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Riassunto "Manuale di sociologia" N. Smelser, Sintesi del corso di Sociologia Giuridica

Riassunto completo del testo di sociologia giuridica "Manuale di sociologia" N. Smelser. Sintesi completa di tutti i capitoli da 1 a 20

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica Riassunto "Manuale di sociologia" N. Smelser e più Sintesi del corso in PDF di Sociologia Giuridica solo su Docsity! 1 MANUALE DI SOCIOLOGIA Neil J. Smelser Capitolo 1 – INTRODUZIONE ALLA SOCIOLOGIA La sociologia può essere definita come lo studio scientifico della società, delle sue istituzioni e dei rapporti sociali. Nella sociologia, dunque, si studia tutto ciò che avviene quando gli esseri umani interagiscono. 1. CHE COS’E’ LA SOCIOLOGIA? LE ORIGINI DELLA SOCIOLOGIA Il termine sociologia viene utilizzato per la prima volta da Comte (1830) nel corso di Filosofia Positiva. Comte aveva l’intenzione di incentrare lo studio e la conoscenza dei fenomeni sociali su basi oggettive. 1.1 LA SOCIETA’ AL MICROSCOPIO Il mondo può essere diviso in tre gruppi di fatti: fatti biologici (respirazione, nutrizione, ecc.), fatti psicologici (emozioni, motivazioni), fatti sociologici (relativi ai rapporti sociali e alla società). 1.2 PROSPETTIVE SOCIOLOGICHE I sociologi ricorrono a 5 diverse prospettive sociologiche per osservare e spiegare i diversi tipi di fatti: • prospettiva demografica: riguarda lo studio delle popolazioni, in particolare delle nascite, delle morti, dei matrimoni, delle migrazioni e di tutti i fenomeni che interessano le popolazioni; • prospettiva psicosociale: cerca di spiegare i comportamenti in base al significato che hanno per le persone in termini di motivazioni, credenze, atteggiamenti; • prospettiva delle strutture collettive: viene applicata allo studio di gruppi, organizzazioni, comunità. In questa prospettiva i sociologi studiano la competizione tra i partiti politici, l’appartenenza di classe, i movimenti sociali; • prospettiva delle relazioni: valuta i rapporti tra le persone sulle basi dei rispettivi ruoli; • prospettiva culturale: analizza i comportamenti in base a tratti culturali come valori e norme; i valori indicano gli obiettivi considerati socialmente auspicabili e su di essi si fondano le norme sociali, che possono essere formali (se stabiliscono il modo in cui le persone devono comportarsi) e informali (es. è cattiva educazione mangiare con la bocca aperta). LE ORIGINI DELLA SOCIOLOGIA La sociologia nasce, quindi, nell’800, secolo in cui nasce l’esigenza di avere una disciplina scientifica che studi la società. La nascita di questa esigenza, e quindi della sociologia, è legata a tre rivoluzioni che sono alla base del mondo moderno: • Rivoluzione scientifica: le grandi scoperte scientifiche verificatesi tra il 16° e il 18° sec, che svelarono progressivamente i misteri della natura, spinsero ad utilizzare i principi della scienza della natura anche per studiare l’uomo e la società in cui viveva. • Rivoluzione industriale: i grandi cambiamenti prodotti dalla rivoluzione industriale a livello sociale oltre che economico, che stravolsero completamente l’ordine sociale costruito nel corso dei secoli (trasformazione delle classi sociali e dei rapporti gerarchici, urbanizzazione, …), indussero ad uno studio più approfondito dei fenomeni e dei cambiamenti sociali di quel tempo. Un esempio di scienza sociale nata in questo periodo è l’economia politica, grazie ad Adam Smith (1776). • Rivoluzione francese: è stato un altro grande evento che ha posto le basi per la nascita di una scienza della società (cioè della sociologia). In questo periodo infatti fu sancita l’uguaglianza degli esseri umani e i diritti fondamentali che essi avevano, e questo spinse ad uno studio più approfondito della società. 2 2. MICROSOCIOLOGIA E MACROSOCIOLOGIA E RISPETTIVE TEORIE Le 5 prospettive dimostrano come sia ampio il campo d’indagine della sociologia, e i sociologi spesso si specializzano nello studio di un qualcosa in particolare (es. la famiglia o i rapporti tra classi sociali). Inoltre, in base all’approccio da parte dei sociologi sullo studio della società, la sociologia può essere divisa in microsociologia e macrosociologia. La microsociologia si occupa delle interazioni quotidiane tra gli individui, dando quindi più importanza ai singoli soggetti, alle loro motivazioni e ai loro comportamenti. Le principali teorie microsociologiche elaborate per descrivere e spiegare le interazioni tra gli individui sono: 1. la teoria dello scambio di George Homans (1973): secondo cui l'interazione è fondata sul rapporto costi- benefici/ punizioni-ricompensa: le persone ripetono quei comportamenti che in passato gli hanno dato qualche ricompensa, mentre evitano di fare ciò che li ha portati a una qualche punizione; 2. l’etnometodologia di Garfinkel: che studia la conoscenza di senso comune come base delle interazioni quotidiane; 3. il modello drammaturgico di Erving Goffman (1959): che usa il teatro come metafora e secondo cui le persone si comportano come attori su un palcoscenico costituito da una ribalta (luogo dove gli attori agiscono secondo ruoli formalizzati) e da un retroscena (luogo dove gli attori si preparano all’interazione che avverrà sulla ribalta). Secondo questo modello, attraverso la gestione delle impressioni, gli attori cercano di influenzare l'opinione che gli altri hanno di loro; 4. l’interazionismo simbolico di George Herbert Mead (1934) e Herbert Blumer (1969). secondo cui le persone attribuiscono un significato agli stimoli che ricevono, e rispondo ai significati (mediante simboli) piuttosto che agli stimoli stessi. La macrosociologia si occupa delle strutture che sorreggono intere società, cioè istituzioni familiari, sistemi economici, organizzazioni religiose, ecc. I sociologi che optano per la macrosociologia studiano i rapporti tra le diverse strutture sociali. Due sono le teorie macrosociologiche più importanti: funzionalismo e teoria del conflitto. • Funzionalismo: la prima versione di questa teoria fu elaborata da Herbert Spencer (1897), e considerava la società come organismo vivente composto da molte parti (sfera economica, sfera politica, sfera religiosa) ciascuna delle quali svolge una funzione e contribuisce al funzionamento del tutto. Emile Durkheim (1893,1897,1912) sviluppa in seguito il quadro sociale: per spiegare un fatto sociale è necessario mostrarne la funzione all'interno della società. Egli ritiene che anche un fatto sociale come la devianza (non rispettare le norme sociali) abbia una funzione positiva. Successivamente Parsons (1951) e Merton (1949) seguono la via dei predecessori: il loro approccio consiste nell’identificare le parti della società, scoprirne le funzioni (positive e negative) e collegarle in un quadro complessivo. I principali presupposti del funzionalismo moderno sono: 1. una società è un sistema di parti interrelate; 2. i sistemi sociali sono tendenzialmente caratterizzati da stabilità perché dotati di meccanismi di controllo (polizia, tribunali); 3. esistono disfunzioni fisiologiche che tendono, nel tempo, a risolversi o a integrarsi nel sistema (es. gli hippies contestavano la società nel 60’, ma poi sono entrati a farne parte pienamente); 4. la società è interessata da mutamenti graduali piuttosto che rivoluzionari; 5. l'integrazione sociale è prodotta dal consenso dei suoi membri su un sistema di valori. • La teoria del conflitto: deriva soprattutto da Marx (1848) secondo cui il conflitto tra classi sociali è alla base della società e questo nasce dalla divisione in classi degli individui, principalmente due, quella dei proprietari dei mezzi di produzione (capitalisti) e quella dei lavoratori (proletari). Queste non hanno valori in comune, 5 Capitolo 2 – LA CULTURA 1. IL CONCETTO DI CULTURA La cultura può essere definita come un insieme di valori, definizioni della realtà e codici di comportamento condivisi da persone che hanno in comune uno specifico modo di vita. Il termine deriva dal latino “colere”, che significa coltivare la terra, e infatti nel medioevo indicava il progressivo miglioramento dei raccolti. L’acquisizione della cultura è una questione di apprendimento. Infatti, a differenza degli animali, che agiscono per istinto e che hanno un comportamento programmato geneticamente, il comportamento umano è per lo più appreso e solo in parte istintivo. Quindi ciò che da una forma al comportamento umano è la cultura. La cultura struttura la vita umana e ha, negli uomini, la medesima funzione che negli animali ha il comportamento programmato geneticamente. 1.1 CULTURA E SOCIALIZZAZIONE La cultura è elaborata e insegnata, quindi deve essere trasmessa di generazione in generazione. Ciò avviene mediante la socializzazione che trasmette valori, norme, opinioni e regole al bambino e ne forma la personalità. Se non ci fosse la socializzazione, la cultura morirebbe. 1.2 CULTURA E CONTROLLO Poiché modella la personalità, la cultura esercita un notevole controllo sul comportamento. Secondo Geertz la cultura è “un insieme di meccanismi di controllo – schemi, prescrizioni, regole, istruzioni – per governare il comportamento”. Poiché la cultura controlla il comportamento umano, Freud si chiede se non sia legittimo definire la cultura come istanza repressiva. Infatti la cultura spesso reprime le pulsioni (per lo più sessuali e aggressive), ma non in maniera completa, semplicemente stabilisce le condizioni in cui esse possono essere soddisfatte (es le pulsioni sessuali possono essere soddisfatte solo con le persone adatte in luoghi adatti, ecc.). In ogni caso, la capacità della cultura di controllare il comportamento umano è limitata da un certo numero di fattori: • limiti biologici dell’organismo umano (ad es. ci sono dei limiti alla capacità di apprendimento dell’uomo); • l’ambiente fisico, che influisce sul tipo di cultura che si sviluppa (fattori ambientali possono ostacolare lo sviluppo di certi modelli culturali); • ordinamento sociale, che deve essere stabile per garantire la sopravvivenza di una cultura (la cultura non può considerare l’omicidio e il furto come valori). 1.3 LA SELEZIONE CULTURALE Un’altra caratteristica fondamentale della cultura è il fatto che essa seleziona solo certi aspetti del comportamento e dell’esperienza. Per questo motivo le culture possono essere anche molto diverse tra loro (ad es. una considera la guerra come nobile arte, un’altra la detesta, ecc.). 1.4 GLI UNIVERSI CULTURALI Ci sono moltissime differenze tra le varie culture esistenti, ma ci sono anche dei tratti comuni a tutte le culture, detti universi culturali. IL RAPPORTO CULTURA SOCIETÁ Il rapporto tra cultura e società è un rapporto bidirezionale. Sono due gli assi lungo i quali si costituisce il rapporto bidirezionale tra società e cultura: l’asse autonomia/dipendenza tra le due realtà e l'asse determinismo culturale/determinismo sociale. L’asse determinismo culturale/determinismo sociale, che ha dominato il dibattito scientifico agli inizi della sociologia, è stato ripreso negli anni 60 e 70, anche se la discussione scientifica si è pian piano spostata sull'altro asse: influenza reciproca/autonomia. 6 George Murdock ne ha individuati circa 60 (es. sport, il linguaggio, i riti religiosi, ecc.) anche se la forma specifica degli universi può variare molto da una cultura all'altra poiché ciascun tratto culturale è il prodotto della sua storia e di una catena di eventi unica. Secondo Kluckhohn, essi esistono perché sono prodotti di fatti biologici comuni a tutti gli esseri umani, mentre secondo altri studiosi il modo in cui i bisogni vengono soddisfatti è influenzato da valori e norme culturali che hanno poco a che vedere con i bisogni stessi e pertanto non c'è corrispondenza tra bisogni fondamentali e cultura. 1.5 ETNOCENTRISMO E RELATIVISMO CULTURALE L’etnocentrismo è la tendenza a giudicare la propria cultura superiore alle altre, mentre la xenofobia è la paura e l’odio nei confronti di persone e costumi estranei alla propria società. A questi atteggiamenti si oppose il sociologo americano Sumner con il relativismo culturale, una posizione secondo cui una cultura può essere capita solo sulla base dei valori che le sono propri e nel suo contesto. (es il cannibalismo ha una sua ragione in base ai valori della cultura dei cannibali). 1.6 IDENTITA’ DI GRUPPO E CULTURA La cultura è il collante della vita sociale e dà senso di appartenenza al gruppo (persone di uno stesso gruppo sociale vanno più d’accordo perché hanno stessi gusti, stesse abitudini, ecc.), ma genera anche conflitto con chi ha matrici culturali differenti pur essendo all’interno dello stesso contesto di appartenenza (ad es. la capacità di comunicare aiuta a mantenere la coesione tra i membri di un gruppo, ma esclude chi non parla la stessa lingua). 2. GLI ELEMENTI BASE DELLA CULTURA Secondo l’antropologo Goodenough (1981) la cultura è composta da 4 elementi: 1. Concetti: strumenti con cui le persone organizzano la propria esperienza. Tutti vediamo il mondo in termini di forme, colori e sapori, ma culture diverse organizzano il mondo in modo diverso (es. i tedeschi distinguono con due parole diverse il modo di mangiare degli uomini e degli animali, gli italiani no); 2. Relazioni: le culture non si limitano a catalogare il mondo per mezzo di concetti, ma contengono anche credenze riguardo al modo in cui le parti risultanti da tale catalogazione sono messe in relazione nello spazio, nel tempo, nel significato (relazioni naturali: il bianco è il contrario del nero, la terra ruota intorno al sole; relazioni soprannaturali: tentativo di spiegare la creazione umana da parte del cristianesimo); 3. Valori: opinioni condivise circa gli obiettivi verso i quali gli esseri umani devono tendere (es. la cultura cristiana esalta il valore della fedeltà coniugale, mentre la cultura di Sparta esaltava la guerra); 4. Regole: sono elementi che includono le norme sociali e indicano come è necessario comportarsi per rispettare i valori della propria cultura (es. in Italia ci sono regole contro l’uccisione perché la nostra cultura dà gran valore alla vita). Goodenough riassunse così il discorso su questi 4 elementi: “La cultura consiste di standard per decidere cosa esiste (concetti), cosa può esistere(relazioni), come dobbiamo giudicare tutto ciò (valori) e come agire al riguardo (regole).” I vari elementi della cultura sono interdipendenti, per esempio può esistere un insieme di concetti e di relazioni che si giustificano a vicenda; anche i valori vengono giustificati e a loro volta giustificano e legittimano le regole. Le regole vengono seguite dagli individui anche grazie all’esistenza delle sanzioni, che sono punizioni o ricompense sociali che promuovono il rispetto delle regole. Esse sono negative se scoraggiano la trasgressione della regola (es punizione fisica), sono positive se incoraggiano l’osservanza delle norme (es il denaro, il prestigio, ecc.). 2.2 IL LINGUAGGIO Gran parte della cultura esula dalla sfera verbale (pittura, danza), ma tutti gli ingredienti della cultura possono essere espressi nel linguaggio. Il linguaggio è un sistema di comunicazione che usa suoni o simboli con significati arbitrari ma strutturati. 7 Il linguaggio è un fenomeno sociale in quanto non può essere appresso fuori dall’interazione sociale; è il veicolo principale per la trasmissione della cultura, anche se gran parte della socializzazione dipende dall’imitazione di gesti (assentire, sorridere, aggrottare la fronte, ecc.). Un’altra caratteristica del linguaggio è che una volta appresi i vocaboli essenziali, la struttura della lingua madre e le regole del discorso, è impossibile dimenticarselo e per questi motivi, è funzionale all’adattamento: senza di esso l’interazione umana sarebbe molto più rudimentale. Inoltre, quando è comune, ed implica quindi un certo grado di coesione sociale, aiuta a creare il senso dell’identità di gruppo e trasforma in un gruppo tutti quelli che parlano una certa lingua, trasforma anche in estranei coloro che ne parlano una diversa. 2.3 L’IDEOLOGIA Altro elemento da considerare quando si parta di cultura è l’ideologia, cioè un insieme di assunti e di valori che può perseguire diverse funzioni come ad esempio: • riduttore delle tensioni sociali che potrebbero svilupparsi se gli individui fossero completamente consapevoli del divario tra valori e condizioni reali; • espressione di interessi: le ideologie possono anche difendere o esprimere interessi di gruppo. In situazione di forte conflitto spesso si attivano sistemi ideologici contrapposti: uno che difende e l’altro che mette in discussione lo status quo. Se dovesse risultare vincitore quello che si contrappone allo status quo esistente, la sua ideologia verrà usata per difendere un nuovo assetto dei rapporti sociali (es la rivoluzione del 1917 trasformò il bolscevismo da ideologia distruttrice del vecchio regime a ideologia leggittimatrice del nuovo). • fonte di significato: in base a una determinata ideologia gli individui tendono ad attribuire specifici significati agli eventi. 3. INTEGRAZIONE E DIVERSITA’ CULTURALE Alcuni antropologi del 19s consideravano le varie culture senza relazione tra loro, altri invece affermavano che le culture sono modelli caratterizzati da principi unificanti. La verità probabilmente è a metà strada: esistono nelle culture principi organizzatori dominanti, ma nessuna cultura è da essi completamente unificata. Inoltre vi sono diversità e conflitti culturali. 3.1 CONFLITTI CULTURALI • E. Durkheim (1890) parla di anomia: disgregazione dell'unità culturale causata dalla mancanza di chiare e condivise norme sociali. Questa anomia era causata dal declino della religione e del vecchio ordine politico oltre che dall'ascesa della borghesia. • W.F. Ogburn (1922) propone il concetto di ritardo culturale: si manifesta quando i cambiamenti materiali avvengono ad una velocità tale che la cultura non materiale (tradizione, credenze, filosofia, religione, ecc.) non è in grado di tenervi dietro. Il risultato è una costante mancanza di corrispondenza tra cultura materiale e non materiale che genera una serie di complessi problemi sociali es. le nuove tecniche industriali hanno comportato un aumento degli incidenti sul lavoro, ma solo dopo molto tempo sono state fatte leggi per tutelare i lavoratori). • P. Bourdieu (1979) invece afferma che la cultura è uno dei mezzi con cui viene mantenuto il dominio di una classe sociale sull'altra. Le usanze costituiscono un capitale culturale che consente ad un gruppo di proteggere la propria posizione sociale escludendone gli altri. Secondo Bourdieu la sfera dell'economia e quella della cultura sono legate in modo tale che l'una costituisce l'altra; il meccanismo che le connette è l'habitus, definito con un sistema di disposizioni durevoli che governa l'agire individuale, ma che è socialmente condizionato dalla struttura oggettiva della società. I vari habitus delle varie classi sociali danno origine a diversi tipi di gusto per il cibo, il vestiario, l'arte e così via. Il gusto è quindi una delle manifestazioni più tipiche dell'habitus di cui ogni classe è manifestazione. 10 2. LE ISTITUZIONI Un'istituzione è un insieme di status e ruoli che hanno lo scopo di soddisfare determinati bisogni sociali. La nostra è società altamente istituzionalizzata; ad es. la famiglia è un'istituzione composta da un complesso di status e ruoli (marito, moglie, padre, madre, figlio) che produce nuovi membri della società. 2.1 BISOGNI SOCIALI E ISTITUZIONI La tendenza ad aggregarsi in gruppi, comunità e società appare radicata nella reciproca dipendenza biologica degli esseri umani. Ma la persistenza di una società non è automatica, bensì richiede che debbano essere soddisfatte delle funzioni per garantirne la sopravvivenza, le c.d. funzioni o bisogni sociali. Secondo Marx il bisogno sociale fondamentale è la sopravvivenza materiale: se gli sforzi umani per soddisfare questo bisogno non fossero organizzati collettivamente, la società cesserebbe di esistere. Secondo Lenski e Lenski (1970) i bisogni fondamentali sono: 1. comunicazione tra membri (infatti ogni società utilizza una lingua parlata); 2. produzione di beni e servizi necessari alla sopravvivenza dei membri; 3. distribuzione di tali beni e servizi; 4. protezione dei membri dai pericoli fisici, da altri organismi e dai nemici umani; 5. ricambio dei membri, sia attraverso la riproduzione che la socializzazione; 6. controllo dei membri, sia per garantire che il lavoro sociale venga eseguito che per regolare i conflitti che possono emergere all’interno della società. Per realizzare questi bisogni c’è bisogno di un impegno collettivo, che si concretizza nelle istituzioni. 2.2 RISORSE E ISTITUZIONI Per soddisfare i bisogni sociali le istituzioni devono utilizzare le risorse di cui la società dispone. Per esempio, per poter produrre beni e servizi le istituzioni economiche dovranno ricorrere a quattro tipi di risorse: • la terra (risorse naturali); • il lavoro (motivazioni e capacità degli esseri umani); • il capitale (ricchezza investita in mezzi di produzione); • l’organizzazione (mezzi per combinare e coordinare le prime tre risorse). Ma anche le altre istituzioni necessitano di risorse: le istituzioni pertanto sono congegni per canalizzare le risorse sociali e modelli di interazione stabili, preposti a soddisfare uno o più bisogni sociali. Esse non sono però statiche, ma soggette a variabilità e cambiamento, poiché le condizioni che l'influenzano sono in continuo cambiamento (es. lo sviluppo delle nuove tecnologie ha mutato nel tempo le istituzioni sanitarie, creando nuovi ruoli). 3. LE SOCIETÁ 3.1 DEFINIZIONE DI SOCIETÁ Cerchiamo ora di dare una definizione di società. Marsh (1967) ha tentato di specificare le condizioni necessarie perché un raggruppamento sociale possa essere definito società: 1. un territorio delimitato da confini; 2. il reclutamento di nuovi membri (attraverso la riproduzione o l’immigrazione); 3. una cultura coesa da provvedere alla soddisfazione dei bisogni sociali; 4. l’indipendenza politica. Ma questa definizione presenta dei problemi: ad es. in paesi multietnici e multi religiosi (Usa) non esistono tratti culturali condivisi dall'intera popolazione; esistono poi paesi formalmente indipendenti che tuttavia dipendono economicamente da altri paesi. Precisiamo infine che il concetto di società non è sinonimo di cultura o di Stato-nazione. 11 Il concetto di cultura non implica necessariamente confini territoriali o l'indipendenza politica (es. si parlava di cultura ebrea anche quando gli ebrei non avevano uno Stato). Il concetto di Stato-nazione, invece, implica un apparato di governo formale e una specifica identità nazionale, mentre ci sono società che non sono stati, ad esempio le società nomadi mediorientali. 3.2 TIPI DI SOCIETA’ Le società possono essere classificate in molti modi; Lenki e Lenski (1970) hanno classificato le società in base ai loro mezzi di sussistenza, cui fanno corrispondere alcune caratteristiche: • società di caccia e raccolta: i membri di queste società di spostano per cacciare e raccogliere bacche e altri vegetali commestibili. Questi cacciatori-raccoglitori dispongono di utensili primitivi; la proprietà è necessariamente limitata, dato che devono portare con sé tutto ciò che possiedono; il sistema di parentela è il più importante principio organizzativo della vita sociale; la struttura politica è praticamente inesistente (es gli Aborigeni dell’Australia); • società orticole: nelle società orticole più semplici, orti e giardini vengono coltivati senza attrezzi metallici o aratri, in quelle più avanzate dispongono di armi e attrezzi metallici, ma non di aratri. Come quelle di caccia e raccolta, le società orticole sono società di sussistenza; hanno però strutture politiche, articolate su due o più livelli di autorità; anche qui è fondamentale il sistema di parentela, che spesso è articolato in clan (in passato diffuse in Cina ed Europa, oggi in Africa); • società agricole: le società agricole sono in grado di produrre cibo in eccedenza rispetto alle necessità della popolazione; grazie a questo surplus si sono potute sviluppare città dove si è sviluppato l’artigianato e il commercio. Con la nascita dello stato, della scrittura e della moneta si formò poi una struttura di potere complessa, che portò al declino della parentela come principio organizzativo della vita sociale; la famiglia però rimase l’unità produttiva fondamentale (le prime società agricole sorsero nell’antico Egitto); • società industriali: sono apparse nell’era moderna, con la rivoluzione industriale in Gran Bretagna. La tecnologia ha avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo delle società industriali: la produzione industriale implica l’applicazione di conoscenze scientifiche e di fonti energetiche inanimate (vapore, energia elettrica, ecc.); il surplus economico generato dalla produzione industriale è enorme rispetto a quello generato dagli altri tipi di società. La maggior parte delle società industriali ha sistemi di governo altamente sviluppati, con burocrazie e apparati militari complessi. La famiglia nella, nella società industriale, ha perso di importanza. 3.3 GEMEINSCHAFT E GESELLSCHAFT Molti sociologi hanno tentato di delineare le differenze tra società preindustriale e industriale. Ferdinand Tonnies (1887) fece ricorso ai termini Gemeinschaft (comunità urbana) e Gesellschaft (società urbana industrializzata) per fare tale distinzione. Ecco le principali differenze tra Gemeinschaft e Gesellschaft: • per quanto riguarda le motivazioni individuali, la prima richiede che gli individui rispondano ad obblighi collettivi; la seconda si basa sul perseguimento razionale dell'interesse personale con individui che interagiscono in un contesto impersonale e offrono denaro in cambio di specifici beni e servizi; • per quanto riguarda il controllo sociale: la prima lo attua mediante usi e lealtà tradizionali, la seconda mediante leggi codificate formalmente; • per quanto riguarda la divisione del lavoro: la prima comporta una specializzazione limitata e basata sui legami di parentela; la seconda comporta la specializzazione e autonomia dei ruoli professionali dai ruoli familiari; • circa la cultura: la prima si fonda sui valori religiosi, la seconda sui valori secolari; • circa le istituzioni dominanti: nella prima prevalgono famiglia e comunità locale, nella seconda le organizzazioni formali su grande scala (governo, partiti politici, imprese). La critica maggiore mossa a questa dicotomia è di essere troppo semplicistica, sia perché esistono varie forme di Gemeinschaft e Gesellschaft, sia perché la moderna società industriale è caratterizzata da una serie di elementi 12 riconducibili sia alla prima che alla seconda (es la famiglia nella società moderna, anche se indebolita, ha comunque un ruolo importante). Capitolo 4 – LA SOCIALIZZAZIONE 1. LA SOCIALIZZAZIONE: COS’È E COME AVVIENE La socializzazione è il processo attraverso il quale apprendiamo le competenze e gli atteggiamenti connessi ai nostri ruoli sociali ed assolve la funzione di assicurare la continuità sociale trasmettendo ideali, valori, modelli di comportamento ai nuovi membri di una società. La socializzazione, quindi, consente la riproduzione della società. Perché avvenga un processo di socializzazione sono necessari tre fattori: • aspettative di ruolo; • propensione alla conformità; • modifica del comportamento. Un esempio di socializzazione efficace è quello che avviene nel gruppo dei pari (cioè dei coetanei): i ragazzi più popolari definiscono gli standard mentre tutti gli altri si adeguano o, perlomeno, sono spinti a modificare il proprio comportamento. La socializzazione è condizionata dai limiti biologici (non si può volare senza le ali) e da limiti culturali, perché una determinata cultura seleziona solo una parte dei comportamenti biologicamente possibili (es. l’accoppiamento casuale è biologicamente possibili ma tutte le società hanno regole sessuali per il comportamento dei propri membri). 1.1 IL CONTESTO BIOLOGICO A differenza degli animali, gli esseri umani, anche se hanno riflessi geneticamente determinati (es. afferrare, battere le palpebre) non hanno comportamenti complessi innati e per questo devono apprendere come vestirsi, procurarsi il cibo. Inoltre gli esseri umani sono anche lenti nello sviluppare le capacità necessarie alla sopravvivenza, ma questa prolungata fase di sviluppo costituisce un vantaggio per la nostra specie, in quanto offre l’opportunità di acquisire abilità molto più complesse rispetto agli animali (es. parlare). 1.2 CONTESTO CULTURALE Ogni società privilegia specifici valori culturali e li trasmette ai bambini attraverso la socializzazione, selezionando in loro alcuni tratti di personalità a scapito di altri. Ad esempio in Usa si esaltano i valori dell’autonomia, del controllo e dell’aggressività per questo idealizzano sportivi e uomini d’affari; in India invece si esaltano contemplazione e misticismo e per questo idealizzano le figure religiose o pensatori come Ghandi. Sui valori poggiano le norme culturali, che regolano l'interazione tra individui. Alcune norme poi vengono tradotte in leggi, ma la maggior parte no, anche se rimangono comunque aspettative da soddisfare (es. comportarsi bene, portare un regalo ad una festa). 1.3 LA SOCIOBIOLOGIA Alcuni sociologi sostengono che, sebbene la cultura abbia una forte influenza sul comportamento, la condotta umana è dominata da fattori biologici. Quindi questi sociologi, fautori della sociobiologia, portano avanti la tesi che i fattori genetici abbiano sul comportamento umano un effetto più determinante di quanto si pensasse in precedenza e che una gamma di comportamenti che va dall’aggressività all’altruismo può avere origini biologiche. 2. TEORIE DELLO SVILUPPO DELLA PERSONALITA’ La personalità degli individui prende forma nel corso della loro interazione con gli altri, interazione che a sua 15 3.1 LA SOCIALIZZAZIONE COME ADATTAMENTO ALLE CRISI Secondo alcuni sociologi anche in età adulta la socializzazione può essere considerata come una sequenza di crisi, previste o meno, alle quali si devono trovare risposte attraverso degli adattamenti. Esempi di crisi sono la perdita di vigore fisico a causa dell’età, lo stress lavorativo, la morte precoce di un coniuge. 3.2 LO SVILUPPO UMANO COME SOCIALIZZAZIONE CONTINUA Lo psicologo Erikson fu uno dei primi sostenitori dell'idea che lo sviluppo continui per tutta la vita. Lo sviluppo della socializzazione avviene in otto fasi (cinque nell’infanzia, tre in età adulta). In ogni fase l’individuo affronta una crisi e, una volta risolta, avviene il passaggio alla fase successiva. 1) Fiducia/sfiducia (prima infanzia) grazie alle cure ricevute il bambino impara a sentirsi sufficientemente sicuro. Se invece viene maltrattato o trascurato questa prima crisi non può venire superata. Non sempre la soluzione della crisi è completa; 2) Autonomia/vergogna e dubbio (da 1 a 2 anni): il bambino sviluppa una prima conoscenza di sé e inizia ad apprendere le regole della convivenza; 3) Iniziativa/senso di colpa (da 3 a 5 anni) si sviluppa il linguaggio, la locomozione, l’interazione all’interno della famiglia; si acquisisce consapevolezza delle differenze sessuali; si comincia a intraprendere, per gioco, attività nel corso delle quali si possono trasgredire le norme stabilite dagli adulti; se gli adulti sono troppo rigidi nelle punizioni, il bimbo sviluppa un senso di colpa; 4) Industriosità/inferiorità (primi anni di scuola): se il bambino riesce bene nei compiti assegnati è contento di impegnarsi, se sperimenta continui insuccessi sviluppa un senso di inferiorità; 5) identità/confusione di ruoli (adolescenza): l'adolescente inizia a dover prendere decisioni importanti (su studi, lavoro, partner). Se non riesce ad affrontare queste sfide può rimanere incerto circa la propria identità. 6) intimità/isolamento (inizio dell'età adulta): il corteggiamento e il matrimonio e altre forme di intimità sono gli obiettivi principali in questa fase. Se il conflitto tra intimità isolamento non viene risolto, la persona può passare attraverso una serie di relazioni temporanee destinate a fallire. 7) generatività/stagnazione (età adulta matura) in questa fase vengono affrontati i temi delle responsabilità verso la società e le generazioni future (es. sono in grado di crescere un figlio?). Se queste sfide non sono affrontate positivamente può insorgere un senso di impoverimento personale e mancanza di mete. 8) integrità/disperazione (tarda età adulta) in questa fase una persona fa il bilancio della propria vita. Se il bilancio è positivo, si avrà una sensazione di integrità; se negativo, vi sarà disperazione perché non si potrà più cambiare quanto fatto. 3.3 LA RISOCIALIZZAZIONE La socializzazione non dà alle persone tratti immutabili, anzi questi possono essere modificati qualora opportuno. Il processo di risocializzazione si riferisce proprio al riapprendimento di valori, ruoli e comportamenti che si sostituiscono ad altri precedentemente appresi in modo incompleto o inadatti a nuove circostanze. Un esempio di risocializzazione è la psicoterapia, con cui gli individui cercano di risolvere i propri conflitti interni e modificare i propri comportamenti. 3.4 LA SOCIALIZZAZIONE ALLA VECCHIAIA Ultimamente i sociologi hanno studiato anche la socializzazione relativa agli anziani. Molti anziani non sono socializzati in modo efficace alla vecchiaia: a differenza di altre fasi di socializzazione, il passaggio alla vecchiaia non è segnata da alcun rito. In generale la vecchiaia comporta quasi esclusivamente delle perdite, perché essi perdono i loro ruoli (di moglie, di lavoratore). 4. GLI AGENTI DELLA SOCIALIZZAZIONE Le istituzioni, i gruppi e le persone che contribuiscono alla socializzazione sono detti agenti della socializzazione. 16 4.1 LA PRIMA INFANZIA Il bambino dipende da altri per nutrimento, vestiario e riparo. Hanno inoltre anche bisogno di rapporti affettivi stabili, specialmente nei primi anni di vita. Numerosi casi dimostrano come bambini che hanno vissuto in condizioni di isolamento o abbandono (quindi senza assistenza di adulti) hanno scarsa capacità di relazione e apprendimento. Il termine istituzionalizzazione, poi, indica gli effetti dannosi di un’assistenza istituzionale in cui manca l’interazione affettiva. Una ricerca ha messo a raffronto bambini cresciuti in un orfanotrofio e un carcere con un asilo nido destinato ai figli delle detenute (dove le mamme potevano occuparsi dei figli). La ricerca ha dimostrato che i bambini dell’asilo nido del carcere erano più sani e attivi a causa dello stretto contatto con la madre. Per gli esseri umani dunque il principale agente della socializzazione nei primi anni di vita è costituito dalla famiglia. La funzione di questa prima fase di socializzazione è quella di motivare il bambino alla fiducia e all’obbedienza. 4.2 INFANZIA E ADOLESCENZA Quando il bambino va a scuola incontra nuovi agenti di socializzazione, come gli insegnanti. Inoltre, durante gli anni di scuola e soprattutto nella pubertà, il gruppo dei pari (cioè dei coetanei) ha una grande influenza. Anche i mezzi di comunicazione sono un importante agente di socializzazione. Il compito principale della scuola è quello di insegnare ai bambini non solo nozioni e capacità, ma anche il rispetto dei valori della società in cui vivono. Ciò vale soprattutto per la scuola elementare, dove vengono trasmessi valori come quelli del lavoro, della proprietà privata, della famiglia, della democrazia, della legge e dell’ordine, prima ancora che il bambino sia abbastanza maturo da poterli acquisire criticamente. Trasmettendo i valori dominanti della società e punendo i comportamenti ad essi non conformi, la scuola opera anche come agente di controllo sociale. Le volute differenze esistenti tra casa e scuola circa la disciplina e le regole più severe, fanno parte del processo di socializzazione, perché abituano il bambino al modo degli adulti, in particolare a quello del lavoro. Nella nostra società i bambini imparano parecchio in tema di ruoli e comportamenti sociali dalla televisione, dai giornali, dal cinema e da altri mezzi di comunicazione di massa. Proprio per questo la televisione è considerata un potente mezzo di socializzazione, secondo solo ai genitori. La televisione è certamente un potente strumento d'informazione, ma ai programmi di cultura e informazione vengono maggiormente preferiti quelli di intrattenimento. I mass-media poi possono essere anche veicoli di persuasione occulta (es pubblicità). 5. I MECCANISMI PSICOLOGICI DELLA SOCIALIZZAZIONE 5.1 I RAPPORTI CON GLI ADULTI La socializzazione avviene generalmente attraverso questi quattro meccanismi: 1) Imitazione: tentativo consapevole di riprodurre il comportamento di un adulto (se l’insegnante la mette in castigo, la bambina punita a casa potrebbe chiudere la bambola in un armadio); 2) Identificazione: meccanismo inconsapevole che induce il bambino ad adottare il comportamento, gli atteggiamenti e i valori degli agenti della socializzazione; 3) Vergogna: è ciò che si prova quando si viene colti con le mani nel sacco e ci si sente umiliati si fronte ad altri; 4) Senso di colpa: è una punizione che ci si infligge da soli. Mentre i primi due sono meccanismi che incoraggiano un certo tipo di comportamento, la vergogna e il senso di colpa li inibiscono. 5.2 CONDIZIONI SOCIALI E PERSONALITA’ INDIVIDUALE Lo storico Lowenberg (1971) ha cercato di scoprire un legame tra le esperienze infantili dei sostenitori di Hitler e l'attrazione che essi avevano verso il movimento nazista. Egli scoprì che molte persone che appoggiavano questo movimento erano nate durante la prima guerra mondiale e cresciute in condizioni di estrema privazione 17 economica ed affettiva, per cui erano molto attratti da un leader che prometteva di ridare orgoglio e potere al popolo tedesco. 6. SOCIALIZZAZIONE: PROCESSO UNICO O MOLTEPLICE? Analizziamo ora come le differenze di classe, etniche e culturali influiscono sulla socializzazione. 6.1 DIFFERENZE DI CLASSE In un'indagine condotta su famiglie americane e italiane nel 1969 Melvin Kohn scoprì che i genitori della classe media cercavano di incoraggiare all’iniziativa e all’autonomia, mentre le famiglie operaie incoraggiavano i figli al conformismo verso le autorità. Inoltre i campioni americano e italiano, popoli con culture diverse, avevano portato risultati simili, per cui arrivò alla conclusione che le differenze di classe sono più determinanti e prevalgono rispetto ai fattori culturali nel processo di socializzazione. 6.2 DIFFERENZE ETNICHE Kohn notò come sulla socializzazione influisca anche la religione e l’appartenenza etnica. Ad esempio notò che le madri cattoliche valutavano il conformismo più positivamente di quelle protestanti. Un'altra ricerca condotta ad Harlem, invece dimostrò che bambini di colore si mostravano più indipendenti e avevano meno fiducia negli adulti dai quali dipendevano scarsamente. 6.3 DIFFERENZE CULTURALI Ovviamente anche le differenze culturali incidono sulla socializzazione. Ruth Benedict osservò come i bambini venissero allevati in maniera diversa in Usa (più rigida) e in Giappone (con meno regole). Anche la socializzazione ai ruoli di genere è influenzata dalla cultura: essi variano enormemente in base a fattori quali la struttura economica delle società, i valori culturali, ecc. Per esempio nelle società nomadi la divisione del lavoro tra maschi e femmine è molto rigida, mentre nelle società stanziali lo è molto meno. Nelle culture in cui i gruppi familiari sono generalmente estesi i ruoli specifici di uomini e donne sono nettamente delineati; in una cultura come la nostra, in cui le famiglie di piccole dimensioni sono la norma, le differenze tra competenze maschili e femminili sono più sfumate. 7. QUANDO LA SOCIALIZZAZIONE FALLISCE Numerosi sociologi sostengono l'esistenza di un rapporto tra socializzazione inefficace e malattia mentale. Quando la socializzazione fallisce, ciò comporta disturbi della personalità, ribellione e ostilità verso le norme sociali. Questi fallimenti possono però essere la base della trasformazione sociale delle generazioni future. Teorie dello sviluppo della personalità 20 2. I RUOLI INFORMALI Esistono i ruoli formali (sacerdote, uomo d'affari), ma anche ruoli informali (il pagliaccio, il capro espiatorio, il gonzo, il simpatico, l’antipatico). Quando classifichiamo le persone come tipi, assegniamo loro dei ruoli, e quando queste persone le conosciamo bene, questi ruoli tendono a diventare stabili; diventa dunque più difficile liberarsene (es. una persona considerata gentile deve fare qualcosa di veramente odioso perché le venga assegnato un ruolo nuovo). 3. I GRUPPI 3.1 CHE COS’E’ UN GRUPPO? Uno dei meccanismi basilari attraverso cui il comportamento delle persone viene strutturato è la partecipazione ai gruppi. Per individuare i tratti salienti di un gruppo useremo un modello proposto da Merton. Secondo Merton, un gruppo è un insieme di individui che interagiscono secondo determinati modelli, provano sentimenti di appartenenza al gruppo, vengono considerati parte del gruppo dagli altri membri. La prima caratteristica fondamentale dei gruppi è dunque l’interazione strutturata da modelli. La seconda caratteristica fondamentale è il senso di appartenenza. Dai membri ci si aspettano profondi sentimenti di lealtà verso il gruppo. La terza caratteristica fondamentale è il riconoscimento reciproco dei suoi membri e dunque l’identità di gruppo agli occhi degli estranei. 3.2 GRUPPI PRIMARI E SECONDARI I gruppi si dividono in primario e secondario. Un gruppo primario è costituito da un piccolo numero di persone che interagiscono direttamente e intrattengono rapporti che coinvolgono numerosi aspetti della loro personalità. Sono di piccole dimensioni perché l’interazione diretta e immediata tra tutti i membri di un gruppo è difficile da ottenere in gruppi di grandi dimensioni. Tale espressione è stata coniata da Cooley Le caratteristiche dominanti di un gruppo primario sono: • Stretti legami personali; • Ruoli non specializzati; • Obiettivi indifferenziati. Esempi si gruppi primari sono una famiglia, una coppia di fidanzati, un gruppo di amici. Un gruppo secondario è costituito da persone che hanno scarsi vincoli emotivi e interagiscono per raggiungere obiettivi specifici: le persone sono più importanti per la funzione svolta che come individui. Esempio di gruppo secondario è un gruppo di lavoro. Poiché in un gruppo secondario i ruoli sono molto specializzati, i membri spesso si conoscono poco tra di loro e non sviluppano quei legami emotivi che ci sono tra amici o membri di una famiglia. 3.3 I GRUPPI PRIMARI NELLA SOCIETA’ CONTEMPORANEA È indubbio che i gruppi secondari siano dominanti nella società contemporanea, ma non per questo il gruppo primario ha perso importanza e anzi i sociologi ne hanno riscoperto l'influenza cruciale, soprattutto nella funzione di collegamento tra la persona e le dimensioni più formali e strutturate delle relazioni sociali. Vediamo ora gli studi fatti sui gruppi primari in vari contesti. • I gruppi primari nell'industria: verso la metà del secolo scorso alcuni scienziati sociali iniziarono a studiare un gruppo di lavoratori in un grande stabilimento per misurare la produttività dei lavoratori. I risultati sorpresero i ricercatori: qualsiasi variabile venisse modificata, il rendimento delle operaie cresceva. Si scoprì allora che le operaie prescelte per l’esperimento avevano finito per costituire un gruppo, sia perché si conoscevano meglio sia perché erano state scelte per la ricerca. Probabilmente era lo stesso fatto di essere oggetto della ricerca ad influenzarne il comportamento, e far sì che agissero in modo da soddisfare le attese dei ricercatori (questo è il c.d. effetto Hawthorne). 21 La conclusione dei ricercatori dopo queste e altre ricerche fu che i fattori umani svolgevano un ruolo importante nel lavoro. • I gruppi primari nelle catastrofi: alcuni studi hanno dimostrato che la prima reazione di molte persone, durante le catastrofi naturali (terremoti, incendi,) è quella di ricongiungersi con le proprie famiglie e, in alcuni casi, con i propri amici. Infatti in queste situazioni la sicurezza della famiglia o degli amici viene messa al primo posto. • Gruppi primari e controllo sociale: i gruppi primari, come visto, hanno un'importanza vitale nel tessuto sociale. Ad esempio i politici spesso usano i gruppi di piccole dimensioni per rafforzare il controllo sociale e mobilitare la popolazione, per cui si può dire che i gruppi primari non sono scomparsi alla nascita dei gruppi secondari, ma hanno acquisito un ruolo di rilievo nel funzionamento delle grandi organizzazioni. 4. PERCHE’ SI FORMANO I GRUPPI? Per l’uomo è fondamentale vivere in gruppo. Un gruppo assolve infatti varie funzioni: • Funzione strumentale: molti gruppi si formano per compiere un lavoro specifico. Questi gruppi strumentali sono necessari per svolgere compiti difficili o impossibili da eseguire per un individuo (es. un’equipe chirurgica, una squadra di calcio); • Funzione espressiva: l’obiettivo dei gruppi espressivi è quello di soddisfare il bisogno di accettazione, stima e indipendenza dei propri membri (es. gruppi di amici che si riuniscono per giocare). Non ci sono però dei confini delimitati tra gruppi strumentali e espressivi: ad esempio un gruppo strumentale come una squadra di calcio, nata con lo scopo di giocare, assume anche delle funzioni espressive, perché intrecciano dei rapporti affettivi tra loro; allo stesso tempo un gruppo di amici può anche avere un aspetto strumentale, perché si riuniscono per divertirsi. • Funzione di supporto: le persone si riuniscono in gruppi anche per dare sollievo a sentimenti negativi, perché un gruppo offre distrazione e rassicurazione. 5. LA STRUTTURA DEI GRUPPI 5.1 DIMENSIONE DEI GRUPPI Una diade è un gruppo composto da due soli membri (fidanzati, amici). Si tratta di un gruppo molto fragile, poiché può essere distrutto dall’allontanamento di un solo membro. A causa della sua fragile natura, la diade richiede più di ogni altro gruppo un’interazione stretta, regolare e positiva; al tempo stesso la diade può fornire più gratificazione emotiva di qualsiasi altro gruppo. L’aggiunta di un ulteriore membro dà vita ad una triade in cui, presto o tardi, due dei tre membri stabiliranno tra loro rapporti più stretti escludendo il terzo. Questo terzo membro può svolgere uno di questi tre ruoli: • Mediatore neutrale; • Opportunista, che approfitta degli altri; • Tattico, che divide e domina. È stato empiricamente provato che gruppi più ampi sono maggiormente produttivi delle diadi e delle triadi. I membri di questi gruppi tendono ad offrire più spunti e suggerimenti di quanto facciano i membri dei gruppi più piccoli; al loro interno sembra esserci meno consenso, ma anche meno tensione. È provato che i gruppi con un numero pari di componenti siano diversi da quelli con un numero dispari perché nel primo le divergenze sono più nette e sfociano spesso in situazioni di stallo. I gruppi di numero pari possono scindersi in fazioni di uguale numero, cosa che non è possibile per i gruppi di numero dispari. Secondo alcuni ricercatori il gruppo con cinque membri è particolarmente significativo in quanto si sottraggono al rischio di stallo, non sono soggetti alla fragilità ed alle tensioni tipiche delle diadi e delle triadi, offrono un certo supporto ai dissenzienti che non vengono isolati come avviene più facilmente in gruppi di maggiori dimensioni. 22 5.2 COMUNICAZIONE E POTERE NEI GRUPPI Via via che la dimensione di un gruppo aumenta, i suoi membri tendono a comunicare in misura minore tra loro e maggiore con il leader. In un gruppo con più di cinque elementi il leader tende a parlare al gruppo nel suo insieme, piuttosto che ai singoli membri. La comunicazione diviene sempre più centrata sul leader. Nei gruppi, sia grandi che piccoli, le trame del potere s'intrecciano strettamente con quella della comunicazione. Harold Leavitt ha constatato che alcuni modelli di comunicazione sono più efficaci di altri. Diede, quindi, a 5 gruppi di persone un elenco di simboli e ognuno doveva trovare i simboli comuni. Furono disposti in modo da rendere possibile 4 modelli di comunicazione: • la ruota • la ypsilon • la catena • il cerchio. La ruota, con un leader riconosciuto al centro, parve come il modo più efficiente di risolvere il problema, seguito nell'ordine dalla ypsilon, dalla catena e dal cerchio. Notò inoltre che i membri del gruppo collocati al centro della rete di comunicazione erano molto più soddisfatti di quelli che si trovavano ai margini, arrivando alla conclusione che le posizioni che limitano l'indipendenza di azione erano poco soddisfacenti. Ricerche successive hanno però indicato che il modello di comunicazione più efficiente varia a seconda del compito. 6. LE DINAMICHE DI GRUPPO In un gruppo esistono sequenze di eventi, dette dinamiche, che tendono a ripetersi. Sono dinamiche la pressione al conformismo, il rifiuto di gruppo, la distribuzione dei ruoli di leadership. 6.1 La pressione al conformismo Negli anni 40 Salomon Asch condusse una serie di esperimenti per studiare gli effetti del gruppo sui suoi membri. Precedenti ricerche avevano già dimostrato come l'individuo sia portato a cedere alle pressioni del gruppo, e Asch constatò che un terzo dei soggetti arrivò a cambiare il proprio giudizio – che era corretto – per adeguarsi alla maggioranza. In seguito si notò che quando una persona poteva contare su un appoggio anche minimo il potere del gruppo diminuiva notevolmente. Secondo questa ricerca basta una modesta maggioranza, di circa tre persone, per produrre una pressione al conformismo. Se un gruppo subisce molte pressioni o critiche dall'esterno può essere spinto a serrare i propri ranghi. Quando questo accade, il gruppo può sviluppare una visione del mondo che resiste alle idee e alle influenze esterne; questa tendenza è stata definita pensiero di gruppo. Ad esempio durante la guerra in Vietnam, molto criticata, i consiglieri militari statunitensi svilupparono una propria visione del conflitto per giustificarlo. 6. 2 Il rifiuto di gruppo Un eventuale rifiuto da parte del gruppo nei confronti di uno dei componenti provoca una diminuzione dell’autostima. Asch fece un esperimento su un gruppo di 6 persone che ha a disposizione 1 scialuppa di 5 persone per salvarsi; si deve quindi votare per decidere l’escluso. L’autostima dell’escluso calò, mentre quella degli accettati rimase invariata. 6.3 La distribuzione dei ruoli di leadership Nel 1955 Bales e Slater, in una classica serie di esperimenti, studiarono i comportamenti di numerosi piccoli gruppi di studenti, tutti di sesso maschile, che fingevano di essere un consiglio di amministrazione che doveva arrivare a una decisione. Man mano che le riunioni procedevano emerse un modello sorprendente: comparvero due specialisti. Il primo era un leader strumentale che si dava da fare per proporre soluzioni e orientare il gruppo; il secondo era un leader espressivo cioè la persona valutata più positivamente dagli altri membri. I ricercatori notarono che: • i due specialisti non coincidevano quasi mai nei vari gruppi; 25 • Funzioni delle regole. Le regole sono molto simili agli ordini, ma sono meno personali e dirette. Le regole consentono ai dirigenti di mettere in secondo piano la propria personalità personale. Le funzioni delle regole burocratiche sono: o comunicazione: indicano ciò che la direzione si aspetta dai dipendenti; o controllo a distanza: permettono ai dirigenti di controllare i comportamenti a tutti i livelli dell’organizzazione; o legittimazione della punizione: forniscono criteri astratti in base ai quali vengono valutati bassi rendimenti e infrazioni; o discrezionalità: sono uno strumento di negoziazione nelle mani dei dirigenti, che possono allentarle in cambio di cooperazione da parte dei dipendenti. 4. I LATI DEBOLI DELLE ORGANIZZAZIONI 4.1. INCERTEZZA Per determinare i possibili lati deboli di una organizzazione, Thompson ha elencato quattro possibili combinazioni di obiettivi e mezzi: • obiettivi certi e mezzi certi: in tal caso anche un computer può prendere le decisioni necessarie; • obiettivi certi e mezzi incerti: esiste un margine di incertezza. I dirigenti devono fare la propria scelta • obiettivi incerti e mezzi certi: la decisione finale rappresenta un compromesso; • obiettivi incerti e mezzi incerti: in tal caso è molto difficile prendere una decisione. La maggior parte delle organizzazioni ha obiettivi multipli e in qualche modo contrastanti (es un’università che deve offrire corsi di laurea, ma deve fare anche ricerche e servire la comunità). Un altro fattore che influisce sull’efficienza delle organizzazioni sono delle risorse - oggetti, materiali, simboli, persone – di cui essa dispone. Se un’organizzazione si occupa di risorse umane, per essa sarà più difficile fare previsioni sugli effetti delle loro iniziative, perché gli uomini sono meno prevedibili degli oggetti. 4.2. VULNERABILITA’ ALLE INFLUENZE AMBIENTALI Anche l’ambiente in cui operano le organizzazioni influenza la loro operatività. Le organizzazioni pubbliche, ad esempio, sono influenzate dall’ambiente legislativo. 4.3. COMPLESSITA’ Molti studi hanno dimostrato che più le organizzazioni diventano grandi, più diventano complesse. È tuttavia difficile dire se la crescita dimensionale sia la causa dell’aumento di complessità. C’è chi sostiene che, al contrario, più l’organizzazione diventa complessa, tanto più ha bisogno di personale e cresce di dimensioni. Altri fattori che influenzano la complessità sono il grado di sostituzione del lavoro umano con la tecnologia (più tecnologia meno complessità), l’ambiente (più è competitivo più aumenta la complessità), la quota di professionisti tra il personale (più professionisti meno complessità). 4.4. PATOLOGIA Una volta affermatasi la burocrazia vive di vita propria e, secondo Weber, questa è tra le organizzazioni sociali più difficili da distruggere. In questa tendenza molti ravvisano i sintomi di una patologia delle organizzazioni, una sorta di sclerosi per cui i burocrati si fossilizzano nell’esercizio dei loro compiti e nell’osservanza acritica dei regolamenti e delle regole. Il risultato può essere la mancanza di flessibilità e di innovazione, la lentezza e, infine, la stagnazione. La famosa legge di Parkinson ipotizza che il personale di un’organizzazione tenda ad aumentare quasi automaticamente, perché ogni funzionario desidera moltiplicare i propri subordinati. Il risultato è una burocrazia sempre crescente, devota ai propri scopi immaginari, con un vertice sempre più ipertrofico, che genera sempre più lavoro inutile e diventa sempre meno produttiva. 26 4.5. OBBEDIENZA CIECA La burocrazia con le sue regole e le sue strutture di potere è in grado di esercitare molta pressione sulle persone. Uno studio di Milgram dimostra come le persone detentrici di autorità nelle organizzazioni riescano ad ottenere obbedienza cieca. Nei suoi esperimenti una figura investita di autorità chiedeva da alcuni studenti di somministrare scosse elettriche sempre più dolorose a una vittima che non conoscevano. Il 65% dei soggetti, pur protestando, continuava fino a raggiungere la tensione più elevata: questo perché ritenevano che l'autorità del ricercatore rendesse responsabile lui e non loro. Probabilmente un fattore chiave che induce all'obbedienza cieca nella burocrazia è la spersonalizzazione dei rapporti umani. Scomponendo le attività in frammenti tanto piccoli, chiunque si sente lontano dagli effetti delle proprie azioni. La burocrazia, dunque, crea un contesto neutro in cui sono possibili le azioni più disumane. 4.6. CONFLITTO Anche il conflitto, come inefficienza e pressione al conformismo, è una costante nelle organizzazioni. I conflitti irrazionali derivano da problemi o da ostilità personali. Le persone con una personalità autoritaria fanno molta fatica ad accettare l’autorità di altri. Quando si trovano di fronte ad un superiore molto deciso e poco tollerante possono anche sottomettersi, ma covano rabbia e ostilità repressa. I conflitti razionali sono i conflitti radicati nell’organizzazione stessa e Katz ne ha individuati tre tipi: • Conflitti tra soggetti che competono direttamente. Conflitto tra persone che lavorano nel medesimo reparto e svolgono la medesima attività e competono per numero limitato di opportunità (es. di conflitto diretto è quello tra persone che lavorano nello stesso reparto); • Conflitti tra soggetti che competono indirettamente. Nascono da differenze di interessi, valori, norme, obiettivi (es. di conflitto indiretto è quello tra addetti alla ricerca e addetti alla produzione che, anche se competono per il prestigio nell’organizzazione, non sono impegnati in una lotta per ottenere la medesima ricompensa); • Conflitti interni alla gerarchia. Sorge tra soggetti collocati a livelli diversi della struttura di un’organizzazione. Gestione del conflitto: per gestire un conflitto è importante la valorizzazione dei rapporti umani, ma a volte non basta e bisogna ricorrere ad altre tecniche. Una è la cooptazione, che consiste nell'allargare il processo decisionale ad alcune delle parti insoddisfatte. Un altro strumento è la ristrutturazione organizzativa una tecnica che può comportare l’abolizione o la creazione di nuovi reparti, la ridefinizione dei rispettivi rapporti, spostamento delle persone coinvolte nel conflitto in reparti diversi. 4.7 DISUGUAGLIANZE TRA I MEMBRI Un'organizzazione riflette la società che la circonda, con le sue differenze di accesso al potere, al danaro e ad altre ricompense sociali. Quindi fattori come il colore della pelle, il genere, l'appartenenza etnica e così via influiscono sulla posizione che ciascuno assume tanto all'interno quanto all'esterno dell'organizzazione. Ad esempio negli Stati Uniti donne, neri, ispanici e altre minoranze tendono essere impiegati principalmente in lavori poco qualificati. Anche in Europa le donne che raggiungono i massimi livelli dirigenziali sono tuttora poche. 5. IL FUTURO DELLE ORGANIZZAZIONI La previsione di Weber si è rivelata giusta: la burocrazia si è diffusa nel sistema sovietico (che invece contestava le burocrazie capitaliste), in Cina e in altri paesi socialisti. Secondo Weber infatti la burocrazia genera altra burocrazia. Nel mondo moderno, sempre più complesso, continueremo a servirci delle burocrazie per gestirlo. Anche se l’uomo prova talvolta sentimenti ambivalenti nei confronti delle burocrazie, ne sarà sempre dipendente. 27 Capitolo 7 – DEVIANZA E CONTROLLO SOCIALE 1. CHE COS’È LA DEVIANZA? DEFINIZIONE DI DEVIANZA La devianza è uno degli argomenti più complessi e importanti della sociologia. Possiamo definire la devianza come un comportamento che si discosta dalle norme di un gruppo e a causa del quale l’individuo che lo mette in pratica può venire isolato o sottoposto a trattamenti curativi, punitivi o correttivi. Sulla base a questa definizione possiamo isolare tre componenti della devianza: l’individuo che si comporta in un certo modo; la norma che viene usata come elemento di paragone per stabilire se un comportamento è deviante o meno; un gruppo che reagisce al comportamento in questione. La devianza presenta alcune caratteristiche, che la rendono di difficile definizione: • Relatività. Se si prende come riferimento la fedeltà, un uomo politico che prende una tangente per versarle nelle casse del partito sta agendo per una giusta causa; se si fa però riferimento alla norma giuridica il suo comportamento è sicuramente da considerare deviante. Ciò dimostra la relatività della devianza a seconda delle norme o delle aspettative in base alle quali viene giudicata. È pertanto assolutamente possibile che un medesimo atto venga considerato allo stesso tempo deviante o meno (l’omicidio, in caso di guerra, non solo è giustificato ma è anche premiato). Inoltre, le stesse aspettative che definiscono un comportamento deviante, con il tempo possono cambiare (es. fumare è stato per lungo tempo un comportamento socialmente desiderabile). • Ambiguità. Un secondo problema nel definire la devianza è l’ambiguità delle aspettative che la riguardano. Attraversare la strada fuori dalle strisce pedonali è contro la legge, ma è così comune da essere accettato, almeno in certe condizioni. • Mancanza di consenso. Anche se le aspettative e le norme comportamentali sono ben definite, possono però non essere condivise. Ciò che per una persona è deviante per un’altra può essere la norma. Vi sono comunque alcuni comportamenti che sono considerai devianti in quasi tutte le società (es. l’incesto, il rapimento, lo stupro). Queste tre caratteristiche della devianza ci portano alla conclusione che un comportamento non può essere considerato sempre e cmq deviante per tutti, perché ci sarà sempre qualcuno che non lo considera come tale. 2. SPIEGAZIONI DELLA DEVIANZA Per spiegare la devianza sono state elaborate varie teorie, che danno spiegazioni biologiche, psicologiche o sociologiche ad essa. 2.1. SPIEGAZIONI BIOLOGICHE • Teoria del tipo criminale. Secondo Lombroso la devianza deriva da particolari tratti fisici. Infatti egli pensava che gli individui sono predisposti a determinati comportamenti in base alla propria configurazione biologica: il tipo criminale è il residuo di una fase evolutiva precedente e presenta tratti quali mascella inferiore prognata, barba rada, bassa sensibilità al dolore. • Teoria della struttura corporea. Secondo Sheldon la devianza deriva da una particolare struttura corporea. Egli notò infatti che determinati modelli di comportamento sono legati alla struttura corporea della persona. In particolare: o l’endomorfo, grassoccio e tondeggiante, tende ad essere socievole, accomodante e indulgente con sé stesso; o il mesomorfo, duro e spigoloso, tende ad essere irrequieto, energico e insensibile; o l’ectomorfo, sottile e fragile, tende ad essere introspettivo, sensibile e nervoso. Dopo aver studiato più di 200 ragazzi in un riformatorio, Sheldon concluse che i mesomorfi, pur non essendo sempre delinquenti, sono con maggiore probabilità individui devianti. 30 3. TIPI DI DEVIANZA Lo schema di Merton è probabilmente il più autorevole tra gli strumenti disponibili per classificare la devianza. Merton classifica i modi di adattamento individuale sulla base delle diverse combinazioni di accettazione e rifiuto delle mete culturali, dei mezzi istituzionalizzati o di entrambi. Modi di adattamento: • conformità: accettazione sia delle mete culturali che dei mezzi istituzionalizzati. Esso è considerato l'unico modo di adattamento non deviante • innovazione: accettazione delle mete culturali, ma il rifiuto dei mezzi istituzionalizzati; quindi per raggiungerle spesso usa mezzi illegittimi, come la criminalità. • ritualismo: rifiuto delle mete culturali, ma l'accettazione, a volte esagerate ossessiva, dei mezzi istituzionalizzati; • rinuncia: rifiuto sia delle mete culturali che dei mezzi istituzionalizzati. Esempi di rinuncia sono emarginati, vagabondi, ecc. • ribellione: rifiuto sia delle mete culturali che dei mezzi istituzionalizzati, ma che vengono sostituiti con nuove mete e nuovi mezzi. Lo schema è utile perché considera la conformità della devianza come due estremi di una medesima scala; inoltre chiarisce anche che la devianza non è il prodotto di un atteggiamento totalmente negativo, come spesso si crede (es. il ladro non rifiuta la meta culturale del successo economico, ma cerca di raggiungerla con lo stesso entusiasmo di un giovane in carriera, anche se con mezzi diversi). 4. LA DEVIANZA COME CARRIERA Si può prendere in considerazione la devianza e considerarla come una sorta di carriera che viene percorsa in varie fasi: 1) La formazione delle norme. Le regole sono spesso il prodotto di una sorta di crociata morale (es. il concetto di delinquenza minorile non esisteva prima del periodo dell’industrializzazione; poi, una volta emerso tale fenomeno, si fecero delle leggi per contrastarlo). 2) La natura delle norme. Le norme sono tutte diverse tra di loro, non tutte sono ugualmente rigorose e non tutte comportano lo stesso tipo di punizione. Alcune norme vengono fatte rispettare dai gruppi di appartenenza (famiglia, amici, azienda), altre da apposite istituzioni dello stato (tribunali, prigioni). Alcune norme sono specifiche (da un insegnante ci si aspetta che tenga una lezione), altre sono generiche (ci si aspetta che un professore pubblichi delle opere). Di solito la violazione di norme specifiche comporta sanzioni più definite. A seconda delle norme, un comportamento può essere obbligatorio, facoltativo o proibito. Le norme che richiedono un dato comportamento sono molto più problematiche da far rispettare di quelle che lo proibiscono. 3) L’estensione della devianza. La devianza è molto più estesa di quella che risulta dalle statistiche ufficiali. Comportamenti devianti come abuso di stupefacenti, evasione fiscale e furto spesso non vengono registrati dalla polizia e dai tribunali. 4) L’etichettamento. Gran parte del comportamento deviante non viene trattato come tale; ciò conferma quanto sostengono i teorici dell’etichettamento cioè che gran parte del comportamento deviante non viene trattato come tale e fanno notare, al contrario, che le persone possono essere arrestate e anche punite per azioni devianti che non hanno commesso. Ad esempio in una ricerca condotta sull'attività della polizia è stato osservato che, di fronte al medesimo tipo di comportamento illegale, gli agenti tendevano ad arrestare più spesso individui in cui il modo di vestire, di camminare o di agire li irritava. Di solito il passaggio dall’etichettamento di un comportamento a quello di una persona è il risultato di una elaborazione compiuta da un apparato burocratico (ospedale psichiatrico, tribunale). Spesso il processo di etichettamento avviene in tempi piuttosto lunghi e, a volte, avviene attraverso un 31 processo informale, come nel caso dello stereotipo del genio pazzo. I mezzi di comunicazione, pio, svolgono un ruolo assai rilevante nell’etichettare i devianti. 5) La stigmatizzazione. Uno stigma è quella caratteristica di una persona o di un gruppo che viene considerata un difetto e suscita tentativi di punire, isolare o in altro modo degradare i suoi portatori. Una volta definito un deviante, un individuo può subire punizioni che vanno dalla semplice dimostrazione di freddezza fino all’internamento in una struttura reclusiva. Altri tipi di stigma vengono applicati ai portatori di handicap fisici: i ciechi e i disabili, ad esempio, non sono puniti nel senso consueto del termine, ma molti li trattano in modo diverso dalle persone normali. Come reagisce una persona etichettata e trattata come deviante? Ciò dipende dalla misura in cui l’individuo accetta l’identità assegnatale. A volte gli individui continuano a negare di essere devianti, oppure neutralizzano l’etichettamento ammettendo di avere commesso il fatto ma giustificandolo in qualche modo. (es. un ladro arrestato per furto dice: è vero ho rubato, ma lo fanno tutti. Io sono stato solo sfortunato perché mi hanno beccato. Tale soggetto accetta la norma che proibisce il furto, ma neutralizza la propria azione). 6) La dimensione collettiva della devianza. Matza fa notare che gran parte del comportamento deviante è un comportamento collettivo. I singoli atti di devianza si integrano in un modello di comportamento adottato da numerose persone. Esso può svilupparsi fino a diventare una vera e propria subcultura deviante. Quando ciò accade, la subcultura deviante ricava le proprie norme dalla cultura complessiva in cui rientra, ma le capovolge; la condotta del deviante è appropriata secondo gli standard che regolano la subcultura, proprio perché è inappropriata secondo le norme della cultura complessiva. Quando la devianza diventa collettiva può cambiare l’atteggiamento della società nei suoi confronti: il comportamento che era considerato deviante può diventare semplicemente diverso via via che viene accettato. 5. IL CONTROLLO SOCIALE Il controllo sociale è il complesso di valori, norme e sanzioni di una società. Nello studio della devianza il controllo sociale indica lo sforzo per prevenire, punire o riportare nella norma i comportamenti devianti. Secondo Parsons esistono tre metodi di controllo sociale: • L’isolamento: ha lo scopo di tenere il deviante lontano dagli altri e non prevede alcun tipo di riabilitazione (es. il modo in cui vengono trattati in prigione i criminali più pericolosi); • L’allontanamento: limita i contatti del deviante, ma non lo isola completamente dalla società e gli consente di rientrarvi dopo un certo periodo di tempo (es. il ricovero temporaneo in un ospedale psichiatrico); • La riabilitazione: è un processo attraverso il quale molti devianti vengono aiutati a riassumere il proprio ruolo nella società. 5.1 IL CONTROLLO INFORMALE DELLA DEVIANZA A volte il controllo sociale della devianza viene effettuato in modo informale, ad esempio quando le persone vicine al trasgressore gli esprimono direttamente la loro disapprovazione. Crosbie ha elencato quattro tipi fondamentali di controllo informale: • le ricompense sociali (sorrisi, cenni di approvazione, avanzamenti di carriera) che mirano a incoraggiare e premiare la conformità • le censure (cenni di disapprovazione, minacce, critiche) che mirano a scoraggiare e a far cessare i comportamenti devianti; • la persuasione è un altro modo di riportare alla norma il deviante; • la ridefinizione delle norme è una forma di controllo sociale più complessa e determina che ciò in precedenza era considerato deviante non lo è più. 32 5.2 IL CONTROLLO FORMALE DELLA DEVIANZA Il controllo formale viene esercitato da organizzazioni la cui funzione è quella di far rispettare la conformità (polizia, tribunali, ospedali psichiatrici). Possiamo individuare tre fasi distinte e successive di trattamento della devianza: • La polizia: il primo passo nel processo di controllo formale consiste di solito in un incontro tra un agente di polizia la persona sospettata di aver violato la legge. La procedura penale vera e propria inizia con l'arresto, È ormai ben documentata l'influenza che sulle decisioni della polizia hanno l'età, l'etnia, la classe sociale, il genere e il comportamento di un sospettato. • I tribunali: lo stadio successivo all'arresto e l'immissione del sistema processuale. • Il sistema penitenziario: normalmente la pena per aver commesso un crimine consiste in un periodo di detenzione in carcere. Garabedian ha classificato i detenuti nelle seguenti categorie: o gli inquadrati: partecipano ai programmi di recupero, hanno molti contatti con il personale carcerario o i politici: hanno contatti anche con gli altri detenuti o tipi tosti: non partecipano a programmi e non hanno contatti con il personale o i fuorilegge: non partecipano programmi non hanno contatti con nessuno o gli indecisi: hanno atteggiamenti non costanti Conclusioni: la polizia, il tribunale, il sistema penitenziario sono accomunati da un’importante caratteristica: l’interazione tra devianti e addetti al controllo sociale. La devianza è infatti sempre un rapporto doppio senso, in cui sia deviante che gli agenti del controllo sociale interagiscono nel determinare l'esito del processo. 6. IL FUTURO DELLA DEVIANZA Finché ci sono regole, ci saranno alcuni individui che non le rispetteranno, È anche vero che col tempo si è assistito a un generale allentamento di molte regole, in particolare di quelle che governano il comportamento morale e privato. Ma allo stesso tempo vengono promosse sempre nuove crociate, che portano a creare nuove regole e di conseguenza nuovi tipi di devianza. Capitolo 8 – COMUNITÀ E VITA URBANA 1. CHE COS’È LA COMUNITÀ? Salvo alcune eccezioni, le comunità umane sono stanziali, vivono in abitazioni stabili, hanno una divisione del lavoro più sviluppata di quella animale e di conseguenza anche modelli di interdipendenze e comunicazione molto più complessi. Alla distinzione tra comunità animali e comunità umane può contribuire la nozione di capitale sociale. Il capitale sociale si può considerare come l'insieme delle relazioni sociali di cui un soggetto individuale o un soggetto collettivo dispone in un determinato momento. Attraverso il capitale di relazioni si rendono disponibili risorse cognitive, come le informazioni, o normative, come la fiducia, che permettono agli attori di realizzare obiettivi che non sarebbero altrimenti raggiungibili. Un determinato contesto territoriale risulta più o meno ricco di capitale sociale a seconda che i soggetti individuali o collettivi che vi risiedono siano coinvolti in reti di relazioni più o meno diffuse. Il capitale sociale ha le caratteristiche di un bene collettivo che appartiene all'insieme dei soggetti coinvolti nelle reti di relazioni. All'interno di una società la dotazione di capitale sociale può variare sensibilmente tra le diverse comunità locali. L'Italia, infatti, è da tempo al centro dell'attenzione per quanto riguarda gli studi di comunità che dimostrarono che in alcuni paesi poverissimi, dove non sono presenti una vita associativa ed iniziative tendenti a cambiare la situazione, era presente una sorta di familismo amorale, una sindrome culturale per cui l'individuo è disposto a cooperare solo in vista di un proprio tornaconto. 35 comportamento nei confronti degli altri diventa distaccato, brusco e impersonale, poiché il sovraccarico sensoriale crea angoscia e tensione nervosa. Ne risulta un aumento della sofferenza, ma anche una maggiore autonomia e libertà personali. • l'impatto sulla struttura sociale: i processi economici tendono a segmentare la vita urbana in piccole unità specializzate. Nelle città anche l'uso dello spazio è specializzato: quartieri residenziali, parchi, centri commerciali e così via. Diventa allora importante che i diversi ambiti dell'attività urbane non entrino in contatto tra loro con un processo di differenziazione. Dalla differenziazione derivano diversi cambiamenti profondi: si indeboliscono i legami sociali, numerose istituzioni entrano in concorrenza fra loro per sottrarre all'individuo tempo ed energie, un tempo riservato alla cura della propria famiglia. Queste pressioni incrociate finiscono per lasciare le persone più sole in un mondo impersonale. 5.2. TEORIA DELLA COMPOSIZIONE La teoria della composizione si oppone alla teoria della differenziazione. Secondo questa teoria l'individuo vive soprattutto all'interno di piccoli gruppi, intorno ai quali si costruiscono altrettanti “mondi” sociali. Questi mondi isolano le persone dell'ambiente urbano e resistono alla frammentazione della differenziazione. 5.3. TEORIA DELLA SUBCULTURA Le grandi città attraggono persone diverse e producono differenziazione, ma ospitano anche un numero di individui con interessi comuni sufficiente a costituire associazioni e altre organizzazioni capaci di creare un'identità di gruppo. I teorici della subcultura sostengono che un ambiente urbano tende a produrre il conflitto sociale che deriva dalla presenza di diverse subculture attive e vitali. 5.4. I PROBLEMI AMBIENTALI E FINANZIARI DELLA CITTÀ • Problemi ambientali o Congestione: l'espansione delle periferie ha creato nuove zone residenziali e commerciali e reso le città dipendenti dall'automobile. Nei contesti più antichi, come quelli europei, l'incapacità di sopportare un improvviso E massiccio aumento del traffico è sfociato nel caos e nella paralisi della circolazione. Le città americane, in una prima fase, si sono adattate meglio, ma poi lo sviluppo della rete stradale ha richiamato ulteriore traffico. o Consumi energetici: l'espansione suburbana è avvenuta durante un periodo in cui il costo del petrolio era basso e I pendolari potevano contare sul combustibile abbondante e a buon mercato per le proprie auto. È prevedibile che il costo dell'energia nei grandi agglomerati urbani sia destinato a restare un grave problema anche in futuro. o Inquinamento dell'aria: è provocato dalla concentrazione di automobili, abitazioni e industria nelle zone urbane. o Smaltimento dei rifiuti solidi: questo tipo di rifiuti sta rapidamente saturando le discariche disponibili. o Inquinamento acustico: nelle città ha raggiunto livelli allarmanti. • Problemi finanziari: le città hanno bisogno di maggiori risorse rispetto ad altre comunità: il contesto urbano storico costringe a spendere di più per conservare le strutture, la manutenzione della rete stradale, fognarie, idrica; i servizi sociali, assistenziali, educativi. Tutto comporta una crescente capacità di spesa, non sempre sostenute da risorse adeguate. 36 Capitolo 9 – DISUGUAGLIANZA, STRATIFICAZIONE E CLASSI SOCIALI La disuguaglianza è la condizione in cui si trovano individui che, rispetto ad altri, non godono delle stesse possibilità di accesso a ricompense sociali come denaro, potere, prestigio. La stratificazione è il risultato della trasmissione della disuguaglianza di generazione in generazione, con la conseguente formazione di veri e propri strati sociali. La classe sociale è un gruppo il cui accesso a ricchezza, potere e prestigio è diverso da quello degli altri gruppi; a volte, in base alla comune posizione sociale, i gruppi si trasformano in partiti politici. 1. LA DISUGAGLIANZA È UNIVERSALE? La disuguaglianza esiste in tutte le società, ma è maggiormente visibile in quelle più grandi e complesse. G. Lenki ha tentato di confrontare le società in base alle forme di disuguaglianza: • Nelle società di caccia e raccolta la disuguaglianza è minore. In queste società il lavoro è diviso quasi esclusivamente per età e per genere. • Nelle società orticole (tecnologia agricola primitiva) esiste un grado maggiore di disuguaglianza. Il surplus prodotto viene ripartito tra i membri del gruppo, spesso secondo le decisioni di un’unica persona che può privilegiare alcuni rispetto ad altri, contribuendo così ad una distribuzione disuguale della ricchezza. Se la società riesce regolarmente a produrre un surplus, non è più necessario che tutti partecipino alla coltivazione. I ruoli di leader politico, sacerdote, mercante diventano ruoli a tempo pieno. • Nelle società agricole si riscontra il più elevato livello di disuguaglianza sociale. In queste comunità si riscontra un incremento della produzione di cibo dovuto ad una cresciuta efficienza di coltivazione che permette anche la sussistenza di una comunità numerosa su un territorio limitato. Gli individui che ricoprono ruoli specializzati (sacerdoti, politici) si trovano in una posizione di vantaggio, il potere può arrivare a concentrarsi nelle mani di un capo spirituale o di un monarca ereditario. I funzionari politici hanno un potere maggiore perché controllano una più vasta gamma di attività. • Nelle società industriali la disuguaglianza è minore che in quelle agricole perché il potere è, per certi aspetti, meno concentrato in quanto, specie nelle società democratiche, gruppi come i partiti politici, i sindacati e altre associazioni possono competere per esercitare la propria influenza. Le disuguaglianze, soprattutto in termini di reddito, restano comunque molto marcate. Altra caratteristica della disuguaglianza è la resistenza al cambiamento (persistenza della disuguaglianza). Ad esempio negli Usa in 200 anni la distribuzione della ricchezza è rimasta invariata. È persistente anche perché tende a riprodursi in forme sempre nuove (nei tempi moderni, per esempio, è emersa la disuguaglianza chiamata divario digitale, cioè la disparità di accesso alle nuove tecnologie. Tale divario esiste sia tra i paesi sviluppati e quelli meno sviluppati, sia in una stessa società in base a reddito e istruzione). 2. LA NATURA DELLA DISUGUAGLIANZA Ecco le varie teorie sulla natura e le cause della disuguaglianza. 2.1. TEORIE FUNZIONALISTE I funzionalisti considerano la disuguaglianza come il prodotto di un processo sociale razionale; la più importante teoria funzionalista è quella di Durkheim, che spiega così la disuguaglianza: • Tutte le società considerano alcune finalità più importanti di altre. Tutte le funzioni sociali possono essere ordinate secondo una gerarchia, a seconda del valore che viene loro attribuito; • Tutti gli esseri umani hanno capacità individuali diverse. Affinché una società prosperi è necessario che gli individui più dotati svolgano le funzioni più importanti, e affinché ciò avvenga occorre loro offrire ricompense adeguate; • La religione svolge una funzione importante perché la società dipende da essa per la creazione di principi e valori comuni. Coloro che svolgono funzioni religiose tendono ad avere ricompense maggiori rispetto alle 37 persone comuni, non necessariamente sotto forma di ricchezza, ma piuttosto sotto forma di rispetto e considerazione; • La funzione di governo è altrettanto importante. Chi governa esercita il potere, che costituisce in sé ricompensa, oltre a consentire spesso anche l’acquisizione di ricchezza e prestigio sociale; • Anche la tecnologia ha una funzione importante. I tecnici con competenze specifiche ricoprono posizioni che richiedono un processo di apprendimento lungo e faticoso, incentivato con ricompense sociali maggiori di quelle riservate ad altre posizioni. 2.2. LE TEORIE DEL CONFLITTO I conflittualisti non concordano con la tesi funzionalista che la disuguaglianza è il modo naturale in cui la società assicura la propria sopravvivenza. Per i concettualisti il punto di vista dei funzionalisti è solo una giustificazione dello status quo. La disuguaglianza invece è dovuta al fatto che chi controlla le risorse sociali più importanti (ricchezza e potere) è generalmente in grado di conservare i propri privilegi. • Teorie delle classi di Marx: è un punto di riferimento per tutte le tesi conflittualiste. La storia umana può essere suddivisa in fasi caratterizzate da diversi modi di produzione (es. feudalesimo = agricoltura, capitalismo= produzione industriale). A seconda del modo di produzione in ogni società vi è una classe dominante che controlla i mezzi di produzione e, con essi, la vita di una classe subordinata (es. nel feudalesimo i proprietari terrieri – feudatari – dominavano i servi della gleba; nella società moderna la borghesia – proprietaria delle fabbriche – domina i lavoratori – proletariato che possiede solo la propria prole. Queste classi sociali possono essere divise al loro interno (nella borghesia, per esempio, i commercianti sono separati dagli industriali. Esiste anche un sottoproletariato - formato da criminali, alcolisti, mendicanti- che è al di fuori della società vera e propria. Per Marx il rapporto tra classe dominate e subordinata è fondato sullo sfruttamento, la cui forma è determinata dal modo di produzione. Nel capitalismo i mezzi di produzione assumono la forma di capitale (fabbriche, macchine, risorse finanziare). I detentori del capitale acquistano dagli operai la forza lavoro che trasforma le materie prime in merci. Dalle merci il capitalismo ricava profitto vendendole ad un prezzo superiore al costo di produzione. Questo profitto deriva dal plusvalore creato dal lavoro degli operai. Nel momento in cui gli operai capiscono che il valore da essi 􀈌aggiunto􀈌 al prodotto viene intascato dai capitalisti, si rendono conto di essere sfruttati e nasce il conflitto. Secondo Marx l’intensificarsi del conflitto avrebbe dovuto portare ad una rivoluzione su scala mondiale che avrebbe distrutto il capitalismo e portato all’avvento del socialismo. Ma ciò non si è avverato per vari motivi. • Michels: (legge ferrea dell’oligarchia􀈌 ha criticato l’idea che le relazioni economiche sono alla base del conflitto di classe. Sostiene che quando una organizzazione supera una certa dimensione si sviluppa al suo interno una oligarchia (governo di pochi). • Dahrendorf: il conflitto di classe non deriva dalle relazioni economiche, ma dalla distribuzione diseguale dell’autorità. L’autorità che un datore di lavoro ha sui propri dipendenti e i conflitti che ne derivano sono solo uno dei tanti esempi di questo fenomeno. 2.3. LA TEORIA DI WEBER Per Weber la disuguaglianza non dipende sola dalla dimensione economica, ma da 3 dimensioni. Nella dimensione economica il fattore determinante è la posizione di mercato. Gli individui possiedono capacità e credenziali professionali spendibili sul mercato del lavoro, che offrono loro accesso a redditi, condizioni occupazionali e opportunità di carriera simili. Le classi che si formano nella sfera economica sono dunque formate da soggetti che condividono la stessa posizione di mercato. Una seconda componente della diseguaglianza è data dallo status, fondato su differenze sociali relative alla diversa distribuzione di onore, stima o prestigio. Sulla base delle differenze di status si costituiscono i gruppi sociali che Weber definisce ceti. Secondo Weber il prestigio è importante almeno quanto la ricchezza e ne è in parte dipendente (ES un mafioso è molto ricco, ma non ha prestigio sociale; un proprietario di un cinema porno 40 Atteggiamenti nei confronti della povertà: i poveri non soffrono soltanto della mancanza di denaro, ma anche della stigmatizzazione, che induce tradizionalmente a considerarli poveri per colpa loro. Un numero sempre maggiore di persone cominciano a rendersi conto che fattori strutturali di tipo economico, tipo licenziamento e cassa integrazione sono importanti cause di povertà. Ovviamente i ricchi tendono ad accontentarsi del ragionamento è colpa loro. 5. L’ASPIRAZIONE ALL’UGLUAGLIANZA La povertà è un problema sociale particolarmente difficile da affrontare, che sembra resistere a tutti gli sforzi per combatterlo. L'uguaglianza, in particolare la parità di opportunità, è uno dei principi cardine su cui si reggono le società occidentali, ma anche se sarà possibile e necessario correggere alcuni tipi di disuguaglianza, la realizzazione dell'uguaglianza assoluta resterà un'utopia. Capitolo 10 – LA DISUGUAGLIANZA ETNICA 1. I CONCETTI FONDAMENTALI Un gruppo etnico è un segmento di una società più ampia, i cui membri sono considerati si considerano appartenenti a una cultura comune, e si impegnano in attività nelle quali tale cultura condivisa è il fattore principale. Allora: • il gruppo è considerato diverso a causa di luogo di origine, lingua, storia, religione, usanze; • per questo gli appartenenti al gruppo si considerano diversi dal resto della società; • essi prendono parte all'attività che traggono spunto proprio da comuni origini e caratteristiche. Un gruppo razziale può essere invece definito come un gruppo che si distingue per una combinazione di caratteri biologici ereditari. Gli studiosi però riconoscono che i gruppi razziali sono più un prodotto della percezione sociale che non un dato di fatto biologico. Fino a pochi decenni fa gli esseri umani venivano raggruppati in tre razze principali che si ritenevano basate su differenze biologiche. Questi sistemi di classificazione sono oggi considerati inattendibili e superati. Un'altra ragione di questa evidente impossibilità è data dal fatto che nel corso dei secoli i matrimoni misti hanno sbiadito le linee di demarcazione fisica tra le varie “razze”. 2. TIPI DI RELAZIONI ETNICHE Pur essendo il concetto di gruppo razziale un costrutto sociale, ciò non significa che questi gruppi non siano reali: il fatto di appartenere a uno specifico gruppo razziale o etnico influenza notevolmente le esperienze di una persona, per esempio nella distribuzione delle ricompense sociali come denaro, prestigio e potere, nella maggior parte delle società, uno o più gruppi etnici esercitano la supremazia sugli altri. 2.1. LE MINORANZE Una minoranza può essere definita come di persone che, a causa di caratteristiche fisiche o culturali, sono isolate dagli altri membri della società in cui vivono e vengono trattate in modo diverso e disuguale e, pertanto, si considerano oggetto di discriminazione collettiva (Wirth, 1945). Spesso le pratiche discriminatorie sono profondamente radicate nelle leggi formali come succedeva molti anni fa negli Stati del sud degli Stati Uniti in cui i neri non avevano diritto al voto (come succede in Italia adesso). Esistevano poi anche norme informali di discriminazione. I gruppi di minoranza sono spesso vittime di pregiudizi, cioè giudizi basati su stereotipi negativi: il pregiudizio è una forma di giudizio, mentre la discriminazione consiste nel trattare attivamente in modo disuguale persone o gruppi, uno degli effetti più comuni della discriminazione è che i membri del gruppo si identificano gli uni con gli altri, sviluppando forti sentimenti di fiducia all'interno del gruppo e di sospetto nei confronti della maggioranza. 41 2.2. IL RAZZISMO È la classificazione di altri gruppi come biologicamente inferiori e la loro discriminazione, oppressione violenta o sfruttamento, prevede spesso anche tracce di etnocentrismo da parte del gruppo dominante, il quale vede la propria cultura come pietra di paragone universale, e la conseguente classificazione degli altri gruppi come culturalmente inferiori. Robert Blauner (1972) ha avanzato una teoria dell'oppressione razzista basato sull'analogia con il colonialismo internazionale che ha definito colonialismo interno e che ha cinque possibili componenti: • trasferimento forzato nel paese dominante; • manipolazione culturale; • asservimento politico; • sfruttamento economico; • giustificazione ideologica degli aspetti precedenti; Sia colonialismo interno che quello internazionale implicano inevitabilmente una reazione conflittuale: le ex colonie europee hanno conquistato l'indipendenza, accompagnata ovunque da una esaltazione della cultura indigena. 2.3 ALTRI TIPI DI RELAZIONI ETNICHE (Yinger 1976) • Assimilazione: completo assorbimento delle minoranze da parte del gruppo dominante: può essere forzato o pacifico (Brasile). • Pluralismo: accettazione delle minoranze da parte del gruppo dominante (Svizzera). • Tutela: è una sorta di pluralismo “formalizzato” che assicura la salvaguardia giuridica delle minoranze (Stati Uniti). • Trasferimento: rimozione di una minoranza dalla società (Europa, medioevo; Stati Uniti). • Asservimento: riduzione di una minoranza in stato di completa subordinazione da parte del gruppo dominante (Sudafrica); • Genocidio: soppressione sistematica di una minoranza da parte del gruppo dominante (sterminio nazista). 3. LE CAUSE DELLE DISEGUAGLIANZE ETNICHE Nel tentativo di individuare le cause, i sociologi hanno tre diverse dimensioni della disuguaglianza: • i caratteri individuali • le relazioni sociali • i contesti economici 3.1. CARATTERI INDIVIDUALI Adorno conia l’espressione personalità autoritaria per descrivere un individuo fondamentalmente remissivo ma propenso al pregiudizio e all'ostilità. Secondo alcuni ricercatori le persone che nutrono forti pregiudizi sono di solito caratterizzato da un basso livello d'istruzione, ruoli professionali poco qualificati e condizioni economiche relativamente poco sicure. È questo genere di persone che a far parte di gruppi estremisti come il Ku Klux Klan (o come la Lega). 3.2. RELAZIONI SOCIALI Alcuni studiosi sostengono che la mancanza di relazioni sociali e alla distanza psicologica alimentando i pregiudizi. Secondo altri la disuguaglianza etnica tanto profondamente radicato nella società americana che la sua eliminazione sarà possibile soltanto attraverso trasformazioni profonde dei comportamenti istituzionali. Una volta istituzionalizzata, infatti, il razzismo vive di vita propria: le istituzioni riproducono dei modelli, anche se le persone che operano al loro interno non ne sono del tutto consapevoli. Secondo questa analisi per liberarsi del razzismo è necessario modificare radicalmente gli attuali modelli di relazione sociale. Solo un trattamento preferenziale nell'istruzione nel lavoro sarebbe in grado di portare l'uguaglianza etnica. 42 3.3. CONTESTI ECONOMICI Alcuni sociologi indicano nella distribuzione differenziale delle occupazioni, che in genere discrimina minoranze e immigrati, una causa rilevante della disuguaglianza etnica. Bisogna inoltre considerare la competizione tra gruppi di lavoratori in periodi di scarsa offerta di lavoro. Gli studiosi di orientamento marxista mettono in evidenza le forme di sfruttamento economico fondate sulla diversità etnica in qualsiasi sistema economico alla classe dominante deve avere a disposizione forza lavoro a buon mercato, e al tempo stesso, mezzi capaci di impedire ai lavoratori di coalizzarsi. Dal punto di vista della classe dominante, pertanto, mantenere gruppi etnici in competizione tra loro può servire a questo scopo. Capitolo 11 – GENERE E DISEGUAGLIANZA Ci si aspetta che gli uomini siano competitivi e le donne inclini alla cooperazione. Gli uomini possono essere impazienti, le donne devono avere una pazienza infinita. Gli uomini possono essere critici, le donne devono essere sempre accomodanti e premurose. Gli uomini possono correre avere e fretta, dalle donne ci si aspetta che abbiano sempre tempo per gli altri, per sedersi, chiacchierare, per tessere un'efficace rete di sostegno e di empatia. Dagli uomini ci possiamo attendere manifestazioni di rabbia, le donne non dovrebbero mai arrabbiarsi, o almeno non dovrebbero mai darlo a vedere. Si presume che gli uomini si concentrino sui simboli esteriori del successo, come il denaro, lo status, la carriera, mentre si suppone che le donne si sentano gratificate dalla consapevolezza di aver fatto un buon lavoro (Whittington 1982). Questi stereotipi sono duri a morire, ma si vanno dissolvendo via via che le donne partecipano più pienamente la vita economica. Però la società promuove la disuguaglianza tra uomini e donne: il maschio determinate competitivo ottiene i maggiori riconoscimenti, mentre le donne vengono premiate per la loro passività; di conseguenza, quando si emancipano e assumono posizioni di potere o di autorità, vengono censurate perché si comportano in modo “non femminile”. 1. LE BASI DELLA DIFFERENZIAZIONE SESSUALE Le differenze tra uomini e donne sono assai complesse. Alcune sono di tipo biologico e sono riassunte nel concetto di sesso; altre sono di tipo socio-culturale e sono ricomprese nel concetto di genere. I sociologi articolano le differenze tra uomini e donne in quattro componenti: • il sesso biologico: è la componente più semplice da definire e consiste nelle caratteristiche fisiche primarie e secondarie; • l'identità di genere: si riferisce alla percezione di sé stessi; • l'ideale di genere: consiste nelle aspettative culturali relative ai comportamenti maschili e femminili; • il ruolo di genere: deriva dalla divisione sessuale del lavoro, dei diritti e delle responsabilità. Una società generalmente funzione in base al presupposto che queste quattro componenti siano in armonia tra loro: viene dato per scontato che una femmina biologica si senta donna, che questo senso di identità corrisponda alla definizione ideale della cultura dà della femminilità e che ella assume un ruolo tradizionalmente associato al suo sesso. Nella realtà, però, questa supposizione non è sempre esatta. 1.1. IL SESSO BIOLOGICO La sola differenza inconfutabile tra maschi e femmine è costituita da una serie di caratteri biologici che appaiono verso il secondo mese di gravidanza. Intorno alla sesta-ottava settimana, il cromosoma Y fornirà le istruzioni per la formazione dei testicoli e se l'embrione programmato per diventare maschio; se è programmato per diventare femmina il cromosoma X, fornirà le istruzioni per la formazione delle ovaie. Testicoli e ovaie vengono definiti caratteri sessuali primari, In seguito gli embrioni cominciano a produrre ormoni diversi che all'epoca della pubertà determineranno l'insorgenza dei caratteri sessuali secondari. 45 o il suo valore come proprietà di scambio. Nelle società più avanzate le donne partecipano direttamente alla ricchezza, avendo accesso ad istruzione e lavoro extra-domestico. In questo modo acquisiscono possibilità di negoziazione all'interno di quelli che Collins definisce mercati sessuali personali. • La teoria neo-marxista Secondo alcuni autori la subordinazione femminile risale a un problema di struttura capitalistica. o La società garantisce il dominio maschile offrendo le donne salari inferiori a quelli degli uomini. o Un reddito basso e incoraggia le donne sposarsi; o La donna sposata lavora per il marito nell'ambito domestico. I servizi della “casalinga” costerebbero una fortuna sul mercato del lavoro. Le casalinghe non sono retribuite per queste mansioni e, come gli schiavi, lavorano per vitto, alloggio e vestiario. o La responsabilità delle faccende domestiche, che richiedono moltissimo tempo, scoraggia la ricerca di un impiego a tempo pieno, e sono in grado di garantire un reddito adeguato, In questo modo il cerchio si chiude. Barron e Norris sostengono che la subordinazione delle donne e il modo attraverso cui il capitalismo assicura la flessibilità del mercato. Il mercato è suddiviso in due settori: il settore primario in cui si trovano occupazioni stabili relativamente ben retribuite, settore secondario, che raggruppa occupazioni meno stabili e meno remunerate nel quale le donne sono la stragrande maggioranza. • La teoria neo-psicoanalitica N. Chodorow (1974): sia i bambini e le bambine si identificano con la madre, i bambini tuttavia, subiscono maggiori pressioni a sviluppare un'identità separata da quella della madre. Anche a livello di istruzione maschi e femmine vengono trattati in modi differenti e incoraggiati in diverse direzioni (pseudo-istruzione). 4. POSPETTIVE DI UGUAGLIANZA TRA I GENERI Occorrono numerose trasformazioni: • un cambiamento dei modelli di socializzazione che predispongono le donne ad accettare posizioni subordinate • un cambiamento di atteggiamenti comportamenti dei mariti-padri verso le responsabilità domestiche e i figli • una maggiore flessibilità nel campo dell'istruzione del lavoro per far fronte alle emergenze familiari • una maggiore disponibilità di servizi qualificati di cura dei bambini per le famiglie di tutte le classi • l'abrogazione di leggi normative che consentano discriminazioni dirette e indirette delle donne Capitolo 12 – ETÀ E DISUGUAGLIANZA 1. ETÀ E STRUTTURA SOCIALE Uno status di età è una posizione sociale assegnate in base all'età anagrafica e dunque uno status ascritto. Ogni società definisce dei ruoli di età. 1.1. ETÀ ANAGRAFICA E ASPETTATIVE SOCIALI L'assegnazione dei ruoli diversi a seconda dell'età avviene anzitutto su base biologica: i fattori biologici hanno un peso soprattutto all'inizio e alla fine del ciclo di vita. Dal punto di vista dei ruoli sociali e il deterioramento delle condizioni fisiche dovute all'età ha conseguenze inevitabili: i ruoli che richiedono forza o perfetto controllo motorio diventano impossibili da svolgere. 46 1.2. NORME SOCIALI RELATIVE ALL’ETÀ Le norme sociali che definiscono i comportamenti ritenuti adeguati alle diverse età sono: • Norme formali: l'età per votare, per guidare, per iniziare la scuola o per il pensionamento sono di solito stabilite per legge. • Norme informali: non vengono fissati chiari limiti di età per smettere di andare a scuola, sposarsi, avere figli o cominciare a lavorare, ma la società tende a offrire in proposito modelli abbastanza precisi. Si parla allora di “orologi sociali”. 2. LA STRATIFICAZIONE SOCIALE PER ETÀ 2.1. LE BASI SOCIALI DEL CICLO DI VITA A noi sembra del tutto naturale suddividere il ciclo di vita in diverse fasi distinte: infanzia, adolescenza, prima maturità, mezza età, vecchiaia. In realtà in passato l'età adulta cominciava molto precocemente senza alcun riconoscimento speciale del periodo che oggi chiamiamo adolescenza e non era divisa in fasi, ma durava fino a quando la persona non era più autosufficiente. Nelle prime fasi dell'industrializzazione erano numerosi i minori che lavoravano nelle fabbriche; successivamente leggi e regolamenti misero fine a questa pratica, si venne così a creare un intervallo tra l'infanzia e l'età d'ingresso pieno titolo nel mondo del lavoro; contemporaneamente si cominciò a temere che queste masse di giovani diventassero fonte di disordine sociale. Per questa ragione nacque l'istruzione superiore: l'adolescenza è dunque una costruzione sociale che risale particolare periodo storico, si dice anzi che l'adolescenza cominci nella biologia e finisca nella cultura. 2.2. I RITI DI PASSAGGIO Sono spesso pubblici e attraverso cerimonie sottolineano la transizione da una fase all'altra della vita. Servono a facilitare la socializzazione degli individui ai loro nuovi ruoli, forniscono una base d'identità personale e offrono agli altri un'occasione tangibile per mutare le proprie aspettative. Nella maggior parte dei paesi industriali occidentali, questi riti sono diventati sempre meno importante nel corso del tempo. La loro scomparsa può avere però effetti di vasta portata poiché hanno la funzione di creare, almeno temporaneamente, una certa solidarietà sociale ed hanno significato di alcuni cambiamenti della vita. 3. TEORIE DELL’INVECCHIAMENTO • Teoria del disimpegno (Cumming e Henry): le persone che invecchiano a quelle che le circondano passano attraverso un periodo di reciproco distacco, che consente all'anziano di adattarsi alle proprie diminuite capacità e alla prospettiva della morte. Questo allontanamento è necessario poiché le posizioni occupate dagli anziani ridevano un certo momento essere affidati individui più giovani e produttivi. • Teoria dell'attività: quando gli anziani devono rinunciare ai ruoli che svolgevano in precedenza, avverte un senso di perdita, si sentono esclusi, possono smarrire la propria identità personale. Una delle modalità più efficaci per contrastare questo processo consiste in un rinnovato impegno. Le persone emotivamente psicologicamente attiva trent'anni saranno probabilmente tali anche 70, mentre quelle depresse, timorose o rigide in gioventù tenderanno ad avere analoghi problemi nell'ultima fase della vita. • Teoria della subcultura: il moltiplicarsi di residenza per pensionati anziani, l'istituzione di servizi domiciliari, la concessione di facilitazioni e sconti hanno contribuito a creare una vera e propria subcultura dell'anziano: in questo modo si cerca di ovviare alla perdita dei ruoli precedenti, mantenendo il senso di appartenenza, evitando l'isolamento e conservando un buon livello di autostima. • Teoria delle risorse: i componenti di una famiglia che ne controllano le risorse le rifiutano ai giovani e agli anziani. Questa teoria minimizza la forza dei legami emotivi durevoli e gli obblighi che si creano tra genitori e figli per tutta la vita, in questa prospettiva la parte più anziana della popolazione uno strato svantaggiato, dal momento che con il pensionamento subisce la perdita dell'occupazione. 47 Nessuna teoria è esaustiva: gli anziani sono individui con storie, origini, personalità e stili di vita unici che si devono tener conto insieme alle cosiddette profezie che si auto avverano: una persona che va in pensione andrà probabilmente incontro a un periodo di angoscia e depressione. L'importante è comprendere che si tratta di un periodo di normale assestamento senza giudicare questa persona una fallita poiché questo potrebbe incidere sul modo in cui si percepisce. 4. I PROBLEMI DEGLI ANZIANI 4.1. DIPENDENZA E PERDITA DI RUOLO La vecchiaia porta con sé la dipendenza dagli altri e la rinuncia ai ruoli svolti precedentemente. Esistono ben poche ricompense collegate al ruolo di anziano per cui si pensa che gli individui vi si adattino solo con difficoltà. È evidente che coloro che intrattengono molte relazioni con amici vicini hanno un'esistenza più piena di coloro che contano soltanto sui rapporti strettamente familiare ed avranno un morale più elevato, meno ansioso e si sentiranno più rispettati. 4.2 PROBLEMI ECONOMICI E ISOLAMENTO La situazione economica degli anziani e alquanto problematica a causa di tensioni che sempre più difficilmente garantiscano il livello di vita goduto in precedenza. Il declino della famiglia estesa fa sì che rispetto al passato meno anziani vivono oggi con le proprie famiglie. Un isolamento che in parte volontario. Molti esperti ritengono che per gli anziani l'ideale sarebbe una comunità in cui apprezzare la compagnia di persone di tutte le età. Capitolo 13 – LA FAMIGLIA 1. VARIABILITÀ DELLE TRUTTURE FAMILIARI La famiglia è un insieme di due o più persone legate da vincoli di sangue, matrimonio o adozione, che formano una unità economica, sono responsabili della reciproca cura e spesso vivono insieme nel medesimo aggregato domestico. 2. CARATTERISTICHE STRUTTURALI DELLA FAMIGLIA Anche se a seconda dei luoghi e della cultura la famiglia può assumere tratti diversi, ci sono caratteristiche strutturali riscontrate nelle famiglie di un certo numero di società: forme di famiglia, forme di matrimonio, scelta del coniuge, modelli di residenza, discendenza ed eredità. 2.1 FORME DI FAMIGLIA Due sono le principali forme di famiglia: • Famiglia nucleare: composta dai genitori e dalla prole. Questo tipo di famiglia sembra naturale agli occidentali perché corrisponde al loro modello di famiglia ideale; • Famiglia estesa: composta dalla famiglia nucleare e da altri parenti biologici o acquisiti, come nonni, zii, nipoti, suoceri, cognati. Le società in cui le famiglie estese rappresentano la norma sono prevalentemente società patriarcali, cioè fondate sulla dominanza maschile. Nelle società matriarcali invece, l’autorità viene conferita alla moglie e alla madre (più rare). 2.2 FORME DI MATRIMONIO Le principali forme di matrimonio sono due: monogamia (matrimonio con un solo uomo con una sola donna) e poligamia (una persona con più partner). La poligamia a sua volta può assumere due forme: poliginia (un uomo con più donne) o poliandria (una donna con più uomini). Esiste infine il matrimonio di gruppo, cioè il matrimonio di più uomini con più donne. 50 Queste tendenze omogame sono tutt’ora forti nella società contemporanea, Italia compresa; altri tipi di omogamia invece, come l’omogamia nazionale, sono in declino: sono sempre più frequenti infatti i matrimoni tra persone di nazionalità diversa. 4.5. IL DIVORZIO Quando sorgono dei problemi durante la vita coniugale, causati da vari fattori, se questi sono molto gravi si può arrivare al divorzio. Il divorzio si è diffuso molto in Europa a partire dagli anni 60’; nei paesi scandinavi e anglosassoni i divorzi raggiungono il 50% su un campione di 100 matrimoni. In Italia la percentuale di divorzio è più bassa, sia per la lunghezza dell’iter burocratico (che comporta prima la separazione e poi il divorzio), sia per il fatto che tale istituto è stato introdotto solo negli anni 70’, sia per motivi culturali e religiosi. 4.6. TENSIONI NELLA VITA FAMILIARE La famiglia occidentale, come visto, ha subito molti cambiamenti nel corso degli anni, e non può certamente essere considerata una istituzione sociale stabile. • Famiglia a doppia carriera: in cui entrambi i coniugi hanno un’occupazione extradomestica. Questo tipo di famiglia è soggetto a quello che è stato definito conflitto da sovraccarico (tornare a casa e trovare il frigo vuoto, i bambini che strillano, ecc.); essi possono anche trovarsi a fronteggiare un conflitto di identità nel cercare di svolgere i loro diversi ruoli. • Rapporti tra genitori e figli. Nella nostra società i giovani sono in contrasto con i genitori su una serie di questioni, da quelle più banali a quelle più sostanziali. Si è riscontrato che gli adolescenti cresciuti nelle famiglie in cui i genitori avevano ruoli d’autorità simmetrici tendono ad adottarne i valori, ideali ed opinioni, mentre ciò non avviene nelle famiglie il cui potere è detenuto principalmente da un genitore. 4.7. LE FAMIGLIE CON UN SOLO GENITORE Le famiglie con un solo genitore sono sempre più frequenti nella società occidentale; infatti, se prima esistevano soprattutto per morte prematura di uno dei coniugi, oggi sono aumentate a causa dell’aumento di separazioni e divorzi. Sia che l’unico genitore sia l’uomo o la donna, i principali problemi che esse incontrano sono di carattere economico. Spesso l’unico genitore deve lavorare per portare avanti la famiglia, e ciò crea anche dei problemi con i figli, a cui manca la presenza costante di una figura genitoriale. Inoltre il genitore solo viene anche stigmatizzato in una società che dà gran valore al matrimonio. 4.8. LE FAMIGLIE RICOSTITUITE Un altro fenomeno in aumento è quello delle famiglie ricostituite, ovvero una famiglia che comprende un genitore, almeno un figlio nato da un precedente matrimonio, un nuovo coniuge ed eventualmente i suoi figli. Prima tali famiglie si costituivano quando un vedovo/a si risposava, oggi invece il fenomeno è in aumento perché sono i separati o i divorziati a risposarsi. 4.9. ALTERNATIVE ALLA FAMIGLIA TRADIZIONALE Varie alternative alla famiglia tradizionale sono sorte negli ultimi decenni, tra cui le famiglie di fatto (o convivenza more uxorio) e le comuni. Si ha una famiglia di fatto quando due persone vivono insieme sotto uno stesso tetto come sposi, senza essere sposati. Prima degli anni 60 erano pochissime, in quanto le famiglie di fatto erano considerate come un comportamento deviante. In seguito ciò è cambiato, a partire dai paesi scandinavi e anglosassoni, con la crescita delle convivenze giovanili prematrimoniali, e anche dei divorziati che decidono di convivere con una nuova persona senza risposarsi. Dal punto di vista giuridico, molti passi sono stati fatti per dare maggiore tutela anche alle famiglie di fatto; ad esempio i figli nati fuori dal matrimonio hanno una posizione sostanzialmente uguale a quella dei figli legittimi. Anche i conviventi hanno acquisito dei diritti, anche se la differenza con le coppie sposate è ancora notevole. Coppie di fatto possono essere costituite anche da omosessuali, che in alcuni paesi possono anche adottare o far 51 nascere (mediante fecondazione assistita) bambini. Queste coppie sono però più fragili di quelle normali, perché sono meno accettate da parenti e società. Per quanto riguarda le coppie di fatto costituite da giovani: queste coppie però hanno un’età media diversa nei vari paesi occidentali, e ciò dipende dall’età in cui i figli escono di casa. Un’altra alternativa alle famiglie tradizionali sono le comuni, ossia più persone decidono di vivere insieme. Le comuni sono un frutto della cultura hippy, e sono nate per contestare la famiglia tradizionale, considerata autoritaria, repressiva e maschilista. 4.10. POLITICHE PER LA FAMIGLIA Le politiche della famiglia indicano quel complesso di strumenti mirati a tutelare il benessere, la stabilità e il reddito delle famiglie. Sono fatte appunto per tutelare la famiglia che, nel contesto moderno, ha perso parte della sua passata importanza. Esempi di politiche per la famiglia sono le esenzioni fiscali per i figli a carico, sussidi alle famiglie numerose, ecc. 5. IL FUTURO DELLA FAMIGLIA OCCIDENTALE Le opinioni sul futuro della famiglia sono discordanti. Per alcuni, i cambiamenti sociali verificatisi degli ultimi due secoli, che hanno già cambiato la società, continueranno e ciò porterà alla scomparsa della famiglia; altri, invece, sostengono che nuove forme di famiglia nasceranno al posto di quella tradizionale. In realtà la famiglia è sempre stata un’istituzione flessibile e stabile allo stesso tempo. Col tempo cambierà ancora, forse perderà ancora di importanza, ma di certo non scomparirà. Sarà sempre fondamentale per la cura dei figli, per la riproduzione e per l’intimità degli adulti. Capitolo 14 - L’ISTRUZIONE 1. A COSA SERVE LA SCUOLA? Scuole e università hanno il compito di impartire nozioni e competenze, ma accanto a ciò svolgono anche un’importante funzione socializzatrice. L’istruzione è dunque il processo formale attraverso cui la società trasmette da una parte la conoscenza e capacità, dall’altra valori, norme e aspettative. 2. APPROCCIO FUNZIONALISTA Durkheim mise in rilievo il fatto che la funzione principale dell’istruzione è la trasmissione della cultura (es. nell’antica Atene venivano insegnate le arti, a Roma l’obiettivo era produrre leader militari e politici). L’istruzione serve però anche alla promozione del cambiamento, infatti molte delle tecnologie che trasformano continuamente il nostro modo di vivere nascono nei laboratori delle università. 2.1. L’ISTRUZIONE COME STRUMENTO DI CONTROLLO SOCIALE Altra funzione dell’istruzione è quella del controllo sociale. In quasi tutti paesi occidentali l’istruzione è obbligatoria e per la maggior parte della giornata il comportamento dei giovani è strutturato dalla scuola. La maggioranza degli allievi accetta la subordinazione all’autorità, i valori del successo e della competizione, e tutti gli altri modelli di comportamento trasmessi attraverso il funzionamento stesso del sistema scolastico. In questo modo l’istruzione – insieme alla religione, la famiglia e le leggi – fa parte delle istituzioni che contribuiscono al mantenimento della coesione sociale. 2.2. L’ISTRUZIONE COME STRUMENTO DI SELEZIONE La scuola è anche strumento di selezione in quanto, agendo come filtro, contribuisce a determinare il lavoro che gli studenti faranno da adulti. Questo presuppone che l’istruzione sia uno strumento di selezione meritocratica, per far sì che gli individui più capaci e motivati raggiungano le posizioni più elevate e gratificanti. Inoltre 52 presuppone che le scuole promuovano le pari opportunità. Infine presume che l’istruzione promuova la democrazia, contrastando il pregiudizio nei confronti delle minoranze. 2.3. L’ISTRUZIONE COME CAPITALE UMANO L’istruzione è un investimento in capitale umano e, come tutti gli investimenti, anche questo deve offrire un rendimento. Questa teoria spiega le differenze tra redditi degli adulti in base al tipo e alla quantità di investimenti che gli individui hanno fatto su sé stessi nel corso degli anni. 3. APPROCCIO CONFLITTUALISTA Non esiste un conflitto tra gruppi sociali in materia di istruzione, ma l’istruzione stessa può essere spiegata come manifestazione di tale conflitto. Mentre i funzionalisti tendono ad avare una visione positiva dell’istruzione, i conflittualisti tendono a considerarla in termini più negativi, come strumento di sfruttamento e oppressione di gruppi privilegiati in danno di gruppi svantaggiati. 3.1. ILLICH E LA DESCOLARIZZAZIONE Illich con il termine descolarizzazione intende dire che l’istruzione obbligatoria dovrebbe essere abolita e che ai datori di lavoro dovrebbe essere proibito chiedere ai potenziali dipendenti qualsiasi informazione sulla loro istruzione. In tal modo si spezzerebbe il legame che i funzionalisti vedono tra istruzione, inserimento nel lavoro e reddito. Il sistema di istruzione attuale non promuove lo sviluppo cognitivo, la razionalità e l’autonomia intellettuale, ma piuttosto presiede alla trasmissione di valori materialistici e conoscenze tecniche, rendendo gli studenti vittime di esperti e burocrati. Illich propone istituzioni “conviviali” che insegnino a chi le frequenta ciò che essi desiderino imparare, invece di proporre loro idee predeterminate. 3.2. L’ISTRUZIONE COME COMPETIZIONE PER LO STATUS Partendo dal presupposto che la laurea è anche un simbolo di prestigio e status, Collins sostiene che l’espansione del sistema educativo riflette non tanto la necessità di formare competenze specialistiche, quanto la competizione tra gruppi di status per ottenere ricchezza, potere e prestigio. I conflitti sulle qualifiche professionali sono dunque conflitti tra gruppi di status consolidati e gruppi subordinati che rivendicano l’accesso a privilegi di cui godono i primi. 3.3. LA TEORIA NEO-MARXISTA Un’altra teoria del conflitto è proposta da Bowles e Gintis che mettono in relazione il sistema educativo con la struttura di classe sostenendo l’impossibilità di analizzare l’uno indipendentemente dell’altra. Secondo questa teoria le scuole sono state istituite in promo luogo per generare e riprodurre le competenze di cui necessita la classe capitalista: la scuola elementare di massa insegna puntualità, obbedienza, ordine; l’università invece insegna autonomia di pensiero e indipendenza. Dunque l’istituzione scolastica serve soprattutto alla riproduzione delle diseguaglianze di classe. 4. La storia dell’istruzione moderna La diffusione dell’istruzione è un fenomeno degli ultimi due secoli. Il motivo per cui il processo è stato così lungo si spiega con riferimento ad alcune trasformazioni sociali. • Rivoluzione democratica: è stata la prima importante trasformazione sociale. Già nel corso della rivoluzione francese le classi non aristocratiche rivendicarono un proprio ruolo politico. Una delle risposte a queste rivendicazioni è stata l’espansione delle opportunità di istruzione. Quindi, in molti paesi, l’istruzione di massa è stata strettamente collegata alla conquista del suffragio universale. • Rivoluzione industriale: è il secondo evento importante nella storia dell’istruzione moderna, in quanto con lo sviluppo produttivo furono necessari sistemi di istruzione capaci di formare lavoratori specializzati in grado di svolgere mansioni sempre più complesse. 55 Sulla base di questi 4 parametri sono state classificate le religioni: il cristianesimo è una religione che si basa su ascetismo e dimensione oltremondana; l’ebraismo si basa invece su ascetismo e dimensione mondana; l’induismo si basa su misticismo e dimensione oltremondana, ecc… 3. ORGANIZZAZIONI RELIGIOSE Le religioni moderne sono in genere organizzate come chiese, sette, confessioni o culti. Secondo Troeltsch: • una chiesa è un’organizzazione religiosa che ha forti legami con la società più ampia e opera al suo interno (ha buoni rapporti con lo Stato e la società); • una setta è un’organizzazione che rifiuta la società più ampia e richiede la conversione ai propri precetti (es. testimoni Geova si estraniano dallo Stato e dalla società); • la confessione è una forma intermedia tra la chiesa e la setta. Mentre la chiesa può contare sull’adesione della maggioranza dei membri della società, le confessioni competono tra di loro per conquistare seguaci. Mentre le sette si collocano in una situazione di estraneazione rispetto allo stato, le confessioni intrattengono con esso buoni rapporti; • il culto è una forma estrema di setta, che esige una trasformazione radicale degli individui, della società o di entrambi. 4. RELIGIONE: APPROCCI FUNZIONALISTI E CONFLITTUALISTI 4.1. APPROCCI FUNZIONALISTI • Malinowski ha paragonato la religione alla magia; questa viene usata dagli individui quando non sono in grado di dominare completamente il loro ambiente, per evitare sciagure e predire il futuro. La religione ha alcuni punti in comune con la magia: molte di esse contengono elementi magici (es. Mosè che fa zampillare una sorgente d’acqua toccando una roccia con il suo bastone), ma, mentre la magia è un mezzo per raggiungere un fine (es. ottenere la buona sorte o dei vantaggi), la religione è fine a sé stessa, perché aiuta a comprendere il senso della vita e a dare significato agli eventi più dolorosi (ingiustizie, malattie, ecc.). • Freud ha identificato un’altra funzione della religione: proteggere gli individui dal timore infantile dell’impotenza. Cosi come i genitori difendono i bambini dalla paura, così gli adulti difendono sé stessi credendo in Dio. Per Freud le religioni sono illusioni sociali, che svaniscono quando gli individui si rendono conto che si basano solo su bisogni psicologici. • Secondo Durkheim la religione risponde, oltre che a funzioni psicologiche, anche a funzioni sociali. Egli afferma che è più facile credere in una religione, con le sue divinità e i suoi rituali, piuttosto che riconoscere il potere fondamentale esercitato dalla società sulla nostra vita. Come forma sostitutiva di tale potere, la religione riflette le strutture e le norme sociali. Non soltanto la religione riflette la società, ma la rafforza focalizzando l’attenzione e le speranze degli individui sui principali oggetti di culto condivisi. La religione può essere vista come una sorta di catena circolare, che ha nella società l’anello iniziale e finale. All’inizio della catena, la struttura sociale organizza l’esperienza individuale; gli individui cercano quindi fuori di sé una spiegazione di tale influenza; questa ricerca sfocia nelle credenze religiose che riflettono la struttura sociale; per manifestare tali credenze religiose vengono elaborati dei rituali che confermano la coesione del gruppo, esercitando un controllo sul comportamento dei membri e rafforzando la struttura sociale; si torna in questo modo all’anello iniziale. 4.2. APPROCCI CONFLITTUALISTI I funzionalisti non riescono a spiegare completamente il rapporto religione-società (es. le trasformazioni sociali provocate dalla religione o la religione come strumento di dominio sociale). Secondo i conflittualisti, invece, la religione serve a perpetuare la posizione dei gruppi sociali privilegiati a spese di quelli svantaggiati, offrendo a questi ultimi la speranza di una vita migliore in un altro mondo e distogliendoli così dai problemi della società terrena. 56 • Weber ha osservato che le classi superiori tendono ad adottare credenze religiose che giustificano i loro privilegi, mentre le classi inferiori tendono ad abbracciare religioni che privilegiano le ricompense future. • Marx invece concepisce la religione come strumento di dominio sociale. Come Freud, Marx considerava la religione un’illusione, un mito consolatore di fronte alle asprezze della vita. La religione non maschera paure ed ansie, ma l’ingiustizia e lo sfruttamento del sistema di classe; inoltre essa predica la deferenza e l’umiltà per distogliere i lavoratori dalla comprensione del sistema economico che è alla base delle loro condizioni di sofferenza (quindi la religione è l’oppio dei popoli). Per i conflittualisti i movimenti religiosi sono strettamente collegati ai conflitti politici (per esempio i culti che si opponevano al dominio coloniale); considerano inoltre la religione come una potente forza di trasformazione sociale. 5. TENDENZE RELIGIOSE DELL’EPOCA MODERNA 5.1. SECOLARIZZAZIONE La secolarizzazione è il processo attraverso il quale le credenze, le pratiche e le istituzioni religiose perdono la propria influenza sulla società. A questo declino della religione hanno contribuito: • il progresso scientifico (la scienza di oggi ci porta a non accettare ciò che non è dimostrabile); • l’affermazione dello stato-nazione (che si occupa dei bisogni terreni dei cittadini, e non della loro salvezza); • la diffusione del capitalismo (che ha portato all’affermazione di valori materialistici come successo e ricchezza); • i compromessi religiosi che hanno portato a un depotenziamento dei riti religiosi (es non si insegna alcuna religione a scuola); • la perdita del senso di comunità (la mobilità sociale e l’urbanizzazione hanno messo in crisi i legami di appartenenza alle comunità, tra cui quelle religiose). La tesi della secolarizzazione è stata criticata da più parti: per alcuni è una semplice ideologia antireligiosa, fatta per contestare la religione; per altri la secolarizzazione ignora i mutamenti religiosi verificatisi nella storia recente. 5.2. L’ECUMENISMO Uno dei modi in cui le chiese hanno reagito alla secolarizzazione è l’ecumenismo, cioè la tendenza di religioni diverse ad avvicinarsi per comprendersi e collaborare. Un esempio di ecumenismo ci è dato dal dialogo, sempre più frequente oggi, instauratosi tra le varie confessioni cristiane (cattolicesimo, protestantesimo) ma anche tra le principali religioni mondiali (cattolicesimo, islamismo, ebraismo). 5.3. NUOVI MOVIMENTI RELIGIOSI Negli ultimi decenni sono sorti nuovi movimenti religiosi, che insistono sulla fede personale e sulla propria esperienza anziché sui dogmi. Molti di essi sono finalizzati ad avere un rapporto diretto con il divino. Di solito aderiscono a tali movimenti persone giovani e di cultura medio-alta, che sono alla ricerca di stabilità in un mondo incerto. Per questo tali movimenti sono considerati un adattamento alla società moderna. Un esempio di nuovo movimento è New Age, che mescola misticismo, occulto e psicoterapia, e si basa sull’idea di perseguire il destino cosmico dell’uomo attraverso il misticismo. 5.4. I FONDAMENTALISMI Negli ultimi anni sono aumentati i movimenti fondamentalisti di tutte le grandi religioni. Tali movimenti vogliono un ritorno alla purezza originaria della propria religione; per questo difendono l’ortodossia (la retta fede) l’ortoprassi (il retto comportamento) e i valori tradizionali della religione, sempre più a rischio nel mondo moderno. Per ottenere ciò, spesso sono disposti a sviluppare nuovi metodi per combattere le forze dell’erosione dei valori. 57 Capitolo 16 – ECONOMIA E SOCIETA’ 1. TIPI DI SISTEMA ECONOMICO La nostra società si basa sull'economia di mercato, ossia sulla compravendita di beni e servizi sulla base di un prezzo in denaro. Esistono centinaia di sistemi economici, ma i tre principali tipi di sistemi economici sono il capitalismo, il socialismo e il comunismo. 1.1. CAPITALISMO Il capitalismo è un sistema economico che riconosce il diritto alla proprietà privata e al suo investimento sotto forma di capitale in imprese produttive concorrenti con altre imprese attive sul mercato. In questo sistema la libera concorrenza è considerata un valore e una condizione fondamentale. Figura centrale del capitalismo è l’imprenditore: reperisce un capitale e lo investe in un’impresa con l’intento di recuperare quanto investito con l’aggiunta di un profitto, consapevole che ciò comporta un certo margine di rischio. Il capitalismo emerso nel corso della rivoluzione industriale implicava una certa neutralità dello Stato nell’ economia: in tale contesto lo Stato doveva solo controllare contratti e proprietà privata. Tuttavia l’intenso sfruttamento della manodopera che provocò tensioni sociali e la progressiva democratizzazione degli Stati occidentali mutò tale situazione. Poco alla volta il capitalismo mutò e incominciò ad essere strettamente regolato dallo Stato (soprattutto nel 20s). Il reddito incominciò ad essere redistribuito attraverso il fisco i programmi di welfare (stato sociale, cioè sistema previdenziale, sanitario, disoccupazione). Inoltre il potere politico combatté i monopoli economici e favorì la concorrenza tra imprese. Il controllo dell’economia da parte dello Stato fu attuato, dal secondo dopo guerra, seguendo le teorie di Keynes (keynesismo), secondo il quale i governi dovevano regolare i cicli economici e sostenere la domanda aggregata (richiesta complessiva di beni e servizi). Infatti se la domanda era bassa, calavano produzione e occupazione (circolo vizioso); stimolando invece la domanda attraverso cali delle tasse e l’incremento della spesa pubblica aumentava la stessa domanda, la produzione e l’occupazione (circolo virtuoso). Le teorie di Keynes entrarono in crisi negli anni 70 con lo shock petrolifero e la conseguente stagflazione (stagnazione produzione accompagnata da un’elevata inflazione), che incrementarono i deficit pubblici (che erano la conseguenza del sostegno statale all’economia). Il keynesismo fu quindi sostituto da un neoliberismo basato su privatizzazione statale e deregulation. 1.2. SOCIALISMO Il socialismo non è un’ideologia ben definita, né i governi socialisti hanno tutti lo stesso programma politico. Può spaziare da misure limitate come la gestione pubblica dei servizi fondamentali ad un controllo esteso dello Stato sull’attività economica mediante la programmazione. All’origine del socialismo di possono trovare due filoni di pensiero: quello di Marx, che sviluppò la dottrina rivoluzionaria, basata sulla lotta di classe; mentre R. Owen elaborò una visione più utopistica, ossia organizzazione della vita sociale basata sulle piccole unità cooperative. Il movimento socialista sorto in seguito alla rivoluzione industriale si divise fra approccio gradualista (in GB), che fu alla base delle politiche laburiste e socialdemocratiche moderne, e rivoluzione violenta (Russia 1917). 1.3. COMUNISMO L’ideale politico del comunista è un sistema economico, politico e sociale basato su: • Proprietà collettiva • Struttura sociale senza classi • Assenza di sfruttamento • Abolizione di gerarchie fra lavoro manuale e intellettuale Le differenze con capitalismo e socialismo sono: il controllo politico è esercitato tramite un partito unico, in economia si ha una programmazione a lunga scadenza ed i prezzi sono decisi dal potere politico (ignorando la 60 Capitolo 17 – IL SISTEMA POLITICO 1. DEFINIZIONI FONDAMENTALI Definizione dei concetti fondamentali: • POTERE. Il potere è un concetto fondamentale della politica. Per Weber il potere è la capacità di far valere sugli altri la propria volontà, in una relazione sociale. Questa definizione implica un rapporto tra due individui, in cui uno esercita il potere sull’altra. Per Parsons il potere è la capacità di una società di mobilitare le proprie risorse in vista di determinarti obiettivi. Tale definizione definisce invece il potere nel contesto di gruppi più grandi (es nella società). • FORZA. La forza è l’uso della coercizione fisica per imporre ad altri la propria volontà. È un concetto più ristretto rispetto al potere, che può essere esercitato anche senza l’uso la forza. • AUTORITA’. Anche il concetto di autorità è più ristretto rispetto a quello di potere. Per Weber l’autorità è la possibilità di trovare obbedienza, presso certe persone, ad un comando che abbia un determinato contenuto. E’ una forma di potere istituzionalizzato, perché si utilizza in situazioni formali, e legittimato, perché viene esercitato non per esigenze personali, ma per le esigenze dell’organizzazione. L’autorità può essere: o Carismatica: cioè fondata sulla devozione e la fedeltà che si ha per una persona dalle qualità superiori (es Cristo, Ghandi, ecc.); o Tradizionale: fondata su consuetudini e costumi (es. un re e i suoi sudditi o la suocera e la nuora); o razionale-legale: fondata su regole formali ritenute corrette e necessarie per il funzionamento di un’organizzazione (es le regole della PA). Le differenze tra i tre tipi di autorità possono essere viste attraverso tre domande: a chi si deve l’obbedienza? Com’è strutturato l’ordine politico? A quali risorse economiche attinge l’ordine politico? a) a chi o che cosa si deve obbedienza? o obbedienza personale incondizionata in caso di autorità carismatica o obbedienza personale condizionata in un sistema tradizionale o obbedienza impersonale in un sistema razionale-legale b) come è strutturato l’ordine politico? o autorità carismatica -> l’ordine politico è arbitrario o autorità tradizionale -> ordine politico ereditario o autorità razionale -> legale ordine politico burocratico c) a quali risorse economiche attinge all'ordine politico o modello carismatico: trascurabili le questioni economiche, affidamento su risorse ad hoc o modello tradizionale: risorse controllate politicamente o modello razionale-legale funzionare con stipendio fisso. 2. TEORIE DEI SISTEMI POLITICI Lo stato è quella struttura che ha il potere di allocare le risorse e i servizi del sistema sociale. I teorici del conflitto e quelli funzionalisti offrono due diverse interpretazioni del modo in cui lo Stato si serve del potere. • Marx e la teoria del conflitto: Per Marx è il modo di produzione a determinare la distribuzione del potere in una società: chi possiede i mezzi di produzione ha anche il potere, che viene usato da essi per promuovere e proteggere i propri interessi di classe. Il potere politico riflette la divisione di classe tra capitalisti e lavoratori: i primi hanno il potere e quindi influenzano il sistema politico per tutelare i propri interessi, mentre i secondi, anche se hanno diritto di voto, non hanno i mezzi necessari per influenzare l’esercizio del potere. • Parsons e la teoria funzionalista: Per Parsons il potere politico viene usato per conto di tutta la società, da cui tutti traggono dei benefici comuni. Egli vede nel sistema politico un processo cooperativo per la mobilitazione delle risorse, e lo considera come uno strumento di civilizzazione. 61 2.1. DIFFERENZE MARX – PARSONS Marx sostiene che l’ordine politico reprime la natura umana, mentre per Parsons è uno strumento di civilizzazione; per Marx il sistema politico è uno strumento per tutelare gli interessi di parte, per P. uno strumento che assicura benefici comuni. 3. TIPI DI REGIME POLITICO 3.1. REGIMI TOTALITARI In un regime totalitario i detentori del potere mirano a un controllo assoluto sulla società. Non tutti i regimi totalitari sono uguali, ma presentano alcuni tratti caratteristici: • Uso su vasta scala dell’ideologia, che definisce obiettivi comportamenti e nemici della società controllata; • Partito unico, che controlla lo stato e detiene il potere assoluto; • ricorso al terrore verso il popolo (mediante torture, ecc.) per mantenere il controllo sulla popolazione; • controllo mezzi comunicazione, per evitare ogni tipo di protesta; • controllo delle armi; • controllo dell’economia, che viene attuato attraverso dei piani economici centralizzati, che programmano e controllano lo sviluppo di ogni settore dell’economia, a volte abolendo la proprietà privata. Con questi strumenti i regimi totalitari cercano di assicurarsi la fiducia del popolo, il controllo totale della società e dell’economia e l’abolizione di ogni tipo di opposizione. 3.2. REGIMI AUTORITARI Il regime autoritario presenta delle differenze con il regime totalitario: i regimi autoritari sono parzialmente pluralisti, mentre i regimi totalitari sono monisti; i regimi autoritari sono basati su una particolare mentalità (insieme di credenze a volte ambigue), che è soggetta ad interpretazione, mentre i regimi totalitari sono fondati su un’ideologia rigida; nei regimi autoritari la leadership esercita un potere relativamente prevedibile, nei regimi totalitari si esercita un potere completamente arbitrario. 3.3. EGIMI DEMOCRATICI Democrazia significa governo del popolo, ma poiché è impossibile che sia il popolo a governare direttamente, la democrazia moderna è rappresentativa, cioè il popolo delega il proprio potere a un gruppo di persone da loro eletti, che lo esercitano per un dato tempo. Le democrazie moderne presentano dei tratti comuni: • Individualismo (la persona è centrale nella democrazia, ognuna con gli stessi diritti e doveri); • Governo Costituzionale (cioè ogni democrazia si basa su un corpo di leggi, scritte o non, che stanno al di sopra dell’individuo e che definiscono i poteri del governo); • Consenso dei governanti (periodicamente i governanti devono essere scelti dai cittadini elettori); • Confronto politico (esistono due o più partiti che si alternano al governo e che si confrontano in un contesto di lealtà e legalità). 4. PROCESSI POLITICI 4.1. SOCIALIZZAZIONE POLITICA La socializzazione politica è il processo attraverso il quale un individuo acquisisce opinioni ed atteggiamenti politici. A 9 -10 anni il bambino ha una concezione buonista del governo, che crede agisca sempre per il bene del popolo. Crescendo, invece, acquisisce maggiore conoscenza della politica, esercita la propria capacità critica, e si orienta verso una data corrente politica (di solito è quella dei genitori). I principali agenti della socializzazione politica sono innanzitutto la famiglia (se la famiglia è interessata alla vita politica, anche i figli probabilmente lo saranno), ma anche scuola e gruppo dei pari. 4.2. PARTECIPAZIONE POLITICA La partecipazione alla vita politica si esplica innanzitutto nella partecipazione al voto, ma anche nella militanza in 62 associazioni, gruppi, sindacati, nella partecipazione a scioperi e manifestazioni, o semplicemente tenendosi informati sulle vicende politiche. Il grado di partecipazione dipende molto dallo status economico e dall’istruzione, mentre per quanto riguarda il genere, le donne ormai partecipano alle elezioni in misura pari o superiore agli uomini. 5. ATTORI POLITICI 5.1. PARTITI POLITICI Il partito politico è uno dei principali canali attraverso cui si esercita l’influenza politica. Nel corso del tempo i partiti hanno subito molte trasformazioni: • fine 800: da partito di notabili (composta da membri della borghesia che partecipano saltuariamente all’attività politica) a partito di massa (composto da politici di professione appoggiati dai lavoratori). Tale passaggio accadde perché c’era l’esigenza di integrare nei partiti la classe operaia industriale. • anni ’50: partito pigliatutto, che nacque a causa dell’indebolimento delle appartenenze religiose e di classe che avevano caratterizzato il partito di massa. È così detto perché i dirigenti cercano sostenitori in tutti gli strati della popolazione, per espandere al massimo il seguito elettorale. Esso quindi non rappresenta più una classe sociale in particolare, c’è un indebolimento dell’ideologia. • anni ’70: cartel party, è un partito saldamente legato allo Stato, poiché la sua sopravvivenza dipende dai finanziamenti pubblici più che dai contributi degli associati; c’è infatti un allentamento dei rapporti con la base sociale. 5.2. GRUPPI DI PRESSIONE (o lobbie) Sono gruppi sociali che svolgono attività di lobbying attraverso forme convenzionali o forme di pressione più forte (corruzione, scioperi ecc.) allo scopo di influenzare il governo e tutelare i propri interessi. 6. ECONOMIA POLITICA 6.1. SVILUPPO ECONOMICO, STABILITA’ E DEMOCRAZIA Ai sociologi è sempre interessato il rapporto tra sviluppo economico, stabilità e democrazia. Lipset sostiene che un alto livello di sviluppo economico incoraggia democrazia e stabilità. Infatti possiamo notare come i paesi economicamente più avanzati avevano una democrazia stabile, a differenza dei paesi più poveri, in cui non c’era stabilità politica e neanche democrazia. Il difetto dello studio di Lipset e che non separa democrazia e stabilità: un governo può essere stabile anche se non è democratico. Lipset poi notò che la democrazia è più stabile quanto minore è il gruppo di poveri del paese. 6.2. IL DIBATTITO TRA ELITISTI E PLURALISTI I sociologi si sono divisi sulla questione di chi effettivamente governi una democrazia: gli elitisti sostengono che in democrazia il potere è nelle mani di un’élite, per i pluralisti è invece nelle mani di molteplici gruppi concorrenti. Per l’elitista Mills in Usa il potere è concentrato nelle mani di una cerchia sociale ristretta, un’élite del potere composta da circoli politici, economici e militari che prendeva le decisioni sull’andamento del paese. Per il pluralista Riesman, invece, il potere è frammentato in molti gruppi concorrenti, che esercitano il cd potere di veto per tutelare i propri interessi e bloccare l’iniziativa politica di altri gruppi. Ciò comporta una mancanza di un gruppo più forte di un altro, e quindi una discontinuità nell’esercizio del potere. Sia Mills che Riesman propongono quindi una visione molto pessimistica della democrazia, che non viene considerato da loro il governo di tutti, in cui tutti possono partecipare alla vita politica. Tale visione pessimistica della democrazia è stata ripresa da Colin Crouch, che ha sviluppato la tesi della postdemocrazia, ossia un sistema politico regolato da norme democratiche, in cui acquistano un ruolo decisivo le burocrazie, i tecnocrati, gli organi intergovernativi, le lobby, le imprese economiche e i media, mentre le occasioni di partecipazione alla vita politica per i cittadini vengono progressivamente ridotte. 65 Capitolo 19 – COMPORTAMENTO COLLETTIVO E MOVIMENTI SOCIALI 1. IL COMPORTAMENTO COLLETTIVO Il comportamento collettivo è un comportamento relativamente spontaneo e non strutturato di un gruppo di individui che reagiscono ad una situazione di incertezza o di minaccia. Il comportamento collettivo può avere per protagonista la folla o la massa. • Folla: numero relativamente grande di persone che si trovano in una situazione di compresenza (es. disordini di dimostranti); • Massa: numero relativamente grande di persone che condividono un oggetto di attenzione, ma non si trovano in una situazione di compresenza (panico che si diffuse per il crollo della borsa 1929). Nel comportamento collettivo possono essere individuati tre tipi di emozioni fondamentali: paura, ostilità, gioia. 1.2. DINAMICHE DELLA FOLLA I sociologi distinguono vari tipi di comportamento della folla. Il processo attraverso il quale individui provenienti da luoghi diversi arrivano a costituire una folla prende il nome di assembramento. Dopo l’assembramento nella folla c’è la comunicazione fra gli individui che la compongono attraverso una voce o diceria, cioè una notizia che viene considerata meritevole di credito anche se non è confermata da nessune fonte ufficiale. Infine si riscontra la convenzionalità, ovvero l’aspettativa di un certo comportamento della folla (es. che il pubblico esulti ad un gol). 1.3. TEORIE DEL COMPORTAMENTO COLLETTIVO I sociologi hanno cercato di interpretare le cause del comportamento collettivo. • Teoria del contagio: Le Bon sostiene che nella folla le persone subiscono una radicale trasformazione che le porta a fare cose che mai farebbero da soli. Ciò avviene perchè si crea una vera e propria anima collettiva. Quindi nelle folle si sviluppano e si trasmettono per suggestione emozioni e comportamenti irrazionali. Per le Bon le caratteristiche principali del comportamento di una folla sono: o il senso di anonimato, che dà all’individuo una sensazione di potere; o gli individui sono vittime della suggestione, e quindi accettano gli ordini dei leader; o le emozioni si trasmettono tra le persone come il contagio di un virus. • Teoria della convergenza: secondo cui una situazione di folla non produce di per sé un comportamento insolito, ma attrae determinati tipi di persone che finiscono per avere dei comportamenti a cui erano naturalmente predisposti. Quindi, secondo tale teoria, non tutti si comporteranno allo stesso modo in una situazione di folla, perché non tutti sono portati a un certo tipo di comportamento. • Teoria della norma emergente: il comportamento collettivo è dettato da norme che emergono progressivamente all’interno di un gruppo attraverso l’accettazione del comportamento di poche persone e la successiva diffusione a tutto il gruppo. • Teoria della protesta politica: il comportamento collettivo esprime protesta politica e insoddisfazione per lo status quo. Quindi chi si unisce alla folla per contestare il sistema, è un individuo politicamente consapevole. • Teoria del valore aggiunto: si rifà al concetto del valore aggiunto in economia. Il comportamento collettivo trae la sua origine da condizioni sociali piuttosto che da fattori psicologici, ed è il risultato di un processo cumulativo prodotto da 6 fattori: o propensione strutturale (cioè le condizioni ambientali che rendono possibile il comportamento collettivo); o tensione strutturale (squilibrio nelle condizioni ambientali); o credenza generalizzata; o fattori precipitanti (cioè eventi che confermano la credenza generalizzata e fanno passare all’azione); o mobilitazione attiva (azione organizzata, spesso guidata da un leader); o controllo sociale (reazione dei detentori dell’autorità). 66 Teorie del comportamento collettivo 2. I MOVIMENTI SOCIALI A volte il comportamento collettivo si sviluppa nel contesto di un movimento sociale. Si ha un movimento sociale quando un gruppo organizzato tenta di produrre un cambiamento sociale o di opporsi ad esso. 2.1. TIPI DI MOVIMENTI SOCIALI Ci sono molti movimenti sociali nella nostra società (pro o contro l’aborto, l’alcol; movimenti ambientalisti, femministi), e tutti hanno la caratteristica di avere una posizione antagonistica verso la realtà esistente. Per classificare i vari tipi di movimenti, si ricorre a due fattori: • la modalità d’azione, che può essere pacifica o conflittuale; • il livello di opposizione alle istituzioni, che può essere parziale o totale. In tal modo si ottengono 4 tipi di movimenti sociali: • espressivi • integralisti • riformisti • comunitari 2.2. LA FORMAZIONE DEI MOVIMENTI SOCIALI I movimenti nascono sempre da un’insoddisfazione per l’ordine sociale esistente, e tale insoddisfazione è determinata da due fattori: • condizioni oggettive: della società in cui viviamo, dove c’è uno squilibrio di potere, ricchezza o prestigio che determina frustrazione e quindi insoddisfazione • standard culturali: l’insoddisfazione deriva dalla percezione che lo stato delle cose è ingiusto rispetto a determinati valori o standard. Il passaggio dall’insoddisfazione all’azione avviene tramite l’ideologia, che spiega un problema sociale e ne individua i responsabili; senza di essa, l’insoddisfazione si protrarrà nel tempo (es. nella Francia preilluministica il popolo accettava le misere condizioni in cui viveva; quando poi l’illuminismo diffuse gli ideali di uguaglianza sociale, si sviluppò un movimento sociale che sovvertì la monarchia e la nobiltà). 67 2.3. LEADERSHIP, RECLUTAMENTO E MOBILITAZIONE • Leadership. Una volta che l’ideologia ha messo in luce una determinata condizione di insoddisfazione, occorre costituire un qualche tipo di organizzazione, che dovrà essere guidata da uno o più leader, che diffonderanno l’ideologia e pianificheranno le strategie del movimento. Un movimento ha bisogno di leader diversi man mano che si sviluppa, quindi nelle diverse fasi del ciclo vitale di un movimento sociale distinguiamo un leader diverso: o fase fermento sociale – agitatore o fase esaltazione popolare – profeta: capace di diffondere il messaggio e suscitare entusiasmo o fase organizzazione formale – amministratore: che sappia organizzare la divisione del lavoro o fase istituzionalizzazione – statista: che interpreta la realtà politica e guida il movimento • Reclutamento e motivazione. Il successo dei movimenti sociali non dipende solo dai leader, ma anche dai seguaci. Inoltre maggiore sarà la capacità del movimento di mobilitare le risorse collettive di cui dispone, maggiore sarà la probabilità di raggiungere i propri obiettivi. 2.4. MOVIMENTI E CAMBIAMENTO SOCIALE Esaminiamo ora il rapporto tra movimenti sociali e cambiamento sociale. A volte sono i movimenti sociali a determinare il cambiamento, altre volte è invece il cambiamento sociale a suscitare i movimenti sociali. Ad esempio l’avvento del capitalismo industriale portò alla nascita del movimento sindacale, come quello per l’abolizione del lavoro minorile. Gli studiosi hanno recentemente rivolto la loro attenzione ai nuovi movimenti sociali, ossia gruppi che, dal momento che il conflitto di classe marxista è stato ormai attenuato, oggi non si basano sull’appartenenza ad una specifica classe sociale, piuttosto hanno nuovi obiettivi sociali e culturali. Un esempio di nuovo movimento sociale sono i no global o new global. Esistono poi i movimenti di resistenza al cambiamento, un vero e proprio contro-movimento, che si oppone ai cambiamenti sociali per conservare lo status quo. Capitolo 20 – IL MUTAMENTO SOCIALE E CULTURALE 1. LE CAUSE DEL MUTAMENTO SOCIALE Il mutamento sociale è la trasformazione dei modelli di organizzazione sociale. Questa trasformazione oggi è molto più rapida che in passato. Le cause del mutamento sociale sono: • Crescita demografica: il crescere della popolazione, generando nuovi bisogni, può divenire responsabile di cambiamenti negli assetti sociali correnti • Fattori ambientali: come calamità naturali, che possono modificare intere società o addirittura farle scomparire; • Progresso tecnologico: la tecnologia ha profondamente mutato la società (es. l’auto o il telefono); • Innovazione culturale: le nuove conoscenze hanno portato ad esempio all’avvento della tecnologia, al miglioramento della medicina, ecc., tutte cose che hanno cambiato la società); • Movimenti sociali: l’influenza dei movimenti sociali può cambiare una società (es. movimento operaio, femminista, ecc.). 2. TEORIE DEL MUTAMENTO SOCIALE • Marx e la teoria del conflitto. Marx reputava che il mutamento dei rapporti di classe determinasse altri mutamenti istituzionali e culturali, e che il conflitto sociale fosse produttore di mutamento. Marx credeva infatti che le differenze tra capitalisti e lavoratori sfruttati sarebbero aumentate con lo sviluppo del