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Riassunto di ogni capitolo, dal capitolo 2 al capitolo 9.
Tipologia: Sintesi del corso
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molti aspetti diversi del toscano. Nel ” cantico di frate sole ” si vedono forme come dignu e bellu (-u finale come nel latino); molti elementi linguistici locali si riscontra anche nel “ Laudario ” di Jacopone da Todi e altre raccolte anonime di laudi. Un caso particolare è rappresentato dalla “ cronica dell’anonimo romano ”. Si tratta della testimonianza più importante che c’è rimasto del volgare romanesco, tra i quali spicca l’assenza di anafonesi (consiste nella chiusura delle vocali toniche é o ó rispettivamente in i e u. In particolare, la é deve essere seguita da laterale palatale o nasale palatale. L’anafonesi da ó si ha solo se questa si trova davanti al gruppo consonantico -gn .) in parole come lingua e pento (dipinto). 2.3 L’ASCESA DEL CETO MERCANTILE E LE CANCELLERIE Nel corso del medioevo comincia ad affermarsi una nuova classe sociale: quella dei mercanti, che per esigenze professionali usa scrivere in volgare. Il mercante impara l’aritmetica, la ragioneria e acquisisce l’abilità grafica che gli permette di scrivere: in queste scuole di tipo pratico, la lingua di insegnamento e il volgare; in tutte le altre scuole invece il perno della formazione rimane latino. Testi come i registri contabili, compilare assegni e lettere di cambio, insieme alle pratiche di mercatura, costituiscono la preziosa testimonianza delle abilità linguistiche e dell’abitudine scrittorie dei mercanti. Dato che mercanti e banchieri più potenti e intraprendenti erano all’epoca quelli toscani, le loro lettere costituiscono anche la prima occasione di contatto con la lingua toscana e fiorentina. Nell’ambito cancelleresco nasce la coine quattrocentesca , il primo vero esperimento di lingua sovraregionale. nel 300, con il passaggio dei comuni alle signorie, ogni Stato regionale si dota di una cancelleria che gestisce la corrispondenza, scrive atti pubblici, leggi, statuti e fatti di varia natura. In questo caso per tenersi in contatto con le cancellerie delle altre corti italiane si cerca di trovare una soluzione linguistica di conguaglio, in cui l’attenuazione dei tratti marcati in senso dialettale si risolve in una patina linguistica genericamente settentrionale e meridionale, a seconda dei casi. Il toscano , va affermandosi progressivamente come lingua di prestigio. Il latino invece fornisce il lessico giuridico e burocratico. Inoltre, il ricorso al latino garantisce ai testi cancelleresti una certa omogeneità sul piano della grafia. Spia dell’affermazione del volgare toscano come modello di prestigio e la comparsa di forme dittongate o fonetica, che però continuano a convivere con gli esiti locali. Nel corso del 400, non solo nella Firenze medicea, ma anche nelle più importanti signorie dell’Italia settentrionale e meridionale - come quelle degli Este, dei Gonzaga, dei Montefeltro - le corti sono anche centri di promozione culturale e artistica, in cui viene incoraggiata la produzione letteraria in volgare. Alle soglie del 500 comincia a fissarsi un rigido canone letterario, quello delle Tre Corone ( Dante, Boccaccio e Petrarca ), che consacra il toscano trecentesco come modello linguistico vincente. 2.4 LA FORMAZIONE DELLA LINGUA LETTERARIA Il toscano conquista una posizione di prestigio soprattutto perché la produzione letteraria toscana può contare su autori e opere percepiti da subito come modelli. Come per esempio
Tre secoli dopo alla proclamazione del regno d’Italia, il 75% della popolazione italiana è analfabeta e il 90% parla unicamente il dialetto.oppure tra il 500 ottocento si possono individuare alcuni fattori che contribuiscono alla formazione di un modello comune anche per l’italiano parlato. I principali sono:
La distinzione tra dialetto e lingua è del tutto convenzionale. Anche il dialetto è in realtà una lingua. Sebbene le notizie sulla fase arcaica dei dialetti siano molto scarse, sappiamo che alcuni tratti caratteristici comparivano già in età antica. È possibile parlare in senso proprio di dialetti solo con il sorgere di un altro polo di riferimento: l’italiano. Cioè a partire dal Cinquecento, quando l’affermazione del fiorentino letterario trecentesco abbassa al rango di dialetti tutte le altre parlate. Ma è solo tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento che si prende coscienza del la differenza tra italiano e dialetto. 3.3 L’AFFERMAZIONE DEL FIORENTINO Bembo, raffinato umanista veneziano, non propose come modello il fiorentino a lui contemporaneo, ma guardò a una lingua antiquata, artefatta, libresca, che potesse, un po’ come il latino, offrire regole sicure perché tratte da modelli inalterabili. Se l’italiano di oggi ha mantenuto un’inconfondibile impronta fiorentina, ciò si deve in gran parte ai letterati del Cinquecento. È in forza della loro scelta che noi usiamo, esattamente come nel fiorentino trecentesco certe forme. 3.4 L’USO RIFLESSO DEL DIALETTO Per uso riflesso s’intende qualsiasi uso non spontaneo del dialetto e in particolare la sua trasposizione a fini d’arte. La definizione di questo tipo di produzione letteraria si deve a Benedetto Croce. In seguito, all’uso del dialetto si accompagnerà un intento più chiaramente polemico, di rivalsa da parte del mondo contadino emarginato nei confronti della città. Nel cinema, l’uso del dialetto viene introdotto dapprima sotto l’influsso delle sceneggiate napoletane, poi con la grande stagione del neorealismo. Dagli anni sessanta, il dialetto viene usato soprattutto in funzione comica dalla cosiddetta “commedia all’italiana”. La napoletanità di Totò o Peppino De Filippo è indubbia; eppure la lingua che essi mettono in scena è un italiano venato di tratti locali, comunque comprensibile al pubblico di tutt’Italia. 3.5 CHI PARLA IL DIALETTO OGGI? Al momento dell’unità d’Italia, la gran parte della popolazione parlava e capiva soltanto il dialetto; gli italofoni erano una sparuta minoranza. Le cose non migliorarono in modo decisivo dopo l’unificazione —> il motivo della scarsa diffusione dell’italiano c’era l’analfabetismo. Il tasso di scolarità elementare rimase a lungo molto basso, anche perché i ragazzi erano spesso impiegati come manodopera nell'agricoltura e nell’industria. Ancora nel 1911 era analfabeta il 40% degli italiani. Oggi sono pochissimi (poco più del 5% secondo un’inchiesta Istat del 2012) gli italiani esclusivamente dialettofoni, cioè che usano solo o prevalentemente il dialetto anche parlando con estranei. La competenza dialettale è tuttora largamente diffusa in Italia, almeno nei rapporti confidenziali. Anche la lingua della narrativa si concede, negli ultimi anni, apertu re sempre maggiori al dialetto, sia pure con diverse funzioni: ● dialetto per dispetto , uso del dialetto, spesso mescolato al linguaggio giovanile, come trasgressione nei confronti della norma scolastica; ● dialetto per difetto , inserti dialettali usati per connotare personaggi negativi o comunque per segnalare una condizione di inferiorità o inadeguatezza;
● dialetto per idioletto , uso di un dialetto letterariamente ricreato come lingua d’autore e perciò in grado di raccontare un mondo a parte; ● dialetto per diletto , uso ludico di tratti dialettali o regionali come molla della comicità Dalla fine degli anni ottanta, però, i dialetti diventano inadatti a soddisfare quest’esigenza di alterità rispetto alla lingua comune. Proprio a partire dagli stessi anni si verifica nella canzone italiana un recupero del dialetto. Dagli anni novanta, il dialetto comincia ad assumere una connotazione ideologica e questo accade soprattutto nei generi musicali meno legati alla nostra tradizione melodica, come il rap e il reggae. 3.6 I DIALETTI D’ITALIA: IL SETTENTRIONALE I dialetti settentrionali, eccezion fatta per quelli veneti, appartengono all’area gallo-italica. Avendo subito in vario modo l’influsso del sostrato celtico, presentano caratteri di fondo comuni, anche se i singoli esiti possono divergere da dialetto a dialetto. La lenizione delle occlusive, comune a tutta l’area, può portare - anche all’interno dello stesso dialetto - sia alla sonorizzazione della sorda sia al dileguo. Caratteristica generale è l’obbligatorietà dell’espressione del pronome soggetto; in veneto, in particolare, il pronome viene raddoppiato. 3.7 I DIALETTI D’ITALIA: IL CENTRO E LA TOSCANA I dialetti mediani sono caratterizzati soprattutto da tre fenomeni rilevanti:
Il parlato invece è strettamente legato al qui e ora della situazione comunicativa; elaborato e recepito in tempo reale. Il parlato, poi, ha uno svolgimento lineare. Chi parla, in genere, mira soprattutto a far capire le proprie intenzioni comunicative e non è così tanto attento alla precisione sintattica della coesione testuale. La coesione è la qualità che fa riferimento alle sue connessioni sintattiche e morfologiche. La coerenza è invece la qualità che riguarda i legami logici e semantici, comunque sostanziali. Parlato e scritto non sono compartimenti stagni. Esistono diverse tipologie di parlato, che possono essere individuate sulla base di criteri diversi. Una prima distinzione è quella tra parlato spontaneo e parlato non spontaneo ma programmato in precedenza. Un’altra distinzione è quella tra parlato monologico (una lezione universitaria) e parlato dialogico (il parlato della conversazione). Si puó anche distinguere tra parlato in presenza e parlato in assenza di interlocutori. 4.2 DUE PUNTI DI VISTA DIVERSI Se mettiamo per iscritto un brano di parlato spontaneo, riceveremo subito un’impressione di scompaginamento sintattico e testuale: quello che detto sembrava normalissimo, scritto ci appare intollerabilmente confuso. Nel parlato troviamo esitazioni, cambiamenti repentini del soggetto della frase, “false partenze“, ridondanze. Questo non significa che il rumore presente in genere nella conversazione spontanea sia privo di funzione comunicativa. D’altronde, il parlato sopperisce la mancanza di una rigida coesione testuale e sintattica, avvalendosi di mezzi non linguistici come la prossemica e la gestualità.
1. PROSSEMICA La prossemica è il codice che utilizza in funzione comunicativa lo spazio tra gli interlocutori. La distanza che il parlante pone tra sé e l’interlocutore e gli spostamenti con cui accompagna il proprio discorso, fanno parte della prossemica. Come tutti i linguaggi, anche la prossemica varia da luogo a luogo. 2. GESTUALITÀ La gestualità comprende la mimica (gli sguardi, le smorfie) e l’insieme dei gesti, dei movimenti del corpo. Tramite un gesto possiamo dare un senso molto diverso alla frase che pronunciamo. La gestualità è soggetta a forti variazioni culturali e antropologiche. 3. PAUSE Si devono inoltre considerare le pause: non solo quelle vuote, ma anche quelle piene. Le pause possono segnalare per esempio i confini tra i costituenti sintattici. Può segnalare tutta una serie di stati emotivi come imbarazzo, sorpresa, disagio, esitazione. 4. TRATTI SOPRASEGMENTALI I tratti soprasegmentali, ovvero le caratteristiche prosodiche del parlato, sono: l’intensità , il ritmo , l’intonazione. Tramite l’intonazione non soltanto diamo senso interrogativo, affermativo, esclamativo o ingiuntivo alle frasi che pronunciamo, ma possiamo enfatizzare segmenti della nostra frase. 5. DEITTICITÀ La deitticità, ovvero il legame di ogni enunciato con il contesto extra linguistico. Deittici sono tutti gli elementi che permettono di realizzare questo legame: gesti estensivi; o elementi linguistici, tramite i quali possiamo determinare con precisione lo spazio, il tempo o i protagonisti della comunicazione. Se i deittici rimandano al contesto linguistico, si dicono
coesivi. Come per esempio i pronomi personali e le forme questo, quello, suddetto, il primo, il secondo , con valore anaforico o cataforico. Nello scritto viene dunque privilegiato lo stile dominato prevalentemente dalla forte coesione testuale e sintattica; nel parlato uno stile dominato dalla semantica e dalla pragmatica. 4.3 LA GRAMMATICA DEL PARLATO Una parte importante nel dialogo la ha anche la presupposizione, con cui si allude a conoscenze date per condivise. Con l’aiuto dell’ intonazione viene messo in forte risalto il focus d’interesse della frase. Tipici del parlato sono i segnali discorsivi , vale a dire: ● formule di attenuazione (per dire, diciamo) ● formule di esitazione (vediamo, insomma) ● formule di esemplificazione (mettiamo, diciamo) ● formule di riformulazione della frase (voglio dire, cioè) ● formule di controllo dell’avvenuta ricezione o comprensione (mi senti? vero?) ● demarcativi, aprono o chiude una conversazione (come va? a presto! Nel parlato, dunque, accade spesso che le parole non siano utilizzate nel loro significato letterale, ma secondo la funzione che assumono nel discorso. 4.4 GLI ATTI LINGUISTICI L’interlocutore deve possedere una competenza pragmatica, ovvero la capacità di comprendere l’effetto degli enunciati linguistici sul contesto comunicativo, effetto basato sostanzialmente su convenzioni comunicative, cioè su regole implicite e variabili da cultura a cultura. Grazie alla competenza pragmatica possiamo quindi decodificare l’atto linguistico e rispondere correttamente. Se, in un dato contesto comunicativo, le parole vanno prese per quello che significano alla lettera o in senso scherzoso, ironico, sarcastico; se vanno prese per quello che dicono o, per quello che fanno. Gli atti linguistici che esprimono tali volontà si dicono atti illocutivi. Gli atti linguistici detti perlocutivi sono quelli che producono effetti diretti. Gli enunciati performativi sono espressioni fisse che, in condizioni di buona riuscita, hanno il potere di ottenere l’effetto che con le parole descrivono.per farsi che un enunciato performativo possa agire nella realtà, e necessario che siano rispettate alcune procedure convenzionali. 4.5 LA CONVERSAZIONE La conversazione rappresenta la situazione più tipica di parlato: due o più interlocutori che si alternano liberamente nel discorso. Per farsi che la conversazione abbia successo gli interlocutori devono per prima cosa cooperare, osservando alcune regole di logica e di pertinenza che sono state individuate dal filosofo inglese Grice. Le massime conversazionali sono quattro:
_1. di qualità
soprattutto per indicare supposizione, tutt’altro che morto è invece il congiuntivo, realmente indebolito solo nelle subordinate dichiarative. 4.8 IL PARLATO ITALIANO CONTEMPORANEO: LA SINTASSI Nell’uso dei pronomi relativi ha ormai perso molto terreno il quale a vantaggio di che. Di questo che relativo indeclinato sono state date diverse spiegazioni. Una delle più attendibili è la seguente: il che fungerebbe da subordinante generico , indicherebbe cioè la presenza di una subordinata quale che sia, mentre l’esatta esplicitazione del rapporto sintattico tra le proposizioni sarebbe affidata al pronome atono di ripresa. Il che in funzione di subordinante generico è usato come una sorta di passepartout linguistico, per introdurre una subordinata. Tra i vari costrutti di messa in rilievo, ci sono:
Solo in anni recenti l' attenzione degli studiosi si è rivolta allo studiodell’italiano parlato del passato. Sono state individuate particolari categorie di testi considerati, per ragioni diverse, meno lontani dalla lingua parlata: ● testi di scriventi che avevano scarsa dimestichezza con la cultura scritta ● testi poco sorvegliati dal punto di vista stilistico o destinati all’uso privato (diari, memoriali, lettere) ● testi nati come registrazione diretta di un discorso orale (trascrizioni di testimonianze, prediche, opere nate sotto dettatura, e simili) È stato così possibile appurare che alcuni costrutti tipici anche oggi del parlato affondano le loro radici nelle fasi più antiche della lingua italiana. Studiando i testi che hanno maggiore probabilità di conservare le caratteristiche del parlato è emersa la presenza più o meno costante di alcuni costrutti. Parzialmente diverso è l'uso artistico che gli scrittori fanno del parlato nelle battute di dialogo inserite in un racconto, un romanzo, un testo teatrale → simulazione fittizia e stilizzata. Dalla seconda edizione dei Promessi Sposi e in maniera ancor più accentuata con il Verismo , la prosa narrativa italiana è andata incontro a un progressivo avvicinamento al parlato, a una lingua volutamente dimessa, media, colloquiale.
● innalzamento generale e spesso artificioso dello stile rispetto al tono usuale, condotto attraverso l’impiego di materiale letterario, perifrasi descrittive di sapore latamente tecnico ● scarsa presenza di tecnicismi specifici a fronte di un altissimo numero di tecnicismi collaterali ● tendenza alla ridondanza del significato, soprattutto con l’uso di aggettivi e avverbi in contesti altamente prevedibili 5.5 IL LINGUAGGIO MEDICO La lingua della medicina si distingue per una grande ricchezza terminologica e per una fortissima presenza anche nella lingua comune. Le fonti privilegiate dal lessico medico rimangono le due lingue classiche. Il greco, diffuso soprattutto nella patologia; il latino, più frequente per ragioni storiche nell’anatomia. Sono più rare le parole provenienti dall’arabo; mentre sono in aumento la presenza di anglicismi. Le lingue classiche sono molto importanti per i processi di composizione del lessico medico, anche su elementi moderni e addirittura sigle. Molto importante è anche l’impiego di suffissi specializzati. Per quanto riguarda lo stile dei testi medici alcune caratteristiche principali sono: ● la grande diffusione dei tecnicismi collaterali; forme tratte dalla lingua comune, ma usate con un valore molto diverso ● la proliferazione degli aggettivi di relazione ● l’alta frequenza dell’uso del passivo, con lo scopo di rendere il più possibile impersonale l’esposizione dei contenuti scientifici ● il frequente ricorso agli eponimi, cioè a nomi di strutture anatomiche, malattie derivati dai nomi di uno scienziato ● L’abbondanza di sigle che sono spesso comprese adoperate comunemente anche i the non specialisti La sintassi tipica dei testi medici di ambito professionale, è basata sulla spersonalizzazione dell’espressione e sul distacco dalla materia trattata; e soprattutto delle frasi nominali. 5.6 IL LINGUAGGIO DELL’INFORMATICA Quella dell’informatica è una lingua speciale nella quale quasi ogni termine ed espressione rimanda direttamente o indirettamente all’inglese. Da quando il pc ha reso accessibile anche ai singoli utenti l’acquisto di un computer, l’informatica è via via diventata un fenomeno di massa. In certi casi si è ricorsi al calco, preferendo quasi sempre accettare l’anglicismo cruda e ricorrendo di rado all’adattamento fonetico più spesso ad un adattamento morfologico dei derivati. Dell’inglese informatico si è accolta anche la tendenza all’impiego di numerose sigle che non hanno per i parlanti italiani alcuna trasparenza. Si registra la crescente tendenza a sostituire gli anglicismi non adattati con alternative italiane che in più di un caso sembrano prevalere nell’uso sulla forma straniera. In Francia, la reazione all’invasione di anglicismi informatici ha avuto una veste ufficiale, coinvolgendo anche l’Accademia francese. Si è giunti alla traduzione di gran parte della terminologia. 5.7 IL LINGUAGGIO DELL’ECONOMIA E DELLA FINANZA
Il giornale è una specie di contenitore in cui trovano posto argomenti tra loro molto diversi e ogni settore ha un suo particolare linguaggio. L’attenzione per il destinatario e l’esigenza di rendere interessante la lettura sono alla base anche dell’alto tasso di parole nuove tipico dei giornali. Le caratteristiche del linguaggio cambiano anche a seconda della tipologia dell’articolo. Il pezzo di cronaca, per esempio, ricorrerà più spesso a immagini ed espedienti di origine letteraria, come le metafore. Negli ultimi anni, grazie alla crescente integrazione dei canali di informazione, si assiste a un generale cambiamento del linguaggio dei giornali, sempre più influenzato dallo stile comunicativo di altri media, in particolare: ● il cambiamento delle scelte sintattiche, ispirate sempre di più a un’ideale di rapidità: gli articoli diventano più brevi.. ● un aumento consistente della presenza del parlato, il parlato si è affacciato con forza nel linguaggio dei giornali ● la tendenza a suddividere il testo in unità tematiche ben individuate, dotate spesso di un proprio titoletto introduttivo 6.2 L'ITALIANO DELLA POLITICA Anche quello politico non è propriamente un linguaggio settoriale: il suo lessico attinge di volta in volta ad altre lingue speciali. La lingua dei politici ha cominciato a puntare sul “paradigma del rispecchiamento”. Ha abbandonato i toni elevati e le forme oscure del politichese tradizionale, per riprodurre il più possibile il modello linguistico degli elettori. La nuova comunicazione politica si presenta come informale e concede uno spazio considerevole agli elementi più espressivi e popolari della lingua. Si registra una continua produzione di parole nuove. Altrettanto effimere sono quelle espressioni che rimbalzano dall’uno all’altro partito. Al tempo stesso, però, si fa un uso ossessivo e insistito di alcune parole chiave, piegate a significati diversi a seconda delle esigenze. Il discorso politico continua a basarsi, anche nella cosiddetta, su un ampio ricorso alle più classiche figure retoriche. Fra le più ricorrenti: ● l'anafora ● l'interrogativa retorica ● il poliptoto temporale 6.3 L'ITALIANO DELLA PUBBLICITÀ Quello della pubblicità è un linguaggio composito, nel quale il codice verbale, seppure molto importante, rappresenta soltanto uno dei molti codici possibili. Vantaggio di altre forme di comunicazione giudicate più efficaci, come l’immagine e la musica. Lingua tutta orientata verso la persuasione → il tono sicuro di molti slogan declinati all’imperativo. L’uso della parola dev’essere accattivante e attraente, deve colpire e incuriosire il pubblico, catalizzare l’attenzione. Si privilegiano perciò gli espedienti più espressivi del linguaggio; tra gli altri: ● i giochi di parole ● costruzioni circolari ● richiami fonici ● l'uso delle lingue straniere ● un largo uso di parole nuove del tutto occasionali, ottenute con la suffissazione del nome del prodotto
Nella sintassi si privilegiano la velocità e la sintesi dell’espressione, funzionali alla produzione di un messaggio il più possibile diretto e facilmente memorizzabile. Dunque si ricorre molto spesso: ● all’ellissi di elementi di raccordo grammaticale ● ai modi nominali del verbo ● all'accostamento asindetico di parole e frasi Adesso sembra piuttosto cercarne il coinvolgimento, l’adesione a una sfera di sentimenti che stimoli l'identificazione del prodotto con un benessere emotivo → di conseguenza, la lingua si fa più semplice, più discreta. 6.4 L'ITALIANO ALLA RADIO L'ascolto della radio negli ultimi anni è in calo. Oggi il linguaggio radiofonico si ispira esplicitamente al parlato spontaneo, specialmente per quanto riguarda i network privati, caratterizzati da una cosiddetta “programmazione di flusso”. Una programmazione, cioè, in cui i singoli programmi non hanno uno spazio fisso all’interno della giornata, ma sono inseriti in un blocco continuo che si ripete periodicamente, cambiando soltanto il conduttore di riferimento. Lo schema della radio di flusso ha favorito lo sviluppo di un nuovo italiano radiofonico basato sul ritmo e sulla velocità. Uso deliberato di una serie di espedienti linguistici che riproducono “a tavolino” la sensazione del parlato non controllato: ● ripetizione di parole e frasi chiave che scandiscono il flusso ● abbondanza di variazioni melodiche della voce, esclamazioni e interiezioni ● lessico espressivo, che impiega modi colloquiali, linguaggio giovanile, turpiloquio, anglicismi alla moda ● ricorso a moduli tipici della dialogicità Per mantenere alto il tasso di dialogicità, si ricorre sempre più spesso a una coppia di conduttori che dialogano tra loro o a ulteriori personaggi. Dal punto di vista linguistico, questo si traduce: ● in un accorciamento dei testi ● nell’aumento, spesso vertiginoso, della velocità di lettura delle notizie ● in una sintassi che privilegia l’accostamento di frasi coordinate e l’uso delle frasi nominali → Il ritmo rallenta considerevolmente nei radiogiornali delle reti tradizionali 6.5 L'ITALIANO IN TELEVISIONE La televisione rimane ancora oggi il mezzo di comunicazione di massa più diffuso in Italia. La storia dell’italiano televisivo si distingue in due periodi: lq paleotelevisione e neotelevisione. Il periodo paleo televisivo si caratterizza per la prevalenza della funzione educativa. Le trasmissioni sono pensate soprattutto per assicurare la diffusione della cultura e giungere all’unificazione sociale e linguistica degli italiani. Il periodo della neo televisione si distingue per un drastico ridimensionamento della funzione pedagogica a vantaggio dell’intrattenimento, che con le sue formule il suo stile influenza tutti i generi compreso