Scarica Riassunto Manuale di storia del pensiero politico e più Dispense in PDF di Storia Del Pensiero Politico solo su Docsity! CAPITOLO 1: L’ANTICHITÀ GRECA E ROMANA 1. Omero Prima del VI secolo era Omero a fornire modelli di virtù e modalità di relazioni etico-politiche agli uomini. L’Iliade e l’Odissea erano strumenti di educazione dei giovani, che si basavano sull’ideale aristocratico dell’eccellenza della virtù. Oggi, tuttavia, si pone l’attenzione sulla fragilità del mondo e dei rapporti di potere che è possibile riconoscere all’interno dei poemi omerici. Sia nell’Iliade che nell’Odissea è possibile trovare una crisi d’autorità (Agamennone non riesce a farsi rispettare da Achille; Ulisse deve recuperare la sua autorità). La virtù, in questi poemi, è da intendere come un valore fisico e morale, una caratteristica che genera un antagonismo tra gli eroi. La virtù si identifica come forza e onore (riconosciuta eccellenza, una perenne messa alla prova di sé stessi per evitare il disonore o la vergogna che un’eventuale sconfitta porterebbe). Con l’onore si riconosce, quindi, la supremazia del singolo eroe. La morale eroica è inconciliabile con il diritto, e sfocia per questo in un conflitto interno ed esterno. Per questo motivo è possibile dire che gli assetti di potere nei poemi omerici si dimostrano piuttosto fragili quando si trovano a funzionare in una comunità di molti re- gli eroi devono continuamente legittimare la propria posizione con l’esibizione della forza. Tuttavia la completa legittimazione del potere all’interno di questi poemi viene impedita dal dualismo tra virtù individuale (composta da forza e coraggio) e la diversa collocazione di forza e coraggio in soggetti diversi. 3. Esiodo Egli compie un sovvertimento del codice aristocratico: liquida il mondo degli eroi- analizza la Contesa, trovando una sua duplice natura: quella negativa, che genera guerre e lutti; quella positiva, che fomenta la gara tra i produttori. È possibile ritrovare in Esiodo un vero e proprio rovesciamento dei valori aristocratici. Secondo lui la giustizia è ciò che è proprio degli uomini, ed è ciò che li differenzia dagli altri esseri viventi. È ciò che garantisce la pace e, facendo ciò, rende fiorenti le città e gli individui. 6. Erodoto Egli è il “padre della storia”, ma è definibile anche “padre della politica”. Egli racconta una storia che si svolge in Persia, in seguito all’uccisione di un Mago, che aveva usurpato il trono. Il Mago è stato ucciso dal consiglio dei sette, ed Erodoto finge di riportare le argomentazioni di quest’ultimo sulla costituzione dello Stato. Il primo a parlare elenca i pericoli presenti nella monarchia, dove il monarca non deve rendere conto a nessuno e può fare quello che vuole. Per lui il governo migliore è quello del popolo, l’isonomia, dove c’è uguaglianza di fronte alla legge. Il secondo interlocutore condivide le critiche alla monarchia, ma non l’elogio alla democrazia, in quanto egli ritiene che sia il governo dei migliori a produrre le migliori deliberazioni. L’ultimo a parlare, infine, condivide le critiche alla democrazia, ma non ritiene che il governo migliori sia quello dei molti, bensì quello del singolo, fintanto che questo singolo sia il migliore, in quanto l’uno ha maggior efficacia nella propria azione politica. 7. Democrazia, oligarchia e tirannide La filosofia greca non fu grande amante della democrazia, in quanto guardava ai molti con distacco e disprezzo e per questo se ne tenne lontana. Questo perché i molti venivano visti come privi di qualità, considerati inadatti alla gestione del potere. La filosofia guarda al governo dei migliori, che può rispondere alla richiesta popolare di un governo di leggi scritte. Il modello “pastorale” del potere, con il governante superiore al popolo, fu considerato un modello inadatto all’Ellade, in quanto esso era un modello che veniva usato dai “barbari”. Euripide, nelle sue “Supplici”, mette in scena una situazione in cui un uomo chiede da chi fosse governata la città di Atene. La risposta è che Atene è una città libera, dove il demos regna a turno. Euripide elenca anche alcuni vantaggi che ciò comporta: l’isonomia e l’isegoria (uguaglianza davanti alla legge e la libertà di parola e di voto per tutti i cittadini). Il manifesto del pensiero democratico su Atene lo si trova nell’epitaffio funebre per i morti del primo anno di Guerra del Peloponneso, ossia un testo in cui si difende la democrazia di Atene mettendola a confronto con la condizione politica di Sparta: secondo questa visione a prevalere è la prima, che trova la sua forza nell’eguaglianza di fronte alla legge, nel coinvolgimento politico di tutte le classi sociali (la povertà non è discriminante), nel rifiuto di differenziazioni sociali e nell’accettazione della discussione pubblica. Atene è, secondo Pericle, la “scuola” della Grecia, dove si può osservare la versatilità dell’intelligenza sociale diffusa, che abilita il popolo a svolgere ruoli politici. Per evitare che personaggi più influenti rompessero l’eguaglianza che sta alla base della democrazia ateniese si adottò la legge dell’ostracismo, quindi la possibilità di allontanare per dieci ani una qualsiasi persona sgradita. La democrazia di Atene ha il suo cuore nell’ekklesia, l’assemblea di tutti i cittadini, che discute dell’ordine del giorno posto dalla boulé, che aveva funzioni di governo. La durata delle cariche era prestabilita e breve, e si prevedeva la rotazione di esse. Il popolo deliberava su materie che non richiedevano elevate conoscenze tecniche. Per quanto riguarda la tirannide, anche se nella sua forma iniziale essa poteva avere un’accezione positiva (aveva posto fine ad un periodo di aperti conflitti), essa ha lasciato dietro di sé un’immagine di violenza. Il tiranno, infatti, rappresenta l’incarnazione del male assoluto e la negazione della politica stessa. 16. Augusto Augusto si pone sempre come restauratore della tradizionale costituzione repubblicana, non come l’autore di un rivolgimento costituzionale. All’interno delle sue opere difende il suo potere, trovandolo in sintonia con le istituzioni e con il costume degli antenati. Il tratto fondamentale della sua ideologia è rappresentato dalla volontà di presentarsi come colui che restituisce la repubblica al senato e al popolo e colui che ha posto fine alle guerre civili. Questo lo pone in una posizione superiore a tutti, anche se a potere si trova al pari degli altri magistrati. È pontefice massimo, ha controllo dell’esercito e ha potere di veto. Instaura quindi una vera e propria monarchia, che i Romani accettano perché ormai stanchi delle guerre civili e perché non si trovano in contrasto con la persona del “principes”, ossia Augusto stessé. I romani, infatti, sono noti per la loro propensione di accettare la temporanea sospensione delle garanzie costituzionali in momenti di pericolo per lo Stato. 1 CAPITOLO 2: CRISTIANESIMO E POLITICA 1.3 La svolta costantiniana Con la svolta costantiniana si inizia ad accogliere il cristianesimo all’interno dell’Impero romano, che si cristianizza. Ciò pone le basi per una riflessione, una crisi della scienza politica, che viene sostituita dalla teologia. Gli autori medievali hanno in comune determinati principi: impossibilità della fondazione e legittimazione del potere al di fuori della finalità etico-religiosa che esso deve perseguire, quindi al di fuori di una sua legittimazione a partire dal disegno di Dio. Le questioni del potere e dell’autorità si complicano, in quando si cerca di tenere insieme la trascendenza della Chiesa con l’immanenza del potere laico. Il cristianesimo legittima e rafforza l’autorità politica, ma allo stesso tempo la critica: questo è un chiaro esempio dell’insolubile dualismo che si viene a creare tra poteri e autorità religiosi e laici. Allo stesso tempo, per, questa realtà ha generato libertà, in quanto ha impedito ogni subordinazione del potere laico all’autorità religiosa. 4. La donazione di Costantino L’intento di papa Gregorio fu quello di affermare e costruire la completa autonomia di Roma da Bisanzio. Molto importante in questo fu il documento noto come “La donazione di Costantino”, scritto poco prima della sua morte, con il quale egli donava a papa Silvestro e ai suoi successori il palazzo del Laterano, il diadema imperiale, l’intera città di Roma e le province italiane. I sovrani temporali venivano ad essere dei concessori del potere politico, che era stato conferito legittimamente dall’imperatore alla Chiesa. Con questo documento si veniva a legittimare il nascente Stato della Chiesa, e lo si interpreta come la restituzione di ciò che spettava alla Chiesa stessa. A partire dall’incoronazione di Carlo Magno da parte del papa si viene a stabilire il rito dell’incoronazione degli imperatori da parte dei papi, e ciò assume il carattere di “translatio imperii, con il quale si trasferisce l’impero da Oriente a Occidente. È su questo documento che la chiesa costruisce la propria supremazia nella sfera temporale. 10. Giovanni da Parigi Mentre nella corrente regalistica si pone la tesi della profonda unità della repubblica cristiana e della sua struttura gerarchica (imperatore che riconosce la supremazia pontificia), Giovanni da Parigi si distacca da ciò, componendo opere che possono essere considerate secondo un duplice punto di vista: risposta all’estremismo di Egidio; annuncio della necessità di pensare alle entità politiche al di fuori del quadro della loro inclusione e distinzione dalla Chiesa e dall’Impero. Giovanni ritiene che l’uomo sia ordinato non solo al bene naturale, ma anche alla vita eterna (soprannaturale), e ciò ribadisce la necessità della compresenza di piani e livelli distinti nella vita dell’uomo: si riconosce la maggiore elevatezza dell’ufficio sacerdotale, ma questa dignità non si riconosce come superiore in ogni ambito della vita. Inoltre Giovanni sottolinea come questi poteri non derivino l’uno dall’altro, bensì convivino l’uno accanto all’altro: si restituisce alla Chiesa e al pontefice il potere, che appartiene così loro in modo pieno e irrinunciabile. Giovanni ribadisce al necessità per il mondo della pluralità dei regni e delle forme politiche: è quindi giusto che gli uomini eleggano diversi rettori a seconda della diversità delle comunità. La diversità dei corpi e delle nature deve essere governata da una molteplicità di poteri, che devono assumere le forme che meglio si adattano alla molteplicità su cui devono intervenire. Si concentra in particolar modo sull’analisi del Regno di Francia, e su come esso non rientri nella donazione di Costantino per diversi motivi: mette in dubbio l’uso ecclesiastico del documento stesso; la tesi secondo la quale la Francia non derivi dai Galli sottomessi ai Romani e donati al papa da Costantino, bensì dai Franci, popolo libero e liberatore entrati in scena dopo Costantino. Questo ha creato un ordine politico indipendente da Roma pagana e dall’Impero cristiano. 11. I Comuni Con il nome “comune” si iniziò ad identici are una svolta istituzionale verificatasi in Italia settentrionale e in nord Europa, ossia il fenomeno dell’autonomia politica delle città, che si basava su un patto tra singoli, che definiva l’autonomia da altri poteri politici ed ecclesiastici. Si passa da una fase in cui il potere di governo era affidato alla magistratura collegiale (consoli) ad una in cui si accentra il potere nelle mani di un podestà. Si vengono a istituire, così, molte repubbliche popolari, continuamente in cerca di giustificare la propria lotta contro l’Impero in due modi diversi: teorici della politica, che preferiscono un “governo popolare”; teorici del diritto, m che riconoscono la legittimità degli atti delle entità politiche minori, autonome ed autosufficienti. Brunetto Latini fu colui che insegnò ai fiorentini come guidare e reggere la repubblica secondo la politica, istituendo i concetti di libertà ed autogoverno. Egli pone una differenza tra la perpetuità e la temporalità delle marche politiche, distinguendo tra gli ideal tipi delle forme del potere in Francia (i sudditi sono sottomessi alla signoria del re di altri principi perpetui) e in Italia (i cittadini eleggono il podestà e i loro signori come credono sia più utile al profitto della città stessa e dei suoi sudditi). Solo la forma italiana viene considerata da Latini come “politica”, dove chi possiede il potere di governo deve “renderne conto” ai cittadini. Tolomeo da Lucca teorizza una naturale avversità nei confronti del governo regale da parte di coloro che non possono essere governati se non con un “regime politico”, con il quale si intende il potere democratico, l’elettività delle cariche e la sottomissione dei governanti alla legge. Il diritto romano Giustiniano sottolinea le prerogative dell’imperatore. I Glossatori erano coloro che cercavano di avvallare la supremazia dell’imperatore su tutto con l’autorità di questo stesso diritto. Con il passare del tempo, però, si inizia ad assumere un atteggiamento più libero, dove si riconosce l’esistenza della sovranità delle città, che iniziano ad affermarsi come “principi a loro stessi”, quindi che iniziano ad esercitare sul popolo libero lo stesso potere che l’imperatore esercita in generale. 2 CAPITOLO 5: COSTITUZIONE, RIVOLUZIONE, REPUBBLICA E UTOPIA 1. Il costituzionalismo Mentre nel mondo romano ciò che piaceva al principe aveva valore di legge, nel mondo barbarico e feudale si dà più spazio al popolo: la cessione da parte del popolo dei propri diritti al re corrisponde all’affidamento temporaneo e condizionato dell’esercizio di potere. Si vede quindi lo sviluppo del costituzionalismo medievale, dove la legge viene scoperta e promulgata, e non viene costruita artificialmente. La legge, inoltre, non è mai in pieno possesso del legislatore, che la può forgiare a suo piacimento, ma viene vista come la trama di rapporti razionali e fondati sull’anteriorità della giustizia rispetto alla legge. La legge viene quindi concepita più come giustizia che come comando. Il Medioevo è caratterizzato dall’assenza dello Stato e dalla presenza del diritto che non è espressione della sovranità politica, ma piuttosto della società e della molteplicità degli ordinamenti che essa contiene. Emerge quindi il carattere pluralista del diritto medievale. 1.1 Bracton Per Bracton in Inghilterra la legge e la consuetudine stanno insieme: solo in Inghilterra esiste la legge senza legislatore, e la legge, pur non essendo scritta, non smette di essere valida, in quanto si esprime attraverso la consuetudine. Il fondamento consuetudinario implica la rilevanza costituzionale e giurisprudenziale della consuetudine stessa. Nella common law l’intangibilità della legge è garantita dal fatto che le leggi vengono approvate da coloro che le usano, e non possono essere modificate o abolite senza il consenso di colori dai quali esse sono state approvate. La molteplicità dei soggetti necessari alla promulgazione della legge impedisce la manipolazione arbitraria di essa. Bracton crede che il re debba non essere sottoposto agli uomini, bensì a Dio e alla legge: è la legge che fa un re, e ciò che rende il re tale è il reggere il suo regno secondo il diritto. Solo il re che si spoglia della propria volontà è legittimato a “dire il diritto”, e lo fa sempre con dei limiti e controlli. Nella funzione di governante (gubernaculum) il re non è sottoponibile a nessun’istanza superiore. In quella di iurisdictio (dire la giustizia, nominare i funzionari, ecc), invece, è vincolato al diritto e all’equità, in quanto è il custode della costituzione. 1.2 Fortescue Egli mette a confronto due tipi di forma politica: dominio regale, dove si manifesta la coincidenza tra legge e volontà del sovrano; dominio regale e politico, dove conta anche la volontà dei cittadini che, in quanto tali, partecipano alla formazione della legge attraverso l’elezione dei propri rappresentanti in Parlamento. La legge vale in forza del consenso dei cittadini stessi. Il secondo tipo di governo analizzato vede il realizzarsi di una maggiore equità, e qui il suo principio giuridico è la consuetudine, che è molto vicina alle norme inderogabili del diritto naturale. Questo governo riesce quindi ad incarnare la superiorità del diritto di natura e la sua equità rispetto al diritto positivo. L’attività di “dire la legge” viene ricondotta ai principi di equo e giusto. 2. Il puritanesimo La rivoluzione puritana coincide con l’espressione di una forte egemonia della corona e la volontà di contrastare la teoria dei limiti. I puritani venivano chiamati così con intenti dispregiativi, con il termine che andava ad indicare quelle persone unite dal rifiuto della Chiesa anglicana. La rivoluzione era vista anche come una manovra politica che è stata incapace di rappresentare le istanze di riforma religiose diffuse dal calvinismo. Gli esiliati del periodo erano andati a Ginevra e, una volta tornati, iniziarono a diffondere in Inghilterra l’esigenza di un dominio religioso su tutti gli aspetti della vita individuale e civile. Si credeva nella possibilità di costruire una nuova Gerusalemme nel presente storico. Tutto ciò, però, si trasformò in un attivismo intento a favorire la maturazione dei tempi e a dare a ciascun fedele la certezza della propria salvezza. I puritani cercavano di scandire ogni ora e attività della propria giornata in modo religioso. La solidarietà tra Chiesa alta (vescovi) e monarchia era espressa dalla formula di Giacomo I “no bishops no King”, ma i puritani credevano che l’esperienza religiosa dei credenti non potesse essere ingessata nelle formule dell’anglicanesimo. Si richiedeva quindi una struttura democratica per il governo di ciascuna Chiesa. 4. La rivoluzione e Cromwell Nel 1642 scoppia il conflitto tra monarchia e Parlamento, riguardate i poteri del re e le forme e i limiti del loro esercizio. In campo però c’erano anche i puritani, riuniti in assemblee ed alleati con i difensori dei diritti del Parlamento. A capo del moto rivoluzionario fu posto Oliver Cromwell, con il New Model Army, strumento invincibile, in quanto abituato a ristabilire la propria posizione dopo ogni carica, disciplinata a ricostruirsi e pronto a nuove manovre collettive. Anche in seguito, con i tentativi del Parlamento di sciogliere questo nuovo esercito, Cromwell si affiancò ad esso, pronto a lottare contro Parlamento e monarchia. Ciò portò all’abolizione della monarchia, e Cromwell viene nominato Lord Protettore di Inghilterra, Scozia e Irlanda: la repubblica ha vita breve, perché tornerà preso la monarchia. Un’idea molto discussa in quegli anni, però, sarà quella di espandere il suffragio a tutti i cittadini maschi. Questa idea non viene accettata da tutti, per paura che ciò si potesse trasformare in un attacco dei nulla tenenti contro il principio della “proprietà”. Fu proprio il genero di Cromwell a fornire due spiegazioni alla sua opposizione: non credeva che dalla semplice esistenza derivasse il diritto di rappresentanza politica; temeva che coloro i quali pretendevano questo diritto non si sarebbero più fermati nelle loro richieste, e quindi temeva la radicalizzazione delle richieste politiche. 5 5. I livellatori I “levellers” erano un movimento interessato alla politica e al diritto, che si ritrovò ad essere avversario ai privilegi nobiliari prima e con lo stesso Parlamento poi. Manifestavano la volontà di voler ripartire in modo diverso le ricchezze, in modo tale da livellare ed eguagliare il peso politico dei cittadini. Combattevano, quindi, contro dispotismo e privilegio. Facevano insistente ricorso al diritto di natura, con l’intento di restaurare i diritti inviolabili ed immutabili del popolo, basandosi sulla tradizione della common law e del costituzionalismo. Il loro programma politico era ispirato ai principi del radicalismo democratico, basato sul principio della rappresentanza eletta a suffragio universale maschile: chiunque ricoprisse una qualsiasi carica di governo sarebbe dovuto essere eletto dai cittadini. Tutti gli eletti, inoltre, lo sarebbero stati in modo temporanei: dovevano poi ritornare all’uguaglianza naturale con gli altri cittadini. Lo schieramento dei livellatori, quindi, è un compromesso tra le istanze democratiche e quelle più liberali. 6. Gli zappatori Con il termine “zappatori” si andava ad indicare coloro che avevano intrapreso la coltivazione di un appezzamento di terreno pubblico per farne uno strumento di sostentamento dei poveri. Il loro leader fu Gerard Winstanley, che aveva il compito di portare avanti la rivoluzione, la quale si sarebbe computa solo se avesse evitato che un potere si sostituisse ad un altro. Con la rivoluzione si volevano azzerare i rapporti di proprietà, e ci si voleva liberare dei fardelli imposti dai padroni. Il comunismo di Winstanley consiste nella ridistribuzione della terra, e stabilisce che la proprietà può avere due origini: nascita, la quale non discrimina; conquista, che non rappresenta una condizione egualitaria. Winstanley parla di “libertà” descrivendola come la condizione capace di dare a tutti gli uomini il nutrimento e il sostentamento. Winstanley si occupa di analizzare e descrivere le forme di governo secondo le modalità con cui si gestisce la terra: il governo regale si fonda sul vendere e comprare, ma soprattutto sul primato della volontà del re; il governo repubblicano, invece, si basa sulle logiche del comunismo e sulle leggi emanate dal Parlamento, che devono essere direttamente applicabili (non deve servire l’interpretazione). Questo governo si deve fondare sulla repressione dell’ozio e sul primato del bisogno: qui i funzionari vengono eletti da chi ne ha bisogno, ed essi durano in carica un anno. In Inghilterra le terre vengono appropriate individualmente, secondo il sistema delle “encolsures”: i proprietari sottraggono attraverso le recinzioni le terre all’uso comune. In questo modo si permette l’accumulazione di capitale, e si viene così a creare una grande massa di nuovi poveri. L’opinione pubblica reagisce in una duplice maniera: se da un lato la cultura approva questi processi di appropriazione individuale, concependo i poveri in modo diverso (ossia come pericolosi sovvertitori dell’ordine sociale), dall’altra emerge la nostalgia del mondo antico e il sogno della redenzione dai mali del presente. 6 CAPITOLO 6: LA PRIMA MODERNITÀ 6. I libertini e Pascal Nei primi del Seicento si sviluppa in Europa una volontà di rinnovamento e di liberazione, che si ispira però ad un ideale conservativo di tipo nuovo. Questi sono i “libertini”, teorici della necessità di un profondo rinnovamento della cultura, ispirati dagli ideali antichi ed eredi della tradizione rinascimentale. Sono convinti della necessità dell’obbedienza. Il loro maestro è Michel de Montaigne. Egli parla di una soggettività strutturata intorno alle categorie del movimento e della transizione, che ha la sua unica certezza nella percezione dell’unica ed irripetibile vita terrena. Egli vuole trovare una saggezza pratica che sia in grado di garantire la salvezza al singolo. Questa si raggiunge attraverso la politica, che quindi perde la sua caratteristica di “eccellenza”, per diventare una necessità esterna e strumentale. Secondo Montaigne il potere deve conservare la pace tra gli uomini, e per conservare l’Irene sociale è necessario legittimare l’obbedienza. Si arriva quindi ad una nuova soggettività, più importante rispetto a quanto lo era prima. Inoltre, la religione ha perso ormai la sua funzione di unione sociale e stabilizzazione politica, diventando un veicolo di crisi. Mentre prima le motivazioni all’obbedienza erano essenzialmente due (obbedire al principe a causa della sua maestà e dell’intrinseca razionalità dei suoi comandi), Montaigne critica ciò, in quanto la maestà non è un corrispondente immediato della natura intima del principe, e anche perché non crede nell’intrinseca razionalità delle leggi. Il fondamento delle leggi, infatti, è spesso futile e disgustoso. Questo però non vuol dire che queste siano meno necessarie: senza le leggi gli uomini si divorerebbero tra di loro. Il singolo, quindi, deve comportarsi in obbedienza alle leggi, in quanto l’obbedienza stessa viene vista come la salvaguardia dell’interesse vivo e vero di ciascuno, quindi la conservazione della vita. Altro libertino da prendere in considerazione è Étienne de La Boétie, che scrisse un testo che venne preso come un manifesto contro la tirannide della monarchia francese e come un invito alla ribellione. Egli mette al centro della sua analisi del potere il rapporto di coimplicazione tra soggetti e Stato: ogni potere si fonda sull’obbedienza dei singoli, che è volontaria, in quanto nasce dalla volontà di schiavitù. Pierre Charron ricostruisce l’ordine politico puntando sulla scissione tra interno ed esterno: l’ordine sarà rifondato quando l’obbedienza al potere sarà esterna ed immotivata. Egli crede sia necessario neutralizzare i conflitti, le credenze e riportare allo spazio dell’intimità e del privato tutto quello che potrebbe turbare l’ordine pubblico. Blaise Pascal, infine, si confronta con Montaigne con uno sguardo critico verso il tasso di giustizia realizzabile nello Stato. Egli crede nella contingenza del diritto, e segue la strada dell’obbedienza. Crede che alla sua base ci sia solo la forza. Pascal accetta sia il diritto che lo Stato, dicendo che essi non sono razionalmente giustificati, ma conservano la propria follia, insuperabile ed essenziale all’economia del mondo, in quanto permette che esso stesso viva. 7. La corte L’immagine moderna dello Stato vede una grande novità: la centralità assunta dalla corte, che gravita intorno al sovrano e al suo consiglio privato. Lì si giocano i destini degli uomini e si costruiscono le fortune dei potenti. 7.1 Castiglione Egli vuole dettare le regole per la formazione dell’uomo di corte. I suoi passatempi devono essere l’esercizio delle armi, la lotta e la caccia. Deve esibire virtù e arte con naturalezza e grazia, in modo da far sembrare il proprio sapere e le sue potenzialità più ampie e grandi di quelle che sono in realtà. Segue quindi la logica del sembrare, del costruire artificialmente la propria potenza. Ciò indica anche la logica del dominio come suo naturale destino. 7.2 Gracián Gracián pensa che quanto meglio si può fare una cosa, tanto più bisogna nascondere l’artificio con il quale si è realizzata, in quanto gli altri devono poter pensare che la perfezione nasce naturalmente. La prudenza, secondo Gracián, consiste in una doppia strategia: agire con segretezza, per impedire agli altri di penetrare nell’intimo della volontà e dei pensieri; costruire una parvenza di verità in modo artificiale. Nel rapporto concorrenziale è necessario assicurarsi posizioni di vantaggio rispetto ai propri avversari: non ci si deve mai scoprire del tutto, perché è importante non rendere i propri comportamenti prevedibili. Gracián invita ad essere riservati e a cambiare spesso il proprio comportamento, facendo ampio uso del silenzio e del tacere. Legittimare l’inganno e la simulazione non vuol dire che bisogna agire solamente simultaneo: se essa diventa abituale, anche la menzogna è prevedibile. Egli, quindi, invita più che altro ad innovarsi. 10. La scolastica spagnola In seguito alla scoperta dell’America e alla sua colonizzazione, la Spagna dovette affrontare dei problemi nuovi ed estranei agli altri Paesi. Ciò aveva sfidato la cultura europea: aveva posto interrogativi religiosi e politici. Dopo aver stabilito che gli indigeni e i loro territori appartenevano ai domini spagnoli, nacque il problema di legittimare l’accaduto e i danni che si erano verificati a causa della schiavitù. A riguardo c’erano due correnti differenti: quella di Sepúlveda, il quale riteneva che il comportamento selvaggio degli indigeni li 7 CAPITOLO 8: L’ANTICO REGIME E L’ILLUMINISMO 1. L’assolutismo in Francia L’Antico regime in Francia vede, a partire dal 1624, un’opera di centralizzazione e di assolutizzazione del potere del monarca. Luigi XIV rafforzò il proprio potere grazie alla creazione di un esercito permanente, ad un sistema di esazione delle tasse, l’istituzione di corti di giustizia regie e di un forte controllo sulla Chiesa di Stato. Inoltre durante il suo regno si iniziò ad adoperare una politica doganale ed economica che seguiva le teorie mercantilistiche, secondo le quali la ricchezza della nazione era generata dalle manifatture, dall’accumulazione di metalli preziosi e dalla limitazione degli scambi con i concorrenti commerciali. In seguito alla morte di Luigi XIV l’assolutismo iniziò a presentare cenni di cedimento, in quanto gli ordini sociali rivendicavano le proprie prerogative e presentavano richieste di più ampio riconoscimento politico. Si crearono le condizioni per l’affermazione dell’individualismo e per la rivendicazione dei diritti di eguaglianza per tutti i cittadini. 1.1 I Parlamenti In quel periodo i Parlamenti francesi si trovarono in contrasto con il potere centrale. L’Antico regime era organizzato secondo due istanze di potere: il re, con un potere assoluto ed indipendente da ogni altra autorità; gli organi di consiglio, il cui potere era autorizzato solo tramite delega del re. Il re esercitava anche il potere giudiziario (in modo diretto o attraverso le alte corti di giustizia). I Parlamenti non erano autonomi, e le loro sentenze erano revocabili dall’organo supremo di giustizia. I Parlamenti, inoltre, avevano diritto di rimostranza e di registrazione degli editti reali. Si aveva quindi un intreccio di funzioni di governo e funzioni di giustizia, dove il Parlamento rappresentava un contropotere della monarchia. Vennero quindi presi provvedimenti per perseguire una volontà centralizzatrice: Luigi XIV iniziò una lotta ai Parlamenti, con la successiva revoca del diritto di rimostranza. In seguito alla sua morte i parlamenti riconquistarono i propri diritto, e il contrasto con la monarchia era ormai sempre più forte. Ciò evidenziava la necessità del potere centrale di ottenere la neutralità dei Parlamenti per governare. Questo scontro era sintomo della crisi del sistema politico dell’Antico regime, a causa di una crisi di rappresentanza (si rivendicava il diritto storico di rappresentare la nazione da parte dei Parlamenti). Ma la rappresentanza del regime era legata al territorio: si rappresentava l’assetto costituzionale del regno. Solo con la proposta di Sieyès si è arrivati alla costituzione di un’Assemblea nazionale, la prima moderna assemblea parlamentare con funzioni di rappresentanza della sovranità della nazione e depositaria del potere legislativo. 1.2 Bossuet È il principale teorico dell’assolutismo monarchico e del diritto divino dei re in Francia. Crede che ad essere protagonista della storia dia la provvidenza di Dio, che guida il destino degli uomini. La monarchia francese è stata istituita per volontà divina per conservare l’eredità romano-carolingia, e ha ereditato dal Sacro romano impero la missione realizzare pienamente la volontà di Dio. Bossuet nega il diritto di resistenza all’autorità, in quanto essa ha una legittimazione provvidenziale e, per questo motivo, è ereditaria, regia ed assoluta. Egli afferma l’impossibilità per l’uomo di resistere alla volontà di Dio e alla sua emanazione, ossia la regalità: la monarchia è la forma di governo migliore e più naturale, in quanto esprime il governo di Dio sugli uomini e del padre sui figli. Nel monarca si riflette l’immagine della grandezza di Dio ed è racchiusa la potenza dello Stato. Il re ha il diritto di giudicare e, dato che è impossibile resistere alla sua volontà, l’uso della forza da parte della Corona sui sudditi e sui Grandi del regno è legittimo. 1.3 Bayle Bayle contrappone il concetto di ragione e quello di forza (politica o religiosa), e sottopone la natura umana e i modelli teorico-politici all’indagine razionale della ragione scettica. Egli è alla ricerca della soluzione del conflitto e della pacifica convivenza tra gli uomini, come lo è anche Hobbes. Bayle riconosce la necessità per lo Stato dell’assenza di disordini causati da motivi religiosi. Ciò che lo differenzia da Hobbes, però, è il fatto che Bayle riaiuta la radicale antropologia negativa dell’uomo, e lo sostituisce con una concezione moderna e più moderata, che si fonda sulla visione dello scetticismo liberino sulla natura umana. Bayle compie riflessioni sulla tolleranza per determinare la piena distinzione tra spirituale e temporale. Bayle propone uno Stato secolare monarchico, che si ponga al di sopra delle parti, che eviti la diffusione delle dottrine socialmente sovversive e che promuova il rispetto della coscienza dei singoli attraverso la tolleranza. La tolleranza è necessaria per salvaguardare il vero sentimento religioso. Bayle separa radicalmente il teologico dal politico: vuole garantire la libertà di coscienza, e si pone quindi contro l’idolatria che si viene a formare dalla lotta tra le sette e i cattolici. Rivendica la capacità di libertà dell’uomo, che vive in società e che si serve dei propri egoismi per costruire una società abitata da un cittadino che, temporaneamente, deve essere sovrano e suddito. 10 1.4 Il “liberalismo nobiliare” Questa è una corrente di pensiero che sostiene la causa dei privilegi e delle libertà rivendicati dai Parlamenti. Fénelon mette in guardia il monarca dai rischi che una monarchia assoluta comporta, e critica la politica di Luigi XIV, così come l’interventismo economico. Saint-Simon critica invece il peso che la burocrazia regia ha ormai assunto, e ad essa oppone l’idea di un potere per mezzo dei consigli e un decentramento amministrativo. Questi studiosi sono accomunati dalla polemica all’esercizio del potere del re, che da assoluto è ormai diventato arbitrario. Si dibatte, quindi, sul modo in cui l’assolutezza viene ormai praticata. Questi autori temono la tirannide: il potere del re è assoluto una non illimitato, e deve per questo essere regolato e moderato con il ristabilirsi di antichi usi e tradizioni, che affiancano all’istituzione regia altre istituzioni. Si vengono a contrapporre due teorie diverse sull’origine delle istituzioni politiche in Francia: i fautori della “thèse nobiliaire”, che difende le prerogative dei Parlamenti e dei corpi nobiliari, e che venne fatta propria dai Parlamenti per sostenere che essi erano i rappresentanti del popolo contro i rischi di degenerazione dispotica della monarchia francese; i fautori della “thèse Royale”, che legittima la monarchia assoluta francese sulla base della diretta discendenza dei re di Francia dai re franchi e della continuità dell’imperium da Roma a Luigi XIV. 4.2 Pufendorf Pufendorf vuole dare un fondamento teorico all’assetto costituzionale dei territori tedeschi del XVII secolo. Ha una visione non negativa dello stato di natura, e sostiene che la naturale socievolezza dell’uomo è fondata su un principio di utilità, ossia la tensione al benessere, sancito dalla legge di natura. Questa stabilisce che tutti devono praticare una pacifica socialità. Nello stato di natura c’è un elemento di tensione tra il perseguire la propria utilità da parte dei singoli e la socialità. Ciò spinge gli individui ad uscire dallo stato di natura, che si rivela essere instabile e inaffidabile a causa delle debolezze degli uomini. Gli individui sono spinti dall’istinto alla ricerca della felicità, e costruiscono la civitas (società politica retta dal sovrano) attraverso due patti e un decreto: il primo sancisce l’unione degli uomini, che vanno a costituire il corpo politico, che stabilirà poi la forma di governo tramite decreto; il secondo è quello con il quale gli individui delegano al sovrano il proprio potere di comando. Questo patto, quindi, sancisce la differenza tra chi comanda e chi obbedisce. Il potere sovrano è inviolabile e irrevocabile, ma non deve mai trasformarsi in arbitrio: la fiducia che lega sudditi e sovrano è basata su uno scambio reciproco. Pufendorf, quindi, separa temporalmente i momenti della costituzione del corpo politico e dell’istituzione della volontà sovrana. La sottomissione indica una riduzione della volontà dei singoli all’unica volontà sovrana, che si manifesta con il comando razionale della legge. 8.1 Diderot Diderot afferma che il donamento del potere del re è un contratto stipulato per l’utile della società, che si avvicina molto a quello affermatosi nelle teorie monarcomache, che rivendica la libertà del popolo contro l’oppressione del tiranno e che afferma il diritto di resistenza attiva. Nel pensiero di Diderot emerge il tema del consenso, che è la base del potere politico, in quanto gli uomini creano la società per essere più felici, e a vigilare sulla propria felicità pongono il sovrano. Qui è presente una polemica verso la monarchia francese assolutistica e i suoi rischi. Esprime la necessità della rappresentanza dei cittadini nel governo: i rappresentanti sono cittadini scelti ed incaricati dalla società di parlare a proprio nome. Egli propone come modello da seguire quello della monarchia inglese, dove tutte le parti della società sono interessate al buon governo e hanno diritto a parteciparvi. Inoltre egli fonda l’obbligazione politica sulla difesa della proprietà. La presa di consapevolezza di non poter realizzare una riforma dell’assolutismo provoca in Diderot una svolta radicale, in quanto inizia ad assumere posizioni antiassolutistiche e democratiche: riconosce come unico sovrano il popolo, così come il suo diritto a condannare il sovrano che vada contro la volontà generale. Esalta la rivoluzione inglese e l’indipendenza delle colonie. 8.2 Voltaire È il protagonista della lotta illuminista per le riforme, che vengono da lui incentrate sulla rivendicazione della tolleranza. Egli propone lo Stato di leggi e la garanzia della libertà politica e di opinione per gli uomini. Il suo pensiero si può riassumere con “caos di idee chiare”, che si ritrovano a lottare contro ogni verità e dogmatismo. Le principali opere di Voltaire contengono un relativismo politico, che gli fa ritenere che ogni Stato debba avere la forma di governo che meglio rispetti i costumi e gli spiriti della nazione che guida. Lo Stato è l’ordine politico che viene fondato sulla libertà della legge, che è anche il prodotto razionale dell’unica volontà sovrana, base dell’uguaglianza di tutti i cittadini. In questo autore ritroviamo i concetti principali del contrattualismo moderno, ma troviamo assente una chiara teoria sulla rappresentanza in senso moderno. Voltaire analizza la nazione, la storia e l’economia, facendoli entrare nella discussione filosofico-politica del periodo. Il rapporto legittimante tra la protezione e l’obbedienza viene compreso attraverso l’analisi della struttura costituzionale e istituzionale, che regge le nimaiche politiche sociali, ma anche attraverso un nuovo metodo storico. Voltaire legge la storia secondo un ordine secolarizzato, profano e laico, che si determina progressivamente e che pone attenzione ai rapporti economici. Inoltre egli si occupa della differenza culturale e antropologica, e vede la diversità da due punti di vista: da un lato quella che implica la costruzione della gerarchia delle razze, dove l’uomo europeo è posto al vertice; dall’altro vede la teoria economica della tolleranza, che lo porta ad avere una visione della differenza non negativa, bensì indifferente. 11 11.2 Smith Egli affianca al concetto di “simpatia” anche quello di “proprietà”, che definisce il rapporto di adeguatezza o inadeguatezza tra l’affezione provata da un soggetto e l’oggetto che la causa. Riconosce la società come “necessaria manifestazione della specificità umana”, e affianca alla descrizione delle qualità dell’uomo anche la prudenza, che si trova alla base dell’ordinamento sociale. Smith compila quindi una guida alla condotta del “prudent man”. Si ha una compenetrazione tra la virtù e l’interesse, e ciò diventa il tema centrale di Smith: egli analizza lo stretto rapporto tra le passioni egoistiche e quelle sociali regolatrici del comportamento del prudent man. Smith critica radicalmente il modello del normativismo giusnaturalistico e le pretese del costruttivismo razionalistico in ambito politico sociale. Famosa nel pensiero di Smith è la “mano invisibile”, ossia una razionalità provvidenziale che si preoccupa di coniugare l’interesse del singolo con quello collettivo. Il rapporto tra la virtù e l’interesse è il cuore teorico della “Ricchezza delle nazioni”, un’opera con cui Smith si prefigge di indagare la natura e le cause della ricchezza delle nazioni. Smith pone particolare attenzione ai temi riguardanti il lavoro, che viene inteso come una misura reale del valore di scambio di tutte le merci. Questa riflessione, oltre che economica, è ovviamente anche politica. Qui Smith introduce la figura del sovrano, che ha compito di mediazione politica e normativa tra i diversi interessi in campo. Da qui è possibile capire che la sfera politica non può essere totalmente autonoma da quella economica e etica. Il sovrano ha tre compiti fondamentali: proteggere la società dalla violenza che può provenire da altre società; proteggere tutti i membri della società dalle ingiustizie e dall’oppressione; erigere e conservare opere ed istituzioni pubbliche. Non è suo compito, però, sovrintendere all’attività produttiva dei privati e indirizzata in modo da essere funzionale all’interesse della società. La sua presenza permette la possibilità di esercizio di un sistema politico ed economico che si fonda sul lavoro e sul libero scambio commerciale. 11.3 Ferguson Pone particolare attenzione allo sviluppo della società e al passaggio tra i diversi stadi della civilizzazione, che ogni società deve compiere. Questi sono quattro stadi, che vengono definiti in base alla struttura economica che in essi prevale (questi sono, secondo lui, la caccia, la pastorizia, l’agricoltura e il commercio). Pone particolare attenzione allo stadio commerciale, in quanto suo contemporaneo. Esso è caratterizzato da un’ampia divisione sociale del lavoro, che si riproduce sia a livello dello Stato che a quello della società. Il lavoro, inoltre, si divide ormai in attività che sono sempre più specializzate e spersonalizzate. Egli ritiene che il destino delle società commerciali può essere sia di libertà che di tirannide, in base al fatto che la scelta sia o meno per una visione dell’individuo quale cittadino soldato, dove la virtù politica si realizza nella partecipazione diretta alla vita politica, contro il dispotismo della visione del lavoro. Ferguson rivendica l’importanza del far dominare la scena politica al “public spirit”, e propone la necessità del conflitto virtuoso tra i cittadini come garanzia di libertà. Critica la concezione giusnaturalistica del contratto e dello stato di natura, a cui oppone l’ideale della repubblica, che consiste in un’aspirazione che si basa sulla disposizione d’animo interiore alla virtù. 12.2 Paine Famoso per aver pubblicato la Dichiarazione di indipendenza per le colonie americane, basata sul principio del senso comune. Qui Paine discute dei rapporti tra madrepatria e colonie, denunciando la tirannide della monarchia inglese. Paine compie una distinzione tra società e governo: la società è il frutto dei bisogni dell’individuo; il governo nasce dalla perversità umana. Paine ritiene un governo perfetto un “male necessario”; tuttavia se il governo è imperfetto questo male diventa “intollerabile”. Da qui deriva l’esigenza delle colonie di rendersi indipendenti dalla costituzione inglese. Il governo migliore, secondo Paine, è quello repubblicano, e, secondo lui, è compito proprio delle colonie dimostrare al mondo che è possibile una nuova via, segnata da libertà e salvaguardia dei diritti umani. Paine afferma il primato della costituzione sul governo, in quanto essa è l’emanazione della volontà del popolo sovrano. Per quanto riguarda la rappresentanza, Paine intende con essa la vera volontà di tutta la nazione. 12 2.2 Saint-Simon Se il Settecento aveva voluto distruggere l’ordine sociale, ora si voleva gettare le basi di una costruzione nuova, per poter riportare la politica, la morale e la filosofia alla loro vera occupazione: costruire la felicità sociale, la cui garanzia è stata individuata nell’industria e concepita come l’unica fonte di ogni ricchezza e prosperità. La società industriale è l’unica dotata di un principio positivo d’azione, ossia la produzione di beni. La storia è l’alternarsi di epoche organiche, con rapporti sociali e politici armonici e integrati, e di epoche critiche, dove si dissolve l’organicità del sistema. Il progresso scientifico ha privato di legittimità l’organizzazione sociale del Medioevo e della prima età moderna: l’epoca contemporanea ha quindi bisogno di un nuovo ordine e una nuova legittimità. La filosofia politica ha il ruolo di individuale le leggi fondamentali della natura e della società. Anche la politica è riorganizzata in conformità con il nuovo sistema, e ora è interamente conoscibile ed affidata ad una classe che ha il compito di procurare tutte le regole generali di condotta. Si vuole così accrescere la ricchezza nazionale attraverso la produzione, e il fondamento di ciò è la cooperazione sociale. Il principale problema sociale ora si ha tra ceti produttivi e improduttivi (ceti tradizionali e privilegiati). Questo sistema rende superfluo il governo, che si deve trasformare in semplice amministrazione delle cose. In questo nuovo sistema nasce anche un nuovo cristianesimo, capace di realizzare il principio dell’amore del prossimo. 2.3 Comte Tende verso il modello di società organica che è stato tracciato dal pensiero della Restaurazione. Riprende il modello di società medievale vista come espressione storica di una società organica, e della storia moderna vista come il processo della sua progressiva dissoluzione. È improponibile ristabilire quello stesso sistema nel mondo contemporaneo, in quanto è un’epoca antecedente alla nascita delle scienze ed è quindi superata. Il sistema della società industriale si fonda sulla conciliazione tra ordine e progresso. Comte afferma la priorità dello sviluppo intellettuale su quello politico, e pensa che solamente quando tutte le scienze avranno raggiunto lo stato positivo allora il sistema del sapere potrà giungere a conclusione. Lo studio positivo è la conclusione di un processo storico che si articola in tre età distinte, le quali corrispondono a tre stadi di evoluzione interna alle scienze: ogni stadio è caratterizzato dalla diversa modalità di spiegazione dei fatti storici e naturali e una diversa concezione del mondo e del sistema sociale e produttivo: lo stadio teologico (passaggio dell’uomo dalla natura alla cultura); stadio metafisico (passaggio da entità mitiche e religiose ad entità astratte del pensiero filosofico); stadio scientifico (preferenza dell’osservazione dei fatti rispetto al ragionamento astratto). La filosofia positiva ha il compito di unificare i risultati delle scienze particolari e orientarli in una scienza della società, ossia la fisica sociale (o sociologia). Qui si oppone la tendenza disorganica, che attraversa le società di oggi, con quella organica positiva che caratterizza il sistema industriale. In quest’ultimo è necessario un coordinamento intellettuale, morale e politico, per superare l’antagonismo tra imprenditori e lavoratori. In ogni caso non si deve ostacolare il progresso. La filosofia positiva si trasforma in religione positiva, dove l’equilibrio tra ordine e progresso si sbilancia verso il primo: si pone al centro del sapere la morale e la religione, in quanto si vuole arrivare alla comprensione dell’umanità. Il positivismo di Comte, quindi, è una “religione dell’umanità”. 15 CAPITOLO 12: SOCIETÀ E NAZIONE 4. John Stuart Mill Nel primo tempo del suo pensiero Mill presenta una piena aderenza alle posizioni più radicali, salvo per arrivare ad una maggiore apertura in seguito. Ha un crescente interesse per la questione sociale e delle classi lavoratrici. Arriva addirittura a progettare forme di autogoverno e di organizzazione cooperativa su base volontaria dei produttori, dove Mill distingue tra la sfera della produzione e quella di distribuzione e scambio. Si apre la possibilità teorica di un intervento ridistribuivo da parte dello Stato, ma si vuole lasciare intatta la struttura della produzione capitalistica e della proprietà privata dei mezzi di produzione. 4.1 Libertà, personalità, rappresentanza Il ripensamento delle basi e della natura della libertà civile (o sociale) è necessaria, a causa del fatto che la tendenza che caratterizza tutti i mutamenti è quella di rafforzare la società e di diminuire il potere dell’individuo. L’unico caso in cui gli individui sono legittimati ad agire nella libertà di azione di chiunque è quello dell’autoproduzione. La tirannia della maggioranza è una tirannia sociale più potente di qualsiasi altra oppressione politica, dice Mill, in quanto sembra coincidere con le pressioni che vengono esercitati sul singolo individuo dall’opinione pubblica. La definizione di libertà presuppone un determinato modello di autonomia individuale, individuato da Mill nello stigma sociale. Questa è la principale minaccia che grava sull’autonomia. Lo spazio pubblico dell’opinione rischia quindi di diventare luogo di formazione di una mediocrità collettiva, che tende poi a soffocare il carattere dell’individuo. Il governo rappresentativo deve, secondo Mill, promuovere la riflessione intellettuale, lo spirito di intrapresa e il coraggio in modo da combattere la mediocrità: solo la piena valorizzazione politica di questi elementi può essere in grado di moderare gli eccessi e contrastare i pericoli del governo rappresentativo stesso. Mill sostiene che per rendere universale il suffragio è necessario che le classi più povere vengano tassate: sostiene che i diritti politici non possano essere riconosciuti a colo i quali non sono in grado di mantenersi con il proprio lavoro. Inoltre ammettere i diritti politici per tutti i lavoratori porta al rischio di una legislazione di classe imposta da una maggioranza numerica che appartiene ad una classe sociale. Per risolvere questo problema, e ritenendo comunque necessaria la rappresentanza delle minoranze, egli propone l’adozione del sistema proporzionale: si deve preverte un criterio di differenziazione del peso dei singoli elettori, e si deve attribuire una pluralità di voti ai membri di determinati gruppi sociali: le persone dotate di qualità superiori dovrebbero, secondo Mill, avere un’influenza superiore. I rappresentanti devono poi essere investiti di un mandato libero: non possono essere vincolati a seguire le istruzioni dei suoi mandanti. 4.2 La soggezione delle donne Mill condusse (senza successo) grandi battaglie per il suffragio femminile. Importante fu l’influenza femminile di sua moglie, Harriet Taylor, che aveva contribuito con i suoi scritti e impegno diretto alla promozione del movimento femminile per il diritto di voto, conosciuto come il movimento delle suffragette. Questo femminismo venne però contrastato sia da donne socialiste (le quali trovavano scorretto rivendicare solo l’uguaglianza civile e politica e non il rivoluzionamento dell’intera società borghese, che da quelle anarchiche, specialmente Emma Goldman. Lei si trovava in diretta polemica con il movimento suffragista, in quanto lei promuoveva un radicale egualitarismo e individualismo, e non si trovava d’accordo con la pretesa di affermare la superiorità morale delle donne. Mill, invece, aveva espresso diverse perplessità sulla piena libertà di accesso delle donne al lavoro e sulla messa in discussione dei ruoli domestici. Insisteva sull’origine storica della subordinazione della donna all’uomo, e più volte aveva affermato che la soggezione della donna all’uomo attraverso il matrimonio era una contraddizione rispetto alle tendenze liberali e democratiche della società progressiva. 5.2 Spencer Spencer riesce ad influenzare il discorso pubblico britannico della seconda metà del XIX secolo, inserendovi l’idea del progresso. Per questo motivo è possibile riconoscere le sue affinità con Charles Darwin, sopratutto sull’idea che a dominare gli sviluppi naturali, sociali e politici sia un unico principio evolutivo, in quanto l’evoluzione organizza e sociale si uniformano alla stessa legge. Il concetto di “evoluzione”, però si compone di un complesso sistema di reciproche influenze tra sviluppo della filosofia e delle scienze umane con le scienze naturali. È proprio da Spencer che Darwin riprende l’idea della selezione naturale e la formula della “sopravvivenza del più forte”. La materia, secondo Spencer, si organizza in aggregati via via più complessi e, allo stesso modo, si ha questo processo anche in ambito sociale. Si ha un un perfetto parallelismo tra il processo di differenziazione e il progredire della divisione del lavoro. Lo sviluppo storico viene da lui descritto come una traiettoria che conduce dalle società militari a quelle industriali, che è appunto l’obiettivo dell’evoluzione sociale. La società industriale è la realizzazione superiore dell’armonia sociale, dove gli individui vengono esonerati dagli aspetti più oppressivi del lavoro. Nella fase della storia a lui contemporanea, però, si attraversa un processo di selezione naturale, che porta alla legge della sopravvivenza del più adatto. Spencer crede che gli organismi biologici siano insieme concreti (un unico centro), mentre quelli sociali siano discreti, quindi discontinui e articolati in una moltitudine di centri di coscienza individuali. Si ha quindi una sua posizione individualistica, in cui riconosce il primato degli individui sulla totalità sociale. 5.3 Il darwinismo sociale Esso presenta elementi tratti dal liberalismo estremo, mantenendo una parte conservatrice, derivante dallo sviluppo del razzismo scientifico. In alcune sue varianti il darwinismo sociale arriva a contraddire l’individualismo presente in Spencer, sviluppando così le implicazioni elitistiche dell’organicismo e sostenendo il primato delle totalità collettive superiori (appunto le razze). Negli USA, tuttavia, il darwinismo sociale si sviluppa in modo differente, e consolida un’accezione “negativa” della libertà: essa è l’assenza di limitazioni esterne alla libera iniziativa individuale (è, quindi, intesa come libertà di contratto). Attraverso ciò si arriva a equiparare i diritti di cittadini bianchi e neri, e il fatto che gli afroamericani vivessero in condizioni di inferiorità sociale fu attribuito alle differenze naturali, dunque razziali. 16