Scarica Riassunto manuale di letteratura e cultura inglese Crisafulli Elam e più Dispense in PDF di Letteratura Inglese solo su Docsity! Manuale di letteratura e cultura inglese a cura di Lilla Maria Crisafulli e Keir Elam Parte prima Il Medioevo Introduzione La storia dell’isola britannica nel Medioevo è caratterizzata da ondate successive di invasioni e dal conseguente susseguirsi di scontri e incontri tra etnie e culture, la compresenza sullo stesso suolo di più lingue, che contribuirono tutte, seppur in diversa misura, alla formazione della lingua nazionale. Nel 410 le ultime guarnigioni romane abbandonarono definitivamente l’isola e i Britanni (popolazione celtica, parte centrale e meridionale) dovettero contrastare la calata di nuovi invasori dalla Scozia settentrionale (<il Venerabile Beda nella sua Historia Ecclesiastica Gentis Anglorum 731 ca.); i Britanni fecero appello a una popolazione germanica, i Sassoni, stanziati allora alle foci dell’Elba, i quali, seguiti da Angli e Iuti, presero possesso dell’isola a partire dal 450 circa. Gli invasori anglo-sassoni parlavano una lingua di ceppo, che si evolse indipendentemente dal celtico e dal latino fino a dare origine all’anglo-sassone, o Old English, strumento di espressione delle prime opere della letteratura inglese; se l’anglo-sassone non subì sostanziali variazioni a seguito delle ripetute invasioni danesi, a cambiare radicalmente la storia della lingua inglese venne la conquista normanna, che si concluse nel 1066 con la sconfitta dell’ultimo re sassone Harold II a Hastings ad opera di William the Conqueror. I normanni parlavano una varietà di francese detta franco-normanno, essi rimasero strettamente legati alle proprie origini continentali, tanto sul piano politico e amministrativo quanto su quello linguistico e culturale: il linguaggio ufficiale della corte e della politica era il franco-normanno, quello della chiesa e della cultura “alta” il latino, mentre gli abitanti originari, ridotti a sudditi, continuavano ad usare l’anglo-sassone. L’Old English subì progressivamente gli effetti della vicinanza del francese, fino a trasformarsi in una lingua composita (con numerosi influssi neolatini), il Middle English. L’oscillazione tra il mondo germanico e quello neolatino attribuì alla letteratura inglese delle origini un marcato ibridismo, ciò si nota nell prassi di rielaborare i prestiti ricevuti per adattarli alle esigenze del pubblico locale e piegarli alla trasmissione di messaggi specifici e contingenti. Per questo motivo è normale che il sommo narratore inglese del ‘300, Geoffrey Chaucer, non solo eleggesse a protagonisti della sua raccolta di novelle un gruppo di pellegrini appartenenti esclusivamente alla fascia media, ma anche che scegliesse per ognuno di loro, nell’ambito del vasto patrimonio della tradizione narrativa contemporanea, la storia più appropriata e verosimile nonché adeguate modalità espressive e un appropriato linguaggio. La letteratura inglese medievale è dunque un fenomeno complesso e polifonico nella forma e nei contenuti, sul quale la cultura ecclesiastica ha compiuto un’opera di livellamento minore di quanto non si sia a lungo sostenuto, e che va vista anche nelle sue implicazioni di ceto e di genere. Data la sua specificità cronologica e culturale l’analisi della letteratura delle origini della letteratura delle origini comporta l’adozione di postulati teorici e criteri metodologici diversi da quelli utilizzati nello studio della letteratura moderna; è necessario avere consapevolezza della sua alterità, conseguenza del fatto che le opere si collocano a cavallo tra la produzione orale e quella scritta e all’interno di una tradizione la cui 1 conoscenza era indispensabile alla loro fruizione. I testi ci sono inoltre giunti in larga misura anonimi, spesso in un’unica redazione di qualche secolo più tarda e fortemente influenzata dal dialetto degli scribi, ciò che ne rende difficoltosa tanto la collocazione geografica quanto un’attribuzione cronologica sufficientemente precisa da rendere credibile la speculazione critica sulle modalità della loro produzione e fruizione. La soppressione dei monasteri iniziata nel 1525 e ripresa nel 1539 ha drasticamente ridotto il numero delle opere a noi tramandate. Il processo di evoluzione subìto dalla lingua è un ulteriore motivo per cui la letteratura medievale ha avuto un lungo periodo di latenza, fino alla rivalutazione romantica. La storia della letteratura inglese delle origini è stata dunque ricostruita sulla base di una documentazione frammentaria e casuale, spesso recuperata e ripristinata in contesti culturali del tutto differenti. Ne è esempio estremo proprio il Medievalismo romantico, che in Inghilterra si assunse il compito di una ricerca delle origini tesa a sottolineare la continuità delle tradizioni autoctone. Convinti che fosse possibile ricostruire le proprie tradizioni anche in assenza di documentazione certa, essi hanno colmato ogni evidente lacuna con la fantasia, cercando di supplire a quanto mancava di ricostruire la forma originaria delle opere intervenendo su di esse con determinazione, a volte correggendo, completando e semplificando, e altre sostituendo con testi di completa invenzione. Da Beowulf a Malory 1. La letteratura in Old English La cultura anglo-sassone trovò dapprima terreno fertile nelle regioni del nord del paese (città di York); venne poi soffocata dalle invasioni danesi, fino a che re Alfred (849-899) creò un nuovo centro culturale nel Wessex. Quasi tutti i poemi anglo-sassoni che possediamo ci sono giunti in quanto manoscritti: il Cotton Vitellius A 15, Lo Exeter Book, il Vercelli Book e lo Junius XI. Due sono le caratteristiche formali distintive della poesia in Old English: il metro allitterativo e l’uso di un linguaggio fortemente formulaico. Beowulf, poema di 3182 versi, unico esemplare della poesia eroica del suo tempo, fu composto presumibilmente all’inizio dell’VIII secolo da un poeta della Northumbria o della Mercia, ci è giunto in una redazione più tarda che possiamo far risalire approssimativamente all’anno 1000, nel dialetto del Wessex e in unico manoscritto. Sebbene Beowulf narri la vicenda di un eroe scandinavo e abbia espliciti riferimenti al mondo pagano e misterico della saga nordica nei combattimenti con draghi e troll, esso dia prova anche di influssi cristiani. Beowulf, guerriero dei Geati, popolo della Svezia meridionale, giunge in soccorso del re danese Hrothgar, che vede la propria sala, a più riprese invasa da Grendel, essere mostruoso e cannibale apparentemente invincibile. Egli rispetterà in pieno il codice di comportamento eroico che il re Hrothgar gli recita nel corso del banchetto in suo onore; eppure la sua abilità viene in un primo momento messa in dubbio secondo una formula narrativa ricorrente. Beowulf ucciderà il mostro, ma dovrà poi fare i conti con la madre di questi. L’eroe la combatterà inseguendola, fino alla sua tana in una caverna sottomarina, nella quale si immergerà per uscirne vincitore, nonostante la sfiducia dei compagni che lo abbandonano. Nella seconda parte del poema, parecchi anni dopo, Beowulf è il sovrano dei Geati che, ormai vecchio, è chiamato a combattere un orrido drago. L’eroe è di nuovo vincitore ma quest’ultimo combattimento lo conduce alla morte. 2 il cavaliere a decapitarlo con un solo colpo, poi si alza e porta con sé la testa, promettendo a Gawain di restituire il colpo un anno dopo. L’anno seguente Gawain muove verso il nord dell’Inghilterra, alla ricerca della cappella verde, luogo della sfida; viene ospitato per tre giorni nel castello di Sir Bertilak che lo invita a un ulteriore gioco: lo scambio serale del bottino conquistato nel corso della giornata; Gawain riceve tutti i proventi delle battute di caccia del cavaliere, a questi può dare solo i baci che ottiene dalla moglie del suo ospite, ma alla fine del terzo giorno gli nasconde il dono di una cintura verde destinata a dargli invulnerabilità. Gawain scopre che il cavaliere verde è proprio Sir Bertilak trasformato dalla fata Morgana, il quale infligge un leggero ma permanente colpo sul collo a perenne rimprovero del suo atto di viltà. Lo sfidante di Gawain è un essere sovrannaturale che richiama il mondo naturale, egli lo invita a rinnovare la tradizione del beheading game e che il tempo prescelto per la storia sia il ciclo annuale, sono tutti fattori che testimoniano l’incontro del romanzo cavalleresco cortese e continentale con il folk-tale di provenienza celtica e popolare. Collocare una vicenda che appartiene a un passato mitico (l’origine della nazione inglese viene ricondotta allo sbarco di Enea sulla costa italiana) in un’Inghilterra facilmente identificabile e delineata con dettagli contemporanei, per il desiderio di attualizzare il romanzo cavalleresco e per rintracciare una sorta di mitologia delle origini della propria nazione all’interno della tradizione classica e continentale. Forse la materia era già presente in un romanzo precedente andato perduto, ma la trama dinamica e coinvolgente e la maestria con cui i vari motivi vengono dapprima alternati e infine intrecciati sono da attribuirsi al “Gawain-poet”. Partendo dalla forma del roman courtois francese, ha descritto la vita della nobiltà del Medioevo in un’opera fondamentalmente aristocratica, staccandosi però dal suo modello accostando al piano di lettura di superficie (piacere dell'avventura) un livello più profondo (valutazione della vicenda di tipo morale). La finalità etico-didattica è sottolineata dai tre poemetti religiosi; Cleannes narra del diluvio universale e della caduta di Babilonia e Patience riferisce la storia biblica di Giona, Pearl è un tipico esempio di dream-poem, genera tto a descrivere un’esperienza di tipo visionario, come un sogno del narratore: la fonte di essa è l’Olympia di Boccaccio, in cui il poeta narra di essersi addormentato di e di aver visto una fanciulla la di là del fiume, oltre il quale c’è il paradiso; il poeta cerca di raggiungerla, ma cade nel fiume e si sveglia. L’interpolazione di diverse tradizioni fa sì che l’ambientazione iniziale di stampo cortese si fonde col sogno di impronta classicheggiante e con la visione cristiana della Gerusalemme celeste. Il maggior esempio di dream-poem è The Vision of Piers Plowman di William Langland, arrivato a noi in tre diverse redazioni degli anni 1370-1390; la narrazione, in versi allitterativi, riferisce di come il poeta si addormenti e si ritrovi in mezzo a una schiera di persone nella piana tra la torre della Verità e la segreta del Male, Sebbene l’ambientazione sia allegorica, il racconto procede sulla base di dettagli concreti e attuali: la folla è composta da baroni, borghesi e contadini, con rappresentati di innumerevoli arti e mestieri, come se fosse il gruppo di pellegrini delle novelle di Chaucer The Canterbury Tales. Il dream-poem deriva dalle letterature classiche e dalle Sacre Scritture, consente di narrare tramite le due voci del poeta e del sognatore, che spesso divergono, il viaggio di un essere umano in un mondo al di fuori dell’esperienza ordinaria, alla ricerca di una verità assoluta. 5 3. Geoffrey Chaucer e le origini della letteratura inglese moderna Geoffrey Chaucer fu colui che descrisse al meglio la cultura e la società inglese di metà ‘400; nacque a Londra intorno al 1340, rappresenta quella borghesia che stava acquisendo molta importanza nel contesto sociale ed economico dell’Inghilterra del tempo: era figlio di un mercante di vini, divenne paggio presso la corte di Edward III, fece parte delle truppe inglesi che combatterono in francia nel 1359 (durante la guerra dei Cent’anni) e sposò una dama di corte della regina di nome Philippa; godette del favore del duca di Lancaster John of Gaunt, per la morte di sua moglie compose The Book of the Duchess (1369). Scrisse saltuariamente, ma solo nell’ultima fase della vita, prima della morte nel 1400, si dedicò maggiormente alla letteratura, al pari del contemporanea John Gower, che scrisse in latino, francese e inglese, chaucer recepì le diverse tradizioni letterarie antecedenti, delle quali riconobbe l’auctoritas ma che rielaborò riadattandole ai tempi. La conoscenza dei contemporanei italiani e francesi aprì la via a percorsi che si affermeranno nella letteratura successiva, oltre all’impatto che ebbe sulla lingua inglese, causando la presa di potere ufficiale per la letteratura del dialetto londinese. Nel Book of the Duchess ripropone l’espediente del sogno, in ottonari a rima baciata (metro tipico del romance francese); l’espediente del sogno è presente anche nel The House of Fame (1378-1380, ancora tipicamente medievale), in cui dimostra tuttavia una più approfondita conoscenza dei classici e della letteratura italiana, insieme all’opera più matura del The Parliament of Fowles (1378 ca.). Al genere romances dedicò Troilus and Criseyde (1382-1386), derivato dal Filostrato di Boccaccio, su cui si innestano prestiti dal Roman de Troie di Benoit de Saint-Maure e della Historia troiana di Guido delle Colonne, oltre a spunti da Boezio a Dante. In alcune parti seguì fedelmente la fonte boccaccesca, compiendo un’opera di traduzione medievale, aggiungendo circa 2000 versi dedicati al travaglio psicologico e morale dei personaggi. Nel Filostrato, il narratore coincide col protagonista, mentre il narratore di Chaucer è una figura esterna, ma della quale il lettore percepisce la continua presenza: egli comunica direttamente con il lettore, condividendo la propria difficoltà nel trattare la materia amorosa di cui non ha esperienza personale e sollecitando la comprensione del lettore. The Canterbury Tales (terzo quarto del secolo XIV) si basano su un impianto a cornice che racchiude una serie di racconti alla maniera del Decameron di Boccaccio; il pretesto è quello di un gruppo composito di 28 pellegrini che si ritrovano presso il Tabard Inn di Southwark, sulla riva sud del Tamigi, per un pellegrinaggio verso Canterbury, ove renderanno omaggio alla tomba del martire Thomas Becket. L’oste della taverna decide di aggregarsi alla compagnia e per ingannare il tempo durante il viaggio propone una sorta di certame letterario: i partecipanti dovranno narrare due novelle all’andata e due al ritorno. Una cena al momento del rientro premierà colui che avrà narrato il racconto migliore. La raccolta non venne mai completata e presumibilmente alcuni dei racconti che compaiono nei numerosi manoscritti dell’opera riconducibili al XV secolo era già stati scritti prima che Chaucer iniziasse a concepirne l’impianto. Il narratore si unisce a sua volta al gruppo di pellerini e nel General Prologue li presenta al lettore con l’ordine in cui sono apparsi durante la prima serata, dichiarandone lo status sociale e descrivendone l’abbigliamento e l’atteggiamento. Il narratore si propone come una persona timida e poco dotata, la cui scarsa abilità letteraria gli consentirà solo di riferire parola per parola in maniera fedele quello che accadrà e quello che verrà detto durante il viaggio. Tuttavia il narratore è dotato di notevole ironia e in grado di creare uno stile capace di abbattere le tradizionali barriere tra materia scritta e narrazione orale. La persona di più alto grado civile 6 è un cavaliere e quella di più alto grado ecclesiastico è la priora di un convento: la classe media viene rappresentata nelle sue molteplici componenti e nell’ampio ventaglio delle sue scelte di vita. Chaucer visse durante grandi cambiamenti, come i conflitti della rivolta dei contadini fino alla caduta di Richard II, che cambiarono fisionomia alle lotte politiche, l’espansione economica faceva sempre più del denaro uno strumento di potere, il livello culturale e la literacy si alzarono mentre l’inglese si affermava come lingua nazionale. Il controllo della chiesa e del clero sulla cultura e sulla politica veniva per la prima volta seriamente messo in discussione. Chaucer descrive quindi un’immagine composita e contraddittoria della società del suo tempo: se le citazioni dalla Bibbia e dalla letteratura classica sono usate come strumenti per affermare il proprio diritto alla parola, Chaucer tuttavia consente a un personaggio come la Wife of bath di anteporre l’autorità della propria esperienza a quella libresca. La Wife of Bath è sanguigna e loquace, una drappiera che nel prologo della sua narrazione dà un resoconto anticonformista della sua vita coniugale con ben 5 mariti; è un motivo di orgoglio per lei è l’indipendenza che le deriva dell’attività di tessitura e tinteggiatura deitessuti che le è stata lasciata in eredità da uno dei consorti e che le consente di potersi permettere sontuosi vestiti,di compiere pellegrimaggi fin in Terra Santa, nonché di vincere are di generosità per la beneficenza. Il cavaliere protagonista del suo racconto mina la cortesia della letteratura cavalleresca, creando una rinnovata percezione della materia e dei protagonisti del romance. Lo stile di Chaucer gli permette di attribuire ad ogni personaggio una voce narrante sempre diversa e adeguata al suo status, alla sua coltura e al suo temperamento e di riconoscere anche a personaggi marginali all'interno della cultura del tempo , come le donne, i mercanti, gli artigiani e il piccolo clero, il diritto di parlare e di essere ascoltati. Ciò avviene con l’infedele May di The Merchant’s Tale, che manipola il linguaggio per farne strumento di inganno nei confronti del marito, ma anche con la paziente Griselda nel Clerk’s Tale, che è costretta a rinunciare alla parola essendo priva di qualsiasi bene di sua proprietà, inclusi i vestiti che indossa. La composizione sociale dei pellegrini giustifica l’uso di diversi generi letterari, dal romance al racconto religioso e agiografico, fino al fabliau. Il fabliau proviene dalla Francia, era diffuso molto nel mondo universitario; si tratta di un genere popolare, parodico, che irride ogni forma di autorità e austerità, prendendosi gioco delle difficoltà della vita quotidiana. Alla letteratura moralistica e agli intenti pedagogici degli exempla ecclesiastici viene opposta una visione più laica con il proposito del mero intrattenimento. 4. Il teatro medievale Non è ben noto il confine tra le rappresentazioni ecclesiastiche in latino/tropi diffusi in Inghilterra nel X secolo e i cicli di drammi biblici del XIV e XV secolo. Le prime rappresentazioni si svolgevano nelle chiese, tre diaconi, travestiti da Marie, si recava presso un altare che fungeva da sepolcro per sentirsi rivolgere da un diacono (che personificava un angelo) la rituale domanda “Quem quaeritis in sepulchro, o Christicolae?”; i tropi avevano una funzione prevalentemente esegetica, contenevano già l’idea del travestimento e della personificazione, l’indicazione di spazio e luogo dell’azione e il dialogo, ossia elementi fondamentali della drammaturgia. In Inghilterra la storia dello spettacolo nel ‘300 proponeva una fioritura di drammi ispirati alla Bibbia, che si svolgevano in spazi aperti, che erano in volgare, che accostavano agli eventi biblici degli episodi contemporanei ed erano finanziati dalle guild, le corporazioni di arti e mestieri. Nel momento in cui uscirono dallo spazio 7 contraddizione tra loro. Il processo di riscrittura e riadattamento è indice di una consapevolezza del cambiamento dei tempi e della trasformazione delle mentalità che il tempo in cui visse comportava; le contaminazioni testimoniano la sua chiave di lettura sulla vicenda arturiana, diversa da una nostalgica ripresa di una letteratura del passato e molto più vicina alla sua epoca contemporanea (con l’ardente difesa del suolo britannico e l’esaltazione della nazione). Malory non era interessato a celebrare un re e un passato per degradare il presente, ma voleva confrontare presente e passato per sottolineare le somiglianze e le differenze implicite nella transizione verso nuove situazioni sociali e politiche. Per questo motivo i cavalieri sono personaggi concreti e articolati, molto meno soggetti al destino e più capaci di farsi artefici della propria sorte. Anche la rielaborazione del genere romance è significativa poiché indica la consapevolezza della divergenza tra storia e finzione e attribuisce alla letteratura un ruolo essenziale nella rappresentazione di un mondo in cui gli aspetti contraddittori della realtà potevano paradossalmente coesistere. Il Cinquecento Introduzione Il ‘500 inglese iniziò con la visita dell’illustre ospite straniero Erasmo da Rotterdam, tra l’estate del 1499 e il gennaio 1500. Ciò era testimonianza dell’esistenza di una cultura umanistica già degna della sua attenzione, in un secolo fatto di riforme religiose, scolastiche e sociali che avrebbero portato l’Inghilterra alla ricchezza culturale e letteraria della dinastia Tudor. Era una delle nazioni più avanzate in materia degli studi classici e umanistici, con intellettuali come John Colet, William Grocyn, Thomas Linacre e Thomas More; la cultura umanistica era così radicata grazie a re Henry VII appassionato delle nuove scienze umane e patrono degli studi e delle arti, infatti la sua corte, ispirandosi al modello italiano, fu il punto di riferimento per studiosi e scrittori come More e il poeta John Skelton. In Inghilterra il Rinascimento rallentò il suo arrivo per le arti visive, la “nuova” musica e per il teatro laico (fine ‘500), ma era già diffuso il lavoro per le traduzioni e la scrittura; nacque poi una fiorente editoria, partendo negli anni ‘70 del ‘400 con l’apertura della tipografia di William Caxton, che stampò come prima opera un’edizione dei Canterbury Tales di Chaucer,, nel 1476, per sottolineare la vocazione letteraria della nuova tecnologia e anche l’esistenza di una tradizione letteraria indigena, che la nuova editoria avrebbe contribuito a riprendere e a diffondere. Ebbe assoluta importanza durante il ‘500 la pubblicazione a stampa di varie opere religiose (come la Great British Bible del 1538 e il Book of Common Prayer del 1549), politiche e filosofiche (come l’Utopia di Thomas More del 1516), morali e pedagogiche (come The Schoolmaster di Roger Ascham del 1570 e la traduzione di Thomas Hoby del 1561 del Cortegiano di Baldassarre Castiglione). Il ‘500 inglese vide 5 regni, fra i quali quello di Elizabeth, che da solo coprì mezzo secolo (1558-1603). Henry VIII impegnò la maggior parte delle sue energie e del tesoro nazionale nelle guerre religiose in Europa, anche se continuò a offrire il patronato nei confronti degli studi umanistici a poeti aristocratici come Sir Thomas Wyatt e Henry Howard, conte di Surrey, ai quali viene attribuita l’introduzione nella letteratura inglese del sonetto. Henry incoraggiò la diffusione della cultura tramite una politica scolastica piuttosto illuminata, soprattutto dopo la Riforma e l’Act of Supremacy del 1534, con la sovranità del re sulla chiesa e sui suoi beni, portando alla chiusura delle scuole ecclesiastiche che furono sostituite con le grammar schools aperte anche a figli di famiglie non benestanti. Il maggior numero di queste scuole venne aperto da re Edward VI, molte delle quali presero il suo 10 nome, compresa quella a Stratford-upon-Avon. L’accesso all’istruzione più o meno gratuito creò la possibilità per tutta una generazione di scrittori elisabettiani, come Christopher Marlowe e Ben Jonson, di istruirsi nonostante le loro origini relativamente umili. Il periodo maggiormente associato al Rinascimento inglese è quello elisabettiano, intorno alla figura di Elizabeth infatti nacquero alcuni tra i più significativi esperimenti letterari inglesi, come il grande poema epico The Faerie Queene (1590) di Edmund Spenser e le grandi opere del più celebre cortigiano dell’epoca, Philip Sidney. Ci fu anche una grande fioritura di generi letterari, dalla poesia epica (The Faerie Queene) a quella pastorale (The Shepheardes Calender, di Spenser, 1579) al canzoniere (Astrophel and Stella di Sir Philip Sidney, 1591); dalla saggistica (gli Essays di Francis Bacon, 1597) alla prima narrativa in prosa (Euphues: The Anatomy of Wit di John Lyly, 1578, e The Unfortunate Traveller di Thomas Nashe, 1594). Il teatro ebbe la sua nascita ufficiale nel 1576 con la costruzione del primo teatro pubblico, il The Theatre, precursore del Globe Theatre, ma l’esplosione della drammaturgia letteraria avvenne solo alla fine degli anni ‘80, con la sconfitta dell’Armada Invencibile del 1588, grazie anche all’arrivo sulla scena della prima generazione di drammaturghi professionisti, gli “University Wits”, come Thomas Kyd, Robert Greene e Christopher Marlowe. Tantissime e importanti furono le traduzioni, spesso dall’italiano, che influenzarono in modo determinante la letteratura e il teatro: fra le più significative possiamo citare I suppositi di Ariosto, tradotti da George Gascoigne nel 1566 (fonte per The Taming of a Shrew di Shakespeare), le novelle di Bandello, tradotte dal francese da Geoffrey Fenton nel 1567, la Storia d’Italia di Guicciardini, tradotta da Fenton nel 1579, la Civil conversazione di Guazzo, tradotta da George Pettie nel 1581, l’Orlando Furioso di Ariosto tradotto da Sir John Harington nel 1591, la Repubblica e magistrati di Venezia di Contarini, tradotta da Lewis Lewkenor nel 1599… Machiavelli, censurato, dovette aspettare il ‘600. L’apertura verso altre culture letterarie, grazie a grandi mediatori culturali come John Florio (traduttore di Montaigne e guida alla lingua e cultura italiana) permise alla letteratura elisabettina di maturare e arricchirsi. Numerosi furono poi i contributi dalla Scozia, con l’affermarsi di autori come Gavin Douglas, autore della prima traduzione in inglese dell’Eneide, e i poeti William Dunbar e David Lyndsay, autore del celebre dramma morale A Satire of Three Estates. Il termine Renaissance, originalmente proposto dagli storici ottocenteschi, specie Jacob Burckhardt, con riferimento all’Italia e alle arti visive, non è accurato al contesto del ‘500 inglese, che poco ha a che fare con l’Italia di Leonardo e Michelangelo. Perciò viene spesso preferita la dicitura early modern, anche se il periodo storico così definito viene solitamente esteso anche al ‘600. I predecessori di Shakespeare morality plays e interludi 1. Il teatro delle moralità Sebbene i mystery plays continuassero ad essere rappresentati, il ‘400 vide l’emergere di un altro tipo di teatro, quello delle moralità, di natura allegorica e didattica. Le novità dei morality plays, sebbene fossero anche questi di natura edificante, erano che l’argomento non fosse tratto dalle Sacre Scritture, ma trovava la sua origine nel sermone medievale e nella letteratura devozionale; le rappresentazione non erano più connesse a festività religiose, ma potevano avvenire in vari momenti dell’anno: proprio per questo gli esecutori dei morality plays potevano portare i loro spettacoli on tour ed esibirsi in più località= inizio della 11 professionalizzazione dell’attività attoriale, perché, a differenza dei membri delle corporazioni delle arti e dei mestieri che mettevano in scena i mystery plays, gli attori dei morality potevano svolgere la loro attività per periodi di tempo più lunghi. Tutti i personaggi delle moralità sono astrazioni, si tratta di una psicomachia (quella del poeta tardo-latino Prudenzio è la più antica allegoria medievale e dà origine a una lunga tradizione di lavori come il Roman de la Rose francese), il conflitto tra i sette peccati capitali (i Vizi) e le sette virtù per il possesso dell’animo umano; il protagonista è il rappresentante dell’intero genere umano e la vicenda rappresentata è allegorica, vengono drammatizzate la tentazione, la caduta e la redenzione dell’anima (solitamente in extremis), tramite la penitenza. The Castle of Perseverance, scritta nel 1475, e The Pride of Life, risalente alla metà del XIV secolo, di cui abbiamo solo un frammento di 502 versi, sono gli esempi più celebri. Il primo è un dramma molto lungo (3700 versi) e complesso, con 35 personaggi: si tratta della parabola spirituale, dalla nascita al giorno del giudizio, del personaggio Umanità (Humanum genus). Ci è stato tramandato il play nel manoscritto “Macro”, che contiene anche una pianta annotata, da cui si vede che veniva messo in scena all’aperto, in uno spazio circolare chiamato place, circondato da un fossato, con al centro un castello, sotto al quale era posto il letto di Umanità; c’erano poi 5 palchi, riservati a Dio, alla carne, al Mondo, al Diavolo (Belial) e all’Avarizia. Nel manoscritto Macro ci sono altre due moralità: Wisdom (1460) e Mankind (1475), la quale è molto diversa da The Castle of Perseverance, poiché molto breve (1000 versi) e con solo 7 dramatis personae (perfetta per una compagnia itinerante), inoltre il tono dà maggiore concretezza alla presentazione dei personaggi, con il dominio di routine comiche messe in atto dai Vizi, che rappresentano la vita terrena e sono capeggiati da Mischief e aiutati dal diavolo Titivillus. La comicità di Mankind è spesso scurrile e i Vizi sono dei buffoni che si lasciano spesso al turpiloquio e a scherzi, le oscenità del dramma non solo in contrasto con il suo scopo edificante, tuttavia, perché Mankind si chiude con la disperazione e il pentimento del protagonista, mentre l’epilogo è recitato da Mercy. La volgarità dei Vizi mette in risalto la risibilità del Male, la sua vacuità e la sua impotenza di fronte alla misericordia divina. Nell’epoca Tudor c’è il capolavoro del genere: Everyman, composto alla fine del ‘400, forse una traduzione di una moralità fiamminga, Elckerlijk; in 921 versi si narra di come Everyman, spaventato di fronte alla Morte, trovi soltanto Good-deeds disposto ad accompagnarlo fin nella tomba; il testo è introdotto da una lapidaria presentazione che dimostra come il genere abbia ormai acquisito piena autoconsapevolezza. 2. Il teatro del periodo Tudor La fine del ‘400, con la conclusione delle guerre civili durate 30 anni e l’avvento della dinastia Tudor, vede il graduale affermarsi degli interludi, rappresentazioni drammatiche eredi dirette delle moralità: esse reinventano la psicomachia, ora la lotta tra i vizi e le virtù diventa quella tra il nuovo sapere e l’ignoranza, come in The nature of the Four Elemnts di John Rastell (1520) e nei cosiddetti Wit-interludes, che comprendono l’interludio Wit and Science di John redford (1539), poi The Marriage of Wit and Science, anonimo del 1569-1570, e A Marriage between Wit and Wisdom di Francis Merbury (1579). Gli intervalli possono essere anche politici, il protagonista è ora il principe e l’obiettivo da raggiungere non è la salvezza, ma il buongoverno: questo è il caso di Magnyfycence di John Skelton e di Respublica, attribuito a Nicholas Udall. L’interludio assume poi i toni della polemica religiosa 12 è da considerare uno speculum principis e mirava a persuadere la regina a sposarsi e ad assicurare un legittimo erede al trono inglese. Questa opera, modellata su Seneca, fa parte di un gruppo di drammi di derivazione classica, con tragedie e commedie che venivano composte per essere messe in scena in scuole e università. Tra le commedie troviamo, oltre a drammi plautini notevolmente anglicizzati (come Ralph Roister Doister, 1553, di Nicholas Udall, e Gammer Gurton’s Needle, 1550-1554), anche The Supposes di George Gascoigne (1566), che adatta i Suppositi di Ariosto, divenendo la prima commedia inglese in prosa. Gascoigne scrisse anche una tragedia classicheggiante, Jocasta, in blank verse e messa in scena nel 1566 a Gray’s Inn. Alcuni interludi scritti tra gli anni ‘60 e ‘80 possono essere considerati “money plays”, così chiamati perché trattano tematiche di natura economico sociale, come The Cruel Debtor (1566, attribuito a William Wager), The Trial of Treasure (1567, anonimo), Enough Is as Good as a Feast (1571-1572, William Wager), The Tide Tarrieth No Man (1576, George Wapull), All for Money (1578, Thomas Lupton), The Three Ladies of London e il seguito The Three Lords and Three Ladies of London (1581 e 1588-1589, Robert Wilson). Bersaglio della critica contenuta in questi drammi è l’avidità, il materialismo che domina la società contemporanea e che genera corruzione anche nella giustizia e nella chiesa. Nei drammi di Robert Wilson la finalità edificante è ancora dominante, il frontespizio di The Three Ladies of London (pubblicato nel 1584) presenta il play come un esempio per gli stati; a differenza di quanto avveniva nelle moralità, nessun agente divino interviene nel finale a distribuire ricompense e punizioni, l’impianto del dramma è tuttavia allegorico e quasi tutti i personaggi sono astrazioni: le “three ladies” del titolo si chiamano Lucre, Love e Conscience, e i vizi sono Dissimulation, Fraud, Simony e Usury. Robert Wilson era anche attore in due importanti compagnie dell’epoca, i Lord Leicester’s Men e i Queen's Men; i suoi drammi, tuttavia, ci fanno capire come le moralità e gli interludi si pongano in un rapporto di continuità con il teatro elisabettiano del periodo successivo all’apertura dei teatri pubblici. Il “circolo More”, cioè la cerchia di intellettuali e letterati che gravitavano intorno a Sir Thomas More, Lord Cancelliere d’Inghilterra dal 1529 al 1532 e tra i maggiori rappresentanti dell’Umanesimo inglese, si possono ricondurre anche vari personaggi legati al teatro, come John Heywood, John Rastell, un avvocato di Coventry, cognato di More, che tra il 1508 e il 1512 fu stampatore: stampò la prima pubblicazione di gran parte dei lavori scaturiti dal circolo More, come Fulgens and Lucres di Henry Medwall (stampato nel 1515 e messo in scena nel 1479), primo dramma secolare inglese a noi giunto; The Nature of the Four Elements di Rastell e gli anonimi Calisto and Melebea e Gentleness and Nobility (entrambi del 1527 circa). Dopo essersi convertito al protestantesimo nel 1530, Rastell si allontanò dal circolo e mise la sua attività editoriale al servizio della propaganda anti-cattolica. Il figlio William continuò a divulgare i lavori del circolo More, pubblicando un altro play di Henry Medwall, Nature, nel 1530 e Pater, Filius, et Uxor di un anonimo, di cui sopravvive solo un frammento, oltre a tutti gli interludi di Heywood. I contemporanei di Shakespeare 1. Un teatro plurale Gli spettatori che tra il 1586 e il 1587 assistettero alla epocale Spanish Tragedy di Thomas Kyd, dovettero notare al provocatoria congiunzione di elementi familiari ma solitamente separati: l’intenzione poetica e l’esuberanza retorica, i richiami biblici e quelli 15 classicheggianti, la storia contemporanea incrociata al tema privato dell’onore. La pluralità del teatro è forse il tratto più sgargiante del teatro elisabettiano, anche se non sono certo minori la ricchezza di temi o la pluralità di stili capace di collassare in poche battute l’aulico e il grottesco, il poetico e il popolaresco. Lo scrittore di teatro elisabettiano interagisce con una rete il cui protocollo di accesso è il modello dell’autore come poeta, costituita da un repertorio sconfinato di fonti stilistiche e tematiche.L’interazione avviene in una nuova sede teatrale, aperta a un pubblico meno selezionato di quello degli spettacoli di corte, segnata da diversi limiti alla libertà di composizione. 2. Il modello poetico e le fonti L’autore elisabettiano deve decidere se presentarsi come una figura nuova di scrittore o come un esemplare moderno del poeta, già convalidato dalla tradizione classica e dal nascente canone inglese; il modello prevalente è proprio quello tradizionale, in uno scontro tra classici e moderni che vede gli autori di teatro ricorrere alla tradizione poetica per legittimare il loro lavoro. Il poeta è infatti figura di più facile difesa rispetto alle frequenti accuse dei nemici del teatro, che vorrebbero i poeti come istigatori all’imitazione dei vizi. L’opera teatrale è costretta a fare appello all’immaginazione dello spettatore e alla sua capacità di raffigurare la scena, creata dagli accorgimenti poetici e retorici, dallo stile elevato e iperbolico fino all'eccentricità e dal richiamo alla miriade di fonti. Repertorio immenso in un’epoca segnata da una sudditanza ineguagliata alle stesse fonti; il criterio generale che rende pertinenti tali fonti è l’allusione: il passato rimanda al presente, la storia antica, la Bibbia e la storia della chiesa, la storia rinascimentale, il passato della gloria inglese, alludono sempre all'attualità. L’elemento stranero illumina quello domestico, con cronaca, storia e letteratura che forniscono un contrappunto alla costruzione del passato inglese e della sua nascente potenza. Il privato esemplifica il pubblico: la sfera individuabile viene scesa fino a intrecciarsi col tema dell’autorità nella famiglia, nella chiesa, nella città e nello stato; l’allusione permette dunque all’autore di parlare di storia, religione e politica senza incorrere il più delle volte in reprimende. Ma l’imitazione riguarda anche i modelli formali ed espressivi; gli elisabettiani traggono i loro modelli proprio dai paesi con cui sono in guerra diretta o che sono la sede della depravazione e corruzione da loro collegata al cattolicesimo (il ciclo cavalleresco di origine francese, unito alla moda avventurosa spagnola, i modelli italiani della commedia e della pastorale, da cui vengono ripresi la scena l’intreccio tipico e lo stile di rappresentazione. Ciò viene contrastato da due prepotenti tradizioni autoctone, la didattica e la retorica; nella prima prevalgono i riferimenti alla Bibbia (i testi scritti, ma affidati alla memorizzazione tramite il ciclo di preghiere quotidiane), oltre alla passata tradizione delle moralities e dei mysteries, ma anche dai centoni di massime desunti tanto dai filosofi antichi quanto dai detti popolari.La seconda tradizione (la retorica) è presente negli elisabettiani non solo come un repertorio di tropi e figure, ma anche come una classifica di generi oratorii e di stili alti, medi e bassi, collegati allo status dei personaggi teatrali. Nel ‘500 si distinguono tra gli autori elisabettiani una fase di “imitazione” delle fonti, spesso ottenuta con la loro giustapposizione, e una successiva di loro “traduzione” poetica e tipologica. Il primo teatro pubblico inglese, The Theatre venne fatto costruire nel 1576 dall’attore e impresario James Burbage, in una zona a nord della città (dove sorgerà anche il Curtain. I principali teatri pubblici vennero costruiti però sulla sponda meridionale del tamigi, nelle liberties sottratte alla giurisdizione della city ma facilmente raggiungibili dagli abitanti, già 16 luogo di divertimenti come gli spettacoli con animali e i bordelli: il Rose (1587), lo Swan (1595), il Globe (1599), il Fortune (1600) e il Red Bull (1604). Il teatro aveva una struttura circolare a tre ordini di gallerie che davano su un palcoscenico a forma squadrata, su un cortile dove, sui tre lati, si poteva trovare posto in piedi a poco prezzo. Sopra la pedana erano appoggiate due colonne che reggevano lo spazio superiore ricollegandosi al tetto; il palco aveva due porte ai lati per l’ingresso e l’uscita degli attori e sopra un balcone; più simile al cortile degli interludi e allo spazio aperto usato per gli spettacoli con animali, piuttosto che al tradizionale spazio rinascimentale classicheggiante. Le rappresentazioni avvengono alla luce del giorno: la scenografia viene indicata con dei cartelli o crude immagini simboliche; le parti femminili sono interpretate da ragazzi; l’autore-attore deve appartenere a delle compagnie legalmente patrocinate da un nobile, altrimenti viene equiparato a un vagabondo. Il testo che scrive viene coralmente letto e corretto dalla compagnia e spesso è solo il nome di questa a comparire sul frontespizio delle opere pubblicate; il testo è concepito solo come una forma evanescente, una mera immagine, non necessariamente fedele alla rappresentazione. Il repertorio cerca di catturare ogni genere di spettatori, ripetendo allo sfinimento i successi di botteghino; l’opera poi deve superare il vaglio della censura regia, esercitata dal Master of the Revels, sia pure con un andamento eccentrico. Spesso i teatri vengono chiusi a causa di disordini e pestilenze. 3. L’imitazione: Lodge, Greene, Kyd Gli autori del teatro elisabettiano (tranne Jonson, Shakespeare e lo scrivano Kyd) provengono dalle università di Oxford e Cambridge, dagli Inns of Court della professione legale a Londra o comunque da qualche forma di istruzione scolastica superiore. Il teatro elisabettiano esordisca con degli scrittori che vantano studi di retorica, la conoscenza delle lingue classiche e non raramente un’infarinatura di altre lingue nazionali (italiano e francese); alcuni di loro compiono frequentemente viaggi all’estero, rendendosi mediatori culturali come Robert Greene e Thomas Lodge. Nonostante la tendenza a rimarcare la differenza artistica fra questi primi autori e Christopher Marlowe, per non parlare di Shakespeare, le loro opere compaiono a ridosso dell’apoteosi del primi e dell’inizio dell’affermazione del secondo; l’esplosione generativa del teatro elisabettiano si concentra nei pochi anni fra 1586-1587 (rappresentazione della Spanish Tragedy) e il 1594, anno della morte di Kyd, preceduta l’anno prima da quella di Marlowe. In questo periodo si concentrano le pubblicazioni come forma di preservazione della memoria, iniziale canonizzazione. Nel 1592 compilare il celebre Groatsworth of Wit (attribuito a Henry Chettle), dove la descrizione della morte di Greene lascia lo spazio alla celebre invettiva contro il nuovo autore che si sta facendo bello con le penne degli altri, il “corvo” Shakespeare. Era in atto una nuova canonizzazione, la polemica si rivolgeva ora ai nemici del teatro e anche alle sue nascenti fazioni. Siamo nel periodo di George Peele, precursore dell’opera desunta dalla cronaca europea, la riattualizzazione della storia biblica e l'history play. Thomas Nashe, scrittore di prosa, compone Summer’s Last Will and Testament (1592), un’opera allegorica sul trapasso e sulla rigenerazione delle stagioni; con Peele scrive The Old Wives’ Tale (1590), versione satirica della moda cavalleresca. Questi scrittori scrivono anche di teatro, anzi sembrano interessarsi soprattutto alla prosa e alla poesia, e il modello del poeta prevale. Lodge scrive una Defence of Poetry, Music and Stage Plays (1579-1580) per difendere le arti, inclusa quella teatrale, che però non è distinta. Il trend è quello di unire all’impianto poetico il fine moralista: l’unica opera attribuita con certezza a Lodge (insieme a Greene) è A Looking 17 oltre che culturale. Shakespeare era prima di tutto uomo di teatro, prima ancora di scrivere le sue prime opere era già da tempo attore presso la compagnia dei Lord Chamberlain’s Men (a partire dai tardi anni ‘80 del ‘500), mentre le prime notizie certe che abbiamo di lui come drammaturgo già affermato risalgono al 1592. Shakespeare era anche fra i proprietari del Globe Theatre, per cui aveva un triplice interesse nello spettacolo e nella sua riuscita: come attore, come imprenditore e come autore. In quanto sharer, prima del Globe e poi anche del Blackfriars Theatre, Shakespeare possedeva il 12,5% di share della proprietà e pertanto percepiva una parte cospicua dei ricavi. Anche se allora non esisteva il copyright (i copioni erano di proprietà della compagnia), sappiamo grazie alle fonti biografiche che Shakespeare fosse molto attento ai suoi guadagni e ai suoi diritti, come risulta dalle numerose cause civili in cui fu coinvolto. Il suo lavoro permise a Shakespeare di arricchirsi fino al punto di poter acquistare una delle case più prestigiose di Stratford per la sua vecchiaia. Ciò non significa che i suoi drammi siano pensati come dei best-sellers teatrali, ossia come macchine per fare soldi; la loro complessità scenica, narrativa e discorsiva smentisce qualsiasi imputazione di mera ricerca della popolarità. Shakespeare riesce a sposare le ragioni della scena, l’essere accessibile a tutti con la ricchezza intellettuale e retorica del testo, forse accessibile a pochi. Tale fenomeno è in parte da attribuire alla cultura del tempo, il pubblico elisabettiano era abituato a seguire lunghi e complessi discorsi orali, soprattutto grazie ai sermoni, spesso ornati di figure retoriche, ai quali assisteva settimanalmente nel corso delle funzioni religiose. Anche l’istruzione scolastica, presso le grammar schools, era incentrata sulla retorica e in particolare sulla elocutio, ossia l’elaborazione figurata del discorso ai fini della persuasione. All’epoca di Shakespeare si usava dire “ascoltare un dramma” (hear a play). La questione che si pone è come Shakespeare riesca nell’impresa di accontentare orecchio e occhio insieme, ossia di far vivere la poesia sulla scena, in modo che possa entrare a far parte dell’azione scenica e risultare così non solo visibile al pubblico ma anche dicibile, gestibile e recitabile dall’attore. Le opere di Shakespeare nascono anche grazie al presupposto di una compagnia di attori che il drammaturgo conosceva bene e di cui si fidava, nonché di una struttura scenica e architettonica che rendeva possibile la realizzazione dei drammi nella forma e nei modi previsti dall’autore, tutti i personaggi shakespeariani furono concepiti per specifici attori dei Chamberlain’s Men o King’s Men: Riccardo III e Amleto erano per il primo attore Richard Burbage; Touchstone e il Fool di Lear per il principale clown Robert Armin. Tutte le opere furono composte per uno specifico spazio fisico, in primo luogo il teatro pubblico, all’aperto, appartenente alla compagnia di Shakespeare. Sono fondamentali le condizioni fisiche o spaziotemporali entro le quali le opere erano destinate ad essere allestite. la forma del teatro pubblico elisabettiano incide non solo sugli aspetti esteriori o meccanici dei plays (come numero di personaggi e la loro virtuale disposizione in scena), ma anche sulle ragioni profonde della drammaturgia shakespeariana. Il teatro elisabettiano era essenzialmente il dominio dell’attore, i cui movimenti e gesti, la cui voce, il cui costume, costituivano il motore dinamico di tutto lo spettacolo, anzi, per molti versi erano lo spettacolo. Shakespeare creava personaggi in grado di dominare la scena e di creare intorno a sé il mondo della fiction teatrale. L’attore-personaggio shakespeariano dà vita al proprio ambiente geografico, storico e sociale, e pone in essere il proprio status all’interno di quell’ambiente, nonché le proprie azioni verbali e fisiche che vanno a costituire lo stesso tessuto del dramma. Nel teatro shakespeariano ogni battuta contribuisce alla costruzione della soggettività dell’individuo e del suo mondo. 20 Sempre tramite i costumi e i comportamenti degli attori, vengono presto scoperte le relazioni di classe- e pertanto di gerarchia- sociale che intercorrono fra i personaggi. La centralità dell’attore nel creare la fiction drammatico-teatrale, con l’aiuto di pochi oggetti e pochissima scenografia, provocò all’epoca lo sdegno di critici neoclassici come Philip Sidney (1554-1586), il quale lamenta la mancanza di realismo mimetico in un teatro tutto affidato alle azioni sceniche dei personaggi. L’attore deve compensare la scarsità dei mezzi scenici nel raffigurare luoghi e eventi lontani nello spazio e nel tempo, chiedendo al pubblico un benevolo sforzo di immaginazione. È su questo patto convenzionale fra attori e pubblico, d’accordo nell’interpretare i segni teatrali come sineddoche di una realtà ben più vasta, che si basava il teatro elisabettiano in tutta la sua potenza simbolica e figurativa. 3. Le proprietà del teatro shakespeariano: la scena aperta Sono tre le proprietà insieme spaziali e culturali del teatro elisabettiano che rendono possibile l'emergere dell’attore-personaggio shakespeariano: la sua apertura, la sua multidimensionalità e la sua fluidità. L’apertura dipende dalla peculiare forma del palcoscenico e dal rapporto che si instaura fra scena e area nel cosiddetto teatro pubblico. Trattandosi di una scena detta aggettante/thrust stage, ossia che si proiettava in mezzo al pubblico, il palcoscenico era di necessità aperto e relativamente privo di ostacoli alla vista, quali oggetti scenici. Gli unici aspetti fissi della scena erano la frons scenae, il fondo della scena ornato di pitture, all’interno del quale si aprivano le due porte di ingresso-uscita, e i due pilastri di legno, dipinti per assomigliare a colonne romane di marmo, che sostenevano il tetto sovrastante il palco. Tale architettura era forse il risultato dell’evoluzione degli spazi informali impiegati in epoche precedenti, anche se non è escluso un qualche richiamo all’anfiteatro greco-romano. I vantaggi che una simile apertura della scena pubblica offriva all’attore erano diversi: investiva appunto quasi esclusivamente l’attore della responsabilità di essere oggetto dell’attenzione del pubblico e fonte di informazioni, di emozioni e di intrattenimento; permetteva alla scena elisabettiana di essere nel contempo un teatro di azione scenica e un teatro di parola, lasciando ampio spazio e libertà alla scrittura poetica e drammaturgica dell’autore; inoltre consentiva agli spettatori un accesso visivo e uditivo privo di barriere, dando alla rappresentazione scenica la possibilità di svolgersi in modo rapido e dinamico. Infatti la durata della rappresentazione era di circa 2 ore, un tempo la cui brevità riesce oggi difficilmente concepibile, ma in realtà resa possibile dal veloce avvicendarsi delle scene senza necessità di cambiamenti di scenografia. 4. L’articolazione spaziale: dimensione orizzontale e verticale La seconda proprietà caratteristica e determinante del teatro shakespeariano, la sua multidimensionalità, riguardava la struttura dello stesso palco e la sua articolazione nello spazio; le probabili dimensioni della scena del Globe Theatre erano di 44 piedi/13 metri circa in larghezza e 27 piedi/8 metri circa in profondità. La straordinaria ampiezza del palco era strettamente funzionale alla drammaturgia o perlomeno pienamente sfruttata da essa; oltre a simboleggiare la grandezza del mondo raffigurato e permettere a tutti gli attori della compagnia (tra i 14 e i 18) di stare contemporaneamente sul palco quando necessario, tale ampiezza offriva la possibilità di moltiplicare l’azione orizzontalmente, creando effetti di simultaneità e di contrapposizione. Un ruolo cruciale è svolto dalle due porte di scena, collocate nella frons scenae sullo sfondo con la doppia funzione di nascondere il tiring house, o spogliatoio degli attori, e di 21 permettere loro l’ingresso e l’uscita, azioni su cui si fondava l’intera economia dell’azione scenica e dello stesso copione drammaturgico. I plays elisabettiani non erano divisi in atti e scene, ciò che segnava la fine di una scena e l'inizio di un’altra era semplicemente l’avvicendarsi degli attori o di gruppi di attori. La convenzione elisabettiana voleva infatti che i due attori o gruppi in questione fossero invisibili gli uni agli altri, anche se la loro compresenza poteva creare effetti di comicità e di sorpresa. L’utilizzo delle due porte giocava anche un ruolo simbolico, nel rappresentare due realtà spaziotemporali distanti fra di loro; uno spostamento minimale rappresenta un immaginario tragitto nello spazio e nel tempo. La possibilità di dividere la scena in duo o più spazi sul piano orizzontale grazie alla sua ampiezza, permetteva a Shakespeare e alla sua compagnia di creare effetti di contrapposizione fra parti o schieramenti opposti; consentiva inoltre di stabilire importanti nessi narrativi fra scene o trame distinte. Non meno significativa, ai fini semantici e simbolici della drammaturgia, è la dimensione verticale della scena, creata grazie all’esistenza di ben tre aree di recitazione: sotto il palco, sopra il palco e sul piano del palco stesso. La presenza di un sottopalco utilizzabile dalla compagnia derivava dall’elevazione del palco di circa 5 piedi/1,5 metri dal suolo, permettendo così maggiore visibilità alla scena. Retaggio dei pageants/carri tardomedievali impiegati per la performance in piazza dei mystery plays e morality plays, nei quali l’utilizzo del sottopalco aveva una finalità strettamente simbolica e ideologica, in quanto area moralmente off limits, abitata da diavoli e spiriti maligni, che facevano le loro entrate e uscite tramite un’apposita botola. A dimostrazione della sopravvivenza di un simbolismo religioso così antico e ben radicato, gli attori elisabettiani continuavano a chiamare la zona sottostante il palco hell e il soffitto sovrastante, con dipinti delle costellazioni, heavens. Il teatro di Shakespeare nutriva ambizioni antropologiche quale luogo deputato alla rappresentazione dell’uomo, i cui affari terreni si trovano così posti in scena equidistanti fra il cielo e l’inferno, non a caso il nome del secondo teatro della compagnia di Shakespeare, The Globe, allude alla nozione del theatrum mundi: è un teatro del mondo intero, capace di navigare liberamente nello spazio e nel tempo, in grado di rappresentare tutte le tipologie, i motivi, le azioni e i comportamenti del genere umano. Il mondo si presta inoltre alla rappresentazione teatrale perché i suoi abitanti sono già attori che recitano delle parti: Totus mundus agit histrionem recitava il motto sovrastante la porta d’ingresso del teatro di Shakespeare. Il teatro diventa la scena privilegiata e dichiarata, in cui l’uomo di autorappresenta e si autorispecchia. Shakespeare si lascia sedurre dalla suggestione dell’antico simbolismo teologico-teatrale in diverse opere, ma soprattutto in Hamlet; la tragedia fa leva non solo sull’antica opposizione sopra-sotto e sul lessico degli attori (heaven-hell), ma anche sul significato teologico di tale lessico nel porre la questione della natura del fantasma del padre di Amleto. La collocazione in alto, sopra la scena e perciò vicino al cielo, talvolta assume in Shakespeare un significato prettamente simbolico e ideologico, per esempio nel contesto politico della contesa per il trono. I drammi storici di Shakespeare fanno spesso riferimento alla nozione della sacralità della corona, richiamando la dottrina medievale del diritto divino dei re al trono, dottrina conservatrice che sanciva l’incontestabilità del potere del sovrano. Paradossalmente, è proprio nel dramma che inscena la deposizione più drammatica e più violenta del re, ossia Richard II, che Shakespeare fa la sua più chiara allusione al concetto della divinità della monarchia ereditaria; il drammaturgo mette tale allusione in bocca proprio all’oppositore politico del re, Bolingbroke, nel preciso momento in cui quest’ultimo sta per deporlo. L’ultima comparsa pienamente “reale” di Ricardo ha luogo sul balcone, nell’upper 22 lettera del marito e poi riflette ad alta voce sul proprio ruolo nell’istigare il marito a realizzare le profezie delle streghe. Lady Macbeth è capace di far sue anche le altre aree di recitazione, quelle più lontane dalla platea, come ad esempio nella scena pubblica e corale del banchetto, dove riesce comunque a mettersi al centro dell’attenzione per tranquillizzare gli animi dei presenti. Se le eroine tragiche di Shakespeare conquistano l'immaginario dello spettatore tramite la potenza o prepotenza della loro presenza scenica, il territorio privilegiato per la rappresentazione della soggettività femminile non è tanto la tragedia quanto la commedia shakespeariana. Mentre nelle tragedie la protagonista si presenta come parte di un insieme, la coppia, nelle commedie la donna assume la piena autonomia come soggetto-individuo. Le protagoniste comiche (Caterina, Porzia, Rosalinda, Viola, Beatrice) sono gli artefici indiscussi delle proprie vicende e dei propri destini; l’appartenenza a una coppia è un punto di arrivo e non di partenza della commedia, ed è spesso proiettato nel futuro post-drammatico. Le donne della commedia attraversano da sole ostacoli, pericoli e soprusi, che mettono alla prova non solo la loro fibra morale e il loro ingegno, ma spesso anche la loro identità; quasi sempre la donna nella commedia si dimostra superiore all’uomo, non solo socialmente e moralmente ma anche intellettualmente, il principio attivo della commedia è quello femminile, che è quasi sempre principio vitale e salvifico. Date le condizioni e convenzioni del teatro elisabettiano, può non sorprendere che le più memorabili eroine delle commedie scelgano di recitare parti maschili; il travestitismo, condizione costitutiva del teatro dell’epoca, diventa anche una ricorrente trovata drammaturgica all’interno delle trame comiche di Shakespeare. Nella commedia romantica, il travestitismo funge come una sorta di rito di passaggio da una condizione di acerbità adolescenziale alla piena maturità femminile, dando vita a un Bildung drammatico-teatrale. Tramite la temporanea rinuncia al proprio genere sessuale che le protagoniste scoprono e rafforzano la loro autoconsapevolezza come donne. Non che la figura della donna travestita sia un'invenzione shakespeariana: il modello è italiano (le commedie di Machiavelli, di Aretino, dell’Accademia degli Intronati,...), ma Shakespeare gli dà uno spessore del tutto inedito; il travestitismo diventa occasione di autentica complicità fra personaggio e spettatore, che è l’unico messo a conoscenza dell’espediente adottato. Tramite un altro strumento che il drammaturgo inventa nelle commedie romantiche, ossia l’a parte/aside femminile; Shakespeare crea per i suoi personaggi femminili un uso particolare dell’aside: intimo, confessionale, sincero, lontanissimo dai soliloqui ingannevoli di un Riccardo III o uno Iago. La donna svela le proprie passioni e i propri disagi, chiedendo il sostegno dello spettatore per poi usare il dolore come stimolo alla risoluzione. Nei The Two Gentlemen of Verona Giulia, travestita e nascosta, ma visibile al pubblico e forse proprio sull’avanscena, assiste al tentativo di seduzione da parte dell’amato Proteo nei confronti di Silvia e commenta al pubblico transito l’aside. Il dispositivo del travestitismo raggiunge il suo apice drammaturgico in As You Like It, in cui la protagonista Rosalinda gioca con consapevolezza e con brio il proprio triplice mascheramento di ragazzo (il boy actor elisabettiano) travestito da ragazza (Rosalinda), travestita a sua volta da ragazzo (Ganimede), che poi sceglie di recitare la parte di Rosalinda medesima per consolare l’ignaro amato Orlando. Il culmine psicologico e letterario dello sviluppo dell’eroina travestita è rappresentato da Viola in Twelfth Night, opera più o meno contemporanea di Hamlet; Viola è una sorta di anti-Ofelia, che supera la morte del padre e la presunta morte del fratello e conquista con i propri mezzi sia il duca che la contessa; Viola è una figura salvifica, rappresentante di un principio femminile vitale e magico, che usa il travestitismo non solo per salvarsi dopo il 25 naufragio in Illiria, ma anche come mezzo talismanico per riportare in vita il fratello gemello Sebastiano, che si presume sia annegato. Viola si trova a dover mediare fra il duca Orsino, di cui è innamorata, e la contessa Olivia, amata dal duca ma che a sua volta si innamora di Viola travestita. Nell’originale italiano, Gli ingannati dell’Accademia degli Intronati, il triangolo amoroso è sfruttato principalmente per creare farsa, Shakespeare lo utilizza, invece, per mettere in scena passioni contrastanti e inconciliabili che si incrociano tutte nella figura di Viola, la quale rischia di essere sopraffatta dal confluire dell’amore indicibile per Orsino, il desiderio irricevibile di Olivia, il dolore inesprimibile per il fratello perduto. L’icona dell’attore-eroina sofferente che si confida con gli spettatori costituisce sicuramente una significativa tappa nello sviluppo non solo del teatro moderno ma anche in quello della sensibilità psicologica e identitaria dell’uomo, e soprattutto della donna moderna. La pubblicazione delle opere di Shakespeare Buona parte delle opere di Shakespeare vennero pubblicate per la prima volta nell’edizione postuma First Folio del 1623, a cura di due membri della compagnia, John Heminge e Henry Condell; altre invece erano già state pubblicate nel corso della sua vita, compresi i due poemetti Venus and Adonis (1593) e The Rape of Lucrece (1594), scritti durante un’epidemia di peste che costrinse i teatri a rimanere chiusi per due anni. Fra le opere teatrali presenti nell’in folio, 18 erano state precedentemente pubblicate in singole edizioni in quartos e una (Henry VI part 2) in un’edizione in ottavo (1594); le edizioni in quarto, dette bad quartos, comprendono Henry VI part 3 (1595), Romeo and Juliet (1597), Henry V (1600), The Merry Wives of Windsor (1602) e Hamlet (1603). La teoria più accreditata (di W.W. Greg) è quella del memoria reconstruction, che attribuisce la responsabilità per la forma corrotta o incompiuta dei testi ad attori che dettavano le battute a editori poco scrupolosi; dal momento che a nessun attore elisabettiano veniva affidato l’intero copione, ma solo la propria parte, il risultato è inevitabilmente diseguale: le scene in cui recitava l’attore sono più ordinate, mentre altre sono assai approssimative. Il caso più famigerato è quello dei Hamlet (Q1) dove le scene in cui è presente il personaggio Marcello sono vicine alle versioni autorizzate, mentre altre scene sono radicalmente diverse e a volte confuse. Differenze esistono anche fra le versioni autorizzate dalla compagnia, come nella seconda edizione in quarto di Hamlet (good quarto Q2), del 1604, presumibilmente con il beneplacito di compagnia e autore; il testo di questa edizione tradisce parecchie differenze rispetto a quello dell’in folio, oltre ad essere più lungo. C’è chi sostiene che la versione in folio fosse più vicina a quella recitata dagli attori, mentre il secondo in quarto, la versione più lunga, rispecchiasse maggiormente la composizione originaria di Shakespeare, derivante dal suo manoscritto. Ovviamente i testi di Shakespeare subivano revisioni e l’idea di testo autentico dell’opera rappresenta una sorta di chimera. Alcune opere non inclusa nell’in folio sono oggi attribuite a Shakespeare: Pericles, pubblicato in un’edizione in quarto nel 1609 e forse scritto con George Wilkins, e The Two Noble Kinsmen, pubblicato nel 1634 e scritto con John Fletcher. Altre attribuzioni, come l’Edward III anonimo del 1596, sono meno certe. Ipotetico ordine di composizione delle opere di Shakespeare Non esistono prove sicure né delle date di composizione, né delle prime performances delle opere; in alcuni casi, esistono solo allusioni contemporanee che indicano quantomeno il termine ad quem della prima performance (come l’Henry VI, part 3, parodiato da Robert Greene nel 1592). In altri casi il termine ad quem della composizione è indicato 26 dall’iscrizione del play nello Stationer’s Register, ossia il registro dei tipografi ed editori, che stabilisce il diritto a pubblicare una determinata opera (Hamlet fu iscritto nel 1602). ● 1590-1591 The taming of the Shrew ● 1591 Henry VI, Part II ● 1591 Henry VI, Part III ● 1591-1592 Henry VI, Part I (forse con Thomas Nashe) ● 1591-1592 Richard III ● 1592 Titus Andronicus (forse con George Peele) ● 1592-1593 The Two Gentlemen of Verona ● 1592-1593 Venus and Adonis ● 1593-1594 The Rape of Lucrece ● 1593-1594 The Comedy of Errors ● 1594-1595 Love's Labour’s Lost ● 1595 Richard II ● 1595 Romeo and Juliet ● 1595-1596 A Midsummer Night’s Dream ● 1595-1596 King John ● 1596-1597 The merchant of Venice ● 1596-1597 Henry IV, Part I ● 1597 Henry IV, Part II ● 1598-1599 Much Ado About Nothing ● 1599 Henry V ● 1599 Julius Caesar ● 1599 As You Like It ● 1599-1600 The Merry Wives of Windsor ● 1600-1601 Hamlet ● 1601 Twelfth Night ● 1601 The Phoenix and the Turtle ● 1601-1602 Othello ● 1601-1602 Troilus and Cressida ● (1593)-1603 The Sonnets ● 1603-1604 A Lover’s Complaint ● 1603-1604 All’s Well That Ends Well ● 1604 Measure for Measure ● 1605 Timon of Athens (con Thomas Middleton) ● 1605-1606 King Lear ● (1603)-1606 Macbeth (rivisto da Thomas Middleton) ● 1606 Antony and Clepatra ● 1607-1608 Pericles (con George Wilkins) ● 1608 Coriolanus ● 1609 Cymbeline ● 1611 The Winter’s Tale ● 1611 The Tempest ● 1613 Henry VIII (con John Fletcher) ● 1613-1614 The Two Noble Kinsmen (con John Fletcher) 27 Edward Hall fu incorporata nelle Chronicles di Raphael Holinshed, che apparvero nel 1577 e, ampliate, nel 1587 (fonte di Shakespeare per i suoi drammi storici). Uno spirito ugualmente patriottico sottende i resoconti di viaggio di coloro che furono impegnati ad espandere l’influenza britannica sui mari. Questi racconti furono pubblicati da Richard Hakluyt in una raccolta intitolata The Principall Navigations, Voiages, Traffiques and Discoveries of the English Nation, che apparve per la prima volta nel 1589 e fu ampliata in tre volumi nel 1598-1600. Il più sofisticato tra i narratori riuniti da Hakluyt è il brillante e arrogante avventuriero elisabettiano Walter Raleigh che, in The Discoverie of the Large, Rich and Beautiful Empire of Guiana, presentò la sua missione di liberazione, in nome della “Virgin Queen”, della paradisiaca terra di Guyana dall’oppressione spagnola. 2. …e il diletto Altre opere in prosa, durante il regno di Elizabeth I, mirarono in modo più vistoso all’intrattenimento di un pubblico che si andava sempre più allargando e diversificando. Gli anni ‘60 e ‘70 videro un’esplosione di interesse per la novella. Traduzioni e adattamenti di novelle trovarono un grande favore presso il pubblico inglese, grazie anche alla popolare The Palace of Pleasure, raccolta di William Pinter, che nel 1566 dette inizio ad una vera e propria voga; fu seguita l’anno successivo da una seconda parte, contò ben 4 edizioni in un decennio ed ebbe molti imitatori. Le fonti delle novelle erano continentali (Boccaccio e Bandello dalle traduzioni francesi di Belleforest e Boaistuau, e Marguerite de Navarre) ma anche classiche (Livio ed Erodoto), e l'intento era didattico. Gli anni ‘70 videro anche lo svilupparsi della narrativa cortese, con The Adventures of Master F.J. di George Gascoigne e con Euphues: The Anatomy of Wit (1578) di John Lyly. The Adventures of Master F.J. uscì nel 1573 in un volume anonimo che raccoglieva anche i drammi e le poesie di Gascoigne, che due anni più tardi ne rivendicò la paternità dando alle stampe una versione rivista, dal titolo The Poesie of George Gascoigne. The Adventures of Master F.J. narra le avventure amorose, tra il cortese e il sensuale, del protagonista con una gentildonna sposata, Dame Elinor, presso il cui castello F.J. si trova ospite. La caratteristica è l’adozione di molteplici punti di vista: la storia è presentata attraverso i dialoghi e la relazione degli eventi ad opera di un narratore non sempre affidabile, G.T., che vi accompagna i propri commenti, ma anche attraverso le poesie e le lettere di F.J. e le risposte di Elinor. Euphues: The Anatomy of Wit di John Lyly mostra l’influsso delle questioni d’amore e presenta un triangolo amoroso con al centro una dama molto volubile; il fulcro dell’interesse non si situa nella parodia di certe pose cortesi, ma nello stile in cui la vicenda viene narrata: fortemente allitterativo, caratterizzato da una sintassi costruita su antitesi illustrative, ricavate dalla saggezza popolare, dalla mitologia classica o dalle proprietà favolose della fenomenologia naturale. L’antitesi è la figura centrale anche nell’analisi psicologica dei personaggi che dibattono le diverse e opposte opzioni di comportamento che si offrono loro e si auto-propongono al lettore come esempi da cui trarre insegnamento. Lyly richiama l’attenzione sul desiderio degli inglesi di affinare la propria lingua e in effetti Euphues riscosse un enorme successo: con il suo seguito, Euphues and His England, del 1580, ebbe più di 20 edizioni prima della fine del ‘500 e annoverò moltissimi imitatori. Il successo dell’opera di Lyly fu all’origine del fenomeno letterario e sociale noto come “eufuismo”; il nome Euphues in greco significa “ben cresciuto” ed era già usato da Roger Ascham nel suo Schoolmaster. Un precedente per lo stile è nella raccolta di novelle di George Pettie A Petite Pallace of Pettie his Pleasure (1576). Lo stile eufuistico mirava ad 30 espandere le potenzialità della prosa inglese e a conferirle un rigore formale che potesse competere, per eleganza, con la classicità latina; questa prosa segue un principio di simmetria ed è caratterizzata da un succedersi di frasi perfettamente bilanciate, con antitesi protratte , similitudini ricercate, corrispondenze verbali, allitterazioni e assonanze. Fra gli autori che usarono questo stile ci sono Robert Greene in Mamillia (1583) e in Gwydonius The Carde of Fancie (1584), Thomas Lodge in Rosalynde (1590) e Barnaby Rich in The Adventures of Don Simonides (1581). Vari personaggi shakespeariani (Polonius, Beatrice, benedict, Don Adrian de Armado) parlano in stile eufuistico, spesso con chiaro intento parodico. Già alla fine del secolo questo stile era diventato bersaglio di parodie, spesso ad opera di suoi ex seguaci, compreso Lyly nella commedia Endimion (1588, ispirazione per Falstaff dell’Henry IV). Questa forma di barocchismo trova dei corrispettivi più tardi nel marinismo italiano, nel preziosismo francese e nel gongorismo spagnolo. L’eufuismo fu anche un fenomeno sociale , in quanto i gentiluomini e le gentildonne dell’Inghilterra elisabettiana (compresa la regina) consideravano alla moda scrivere e parlare secondo lo stile eufuistico. Anche il romance in prosa di Philip Sidney esercitò un'enorme influenza, combinando il genere pastorale con il romance cavalleresco e alla narrazione in prosa, intercalò delle egloghe. Dell’opera esistono due redazioni, esse non furono pubblicate dall’autore, che morì in battaglia; il testo completo (5 libri) della Old Arcadia, scritta fra 1577 e 1580, fu rinvenuto nel 1907, mentre la New Arcadia, una versione riveduta il cui manoscritto, lasciato incompiuto a metà del terzo libro, è datato 1584 e pubblicato nel 1590. La sorella di Sidney, nel 1593, pubblicò una versione dell’opera che integrava i tre libri della nuova Arcadia con materiale tratto dalla redazione originaria. La Old Arcadia narra la storia delle principesse Pamela e Philoclea, portate dal padre, re di Arcadia, Basilio a vivere nella foresta per scongiurare le predizioni di un oracolo; di queste si innamorano due valorosi principi, Pyrocles e Musidorus, che si travestono dando vita a una serie di equivoci che arrivano a sfiorare la tragedia. L’opera è stata composta quando Sidney era in esilio per essersi opposto al progetto di matrimonio fra la regina e il cattolico duca d’Anjou (fratello del re di Francia), perciò l’opera è piena di allusioni politiche. La revisione riveduta dell’Arcadia si apre in medias res ed è molto più complessa della Old Arcadia. La narrativa degli anni ‘80 fu dominata dalle opere di Robert Greene, primo scrittore professionista, che fu anche drammaturgo e che visse molte fasi di scrittura. La prima fase fu quella eufuistica, con Mamillia (Part 1 and 2, 1580 e 1583) e Gwydonius The Crde of Francie (Gwydonius corteggia castania, la figlia del duca Orlanio, mentre Thersandro, fratello di Castania è innamorato di Lewcippa, sorella del protagonista). Negli anni 1585-1588 scrisse anche varie raccolte di novelle; risale al 1588 il suo capolavoro: Pandosto. The Triumph of Time, un romance pastorale che Shakespeare utilizzerà come fonte per il suo Winter’s Tale. L’ultima fase di Greene comprende i cosiddetti repentance pamphlets, in cui l’autore condanna le follie della sua vita sregolata e propone il suo pentimento come esempio per il lettore, e i cony-catching pamphlets, ambientati nel mondo dei bassifondi e della malavita londinese. A notable Discovery of Coosnage del 1591 e gli altri 5 lavori, The Second Part of Conny-catching, The Third Part of Conny-catching, The Defence of Conny-catching, A Disputation between a Hee Conny-catcher and a Shee Conny-catcher e The Black Book’s Messenger. Con una struttura episodica, denunciano le astuzie e gli inganni messi a punto dalla folta schiera di furfanti londinesi/rogues per truffare o derubare le loro ingenue vittime/conies; dettagliata è la descrizione delle truffe e della malavita londinese, con le sue leggi, la sua gerarchia e persino il suo gergo. 31 I cony-catching pamphlets appartengono a un tipo di produzione in prosa a cui è associabile anche The Unfortunate Traveller (1594), di Thomas Nashe, autore dell’opera satirica Pierce Pennilesse His Supplication to the Devil (1592), in cui uno scrittore, stanco di essere perennemente squattrinato, decide di rivolgersi a un nuovo patrono, il diavolo. The Unfortunate Traveller è una narrativa picaresca che segue le vicende del paggio Jack Wilton, ambientate durante il regno di Henry VIII, con un’ampia sezione ambientata in Italia (tra Venezia, Firenze e Roma), che viene descritta come terra di corruzione, intrighi, veleni e omicidi. Anche la produzione di Thomas Deloney è di natura popolare e realistica, egli non ebbe un’istruzione universitaria, ma era un tessitore di seta, originario di Norwich, e un compositore di ballate; le sue opere narrative sono ambientate tra gli artigiani e i mercanti del passato. La vicenda di Jack of Newbury (1597) si svolge al tempo di Henry VIII e vi compaiono vari personaggi storici (Henry VIII, Caterina d’Aragona, il cardinale Wolsey, ma anche il famoso buffone di corte Will Summers). Gli altri lavori di Deloney tornano ancora più indietro nel tempo: la seconda parte di The Gentle Craft (1597-1598) narra la storia di Simon Eyre, apprendista calzolaio che nel 1445 divenne sindaco, la prima parte guarda all’alto Medioevo con la vicenda di Santa Winifred e all’epoca romana con i Santi Crispino e Crispiniano. Thomas of Reading (1600) è ambientato al tempo di Henry I (1100-1135). L’attrattiva delle opere di Deloney risiede nello stile altamente drammatico, il lettore entra nel mondo dei personaggi principalmente attraverso i dialoghi e l’azione. Anche le canzoni e le ballate che Deloney inserisce nella narrazione aggiungono un sapore di estemporaneità e immediatezza. La poesia del Cinquecento 1. Tradizione e innovazione Nel 1579, Edmund Spenser pubblicò The Shepheardes Calender, presentandosi come “the New Poete”, nuovo ma già in qualche modo classico; le dodici egloghe che compongono l’opera erano accompagnate da un ricco apparato di glosse e di note esplicative firmate da un mai identificato E.K. Fra questi opposti di novit’ e classicit’ si pu; porre una prima categoria della poesia del ‘500 inglese: il concetto di classico nel Rinascimento ingelse comprende non solo gli autori della tradizione greca e latina, bensì anche gli autori italiani e francesi; com’è espresso nella lettera introduttiva dell’opera, i modelli del nuovo poeta sono sia le egloghe di Teocrito e Virgilio, che quelle scritte in latino a Petrarca e Boccaccio e quelle in italiano di Sannazaro. Spenser scrisse a Sir Walter Raleigh per indicargli una chiave di lettura del poema allegorico The faerie Queene (pubblicato nel 1590, canti 1, 2 e 3, e nel 1596, canti 4, 5 e 6)-> modelli paritari per la poesia epica Omero e Virgilio, Ariosto e Tasso. George Gascoigne, nel ciclo di poesie del “Green Knight” (1575) disse di ispirarsi ad un immaginario autore italiano di novelle, tal Bartello; John Skelton nel poemetto “Philip Sparrow” (1505 circa) condanna come irrimediabilmente vecchio il linguaggio di John Grove e John lydgate e lamenta la rozzezza, piattezza e povertà della lingua poetica inglese. -> numerosi trattati pubblicati negli ultimi decenni del ‘500: The Defence of Poesy di Sir Philip Sidney (scritta verso il 1580, pubblicata nel 1595 e conosciuta anche come An Apology for Poetry), ma anche le opere di Gascoigne (Certain Notes of Instruction, 1575), di George Puttenham (The Art of English Poesy, 1589) e di Samuel Daniel (A Defence of Rhyme, 1603). 32 della danza è modo per il poeta di costruire una mappa stellare e per affermare che l’armonia della danza è un riflesso dell’armonia delle sfere celesti. 4. Poesia e poetica Per Sidney la poesia è superiore alla filosofia e alla storia, in quanto essa supera il dato particolare per giungere all’universale; e il poeta, quale saggio, profeta e creatore, può dare vita a mondi, ideali, i quali si pongano come modello da imitare; scopo della poesia è ordinare e, facendosi leggere, insegnare. Scopo dichiarato del poema The Faerie Queene è di “Fashion a gentleman”, scopo implicito degli amoretti è di “fashion a lover”, il cortigiano studia per dare forma a sé e poter far parte del mondo a cui ambisce di appartenere. Fondamentale è il concetto di “teaching” implicito in tanta parte della poesia rinascimentale: nello scrivere The Faerie Queene Spenser ha come primo modello l’Orlando Furioso, ma già dal proemio al libro I aggiunge una nota moralizzatrice e didattica che manca in Ariosto: tutto è e deve essere exemplum. Uno dei poemi più letti del secolo fu A Mirror for Magistrates (dal 1555 in poi), la cui “Introduction”, scritta da Thomas Sackville nel 1563, è un’allegorica messa in guardia contro le insidie del mondo. Al Pensiero e alla riflessione deve seguire l’azione e il concetto dell’agire è caro all’Inghilterra protestante: nella Defence for Poesy di Sidney emerge un concetto di poesia che è fare, per dare al mondo quell’ordine che la concretezza e la verità dei fatti e degli accadimenti gli negano. Ma l’utopia poetica che vince il tempo, espressa da Drayton nell’Endymion e da Shakespeare nei Sonnets, il sogno di un’armonia cosmica perseguita da Spenser, l’utopia fiammeggiante di The Phoenix and the Turtle (1601) di Shakespeare, devono scontrarsi con la realtà del mondo sensibile. Gascoigne, in The Hundred Sundry Flowers (1573), narra di un mondo e di una società dominata da illusioni che si fanno disillusioni, Richard Barnfield nel terzo dei Sonnets (1595) esprime la relatività della verità, sia antica che moderna, quanto all’io Sir Philip Sidney, in Astrophel and Stella, lo sostituisce drammaticamente a un “I am not I”. La vita di corte non è l’idealizzazione che ne dà Sir John Davies nella sequenza di Hymns of Astraea in Acrostic Verse (1599), ma il mondo concreto, brutale, infido, seppur avvolto da una luce di fascinazione, denunciato da Spenser nel poemetto Colin Clouts Come Home Again (1595) e da Raleigh in poesie quali “The Lie”. La più grande opera del secolo The Faerie Queene di Spenser, un’opera immensa, che è poema cavalleresco come l’Orlando Furioso, poema epico-nazionale come l’Eneide, poema eroico-religioso come la Gerusalemme Liberata. Spenser ha voluto dare all’Inghilterra quel poema epico che ancora le mancava, quello che doveva celebrare la dinastia Tudor nella figura di elizabeth I e la nuova religione anglicana. I primi due libri, dedicati a San Giorgio, il Cavaliere della Rossa Croce o della Santità, e al cavaliere della Temperanza, Sir Guyon, sono i due più compatti e unitari; già dal terzo libro la trama inizia a sfaldarsi, la guerriera Britomart, campionessa della Castità, non conclude la propria impresa nei limi del libro e la continua nel quarto; il quinto, dedicato alla Giustizia, nella figura ferrea di Arthegall, torna a una struttura chiusa, ma il sesto libro, il più diverso, diventa poema pastorale, dal momento in cui l’eroe Calidore, campione della Cortesia, perde di vista la propria impresa per amore di una pastorella arcadica… Il poema è rimasto incompiuto e restano due canti di un ipotetico libro VII, intitolati alla Mutability, la quale vorrebbe dominare il mondo degli dei, portandovi il caos terreno. Durante il ‘500 fece la sua comparsa la scrittura femminile, già con l’aristocratica Mary Sidney, la quale diffuse i propri componimenti poetici nel circolo chiuso della nobiltà. La 35 prima donna a pubblicare un testo poetico in Inghilterra fu Isabella Whitney, di modesto ceto sociale, che pubblicò The Copy of a Letter (1567) e A Sweet Nosegay (1573); ella compie l’atto rivoluzionario di una donna che prende in mano la penna e scrive, ma a questa rivoluzione fa da contraltare il tono moralizzante dei suoi versi, la volontà di insegnare alle sorelle il retto comportamento femminile, rilevandosi, come tale, garante dell’ordine costituito (di particolare interesse è il componimento “The manner of her Will”). La traduzione e la lingua letteraria 1. Introduzione La traduzione ha potere modellizzante sulla lingua d’arrivo, gli scrittori-traduttori elisabettiani e il loro “potere di intuizione “ (Partridge, 1969) anticipano nella prassi Walter Benjamin quando riportava quanto scritto da Rudolf Pannwitz i lA crisi della cultura europea (1917) “egli [il traduttore] deve allargare e approfondire la propria lingua mediante la lingua straniera”. I traduttori elisabettiani, per la natura stessa del proprio lavoro di artigianato che li portava a misurarsi con lingue retoricamente e lessicalmente più ricche, contribuirono in prima persona allo sviluppo e all’arricchimento della propria lingua mediante la lingua o le lingue straniere con cui erano necessariamente in contatto. 2. Un secolo di traduzioni Il ‘500 è contrassegnato da un’intensa attività traduttiva in lingua volgare; la traduzione trasportò dal passato e dal presente opere di genere: dai trattati religiosi ai classici, ai manuali di scienze, di arti e di quotidiana utilità, ai libri di viaggio, alla narrativa, ai trattati comportamentali italiani. Durante il regno di Elizabeth I (1558-1603) sono state calcolate più di 1000 traduzioni che, se si aggiungono le ristampe, costituiscono almeno un quinto del prodotto librario. The Booke of the Courtyer (1561), di Thomas Hoby = Libro del Cortegiano di Baldassar Castiglione; The Fyrst Fower Bookes of P. Ovidius Nasos Worke, intitled Metamorphosis (1565) e The XV Bookes of P. Ovidio Naso, Entytuled Metamorphosis (1567), di Arthur Golding = Metamorfosi di Ovidio (lo stesso autore tradusse anche The Sermons of John Calvin upon the Fifth Booke of Moses Called Deuteronomie, nel 1583, 1248 pagine in doppia colonna). The Galateo of Manners and Behaviours (1576) di Robert Peterson = Galateo overo de’ costumi di Giovanni Della Casa; The Lives of the Noble Grecians and Romanes (1579) di Thomas North = Vite Parallele di Plutarco, dal francese di Jacques Amyot; The Civil Conversation (1581) di George Pettie = La Civil Conversatione di Stefano Guazzo; The Essayes or Morall, Politike and Militarie Discourse of Lo: Michaelle de Montaigne (1603) di John Florio = saggi di Montaigne; The Roman HIstorie Written by Titus Livius of Padua (1600) di Philemon Holland = Ab urbe condita libri di Tito Livio; The Historie of the World, Commonly Called the Natural Historie (1601) di Philemon Holland = Naturalis Historia di Plinio il vecchio; The Historie of Twelve Caesars (1606) = Le vite dei Cesari di Svetonio. Inoltre ci sono le traduzioni omeriche di George Chapman: i primi sette libri dell’Iliade, Seaven Bookes of the Iliades of Homere, Prince of Poets, Translated according to the Greeke in Judgement of his Best Commentaries (1598) e l'opera completa apparsa nel 1611; del 1614-1615 è la sua traduzione dell’Odissea, Homers Odysses. Poi vi è la King James Bible (1611) che, pur tradotta e pubblicata sotto il regno di James I, è il prodotto di un lungo processo traduttivo che aveva visto impegnati uomini del ‘500 come 36 William Tyndale, Miles Coverdale, i traduttori della Geneva Bible e i traduttori protestanti europei alla cui ideologia religiosa e traduttiva i traduttori inglesi si erano ispirati. 3. “Translation [...] is learning it self”: la traduzione come mezzo di conoscenza Questa frenetica attività traduttiva, definita “intertraffique of the minde” dal poeta Samuel Daniel nella sua prefazione alla traduzione di Florio degli Essays di Montaigne, era alimentata dalla forte istanza divulgatrice dei traduttori e degli stampatori. Il dichiarato intento didattico e utilitario dei traduttori e degli stampatori appare a volte già nei frontespizi. L’istanza democratizzatrice che spingeva a tradurre dagli antichi e dai moderni, cioè in senso verticale e in senso orizzontale, per abbattere le barriere culturali tra letterati e illetterati, era accompagnata dalla difesa della traduzione intesa non solo come mezzo per accedere al sapere, learning, ma anche come mezzo di arricchimento della propria lingua. Emblematica a questo proposito è “The Epistle of the Translator” (1556) di Thomas Hoby, premessa a The Courtier. 4. Verso una lingua “eloquente” Era diffusa nella prima metà del secolo la convinzione dell’inadeguatezza della lingua volgare rispetto alle lingue lessicalmente più ricche da cui si traduceva. I traduttori erano consapevoli di portare dalle lingue di partenza res, fatti, idee, e verba, parole, che non trovavano equivalenti adeguati nella lingua di arrivo ed erano quindi costretti a coniare nuove parole. Il problema dell’arricchimento del volgare vide schierate tre scuole di pensiero: ● The Neologizers, was in favour of loan words, especially from Latin (Thomas Elyot, George Pettie,...) ● The Purists, advocated the use of existing English words, either by giving them new meanings or by forming new compounds from them (John Cheke) ● The Archaizers, argued that obsolete English words should be revived C’era una posizione mediana rappresentata da Thomas wilson che ammetteva i prestiti in caso di necessità. Alla base dell’opposizione ai prestiti nel dibattito denominato “inkhorn controversy”, controversia dei termini da calamaio, c’era sì l’istanza divulgatrice che propugnava una lingua comune, d’uso, accessibile a tutti, ma c’era anche l’orgoglio nazionalistico che opponeva resistenza all’immissione di termini stranieri Alla fine il processo di arricchimento prevalse, la lingua si arricchì di nuovi lessemi e di nuove accezioni semantiche con un incremento medio di 50 nuovi lessemi e accezioni semantiche all’anno intorno al 1500 e di 350 intorno al 1600; ma si arricchì anche retoricamente; figure retoriche come la sinonimia/doublets, l'anafora, il poliptoto, la figura etimologica, l’antitesi, il parallelismo ornano ritmano la prosa delle traduzioni più riuscite. Il traduttore rispondeva alle due tensioni del volgare: una verso il basso per raggiungere i suoi lettori, una verso l’alto per conferire eloquenza, che altro non era se non la elocutio della retorica classica, alla sua lingua. Nella lunga corsa dell’affermazione del volgare, già verso l'ultimo quarto del secolo, la lingua non era più considerata barbara ma eloquente. Per decenni la traduzione elisabettiana è stata considerata dal punto di vista della resa originale (Matthiessen 1931 e Winny 1960); a partire dagli anni ‘70 nuovi punti di vista hanno arricchito il campo della traduzione; la teoria polisistemica dello studioso israeliano Itamar Even-Zohar secondo cui la letteratura tradotta è un corpo di tesi strutturato e funzionante come un sistema, a sua volta parte attiva e integrante di un polisistema letterario e correlato con altri co-sistemi (1978) può essere estesa alla traduzione elisabettiana. Negli anni ‘90 gli studi sulla traduzione noti come Translation Studies hanno focalizzato un nuovo punto di 37 Il teatro del primo Seicento 1. Guerre fra teatri Il commerciante che nel King of the Burning Pestle (1607, pubblicato nel 1613) di Francis Beaumont interviene dalla platea per chiedere che non si rappresentino solo questioni legate alla nobiltà, ma anche ai cittadini comuni, è eloquente della sete di novità che caratterizza il teatro dagli inizi del ‘600 fino alla chiusura nel 1642 per mano dei puritani. Il teatro del primo ‘600 si rivolge a considerare con matura sicurezza artistica lo stesso contesto londinese dove si svolge, che diviene pertanto fonte di osservazioni comiche. Dopo avere sostanzialmente superato la guerra contro i puritani e altri nemici del teatro, ora il teatro elisabettiano è libero di guerreggiare al suo interno; della cosiddetta war of the theatres testimoniano a principio secolo Cynthia’s Revels 81600) e Poetaster (1602) di Johnson e Satiromastrix (1602) di Thomas Dekker, uno dei bersagli polemici di Jonson insieme con John Marston. Sono aumentate le sedi e le scene possibili, grazie ai teatri nella city; non meno importante la corte, dove si sviluppa il genere raffinato del masque, un insieme di balli, musiche, scenografie e poesia in cui eccelle l’opera di Ben Jonson, di Beaumont e di Thomas Middleton fra il 1616 e il 1626. Un altro elemento che contribuisce alla moltiplicazione è la collaborazione fra autori; molte opere presentano un doppio intreccio spesso affidato a due o più autori separati, al punto che talvolta diventa difficile non solo riconoscere chi sia responsabile delle varie parti, ma addirittura a chi vada prevalentemente attribuita l’opera. Accanto ai teatri pubblici già esistenti, fra cui il Globe, compaiono i teatri privati, localizzati direttamente nella city; in luogo del dissolto convento dei domenicani (black friars), già nel 1576 sorgea una sala destinata agli spettacoli, nel 1596 venne fatto costruire un secondo teatro da Burbage, ma a causa dei divieti imposti dalle autorità le rappresentazioni iniziarono solo tra il 1599 e il 1600 e vennero affidate ai bambini provenienti dai cori. Nel 1608 il teatro venne acquistato dai King’s Men, che così potevano alternare le rappresentazioni fra il Blackfriars (al chiuso) e il Globe (all’aperto). Nel 1616 venne creato,nella centralissima Drury Lane, il Cockpit, ricostruito col nuovo nome di The Phoenix nel 1617. I teatri privati oltre a godere di una sorta di illuminazione artificiale con candele che permetteva un maggiore realismo nella creazione di oscurità sul palco, disponevano di maggiore e confortevole spazio per il pubblico, di norma proveniente da ceti più elevati rispetto ai frequentatori del Globe: i prezzi di conseguenza erano più alti; i gentiluomini potevano sedersi sul palco stesso. In realtà, una stessa opera transitava indifferentemente prima al Globe e poi Blackfriars. 2. Tre filoni principali In quanto a poesia, il modello poetico di Marlowe, viene omaggiato o canzonato, ma poco o nulla seguito; predomina l’eclettismo shakespeariano nella selezione di fonti e argomenti, senza però la sua superiore ambivalenza della raffigurazione morale ed estetica dei personaggi; l’aggancio coi modelli continentali, non solo nel rispetto delle unità drammatiche che caratterizza Jonson fino a sfiorare la pedanteria, ma anche nell’adozione delle fabulae e del linguaggio stilistico rinascimentali, a parziale svantaggio della tradizione didattica e retorica ancora presente all’artista di fine ‘500. Una prima fase dall’inizio del ‘600 fino al 1616 (anno della morte di Shakespeare e della pubblicazione dei Works di Jonson), presenta un’aggregazione dei generi tragico e comico, segnata dalla sperimentazione nella tragedia e dalla creazione di una commedia domestica; 40 la seconda fase di maturità che parte sempre agli inizi del secolo e si estende grossomodo fino all’avvento al trono di Charles I (1625), contraddistinta dalle commedie maggiori di Jonson e dalle tragedie di Middleton e John Webster. Nel periodo che giunge fino alla chiusura dei teatri (1642) segue una terza fase di proliferazione dei generi. Questo alternarsi è in parallelo con quello di drammaturghi principali all’interno della compagnia dei King’s Men: Shakespeare fino al 1614, John Fletcher dal 1616 e Philip Massinger negli anni ‘30. 3. L’aggregazione per generi a. La tragedia Nel primo gruppo di opere la consueta esuberanza di forme del teatro elisabettiano si deposita della creazione di generi teatrali domestici; si segnala la predominanza programmatica della tragedia tradizionalmente ritenuta la forma più alta e quindi la più adatta a provare lo status dell’autore moderno. Sono di questo periodo le tragedie di Jonson basate su un’attenta traduzione e selezione delle fonti classiche (Sejanus 1603 e Catiline 1613), la Sophonisba (1606) di Marston e Appius and Virginia (1619) di Webster. Un esperimento analogo di closet drama o dramma riservato alla lettura è la Tragedy of Mariam (scritto tra 1602 e 1604, pubblicato nel 1613) di Elizabeth Cary. Ma è soprattutto la tragedia domestica ad avere successo come mostra il caso della tragedia avente per oggetto un evento di una cronaca vera: l’anonima arden of Feversham (1592); a questo genere si riallacciano le pure anonime A Warning for Fair Women (1599), A Yorkshire Tragedy (1608), Two Lamentable Tragedies (1601), come anche A Woman Killed with Kindness (1607) di Thomas Heywood. Un tardo esempio della lettura demonologica dei personaggi eccentrici e devianti dell’epoca è The Witch of Edmonton (1623), scritto in collaborazione da Dekker, John Ford e William Rowley. Questo è il periodo delle grandi tragedie shakespeariane, in particolare di Hamilton: fiorisce infatti il genere della tragedia di vendetta; troviamo la ricerca della sensazione immediata e di converso una psicologia contorta e aggrovigliata, risolta immancabilmente dallo spargimento di sangue o di veleno. Ciò si trova nella complessità strutturale del triplice intreccio adottato da Cyril Tourneur per la sua Atheist’s Tragedy (1611) o l’eccesso di verbosità da punto di vist formale congiunto a una lacrimevolezza ed estenuazione del sentimento, come nella coppia Antonio and Mellid (1601) e Antonio’s Revenge (1602) di Marston; la tematica dell falsità ricompare anche in The Fawn (1606). Nel genere si prova con Bussy d’Ambois (1607) e The Revenge of Bussy d’Ambois (1613) anche l’erudito George Chapman, che poi affronterà un episodio della storia francese in The Cospiracie and Tragedy of Charles, Duke of Byron (1608). The Revenger’s Tragedy (1607), attribuita alternativamente a Tourneur o a Middleton; nella Maid’s Tragedy (1610-1611) della prolifica coppia Beaumont e Fletcher è una donna a incaricarsi della vendetta. b. La commedia A ciò si contrappone l’orgogliosa creazione di un canone nazionale comico che non ha più bisogno di chiedere in prestito per l'intero le trame, dall’osservazione dei costumi decadenti e corrotti della Londra di inizio secolo trae spunto il genere della city comedy. La trama tipica si basa sulla rappresentazione dei meccanismi economici e sessuali di creazione e circolazione del potere e dell’autorità. Aveva inaugurato il genere la produzione di Dekker (The Shoemaker’s Holiday, 1600, Old Fortunatus, 1600, The Honest Whore, 1604) più The Roaring Girl (1607-1610) insieme a Middleton. Del potere della passione sui sensi si occupa Marston in The Dutch Courtesan (1605), con stile e tematiche affini all’Aretino. Alla mobilità 41 economica sono dedicate anche Eastward Ho! (1605), scritta da Jonson in collaborazione con Dekker e Marston, e soprattutto la produzione comica di Middleton, fra le cui commedie si segnalano The Family of Love (1608), A Chaste Maid in Cheapside (1613), A Trick to Catch the Old One (1607), A Mad World, My Masters (1604-1607). Un tardo omaggio è quello di Massinger, in A New Way to Pay Old Debts (1625-1626) e The City Madam (1632). 4. La maturità elisabettiana Il successo di questo genere comico si situa nello stesso periodo in cui compaiono le maggiori commedie di Jonson, appartenenti al secondo e centrale momento di questa scansione indicativa: Volpone (1607), Epicoene or the Silent woman (1609), The Alchemist (1619), Bartholomew Fair (1614). I legami con la city comedy sono evidenti già nella scelta dello sfondo londinese, vividamente ritratto tramite i disordini e i rumori della scena urbana in Epicoene e soprattutto il babelico carnevale di voci e confusione di Bartholomew Fair. Ma anche l’ambientazione veneziana di Volpone riproduce esemplarmente i meccanismi e gli intrecci dell’imbroglio e della seduzione propri della city. Si è spesso detto che Jonson predilige la creazione di tipo o umori: in queste commedie della maturità, tuttavia, l’unione fra i modelli esterni e il contesto inglese è così perfetta che converrebbe piuttosto dire che ognuno dei personaggi ha ritrovato la sua lingua e il suo stile e non che al contrario un’idea o uno stile si sono incarnati meccanicamente in loro. Questo è particolarmente vero nell’accozzaglia di idioletti che attraversano il mondo carnevalesco di Bartholomew Fair, esemplare ricapitolazione dello status ambiguo di licenza concessa al carnevale, alla festività e in fondo al teatro stesso. A questo stesso gruppo aureo appartengono le due tragedie principali di Webster, The White Devil 81607) e The Duchess of Malfi (1614); entrambe sono di ambientazione italiana il che prefigura anche il successivo orientamento principale della produzione, verso l’estero. Il contesto italiano permette di proseguire la finzione e di additare la corruzione di solito addossata polemicamente ai cattolici e la loro ossessione per il veleno: in queste tragedie, tuttavia, tale è il lavoro di scavo psicologico e creazione dei personaggi, che raramente si avverte la natura convenzionalmente esotica dell’ambientazione; l’orrore e l’eccentricità sono segno di una perversione morale e di una corruzione non più riparabile. Rispetto all’eloquente oscurità di Webster, i drammi principali di Middleton segnano un ritorno alla potenza jonsoniana dell’intreccio: The Changeling (1622), Women Beware Women (1621) e A Game at Chess (1624); la macchinosità degli eventi viene mostrata in primo piano nelle ultime due opere, in particolare nella singolare partita di scacchi dell’ultima, trasparente allegoria della contesa fra Spagna e Inghilterra popolata da altri personaggi machiavellici e ipocriti e destinata ad avere forse il maggiore successo di pubblico dell'epoca e ritirata per ragioni politiche dopo solo nove rappresentazioni. 5. La proliferazione Nel terzo gruppo di opere, poco prima del bruco finale di un’epoca gloriosa, assistiamo a una proliferazione dei generi, non di rado segnata da una loro cristallizzazione; segno distintivo di questa produzione è l'affermarsi quasi incontrastato della tragicommedia nata da una contaminazione di generi ma a sua volta pronta a strutturarsi con precise convenzioni di genere. Altrettanto notevole è la presenza di temi, elementi e trame tratte dalla tradizione europea: vengono però resi ora con una marca più evidente di esotismo, da collegare non solo alla produzione dell’ultimo Shakespeare, ma a un più generale gusto per l’avventura romantica tipico dell’età carolina. 42 consolidarsi della sfera pubblica venne a coincidere da un lato con l’affermazione della cultura della coffee-house e dall’altro con la nascita del giornalismo. Questa rivoluzionaria democratizzazione della cultura materiale a stampa, prodotta, diffusa e consumata come mai prima da un vasto pubblico di lettori anonimi, investì inevitabilmente anche l’universo teatrale. Il repertorio drammatico, adesso, è valutato sempre più spesso anche come un testo da leggere e non più solo come testo da gustare nello spazio sociale del teatro. Se da un lato questo mutazioni sociali testimoniano a livello culturale il tramonto del potere aristocratico dall’altro esse preannunciano l’ascesa incalzante della middle class borghese e mercantile, seguita dal trionfo di quello che è stato definito lo homo oeconomicus settecentesco. A sua volta il teatro iniziò ad attrarre un pubblico sempre più vasto e variegato, composto da mercanti, borghesi e cittadini, i nuovi detentori del potere economico derivato dal commercio, dalle finanze e dall’industria manifatturiera. 2. Il repertorio drammatico a. La tragedia All’interno del genere tragico, fu il dramma eroico a cogliere più compiutamente il legame instauratosi tra politica e rappresentazione teatrale, qui attualizzato in aderenza ai criteri dell’estetica aristotelica come interpretati dai critici e dagli autori del Neoclassicismo; i personaggi principali di questa tradizione drammatica (scritti da John Dryden e Nathaniel Lee) erano eroi ed eroine di nobile lignaggio, appartenenti ad epoche e civiltà distanti nello spazio e nel temp o addirittura di derivazione classica, spesso vittime di un conflitto distruttivo tra invincibili sentimenti personali di amore e dedizione per l’amato e altrettanto forti obblighi di onore e fedeltà nei confronti dello stato. Genere altamente artificioso nei contenuti e nello stile, il dramma eroico aveva lo scopo di suscitare l’ammirazione del pubblico, colpito dalla nobiltà d’animo e dal valore dei protagonisti. Spesso la violenza e l’efferatezza dell’azione tragica, componenti del Terrore secondo la precettistica aristotelica, potevano diventare fini a se stesse. TUttavia fin dalle origini si nota come vada ad affiancarsi e presto a sostituirsi a questo gusto al limite per l’iperbole declamatoria e l’enfatizzazione dell’orrore un nuovo sentimento di partecipazione umana, anche nei confronti delle azioni più esecrabili: i personaggi diventano oggetto del raccapriccio del pubblico ma anche della sua compassione. L’elemento patetico e la componente privata iniziano ad imporre le proprie ragioni sulle vicende di stato. La commistione di sentimentale ed eroico anticipata da All for Love rimanda alla contemporanea affermazione di uno dei sottogeneri del dramma barocco, la tragedia patetica, consolidatasi nel decennio 1670-1680. La pietà per le sventure private dei protagonisti prendono il posto del sentimento dell'ammirazione tipico della tradizione eroica (come in The Fair Penitent di Nicholas Rowe, messo in scena nel 1703 al Lincoln’s Inn Fields). Sono esempi programmatici di questo genere anche i drammi The Orphan; or, the Unhappy Marriage (Dorset Garden, 1680) di Thomas Otway e The Fatal Marriage; or The Innocent Adultery di Thomas Southerne (Drury Lane, 1694). I profondi mutamenti culturali e assiologici di cui il teatro si fa portavoce vengono efficacemente riassunti ne The Mourning Bride di William Congreve (Lincoln’s Inn Fields, 1697); tale dramma appare allo studio contemporaneo particolarmente significativo in quanto opera di quell’autore che fu l’esponente forse più brillante e dello scintillante repartee e del disinvolto edonismo tipici della commedia della Restaurazione. The Mourning Bride si propone dunque come il sogno forse più evidente del mutamento epistemico in corso e del conseguente cambiamento di gusto che stava prendendo campo. 45 Se a livello tematico il declino della componente eroica comportò l’affermazione dell’elemento patetico e sentimentale, a livello formale va rilevata la diffusione di scene di forte impatto emotivo (tableaux) il cui scopo principale era quello di provocare una reazione affettiva nel pubblico, mosso a compassione e pertanto istruito proprio attraverso l’impatto emozionale dell’evento rappresentato. Vere sinfonie del pathos, dai toni esasperatamente emotivi, questi drammi vennero ribattezzati she-tragedies proprio in rispetto della centralità assunta dall’elemento femminile. (The Rival Queens; or, the Death of Alexander the Great di Nathaniel Lee, Drury Lane, 1677; The Innocent Mistress, Lincoln’s Inn Fields, 1697, e Queen Catherine; or, The Ruines of Love, Lincoln’s Inn Fields, 1698, entrambe di Mary Pix; Virtue Betrayed; or, Anna Bullen, Dorset Garden, 1682 di John Banks). Il dramma patetico e la tragedia al femminile tipici del secondo ‘600 testimoniano come la focalizzazione sulla dimensione privata implichi una profonda mutazione culturale, resa evidente attraverso la maggiore corrispondenza tra l’opera teatrale e la realtà che questa imita. Spostandosi dunque verso il secolo successivo la tragedia abbandona le sfere della ragion di stato o della storia classica e inizia a privilegiare un'ambientazione realistica e domestica. b. La commedia Al polo opposto dell’ampollosità del dettato e della magniloquenza nelle forme e nei temi che caratterizzano le tragedia eroica troviamo la commedia, genere eminentemente autoreferenziale, caratterizzato da ambientazioni, eventi, personaggi e linguaggio realistici, facilmente riconoscibili e dunque pienamente condivisibili da parte del pubblico. Questa commistione inscindibile tra spettatori e spettacolo evidenzia la dimensione sociale della produzione leggera della Restaurazione, nota anche con i nomi di “satira sociale”, “commedia di costume”, “commedia di intrigo” o “London comedy”, nel rispetto di approcci critici tra loro complementari tesi a privilegiare di questo genere ora le forme, ora i contenuti, ora infine l’ambientazione. Dal punto di vista linguistico i dialoghi adottano a modello quella conversazione arguta e spesso salace basata sul witticism, la battuta di spirito che caratterizzava la vita della corte Stuart. Evidente è l’influenza del teatro francese, soprattutto per tramite del grande modello offerto da Molière, i cui personaggi dimostrano un disincanto che torna anche nelle commedie inglesi. Per convenzione le figure ricorrenti di questa commedia sono rappresentate da una triade attanziale costante: ad una coppia brillante di giovani amanti, gay couple, si affiancaapposizione alla vano secondo una strategia di calibrato contrappunto tematico da un lato il rake, distillato di magnetica sessualità, incarnazione di un trionfo degli istinti di stampo hobbesiano, e dall’altro il fob, damerino con ruolo di caratterista, creato come contrapposizione alla brutale virilità del rake. 3. Dal teatro al romanzo La tradizione drammatica della Restaurazione si rivelò un inesauribile serbatoio tematico e formale per la storia della letteratura inglese nel suo complesso. Al di là dell'influsso profondo e riconosciuto che essa esercita sulla letteratura drammatica del secolo successivo (David Garrick, Richard B. Sheridan) è infatti proprio dalla trasposizione sulle pagine di commedie di costume e drammi barocchi e dal riadattamento narrativo a cui questi furono sottoposti che ebbe origine la grande tradizione del romanzo inglese settecentesco. L'ambientazione contemporanea e l’uso di personaggi e situazioni realistici in cui il pubblico poteva riconoscersi e immedesimarsi furono altrettanto fondamentali; della tragedia barocca 46 si adottò invece l’interesse per le trame incentrate sulle vicende private dell’individuo, in particolare di personaggi femminili. A livello mimetico, il secondo contributo del dramma seicentesco allo sviluppo del romanzo fu dato dall’anatomia delle passioni, descritte attraverso quel repertorio scientifico di segno del corpo, che aveva trovato origine nella precettistica teatrale e sulle tavole dei palcoscenici londinesi. 4. Il teatro musicale e l’opera Meno spontaneo è rammentare le numerose produzioni musicali di un’epoca in cui fu proprio il riadattamento in chiave operistica di The Tempest di William Shakespeare (1611) a rappresentare il successo più clamoroso e duraturo; frutto della collaborazione congiunta di John Dryden e William Davenant, questa versione operistica del capolavoro shakespeariano è significativa per o studioso del teatro della Restaurazione. Sebbene pubblicata da Dryden solo nel 1670, fu rappresentata per la prima volta nel 1667, stesso anno in cui l’autore mise in scena la tragicommedia Secret Love e la commedia Sir Martin Mar-All. Nel periodo della Restaurazione l’edificio teatrale era stato immaginato come adatto all’allestimento di due tipologie distinte di spettacoli, quelli drammatici e quelli musicali ciascuno dei quali con specifiche necessità di messinscena. Le “semi-opere” della Restaurazione rispecchiano perfettamente questa versatilità di ambientazione, coniugando le scene di musica e canzoni a quelle di dialogo tradizionale. In particolare in Italia si era già andati a sfruttare ampiamente le possibilità illusionistiche offerte in campo teatrale dall’uso della prospettiva, alle quali si associavano i sempre più complicati macchinari teatrali (per i machine plays). Abbiamo un esempio anticipatore di teatro musicale inglese già nel 1656, quando venne utilizzato per The Siege of Rhodes di Davenant un elaborato scenario mobile; ne era autore John Webb, architetto neoclassico allievo del celebre Inigo Jones. La produzione semi-musicale del secondo ‘600 e del ‘700 vede le opere di Henry Purcell come King Arthur (1691) e The Fairy Queen (1693) o gli intermezzi musicali e le pantomime, popolarissimi nell’epoca georgiana. La prosa del Seicento 1. La scrittura regale Il ‘600 inizia con l’ascesa al trono di James I Stuart (1603), quindi si può iniziare dalle opere scritte dal sovrano a ridosso del nuovo secolo: uomo di notevole cultura, ma ancora strettamente legato a credenze e a ideologie appartenenti al passato, ad una visione estremamente conservatrice, nel trattato politico The True Law of Free Monarchies che uscì anonimo nel 1598 e nel Basilikon Doron, pubblicato l’anno seguente, il sovrano ribadisce il diritto divino dei re. Di particolare interesse l’opera Daemonology in form of a Dialogue, Divided into Three Bookes, pubblicata nel 1597 e ristampata più volte nel corso del ‘600, un trattato che si offre al lettore di oggi come testimonianza di quel clima persecutorio contro presunte pratiche magiche e demoniache. Nell’Europa di James I la stregoneria costituiva un problema estremamente serio, dibattuto da teologi e studiosi e sofferto dalla gente comune: denunce, processi e torture erano all’ordine del giorno. La posizione del sovrano a tale riguardo è molto chiara: nella prefazione al lettore egli afferma che il suo scopo è convincere anche i più scettici dell’effettiva esistenza si maghi e streghe e della necessità di punirli in quanto strumenti di Satana. 47 Nella seconda metà del secolo, all’entusiasmo per la nuova scienza si sostituisce un atteggiamento critico che dà vita ad opere anticipatrici delle grandi satire settecentesche; l’intento parodico nei confronti della scienza e delle varie teorie fiorite attorno alla luna si esprime nel poema burlesco di Samuel Butler Hudibras dove l’autore irride sia la scienza che gli scienziati, rappresentati dal mago imbroglione Sidrophel (poi anche nella commedia The Virtuoso di Thomas Shadwell 1676 e nella commedia The Emperor of the Moon di Aphra Behn del 1684). The Blazing World di Margaret Cavendish è un’opera difficilmente catalogabile, in quanto caratterizzata da uno spiccato ibridismo formale: può essere letta infatti come un racconto di viaggio o di fantascienza, come una fiaba oppure una satira o anche un’autobiografia, in quanto condivide aspetti di tutti questi generi insieme. Nonostante i rimandi alla mitologia e alla tradizione favolistica, la funzione delle strane creature che popolano il mondo della Cavendish non è unicamente quella di suscitare stupore e meraviglia: The Blazing World si non si pone sulla stessa linea di quei libri di viaggio medievali come The Travels of Sir John Mandeville. Lo stupore provocato inoltre dal capovolgimento delle misure e dalla conseguente perdita delle proporzioni della realtà, dovuti alle innovazioni nella scienza ottica, percorre molta letteratura del ‘600 e del primo ‘700, ne è esempio Gulliver’s Travels (1726) di Jonathan Swift. 5. Il romanzo A partire dalla metà del secolo iniziano ad apparire opere in prosa che preludono a generi letterari il cui completo sviluppo sarà evidente nei primi decenni del ‘700: il saggio giornalistico e il romanzo. Fra i non pochi romanzi e racconti pubblicati in quel periodo va segnalato Incognita (1692) di William Congreve, nella cui prefazione in cui l’autore indica le caratteristiche proprie di un genere letterario che troverà piena attuazione nel grande romanzo borghese del secolo seguente. Fra gli autori di racconti e romanzi spicca la figura di Aphra Behn, scrittrice eclettica e feconda di prosa e di teatro, personaggio affascinante quanto scomodo, per le scelte sia personali che letterarie insolite o addirittura considerate scandalose per una donna a quei tempi. Fu infatti la prima scrittrice professionista, la prima donna nella letteratura inglese a guadagnarsi da vivere scrivendo, l’unica che abbia avuto l’onore di essere sepolta nell’Abbazia di Westminster. A lei si deve il primo romanzo epistolare moderno in lingua inglese: Love Letters between a Nobleman and his Sister, che apparve nel 1684, mezzo secolo prima del romanzo di Richardson Pamela, or Virtue Rewarded. La sua opera più famosa rimane il romanzo Oroonoko, or the Royal Slave, pubblicato nel 1688, vera pietra miliare nello sviluppo del romanzo inglese. L'autrice, che si identifica con l’io narrante, si pone fin da principio come testimone oculare della vicenda, stabilendo con il lettore un patto narrativo che costituirà una costante in questo genere letterario: un patto che richiede una completa fiducia da parte del lettore stesso circa l’affidabilità del racconto. Aphra behn dimostra un atteggiamento ambiguo nei confronti della schiavitù; l’eroico protagonista Oroonoko proviene da un mondo, l’Africa, dove la schiavitù è praticata normalmente, per cui la condanan dell’autrice è diretta non tanto all’istituzione della schiavitù di per sé, quanto a come essa viene praticata in Iccidente, dove si è trasformata in un gratuito esercizio di crudeltà. Anche le opere di John Bunyan, sebbene diversissime nei contenuti, contribuirono come quelle della Behn all’affermarsi di quella prosa narrativa che troverà completa espressione 50 nel romanzo borghese settecentesco. Bunyan può essere considerato il rappresentante popolare del puritanesimo, predicatore appassionato, dopo la guerra civile fu incarcerato 6. I sermoni Nonostante i molti segni di modernità e di spirito laico presenti nella prosa del ‘600 uno dei maggiori interessi del secolo rimaneva quello religioso e i libri dedicati a tale argomento, come le raccolte di sermoni, i trattati teologici e devozionali o i commenti a testi sacri furono più numerosi di qualsiasi altro genere letterario. I sermoni soprattutto godettero di una grandissima popolarità: la gamma di stili e di figure usati era vastissima e andava dal tentativo di suscitare l’emozione del lettore con immagini forti e grottesche ai ragionamenti a fil di logica e alla spiegazione dei testi. Fra i tanti predicatori si ha Lancelot Andrewes, i cui sermoni, stampati nel 1629, si distinguono per lo stile serrato e intenso con cui vengono sviluppate le varie argomentazioni i sermoni di John Donne, pubblicati più volte dopo la sua morte, sono argomentazioni molto curate che partono da una citazione della Bibbia con successive amplificazioni, commenti e applicazioni pratiche. Fra gli scritti religiosi non vanno dimenticati quelli di Jeremy Taylor, come i due trattati Holy Living (1650), un manuale religioso sulla condotta che deve tenere un cristiano nella vita di tutti i giorni, e Holi Dying (1651), un’opera che appartiene alla tradizione medievale dell’Ars morienda. I numerosi saggi e pamphlets che furono dati alle stampe nella seconda metà del secolo anticipano quel genere di saggistica che formerà l’ossatura dei giornali inglesi degli inizi del ‘700. 7. La prosa di Milton Fondamentali per la serietà di intenti e per l’ampiezza di vedute sono le opere in prosa di John Milton, tra cui annoveriamo i quattro trattati in favore del divorsio (1643-1645) e l’Areopagitica, in sostegno alla libertà di stampa, mentre in The Tenure of Kings and Magistrates, scritto subito dopo la morte di re Charles I per giustificarne l’uccisione, Milton parte dal concetto che tutti gli uomini sono nati liberi, per sviluppare il principio del contratto sociale: egli sostiene il diritto dei sudditi di ribellarsi al tiranno e di condannarlo a morte. Fu questo scritto che fece dello scrittore l’apologeta del governo di Cromwell e gli procurò l’incarico di segretario dello stato per le lingue straniere. Nel pamphlet Eikonoklastes (1648), Milton si scaglia contro l'Eikon Basilike scritto dal re prima di essere decapitato. 8. Saggistica e diari In campo strettamente letterario va ricordato il saggio di John Dryden Essay of Dramatic Poesy (1668), in cui quattro personaggi dialogano esponendo i loro diversi punti di vista sull'argomento. Abraham Cowley fu il maggior seguace del metodo discorsivo del grande maestro francese Montaigne, autore di saggi moraleggianti e brillanti come Of Myself; Sir William Temple, i cui scritti, elogiati per la loro eleganza stilistica, trattano di affari di stato, di argomenti politici o economici inframezzati da commenti e riflessioni personali; Sir John Savile marchese di Halifax scrisse The Character of a Trimmer, del 1688, e The new Year’s Gift; or Advice to a Daughter, che contiene affettuosi consigli improntati al buon senso sul matrimonio, la conduzione di una casa, la vanità e l’orgoglio a cui una giovane donna non deve mai indulgere. 51 The Complete Angler, or the Contemplative Man’s Recreation di Isaac Walton è un dialogo fra tre uomini che abbandonano la città per trascorrere alcuni giorni nella campagna intorno a Londra dedicandosi alla pesca; si parla molto delle varie tecniche per pescare e dei modi con cui cucinare il pesce, ma soprattutto il libro si fa occasione per descrivere le bellezze della vita bucolica ed esprimere la nostalgia per il tempo passato. Iniziano ad essere stampati fogli come il Mercurius Britannicus e il Mercurius Aulicus, entrambi precedenti alla Rivoluzione puritana; più legati ad interessi intellettuali e letterari sono l’Observator di Sir Roger, L’estrange e The Athenian Gazette; mentre il più colto era probabilmente The Gentleman’s Journal, ideato da un gruppo di scrittori che fondarono l’Athenian Society e che contribuirono al giornale con saggi sull’amore e il matrimonio, la religione e la scienza. Si devono nominare poi i diari: quelli di Samuel Pepys va dal 1666 al 1669 e traccia un quadro vivo e dettagliato degli avvenimenti di quegli anni, testimonianza diretta dei più importanti eventi del tempo, offrendo anche aneddoti divertenti e quadretti di vita coniugare, oltre a rivelare la passione dell’autore per il teatro, fornendoci notizie curiose e interessanti sui drammi e le commedie che godevano di maggior successo durante la Restaurazione. Il diario di John Evelyn tende a diventare una vera e propria cronaca del tempo, scritta da un uomo pragmatico e investito di importanti cariche pubbliche che lo videro impegnato nella progettazione della ricostruzione di Londra dopo il grande incendio del 1666 e nella organizzazione della Royal Society. La poesia del Seicento 1. Poesia metafisica e classicismo: John Donne e Ben Jonson Se la nota dominante della poesia cinquecentesca è la tensione verso l’unità e l’armonia, avvicinarsi alla soglia del ‘600 significa fare esperienza di modalità poetiche che privilegiano la frammentazione e la dissonanza. John Donne, già attivo negli anni ‘90, in quanto autore di 5 Satires e di una ventina di Elegies ispirate soprattutto agli Amores di Ovidio, immette anche nella lirica amorosa più matura i tini spregiudicati e irriverenti che gli derivano dai modelli latini. Nella raccolta Song and Sonnets (1595-1615) si trovano però anche composizioni che celebrano l’amore reciproco come esperienza di supremo valore. La maniera petrarchesca, dominante nella lirica del ‘500, è messa in discussione. I Songs and Sonnets non si presentano come una raccolta organica di sonetti disposti in sequenza narrativa, ma come una collezione di poesie scritte in forme e metri diversi; queste composizioni d’amori non sono destinate a una sola donna, né sono riconducibili a un soggetto unitario. Donne fu un instancabile sperimentatore e l’antesignano in Inghilterra della corrente "metafisica", termine impiegato da John Dryden a sinonimo di intellettualismo e astruseria e, in tale accezione, consacrato da Samuel Johnson. Da critico neoclassico quale fu, Johnson non poteva rendere giustizia a un poeta che come Donne ignora il principio del decoro e combina immagini eterogenee. Fu Johnson a fornire una prima e tuttora valida interpretazione della poesia metafisica, fenomeno concomitante e analogo al marinismo italiano o al gongorismo spagnolo, descrivendola come una sorta di “discordia concors”. Donne amalgama pensiero e sentimento, trasformando l’uno nell’altro e viceversa. Un altro tratto distintivo della poesia di Donne è l’immediatezza espressiva prodotta da un linguaggio colloquiale assai spesso calato in una implicita situazione drammatica. La poesia di Donne è infatti caratterizzata da una forte intensità emotiva e passionale che straordinariamente si combina a un’intelligenza attiva e analitica. Sempre alla ricerca di una 52 “Regeneration” che dà il titolo alla poesia con cui si apre la raccolta del 1650, dichiaratamente ispirata all’opera di George Herbert. Se la sconfitta monarchica sospinge l’anglicano Vaughan verso un misticismo che muove a ritroso verso un prima più vicino a Dio, quella stessa crisi consegna all’esilio l’altro importante e pressoché coevo poeta religioso, Richard Crashaw. Abbandonata l’Inghilterra nel 1643, di lì a poco Crashaw abbandonò anche la religione anglicana di cui era sacerdote e nel 1645 si convertì al cattolicesimo. La prima significativa raccolta di Crashaw, Steps to the Temple (1646) richiama nel titolo l’opera di Herbert, ma è a modelli continentali, Marino e i poeti gesuiti del ‘500 e ‘600, che Crashaw di fatto si ispira. Diversi sono anche i temi trattati, portati in primo piano da una religione che indica nei Santi modelli di possibile eroismo spirituale. Crashaw privilegia l’abbandono dinanzi a verità che, scavalcando l’io, non possono essere registrate nel loro impatto emotivo: di qui, una poesia che riproduce e produce esaltazione dei sensi con l’accumulare immagini in un crescendo che sfuma l’identità fra gli oggetti fino a minare la loro consistenza. Spesso, ciò che rimane è soltanto il suono, la musicalità di versi che competono con l a musica nel produrre effetti di indubbia suggestione. 4. L’Interregnum (1649-1660): Andrew Marvell e Abraham Cowley Il panorama poetico degli anni ‘50 può vedersi riepilogato dalle opere e dall stesse vicende di vita di due figure non solo politicamente antitetiche, ma disomogenee anche rispetto all’incidenza che ebbero sulle generazioni successive: il puritanoe al tempo pressoché sconosciuto Andrew Marvell e l’acclamato poeta monarchico Abraham Crowley. La produzione in versi di Marvell è quantitativamente ridotta: a lui si devono infatti una cinquantina di liriche pubblicate con omissioni in Miscellaneous Poems (1681) e varie satire. Resta il fatto che, oltre che personalità poetica di grande rilievo, Marvell fu un testimone privilegiato del suo tempo; personalmente conobbe e frequentò i grandi eroi della Rivoluzione, Cromwell e il comandante dell’esercito parlamentare Thomas Fairfax e su di essi pronunciò in versi tutt’altro che propagandistici, versi che, se lasciano trasparire la sua ammirazione, nondimeno sono tanto calibrati da lasciare voce e spazio anche al partito avverso. A Cromwell, MArvel dedicò 3 odi, fra cui la più notevole la “Horatian Ode” (1650). Circa Lord Fairfax, della cui figlia Marvell fu precettore, è da ricordare almeno “Upon Appleton House” (1651), una lunga country-house poem che onora l’uomo e il suo casato dipingendone la dimora nello Yorkshire, ma che mette bene in luce taluni tratti salienti della scrittura assai sofisticata del suo autore. Importante il gioco del wit che esercita in velocissimi mutamenti prospettici, fino a far sconfinare nel simbolo il conceit (la metafora estesa). L’immaginazione di Marvell è infatti essenzialmente metamorfica e, alla concentrazione sul dettaglio su cui il poeta indugia, si accompagna una percezione soggettiva che rinvia a qualcosa di ulteriore. Nella poesia di Marvell la critica concorda nel vedere confluire le due linee di sviluppo della poesia primo-seicentesca, la metafisica e la classicista, portate a sintesi da una pratica poetica precorritrice di ben più moderne sperimentazioni. Assai diverso è il caso del contemporaneo Abraham Cowley, già autore negli anni ‘40 di The Mistress (1647), raccolta di liriche amorosa composte a Parigi presso la corte in esilio di Henrietta MAria e nel 1656 di un più notevole volume di Poems che gli guadagnò fama presso i contemporanei. Il tema politico ha indubbia rilevanza: lo attesta l’incompiuto poema eroico “Davideis” che adombra, nel conflitto fra Davide e il tiranno Saul, ben più recenti lotte intestine. Ma è soprattutto con e odi pindariche che Cowley dà il suo apporto più 55 significativo; alla metrica così messa a punto si rifanno infatti poeti successivi, fra cui Dryden, Collins e Gray. Crowley scrisse un inno agli eroi del nascente spirito nazionale e scientifico nel primo degli Anniversaries: vengono così celebrati Thomas Hobbes e Francis Bacon, il Mosè che ha abbattuto il principio dell’autorità degli antichi. Inclusa in The History of the Royal Society (1667) di Thomas Sprat, l’ode di Cowley non manca di rendere omaggio al fondatore dell’istituzione, oltre che ai suoi membri: i “great champions” che promuoveranno la conoscenza scientifica. Di Sprat, Crowley loda non soltanto la vocazione a deputare il sapere da atavici preconcetti, ma lo stesso riformismo linguistico. 5. John Milton (1608-1674) John Milton, grande paladino della Rivoluzione oltre che grande poeta, ha 50 anni quando pone mano alla composizione del Paradise Lost (1667 e 1674), il poema che vede le stampe nell’epoca della Restaurazione e che, da subito, viene meritatamente riconosciuto com un capolavoro; per la consacrazione del poeta a classico occorre però attende il ‘700, il secolo che assiste alla trasformazione di Milton, da attivista rivoluzionario e ardente repubblicano in poeta ispirato e sublime. I grandi temi della ribellione (di Satana) e della disobbedienza (di Adamo ed Eva) affrontati nel Paradise Lost sono sicuramente ma solo indirettamente connessi alle vicende storiche che ne costituiscono l’imprescindibile retroterra. Contemporaneo dei poeti carolini, il giovane Milton poco infatti si rifece a Donne o a Jonson, piuttosto scelse a maestri Spenser e Shakespeare fra i poeti inglesi, Dante, Ariosto, Tasso e Du Bartas fra i continentali e Omero, Virgilio, Ovidio e la Bibbia fra gli antichi. Con assiduità egli curò la sua formazione, animato dalla speranza di riuscire ad emulare quei grandi; alla maniera degli scrittori del Rinascimento, Milton assegna infatti grande importanza alla formazione dell’individuo e crede nella letteratura come agente di incivilimento della società. La produzione poetica miltoniana è scandita in due periodi separati fra loro da un intervallo di 20 anni durante i quali Milton attese quasi esclusivamente alla composizione di scritti in prosa intesi a commentare così come ad incidere sullo sviluppo degli eventi (giovanile è il volume Poems del 1645). L’amore del sapere e la pratica della virtù sorrette dalla fede sono i principi-guida del severo itinerario che Milton volle seguire,all’insegna di quell’inscindibilità fra arte e vita che gli farà affermare che il vero poeta “ought to be a true poem”. I passi autobiografici che figurano in taluni dei suoi trattati recano testimonianza dell’altissima tensione intellettuale e spirituale che animò Milton, così come l’epistola latna Ad Patrem (1637) della sua idea di poesia quale arte divina, prova suprema del nostro essere creature di Dio. Le vicende della Rivoluzione non fiaccarono l’indomito puritano, nel frattempo passato a posizioni sempre più radicali nella sua strenua difesa della libertà di coscienza: dall’iniziale principio della separazione fra stato e chiesa anglicana, alla tolleranza per ogni confessione religiosa tranne la cattolica, alla scelta della repubbica come sola forma di governo. Pur se sconfitto Milton prende la parola nel Paradise Lost per rappresentarsi in memorabili proemi come poeta ispirato e illuminato: mediatore, alla stregua dei profeti biblici, di verità dispensate dallo Spirito divino. In Paradise Lost si è visto anche il primo poema dell’era astronomica moderna: stupefacentemente l’azione è collocata in un cosmo sconfinato e, grazie ad abilissimi giochi prospettici, colto nella sua tridimensionalità; ma altrettanto totalizzante e omnicomprensiva è la dimensione temporale: intorno all’azione principale il poema raccorda l’intera storia biblica dalla Creazione al Giudizio Finale, ripercorrendola retrospettivamente nel colloquio fra l’arcangelo Raffaele e Adamo ed evocandone i futuri sviluppi coi racconti e le visioni presentati dall’arcangelo Michele ad Adamo. Da subito indicato come poema per eccellenza 56 sublime per la grandezza delle idee, la forza dello stile, la vastità e la ricchezza immaginativa, Paradise Lost non di meno stupisce infatti quando dal Cielo e dall’Inferno si passi alla Terra, poiché ciò che Milton ha saputo credibilmente rappresentare è la natura umana incorrotto. Interpretazioni autorevoli e influenti vedono nel Paradise Lost un poema narrativo ed enciclopedico, una summa delle forme letterarie occidentali e delle relative implicazioni ideologiche, riprese ma trasformate in senso cristiano e puritano. A reggerne la trama e raccordare fra loro episodi personaggi situazioni è infatti un gioco di opposizioni e contrasti che flessibilmente dà vita ad ambigui rispecchiamenti, a differenze parodiche e potenziali rassomiglianze. In ciò è da vedere la messa in atto di una sapiente strategia autoriale: la dialettica fra libertà e obbedienza tornerebbe infatti inscritta nella stessa stuttura dell’opera che, con accostamenti ironici e paradossali, mira a rafforzare in chi legge giudizio e capacità di discriminazione. Con Paradise Lost Milton forgia uno stile appropriatamente alto, per lo più plasmato sul modello ciceroniano, che duttilmente accorda a registri lirici, comici, tragici o piega agli scopi dell’eloquenza forense. Di questo stile inconfondibile rimangono le tracce, ma non la ricchezza espressiva, nel successivo Paradise Regained (1671), epica breve che inscena il confronto dialogico fra Cristo tentato nel deserto e l’avversario Satana. La tematica della tentazione ricompare nel dramma Samson Agonistes (1671), anch’esso strutturato come una sequenza di incontri e scambi dialogici fra il protagonista cieco e prigioniero e i vari personaggi che gli rendono visita; viene così delineato il sofferto percorso di affrancamento di Sansone da un passato d'orgoglio e di errori alla resa alla volontà di Dio. Nonostante la forte sperimentazione metrica e il parziale recupero della rima, Samson Agonistes è un dramma monocromatico, cupo e aspro non da ultimo nei confronti delle donne, qualcosa di ben diverso dalla dottrina della soggezione femminiled sostenuta in Paradise Lost. 6. John Dryden e l’età della Restaurazione (1660-1700) Il panorama poetico dell’età della Restaurazione è dominato dalla figura di John Dryden; in lui, autore, traduttore e critico, oltre che drammaturgo si assommano le tendenze dominanti di questa età che non conosce la lirica e che mira a una sorta di impersonalità sul piano dello stile. Indicato, già da Johnson nelle Lives of the English Poets, come il padre della critica iglese, Dryden non fu infatti soltanto un vero poeta: fu il teorico del nascente neoclassicismo, colui che disciplinò il campo delle lettere. Dryden non si lasciò tuttavia condizionare dagli imperativi che sostenne, seppe interpretarli alla luce delle esigenze espressive del presente, facendo tesoro della ricchezza del passato, di quello classico come di quello nazionale. Fu un appassionato lettore degli autori antichi e dei latini ma non fu un fautore di un classicismo nostalgico; piuttosto rivitalizzò la lezione dei classici, prendendoli a modello di quella correttezza e proprietà di linguaggio che sentiva indispensabili all’arte di un poeta moderno. Centrale è per lui il concetto di refinement, si reputò l’erede più tardo e quindi più maturo della tradizione letteraria inglese; in sintonia col mutato clima culturale, si adoperò a regolarizzare quanto, nei pur ammirati predecessori (Chaucer, Spenser, Shakespeare, Jonson), gi parve genialità indisciplinata. Il decoro poetico riveste infatti molta importanza agli occhi di Dryden, che di contro all’eterogeneità espressiva propria della poesia metafisica propone e persegue un ideale di separatezza degli stili. Il principio di restraint fu invece invocato per la difesa dell’heroic couplet, il decasillabo a rima baciata che arrivò a padroneggiare magistralmente racchiudendo nel distico una frase di senso compiuto. Grandi 57 3. Isabella Whitney: una voce piccolo borghese nella vita quotidiana di Londra Isabella Whitney nacque nella contea di Cheshire, verso la metà del ‘500 e morì presumibilmente dopo il 1580; si sa poco delle sue origini, forse era sorella di Geoffrey Whitney, e meno ancora sappiamo della sua vita: proveniente forse da una famiglia piccolo borghese, finì al servizio di nobili. Le difficoltà economiche,oltre ad affiorare come tema della sua poesia, sono uno dei motivi che la spinse a scrivere: nel 1567 pubblicò la raccolta di poesia The Copy of a Letter, lately written in metre by a young gentlewoman to her inconstant lover, seguito nel 1573 da una seconda raccolta, A Sweet Nosegay or a Pleasant Posy. La letteratura critica sulle opere della WHitney tende ad evidenziare il fatto che la scrittrice è la prima donna del periodo early modern a pubblicare i suoi versi e che il motivo di tale scelta è di trarne guadagno; le sue motivazioni anticipano quelle delle scrittrici di oggi: ambizione, denaro, ma soprattutto il divertimento del lettore, oltre che dello stesso poeta. L’opera per la quale Whitney è costantemente citata è tuttavia la poesia “The Manner of her Will”, l’ultima della sua seconda raccolta; la poesia, di 340 versi, prende a pretesto la partenza da Londra dell’autrice allo scopo di sottoscrivere un testamento; è così che la Whitney rielabora e combina due generi discorsivi tipicamente Tudor: da un lato il basone (elenco particolareggiato del corpo femminile), dall’altro il testamento (sotto-genere alquanto problematico per una voce poetica femminile, dato che le donne avevano pochissimi diritti di proprietà). Il blasone è usato per descrivere la mappa urbana della Londra del ‘500, la modalità del testamento invece sia per denunciare il fatto che la sua povertà la costringe a lasciare la città sia per vendicarsi di una società che le impone tale abbandono. 4. Il “Canzoniere” di Lady Mary Wroth: lo sguardo in alto di una donna nel Rinascimento Lady Mary Wroth nacque il 18 ottobre del 1587, primogenita di Sir Robert Sydney, conte di Leicester, e di Lady Barbara Gamage, e nipote di Sir Philip Sidney e di Mary Sidney Herbert. Mary passò gran parte della sua infanzia a Penhurst, nel 1603 sposò Sir Robert Wroth e divenne una figura importante alla corte di James I e della consorte, regina Anne, successori di Elizabeth I nel 1603. Dopo la morte del marito nel 1614, Mary si trovò in gravi difficoltà economiche, dato che il marito aveva lasciato molti debiti; si innamorò di un cugino, William Herbert, conte di Pembroke e dalla loro relazione nacquero due figli illegittimi. Mary Wroth è autrice del primo romanzo in prosa, a sfondo pastorale, pubblicato da una donna in Inghilterra, The Countess of Montgomerie’s Urania che vide le stampe nel 1621, dedicato a Susan de Vere Herbert, contessa di Montgomerie, cognata del cugino e amante di Mary. Il romanzo si chiude con un canzoniere di stampo petrarchesco, Pamphilia to Amphilanthus, che riprende la storia d’amore tra i due personaggi principali del romanzo; si tratta della prima sequenza di sonetti e canzoni d’amore scritta da una donna. I nomi dei due amanti nel titolo del canzoniere già contiene la prospettiva dell’intera raccolta: la fedele Pamphila si rivolge all’incostante e infedele Amphilanthus, cantanto il proprio amore, la tristezza e il dolore causati dell’amato spergiuro. La voce poetica femminile capovolge immediatamente la situazione di fondo dell’amore petrarchesco; l’io poetico femminile si riferisce a se stessa come “lover”, non come “mistress”; è anche significativo che il primo verbo con cui l’io poetante si relazioni sia “sawe”: si ricordi come nei conduct books del ‘500-’600 inglese, la donna venga costantemente ammonita ad abbassare gli occhi davanti all’interlocutore maschile. Ma gli occhi della donna nella poesia di Mary Wroth diventano occhi attivi, innalzati a guardare, a giudicare. 60 5. La voce ammutolita della poesia femminile rinascimentale La maggior parte delle poetesse incluse nelle antologie odierne sono state pubblicate per la prima volta proprio in questi volumi; ma anche la poesia di quelle poche autrici che erano riusciti in qualche modo a farsi pubblicare le proprie opere durante la loro vita, non è stata ancora ripubblicata; molte poi hanno seguito la prassi comune nel periodo, facendo circolare le proprie opere tra amici e conoscenti, in manoscritto. [Il Settecento] Il Romanticismo Introduzione I saggi di Hazlitt (1825) rivelano chiaramente che gli scrittori del momento compreso a grandi linee tra la perdita delle colonie americane (1783) e l’ascesa al trono della regina Victoria (1837) hanno una forte coscienza di appartenere a un’epoca distinta, ovvero a una fase di intensi cambiamenti e rivoluzioni in tutti i campi dell’agire, del pensiero e della creazione. Importante è il fatto che nella cultura della Gran Bretagna a cavallo fra ‘700 e ‘800 non vi siano manifesti letterari tesi a dichiarare l’esistenza di una poetica romantica. Nel 1821, dal suo esilio italiano Lord Byron descrive con un certo distacco e altrettanta ironia il dibattito letterario che infuria sul Continente.. È più accurato definire il Romanticismo letterario della Gran Bretagna come un momento di intersezione tra diversi modi di scrittura, ovvero un periodo romantico in cui temi e stili nuovi si intrecciano in una convivenza vivace e feconda con gli elementi ancor vitali della letteratura e delle arti del passato. Il periodo è percorso da cambiamenti radicali più o meno repentini, un’età di rivoluzioni le cui radici affondano nei rivolgimenti della storia nazionale recente, a partire dalla Restaurazione del 1660. La Rivoluzione Industriale, i cui effetti si fanno sempre più visibili man mano che ci si avvicina al XIX secolo, scaturisce dalle scoperte tecnologiche e trae forza dalla rivoluzione agricola e dall’esplosione demografica del ‘700. La stessa Rivoluzione francese è percepita e discussa in Gran Bretagna in stretta relazione con la guerra civile inglese con la Glorious Revolution, nonché come una filiazione della guerra d’indipendenza delle colonie americane; inoltre la guerra con la Francia scoppiata nel 1793 culminerà solo nel 1815 con la sconfitta di Napoleone a Waterloo; questa vittoria, il cui impatto è pari a quello della disfatta della flotta franco-spagnola a Trafalgar da parte di Horatio Nelson nel 1805, sancisce il primato della Gran Bretagna fra le potenze europee e inaugura l’800 come il secolo del suo predominio a livello mondiale. La graduale espansione dell’impero coloniale in Asia e il rafforzato dei possedimenti già sotto il controllo britannico come il Canada o l’esplorazione e la conquista di nuovi territori come l’Australia. L’estetica neoclassica raccoglie ancora ampi consensi e molte sono le tracce di questo suo influsso prolungato in campo letterario; l’ode e il poema meditativo dei romantici sono radicati nelle sperimentazioni relative a questi generi da parte dei poeti del periodo augusteo (Byron si ispira a Pope), altrettanto imprescindibili sono i protagonisti della stagione di metà secolo come Samuel Richardson, Samuel Johnson, William Cowper (i quali, ad esempio, influiscono in modo determinante sulla narrativa di Jane Austen). Anche il romanzo del periodo romantico si innesta saldamente sul tronco del genere settecentesco come dimostra il fatto che Richardson, Henry Fielding e i romanzieri sentimentali forniscono solide basi a narratrici si spicco come Frances Burney, Charlotte Smith e la Austen. Il medievalismo reso 61 popolare da Walter Scott ha le sue radici nelle teorie storiografiche e nelle rivalutazioni storiche dell’Illuminismo scozzese. L’eclettismo costituisce la marca distintiva del Romanticismo in Gran Bretagna, dove alle forme di continuità con il passato vengono ad aggiungersi elementi di profonda innovazione. A livello ideologico si ha una nuova concezione dell’identità individuale, fondata su un sé autocosciente e autonomo, nonché un’idea complessa di identità nazionale. Si diffondono ideologie e codici tipici delle classi medie, come la netta separazione fra sfera maschile e femminile o gli ideali domestici e religiosi moralizzatori portati avanti dal movimento evangelico della chiesa anglicana. SI fanno sempre più pressanti anche le istanze liberali, tra cui il protofemminismo di fine ‘700, i movimenti di rivendicazione dei diritti dei non-anglicani, il riformismo politico e istituzionale e l’abolizionismo. Il perodo romantico registra ance l’abolizione del commercio di schiavi nel 1807, l’emancipazione dei cattolici nel 1829, la riforma del sistema elettorale (Great reform act) nel 1832 e l’abolizione della schiavitù nel 1833. Nell’ambito della produzione culturale si ha l'ampliamento del mercato dei libri e del pubblico dei lettori, così come si assiste all’emergere della figura del letterato di professione indipendente dal mecenatismo privato. Acquistano importanza le riviste di recensioni letterarie intese a formare il gusto del pubblico e ad influenzare le scelte. La figura dello scrittore però viene progressivamente a occupare un ruolo marginale rispetto ai grandi dibattiti della sfera pubblica. Elementi chiave della nuova estetica sono un rinnovato sperimentalismo poetico (ballata letteraria di William Wordsworth e Samuel Taylor Coleridge, ottava rima byroniana), la creazione di nuovi generi o la ricreazione di generi già esistenti come il poema lungo, il verse romance narrativo, il rinnovato interesse per il sonetto, la moda del frammento, il romanzo gotico e quello delle maniere, o il dramma storico. A livello tematico si diffondono la descrizione e l’analisi dei sentimenti e degli stati d’animo, un interesse per l’esperienza e la coscienza individuali come sedi di un sentire privilegiato, un’idea della natura e del cosmo come organismi viventi e sensibili, la rappresentazione dei lati oscuri e delle pulsioni inconfessabili dell’essere umano, la riflessione sul potere dell’immaginazione, un deciso schieramento della creazione letteraria in senso politico, nonché un senso della storia come divenire complesso e un’attrazione per i luoghi altri sia in senso temporale che geografico. L'aggettivo romantic risale al ‘600, quando inizia ad essere usato nel senso di “proprio del romance, meraviglioso e avventuroso, ma anche “eccessivamente fantasioso” in senso spregiativo. Sia Romantic che Romanticism sono termini di derivazione tedesca e diventano di uso comune solo dalla fine dell’800, quando sul modello della storiografia letteraria tedesca e francese, anche gli storici inglesi iniziano a parlare di una propria stagione romantica. La poesia del Romanticismo 1. Romanticismo e abolizionismo Tradizionalmente si fa risalire l'inizio del Romanticismo inglese all'anno 1798, data della prima pubblicazione della raccolta di poesie Lyrical Ballads,a firma di William Wordsworth e Samuel Taylor Coleridge: la "Preface" alle Lyrical Ballads, apposta da Wordsworth nelle successive edizioni della raccolta è da sempre considerata il manifesto dell'intero movimento romantico inglese. Oggi la critica anglosassone preferisce collocare il Romanticismo britannico in un arco di tempo più ampio: molti critici ritengono che lo si possa porre fra gli 62 trasformazione sociale e urbana che si registri in epoca moderna. Nel ‘700 i vari “enclosure acts” avevano tolto ai contadini la possibilità di accedere agli “open fields” per pascolare il bestiame e coltivare prodotti necessari al loro sostentamento, spingendoli a trovare lavoro nei centri urbani e nelle nuove aree industriali. Le condizioni di vita dei lavoratori erano disumane per via dei bassi salari, dei turni spesso superiori allle 12 ore che non rispettavano né sesso né età, per l’assenza totale di igiene, di assistenza medica e di previdenza nei cai di malattia o vecchiaia. Questa realtà diede impulso nel corso del periodo romantico a una letteratura impegnata su temi civili; la poesia registrò le crescenti contraddizioni di una società che da un lato possedeva un elevato grado di alfabetizzazione e un importante sviluppo demografico, ma dall’altro era affetta da una fortissima mortalità infantile, un grave inquinamento e un sensibile incremento del fenomeno della porstituzione, mentre era sotto gli occhi di tutti l’aumento dell’accattonaggio e al vagabondaggio. Fra gli intellettuali romantici di prima generazione William Blake nato e vissuto a Londra da una famiglia medio borghese, fu senza dubbio colui che maggiormente si fece portavoce del crescente disagio sociale; fu poeta incisore e pittore, sebbene istruito prevalentemente dai genitori, Blake si distinse per la sua vastissima cultura, iniziò presto a leggere la Bibbia che rimase una delle sue principali fonti di ispirazione. Mentre il Dio biblico gli appariva un despota, la figura di Cristo lo affascinava tanto da apparirgli un modello da seguire per la sua umanità e anche per la sua ribellione nei confronti dell’establishment e delle gerarchie del proprio tempo. Sono testi miniati opere quali Songs of Innocence and Experience. The Book of Thel (1789), The Marriage of Heaven and Hell (1790), Visions of the Daughters of Albion (1793), America: a Prophecy (1793), Europe: a Prophecy (1794), The First Book of Urizen (1794), Milton. A Poem (1804-1811) e Jerusalem: The Emanation of the Giant Albion (1804-1820). Blake si formò come incisore su modelli greci e classici in voga nella seconda metà del ‘700, creando figure umane di tipo michelangiolesco, grandi e muscolose, stagliate contro un infinito orizzonte mentre si confrontano con gli elementi naturali; si tratta di figure eroiche che danno corpo al suo personalissimo sistema mitopoietico e che rappresentano le principali facoltà umane spesso in lotta fra di loro. Pur essendo attratto dalle dottrine del mistico svedese Emanuel Swedenborg, Blake riteneva comunque prioritario occuparsi di quanto avveniva sulla terra e nella società; fu un acceso sostenitore della Rivoluzione americana e di quella francese, nemico di tutto ciò che mortifica e costringe l’essere umano, riteneva che solo l’immaginazione avesse un potere liberatorio e salvifico e che fosse dovere del poeta denunciare ogni forma di vessazione e di sfruttamento. Dopo la pubblicazione della sua prima raccolta di poesie, Poetical Sketches, del 1783, Blake frequentò la casa dell’editore Joseph Johnson, presso la quale conobbe il pittore svizzero John Henry Fuseli con cui strinse amicizia. Il testo poetico di Blake esemplare della sua poetica e del suo impegno civile è il poemetto “London”, appartenente alle Songs of Experience: la voce poetica deplora l’urbanizzazione selvaggia e la divisione fra classi sociali vista quale causa principale delle miserie, delle malattie e dell’infelicità degli abitanti della grande città. Londra appare come una città infernale, babilonica, della quale l’io poetico testimonia il degrado e il diffuso stato di malessere; in modo tipicamente blakiano, l’infelicità è prodotta dalla mente umana che crea essa stessa le proprie catene e i propri condizionamente assoggettandosi a imposizioni di poteri e istituzioni che ne umiliano le capacità e le potenzialità; nella nuova realtà metropolitana tutte le istituzioni appaiono come colpevoli e conniventi: la chiesa, il palazzo reale e perfino il matrimonio borghese. Altri poeti romantici sia di prima che di seconda generazione diedero conto della situazione in vario modo: in The Task di William Cowper la città, dominio dell'oscurità, è riconducibile al regno degli inferi; a questi versi, sembrano unirsi quelli di Eighteen Hundred and Eleven, a 65 Poem (1812) di Anna Laetitia Barbauld: il tradimento dell’uomo nei confronti della fertilità della natura è reso in tutta la sua gravità, la guerra è un atto non solo fra le nazioni ma anche fra la stessa gente umile e fra umanità e natura. La Barbauld, una dissenter, era una donna molto colta e versatile, brillante educatrice nella scuola del marito, era amica dello scienziato Priestley al quale dedicò il poemetto semiserio ”The Mouse’s Petition” (1773), in cui gli rimproverava di utilizzare nei suoi esperimenti scientifici cavie vive, e di Lady Elizabeth Montague, una dell più note bluestockings (intellettuali che rivendicavano il diritto delle donne a produrre arte e letteratura), che le propose, senza ottenerne l’assenso, di fondare un’accademia letteraria per fanciulle. La Barbauld pensava che ogni individuo fosse moralmente responsabile dei mali della società e che il progresso fosse la somma di molte coscienze illuminate; in Eighteen Hundred and Eleven elenca le colpe della nazione inglese: il colonialismo, la guerra, il commercio, l’industria. Queste scelte nazionali, pur avendo dato temporaneo benessere all’Inghilterra, l’avevano privata del suo bene più prezioso, l’antica anima libertaria ed egualitaria. Merita menzione anche la poetessa Anna Seward, conosciuta come “the swan of Lichfield”, figlia del canonico anglicano della cattedrale di Lichfield e da lui educata, conobbe nel circolo letterario animato dal padre importanti intellettuali fra i quali lo scienziato Erasmus Darwin, autore anche del poemetto in distici eroici The Botanic Garden (1791), che la introdusse al celebre e severo intellettuale Samuel Johnson e la incoraggiò a dedicarsi alla scrittura. La scrittura le fu dapprima rifugio e sollievo ai dispiaceri che la vita le riservò, per evolversi, dopo la morte del padre che le lasciò una cospicua eredità, in un’attività pubblica ricca di riconoscimenti al punto che le sue poesie furono successivamente raccolte ed edite da Walter Scott (1810). Si ricordano “Elegy to Captain Cook” (1780), dedicata a James Cook, e Louisa a Poetical Novel in Four Epistles (1784), un romanzo epistolare in versi che adombra l’amore infelice dell’adorata sorella adottiva Honorah Sneyd, andata in sposa all'autore e critico letterario Richard Lovell Edgeworth. Scrisse inoltre The Ladies of Llangollen, nel quale il mito dell’amicizia femminile viene incarnato dalle personalità affascinanti di Lady Eleanor Butler e Sarah Ponsonby, che diventano i prototipi della donna che sceglie di rifugiarsi nella natura per sottrarsi alle costrizioni sociali e alle pressioni convenzionali del nuovo mondo borghese. Ancora più esplicito e netto si fa il giudizio della poetessa quando torna ad affrontare il rapporto fra industria e mondo rurale o naturale, come nei due poemetti “To Colebrooke Dale”, sonetto pubblicato nel 1799, e il più lungo “Colebrooke Dale” (pubblicato nel 1810), dove la voce poetica cerca di rapportarsi allo sviluppo industriale che sta trasformando sotto i suoi occhi la campagna. William Wordsworth ha indagato la labile soglia che separa mondi antagonisti e tuttavia contigui: il passato dal presente, la città dalla campagna, la classe contadina dalla classe operaia. Queste tematiche sono il punto focale delle Lyrical Ballads, dove Wordsworth, in poesie come “Poor Susan” e “Michael”, affronta il presente magmatico con la evidente conapevoleza di chi sa di trovarsi di fronte al tramonto dell’universo agricolo, alla perdita degli antichi legami affettivi e comunitari e al rischio di essere circondati solo dal cinismo materialista dell’urbanesimo. Il poeta dei laghi riprese il tema della città e Londra in particolare in altre poesie tra le quali “London 1802”, dove il riferimento diretto alla città è riservato soltanto al titolo, in questa l’io poetico rivolge un’invocazione a Milton perché torni a vivere per salvare l’Inghilterra, e “Composed upon Westminster Bridge, 3 September 1802”, in cui la città è incantata, sotto un incantesimo dovuto al suo stato dormiente, la visione che appare al poeta è di una Londra alle prime ore del giorno, lontana e ancora addormentata. 66 La città nel suo trambusto è presente in “London Summer Morning” (dai Lyrical Tales, 1800) di Mary Robinson, poetessa, romanziera, ma anche attrice, donna di grande bellezza, dalla vita tormentata: le frustrazioni e le pene d’amore provate nel corso di relazioni infelici sono cantate nella serie di sonetti Sappho and Phaon (1796), dove viene messa a nudo la sua sensibilità femminile; questo canzoniere si allontana dagli accenti retorici e dallo stile metaforico della scuola “della Crusca”, in grande voga a tempo e da lei stessa adottati in un dialogo poetico con uno dei teorici di questa corrente, Robert Merry, pubblicato sulla rivista The World nel 1788. Divenuta attrice con il manager teatrale David Garrick, scopritore di talenti femminili, fu esposta alla disapprovazione dell’opinione pubblica sia per le breeches parts (parti in cui indossava abiti maschili), sia per una discussa quanto breve relazione con il giovane principe del Galles, futuro re George IV. Mary Robinson fu molto sensibile ai temi scottanti dell’epoca, come si vede da “The Deserted Cottage” e da “The Lascar” in Lyrical Tales (1800); nella prima lamenta il terribile vuoto lasciato dalla guerra che aveva portato morte e distruzione alla nazione, la seconda punta il dito contro le discriminazioni razziali che riempiono di infelicità e solitudine l’indiano che vagabonda nelle strade desolate delle città inglesi. La seconda generazione romantica non dimentica la denuncia di Blake contro lo sfruttamento dei deboli e dei bambini e lo dimostrano autrici come Caroline Anne Bowles, futura moglie del poeta romantico Robert Southey, Caroline Sheridan Norton e Letitia Elizabeth Landon. Se nel 1833 il Factory Act aveva finalmente decretato l’illegalità del lavoro in fabbrica dei bambini sotto i 9 anni quelli fra i 9 e i 13 erano ancora sottoposti a otto ore di lavoro al giorno, mentre a chi abeba fra i 13 e i 18 era richiesto un orario giornaliero di dodici ore. Contro tali orari e condizioni di lavoro massacranti per dei giovanissimi la Bowles lancia la sua protesta in Tales of the Factories (1833), Caroline Norton in A Voice from the Factories (1836), dove condanna ogni forma di sfruttamento minorile e, infine, Letitia Elizabeth Landon, nella poesia “The Factory” (da Fuggitive Pieces, in The Vow of the Peacock and Other Poems, 1835), tratteggia un mesto quadro delle pesanti condizioni di lavoro dei fanciulli. 3. Nostalgia, gusto antiquario e medievalismo Non stupisce se al realismo di cui danno prova i romantici quando affrontano temi sociali, si affianchi una inevitabile nostalgia per il passato. Nel 1794 il governo di George III promulgò leggi che sospesero la libertà di stampa e di adunata e introdussero i reati di opinione; la Rivoluzione francese, che aveva inizialmente alimentato speranze straordinarie ed era stata accolta come la realizzazione delle più alle predicazioni illuministe, finì, a causa del periodo del Terrore e del conflitto anglo-francese, con inimicizie, delusioni e timori. Ne fu ben consapevole Charlotte Smith, che pubblicando il poema in blank verse The Emigrants (1793) ebbe il coraggio di promuovere la fratellanza fra gli abitanti delle due sponde della Manica; la sua voce poetica si modula sul lutto e sul rimpianto tanto da irritare Anna Seward che in un sonetto, Advice to Mrs. Smith. A Sonnet (1786), la rimprovera di offrire al pubblico un modello negativo di donna. Mary Wollstonecraft nelle recensioni apparse sull’Analytical Review di Joseph Johnson, mentre le riconosce talento come poetessa, disapprova la vena troppo sentimentale dei suoi romanzi; tuttavia fra il 1784 e il 1800 vi saranno ben otto edizioni dei suoi Elegiac Sonnets. Nel 1807, un anno dopo la morte della Smith, apparirà Beachy Head, Fables and Other Poems che la immortala fra i contemporanei come musa della botanica per l’amore per il mondo naturale che trabocca dai suoi versi. Nel 1833 Wordsworth encomiò gli Elegiac Sonnets. La Smith sfidò con coraggio il canone maschile: 67 4. Lyrical Ballads e Dorothy Wordsworth: il linguaggio della natura Nella “Preface” alle Lyrical Ballads nell’edizione del 1800, Wordsworth illustra la sua poetica e il tentativo di guidare il lettore alla riscoperta di un più semplice e naturale modo di vivere, dando rilievo a un particolare tipo di linguaggio che egli vuole altrettanto semplice e autenticamente popolare, specchio dellabellezza naturale e veicolo dei sentimenti e delle passioni della gente comune. Wordsworth esprime un preciso orientamento democratico; nella raccolta le sue poesie registrano le inquietudini e le esperienze del tempo attraverso i tratti delicati del sentimento; la sua ricerca approda al mondo degli umili e della natura, quella di Coleridge conduce alla dimensione spirituale e paradigmatica testamentaria del marinaio errante di The Rime of the Ancient Mariner (in cui il vecchio marinaio perde per punizione i propri compagni e persino il diritto a morire; la sua vita viene trasformata in vita in morte è riscattata solo alla fine del racconto dall’amore che il marinaio manifesta per tutte le creature viventi; il rito a cui il marinaio è sottoposto è soprattutto un atto linguistico dove la parola si fa azione). Coleridge nelle sue Philosophical Lectures stabilisce lo stretto rapporto fra parola e cosa e percepisce la parola come simbolo ed espressione della saggezza e dell’Essere Supremo. Wordsworth e Coleridge condividono dunque una visione retrospettiva: nel primo lo sguardo è localista, teso a ritrovare una perduta dimensione comunitaria; nel secondo la nostalgia è per un passato che precede la caduta causata dal peccato. Se Wordsworth canta i destini della vita degli umili dando a essi un’identità e un volto in poesie come “Michael”, “Beggars”, “The Leech-gathered” o “The Idiot Boy”, in Rime of the Ancient Mariner Samuel Taylor Coleridge, studioso della filosofia idealista tedesca a cui dedicò riflessioni e scritti, dipinge un affresco maestoso e allegorico delle condizioni spirituali di un’umanità pellegrina sulla terra. Le Lyrical Ballads appaiono quindi come “poetry of nature” perché contengono due elementi cardini: il primo, l potere i suscitare la simpatia del lettore, il secono, il potere di defamiliarizzare il mondo, vedendolo come per la prima volta attraverso il potere dell’immaginazione. Coleridge avrebbe scelto personaggi e situazioni soprannaturali ma, impregnandoli di sentimenti e d emozioni del tutto umani, li avrebbe resi verosimili, obbedendo implicitamente al patto di sospensione dell’incredulità stipulato con i lettori. Wordsworth invece avrebbe trattato di fatti naturali e di personaggi umili in modo da trasformarli in soprannaturali grazie all’incantamento e all’emozione che essi avrebbero trasmesso, e al meraviglioso mondo della natura che lo sguardo del fanciullo poeta avrebbe rivelato al lettore. Dell'incantamento e dell’emozione Wordsworth continuò a occuparsi arrivando a coniare in The Prelude la definizione di “spots of time” per indicare i momenti di rivelazione che hanno luogo allorché l’io e il mondo misteriosamente si compenetrano generando vere e proprie epifanie: è allora che la poesia di Wordsworth acquista la dimensione di un magico realismo. Il sodalizio fra Wordsworth e Coleridge, iniziato nella città di Bristol e continuato nel Lake District, ebbe come testimone e ulteriore protagonista la sorella di William, Dorothy, autrice di straordinarie pagine diaristiche e di poesie sul mondo naturale nelle quali lo sguardo poetico si pone orizzontalmente a ciò che canta, quasi che un legame tenero e intenso unisse il soggetto all’oggetto poetico. La scrittura di Dorothy è celebrata dalla critica per la capacità di stabilire con cose e persone un rapporto paritario: nei Journals, nelle lettere nelle sue poesie, le cose sembrano vivere in assoluta comunione con l’io poetico. La prospettiva di Dorothy è l’occhio oggettuale: quello del fiore o della zolla d’erba, ma anche dei diseredati che abitano un giorno senza tempo. Nei diari e nelle poesie ancora una volta l'occhio botanico femminile è al lavoro; sapientemente Dorothy dà nome a piante e fiori mentre il suo orecchio paziente riconosce gli uccelli dal canto e, senza fatica, il suo sguardo circoscrive lo 70 spazio, dimorando sicuro anche in un’intera vallata. Nelle pagine di Dorothy la natura sembra diventare essa stessa casa, luogo di interazione fra pensiero e immaginazione, tanto che nelle sue poesie e nei diari ogni confine fra micro e macrocosmo sembra rimosso, sebbene restino qui e là striature dell’inquietudine provata nell’infanzia come nella poesia Floating Island/At Hawkshead: An Incident In The Schemes Of Natures). Accanto a questi poeti della natura della prima generazione romantica merita menzionare un poeta della seconda generazione John Clare, che visse la natura con non meno intensa partecipazione; contadino e apparentemente naif, Clare era in realtà dotato di un innato talento poetico e della padronanza di un linguaggio ricco di immaginazione ed efficace che lo misero in grado di comporre tre raccolte di versi dedicate al mondo naturale e delle quali la prima Descriptive of Rural Life (1820), lo rese per un periodo talmente famoso che il suo equilibrio non tollerò l’oscurità che ne seguì. 5. Mondo onirico e bellezza in Mary Robinson e John Keats Le premesse della poetessa scozzese Joanna Billie aprirono la strada non solo agli esiti delle Lyrical Ballads di Wordsworth e Coleridge, ma anche ad altre sensibilità poetiche come quelle di Mary Robinson, poetessa della prima generazione romantica, e di John Keats, il più giovane di quello che viene indicato come il canonico trio romantico della seconda generazione, che con keats annovera Byron e Percy Bysshe Shelley. La Robinson presenta un’ampia campionatura di generi e modi poetici: nei Lyrical Tales si riscontrano temi e melodie che si ispirano al gusta antiquario (“The Haunted Beach” ispirato all’Ancient Mariner di Coleridge, mentre The Savage of Aveyron, su un episodio vero di un bambino ritrovato nel 1799 in condizioni selvagge nei boschi dell Franci centro-meridionale). John Keats frequentò, assieme ad altri preminenti artisti del Romanticismo come Shelly, Lamb o B.R. Haydon, il circolo che si era formato a Londra nel secondo decennio dell’800 attorno a Leigh Hunt, editore del giornale liberale The Examiner. I membri del circolo di Hunt venivano violentemente attaccati dalla critica conservatrice che definiva con spregio il loro gruppo una “Cockney School” per le idee politiche ed estetiche che professavano. Keats morì di tisi a soli 25 anni e era appassionato di antichità classiche, greche e romane, la cui moda era in grande voga sin dalla seconda metà del ‘700 in seguito agli scavi di Pompei e di Paestum e aveva invaso tutta l’Europa approdando in Inghilterra tramite riproduzioni pittoriche, ceramiche e bassorilievi. Oltre al fascino per la classicità, Keats subì quello del mondo medievale; sebbene i poemi Endymion: a Poetic Romance, Hyperion: A Fragment e The Fall of Hyperion: A Dream e molte delle Odi attingano alla mitologia classica, l a nostalgia di un tempo passato, il senso di declino e di perdita che vi si respira, ampiamente teorizzato nel mondo tedesco nella distinzione fra moderni e antichi, li rendono affini a poesie che guardano più direttamente al mondo del romance medievale Il medievalismo di Keats emerge chiaramente in “La Belle Dame Sans Merci: A Ballad” del 1819 e nei poemetti raccolti nell’ultimo volume, del 1820, Lamia, Isabella, The Eve of St. Agnes and Other Poems, imperniati sul tema di un amore intenso e travagliato, quando non tragico. La modernità di Keats risiede nell’eros che queste poesie sprigionano e nel rovesciamento che egli compie rispetto al tradizionale romanche che nella poesia keatsiana no si concentra sulle azioni di leggendari dame e cavalieri, pur protagonisti dei suoi versi, ma esclusivamente sulle passioni che li consumano e per le quali essi sono pronti a morire. Il desiderio che l’eros irradia riempie i suoi versi e sovverte ogni regola e tradizione. Il mistero, la nostalgia, le incertezze che attraversano la poesia keatsiana sono propri della stessa natura umana, come sono del tutto umani il senso di perdita e le rinunce dei suoi 71 personaggi; è interessante a questo proposito ricordare la differenza che Keats propose fra Shakespeare e Wordsworth, entrambi da lui ammirati ma nei quali individuava caratteristiche opposte. In William Shakespeare vede il campione del poeta camaleonte, nel quale egli stesso si identificava; in William Wordsworth vede il poeta filosofo e ciò che definisce “egotistical sublime”, un sublime prodotto da un io poetico totalizzante che filtra e si appropria del mondo circostante, osservando, giudicando ed elevandosi a sensibilità universale. Nella sua ode forse più celebre, “Ode on a Grecian Urn”, Keats canta le scene di vita quotidiane istoriate su un’urna greca, la verosimiglianza dei bassorilievi che rappresentano musici, pastori, coppie di innamorati contrasta con l’immutabilità dei loro gesti, congelati per l’eternità nell’arte che li raffigura. 6. Patria e patrie nella seconda generazione romantica Il percorso di William Wordsworth può dirsi paradigmatico di gran parte dei poeti della sua generazione, muovendo egli, similmente a S.T. Coleridge e a Robert Southey, da un iniziale entusiasmo per le idee rivoluzionarie francesi a posizioni più conservatrici e nazionaliste, come si evince da ciò che Woodsworth scrisse successivamente al 1814 e che segnò il suo finale allontanamento dal cosmopolitismo dei radicali e dissenzienti. Quello stesso cosmopolitismo elevato a modello ideale dal Dr Price nel suo Discourse on the Love of our Country (1789) con il quale il pastore dissenziente salutò con calore la caduta della Bastiglia suscitando la reazione di Edmund Burke, che tramite le Reflections of the Revolution in France (1790) promosse una sorta di nazionalismo organico con l’effetto di moderare gli entusiasmi rivoluzionari fra i lettori britannici. Fra alcuni poeti della seconda generazione romantica i termini patria e patriota continuarono ad avere un valore tradizionale: è il caso di Thomas Campbell che ne fece i suoi temi più caratteristici per i quali fu noto nell’800, anche se oggi viene ricordato per poemi più sentimentali quali The Pleasures of Hope (1799); per gli altri poeti della seconda generazione romantica patriottismo si coniugò con internazionalismo, a cominciare dall’irlandese Sydney Owenson, Lady Morgan, poetessa, romanziera e autrice dei “travelogues” France (1817) e Italy (1821), che unì all’atteggiamento cosmopolita un forte patriottismo. Lady Morgan riprende con convenzione con convinzione e vivacità la tradizione romantica delle ballate di tipo medievale per dedicarsi al revival gaelico fino ad impersonare lei stesso la maschera che Glorvina, la patriota iralndese protagonista del suo primo romanzo The Irish Girl: A National Tale (1806). Innestandosi nel nazionalismo irlandese di stampo culturale diffusosi intorno al 1785, con la costituzione della Royal Irish Academy, Lady Morgan compose versi dedicati alla tradizione folklorica e bardica irlandese; oltre a Poems Dedicated by Permission to the Right Honourable Countess of Moira (1801), si ricordano Twelve Original Hibernian Melodies, from the Works of the Ancient Irish Bards (1805). Terza raccolta di Lady Morgan è The Lay of an Irish Herp: or Metrical Fragments (1807) di cui fa parte la celebre The Irish Jig. Le poesie qui si presentano come autentiche innovazioni tecniche, sperimentando nuove modalità e voci poetiche, eguaglia molte teorie e pratiche poetiche di autori coevi. In Byron e Shelley l'impegno cosmopolita andò di pari passo con le preoccupazioni nei confronti della propria terra, nonostante l’esilio volontario in Italia che li vide entrambi simpatizzare con le lotte pre-risorgimentali. Byron e Shelley cercarono sempre di promuovere il progresso dei popoli e la libertà delle nazioni. 72 subito un ruolo polemico, critico e contestatore di quel mondo che cerca di esprimere e rappresentare. Ormai il termine romanzo viene a denotare un sistema multiforme di vari sottogeneri, o abbozzi di sottogeneri, che dovranno concretizzarsi più tardi, le cui forme di pubblicazione assomigliano molto alle attuali “soap-opera”, in quanto storie a episodi con l’uscita di uno o due capitoli alla volta nei vari periodici mensili o bimestrali dell’epoca. Il numero elevato di romanzi comporta un pubblico altrettanto vasto e la tipologia del lettore vittoriano va individuata e analizzata anche perché i lettori hanno addirittura la possibilità di influenzare l’andamento dell’intreccio nonché il destino dei personaggi. Il romanzo borghese è ormai diventato un vero e proprio oggetto di consumo e perciò comincia a riflettere la domanda di mercato alla base del commercio librario, un mercato ben definito in diversi settori e in continuo aumento e forte evoluzione. 1. Pubblicare un romanzo nell’epoca vittoriana La pubblicazione di romanzi in Inghilterra fu senza dubbio un’impresa dispendiosa e il suo risultato, un romanzo in tre volumi, era troppo costoso per le tasche della gente comune. A tale difficoltà ovviavano comunque le biblioteche circolanti, attive fin dal ‘700, ma giunte all’apice del loro potenziamento con l’inaugurazione della “Maudie’s Select Library” nel 1842. Il sistema perfezionato da Charles Edward Mudie continuò garantendo l’accessibilità e la reperibilità del romanzo in 3 volumi. La maggior parte degli abbonati proveniva dalla borghesia, dato che il costo dell’abbonamento era tutt’altro che irrilevante, mentre Mudie svolgeva il ruolo di censore della fiction in tre volumi, rifiutandosi di ospitare nelle sue biblioteche qualunque libro potesse essere considerato immorale o corrotto. Mudie riuniva in sé una religiosità di stampo evangelico e uno spiccato senso per gli affari. Oltre alle pubblicazioni in tre volumi, vi erano altre tipologie di divulgazione del romanzo: forme più abbordabili da parte delle classi meno abbienti, ma che potevano già contare su eventuali lettori, tra artigiani, operai specializzati o agricoltori. Per questo mercato venivano serializzate settimanalmente al costo di un penny storie e relative ambientazioni spesso di genere gotico o sensazionale ed è ben noto il caso di Charles Dickens, che scelse una modalità di pubblicazione mensile per rendere i suoi romanzi accessibili a un numero sempre più ampio di lettori (lo seguirono anche George Eliot, William Thackeray, Anthony Trollope e altri seguirono il percorso inaugurato da Dickens). Dopo il romanzo poteva anche uscire in un formato meno costoso, in un unico volume con un prezzo assai minore, fenomeno sempre più frequente con il progredire del secolo. 2. Verso un pubblico di massa Gli sviluppi dell’editoria erano riflesso ma anche conseguenza di un pubblico sempre più vasto e socialmente trasversale; la lettura di romanzi diviene gradualmente, di pari passo con la diminuzione dell’analfabetismo, appannaggio anche di persone di nascita più umile. Si diffonde la sensazione che, lungi dall’essere un privilegio di casta, la lettura dei romanzi diventi sempre più un’esigenza condivisa, in quanto modalità di fuga e rifugio da una realtà spesso opprimente. Tuttavia si manifesta immediatamente la volontà di controllare, censurare e guidare i lettori da parte non solo dei vari Mudie, W.H. Smith & Son…, ma dei direttori dei periodici in cui i romanzi venivano pubblicati. William Thackeray, dirigendo l’influente Cornhill Magazine, si rifiutò di pubblicare per motivi di moralità una poesia di Elizabeth Barrett Browning carica di un troppo trasparente erotismo. Tra i vari altri scrittori dell’800, George Meredith, Thomas Hardy, George Gissing e George Moore. Edward Bulwer-Lytton, autore dei “silver-fork novels” sulla vita aristocratica, di opere minori di 75 proto-”science fiction”, nonché del celebre romanzo storico The Last Days of Pompei (1834), consigliò a Dickens di cambiare la conclusione originale di Great Expectations (1861), pubblicato a puntate nel periodico All the Year Round e di concedere nella versione in volumi almeno la possibilità di un’eventuale riconciliazione tra Pip e Estella. Thomas Hardy si trovò nella medesima difficoltà con il pubblico che voleva un happy ending, quando, pur volendo dare un finale tragico a The Return of the Native (1878), decise di giungere a un compromesso concludendo il romanzo con lo sposalizio convenzionale di due dei personaggi secondari. 3. Aspetti del romanzo realista Se il romanzo borghese, almeno in Inghilterra, nasce all’inizio del ‘700, è sicuramente nell’800 che riscontra il suo più grande successo, nonché la sua massima divulgazione. Il concetto di realismo costituisce il punto di partenza per la prosa narrativa del periodo, persino nel caso della narrativa fantastica, quando i meccanismi di censura e auto-censura dei canoni letterari vigenti rendono sorprendentemente praticabili le vie del mondo sovrannaturale e paranormale. Il romanziere vittoriano aveva a sua disposizione modi e modelli di scrittura ormai comprovati; la storia solitamente seguiva la falsariga del Bildungsroman, con un protagonista giovane, che dall’ingenuità iniziale, attraverso diverse peripezie, raggiungeva la maturità e spesso anche un lieto fine. Ma la società in cui questi personaggi si trovano è più complessa e varia rispetto a cento anni prima. Il realismo classico del Vittorianesimo esamina la natura dell’individualismo prodotto dalla società capitalista, borghese e patriarcale dell’800. La mole della storia e la varietà dei discorsi rappresentati da un romanzo “three-decker” o “large loose baggy monster” spingeva lo scrittore vittoriano a elaborare certe convenzioni formali che avrebbero facilitato l’opera del lettore impegnato a seguire i protagonisti nel loro viaggio testuale e a imparare quelle lezioni di “verità” che la società imponeva per contrastare l’egoismo dell’individuo. Il modo di narrazione più facilmente riscontrabile in questo periodo è infatti quello di una gerarchia di discorsi regolata dall’autorità del cosiddetto narratore onnisciente, abitualmente extradiegetico, che istruisce e guida il lettore, aiutandolo a raggiungere le stesse conclusioni dell’eroe illuminato e del narratore medesimo. Tutti i grandi scrittori, da Emily Bronte e le sue sorelle Charlotte e Anne, fino a George Eliot, Dickens, Thackeray, Hardy, Elizabeth Gaskell, sono concordi nel criticare la società di cui fanno parte e le sofferenze da essa stessa prodotte. Le conclusioni di intrecci inevitabilmente tragici spesso vengono manipolate allo scopo di fornire una cornice convenzionalmente rassicurante e consolatoria alle storie narrate, qual è il caso paradigmatico del finale di Jane Eyre di Charlotte Bronte. E così per tante altre protagoniste di romanzi sensazionali, sebbene gli avvenimenti non siano sempre favorevoli a una risoluzione euforica. Il famoso “lieto fine” del romanzo ottocentesco spesso non è che il momento del romanzo realista dove la finzione finalmente si palesa e lo scrittore, sino allora dedito alla ricerca non solo di un “effet du réel”, ma anche di un senso di immersione nel quotidiano o almeno del riflesso del mondo in uno specchio, sembra tradire la propria strategia. 4. Al di là del reale: il racconto “fantastico” L’800 vede il fiorire del genere noir, che deriva naturalmente dal romanzo gotico romantico, e che raggiunge uno splendore e una ricchezza unici in questo periodo, addirittura scindendosi in diversi sottogeneri che daranno spunto ai vari “romanzi di genere” del XX 76 secolo, tra cui il fortunatissimo giallo: Sherlock Holmes nasce infatti nel 1891 dalla penna di Sir Arthur Conan Doyle e inoltre il romanzo sensazionale di Wilkie Collins e di Mary Elizabeth Braddon, la science fiction, il romanzo del soprannaturale e del paranormale. Nell’800 il fantastico come modo di raccontare è meno differenziato del suo modello romantico, inserendosi soprattutto nell’ultimo dei sottogeneri menzionati, quello del racconto di eventi assolutamente non realistici (come per A Christmas Carol di Charles Dickens, del 1843). Quando si esamina il fantastico vittoriano insieme al realismo si tende a considerarlo come una specie di ritorno del represso e anche se può sembrare un po’ banale agli occhi del XXI secolo, può rivelarsi un esercizio funzionale. Nei racconti di fantasmi e di terrore che Elizabeth Gaskell pubblica in Household Words tra il 1850 e il 1859 fa trapelare straniamento, isolamento paura alienazione, vittimizzazione sesuale, suicidio e assassino. La produzione di Joseph Sheridan Le Fanu si inscrive quasi tutta nella tradizione fantastica dei sottogeneri del gotico inglese e del mystery vittoriano; le sue storie sono particolarmente interessanti perché tendono a rifiutare gli effetti dichiaratamente soprannaturali, preferendo lasciare al lettore almeno la possibilità di una spiegazione “naturale”. Particolarmente significativa risulta la novella gotica Carmilla, del 1872, che racconta la vicenda del rapporto vampiresco tra la protagonista e un lemure donna; a parte l’ovvio interesse per un racconto di amore lesbico per così dir ante litteram, Carmilla è anche da considerarsi come fonte del Dracula di Bram Stoker. Durante gli ultimi anni del secolo tre casi paradigmatici arricchiscono ancora di più la già rigogliosa panoramica del fantastico vittoriano; nel processo di sviluppo e affinamento della narrazione fantastica, si intensifica progressivamente il concetto di frattura, divisione, sdoppiamento nella personalità del personaggio, nel vano tentativo di mantenere o addirittura ritrovare l’identità perduta, in un secolo irto di censure, contraddizioni, imperativi impossibili da seguire. Nel 1886 Robert Louis Stevenson scrive The Strange Case of Dr Jekyll and Mr Hyde, seguito nel 1891 da The Picture of Dorian Gray di Oscar Wilde e nel 1897 Dracula di Bram Stoker. Si tratta di tre testi fantastici completamente diversi dal tipico racconto romantico del Male, che aveva avuto il suo prototipo del romanzo Frankenstein (1818) di Mary Shelley. Tra le opere più affascinanti e meno classificabili della produzione britannica dell’800 sono da ricordare inoltre Alice in Wonderland (1865) e Through the Looking-Glass (1872) di Lewis Carroll. Sono testi che si presentano come fiabe per bambini, ma si inseriscono in un sottogenere di fantasie dell’immaginario vittoriano che include anche opere di George Macdonald (The Princess and the Goblin, The Princess and Curie, Phantastes: A Faerie Romance for men and women) e nel 1863 Charles Kingsley scrive The water Babies, celebre testo pubblicato in edizione ridotta per ragazzi ma esempio chiarissimo di repressione sessuale dell’autore 5. “Gender” e realismo Una presenza notevole di scrittrici di fiction durante l’800 rappresentava un ostacolo in più alle pretese del realismo vittoriano di rappresentare “la Verità”; all’universo femminile molti aspetti di questa verità venivano convenzionalmente celati, in particolare tutto quanto riguardava l’eros. Scrivere la verità divenne un’impresa irta di difficoltà; alcune delle scrittrici già menzionate, le sorelle Bronte (Currer, Ellis e Acton Bell), Marian Evans (George Eliot) e anche Mary Chavelita Dunn (George Egerton), preferirono almeno all'inizio della loro carriera pubblicare con pseudonimi maschili. 77 Il Novecento Introduzione Se c’è un termine in grado di descrivere e insieme sintetizzare un’idea del ‘900 letterario e culturale in Inghilterra, questo termine è certamente velocità. La violenza delle lacerazioni e la fretta di ricomporre i frammenti, dovute inizialmente ai traumi dei primi conflitti bellici di portata mondiale e dopo all’azione psicologica della cosiddetta guerra fredda, tragico eufemismo per indicare per indicare una strategia di contenimento e rimozione della guerra-guerra; l’inarrestabile precipitazione di fenomeni sociali affascinanti e inquietanti come il femminismo; la sempre più debordante trasformazione della società nel passaggio progressivo da una dimensione territoriale e campestre a una urbana, e poi gradatamente metropolitana. L’aspetto più appariscente è la forte componente autobiografica della rappresentazione letteraria; pare che ogni autore, nei vari e differenziati generi letterari del ‘900 inglese intenda fare emergere in diverse tonalità, stilistiche e di contenuto, un riflesso delle propria esperienza. Spesso la componente autobiografica si innesta, a partire dall’arcimodello di Ulysses di James Joyce, in una consapevolezza culturale di ascendenza mitica; il recupero della dimensione mitologica è uno dei tratti fondanti del ‘900 letterario, non solo inglese; nella prima metà del secolo le forme predilette sono i generi tradizionali mentre, nella seconda metà del secolo, tendono a imporsi fondamentalmente il romanzo e il cinema. Si possono identificare tre periodi del XX secolo; il primo, che occupa il primo trentennio, è un periodo di realismo psicologico, che mette in relazione gli atteggiamente emotivi dei protagonisti della tradizione mitica a personaggi contemporanei; un secondo e più breve periodo persegue una nuova mitologizzazione di miti e leggende, sotto la spinta propulsiva anche del cinema, a cavallo della seconda guerra mondiale; e infine troviamo un terzo periodo, successivo alla guerra, caratterizzato da una varietà sconfinata di indirizzi tematici e modelli interpretativi, che mostra comunque una esponenziale ascendenza del genere fantastico verso la fantascienza. Il ‘900 è anche il secolo dell’alienazione dell’individuo nella società, quella società sempre più tentacolare, sia urbana sia metropolitana, teorizzata dalle varie impostazioni ideologiche che si susseguono. Il Modernismo. Teorie, movimenti, generi Il primo impiego del termine Modernismo in Inghilterra risale agli anni subito dopo la prima guerra mondiale, per designare un esiguo gruppo di scrittori sperimentali, T.S. Eliot, Ezra Pound, James Joyce, Virginia Woolf. In seguito va a indicare un’ampia varietà di movimenti, sia letterari sia artistici, denominati Impressionismo, Simbolismo, Postimpressionismo, Futurismo, Cubismo, Immaginismo, Vorticismo, surrealismo, che si imposero, con diversificato tasso di longevità, nei primi decenni del ‘900. Secondo una concezione molto espansa del movimento modernista, esso andrebbe addirittura dalla metà dell’800 alla metà del ‘900; le date di partenza indicate generalmente sono il 1900, anno della pubblicazione dell’Interpretazione dei Sogni di Sigmund Freud, il 1901, la morte della regina Victoria, il 1910, che è indicato come Virginia Woolf come passaggio fondamentale al cambiamento dell’umanità, con la prima grande mostra postimpressionista curata da Roger Fry alla Grafton Gallery di Londra, che per la prima volta aveva fatto vedere prospettive frammentate, piani di coscienza spezzettati, tempi discontinui e spazi disomogenei. Un terzo 80 punto costante di riferimento è il 1914, lo scoppio della seconda guerra mondiale; ma prima ancora della catastrofe bellica, altre turbolenze della modernizzazione avevano inciso sul tessuto sociale: le lotte operaie, l’emergere del femminismo, la corsa frenetica verso l’imperialismo. 1. Modernismo versus Modernità Il termine inglese Modernism ha i propri equivalenti ideali nel termine Avant-garde in Francia, Expressionismus in Germania; Decadentismo in Italia. Ciò che lega questi eterogenei movimenti è l’angoscia condivisa dai loro esponenti di una crisi di rappresentazione, la percezione ansiogena dell’incapacità di tutte le discipline umanistiche di raffigurare e significare la natura. Sul piano ideologico e speculativo, tutti i movimenti “modernisti” europei tendono a contrapporsi alla Modernità, termine con il quale la filosofia designa una categoria di pensiero che risale all’Illuminismo e le cui figure centrali sono il filosofo settecentesco René Descartes e nel ‘700 Immanuel Kant; ai filosofi moderni delle certezze, le avanguardie novecentesche contrappongono i maestri modernisti del sospetto, ovvero Marx, Nietzsche e Freud. La crisi esistenziale, la contestazione dei valori positivi, rivelati e codificati, che contraddistingue il retroterra speculativo delle avanguardie novecentesche, propone un interessante corollario nella manipolazione dei valori religiosi, o quantomeno metafisici. Assai riconoscibili nelle opere di autori del Modernismo sono per esempio varie teorie sul cosiddetto animismo per spiegare i meccanismi del sonno e del sogno e più in generale dei rapporti tra vita e morte. Enorme impatto ebbe la grande mole di studi antropologici ed etnologici, la cui summa è rappresentata dalla massiccia documentazione ed estesa sistemazione dei miti e riti messa a punto da J.G. Frazer nei ben 12 volumi del The Golden Bough, redatto tra il 1907 e il 1915, cui praticamente tutti gli scrittori e artisti modernisti attinsero; non meno rilevante fu il ricorso a un’interpretazione simultaneamente simbolica della fenomenologia mitico religiosa, quale strumento di coesione ideologica. 2. “Alto” e “basso” Modernismo La critica attuale concorda su una distinzione binaria fra alto e basso Modernismo: in senso non solo cronologico, ma soprattutto con significato tanto estetico quanto sociologico; l’obiettivo primario dei maestri modernisti era alla ricerca, peraltro mai del tutto compiuta, di attimi preziosi benché fuggevoli, di penetrazione metafisica di un reale assoluto, immutabile, incorporeo, che per esempio Joyce chiamava “epifani” e la Woolf “momento”. Attimi in cui l’artista intuisce che la realtà deve avere uno scopo, un senso; pur nella consapevolezza che, nell’ambito reale e concreto della cultura contemporanea, il senso sfugge. Da qui un’ulteriore consapevolezza, di ordine espressivo e comunicativo: che le forme artistiche e letterarie non possono perseguire la perfezione formale, riflettendo invece la natura parziale e i caratteri frammentari sia delle esperienze quotidiane, isa della tradizione culturale che le rappresenta. Il 1922 è l’anno della pubblicazione dell’Ulisses di Joyce e di The Waste Land di T.S. Eliot, il culmine della sperimentazione e del rinnovamento predicati da Ezra Pound dal 1912. Ma proprio i due testi più significativi del Modernismo ne segnalarono anche la natura colta, elitaria, autoreferenziale nonché l’inaccessibilità linguistica; secondo Joyce l’artista è un essere superiore, investito unicamente del dovere di denunciare, in un codice di trasmissione verbale proprio, i difetti della creazione dell’altro, antico Dio, quello di cui Nietzsche aveva dichiarato la morte. 81 Tuttavia, a fronte dell’alto Modernismo, ne possiamo incontrare uno diverso, chiamato per convezione basso Modernismo, identificabile nella scrittura e nell’editoria di divulgazione popolare. La progressiva emanazione degli Education Acts che allargavano enormemente l’accesso alla scuola e poi all’università provocò una forte richiesta di produzione di giornali e riviste, quale base di diffusione di una letteratura prima solo popolare, poi anche colta. Quello delle riviste è un fenomeno particolarmente rilevante, diviso in due manifestazioni contrapposte, da un lato periodici nati per incontrare il grande pubblico, come The Strand Magazine o Tit Bits che pubblicavano a puntate romanzi sensazionali e polizieschi; dall’altro lato riviste specialistiche, rivolte a un pubblico culturalmente più elevato, le quali divennero un fondamentale veicolo di trasmissione per le opere dei principali scrittori, che in tal modo si fecero conoscere con maggiore facilità, rispetto ai canali dell’editoria tradizionale. Le chiamarono “piccole riviste” dal titolo del prototipo Little Review; tra le più celebri possiamo nominare The Dial, Blackhood’s Magazine, Vanity Fair; nonché periodici ancora più intellettualistici, dal Criterion diretto dallo stesso Eliot all’Egoist, allo Scrutiny. Un ulteriore aspetto rilevante della cultura comunicativa ed economica del Modernismo va individuato nel fatto che la forza di distribuzione dei materiali a stampa dipendeva dall’illuminato mecenatismo di facoltosi patroni, inseriti in ricche attività professionali o commerciali, e caratteristicamente, quasi tutti, americani. 3. Teorie e movimenti: Verticismo e Imagismo Il Vorticismo si propone che l’unico movimento di avanguardia novecentesca esclusivamente e pecuniariamente inglese; nasce da un’avvertita necessità di porre in relazione letteratura e arti visive; ha il suo centro privilegiato a Londra, si evolve sostanzialmente tra il 1913 e il 1915 e trova il proprio riferimento teorico-metodologico, ma anche operativo, nella rivista Blast. L’indiscusso propugnatore del movimento fu l’artista e scrittore Wyndham Lewis. La metafora del vortice la si deve a Ezra Pound, il quale, in una lettera del 1913, memore di un folgorante simbolo di William Blake, la ripropose a distanza di più di un secolo per suggerire l’idea di un centro di intensa e vigorosa attività mentale, da cui deriva la più proficua operativa culturale. Il 12 giugno del 1914, un ristretto gruppo di amici decise di autodefinirsi vorticista, affidando alle riviste Manchester Guardian e Spectator l’onere storico di registrare la prima apparizione pubblicista sia del termine, sia del movimento ad esso ispirato. L’affiliazione del movimento vorticista nel primo numero di Blast, dove apposero la propria firma Lewis, Edward Wadsworth, William Roberts, Helen Saunders, Henri Gaudier-Brzeska, Pound, Dorothy Shakespear, Rebecca West, Ford Madox Ford. Sul versante artistico, il movimento sceglie contenuti desunti dal mondo del lavoro, oppure della strada, oppure dell’immaginazione, purché i corpi in movimento, contaminati dalla macchina, che portano la psiche sotto pressione; di conseguenza lo stile vorticista appare caratterizzato da una tensione controllata con sforzo, una richiesta di astrazione sublimata, che comunque non sa rinunciare alle lusinghe della fisicità corporea, depositare in forme tradizionalmente identificabili. Sul versante letterario la poetica vorticista si presenta quale emanazione di un connubio di poesia e prosa incaricato, in toni tanto declamatori quanto improvvisati, di promulgare un’arte rivoluzionaria adeguata a esprimere l’età della macchina: il vortice è immobile ma in azione, al contempo è veloce ma tendente alla stasi. Tale evidente ambiguità teorica si riflette storicamente nell’impossibilità di pervenire a una teorizzazione normativa, paragonabile a quella dei contigui futuristi. Alla fine Wyndham Lewis dovette ammettere che il Vorticismo non era teoricamente vitale. La storia istituzionale del movimento corrisponde all'attività degli “Omega Workshops” arrivi dal ‘13 al ‘19, 82 Rappresentante per eccellenza di questo filone è W.H. Auden, il quale costruisce su di sé la figura dell’esteta moralmente, socialmente e politicamente attivo. 6. Generi letterari: il teatro La dimensione teatrale in senso lato e le specifiche produzioni drammatiche del Modernismo non appaiono equivalenti, per spinta radicale, innovatrice e propulsiva, alle loro parallele espressioni nei generi del romanzo e della poesia. L’espansione del teatro modernità inglese non la si può cronologicamente contenere nei limiti canonici delle altre arti, poiché la si deve anticipare o posticipare a seconda dei casi singoli. In secondo luogo, non cambiano nella sostanza teatrale le condizioni fisiche, topologiche dell’arte drammaturgica. Il che incide inevitabilmente sulla scrittura dei testi teatrali. Non è possibile non considerare l’impatto emotivo e sociale del melodramma, padrone esclusivo delle scene tardo ottocentesche, testimone di una percezione popolare e anti intellettualistica della realtà quotidiana. Non va sottovalutato il fatto che, mentre la censura rimane assai attiva, al contempo il pubblico, come gruppo sociale, tende a esercitare un forte sistema di pressioni prescrittive. I testi vengono di solito interpretati da attori che recitano con tecniche codificate nella continuità della tradizione e consolidate dalle aspettative degli spettatori. Ulteriore ostacolo contro la modernizzazione dell’arte drammatica è costituito dall’inossidabile egemonia istituzione dei teatri del West End, appena scalfita dall'abrogazione, nel lontano 1843, del Patent Act, ovvero la legge che dal ‘700 governava le produzioni dei cosiddetti teatri illegittimi il cui non indifferente, ma poco conclusivo, risultato si era manifestato nell’espansione numerica dei teatri patentati, da due che erano in origine a venti nella metà del secolo e ben 61 nel ‘900. I principali autori modernisti G.B. Shaw, Yeats ed Eliot, ma anche D.H. Lawrence e Wyndham Lewis, per non parlare del Joyce drammaturgo antesignano di Pinter e Beckett, si cimentassero nella produzione teatrale: e tutti quanti con l’idea che i loro drammi nascessero solo per la messa in scena, storie drammatiche, magari anche liriche o epiche, purché pensate e orientate verso la performace. Diversa appare l’applicazione di principi modernisti nella drammaturgia di W.B. Yeats; fondamentalmente poeta nonché mitografo per vocazione, Yeats compone tra il 1902 e il 1908 e in seguito tra il 1930 e il 1938 una serie di drammi incentrati sulla tradizione culturale celtica. Da At the Hawks’ Well (1916), fino a The Death of Cuchulain (1938), Yeats persegue un itinerario i mitologi aceltica a favore del movimento nazionalista iralndese, invenando a tale proposito un teatro tanto mentale quanto fisico, nell’esperienza culturale, estetica e antropologia dell’Abbey Theatre, dove, per un verso, personaggi fantastici o leggendari traggono concretezza da una tradizione mitologica locale, ma per un altro verso si sublimano nell’astrazione dell’immaginario archetipo. Di tutt’altro stampo fu l’esordio teatrale di T.S. Eliot, con Sweeney Agonistes dove in un sogno fatto di incubi il protagonista eponimo drammatizza un trascendente uxoricidio; testo sperimentale di avanguardia che Eliot dimenticò subito optando per temi religiosi tradizionali, come in Murder in the Cathedral (1935), oppure per prospettive familiari, domestiche, come in The Family Reunion. Né Yeats né Eliot seppero configurare forme di compromesso vincenti, atte a convogliare istanze teoriche moderniste in esperienze teatrali apprezzabili dal vasto pubblico tradizionale; cosa che invece seppe fare George Bernard Shaw, nella sua incisiva e autoironica ristrutturazione del dramma romantico e borghese tradizionale, preservando anche una superficie di realismo psicologico, per un altro verso, il ricorso continuo alle 85 qualità intellettualistiche dell’ironia e del paradosso mina le fondamenta del discorso naturalistico. Exiles (1915), l’unico dramma di James Joyce, sul piano tematico deve qualcosa a Shaw, e più ancra a Anton Cecov e soprattutto Henrick Ibsen, per la spietata messa a nudo dello scntro di sensibilità e visioni del mondo che si ce dietro i rapporti sia tra coniugi sia tra amici, dove l’autore va comunque ben oltre i suoi modelli, metendo in scena un autentico psicodramma di paure, falsificazioni, rimozioni e censure, dal complesso edipico all’omosessualità. 7. Il cinema: dal “make it new” al “see it new” Il film configura la quintessenza della forma modernista, soprattutto fino agli ultimi anni ‘20, allorché la nascita del film sonoro mise in discussione quel primato assoluto della visività che contraddistinse la sperimentazione artistica del primo ‘900. Il cinema significò la rottura completa con gli schemi convenzionali della rappresentazione, concretizzando con i mezzi tecnici più idonei il particolare connubio tra innovazione, concretizzando con i mezzi tecnici più idonei il particolare connubio tra innovazione formale e penetrazione mitica del reale, tenacemente perseguito dagli adepti del movimento modernista. La formula poundiana del rendere tutto nuovo la si poté applicare all’imperativo del far vedere tutto nuovo; il film novecentesco incorpora l’immagine nell’azione, tentando di rappresentare il mondo nel suo naturale moto perpetuo, proprio come auspicavano di poter realizzare le avanguardie artistiche e letterarie (pittori come Vincent Van Gogh e Edvard Much, architetti come Erich Mendelsohn e Hans Poelzig, Umberto Boccioni, Pablo Picasso e Wassily Kandinsky, esponenti del costruttivismo russo come Vladimir Tatlin, Ivan Leonidov e Konstantin Mel’nilov). Appunto il valore intrinseco della mobilità e del moto informa di sé le forme sperimentali filmiche che cominciano a presentarsi all’inizio degli anni ‘20, come per Lazlo Moholy-Nagy, registi come King Vidor, Paul Strand, Fritz Lang, Joris Ivens, Walter Ruttman; molti artisti e letterati proiettano nel cinematografo il modello di tutto quanto l’arte dovrebbe rappresentare nel futuro: spostamento, svolgimento, fluttuazione. Quando a Joyce fu proposta una trasposizione filmica di Ulysses, egli fece subito i nomi di Walter Ruttmann e di Sergej Eisenstein. Il periodo precedente la prima guerra mondiale si propone ovunque quale momento di energica, radicale sperimentazione; parallelamente al balzo verso l’astrattismo in pittura, al progressivo superamento della tonalità in musica, all’affermarsi in architettura sia dell’espressionismo plastico sia del purismo razionalistica, la scrittura modernista cerca, attraverso modalità espressive sempre più sofisticate, di superare la referenzialità del linguaggio, la sua funzione rappresentativa del reale. Un particolare interesse per l’aspetto tipografico del testo induce poeti e scrittori a trattare la pagina come un collage di termini disseminati a caso, secondo il modello inaugurato dai Calligrames di Guillaume Apollinaire, il più influente modernista della Francia pre-bellica, fautore del Cubismo. Caratteristica delle avanguardie è l’organizzazione di artisti e scrittori, mossi da principi teorici comuni, in gruppi più o meno omogenei, con la tendenza a pubblicare insieme e a individuare tra i membri del movimento un leader che ne diviene portavoce ufficiale. 86 Modernisti e antimodernisti 1. I grandi modernisti a. James Joyce Sebbene la fama di Joyce sia legata principalmente a Ulysses, è tutto il suo percorso evolutivo di scrittore a configurare una traiettoria profondamente rappresentativa del fenomeno modernista; nato a DUblino nel 1882, in una numerosa famiglia tipicamente irlandese, di stampo cattolico e irredentista contro il dominio inglese, da Dublino si allontanò nel 1904 per un definitivo esilio verso un’Europa continentale avvertita come storicamente pluriculturale e ideologicamente pluriprospettica. La prima opera importante, una raccolta di quindici racconti scritti tra il 1904 e il 1907, non a caso si intitola Dubliners, ideata “per smascherare l’anima di quella emiplegia e paralisi che molti considerano una città”. La paralisi dei dublinesi joyciani è simultaneamente morale, intellettuale, spirituale. La struttura dei racconti è suddivisibile in una rappresentazione della sua città natale “sotto quattro aspetti: infanzia, adolescenza, maturità e vita pubblica”. Un discorso a parte richiede The Dead, il lungo racconto che conclude la raccolta, aggiunto nel 1907, definito “il capolavoro della novellistica non soltanto inglese e non solo del ‘900”; esso discopre una propria configurazione sia tematica sia stilistica, sebbene si connetta, dal titolo stesso, al motivo generale della morte. Questo testo inaugurava il metodo tipicamente joyciano delll’autobiografismo estetico, laddove non solo sublima e strania l’autorappresentazione del soggetto in un dimensione artistica e dunque artefatta, ma al tempo stesso la distribuisce fra il protagonista e altri personaggi che gli ruotano attorno, significando ognuno porzioni di referenza e verità autobiografiche. Proprio in questo senso diviene esemplare, prima di Ulysses ma anche di Exiles, il caso del Bildungsroman significato dal romanzo A Portrait of the Artist as a Young Man, che narra in 5 capitoli la storia dell’iniziazione di Stephen Dedalus alla vita artistica, dall'infanzia alla scelta quasi religiosa di divenire, quale scrittore, “un prete dell’immaginazione eterna”. La struttura del testo si presenta tuttavia rigorosa, aristotelica, sillogistica: tre parti distinte, relative ai tre protagonisti; la prima parte ruota attorno a Stephen, studente universitario, il “giovane artista” tuttora in formazione, la seconda a Bloom, la terza a Molly simultaneamente meta di entrambi i personaggi maschili e conclusione del sillogismo joyciano. Queste tre parti imitano in forma parodistica le tre parti dell’Odissea: nella prima Telemaco, poi Ulisse e infine Penelope. Joyce dedicò 17 anni alla scrittura di un’opera ancora più ambiziosa: si tratta del Finnegans Wake, da lui concepito come un inesauribile e incontrollabile “work in progress”; l’ambizione dell’autore era di costruire una mitologia in cui ogni dettaglio del comportamento umano, dal passato al presente al futuro, potesse venire ricondotto ai cicli della vita e soprattutto della storia: dal modello di Omero, Joyce passa al modello di Giovambattista Vico. Dal punto di vista strettamente narrativo, questa è la storia di una famiglia irlandese, gli Earwicker, assunta quale microcosmo del macrocosmo umano. b. T.S. Eliot T.S. Eliot rappresenta per la poesia la più alta e profonda espressione delle istanze estetiche e teoriche del Modernismo; la sua prima raccolta di liriche, composte tra il 1909 e il 1915, e pubblicata nel 1917, trova in “The Love Song of J. Alfred Prufrock”, il primo importante esperimento di quel metodo compositivo che diverrà strutturale nella sua produzione poetica. In accordo con il principio teoretico di simultaneità, sia i temi oggetto del discorso 87 minimi termini corporei ed espressivi: è senza arti, senza naso, senza sesso e senza nome e identità stabile. Seduto, forse in una giara, in un corridoio immerso nella penombra, racconta le sue storie, che hanno probabilmente lo stesso protagonista sotto nomi diversi. Prigioniero dell’imperativo narrativo, ossia l’obbligo etico di andare avanti con la storia anche quando non c’è nulla da raccontare, l’Innominabile è l'emblema della strategica povertà di mezzi espressivi di cui Beckett si dota, come suprema auto-sfida artistica. Beckett non poteva andare oltre sulla strada del minimalismo o del riduzionismo. Human Wishes (1936) dramma incompiuto che doveva riguardare la vita di Samuel Johnson, e Eleuthéria (1947), psicodramma pubblicato postumo, centrato su un giovane, Krap, in conflitto con la propria famiglia e con la società borghese. Il miracolo di Waiting for Godot (1949) è che Beckett si trovò immediatamente a suo agio nel gestire i linguaggi drammaturgici e a sfruttare le tre dimensioni dello spazio scenico; anzi, trovava la scrittura scenica “a marvellous, liberating diversion”. 2. Un teatro metafisico mancato La produzione drammaturgica di Beckett copre un arco di 35 anni, dal 1948 al 1982, periodo nel quale lo scrittore compone 32 opere drammatiche, di cui 20 teatrali, 7 radiofoniche, 5 televisive e un film intitolato Film. Il teatro di Beckett ripropone un percorso analogo a quello già tracciato dalla sua narrativa, che aveva subito una graduale metamorfosi, dall’esuberanza affabulatoria e stilistica di Murphy (1938) alle sottrazioni e reticenze della Trilogia. Partendo dalla relativa abbondanza retorica e scenica di Godot le opere teatrali di Beckett diventano progressivamente più brevi e più spogli sia verbalmente che iconograficamente, offrendo, alla fine, lo spettacolo di un unico personaggio, privo di buona parte del corpo, il cui discorso si disarticola e si disintegra. Già Godot ha ben poco a che fare con il teatro moderno precedente e anzi strategicamente azzera buona parte delle convenzioni drammaturgiche vigenti; il teatro di Beckett riparte da zero, specie per quanto riguarda la poetica del rapporto scena-parola. Quanto all’azione drammatica è celebre la battuta del critico iralndese Vivian Mercier, “[Beckett] has written a play in which nothing happens, twice”. L’azione centrale, quella di aspettare un evento che non avverrà, non rientra certo nei canoni tradizionali; qualsiasi idea di progresso si rivela puramente illusoria e il tempo della pièce sembra un tempo ciclico più che lineare o dinamico. L’aspetto forse più disorientante, per il pubblico, è tuttavia la contraddittorietà auto-demolitiva del rapporto fra azione scenica e parola. Il nucleo tematico di Godot, oltre l’attesa, è la possibilità di redenzione. Il modulo drammaturgico di una struttura ideologica o teologica forte che viene meno si ritrova in un’opera di pochi anni più tardi, oggi considerata uno dei capolavori di Beckett, ossia Krapp’s Last Tape (1958); si articola sull’opposizione scenica e discorsiva fra bianco e nero, che a sua volta raffigura la dicotomia manichea fra bene e male. Krapp è la più efficace raffigurazione beckettiana dell'illusorietà dell’autoconoscenza, se non della conoscenza tout court. Krapp è anche l’opera che inaugura la nuova e forse definitiva fase della drammaturgia beckettiana. Da qui in poi il drammaturgo produrrà pieces sempre più brevi e minimali, sia scenicamente che discorsivamente. 3. Teste morte e pene infernali: i dramaticules Per dare espressione alla sua nuova drammaturgia minimalista, Beckett inventa un sottogenere drammatico: il cosiddetto dramaticule, piece che non supera i 20 minuti di performance e che impiega la massima economia di mezzi scenici e retorici; il sottogenere 90 ha inizio ufficiale con Come and Go (1965), altra opera crepuscolare in cui tre donne dai nomi abbreviati (Flo, Vi e Ru) sono coinvolte in un malinconico gioco triangolare in cui a turno una delle donne rivela a un’altra l’imminente morte della terza; ma viene il sospetto che siano già tutte e tre nell’aldilà, come in un breve dramma precedente, Play, che presenta un altro triangolo, tre defunti, due ex coniugi e l’amante di lui, imprigionati in delle urne funebri. Play rende piuttosto esplicito un aspetto determinante della poetica beckettiana, cioè a dire il suo debito nei confronti della Commedia dantesca e in modo particolare l’Inferno. Nel bellissimo radiodramma All that Fall (1956) il protagonista maschile Dan paragona se stesso e la moglie, alle prese con una difficile deambulazione, agli stregoni dannati del Canto XX dell’Inferno i cui visi sono girati all’indietro per la legge del contrappasso. Anche Winnie in Happy Days (1961) soffre quelle che sembrano pene infernali, seppellita com’è dapprima fino alla vita e poi, nel secondo Atto, fino al collo in un monticello di terra sotto un sole cocente, scena che forse ricorda il Canto X dell’Inferno. Le pene dei personaggi post-mortem di Play sono invece paragonabili a quelle dei lussuriosi e adulteri del Canto V. Il punto di arrivo dei vari processi drammaturgici, l’abbreviazione temporale, la frammentazione discorsiva, la reticenza retorica, la riduzione e dilaniamento del corpo,la scena crepuscolare, il rapporto intertestuale con l’Inferno e l’identificazione delle pene infernali con la scena teatrale, è rappresentato dal brevissimo capolavoro del 1972, Not I. Questa opera oscilla fra i 12 e i 20 minuti di messa in scena, l’esperienza della spettatore è disorientante: all’inizio si trova di fronte a una scena buia dalla quale emana un fiume rapido ma disarticolato di parole da una fonte inizialmente scarsamente discernibile; pian piano riesce a distinguere nella penombra tale fonte, una bocca “disincarnata” e apparentemente sospesa in aria a un’altezza di due metri e mezzo. Not I è probabilmente il primo dramma nella storia a basarsi su un agone pronominale; ciononostante è l’opera più intensa di Beckett ed è senz’altro una sfida senza pari per l’attrice. Mouth-Bocca richiama il personaggio dantesco Bocca dell’Abate, collocato nel girone più basso e più buio dell’inferno, il XII, fra i traditori della patria. La pièce vede la comparsa per la prima volta di una nota di compassione nei confronti di un personaggio, compassione estesa alla storia di donne anziane e sofferenti protagoniste dei dramaticules, come W(oman) di Rockaby (1981) o Mary/Amy di Footfalls (1975). 4. Beckett fra etica e politica Un’altra sorprendente novirtà dell’ultimo teatro di Beckett è la sua esplicita apertura verso la politca; per tutta la sua carriera letteraria Beckett si era astenuto dal commentare direttamente questioni politoc-ideologiche, anche se le sue opere, a cominciare da Gadot, erano soggett a interpretazioni politiche e l’attivismo politico, antinazista, di Beckett durante la guerra gli era costato caro. Nell’ultimo anno della sua attività drammaturgica, il 1982, Beckett rispose all’appello rivoltogli dai difensori dei diritti umani di contribuire a una serata in favore del drammaturgo ceco dissidente Vaclav Havel, allora incarcerato. La risposta di Beckett fu il dramaticule intitolato Catastrophe; il play trasforma le consuete tematiche esistenziali e teatrali di Beckett in tematiche politiche. Nella parabola drammatica i soprusi ai danni del protagonista alludono agli abusi di potere del regime autoritario di Husàk; tutto funziona secondo copione fino all’ultimo momento, quando improvvisamente l’attore-protagonista compie una micr-ribellione dalle notevoli implicazioni politiche: alzando la testa, contrariamente all’ordine di Director-Dictator, P (protagonista) osa guardare il pubblico negli occhi, mettendo fine così al finto applauso della platea, pre-registrato da D. 91 Ancora più fuorviante è la marchiatura di Beckett quale nichilista: anche se è senz’altro vero che la poetica di Beckett adotta la “via negativa” nel suo procedere per sottrazione e per negazione, e se è altrettanto evidente l’assenza di valori trascendentali, la dimensione etica della scrittura di Beckett la allontana dal nichilismo inteso come negazione di qualsiasi valore non solo metafisico ma anche morale. Altra etichetta poco illuminante applicata spesso a Beckett è quella di narratore e drammaturgo postmoderno o addirittura post-umano; in Beckett troviamo pochi di quei giochi di specchi metanarrativi, metateatrali e citazionali, di parodia o di pastiche, tipici di autori postmoderni quali Tom Stoppard. Il teatro contemporaneo 1. Il mito delle origini Fino agli inizi degli anni ‘50 del secolo scorso, il teatro inglese, a differenza del romanzo e della poesia che conoscono la grande stagione del rinnovamento e della sperimentazione modernista, sembra proseguire in modo autoreferenziale, riproponendo all’infinito il modello della well-made play e della sitting-room comedy; la data presunta della nascita del nuovo teatro non va ricercata solo in eventi mitici, come la prima di Look Back in Anger di John Osborne al Royal Court Theatre l’8 maggio del 1956 o quella di Waiting for Godot di Samuel Beckett nell’agosto dell’anno precedente all’Arts Theatre. Il clima giusto per nuovi autori e 92 che nascono da workshops intorno a un tema sviluppato dalla scrittrice sulla base di testi primari e secondari (come gli studi sulla stregoneria di Barbara Ehrenreich e Deidre English, di Alan MacFarlane e il trattato di Kramer e Sprenger Malleus maleficarum). Nella tradizione più fedele del teatro collettivo di ispirazione brechtiana, le canzoni-coro vengono ad assumere una funzione didattica e pedagogica veicolando quell'informazione che il dramma tende a mostrare. Cloud Nine (1979) nasce dalla collaborazione con Joint Stock Company, con cui aveva già lavorato nel 1976 per Light Shining in Buckinghamshire; la commedia esplora la relazione fra il genere e lo status sociale attraverso la messa a nudo degli stereotipi sessuali La commedia più famosa è Top Girls (1982), che narra le vicende di Marlene, donna in carriera, thatcheriana, che è stata nominata direttore di un’agenzia di collocamento e che invita a casa per festeggiare donna di successo di epoche e culture diverse: la papessa Giovanna, la Paziente Griselda, la moglie ubbidiente narrata da Chaucer, Lady Ninjo, cortigiana dell’imperatore giapponese e poi monaca budista, Isabella Bird, viaggiatrice vittoriana, Dull Grey, raffigurata con grembiule e corazza contro i diavoli all’inferno. Le donne sembrano instaurare una rete di rapporti, il che sottolinea come l’esperienza femminile abbia delle costanti che le avvicina in una sorte di comune esperienza esistenziale. LA commedia prosegue mettendo a confronto il successo di Marlene con la vita della sorella Joyce che è rimasta in campagna insieme alla figlia che Marlene aveva avuto da giovane. Negli anni ‘90, la Churchill drammatizza la caduta del regime rumeno in Mad Forest, dove convivono ricostruzione storica e narrazione fantastica sottolineata dalla presenza del conte Dracula; The Striker è un’allegoria del male che si manifesta attraverso uno spirito maligno. Gli ultimi drammi della Churchill sono drammi brevi: il surreale This Is a Chair, Blue Heart, Far Away, A Number e nel 2006 Drunk Enough to Say I Love You?. 5. Harold Pinter Harold Pinter, Premio Nobel per la Letteratura nel 2005, è autore di ben 29 drammi che hanno segnato la storia del teatro contemporaneo; la drammaturgia pinteriana si dipana attraverso temi più o meno omogenei, che hanno come comun denominatore la convinzione che il linguaggio, inteso come forma elementare di comunicazione da un emittente a un ricevente, non è più in grado di esprimere il reale. Il linguaggio per Pinter è ambiguo, è comunicativo quanto più è evasivo. Pinter esordisce nel 1957 con l’atto unico The Room, poi con The Birthday Party e The Dumb Waiter, poi The Caretaker: vengono definiti dalla critica “teatro della minaccia”, hanno in comune l’ambientazione in una stanza e l’arrivo di uno o più personaggi che rappresentano un pericolo e una minaccia per il protagonista. Tra 1970 e 1982, ispirato alla lettura della Recherche proustiana, scrive tre drammi sull’enigmaticità del tempo, l’inaffidabilità della memoria e del ricordo: Old Times, Betrayal, A Kind of Alaska. A partire dalla metà degli anni ‘80 scrive tre drammi di più forte impatto politico: One for the Road (che mette in scena una stanza fisica in cui avvengono torture, stupri, sopraffazioni), Mountain Language e Party Time (in cui una festa in un sofisticato appartamento si svolge mentre le strade si riempiono di soldati). Con Moonlight (1993) Pinter torna a scrivere drammi lunghi, rivisitando il problema del tempo e della memoria di fronte alla morte; il protagonista cinquantenne Andy è infermo a letto e attende la morte assistito dalla moglie Bel. I figli, presenti fisicamente ma assenti emotivamente, si rivelano interessati solo all’eredità. Ashes to Ashes (1996) è ambientato in una casa della campagna inglese; i protagonisti, Devlin e Rebecca, conversano nel salotto 95 di casa: Rebecca raccont episodi del suo passato facendo affiorare ricordi che attraversano le tragedie e gli orrori del secolo scorso, primo fra tutti l’olocausto. In Celebration (1999) Pinter indaga il mondo dei quarantenni nuovi ricchi, mettendo a nudo la meschinità e la superficialità delle loro vite. L’ultimo dramma di Pinter, del 200 al National Theatre, è Remembrance of Things Past, tratto dalla sceneggiatura della Recherche proustiana che Pinter scrisse per Joseph Losey nel 1972. 6. Tom Stoppard Tom Stoppard è forse il più intertestuale dei drammaturghi inglesi contemporanei; i drammi prendono altri testi come pretesti per la scrittura, che diventa una continua citazione. Così Hamlet e Waiting for Godot sono il pretesto per Rosencrantz and Guildenstern Are Dead e spunto per una riflessione metalinguistica, in Dogg’s Hamlet; Macbeth è il punto di partenza per una satira sull’internamento in manicomio dei dissidenti in Cecoslovacchia, Cahoot’s Macbeth; The Mousetrap di Agatha Christie per The Real Inspector Hound, la pittura surrealista di Magritte per la scena di After Magritte. La performance di 15 Minute Hamlet è un vero e proprio tour de force per gli attori che sono costretti a una dizione chiara e precisa, a perfetti movimenti del corpo, attraverso i quali si veicola il significato in assenza di una linearità del testo. Jumpers (1972) è senza dubbio la commedia più ambiziosa di Stoppard, perlomeno fino ad Arcadia (1993); la commedia si presenta come un grande affresco del relativismo del XX secolo. In Travesties (1975), Stoppard parte da un dato storico acquisito, al contemporanea presenza a Zurigo durante la prima guerra mondiale di Lenin, Tzara e Joyce; i personaggi, i “mostri sacri” nella traduzione italiana, sono impegnati nella messinscena di The Importance of Being Earnest di Oscar Wilde, commedia che realmente Joyce allestì nel 1918 in Svizzera. Negli anni ‘70 e ‘80 stoppard si schiera per la difesa dei diritti umani nei paesi comunisti, con Every Good Boy Deserves Favour (1978) e Professional Foul (1978). Nel 1982 Stoppard torna a un dramma più leggero con The Real Thing, commedia sul tradimento, tutta giocata su effetti metateatrali. Arcadia (1993) è un dramma complesso strutturato su due piani storici diversi, quello contemporaneo e quello del primo ‘800 inglese; la tematica del tempo è il modello strutturale del dramma, dove lo spettatore viene portato avanti e indietro nei secoli. Negli anni ‘90 scrive The Invention of Love (1997) e la sceneggiatura di Shakespeare in Love che gli vale un Oscar nel 1999; gli ultimi drammi di Stoppard sono la trilogia del 2002 The Coast of Utopia, Heroes (2005) e Rock’n’Roll (2006). 7. Christopher Hampton Christopher Hampton ha prodotto fino ad oggi 12 drammi per il teatro, traduzioni di classici come Molière e di contemporanei, sceneggiature cinematografiche, sceneggiature televisive e, con Don Black, i musical Sunset Boulevard e Dracula. Hampton suddivide la propria drammaturgia in due “small play, a fictional play” (When Did You Last See My Mother?, The Philanthropist, Treats) e “large play, based on some documentary incident” (Total Eclipse, Tales from Hollywood, Les Liaisons Dangereuses, Alice’s Adventures Under Ground, The Talking Cure). White Chameleon è un large play che però si struttura sui ricordi d’infanzia del drammaturgo, finendo per essere un “memory play”. Negli anni ‘90 Hampton si dedica quasi esclusivamente al cinema, non solo come sceneggiatore ma anche come regista. 96 8. Il nuovo teatro politico: Howard Brenton e David Hare Negli anni successivi al ‘68 emerge un gruppo di giovani autori che presentano tratti comuni: Howard Brenton, David Hare, David Edgar, Howard Barker, Stephen Poliakoff, che hanno un comune background socio-culturale, avendo frequentato le più prestigiose università inglesi, come Cambridge e Oxford, mettono in discussione gli schemi tradizionali del teatro del dopoguerra. Howard Brenton si segnala con Magnificence, The Churchill Plays, Weapons of Happiness, The Romans in Britain, The Genius, Bloody Poetry, Pravda, Iranian Nights, Moscow Gold, Collateral Damage e Snogging Ken. David Hare parte dal Portable Theatre, fondato con Tony Bieat nel 1968, con l’intenzione di creare una compagnia mobile che potesse portare il teatro al di fuori dei canali istituzionali; fonda poi la Joint Stock Company, scrive Fashen, Plenty, History Plays e Asian Plays. Dal 1984 è Associate Director del National Theatre, scrive qui The Secret Rapture, Murmuring Judges, The Absence of War, Skylight, Amy’s View, The Breath of Life, Via Dolorosa, My Zinc Bed, Permanent Way e Stuff Happens. 9. ‘In-yer-face theatre’: Sarah Kane Negli anni ‘90 il teatro inglese vede il fiorire di nuovi autori che raccolgono l’eredità di drammaturghi di rottura come Edward Bond, David Edgar, Howard Barker, Caryl Churchill, definiti “New angry young men”; si formano nel periodo di massima affermazione del thatcherismo, quando il profitto era l’unico metro di valutazione e la società e il tessuto sociale venivano rapidamente sfilacciandosi. Il nuovo teatro, definito in-yer-face theatre”, è un teatro che non allude ma ostenta, che vuole scioccare e turbare il pubblico portando all’estremo sia il linguaggio che le immagini rappresentate, mettendo in discussione quelle regole morali e sociali che sono state imposte e non scelte. Si hanno drammaturghi come Sarah Kane, Mark Ravenhill, Jez Butterworth e Jonathan Harvey. L’evento che ha cambiato le scene inglesi degli anni ‘90 è la messinscena di Blasted (1995) dell’allora ventiquattrenne Sarah Kane al Royal Court Theatre Upstairs, un teatro sperimentale da 60 posti. Caratteristica del teatro della Kane è la continua ricerca di una drammaturgia nuova, diversa; nella sua breve carriera, ha sempre cercato un approccio nuovo senza fermarsi ai risultati raggiunti (Phaedra’s Love, Cleansed, Crave e 4.48 Psychosis, andato in scena dopo la sua morte nel 2000). [pag. 413-575] 97