di personaggi femminili. Un altro contributo del dramma seicentesco allo sviluppo del romanzo fu dato dall'anatomia delle passioni, descritte attraverso quel repertorio scientifico di segni del corpo, gesti e toni della voce che solo pochi anni prima aveva trovato origine nella precettistica (= insieme di regole e convenzioni proprie di una disciplina) teatrale e sulle tavole dei palcoscenici londinesi. IL TEATRO MUSICALE E L'OPERA Se è evidente pensare immediatamente alla produzione del teatro del secondo Seicento in termini di tragedia e commedia, meno spontaneo viene invece rammentare le numerose produzioni musicali di un'epoca in cui fu proprio il riadattamento in chiave operistica de The Tempest di William Shakespeare a rappresentare il successo più clamoroso e duraturo. Frutto della collaborazione congiunta di John Dryden e William Davenant, rappresenta una testimonianza concreta della versatilità che contraddistingue la produzione degli autori della Restaurazione, i quali, tra l'altro, privilegiavano spesso forme di composizione congiunta, in collaborazione. Nel periodo della Restaurazione l'edificio teatrale era stato immaginato come adatto all'allestimento di due tipologie distinte di spettacoli, quelli drammatici e quelli musicali, ciascuno dei quali con specifiche necessità di messinscena. Le “semi-opere” della Restaurazione rispecchiano perfettamente questa versatilità di ambientazione, coniugando le scene di musica e canzoni a quelle di dialogo tradizionale. Nei palcoscenici europei, specialmente in quelli italiani, si erano sviluppati macchinari teatrali dediti ad aumentare l'impatto illusionistico. Ciò venne ripreso anche in Inghilterra, con le machine plays, le quali vennero usati in queste rappresentazioni di alternanza tra dialogo e musica. LA PROSA DEL SEICENTO La produzione in prosa del Seicento rispecchia la complessità dell'epoca. Fioriscono scritti su argomenti religiosi, filosofici, politici, scientifici e letterari, a cui vanno aggiunti traduzioni, diari, biografie, epistolari e narrazioni in prosa nei quali si ravvisa un preludio di nuovi generi letterari come il romanzo e il giornalismo, che fioriscono all'inizio del secolo seguente. LA SCRITTURA REGALE Poiché il Seicento inizia praticamente con l'ascesa al trono di James I Stuart (1603), prendiamo le mosse dalle opere scritte dal sovrano a ridosso del nuovo secolo. Uomo di notevole cultura, porta avanti una visione estremamente conservatrice e ribadisce il diritto divino dei re. Di particolare interesse l'opera Daemonology, pubblicata nel 1597 e ristampata più volte nel corso del Seicento, un trattato che si offre al lettore di oggi come testimonianza di quel clima persecutorio contro presunte pratiche magiche, perlopiù attribuite alle donne. Nell'Europa di James I la stregoneria costituiva un problema estremamente serio: denunce, processi e torture erano all'ordine del giorno. La posizione del sovrano a tale riguardo è molto chiara: nella prefazione al lettore egli afferma che il suo scopo è convincere anche i più scettici dell'effettiva esistenza di maghi e streghe e della necessità di punirli in quanto strumenti di Satana. EMPIRISMO E SPERIMENTALISMO Fra gli scritti di carattere filosofico-scientifico ricordiamo innanzi tutto le opere di Francis Bacon, dove vengono poste le fondamenta della nuova scienza, ossia di un metodo empirico; un metodo che deve fondarsi sullo studio del particolare per giungere ad una verità di carattere universale. Nell'epoca precedente la verità aveva una sola dimensione: quella metafisica, vista attraverso la lente della fede; la realtà fisica era sentita come fallace e illusoria. Questa è la grande originalità del filosofo inglese: egli sostiene il diritto dell'uomo a considerare la natura come governata da leggi proprie, che l'uomo ha diritto di studiare in quanto creatura prediletta di Dio. Bacon respinge anche l'idea sostenuta dagli uomini del Medioevo secondo i quali coloro che indagano troppo la realtà fisica dell'universo possono essere indotti all'ateismo, infatti la conoscenza ha come fine ultimo quello di elevare la condizione umana. Un empirismo e uno sperimentalismo di stampo baconiano è rintracciabile anche nelle opere di Thomas Browne, assieme ad un sentimento religioso che manca completamente in Bacon. L'opera che offre un'articolata testimonianza della coesistenza in questo secolo fra l'interesse per le nuove scoperte scientifiche e l'autoritarismo tutto rivolto alla difesa e alla conservazione delle dottrine legate al passato, è il trattato di Robert Burton The Anatomy of Melancholy, pubblicato nel 1621. E' un trattato di medicina e di psicologia fondato sulla teoria degli umori che governano il carattere degli uomini – sanguigno, collerico, flemmatico e malinconico – strettamente legati ai quattro elementi di cui si compone l'universo – fuoco, aria, acqua e terra. Se un umore prevarica sugli altri, l'equilibrio della persona viene compromesso e può condurre alla malattia del corpo come a quella dello spirito. Fra i filosofi-scienziati occorre annoverare anche Thomas Hobbes, il cui pensiero, materialista ed empirico, si fonda sulla teoria del movimento. Un riflesso della sua visione materialistica si trova anche nel Leviathan del 1651, dove Hobbes traccia un quadro spietato della società umana sintetizzato nel concetto dell'”homo homini lupus”, per cui l'idea dello stato che viene proposta è legata sostanzialmente alla necessità di difendere l'uomo da se stesso, dalla violenza e dalle guerre che questi scatena. Nello stato “ideale” descritto dal filosofo, dunque, gli uomini hanno stipulato un patto reciproco con il quale ognuno rinuncia a soddisfare le proprie inclinazioni naturali che lo condurrebbero a fare ciò che più gli aggrada, e un gruppo di individui, o uno solo, è chiamato a far rispettare quel contratto. Hobbes non esercitò un ruolo decisivo nello sviluppo del pensiero politico inglese: Locke sarebbe stato il grande filosofo. Il pensiero di Locke anticipa quelle che saranno le idee fondanti dell'Illuminismo. Nelle sue opere espone le sue teorie sulla conoscenza, non più basata sulle idee innate, ma sull'esperienza e sul dato sensoriale. Egli teorizza uno stato non basato sul diritto divino, ma su un contratto fra popolo e l'autorità, il cui mandato, in caso di inadempienza, può essere revocato: un principio che avrà conseguenze importantissime per la nazione inglese; Locke è infatti considerato il padre del moderno pensiero liberale. SCIENZA E DONNA: IL CASO DI MARGARET CAVENDISH Fra gli scritti di carattere filosofico-scientifico non vanno dimenticati quelli di Margaret Cavendish, duchessa di Newcastle. La Cavendish aveva seguito la regina Henrietta Maria in Francia dopo l'assassinio del re Charles I, e fu durante l'esilio francese che ella conobbe non soltanto il futuro marito, l'allora marchese di Newcastle, ma anche il filosofo Hobbes, la cui influenza sugli scritti della duchessa è palese. Gli interessi intellettuali di Margaret, una delle primissime voci femminili nella cultura e nella letteratura inglese, erano davvero insoliti a quei tempi; ma la decisione più rivoluzionaria, e che più fece scandalo, fu quella di pubblicare sotto il proprio nome, grazie al denaro e alla posizione del duca, tutte le sue numerose opere. Ma la duchessa detiene altri primati ancora: fu infatti la prima donna ad essere invitata dalla Royal Society ad assistere ad alcuni esperimenti scientifici in un'epoca in cui alle dame dell'aristocrazia, le più privilegiate, era proibito frequentare le grammar schools e le università. Insofferente alle limitazioni imposte al proprio sesso, Margaret, in questo senso, anticipatrice delle future rivendicazioni femministe, difese con passione il diritto della donna alla parità culturale con l'uomo in una lettera che apparve nella prima edizione delle sue Philosophical and Physical Opinions (1655), indirizzata alle università di Oxford e Cambridge, dove appunto era vietato l'accesso alle donne. SCIENZA, UTOPIA E ALTRI MONDI: LA LETTERATURA LUNARE Il grande interesse degli intellettuali per le nuove straordinarie scoperte scientifiche, specie, ma non soltanto, in campo astronomico, infiammarono dunque l'immaginario di scienziati e scrittori dando vita a scritti in cui scienza e fantasia sono strettamente intrecciati. In alcune opere del periodo già si possono individuare alcuni temi che verranno sviluppati nelle future utopie fantascientifiche che tanto successo avranno nei secoli a venire, senza dimenticare, naturalmente, che il creatore della letteratura utopica inglese è da considerarsi Thomas More, autore della famosa Utopia. Nella prima parte del Seicento possiamo inserire nel filone utopico-scientifico innanzi tutto uno scritto di Francis Bacon, New Atlantis, pubblicato postumo nel 1627. E' probabile che l'idea dell'isola di Bensalem gli fosse venuta leggendo la più famosa utopia rinascimentale, come l'opera di More. L'isola, infatti, si conferma come il topos privilegiato dei racconti utopici. Ma mentre in More il motivo ispiratore è soprattutto morale e sociale, nella New Atlantis il tema centrale è quello del potere che deriva all'uomo dalla scienza fondata sullo studio della natura. L'Accademia scientifica di Salomone, che regge praticamente la vita dell'isola di Bensalem fu creata dal mitico re Salomone con lo scopo di conoscere le cause e i moti segreti delle cose. Gli esperimenti che in essa si conducono stupiscono per il loro valore profetico: si parla di silos per conservare gli alimenti, dello sfruttamento dell'energia eolica, di camere “della salute” che rammentano le moderne camere iperbariche, di apparecchi ottici e acustici, di esperimenti per costruire macchine per volare e per andare sott'acqua: sia accenna persino alla fabbricazione di una sorta di robot. Una delle testimonianze più convincenti dello straordinario interesse suscitato nell'immaginario secentesco dall'invenzione del telescopio e dai nuovi mondi da questo svelati è il successo ottenuto dal romance fantascientifico del vescovo Francis Godwin, The Man in the Moone (1638). The Man in the Moone è un testo fortemente influenzato dalle scoperte astronomiche del tempo. L'opera di Godwin fornisce un esempio chiarissimo di quell'intreccio fra scienza e immaginazione, rigore razionale ed evasione fiabesca, che caratterizza non pochi scritti del secolo. In tale clima culturale acquistò nuovo vigore la letteratura lunare, che si inserisce nel più vasto ambito della letteratura di viaggi interplanetari; anche uno scienziato come Keplero volle cimentarsi in questo genere letterario. Nel Somnium, che egli scrisse nel 1634, i dati scientifici si affiancano a descrizioni assolutamente fantastiche, come quando l'autore postula l'ipotesi che l'astro lunare sia popolato da forme di vita serpentine. Punto chiave dell'opera di Godwin e degli altri scritti sul medesimo argomento, è il viaggio nello spazio verso la luna per mezzo di uccelli o di altri animali alati o con l'aiuto di alti artificiali. Inoltre la credenza nell'abitabilità della luna, condivisa dai filosofi antichi, da Eraclito a Democrito, ricevette dunque nuova attenzione nel Seicento e divenne terreno di discussione fra gli studiosi. Nella seconda metà del secolo, all'entusiasmo suscitato dalla nuova scienza astronomica si sostituisce gradualmente un atteggiamento critico che dà vita ad opere anticipatrici delle grandi satire settecentesche. L'intento parodico nei confronti della scienza e delle varie teorie fiorite attorno all'astro lunare si esprime nel poema burlesco di Samuel Butler Hudibras, dove l'autore irride sia la scienza che gli scienziati, rappresentati da un mago imbroglione. The Blazing World di Margaret Cavendish è un'opera difficilmente catalogabile, in quanto caratterizzata da uno spiccato ibridismo formale; essa può essere letta infatti come un racconto di un viaggio o di fantascienza, come una fiaba oppure satira, o anche un'autobiografia, in quanto condivide aspetti di tutti questi generi insieme. Il testo della Cavendish narra di una bella e ricca fanciulla che dopo varie disavventure giunge in uno strano mondo parallelo al nostro. Le fanno da guida i suoi straordinari abitanti, metà uomini e metà animali, che la conducono fino alla capitale, Paradise, dove sorge il fiabesco palazzo dell'imperatore. Questi, colpito dalla bellezza della giovane, ne fa la suo sposa, concedendole il potere. Nonostante i rimandi alla mitologia e alla tradizione favolistica, la funzione delle strane creature che popolano il mondo della Cavendish non è unicamente o principalmente quella di suscitare stupore e meraviglia. Nate dall'unione fra uomo e animale, ossia fra ragione e istinto, esse si pongono come metafore dell'ansia di ricerca di un'intera epoca. Il compito fondamentale degli scienziati-bestia è infatti quello di esplorare la natura per ampliare le conoscenze della loro imperatrice e per soddisfarne l'insaziabile curiosità, ognuno secondo le attitudini della propria specie: gli uomini-pesce studieranno le profondità dell'oceano, gli uomini-uccello l'atmosfera, gli uomini-verme le viscere della terra, e così via. Nei colloqui fra l'imperatrice e i suoi scienziati vengono esposte e discusse le più recenti scoperte della nuova scienza. Fra tutti glia argomenti trattati in questi lunghi colloqui il più esteso è quello dedicato a telescopi, microscopi e a tutte le meraviglie dell'epoca. Vengono descritte le meravigliose proprietà del microscopio: un congegno prodigioso che svela all'imperatrice ciò che a lei sembrano orribili mostri. Il grande interesse suscitato dagli strumenti ottici percorre molta letteratura del Seicento e del primo Settecento: ne è un esempio famoso il capolavoro di Jonathan Swift, Gulliver's Travels (1726), il quale non fa altro che utilizzare i medesimi strumenti ottici di cui con tanta meraviglia parla la Cavendish: tramite le proprietà delle lenti poste al servizio dell'immaginazione e della satira, il mondo viene capovolto, ogni suo codice alterato e sconvolto, i suoi vizi ingigantiti; l'opera di Swift offre l'esempio più celebre di come il rovesciamento delle misure possa farsi strumento di satira e di denuncia delle umane follie. IL ROMANZO A partire dalla seconda metà del secolo iniziano ad apparire opere in prosa che preludono a generi il cui completo sviluppo sarà evidente nei primi decenni del '700: il saggio giornalistico e il romanzo. Fra i non pochi infatti il cantore di un edonismo lieve. DALL'ETA' CAROLINA ALL'ETA' DELLA RIVOLUZIONE (1640-1660): “POETI CAVALIERI” E “POETI RELIGIOSI” Negli anni '40, primo decennio dell'età della Rivoluzione (1640-1660) si assiste a un fenomeno di una certa rilevanza: numerosi poeti passano dalla pratica della circolazione manoscritta, ancora la più diffusa per la produzione lirica, alla pubblicazione dei loro versi. A spiegazione della scelta di dare alle stampe testi già circolati nel decennio precedente fra gruppi ristretti di lettori, si è ipotizzato il disperdersi di queste stesse élites di lettori e poeti dovuto ai dissesti della guerra civile; ma ancor di più deve avere influito l'intenzione di alimentare nel grande pubblico il sentimento monarchico e anglicano con la divulgazione di scritti di autori legati alla corte. A questo dato politico-sociale, si interseca l'appellativo di Cavaliers: denominazione che, inizialmente, si applicò a quanti, fra i gentiluomini di corte, spinsero il loro lealismo fino a difendere con le armi la causa della monarchia e che, in ambito letterario, è stata poi genericamente applicata ai poeti di parte monarchica. Ben Jonson è descritto come il "padre" dei poeti cavalieri: molti di loro si autodefinirono suoi "figli" o "discepoli". Appartennero a questo gruppo poeti come Robert Herrick, Richard Lovelace, Thomas Carew e John Suckling. Su questi lirici influì molto anche la poesia secolare di Donne. Preminente nella loro produzione, grosso modo riconducibile agli anni '30, è infatti il tema dell'amore per lo più accostato con mondano disinganno: si passa così dalla frivolezza artificiosa al franco erotismo, non di rado ostentando un materialismo cinico e disilluso che tutto riduce a gioco dissacratorio e puro passatempo. L'edonismo disinibito che per Carew e Suckling non fu soltanto posa letteraria, ma stile di vita trasgressivo, trova un correttivo (una modifica) severo nel ventennio rivoluzionario. A testimoniarlo Richard Lovelace, il più giovane dei tre cavalier poets e il solo ad assistere alla caduta della monarchia. Significative appaiono le più tarde poesie di Lovelace in cui la gaia dissipazione dell'estate carolina cede il passo a note più gravi. Nelle liriche di Lovelace che risalgono agli anni '40 ritrovano infatti valore i sentimenti dell'amicizia, dell'onore e dell'amore. Alla ricerca di un “altrove” di quanto la Rivoluzione puritana ha cancellato può essere ricondotta anche l'opera maggiore di Henry Vaughan, Silex Scintillans (1650), raccolta di poesie religiose scritte dal 1647 in poi. Vaughan abbandona l'attivismo politico e fa ritorno nel nativo Galles ove conosce la “Regeneration” che dà titolo alla poesia con cui si apre la raccolta del 1650. L'altro grande poeta religioso è Richard Crashaw. Abbandonata l'Inghilterra e la religione anglicana di cui era sacerdote, si convertì al cattolicesimo. La prima significativa raccolta di Crashaw, Steps to the Temple (1646, confluita nell'edizione ampliata e rivista del 1648 e, parzialmente, nell'ultima postuma raccolta Carmen Deo Nostro, 1652) richiama nel titolo l'opera di Herbert, ma è a modelli continentali, i poeti gesuiti del Cinque e Seicento, che Crashaw di fatto si ispira. Diversi sono anche i temi trattati, trattati con una religione che indica nei Santi – banditi dal protestantesimo – modelli di possibile eroismo spirituale. L'INTERREGNUM (1649-1660): ANDREW MARVELL E ABRAHAM COWLEY Il panorama poetico degli anni '50 – età di Cromwell in Inghilterra e dell'esilio, a Parigi, della sopravvissuta dinastia Stuart – può vedersi riepilogato dalle opere di due figure: il puritano e, sul piano poetico, al tempo pressoché sconosciuto Andrew Marvell, e l'acclamato poeta monarchico Abraham Cowley. La produzione in versi di Marvell, che sempre si mostrò reticente nel divulgare e, ancor più, nel riconoscere le sue composizioni, solo raramente e in forma anonima affidate alla stampa, è quantitativamente ridotta: a lui si devono infatti una cinquantina di liriche pubblicate in Miscellaneous Poems (1681) e varie satire. Oltre che personalità poetica di grande rilievo, Marvell fu un testimone privilegiato del suo tempo. Personalmente conobbe e frequentò i grandi eroi della Rivoluzione, come Cromwell, e su di essi si pronunciò in versi tutt'altro che propagandistici. A Cromwell, Marvell dedicò tre odi. Nella sua poesia la critica concorda nel vedere confluire le due linee di sviluppo della poesia primo-seicentesca, la metafisica e la classicista, portate a sintesi da una pratica poetica di ben più moderne sperimentazioni. Assai diverso il caso del contemporaneo Abraham Cowley, già autore negli anni '40 di The Mistress, raccolta di liriche amorose composte a Parigi presso la corte in esilio di Henrietta Maria. Anche nella poesia di Cowley, sia pure in forme più indirette, il tema politico ha un'indubbia rilevanza. JOHN MILTON (1608-1674) John Milton, grande paladino della Rivoluzione oltre che grande poeta, ha cinquant'anni quando pone mano alla composizione del Paradise Lost, riconosciuto come un capolavoro. Per la consacrazione del poema a classico della letteratura inglese occorre però attendere il Settecento, il secolo che assiste alla trasformazione di Milton, da attivista rivoluzionario in poeta ispirato e sublime. E' agevole identificare la matrice culturale di questo poema che, se molta influenza esercitò sullo sviluppo della poesia preromantica e romantica, appare innanzi tutto come il frutto maturo della lunga stagione umanistico-rinascimentale, i cui valori e ideali vengono qui assunti, integrati e superati. Contemporaneo dei poeti carolini, il giovane Milton poco infatti si rifece a Donne o a Jonson. Piuttosto, scelse a maestri Spenser e Shakespeare fra i poeti inglesi; Dante, Ariosto, Tasso fra i continentali, Omero, Virgilio, Ovidio e la Bibbia fra gli antichi. La produzione poetica miltoniana è scandita in due periodi separati fra loro da un intervallo di vent'anni – quelli della Rivoluzione – durante i quali Milton attese quasi esclusivamente alla composizione di scritti in prosa, intesi a commentare così come ad incidere sullo sviluppo degli eventi. Appartiene alla produzione giovanile, il volume Poems (1645) che comprende testi già di assoluto rilievo, oltre che diversamente anticipatori delle tematiche e tecniche della maturità. L'amore del sapere e la pratica della virtù sorretta dalla fede sono i principi-guida del severo itinerario che Milton volle seguire. Egli, dall'iniziale principio della separazione fra stato e chiesa anglicana, passa alla tolleranza per ogni confessione religiosa (tranne la cattolica) e alla scelta della repubblica come sola forma di governo. Pur se sconfitto, oltre che ormai completamente cieco, Milton prende infatti la parola nel Paradise Lost – composto fra 1658-1663 ca. e rivolto all'Inghilterra restaurata – per rappresentarsi in memorabili proemi come poeta ispirato e illuminato. Il poema raccorda l'intera storia biblica dalla Creazione al Giudizio Finale, ripercorrendola nel colloquio fra l'arcangelo Raffaele e Adamo. Paradise Lost presenta altresì personaggi straordinari, come Satana. Interpretazioni autorevoli e influenti vedono nel Paradise Lost una summa delle forme letterarie occidentali, riprese ma trasformate in senso cristiano e puritano. JOHN DRYDEN E L'ETA' DELLA RESTAURAZIONE (1660-1700) Il panorama poetico dell'età della Restaurazione è dominato dalla figura di John Dryden. L'equilibrio, il decoro, la disciplina artistica furono gli ideali che Dryden perseguì, realizzò e tramandò. Dryden non fu infatti soltanto un vero poeta: fu il teorico del nascente neoclassicismo, colui che, nelle tante prefazioni e dediche che accompagnano i sui lavori, disciplino il campo delle lettere. Dryden fu un appassionato lettore degli autori antichi e, in particolare, dei latini, ma non fu fautore di un classicismo nostalgico. Piuttosto, rivitalizzò la lezione dei classici, prendendoli a modello di quella correttezza e proprietà di linguaggio che sentiva indispensabili all'arte di un poeta moderno. Privilegiò il decasillabo a rima baciata e il distico eroico (tipico della tradizione inglese, l'heroic couplet) in cui racchiudeva una frase di senso compiuto. Gli anni '60 videro Dryden impegnato nella produzione di una poesia d'occasione densa di figure nobiliari, tesa a celebrare la restaurazione della monarchia e i mutamenti storici e culturali favoriti dal ritorno della legalità. Nonostante l'omaggio che, con Heroique Stanzas (1659), rese al defunto Cromwell, Dryden fu infatti profondamente devoto alla dinastia degli Stuart e, da poeta, intervenne ad interpretare la contemporaneità politica in funzione monarchica, tessendo abili paralleli fra essa e la storia sia pagana che biblica. Nominato “Poeta Laureato” nel 1668 ma, nel decennio successivo, dedito soprattutto al teatro, Dryden poco si occupò di poesia fino agli anni '80, periodo che vede l'esecuzione dei suoi capolavori, i componimenti satirici Absalom and Achitophel (1681), MacFlecknoe (1682) e la meno riuscita The Medal (1682). Qui lo stile aulico degli anni '60 viene impiegato per irridere e punire: in MacFlecknoe, i cattivi letterati; il conte di Shaftesbury e il partito dei Whigs da lui capeggiato in The Medal e Absalom and Achitophel. Interessante notare, circa quest'ultimo poema, l'influenza esercitata dal Paradise Lost. Tramite inconfondibili allusioni, Shaftesbury viene identificato col Satana miltoniano e l'opposizione politica pilotata dal conte per escludere dalla successione il legittimo erede al trono (il futuro James II), viene equiparata nientemeno che alla rivolta degli angeli ribelli. L'operazione è però raffinatamente ironica, a riprova della tesi che se ci fu attrazione verso l'antico, propria del neoclassicismo fu anche la consapevolezza della distanza fra la trascorsa età degli eroi e quella moderna. Il clima razionalistico, le non spente passioni e animosità politiche e il neoclassicismo letterario indirizzano la poesia della Restaurazione soprattutto verso la satira. Si serve del burlesco Samuel Butler che, con Hudibras, stravolge i codici del romanzo cavalleresco per attaccare l'etica puritana incarnata dall'ipocrita cavaliere presbiteriano (si intende appartenente a quella forma di organizzazione della chiesa cristiana che nasce soprattutto dalla riforma calvinista) Hudibras e dal suo scudiero. LA POESIA FEMMINILE IN INGHILTERRA TRA CINQUE E SEICENTO ESISTE UN RINASCIMENTO DELLA POESIA DELLE DONNE? Nel 1977, Joan Kelly poneva la domanda, divenuta poi celebre, “Did women have a Renaissance?”. Di fatto, le donne erano state più libere, avendo maggiori diritti sociali e maggiore controllo economico. Nell'Inghilterra del tardo Cinquecento e del Seicento, la poesia femminile ebbe una sua peculiare fioritura. Elizabeth I aveva ereditato dal padre un talento per la versificazione, e in diversi momenti della sua lunga e spesso travagliata esistenza compose molte poesie, in inglese, latino e francese. LA POESIA, LE TRADUZIONI E IL MECENATISMO FEMMINILE DI MARY SIDNEY HERBERT, CONTESSA DI PEMBROKE La poesia early modern si propagava tramite il sistema del mecenatismo, sviluppatosi prima alla corte della regina Elizabeth e poi nelle “corti minori” di campagna, ossia nelle “country houses” dell'aristocrazia: dove regnavano, al posto dei mariti assenti, le padrone di casa, contesse e duchesse, di solito persona coltissime, che incoraggiavano il formarsi di coteries intellettuali, dove la poesia fioriva e trovava sia lettori che critici competenti. La famiglia più importante, sotto questo aspetto, era quella dei Sidney-Herbert, proprietari delle due grandi case di Wilton e di Penshurst. Wilton apparteneva alla famiglia di Henry Herbert e di sua moglie Lady Mary Sidney Herbert, sorella del poeta cortigiano Sir Philip Sidney; e fu lei, Mary, negli anni Ottanta e Novanta del Cinquecento, la promotrice di un vero e proprio salon intellettuale, fondato anche su un protestantesimo convinto. In questa piccola corte venivano ospitati e incoraggiati molti scrittori. Dopo la prematura morte in battaglia di Philip Sidney nelle Fiandre, Mary prende su di sé l'incombenza di curare e completare le opere letterarie lasciate incompiute dall'amato fratello, iniziando la propria carriera di scrittrice dal progetto interrotto di tradurre e parafrasare i Salmi di Davide. Mary riuscirà nel suo intento. ISABELLA WHITNEY: UNA VOCE PICCOLO BORGHESE NELLA VITA QUOTIDIANA DI LONDRA Isabella Whitney nacque vero la metà del Cinquecento e morì presumibilmente dopo il 1580. Si sa poco delle sue origini; meno ancora sappiamo della sua vita. Proveniente forse da una famiglia piccolo borghese, finì al servizio di nobili. Nel 1567 pubblicò la raccolta di poesie The Copy of a Letter, seguito nel 1573 da una seconda raccolta, A Sweet Nosegay. Isabella Whitney non possiede né la ricchezza materiale, come tante sue consorelle artistiche provenienti dall'aristocrazia, né il loro bisogno di esprimere un punto di vista politico o religioso, e neppure il desiderio di rivaleggiare con un padre o con un fratello. E tuttavia, le sue motivazioni anticipano quelle delle scrittrici di oggi: soprattutto il divertimento del lettore, oltre che dello stesso poeta. L'opera per la quale Whitney è costantemente citata è la poesia “The Manner of her Will”, l'ultima della sua seconda raccolta A Sweet Nosegay. La poesia, di 340 versi, prende a pretesto la partenza da Londra dell'autrice allo scopo di sottoscrivere un testamento. E' così che la Whitney rielabora e combina due generi discorsivi tipicamente Tudor: da un lato il blasone (elenco particolareggiato del corpo femminile), dall'altro il testamento (sottogenere alquanto problematico per una voce poetica femminile, dato che le donne avevano pochissimi diritti di proprietà). Isabella Whitney adopera la forma del blasone per descrivere, similmente al corpo femminile, la mappatura urbana, il “cityscape” della Londra del Cinquecento. IL “CANZONIERE” DI LADY MARY WROTH: LO SGUARDO IN ALTO DI UNA DONNA NEL RINASCIMENTO Lady Mary Wroth fu la primogenita di Sir Robert Sidney, conte di Leicester e nipote di Sir Philip Sidney e di Mary Sidney Herbert, contessa di Pembroke: dunque connessa per legami familiari all'ambiente letterario aristocratico. Sposò Sir Robert Wroth e divenne una figura importante alla corte di James I. Dopo la morte del marito, Mary si trovò in gravi difficoltà economiche e si innamorerà un cugino. Mary Wroth è autrice del primo romanzo in prosa pubblicato da una donna in Inghilterra, The Countess of Montgomerie's Urania, che vide le stampe nel 1621: è dedicato a Susan de Vere Herbert,contessa di Montgomerie, cognata del cugino e amante di Mary. Il romanzo si chiude con un canzoniere di stampo petrarchesco che riprende la storia d'amore tra i due personaggi principali. Si tratta della prima sequenza di sonetti e canzoni d'amore scritta da una donna. IL ROMANTICISMO INTRODUZIONE Nel 1825, il critico e saggista William Hazlitt pubblica un volume di saggi dal titolo emblematico di The Spirit of the Age in cui cerca di cogliere i tratti essenziali del periodo che la sua nazione sta attraversando tramite una galleria di ritratti di figure rappresentative dei diversi campi culturali, dalla filosofia, alla poesia, alla politica. I saggi di Hazlitt rivelano chiaramente che gli scrittori del momento compreso a grandi linee tra la perdita delle colonie americane (1783) e l'ascesa al trono della regina Victoria (1837), sebbene non si definiscano mai romantici, hanno tuttavia una forte coscienza di appartenere a un'epoca distinta, ovvero a una fase di intensi cambiamenti e rivoluzioni in tutti i campi. E' più accurato definire il Romanticismo letterario della Gran Bretagna come un momento di intersezione tra diversi modi di scrittura, ovvero un “periodo romantico” in cui temi e stili nuovi si intrecciano in una convivenza vivace e feconda con gli elementi ancora vitali della storia nazionale recente, a partire dalla Restaurazione del 1660. fra gli eventi che segnano il periodo di rilevante importanza sono: gli effetti sempre più visibili della Rivoluzione industriale, la Rivoluzione francese, la guerra con la Francia, che culminerà solo nel 1815 con la sconfitta di Napoleone a Waterloo. Questa vittoria sancisce il primato della Gran Bretagna fra le potenze europee e inaugura l'Ottocento come il secolo del suo predominio a livello mondiale. A questi eventi si ricollegano poi la graduale espansione dell'impero coloniale in Asia e il rafforzamento dei possedimenti già sotto controllo britannico come il Canada, o l'esplorazione e la conquista di nuovi territori come l'Australia. Anche a livello letterario e culturale molte sono le linee di continuità con il Settecento. L'estetica neoclassica raccoglie ancora ampi consensi. Anche il romanzo del periodo romantico si innesta saldamente sul tronco del genere settecentesco. Infine, il medievalismo reso popolare da Walter Scott ha le sue radici nelle teorie storiografiche e nelle rivalutazioni storiche dell'Illuminismo scozzese. Si può dire, insomma, che l'eclettismo costituisce la marca distintiva del Romanticismo in Gran Bretagna, dove alle forma di continuità con il passato vengono ad aggiungersi elementi di profonda innovazione. A livello ideologico emerge una nuova concezione dell'identità individuale fondata su un sé autocosciente e autonomo, nonché un'idea complessa di identità nazionale. Iniziano inoltre a diffondersi ideologie e codici tipici delle classi medie. Nell'ambito della produzione culturale si ha l'ampliamento del mercato dei libri e del pubblico di lettori. In tragica metamorfosi del paesaggio campestre in fuligginosa realtà urbana. Merita menzionare la poetessa Anna Seward. La Seward, figlia del canonico anglicano della cattedrale di Lichfield, e da lui educata, conobbe nel circolo letterario animato dal padre importanti intellettuali. Anna Seward non si sposò mai, e pur scrivendo di nascosto per via della contrarietà del padre, si dedicò con cura alla propria vena creativa. La scrittura le fu dapprima rifugio e sollievo ai dispiaceri che la vita le riservò. Opere poetiche di successo furono “Elegy to Captain Cook”, 1780 – dedicata a James Cook – e Louisa a Poetical Novel in Four Epistles (1784), un romanzo epistolare in versi che adombra l'amore infelice dell'adorata sorella adottiva andata in sposa ad un uomo, pur amandone un altro. Louisa è un poema romantico per la vena malinconica che l'attraversa, per la passione espressa, per le rinunce alle quali la protagonista deve sottostare. Ella ha una corrispondenza con l'amica Emma e l'oggetto delle loro lettere è l'amore di Louisa per Eugenio, il quale sposerà per interesse un'altra donna. Il poema presenta due mondi distinti e contrapposti: quello rurale, domestico e tipicamente femminile, i cui valori sono legati alla sfera degli affetti, rappresentato da Louisa, e quello dell'espansione coloniale, dello sviluppo industriale, caratterizzato dalla presenza maschile, incarnato da Eugenio. Emma, come Eugenio, è costretta per necessità economica a partire per le colonie e ad abbandonare il mondo a lei familiare. Eugenio, lontano da Louisa, la tradisce, mentre la forte amicizia che lega Louisa ad Emma si rinsalda. William Wordsworth, autore di liriche sulla bellezza intensa e struggente del mondo naturale, ha indagato la labile soglia che separa mondi antagonisti: il passato da presente, la città dalla campagna, la classe contadina dalla classe operaia. Queste tematiche sono il punto focale delle Lyrical Ballads, dove Wordsworth affronta il presente con la evidente consapevolezza di ci sa di trovarsi di fronte al tramonto dell'universo agricolo, alla perdita degli antichi legami affettivi e al rischio di essere circondati solo dal cinismo materialista dell'urbanesimo. Il senso desolante di tale perdita e la confusione mentale sono illustrati nel libro settimo di The Prelude, intitolato “Residence in London”. L'occasione è la fiera che si svolge a Londra per San Bartolomeo. La confusione della festa in cui si sovrappongono in modo indistinto spettacoli da baraccone, musica e folla accalcata, determina una ubriacatura dei sensi che la voce poetica registra meticolosamente. Inoltre questa lunga descrizione è formata da un susseguirsi incalzante di enjambement e da un sovrapporsi di assordanti onomatopee. L'umanità, schiacciata e informe, è così, come nella “London” di Blake, schiava e prigioniera della città. Il “poeta dei laghi”, come William Wordsworth è definito per aver trascorso buona parte della sua vita nella regione dei laghi nel nord dell'Inghilterra, riprese il tema della città, e Londra in particolare, in altre poesie tra le quali “Composed upon Westminster Bridge”. Qui la città è incantata ma l'incantamento è dovuto al suo stato dormiente. La visione che appare al poeta è di una Londra alle prime ore del giorno. La città nel suo trambusto torna in un altro testo romantico, “London Summer Morning” (dai Lyrical Tales, 1800), a firma di Mary Robinson, poetessa, romanziera, ma anche valente attrice. Mary Robinson fu molto sensibile ai temi scottanti dell'epoca, come dimostrano alcune delle liriche raccolte nei Lyrical Tales quali “The Deserted Cottage” o “The Lascar” (1800). Nella prima lamenta il terribile vuoto lasciato dalla guerra che aveva portato morte e distruzione alla nazione, la seconda punta il dito contro le discriminazioni razziali. In “Summer London Morning”, tuttavia, la poetessa, rovesciando il giudizio negativo sin qui visto, affronta la realtà urbana da un diverso punto di vista sottolineandone la vitalità e l'energia. La seconda generazione romantica non dimentica la denuncia di Blake contro lo sfruttamento dei deboli e dei bambini. Se nel 1833 il Factory Act aveva finalmente decretato l'illegalità del lavoro in fabbrica dei bambini sotto i nove anni, quelli fra i nove e i tredici anni invece erano ancora sottoposti a otto ore di lavoro al giorno, mentre a chi aveva fra i tredici e i diciotto anni era addirittura richiesto un orario giornaliero di dodici ore. Contro tali orari e condizioni di lavoro massacranti per dei giovanissimi si scriverà molto. Letitia Elizabeth Landon è la poetessa che con Felicia Hemans chiuderà cronologicamente il movimento romantico e nella poesia “The Factory” (1835) tratteggia un mesto quadro delle pesanti condizioni di lavoro dei fanciulli. NOSTALGIA, GUSTO ANTIQUARIO E MEDIEVALISMO La Rivoluzione francese, combattuta alle porte di casa, generò sul suolo inglese un clima politico oppressivo che ne limitò le tradizionali libertà. La Rivoluzione, che aveva inizialmente alimentato speranze straordinarie ed era stata accolta come la realizzazione delle più alte predicazioni illuministe, finì, a causa del periodo del Terrore e del conflitto anglo-francese, con delusioni e timori. Ne fu ben consapevole Charlotte Smith che, pubblicando il poema The Emigrants (1793), ebbe il coraggio di promuovere la fratellanza fra gli abitanti delle due sponde della Manica, francesi e inglesi. Fra il 1784 e il 1800 vi saranno ben otto edizioni dei suoi Elegiac Sonnets. Gli Elegiac Sonnets di Charlotte Smith fanno scuola al punto di ottenere nel 1833 l'encomio di William Wordsworth. Dopo il sonetto si cimenta con successo nel black verse (versi non rimati in parametri giambici), come in The Emigrants. Nella sua produzione poetica aleggia una grande malinconia per le afflizioni che la vita le ha riservato. Nei “sonetti elegiaci” la Smith non solo si presenta come madre-martire, archetipo della condizione femminile di primo Ottocento, ma sembra rifiutare il potere consolatorio dell'arte. Ai toni malinconici della perita e del pianto non fa seguito la consolazione, tipica dell'elegia. I sonetti elegiaci della Smith mettono a nudo certo solitudine e frustrazione ma anche una caparbia volontà di denuncia. Questa prospettiva poetica la ritroviamo nel poema The Emigrants, ove l'io poetico osserva gli esuli fuggiaschi dalla Francia che giungono in Inghilterra e con i quali si identifica, sentendosi immersa in una società di estranei. Nostalgia e malinconia sono alimentati anche dal gusto antiquario che attraversa due generazioni di poeti romantici. Questo revival medievale aveva trovato terreno fertile nel resto d'Europa e in Germania in particolare. Il gusto antiquario inglese fu il frutto della necessità concreta di ricostruire una nazione e un sentimento nazionale. Il ricorso alla ballata come genere letterario è frequente nel Romanticismo così come il clima malinconico, notturno e fantastico che caratterizza quelle antiche ballate. Walter Scott, grande fautore dello Scottish revival, si prodigò nell'assemblare un repertorio di antiche e popolari ballate che pubblicò, seppure con numerosi interventi personali, con il titolo Ministraly of the Scottish Border (1802-1803). Il successo che arrise a questa prima antologia lo convinse a scrivere delle proprie ballate che pubblicò con il titolo The Lay of the Last Ministrely (1805), cui seguì il long poem dal titolo Marmion (1808). Altro poeta, non scozzese, che riscosse grande successo grazie ai suoi long poems fu Robert Southey. Southey produsse romances che mettono insieme esotismo e gusto antiquario, spesso associato a quello orientalista. E' doveroso citare la ricerca di Southey rivolta al passato gallese e celtico. Nel 1799 egli concepì il suo primo romance, Madoc (pubblicato nel 1805), dedicato a un principe gallese del XII secolo. Un caso particolare è rappresentato da Joanna Baillie. La Baillie, di antica famiglia scozzese, amò profondamente la sua terra alla quale restò legata anche dopo averla lasciata, ancora ragazza, in seguito alla morte del padre, per trasferirsi con la madre e la sorella a Londra. La Baillie, che divenne una delle principale autrici teatrali del Romanticismo, scoprì quelle che dovevano costituire le coordinate fondamentali della sua poetica teatrale proprio grazie all'altro suo amore, quello per la poesia. L'attenzione ai moti dell'anima, alle passioni che condizionano le scelte umane, la “sympathetic curiosity” che lo spettatore deve nutrire per il personaggio che si agita e soffre sul palcoscenico e la necessità di ricorrere a un linguaggio semplice per convogliare più direttamente tali sentimenti, furono elaborati e sperimentati in poesia quasi dieci anni prima della pubblicazione della prima raccolta dei suoi Plays on the Passions, tre volumi fra il 1798 e il 1812. L'”Introductory Discourse” ai Plays on the Passions divenne un celebre manifesto della drammaturgia romantica. La sua prima raccolta di poesie, Poems, apparve nel 1790 anonima (non firmare le proprie opere letterarie era frequente fra le donne timorose di esporsi pubblicamente) e non suscitò interesse critico o di pubblico al punto che Joanna Baillie decise di abbandonare il genere poetico per alcuni anni e dedicarsi interamente alla scrittura di opere teatrali. Dopo un viaggio attraverso l'amata Scozia la Baillie tornò alla poesia pubblicando Metrical Legends of Exalted Characters (1821) nelle quali il gusto antiquario ha la meglio sulla spontaneità sentimentale e sul semplice mondo naturale e rurale che caratterizzava i Poems. I poems presentano al lettore un mondo perfettamente scandito dai ritmi dei cicli naturali. Qui sono le passioni e i sentimenti dei personaggi, piuttosto che le loro azioni, a essere esplorati e rappresentati. Il ruolo della Baillie quale anticipatrice della poetica fortemente sperimentale delle Lyrical Ballads di Wordsworth e Coleridge è del tutto evidente. La poesia della Baillie, come quella dei “poeti dei laghi”, è capace di suscitare emozioni e di rendere spirituale il naturale. I personaggi favoriti dalla Baillie sono i fanciulli e la gente semplice. Nell'introduzione ai Plays on the Passions del 1800, riferendosi alla poesia, Joanna Baillie sottolinea la necessità per il poeta di usare un linguaggio semplice e di cantare passioni naturali, poiché il falso e l'innaturale sono nemici della poesia e non raggiungono il cuore del lettore. LYRICAL BALLADS E DOROTHY WORDSWORTH: IL LINGUAGGIO DELLA NATURA Nella “Preface” alle Lyrical Ballads nell'edizione del 1800, Wordsworth illustra la sua poetica e il tentativo di guidare il lettore alla riscoperta di un più semplice e naturale modo di vivere, dando rilievo a un particolare tipo di linguaggio che egli vuole altrettanto semplice e autenticamente popolare, specchio della bellezza naturale e veicolo dei sentimenti e delle passioni della gente comune. Anche il poeta è per Wordsworth “a man speaking to men”, sebbene dotato di maggiore sensibilità e tenerezza: William Wordsworth, Preface alle Lyrical Ballads Chi è il poeta? A chi si rivolge? E quale lingua ci si deve attendere da lui? E’ un uomo che parla agli altri uomini: un uomo, è vero, dotato di una più profonda sensibilità, un maggior entusiasmo, e una maggiore tenerezza e che ha una più grande conoscenza della natura umana e un’anima più comprensiva di quanto non sia comune tra gli altri uomini […]. Oltre a queste qualità ha la predisposizione di essere toccato più di altri uomini dalle cose assenti, come se fossero presenti; ha l’abilità di evocare in sé dei sentimenti che sono certo lontani dall’essere quelli prodotti da eventi reali e tuttavia (e specialmente per quanto riguarda quella parte della solidarietà generale che è gradevole e alquanto piacevole) assomigliano più da vicine ai sentimenti generati dagli eventi reali. Wordsworth esprime un preciso orientamento democratico. Nella raccolta le poesie composte da Wordsworth (vale la pena ricordare che nelle Lyrical Ballads Coleridge incluse le poesie The Rime of the Ancient Mariner) registrano le inquietudini e le esperienze del tempo attraverso i tratti delicati del sentimento. Coleridge conduce alla dimensione spirituale testamentaria del marinaio errante di The rime of the Ancient Mariner. Il marinaio è costretto a narrare la sua storia di sangue e di morte, come dirà all'invitato a un banchetto di nozze in cui irrompe, dall'obbligo di ripetere ritualisticamente il suo racconto di espiazione. Egli è colpevole di aver ucciso senza motivo l'albatro, un uccello salvifico simbolo dello spirito divino. Per questo “il vecchio marinaio” perde i propri compagno di viaggio e persino il diritto a morire. Il suo pellegrinaggio è purgatoriale, e la sua vita trasformata in vita in morte è riscattata solo alla fine del racconto dall'amore che il marinaio manifesta per tutte le creature viventi. Il rito a cui il marinaio è sottoposto è soprattutto un atto linguistico dove la parola si fa azione: narrare per cancellare la colpa. Wordsworth e Coleridge condividono dunque una visione retrospettiva: nel primo lo sguardo è localista, teso a ritrovare una perduta dimensione comunitaria; nel secondo la nostalgia è per un passato che precede la caduta causata dal peccato originale. Se Wordsworth canta i destini della vita degli umili dando ad essi un'identità e un volto in poesie come “Michael”, in Rime of the Ancient Mariner Samuel Taylor Coleridge dipinge un affresco maestoso e allegorico delle condizioni spirituali di un'umanità pellegrina sulla terra. Se riflettiamo sul titolo della raccolta, Lyrical Ballads, intuiamo il procedimento dei due autori, la loro volontà di mescolare sentimento e storia, naturale e spirituale. Nel capitolo XIV della Biographia Literaria (1817) Coleridge annota diligentemente il senso che lui e l'amico Wordsworth avevano inteso dare alla comune impresa poetica: Samuel Taylor Coleridge, Biographia Literaria (cap. XIV) Durante il primo anno che Mr. Wordsworth e io fummo vicini, le nostre conversazioni volsero spesso intorno ai due punti cardinali della poesia, al potere che ha di suscitare il consenso del lettore mediante fedele aderenza alla verità di natura, e all'altro potere di dar l'emozione della novità trasfigurando con i colori dell'immaginazione. […] Essi sono la poesia della natura. […] In questo ordine di idee nacque il piano delle Ballate liriche; nel quale fu convenuto che i miei sforzi dovessero essere diretti alle figure e ai caratteri soprannaturali, o almeno fantastici; beninteso in modo da trasferire dalla nostra intima natura un interesse umano e una sembianza di verità bastevoli a produrre, dinanzi a quelle larve dell'immaginazione, quella volontaria e momentanea sospensione dell'incredulità che costituisce la fede poetica. Mr. Wordsworth, d'altro canto, si sarebbe proposto come oggetto di dare il fascino della novità alle cose di ogni giorno e di suscitare sentimenti analoghi al soprannaturale risvegliando l'attenzione della mente dal letargo dell'abitudine e rivolgendola alla vaghezza e alle meraviglie del mondo dinanzi a noi. Le Lyrical Ballads appaiono quindi come “poetry of nature” perché contengono due elementi cardini: il primo, che avevamo incontrato a proposito della Baillie, “il potere di suscitare la simpatia del lettore”, il secondo, fortemente wordsworthiano, e in verità caratteristicamente romantico, “il potere di defamiliarizzare il mondo”, vedendolo come per la prima volta attraverso il potere dell'immaginazione. Dell'incantamento e dell'emozione Wordsworth continuò a occuparsi ben oltre le “ballate liriche” arrivando a coniare in The Prelude la definizione di “spots of time” per indicare i momenti di rivelazione che hanno luogo allorché l'io e il mondo misteriosamente si compenetrano generando vere e proprie epifanie. In Wordsworth visione e memoria diventano una medesima categoria. Attraverso la memoria l'acuta sensibilità del poeta riporta al presente accadimenti e persone incontrati nel passato e li fa rivivere con la stessa intensità provata la prima volta grazie ai colori caldi dell'immaginazione. Il sodalizio fra Wordsworth e Coleridge, iniziato nella città di Bristol e continuato nel Lake District, ebbe come testimone la sorella di William, Dorothy, autrice di straordinarie pagine diaristiche e di poesie sul mondo naturale. La scrittura di Dorothy Wordsworth è celebrata dalla critica per la capacità di stabilire con cose e persona un rapporto paritario. La prospettiva di Dorothy è l'occhio oggettuale: quello del fiore o della zolla d'erba. Decantata dal fratello come musa domestica e custode dei legami familiari, Dorothy trascorse la prima infanzia felice, ma a soli sei anni, alla morte della madre, iniziò una lunga peregrinazione, ospite nelle case dei parenti. Dopo la morte del padre, anche i quattro fratelli lasciarono la casa di origine per essere affidati ad altre famiglie. Dorothy concepì allora un sogno, una casa per sé e per i fratelli. Il ritorno di William dalla Francia rese possibile la riunificazione. Per far piacere a William, Dorothy iniziò a scrivere diari che registrano gli eventi della giornata e le esperienze sensoriali da lei provate: gli odori, i colori, ogni piccolo suono che l'avevano colpita. Sono appunti preziosi, tratteggi epifanici di un quotidiano, anche se Dorothy rifiutava di pubblicare i suoi scritti. Nei diari e nelle poesie ancora una volta l'occhio botanico femminile è al lavoro. Nelle pagine di Dorothy la natura sembra diventare essa stessa casa, luogo d'integrazione fra pensiero e immaginazione, come nella poesia Floating Island. In questi versi si celebra la ciclicità della natura che, tradizionalmente, simboleggia il perpetuo riprodursi della vita, ma ciò che colpisce è il timbro di questa voce poetica che apre celebrando il trionfo della fertilità della natura per finire cantando un mondo naturale in cui dominano arbitrarietà, assenza e transitorietà. MONDO ONIRICO E BELLEZZA IN MARY ROBINSON E JOHN KEATS Le premesse della poetessa scozzese Joanna Baillie aprirono la strada non solo, come si è visto, agli esiti delle Lyrical Ballads di Wordsworth e Coleridge, ma anche ad altre sensibilità poetiche come quelle di Mary gioventù Shelley aveva dedicato ogni energia alla stesura di poesie e pamphlets a carattere etico-politico. Successivamente scrisse dei libelli dedicati alla libertà del popolo irlandese. Fu tuttavia con il suo arrivo in Italia nel 1818 che la prosa e la poesia di Shelley raggiunsero la piena e innovativa ricchezza espressiva. L'Italia potenziò la sua immaginazione poetica. E al popolo italiano che vedeva oppresso dallo straniero e verso il quale provava fraterna amicizia, Shelley dedicò molti dei suoi versi, fra i quali “Ode to Naples”, scritta per la fine della breve stagione repubblicana partenopea. Patriottismo e cosmopolitismo appartennero anche al lessico poetico di Felicia Hemans, intrecciati a un linguaggio legato alla sfera domestica e al mondo degli affetti. Mentre seguiva vigile l'evolversi delle vicende belliche dell'Inghilterra, con eguale interesse si preoccupava delle guerre di liberazione di Grecia e Italia, alle quali si sentiva legata da una sincera ammirazione. Dopo la pubblicazione della sua prima raccolta di poesie, Poems (1808), diede alle stampe England and Spain (1808). In quest'ultimo, un long poem di 300 versi, la poetessa espone le vicende dell'Europa in guerra e invoca gli ideali cavallereschi d'Inghilterra e Spagna per chiedere loro di riportare concordia e sviluppo all'intero continente. D'altra parte il nemico comune che Spagna e Inghilterra si trovavano ad affrontare era Napoleone, così il patriottismo della Hemans ben si combina con una posizione di premuroso affiancamento ai rivoltosi spagnoli che si difendevano dall'invasione napoleonica. I VITTORIANI INTRODUZIONE Quando si prende in esame la cultura inglese dell'Ottocento, si deve tener conto del fatto che siamo in una fase di straordinaria transizione della storia e della cultura, e questo provoca la grande complessità e contraddittorietà della società vittoriana. Il testo scientifico che conferma e convalida la sensazione collettiva della transitorietà è, naturalmente, The Origin of Species (1859) di Charles Darwin. Nella persistenza di una visione del mondo ancora improntata al mito romantico, gli scrittori vittoriani scrissero opere in cui dicotomie irrisolvibili – passato e futuro, campagna e metropoli – divennero la scena di una crisi profonda che interessò non solo la società, ma anche le modalità della rappresentazione artistica. Il periodo vittoriano, che tradizionalmente si fa partire dall'ascesa al trono della giovane regina Victoria, nel 1837, - e che dura fino alla sua morte, avvenuta nel 1901 – è intriso di un profondo senso di dubbio e di paura dell'ignoto, in netto contrasto con il trionfalismo dell'impero e lo sviluppo galoppante dell'industria, del commercio e delle scienze. IL ROMANZO VITTORIANO Il romanzo, divenuto la principale voce estetica dell'epoca, quale era stata la poesia per il precedente periodo romantico, si arroga subito un ruolo polemico, critico e contestatore. Ormai, in quegli anni, il termine “romanzo” viene a denotare un sistema multiforme di vari sottogeneri, o abbozzi di sottogeneri, che dovranno concretizzarsi più tardi, le cui forme di pubblicazione assomigliano molto alle attuali “soap-opera”, in quanto storie a episodi con l'uscita di uno o due capitoli alla volta nei vari periodici mensili o bimestrali dell'epoca. Il numero elevato di romanzi comporta un pubblico altrettanto vasto, e la tipologia del lettore vittoriano va individuata e analizzata anche perché i lettori hanno addirittura la possibilità di influenzare l'andamento dell'intreccio nonché il destino dei personaggi. Inoltre, il romanzo borghese, sia di “formazione” sia di “fantasia, è ormai diventato un vero e proprio oggetto di consumo, e perciò comincia a riflettere la domanda di mercato. PUBBLICARE UN ROMANZO NELL'EPOCA VITTORIANA La pubblicazione di romanzi in Inghilterra, dalla metà dell'Ottocento fino all'inizio del Novecento, fu senza dubbio un'impresa dispendiosa, e il suo risultato – in genere un'edizione rilegata in tre volumi, al prezzo fisso di trentuno scellini e sei pence – risultava troppo costoso per le tasche della gente comune, considerando come la paga media settimanale di un operaio spesso non arrivasse a quindici scellini. A tale difficoltà ovviavano comunque le biblioteche circolanti, attive dal Settecento, ma poco permissive. La maggior parte degli abbonati ai periodici proveniva dalla borghesia, dato che il costo dell'abbonamento era tutt'altro che irrilevante. Tuttavia, oltre alla pubblicazione in tre volumi, vi erano altre tipologie di divulgazione del romanzo: forme più abbordabili da parte delle classi meno abbienti, ma che potevano già contare su eventuali lettori, tra artigiani, operai specializzati o agricoltori. Per questo mercato venivano serializzate settimanalmente, al costo di un penny, storie e relative ambientazioni spesso di genere gotico o sensazionale, ed è ben noto il caso di Charles Dickens, che scelse una modalità di pubblicazione mensile (al prezzo di uno scellino) per rendere i suoi romanzi accessibili a un numero sempre più ampio di lettori. Dopo la prima edizione in tre volumi (oppure dopo la pubblicazione a episodi in un periodico) il romanzo poteva uscire in un formato meno costoso: un unico volume con un prezzo assai inferiore. VERSO UN PUBBLICO DI MASSA Gli sviluppi dell'editoria erano il riflesso di un pubblico sempre più vasto. La lettura di romanzi, inizialmente prerogativa di chi vantava origini aristocratiche o alto-borghesi, diviene gradualmente, di pari passo con la diminuzione dell'analfabetismo, appannaggio anche di persone di nascita più umile. Tuttavia, come conseguenza del propagarsi della lettura fra i “ceti bassi”, si manifesta immediatamente la volontà di controllare, censurare e “guidare” i lettori da parte dei direttori dei periodici in cui i romanzi venivano pubblicati. Molti scrivevano romanzi per guadagnarsi da vivere, vendendo un prodotto in un mercato ormai ben regolato dalla legge del “supply and demand”; e quando il compratore richiedeva un prodotto impacchettato in una certa maniera, lo scrittore non poteva che privilegiare il denaro rispetto alla coerenza estetica. ASPETTI DEL ROMANZO REALISTA Se il romanzo borghese, almeno in Inghilterra, nasce all'inizio del Settecento, è sicuramente nell'Ottocento, e in particolare nell'epoca cosiddetta vittoriana, che riscontra il suo più grande successo. Il concetto di realismo costituisce il punto di partenza per la prosa narrativa del periodo, persino nel caso della narrativa “fantastica”. Il romanziere vittoriano aveva a disposizione modi e modelli di scrittura ormai convalidato. La storia solitamente seguiva la falsariga del “romanzo di formazione” con un/a protagonista giovane che dall'ingenuità iniziale, attraverso diverse peripezie, raggiungeva la maturità e spesso anche un lieto fine. Ma la differenza tra questi personaggi e quelli del secolo dei Lumi è che la società in cui essi si trovano a fare le proprie esperienze di vita è di gran lunga più complessa. Il Romanticismo aveva sviluppato ed enfatizzato il concetto dell'individuo e della soggettività: il realismo classico del Vittorianesimo esamina la natura dell'individualismo (spesso visto come egoismo) prodotto dalla società capitalista e borghese dell'Ottocento. Lo scrittore vittoriano utilizzava convenzioni formali che avrebbero facilitato l'opera del lettore. Il modo di narrazione più facilmente riscontrabile in questo periodo è infatti quello di una gerarchia di discorsi regolata dall'autorità del cosiddetto narratore onnisciente, che istruisce e guida il lettore. Con questo non si vuole sostenere che il romanzo ottocentesco sottoscriva i dettami della società della sua epoca senza remore. Tutti i grandi scrittori, tra cui George Eliot e Dickens, sono concordi nel criticare la società di cui fanno parte e le sofferenze da essa stessa prodotte. Basti pensare a Dickens, quando descrive tutti i mali della vita dei ceti poveri o le sofferenze cui devono sottostare i bambini e adolescenti in Oliver Twist. Le conclusioni di intrecci inevitabilmente tragici spesso vengono manipolate allo scopo di fornire una cornice convenzionalmente rassicurante e consolatoria alle storie narrate. Il famoso “lieto fine” del romanzo ottocentesco spesso non è che il momento del romanzo “realista” dove la finzione finalmente si palesa, e lo scrittore, sino ad allora dedito alla ricerca di un senso di immersione nel quotidiano o almeno del riflesso del mondo, sembra tradire la propria strategia. George Eliot, per esempio, passava mesi di ricerche e di osservazioni minuziosamente annotate prima di scrivere la prima parola dei suoi romanzi. AL DI LA' DEL REALE: IL RACCONTO “FANTASTICO” L'Ottocento vede il fiorire del genere noir, che deriva naturalmente dal romanzo “gotico” romantico, e che raggiunge uno splendore e una ricchezza unici in questo periodo, addirittura scindendosi in diversi sottogeneri che daranno spunto ai vari “romanzieri di genere” del XX (e XXI), tra cui il fortunatissimo giallo: Sherlock Holmes nasce infatti nel 1891 dalla penna di Arthur Conan Doyle; inoltre si sviluppa la “science fiction”, il romanzo del soprannaturale e del paranormale. Viene subito in mente, a tale proposito, A Christmas Carol (1843) di Charles Dickens, con il celebre protagonista Scrooge, l'usuraio, e gli spiriti dei suoi Natali (passato, presente e futuro), o il fantasma del suo vecchio socio, nonché la visione del proprio doppio. Questo racconto è di evidente funzione morale, dove il soprannaturale insegna la retta via a Scrooge. Quando si esamina il fantastico vittoriano insieme al realismo si tende a considerarlo come una specie di ritorno del represso (Freud, dopotutto, era un borghese dell'Ottocento. La produzione di Joseph Sheridan Le Fanu si inscrive quasi tutta nella tradizione fantastica dei sottogeneri del gotico inglese. Le sue storie sono particolarmente interessanti perché tendono a rifiutare gli effetti dichiaratamente soprannaturali, preferendo lasciare al lettore almeno la possibilità di una spiegazione “naturale”. Particolarmente significativa risulta Carmilla, del 1872, che racconta la vicenda del rapporto vampiresco tra la protagonista e un lemure donna; a parte l'ovvio interesse per un racconto di amore lesbico, Carmilla è anche da considerarsi come fonte, e non solo di ispirazione, del Dracula di Bram Stoker, che comparirà venticinque anni dopo. E' infatti durante gli ultimi anni del secolo che tre casi paradigmatici arricchiscono ancora di più la già rigogliosa panoramica del fantastico vittoriano. Nel 1886 Robert Louis Stevenson scrive The Strange Case of Dr Jekyll and Mr Hyde, seguito nel 1891 da The Picture of Dorian Gray di Oscar Wilde, e nel 1897 dal già menzionato Dracula di Bram Stoker. Si tratta di tre testi fantastici completamente diversi dal tipico racconto romantico del Male, che aveva avuto il suo prototipo nel romanzo Frankenstein di Mary Shelley. Nel celebre racconto di Stevenson abbiamo un esempio perfetto della psicologia pre-freudiana. Dr Jekyll scoprirà come lo scopo delle sue ricerche, ovvero la separazione dei principi del Bene e del Male che si trovano a convivere in un solo corpo (o in una sola mente), sia irrealizzabile, e capirà come sia il Male, rappresentato nella figura di Hyde scissa chimicamente dal corpo di Dr Jekyll, ad avere il sopravvento. Il Male, quale si manifesta con l'apparizione di Hyde, è indubbiamente correlato alla crudeltà fisica, all'assassinio, e dunque alla Morte, ma anche alla trasgressione erotica e sessuale; un'interpretazione del racconto in termini allegorici è tuttavia negata al lettore. Ed è altrettanto difficile per il lettore di The Picture of Dorian Gray trovare una chiave interpretativa certa all'ambiguità di un racconto. Dracula costituisce il culmine della grande produzione ottocentesca di orrori gotici. A livello tematico, discende dalla Carmilla di Le Fanu, continuando e sviluppando il sottogenere del vampire tale. Tra le opere più affascinanti, e meno “classificabili della produzione britannica dell'Ottocento è da ricordare inoltre Alice in Wonderland (1865) di Lewis Carroll. “GENDER” E REALISMO Una presenza notevoli di scrittrici di fiction durante l'Ottocento rappresentava un ostacolo in più alle pretese del realismo vittoriano di rappresentare “la Verità”. All'universo femminile – almeno quello borghese che leggeva i romanzi – molti aspetti di questa verità venivano convenzionalmente celati, in particolare tutto quanto riguardava l'eros. Scrivere la verità allora divenne un'impresa irta di difficoltà. Alcune delle scrittrici più famose del periodo, tra cui Marian Evans (George Eliot), preferirono almeno all'inizio della loro carriera pubblicare con pseudonimi maschili. Ciò viene dal desiderio di essere giudicate alla pari, dalla la voglia di potersi esprimere francamene su questioni come l'amore e il comportamento maschile, argomenti sui quali spesso non “potevano” avere un'opinione, dalla paura di recare scandalo alle proprie famiglie. IL ROMANZO INDUSTRIALE: LA REALTA' NEGATA Il romanzo vittoriano cerca di denunciare una delle realtà più tremende del periodo: la sorte dell'operaio, e dell'operaia, nelle fabbriche e nei fatiscenti alloggi dei nuovi sobborghi delle grandi città. La difficoltà del ceto borghese nei confronti degli operai era esacerbata dalla paura. La folla di poveri provenienti dalla campagna in cerca di lavoro faceva temere la malattia, la violenza, la rivoluzione, e infatti questa gente veniva respinta in zone delle varie città lontane dai ceti più agiati il cui benessere dipendeva dal loro lavoro. Così i romanzi sul tema della sofferenza del proletariato fornivano al lettore medio la possibilità di sentirsi partecipe della situazione senza doverla sperimentare. Di nuovo in questi romanzi viene alla ribalta il conflitto individuo/società. IL REALISMO INTELLETTUALE: LA MESSA IN DISCUSSIONE DEL CANONE Al di là della scrittura chiara e semplice che voleva prendere per mano, per così dire, il lettore ancora inesperto e guidarlo attraverso la storia, spiegandogli come doveva interpretare i fatti raccontati, man mano che il secolo avanza sia il pubblico sia gli autori ricercano un messaggio più “adulto”. E' così almeno che Virginia Woolf descrive Middlemarch di George Eliot. Per la Woolf, il grande romanzo sulla vita di una cittadina di provincia durante gli anni delle riforme è “uno dei pochi romanzi inglesi scritti per persone adulte”, e questo giudizio può essere esteso a tutta la produzione di George Eliot. Persino Romola, l'unico romanzo storico della Eliot, non rappresenta un tramite facile per aiutare il lettore a sfuggire la realtà che lo circonda. Per questo, come per gli altri suoi romanzi, è evidente la ricerca, lo studio assiduo compiuto dalla Eliot per rievocare il Rinascimento fiorentino. I dettami del canone realista dell'inizio dell'epoca, che cercava di esplicitare, di condurre il lettore per mano, di rendere il suo compito non solo utile e dilettevole ma anche facile, vengono contestati da certi romanzieri man mano che progredisce il secolo, anche perché gli stessi lettori diventano più esperti e cercano un prodotto più sofisticato. IL REALISMO E IL MITO DELL'IMPERO: UN OSSIMORO IN PROSA Uno degli ultimi romanzi di George Meredith (scrittore del tardo Vittorianesimo), One of Our Conquerors (1891), che ha come tema il linguaggio e i suoi limiti, descrive la parabola tragica del protagonista, Victor Radnor, nello scenario di un'Inghilterra ormai decadente e imperialista. La ricchezza di Radnor, accumulata con il commercio all'estero, è la causa della sua caduta, della sua pazzia finale e della morte della moglie. Ormai molti intellettuali britannici guardavano con sospetto le persone che accettavano in modo acritico l'accumularsi della ricchezza e del poter proveniente dall'impero, sebbene la letteratura pro-coloniale e imperialista incontrasse ancora un pubblico fiorente. Vi furono infatti molti romanzi che trattarono il tema della colonizzazione (principalmente in India e in Africa). JOSEPH CONRAD Joseph Conrad, oltre a essere uno dei più grandi romanzieri di lingua inglese di tutti i tempi, rappresenta un caso letterario molto particolare. Nato da una famiglia della nobiltà polacca nell'odierna Ucraina, educato dal padre – attivista rivoluzionario morto in giovane età – a parlare e leggere anche in francese, Conrad sbarca in Inghilterra all'età di ventun anni, dopo un'infanzia trascorsa da orfano e da esule. Viaggia come marinaio sulle navi mercantili. Solo nel 1894, a quasi quarant'anni, lascia il mare e si stabilisce definitivamente in Inghilterra. La prima parte della vita di Conrad costituisce il “materiale” su cui egli fonda la seconda parte, quella di scrittore di romanzi e racconti caratterizzati spesso da un'ambientazione esotica e da storie che si svolgono a bordo di una nave: in essi prende forma, con poche eccezione, una visione del mondo nichilista, scettica, disillusa, alienata, frutto soprattutto di un'indagine spietata della corruzione che si insinua nei rapporti umani e nella storia in generale. L'eroe conradiano si isola, rinuncia, si rassegna, è perdente piuttosto che vincitore. Per ottenere l'effetto di una certa oggettività, lo scrittore si distanzia dal suo materiale ricorrendo a un narratore testimone degli avvenimenti o in qualche maniera raccoglitore di testimonianze altrui. Sarà lo stesso Conrad nella sua celebre introduzione al Nigger of the “Narcissus” (1897) a spiegare quale fosse il suo scopo estetico e, nel farlo, a contenere nei limiti canonici delle altre arti; non cambiano le condizioni fisiche, topologiche, dell'arte drammaturgica; i luoghi teatrali non sono fondamentalmente diversi da quelli consolidatisi nell'Ottocento, il che coincide sulla scrittura dei testi teatrali. La censura rimane attiva, ma il pubblico tende a esercitare un forte sistema di pressioni prescrittive, e perciò patiscono un soffocamento di spirito innovativo tanto la progettazione quanto l'esecuzione dei testi drammatici. I testi vengono interpretati da attori che recitano con tecniche codificate nella comunità della tradizione e consolidate dalle aspettative degli spettatori. Tuttavia, i principali autori modernisti (G.B. Shaw, Yeats, Eliot, D.H. Lawrence, Joyce) si cimentano nella produzione teatrale con l'idea che i loro drammi nascessero solo per la messa in scena, ovvero storie drammatiche pensate e orientate verso la performance, attraverso metodi diversi per ognuno di loro. IL CINEMA: DAL “MAKE IT NEW” AL “SEE IT NEW” Si è ribadito più volte che il film configura la quintessenza della forma modernista. Il cinema, nella percezione di artisti e scrittori contemporanei, significò la rottura completa con gli schemi convenzionali della rappresentazione, concretizzando con i mezzi tecnici più idonei il particolare connubio tra innovazione formale e penetrazione mitica del reale. Se già nell'Ottocento la fotografia aveva messo insieme natura, arte e tecnologia, il film novecentesco incorpora l'immagine nell'azione, tentando di rappresentare il mondo nel suo naturale moto perpetuo, proprio come auspicavano di poter realizzare, nei loro linguaggi, le avanguardie artistiche e letterarie. Molti artisti e letterati proiettano nel cinematografo il modello di tutto ciò che l'arte dovrebbe rappresentare nel futuro: spostamento, svolgimento, fluttuazione. MODERNISTI E ANTIMODERNISTI I GRANDI MODERNISTI Fra tutti gli autori che partecipano alla messa in atto dell'esperienza estetica modernista, tre si pongono in particolare rilievo: James Joyce, T.S Eliot e Virginia Woolf, definiti come "padri fondatori" del Modernismo. James Joyce Nato a Dublino nel 1882, in una numerosa famiglia tipicamente irlandese, James Joyce si allontana dalla città natia nel 1904 per un definitivo esilio verso l'Europa. Dublino è sempre stata odiata dallo scrittore, ma allo stesso tempo anche amata e la città sarà al centro della sua elaborazione mentale, da semplice cornice a protagonista stessa delle sue storie. La sua prima opera importante è una raccolta di 15 racconti, Dubliners, ideata "per smascherare l'anima di quella emiplegia e paralisi che molti considerano una città"; la paralisi dei dublinesi joyciani è simultaneamente morale, intellettuale, spirituale. La struttura dei racconti è suddivisibile in una rappresentazione della sua città natale sotto 4 aspetti: infanzia, adolescenza, maturità e vita pubblica. Un discorso a parte richiede The Dead, il lungo racconto che conclude la raccolta ed è uno dei testi più scopertamente autobiografici di Joyce, il quale mette in gioco se stesso autorappresentandosi con Gabriel Conroy, intellettuale mancato o almeno incompiuto, quale sarebbe certamente rimasto l'autore se non avesse scelto di lasciare Dublino. E' il testo che inaugura il metodo tipicamente joyciano dell'autobiografismo estetico, laddove sublima e strania l'autorappresentazione del soggetto in una dimensione artistica e artefatta, che distribuisce anche fra il protagonista e altri personaggi che gli ruotano attorno. La dimensione mitica e la frammentazione della personalità soggettiva, divengono elementi strutturali nel capolavoro del romanzo modernista per antonomasia, l'Ulysses, in cui incontriamo due protagonisti autobiografici, ancora Stephen Dedalus, alter ego del Joyce giovanile, e una nuova maschera dell'autore più maturo, Leopold Bloom: questa Odissea novecentesca vede Dedalus alla ricerca simbolica del Padre e Leopold in quella del Figlio. Il tema primario della ricerca padre/figlio, si dispiega comunque in una dimensione ironica e autoironica, in cui concorrono parodie di linguaggi e stili; i due personaggi si scontrano tutto il giorno con i fantasmi delle proprie rimozioni e censure, che hanno a che fare con l'idea di paternità, maternità e soprattutto di amore e tradimento coniugale. In questo racconto c'è anche la figura di una donna, che assorbe in sé l'idea di famiglia, patria, religione e il rifiuto globale di tali categorie: è Molly Bloom, maschera autobiografica di Nora Barnacle, la giovane che seguì Joyce nel suo esilio in Europa; passionale, adultera e sincera, diventa il paradigma incontrastabile del femminismo moderno e modernista. La struttura del testo si presenta rigorosa, aristotelica: tre parti distinte, relative ai tre personaggi, che imitano in forma parodistica le tre parti dell'Odissea. T.S. Eliot T.S Eliot rappresenta per la poesia la più alta e profonda espressione delle istanze estetiche e teoriche del Modernismo. The Love Song of J. Alfred Prufrock è il primo importante esperimento nel metodo composito che diverrà strutturale nella sua produzione poetica; in accordo con il principio di simultaneità, sia i temi che i linguaggi si pongono in relazione centripeta e compresente nella volontà di di far emergere l'incongruenza tra i presupposti euforici dell'antichità assestata e legittimata dalla storia, e le loro declinazioni incongrue e ridicole nella realtà contemporanea; l'autore persegue l'intenzione ironica di sottolineare per contrasto l'impossibilità di identificare nel mondo moderno persone attendibili o almeno credibili: infatti, il protagonista e narratore è un tipico bostoniano dell'Ottocento, che invita il lettore a una passeggiata per la città, dove si confrontano con una città del benessere e dello squallore proletario, entrambi specchi di una cultura fallita, entrambi incapaci di dare un senso alla vita. Il titolo si presenta quindi aspramente ironico. The Waste Land è il capolavoro della produzione eliotiana ed è al vertice di tutta la poesia modernista, costituisce il momento cruciale in cui il mito occidentale-cristiano si alimenta di nuove linfe immergendosi nelle più svariate culture, da quelle primitive a quelle orientali; si sottolinea l'importanza del passato per capire il presente, ovvero delle mitologie per interpretare il reale quotidiano; il poemetto si compie in 5 sezioni. Virginia Woolf E' con il suo epocale saggio Mr. Bennett and Mrs Brown (1924) che Virginia Woolf, nata come Joyce nel 1882, sferra il più spietato attacco degli intellettuali modernisti al tradizionale romanzo realistico e naturalistico: il personaggio della signora Brown accusa gli scrittori a cavallo tra Otto e Novecento di aver rappresentato solo la banale realtà quotidiana, senza il filtro della coscienza soggettiva del narratore. Le sperimentazioni della Woolf in ambito della narrativa modernista, soprattutto per quanto riguarda il "flusso di coscienza" cominciano con i primi racconti del 1918- 1919, e ancor di più con il romanzo Jacob's Room (1922), dove il protagonista si definisce attraverso le impressioni e sensazioni che hanno di lui gli altri personaggi. Il primo dei suoi grandi romanzi è Mrs. Dolloway, in cui viene registrata una giornata della protagonista, attraente moglie di mezza età di un importante membro del Parlamento, partendo da una passeggiata per comprare dei fiori, passando a incontri con personaggi del passato che scatenano un vortice di flussi di coscienza, fino ad arrivare al ricevimento che conclude il giorno, nonchè l'opera. La protagonista Clarissa è in larga parte la Woolf stessa, che si autorappresenta ironicamente come una donna che non tollera le imposizioni religiose, politiche e familiari e che ama lo spettacolo della vita, ma che è anche molto egocentrica, anaffettiva e snob. To the Lighthouse viene ritenuto il più grande romanzo della Woolf ed è anche quello più scopertamente autobiografico, quindi più intimamente sofferto: il protagonista maschile, Mr. Ramsay, intellettuale professore di filologia, è una trasparente maschera del padre di Virginia; gli accadimenti non posseggono una struttura logico-cronologica, ma si organizzano attorno a nuclei di pensiero, a “momenti” di coscienza e interpretazione di sé e degli altri. UN (ANTI)MODERNISTA SUI GENERIS: D.H. LAWRENCE Grande narratore, tra i più prolifici del secolo, poeta, drammaturgo, D.H. Lawrence è certamente una delle figure letterarie più rappresentative del Novecento, anche se oggi la sua fama appare in calo per ragioni apparentemente diverse da quelle per cui fu tanto discusso e censurato nel secolo scorso. Il destino critico di Lawrence, i fraintendimenti più o meno consapevoli o in buona fede, hanno origine nell'ambiguità della sua concezione del sesso. La trasgressività di Lawrence è insita già nella scelta dell'argomento, nell'aver cioè puntato la luce su di un tabù: l'affermare che il sesso non è sporco o peccaminoso, ma naturale, costituisce già di per sé una trasgressione enorme, uno smascheramento del falso istinto propagandato come vero. E' invece l'amore la forza che mette l'essere umano in contatto con l'universo. La pornografia è una forma di pubblicità che serve a colpire l'istinto vero ed è per questa ragione che Lawrenceha avuto successo nel mondo borghese come autore pornografico: da The Rainbow (1915) a Lady Chatterley's Lover (1960), si può dire cheLawrence sia stato perseguitato per tutta la vita dalla censura. Lawrence si indigna perchè la gente ride quando si parla di sesso; ma non è il tema del sesso a essere pornografico, è il volerne rappresentare e comunicare le emozioni con le parole. Lawrence attinge a piene mani alle tecniche narrative e tradizionali e non, dal romanzo vittoriano a quello edoardiano; il suo uso delle tecniche moderniste è diverso da quello di Joyce: prima ancora che rendere la “realtà” e l'atmosfera psicologica del suo tempo, a Lawrence interessa far recepire il suo messaggio. IL TEATRO DI SAMUEL BECKETT DALLA NARRATIVA AL TEATRO Alla fine degli anni 40, lo scrittore irlandese Samuel Beckett si trovò a un bivio creativo ed esistenziale. Era alle prese con la sua opera narrativa più importante, la cosiddetta “Trilogia”, ma nel contempo sentiva l'esigenza di trovare spazi espressivi nuovi e diversi. La Trilogia fu intrapresa dopo la fine della seconda guerra mondiale, evento che aveva visto Beckett partecipe attivo per conto della Resistenza francese, tant'è che, ricercato dai tedeschi, fu costretto a rifugiarsi nella Francia meridionale, dove aveva trascorso tre anni in clandestinità frustrante e claustrofobica, simile a quella che si rispecchierà all'interno della Trilogia medesima. Il miracolo di Aspettando Godot (1949) è che, pur senza alcuna esperienza teatrale diretta (neppure come spettatore, dato che frequentava poco il teatro), Beckett si trovò immediatamente a suo agio nel gestire i linguaggi drammatici, sia quello discorsivo che quello non-verbale, e ad affrontare le tre dimensioni dello spazio scenico; oltre allo straordinario dialogo, di volta in volta ironico, lirico, comico,, filosofico e sempre autodecostruente, Beckett riesce a creare in Godot anche una serie di memorabili immagini sceniche cariche di un forte impatto ironico: sarà proprio questa potenza iconica a caratterizzare i teatro successivo di Beckett. UN TEATRO METAFISICO MANCATO La produzione drammaturgica di Beckett copre un arco di 35 anni (1948-1982), periodo nel quale lo scrittore compone 32 opere drammatiche, di cui 20 teatrali, 7 radiofoniche, 5 televisive, e un film intitolato Film. Si tratta di una vera e propria seconda carriera letteraria, rispetto ai precedenti vent'anni dedicati alla narrativa, alla saggistica e alla poesia. Il teatro di Beckett ripropone un percorso analogo a quello già tracciato dalla sua narrativa. Partendo dalla relativa abbondanza retorica e scenica di Godot, le opere teatrali di Beckett diventano progressivamente più brevi e più spoglie sia verbalmente che iconograficamente, offrendo, alla fine, lo spettacolo di un unico personaggio, privo di buona parte del corpo, il cui discorso si disarticola e si disintegra. Non si tratta di un teatro estremamente laico, ma di un teatro che pone costantemente la questione di un possibile senso ultimo e trascendente delle cose, anche se per poi rispondere negativamente. Il modulo drammaturgico di una struttura ideologica o teologica forte che viene meno si trova in un'opera di pochi anni più tardi, oggi considerata uno dei capolavori di Beckett, ossia L'ultimo nastro di Krapp (1958): questa pièce, ben più breve di Godot, si articola sull'opposizione scenica e discorsiva tra bianco e nero, fra bene e male; il protagonista Krapp, un uomo sessantanovenne fallito sia come scrittore che come presunto addetto all'ascesi manicheista, ascolta i vecchi nastri registrati in occasione del suo compleanno e in uno di questi il Krapp trentanovenne esprime il suo disprezzo nei confronti delle aspirazioni, sia letterarie che religiose. In quest'opera si stabilisce la tipica scena beckettiana, una scena sempre più crepuscolare e sempre meno mimetica e illusionistica; anche sul piano discorsivo Krapp dà inizio a una nuova modalità espositiva, fondata sul monologo, sulla frammentazione e sulla reticenza. TESTE MORTE E PENE INFERNALI: I DRAMATICULES Per dare espressione alla sua nuova drammaturgia minimalista, Beckett inventa un sottogenere drammatico: il cosiddetto dramaticule (“drammucolo”), pièce che non supera i venti minuti di performance e che impiega la massima economia di mezzi scenici e retorici. Il sottogenere ha il suo inizio con Va e vieni (1965), altra opera crepuscolare in cui tre donne dai nomi abbreviati (Flo, Vi, Ru) sono coinvolte in un malinconico gioco triangolare in cui a turno una delle donne rivela a un'altra l'imminente morte della terza, ma viene il sospetto che siano già morte, come in un breve dramma precedente, Play, che presenta un altro triangolo, in questo caso di tipo amoroso-mortale, composto da un trio di “teste morti”: tre defunti, due coniugi e l'amante di lui, imprigionati in delle giare (urne funebri), ignari di essere passati all'aldilà, sono condannati a raccontare per l'eternità la loro banale storia di tradimenti coniugali. Anche in questo caso si ha a che fare con una struttura ciclica e ripetitiva. Play rende piuttosto esplicito un aspetto determinante della poetica beckettiana, cioè il suo debito nei confronti della Commedia dantesca e in modo particolare l'Inferno. Anche Winnie, in Happy Days (1961) soffre quelle che sembrano essere pene infernali, seppellita, dapprima fino alla vita e poi, nel secondo atto, fino al collo, in un monticello di terra sotto un sole cocente, scena che forse ricorda il Canto X dell'Inferno. Le pene dei personaggi post-mortem di Play sono invece paragonabili semmai a quelle del lussuriosi nel Canto V: immersi nel buio, vengono pungolati a turno dal riflettore-frusta che li costringe a raccontarsi. Il punto di arrivo dei vari processi drammaturgici esaminati fin qui è rappresentato dal brevissimo capolavoro Not I (1972), in cui l'esperienza dello spettatore è a dir poco disorientante: all'inizio della performance egli si trovava di fronte a una scena buia, in cui una bocca apparentemente sospesa in aria emana un fiume rapido e disarticolato di parole, ed è proprio lei la protagonista del dramma, Mouth, un corpo ancora più ridotto, bocca di nome e di fatto. Not I mette in scena lo psicodramma esistenziale e enunciazionale della protagonista, costretta a narrare, in modo frammentato ed ellittico, la propria vita, ma nel tentativo disperato di dissociarsi dal proprio récit attraverso il ripudio del primo pronome personale “I”. BECKETT FRA ETICA E POLITICA Un'altra sorprendente novità dell'ultimo teatro di Beckett è la sua esplicita apertura verso la politica. Per tutta la sua carriera letteraria Beckett si era astenuto dal commentare direttamente questioni politico-ideologiche. Nell'ultimo anno della sua attività drammaturgica (1982), Beckett rispose all'appello rivoltogli dai difensori dei diritti umani di contribuire a una serata in favore del drammaturgo ceco dissidente Vaclav Havel, allora incarcerato: la sua risposta su il dramaticule Catastrophe, in cui la riduzione della soggettività del protagonista (P) è compiuta in diretta in scena ad opera del regista (D), che ambisce a realizzare uno spettacolo in cui l'attore non solo non abbia il diritto di parola, ma sia anche sottoposto al divieto di intercettare lo sguardo dello spettatore (soggettività zero, simbolizzata dal colore uniformemente grigio del suo aspetto fisico); tutto funziona secondo copione fino all'ultimo momento, quando improvvisamente l'attore-protagonista compie una micro- ribellione dalle notevoli implicazioni politiche, poiché alza la testa e osa guardare il pubblico negli occhi, mettendo così fine al finto applauso della platea, pre-registrato da D. L'opera fu così di grande impatto che di lì a poco il drammaturgo Havel fu rilasciato e poi nominato primo presidente della nuova Repubblica Ceca e Becket fu ringraziato nel suo primo discorso ed elevato ad icona ideale della rivoluzione. IL TEATRO CONTEMPORANEO IL MITO DELLE ORIGINI Fino agli inizi degli anni 50 del secolo scorso, il teatro inglese, a differenza del romanzo e della poesia, sembra proseguire in modo autoreferenziale, riproponendo all'infinito il modello della wellmade play e della sitting- comune ad altre commedie degli anni 70 e 80. Gli anni 80 consacrano Hampton come uno dei più importanti drammaturghi del dopoguerra. Nel 1983 il National Theatre mette in scena Tales from Hollywood, dramma che tratta il tema degli emigrati europei e degli esiliati dal nazifascismo e ruota intorno alla figura di Odon von Horvat; l'opera indaga sull'ipotetico soggiorno americano di Horvat (che in realtà era morto prima di approdare in America), mettendo in luce presunti incontri e scontri con quella che era l'intellighenzia della prima metà del secolo (come Bertolt Brecht) e con quelli che erano i miti hollywoodiani (come Greta Garbo); il dramma gioca con la presunta memoria di Horvat, rendendolo rendendo memorabile e vero ciò che storicamente è falso. Negli anni 90 Hampton si dedica quasi esclusivamente al cinema, non solo come sceneggiatore ma anche come regista: il debutto alla regia con Carrington gli vale il Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes nel 1995, e nello stesso anno scrive la sceneggiatura di Total Eclipse. L'ultima prova cinematografica di Hampton è Imagining Argentina, presentata con scarso successo a Venezia nel 2001; nel 2002 Hampton torna al teatro con Talking Care. IL NUOVO TEATRO POLITICO: HOWARD BRENTON E DAVID HARE Negli anni successivi al 68, che in Inghilterra non ebbe effetti politici dirompenti come nell'Europa continentale, si affaccia sulla scena teatrale un gruppo di giovani autori che presentano tratti comuni: Howard Brenton; David Hare; David Edgar; Howard Barker; Stephen Poliakoff. Tutti questi drammaturghi, che hanno un comune background socio-culturale, avendo frequentato le più prestigiose università inglesi, come Cambridge e Oxford, mettendo in discussione gli schemi tradizionali del teatro del dopoguerra, sia quelli del teatro politico che quelli del teatro cresciuto all'ombra di John Osborne. Brenton, dopo una serie di drammi scritti per le compagnie fringe, si segnala con Magnificence (1973), dove un gruppo di squatters progetta un attentato contro un ministro. Caratteristica di Brenton è quella di denunciare i pericoli della democrazia inglese attraverso drammi ambientati nel passato recente e remoto, o addirittura nel futuro. Weapons of Happiness (1978) è ambientato in un'Inghilterra fascista del dopoguerra; The Romans of Britain (1980) ha al centro la colonizzazione romana dell'Inghilterra, ma il reference ultimo è sempre il presente, con l'Irlanda di oggi che soffre dell'occupazione e dei massacri ad opera dei romani dei nostri giorni, gli inglesi; The Genius (1983) si basa sul rapporto scienza- politica; Bloody Poetry (1984) è una satira del mondo del giornalismo inglese e in particolare sul monopolio dell'informazione. Negli anni 90, Brenton inizia la sua collaborazione con Tariq Ali, con il quale scrive Iranian Nights (1989). Il percorso drammaturgico e politico di David Hare parte dal Portable Theatre, con l'intenzione di creare una compagnia “mobile” che potesse portare il teatro al di fuori dei canali istituzionali, nelle piazze, nelle fabbriche e nelle palestre. Dopo l'esperienza del Portable Theatre e i primi drammi, Hare fonda la Joint Stock Company, la più interessante compagnia teatrale alternativa degli ultimi trent'anni, per la quale scrive Fashen (1975), che narra la Rivoluzione cinese attuata in un piccolo villaggio. Nel 1978 va in scena Plenty al National Theatre, dramma che consacrerà Hare al grande pubblico: protagonista del dramma è Susan che vede traditi i suoi ideali degli anni 40, andati in frantumi fra mille compromessi del secondo dopoguerra; la commedia copre un'arco di vent'anni e offre un ritratto di donna vitale, ma sconfitta dalla storia. Diverso è invece il caso della trilogia, dove Hare dipinge un ritratto spietato delle tre grandi istituzioni britanniche: la chiesa anglicana (Racing Demon, 1990), il sistema giudiziario (Murmuring Judges, 1991) e il Labour Party (The Absence of War, 1993). SARAH KANE Negli anni 90 il teatro inglese vede il fiorire di nuovi autori che raccolgono l'eredità di drammaturghi di rottura come E. Bond, D. Edgar, C. Churchill, H. Barker. Questi nuovi drammaturghi, i “New angry young men”, si formano nel periodo di massima affermazione del thatcherismo, quando il profitto era l'unico metro di valutazione, e la società e il tessuto sociale venivano rapidamente sflilacciandosi, generando sacche di povertà, violenza ed emarginazione. Il nuovo teatro, definito “in-yer-face theatre” è un teatro che non allude, ma ostenta; è un teatro che vuole scioccare e turbare il pubblico portando all'estremo sia il linguaggio che le immagini rappresentate, mettendo in discussione quelle regole, morali e sociali, che sono state imposte e non scelte. Questa scelta di un teatro esperienziale ha le sue radici teoriche nel teatro della crudeltà di Artaud. Drammaturghi come Sarah Kane sviluppano un'estetica dell'eccesso, dove il linguaggio aggressivo e le azioni esplicite quasi esasperano lo spettatore, le cui emozioni montano scena dopo scena. L'evento che ha cambbiato le scene inglesi degli anni 90 è la messinscena di Blasted (1995) dell'allora ventiquattrenne Sarah Kane al Royal Court Theatre Upstairs, un teatro sperimentale da sessanta posti. La critica attaccò duramente la Kane definendo Blasted “una disgustosa sagra della porcheria”, “dramma delle atrocità”, “degradazione allo stato naturale”; quello che turbava e indignava la critica benpensante era la violenza esplicita, gli stupri, gli atti di cannibalismo. Caratteristica del teatro della Kane è la continua ricerca di una drammaturgia nuove, diversa. Nella sua breve carriera, Sarah Kane, pur facendo tesoro delle esperienze precedenti, ha sempre cercato un approccio nuovo senza fermarsi ai risultati raggiunti. Nel 1998 vanno in scena due suoi drammi: Cleansed, ambientato in un campus universitario trasformato in una sorta di campo di concentramento, e Crave, la cui struttura ricorda la drammaturgia beckettiana, dal momento che ci sono quattro personaggi identificati da quattro lettere (A, B, C e M) e nessuna didascalia. L'ultimo dramma di Sarah Kane è 4.48 Psychosis, andato in scena dopo la sua morte nel 2000: il dramma esplora ciò ce accade nella mente di una persona quando le barriere fra realtà e immaginazione scompaiono; il titolo fa riferimento alla presunta ora della notte quando sono maggiori suicidi.