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Riassunto "Manuale di Storia della scuola italiana", Sintesi del corso di Storia della scuola e istituzioni educative

Il documento riporta il riassunto del Manuale di Storia della scuola italiana, Dal Risorgimento al XXI secolo di Fulvio De Giorgi, Angelo Gaudio, Fabio Pruneri (eds.)

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021
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Manuale di Storia della scuola italiana
Le premesse
Ricostruzione per grandi linee della storia della scuola in Italia strutturata “a tre livelli”:
-Presentazione della situazione di partenza: negli Stati italiani, prima dell’Unità, con un taglio
sincronico e nell’articolazione delle diverse situazioni geografico-istituzionali
-Ricostruzione diacronica e parallela dello svolgersi storico dei diversi ordini e gradi scolastici
-Approfondimenti su problemi “trasversali” ritenuti di particolare importanza storica
Passaggi storici fondamentali per lo studio dell’appartato scolastico:
-Storia dei diritti e degli ideali politici in Occidente: il XVIII secolo ha portato l’acquisizione dei
diritti civili, il XIX dei diritti politici e il XX dei diritti sociali.
XVIII secolo - Rivoluzioni americana e francese e relative Costituzioni: si è affermata
l’uguaglianza giuridica (cioè si pone fine ai privilegi dell’antico regime e si ha una società in
cui tutti i cittadini sono uguali alla legge) che è alla base dei diritti civili (libertà, uguaglianza,
sicurezza e proprietà) e dunque delle libertà dell’uomo (di opinione, di stampa, di culto, di
coscienza, di associazione). Tali libertà devono essere riconosciute e garantite da una legge
fondamentale (Costituzione); la presenza della Costituzione fa si che ci sia un regime
liberale. In questo quadro: l’uguaglianza giuridica introduce la laicità delle istituzioni
pubbliche, viene riconosciuta la libertà d’insegnamento (perché questa libertà non sia solo
teorica, ci deve essere un interesse costituzionale che contrasti il monopolio dell’istruzione
detenuto dalla Chiesa. Tale interesse prevede la formazione della classe dirigente,
l’istruzione di base, la costituzione di un Istituto nazionale che riunisca i dotti).
Nell’età della Restaurazione prevale un clima controrivoluzionario (che nega
l’uguaglianza), perciò le diverse ondate di moti (1820-1821, 1830-1831) hanno un carattere
liberale e reclamano la Costituzione. Il liberalismo però prevede che la politica non sia
svolta da tutti, ma da una classe dirigente selezionata solo dai cittadini veramente liberi.
Perciò il voto può essere esercitato solo da chi appartiene a un ceto sociale medio-alto o
da chi ha un titolo di studio, supponendo così che il voto sia esercitato liberamente e non
sia comprato da altri. (elettorato attivo e passivo). Es. Cavour
XIX secolo: sviluppo delle correnti politiche democratiche che chiedono l’uguaglianza
politica: il voto deve essere un diritto di ogni cittadino. Infatti il suffragio universale è il
segno di un regime democratico. Es. Mazzini. (Nel corso dell’Ottocento vi sono contrasti tra
liberali e democratici. A fine Ottocento si sviluppa il pensiero politico “elitista”, fortemente
antidemocratico.) I processi storici principali vanno verso: l’affermazione di diritti politici e
civili, un’uguaglianza politica e giuridica, un’affermazione democratica orientata verso il
popolo. Il suffragio universale è collegato all’obbligo di istruzione: se tutti devono votare,
tutti devono essere in grado di leggere e scrivere.
XX secolo: i movimenti sociali del Novecento (m. socialista, m. cattolico-sociale, m. laici di
democrazia sociale) non richiedono solo di un’uguaglianza giuridica e politica, ma anche di
quella sociale (o almeno una riduzione delle disuguaglianze sociali). C’è chi ha avversato
questi processi da un punto di vista di conservatorismo sociale, ma le linee prevalenti sono
state: totalitarismi che proponevano forme “sociali” (apertura ai diritti sociali e
all’uguaglianza sociale ma senza libertà e senza democrazia); forme di democrazia sociale
o di socialdemocrazia (allargamento delle posizioni liberali democratiche all’uguaglianza
sociale, conservando diritti e libertà civili). L’istruzione è vista come strumento per ridurre le
diseguaglianze sociali: scolarizzazione di massa, sostegno per consentire ai meritevoli e
capaci di studiare all’università.
Ultimo decennio del XX secolo: l’attenzione ai diritti sociali e all’uguaglianza sociale si è
notevolmente affievolita in tutto l’Occidente. Si è diffuso un liberalismo antisociale e
antidemocratico. Di conseguenza, istruzione è sempre meno concepita come diritto della
persona.
-Il lungo Ottocento, secolo europeo.
[Si possono distinguere un lungo ottocento (date “simbolo” 1989-1914), un breve novecento
(dall’età dei totalitarismi fino all’abbattimento del muro di Berlino) e un’età presente (=età della
globalizzazione neoliberale).]
In questo periodo la civiltà europea “europeizza” in maniera decisiva il pianeta (colonialismo e poi
imperialismo). Tale europeizzazione ha due assi: lo Stato (tutte le terre fanno parte di uno stato:
frontiere definite, nome, bandiera, governo) e il Mercato (tutte le attività economiche ora sono
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Manuale di Storia della scuola italiana

Le premesse

Ricostruzione per grandi linee della storia della scuola in Italia strutturata “a tre livelli ”:

- Presentazione della situazione di partenza: negli Stati italiani, prima dell’Unità, con un taglio

sincronico e nell’articolazione delle diverse situazioni geografico-istituzionali

- Ricostruzione diacronica e parallela dello svolgersi storico dei diversi ordini e gradi scolastici

- Approfondimenti su problemi “trasversali” ritenuti di particolare importanza storica

Passaggi storici fondamentali per lo studio dell’appartato scolastico:

- Storia dei diritti e degli ideali politici in Occidente : il XVIII secolo ha portato l’acquisizione dei

diritti civili, il XIX dei diritti politici e il XX dei diritti sociali.

  • XVIII secolo^ - Rivoluzioni americana e francese e relative Costituzioni: si è affermata l’uguaglianza giuridica (cioè si pone fine ai privilegi dell’antico regime e si ha una società in cui tutti i cittadini sono uguali alla legge) che è alla base dei diritti civili (libertà, uguaglianza, sicurezza e proprietà) e dunque delle libertà dell’uomo (di opinione, di stampa, di culto, di coscienza, di associazione). Tali libertà devono essere riconosciute e garantite da una legge fondamentale ( Costituzione ); la presenza della Costituzione fa si che ci sia un regime liberale. In questo quadro: l’uguaglianza giuridica introduce la laicità delle istituzioni pubbliche, viene riconosciuta la libertà d’insegnamento (perché questa libertà non sia solo teorica, ci deve essere un interesse costituzionale che contrasti il monopolio dell’istruzione detenuto dalla Chiesa. Tale interesse prevede la formazione della classe dirigente, l’istruzione di base, la costituzione di un Istituto nazionale che riunisca i dotti). Nell’età della Restaurazione prevale un clima controrivoluzionario (che nega l’uguaglianza), perciò le diverse ondate di moti (1820-1821, 1830-1831) hanno un carattere liberale e reclamano la Costituzione. Il liberalismo però prevede che la politica non sia svolta da tutti, ma da una classe dirigente selezionata solo dai cittadini veramente liberi. Perciò il voto può essere esercitato solo da chi appartiene a un ceto sociale medio-alto o da chi ha un titolo di studio, supponendo così che il voto sia esercitato liberamente e non sia comprato da altri. (elettorato attivo e passivo). Es. Cavour
  • XIX secolo : sviluppo delle correnti politiche democratiche che chiedono^ l’uguaglianza politica : il voto deve essere un diritto di ogni cittadino. Infatti il suffragio universale è il segno di un regime democratico. Es. Mazzini. (Nel corso dell’Ottocento vi sono contrasti tra liberali e democratici. A fine Ottocento si sviluppa il pensiero politico “elitista”, fortemente antidemocratico.) I processi storici principali vanno verso: l’affermazione di diritti politici e civili , un’uguaglianza politica e giuridica , un’affermazione democratica orientata verso il popolo. Il suffragio universale è collegato all’ obbligo di istruzione : se tutti devono votare, tutti devono essere in grado di leggere e scrivere.
  • XX secolo : i movimenti sociali del Novecento (m. socialista, m. cattolico-sociale, m. laici di democrazia sociale) non richiedono solo di un’ uguaglianza giuridica e politica, ma anche di quella sociale (o almeno una riduzione delle disuguaglianze sociali). C’è chi ha avversato questi processi da un punto di vista di conservatorismo sociale, ma le linee prevalenti sono state: totalitarismi che proponevano forme “sociali” (apertura ai diritti sociali e all’uguaglianza sociale ma senza libertà e senza democrazia); forme di democrazia sociale o di socialdemocrazia (allargamento delle posizioni liberali democratiche all’uguaglianza sociale, conservando diritti e libertà civili). L’istruzione è vista come strumento per ridurre le diseguaglianze sociali : scolarizzazione di massa, sostegno per consentire ai meritevoli e capaci di studiare all’università.
  • Ultimo decennio del XX secolo : l’attenzione ai diritti sociali e all’uguaglianza sociale si è notevolmente affievolita in tutto l’Occidente. Si è diffuso un liberalismo antisociale e antidemocratico. Di conseguenza, istruzione è sempre meno concepita come diritto della persona.

- Il lungo Ottocento, secolo europeo.

[Si possono distinguere un lungo ottocento (date “simbolo” 1989-1914), un breve novecento (dall’età dei totalitarismi fino all’abbattimento del muro di Berlino) e un’età presente (=età della globalizzazione neoliberale).] In questo periodo la civiltà europea “ europeizza ” in maniera decisiva il pianeta (colonialismo e poi imperialismo). Tale europeizzazione ha due assi: lo Stato (tutte le terre fanno parte di uno stato: frontiere definite, nome, bandiera, governo) e il Mercato (tutte le attività economiche ora sono

collegate). Le rivoluzioni industriali, dovute dall’interconnessione tra scienza-industria-tecnologia (crescita delle comunicazioni, dei trasporti all’esportazione, aumento nei consumi di massa), portano al dualismo economico (paesi sviluppati/paesi sottosviluppati, nord/sud, paesi dominanti/ paesi dipendenti oppure paesi ricchi/paesi poveri). Idea di Progresso : economico, culturale, sociale, civile (es. Alfabetizzazione). Il lungo ottocento è caratterizzato dalla “ modernizzazione ”; per esempio vi è la costituzione di sistemi scolastici. Per l’Italia l’Ottocento ha un valore decisivo: sorge, si sviluppa e trionfa il Rinascimento; conclusione con la proclamazione del Regno d’Italia.

  • (^) La storia costituzionale italiana. [La Costituzione della ripubblica fa sì che la scuola acquisisca un profilo costituzioni; stesa nella seconda parte del 1946 e nel 1947, è entrata in vigore il 1 gennaio 1948.] Vi sono tre momenti storici fondamentali antecedenti il 1948 :
    • Fine del XVIII secolo : le^ Repubbliche giacobine^ italiane sono nate in seguito all’intervento francese e all’insegna dei principi dell’89. Queste costituzioni si ispirano alla Costituzione francese del 1795, si possono considerare, sul piano ideale, liberali , si occupano tutte dell’istruzione dei cittadini. (Vedi pag. 14, 15). Un’appendice storica sono gli Statuti costituzionali del periodo napoleonico: nei nove successivi statuti la parte relativa all’ istruzione pubblica scompare. Questo momento storico finisce con la caduta di Napoleone e con il congresso di Vienna
    • Moti liberali dell’età della Restaurazione : Costituzione del Regno delle due Sicilie, del Regno di Sardegna, delle Province Unite Italiane. Queste costituzioni hanno vita effimera e sono spazzate via dalla Santa alleanza, con la sua ideologia illiberale e autocratica. -^1848 : primavera dei popoli, avvio della prima guerra d’indipendenza. Si hanno la Costituzione del Regno delle due Sicilie, lo Statuto del Regno di Sicilia, lo Statuto dello stato pontificio, la Costituzione della Repubblica Romana, del Ducato di Parma, lo Statuto del Regno di Sardegna. Queste Costituzioni cadono dopo la sconfitta italiana nella prima guerra d’indipendenza. Sul piano della rilevanza storica sopravvivono: lo Statuto del Regno di Sardegna (concesso da Carlo Alberto e perciò chiamato Statuto Albertino), in cui non si accenna alla scuola, e la Costituzione della Repubblica Romana del 1849, in cui si afferma che l’insegnamento è libero. Il fascismo progressivamente svuota lo statuto Albertino e di fatto cancella le libertà civili. Il re Vittorio Emanuele III, che dovrebbe essere il garante della costituzione, non si oppone a questa distruzione: le sue corresponsabilità nella costruzione del sistema totalitario sono il fattore che orienterà gli italiani a votare per la Repubblica referendum del 2 giugno 1946 (nella stessa data si elegge l’assemblea costituente)
  • (^) La Costituzione del 1948 : è la seconda costituzione dell’Italia unita, dopo lo statuto Albertino. Cambia la forma dello stato in repubblica e passa da un impianto liberale a uno democratico e sociale. Articoli che danno valore e identità alla scuola: - Principi fondamentali (artt. 1-12): il secondo comma dell’ art. 3^ costituisce l’architrave di tutta la visione costituzionale dell’educazione (pieno sviluppo della persona umana), stabilisce il compito della Repubblica : essa deve rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana. Il primo comma dell’ art. 9 : la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Il primo comma dell’ art. 10 : L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. Combinando il primo comma dell’art. 3 e degli artt. 7 e 8 si configura la forma costituzionale italiana del principio di laicità. - Parte I - Diritti e doveri dei cittadini: nel titolo II - rapporti etico-sociali - vi sono degli articoli dedicati alla scuola. Art. 30 : È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire e e educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio. Art. 33 : L’insegnamento è libero; la Repubblica detta le norme sull’istruzione e istituisce scuole statali; enti e privati possono istituire scuole; la legge deve assicurare alle scuole non statali la piena libertà; vi è un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi o per la conclusione di essi... Art. 34 : la scuola è aperta a tutti; l’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita; i capaci e meritevoli hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi (borse di studio, assegni alle famiglie). Nel titolo III - Rapporti economici - il secondo comma dell’ art. 35 : La Repubblica cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori. Nel titolo V - Le regioni, le Province, i Comuni - all’ art. 117 si affida alla regione la competenza su istruzione artigiana e professionale e assistenza scolastica. Terzo comma dell’ art. 38 : gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale.
  • (^) Le quattro stagioni politico-istituzionali dell’Italia unita (dal 1861 a oggi):
    • Monarchia liberale (1861-1922)
    • Monarchia totalitaria fascista (1922-1943)

l’intero sistema scolastico, impone l’obbligo di istituire in tutte le città una scuola per istruire i fanciulli. La disposizione integrata il 19 luglio 1827 stabilisce nuove norme disciplinari, criteri per l’accertamento della idoneità dei maestri, dichiara la gratuità dell’insegnamento elementare. Le nuove norme però non stabiliscono sanzioni per i comuni inadempienti, non prevedono fondi per le amministrazioni in condizioni di ristrettezze economiche, non rivolgono attenzione nei confronti dell’insegnante, del loro trattamento economico e della loro formazione. Il Regolamento del 1822 , riaffermando l’intendimento del governo di stabilire la scuola su un sistema religioso, accontenta così i liberali, obbliga i comuni a istituire a proprie spese scuole elementari in tutti i borghi. Tale Regolamento diventerà più rigido con l’emanazione del 1926 delle Regie Patenti, le quali disciplinano in maniera rigida l’insegnamento privato, consentito solo dai parroci (e vietato dai non cattolici). L’iniziativa privata piemontese non si afferma con lo stesso dinamismo che caratterizza la sua affermazione in Lombardia e in Toscana poiché l’asportazione ad un rinnovamento educativo è avvertita da pochi spiriti liberali. Anche il movimento in favore degli asili infantili si sviluppa il Piemonte con maggiore lentezza rispetto al Lombardo-Veneto. L’interesse degli aristocratici per l’educazione del popolo è prevalentemente legata a motivi di ordine sociale, economico, politico e religioso: la plebe educata è più produttiva, più morale. Nel 1837 , Maurizio Farina , fondatore degli asili a Mantova, fonda il primo asilo a Rivaloro Canavese e, nel 1838 , la società degli asili infantili; l’iniziativa è approvata da Carlo Alberto che impone però l’affido degli asili alle Suore della Carità di Rivaloro. La diffusione degli asili , inizialmente, incontra notevoli resistenze. La politica di Carlo Alberto finisce col determinare una rapida diffusione degli asili aportiani in tutto il Piemonte anche grazie a Carlo Boncompagni (quest’ultimo considera l’istruzione infantile fondamento a quella di tutta l’educazione). Nel 1845 il periodico “ l’educatore primario ” comincia la sua propaganda a favore dell’istruzione popolare. Un miglioramento delle condizioni scolastiche, sia riguardo alla preparazione degli insegnanti sua riguardo ai sussidi, si deve alla fondazione di una Scuole superiore di metodo del 1844. Accanto a tale scuola, l’anno seguente, si attivano le scuole provinciali di metodo , destinate alla preparazione dei maestri. Invece il decreto del 1946 definisce il programma e stabilisce le norme per sostenere l’esame di idoneità. La nomina a Magistrato della Riforma del marchese Alfieri segna il sopravvento delle idee liberali nel campo dell’insegnamento e l’assunzione da parte del governo di maggiori responsabilità. Si stabilisce che nelle scuole elementari si diano l’istruzione e l’educazione necessarie a tutti i cittadini indistintamente. Le Regie Patenti emanate il 30 novembre del 1847 sopprimono il Magistrato della Riforma sopra gli studi, la deputazione agli studi di Genova, istituendo al posto di questi organismi un apposito dicastero, la Regia Segreteria di Stato per l’istruzione pubblica (funzione: promuovere il progresso del sapere, provvedere in ogni parte all’amministrazione degli istituti e stabilimenti appartenenti all’insegnamento ed alla pubblica educazione). Il 2 agosto 1848 Carlo Alberto, con il decreto n. 818 del 4 ottobre 1848, riorganizza la pubblica istruzione degli Stati sardi. Si tratta della legge Boncompagni , presentata mentre il regno era nella prima guerra d’indipendenza. Il nuovo assetto accentra allo stato il controllo della pubblica istruzione, prevede una progressiva laicizzazione delle scuole, abolisce i privilegi degli ordini religiosi riguardo all’insegnamento, non sottende un orientamento antireligioso. Il nuovo sistema riafferma l’obbligatorietà e la gratuità dell’istruzione primaria, prevede che le scuole elementari siano divise in inferiori (durata di due anni; insegnamento di catechismo, leggere, scrivere, aritmetica, principi della lingua italiana) ed in superiori (frequenza di due anni; insegnamento della grammatica, dei componimenti Italia, aritmetica, geometria, scienze naturali, storia e geografia) e che le scuole post-elementari siano distinte in speciali (preparano all’esercizio di quelle professioni per cui non serve un’istruzione universitaria) e secondarie (si insegnano le lingue antiche, straniere, filosofia, scienze; cioè discipline che preparano per gli studi universitari). Nella successiva legge del 4 ottobre 1848 si istituiscono nei convitti dei corsi speciali destinati ai giovani che non intendono dedicarsi agli studi classici; inoltre vi è la disposizione per le scuole elementari del principio di rotazione degli insegnanti (che devono seguirei gli allievi per l’intera durata del corso). L’opera riformatrice del Boncompagni , cui è da attribuire il merito di aver stabilito criteri e programmi ben precisi, è per molti considerata insufficiente: mancanza di istituzione di scuole medie non fondate sul latino e rivolte alla preparazione per l’esercizio delle professioni tecniche e dei mestieri; le insufficienze dei provvedimenti riguardanti la preparazione dei maestri e le scuole di metodo; il problema dell’educazione femminile; il problema della formazione delle maestre. Le Istituzioni , che intendono istituire scuole quotidiane serali e scuole festive diurne a favore degli adulti, suddividono le scuole primarie in elementari (insegnamento della dottrina cristiana e della

storia sacra, dell scrittura e lettura, dei principi della lingua italiana, dell’aritmetica, dei pesi e delle misure) e superiori (insegnamento della religione, della grammatica italiana, delle nozioni di diritto costituzionale, nozioni del codice civile, delle nozioni di geografia, della storia patria, dei principi di economia domestica e rurale, dei principi di igiene pubblica e privata, dell’aritmetica applicata all’agricoltura e al commercio, delle scienze naturali). Giovanni Lanza , che afferma che la scuola “è il fondamento d’ogni coltura ed il principale sostegno degli ordini civili e politici dello stato”, emana una legge il 22 giugno 1857 : Riordinamento dell’Amministrazione Superiore della Pubblica Istruzione (orientata ad accentrato allo Stato qualsiasi affare relativo all’istruzione, che è lo strumento per costruire una solida identità nazionale).

Asili nido e scuole dell’infanzia nella scuola italiana

Introduzione A partire dalla seconda metà del 900, in Europa e nell’America settentrionale, vi è stato un crescente sviluppo di istituzioni e agenzie educative per la cura e l’educazione della prima infanzia (prima svolte a carico della famiglia o delle reti di supporto del vicinato e della comunità più prossima alla famiglia). Un soggetto politico pubblico ha sempre giocato un ruolo importante a livello legislativo e decisionale, economico e di generale supervisione organizzativa in queste istituzioni. Questo ruolo pubblico è cresciuto negli ultimi anni del 900 grazie a varie ragioni, tra cui il riconoscimento dell’importanza dell’educazione prescolare per l’integrazione e l’inclusione dei nuovi immigrati. Tre precisazioni per quanto riguarda i servizi educativi per la prima infanzia in Italia (fascia di età che va dai primi mesi di vita ai sei anni = 0-6):

  • (^) Non vi è traccia di alcun intervento sistematico fino alla fine degli anni 60 e nei primi anni 70 del 900. Prima non vi era un vero e proprio sistema educativo, ma una soluzione episodica a un problema sociale (accudimento della prima infanzia quando la famiglia non è in grado di offrirlo a tempo pieno)
  • (^) Per molto tempo l’infanzia non è stata pensata come soggetto da educare, ma come oggetto da accudire (questo accudimento non veniva considerato come intervento sociale, quindi non apparteneva a una dimensione scolastica)
  • (^) Visto che non vi era un’appartenenza a un sistema educativo scolastico, le strutture per l’infanzia 0-3 e 3-5 sono state indipendenti tra loro e non comunicanti l’una con l’altra. Una volta entrati a far parte di un universo pedagogico, sono comunque rimaste assegnate a aree diverse (igienico-sanitaria le prime e scolastico-educativa le seconde) Ai primi del 900 , con la scuola materna delle sorelle Rosa e Carolina Agazzi e la “casa dei bambini” di Maria Montessori, le scuole dell’infanzia vengono considerate vere proprie scuole. Invece gli asili nido diventano strutture educative sono a partire dei primi anni 70. A differenza quindi delle scuole materne, la nascita delle prime forme di asilo nido non ha motivazioni pedagogiche, ma sociali: a un certo punto si sente la necessità di un luogo di custodia e di assistenza per i bambini al di sotto dei tre anni, figli di madri lavoratrici. La nascita di una scuola dell’infanzia nell’ In Europa all’inizio dell’ottocento, gli intellettuali italiani di estrazione cattolica, più sensibili alle tematiche sociali, rendono possibili le prime esperienze di asili (A-sylon: assenza di pericolo). Questi asili erano strutture che, all’insegna della carità privata, potevano accudire le madri delle famiglie povere, supportandole nella cura e nell’allevamento dei figli più piccoli. Il problema era sentito maggiormente in Piemonte e Lombardia, dove lo sviluppo della moderna agricoltura intensiva e delle attività manifatturiere e industriali e il crescente lavoro a domicilio impegnavano contingenti sempre pieno numerosi di manodopera femminile. Il termine “Asilo” inizia a essere usato in Italia intorno agli anni 30 per indicare un’istituzione assistenziale ed educativa pensata per la seconda infanzia (3-6 anni). Il primo asilo di carità per l’infanzia fu aperto a Cremona nel 1829 dal sacerdote Aporti ; i suoi asili erano nati per evitare l’accattonaggio e il vagabondaggio. Essi servivano per preparare i bambini alla scuola elementare, curandone lo sviluppo fisico, intellettuale e morale; erano organizzati come una scuola con i banchi

Primi tentativi per offrire servizi finalizzati principalmente ad alleviare la vita quotidiana delle famiglie povere e a prevenire la prassi dell’esposizione degli infanti, ancora molto frequente: nel 1844, a Parigi, l’avvocato e filantropo Jean Firmin Marbeau mette in cantiere un istituzione diurna (“crèche”, letteralmente mangiatoia”) di accoglimento del bambino delle classi povere; nel 1849 anche a Vienna appaiono i primi asili sull’esempio di quanto accaduto a Parigi. In Italia, le educatore milanese Giuseppe Sacchi avvia il progetto del “ Pio ricovero per bambini lattanti “ aperto Milano nel 1850 : tali “ricoveri“ sono strutture destinate principalmente alla custodia della prole delle operaie impiegate stabilmente in manifatture e fabbriche della città. L’istituzione di Sacchi è avviata in collaborazione con Laura Solera Mantegazza che cura l’organizzazione della vita dell’istituto, coordinando il personale di custodia e i rapporti con l’esterno per eventuali visite e accertamenti sanitari, e che si preoccupa che la scuola diventi un’istituzione davvero cittadina e non solo limitata alla sfera privata di chi la finanzia. Tale modello si diffonde a macchia d’olio per tutta la seconda metà dell’ottocento , soprattutto nelle città dell’Italia settentrionale, incontrando però notevoli difficoltà legate in parte agli alti costi del servizio e in parte all’altissima discontinuità e presenza di bambini. I principali utenti sono il ceto urbano delle lavoratrici a domicilio e le salariate giornaliere occupate in maniera saltuaria. L’esperienza è positiva in quanto ha contribuito anche ridurre la mortalità infantile. Per risollevare il problema delle assistenze delle madri lavoratrici per l’allenamento, contemporaneamente, c’è stata la diffusione degli asili aziendali : strutture organizzate all’interno delle fabbriche, al fine di custodire i bambini delle dipendenti e per consentire l’allattamento con il minor dispendio di tempo. Questo asilo quindi non nasce con finalità pedagogiche, ma nell’interesse economico dell’azienda. Un esempio di questo asilo è quello dell’industriale e senatore Alessandro Rossi a Vicenza. Questi asili nascono per fini assistenziali e legati al problema dell’allattamento , senza preoccupazioni di tipo educativo. In queste istituzioni, che svolgono un ruolo surrogato per le madri lavoratrici a basso reddito, non è richiesta alcuna preparazione professionale specifica al personale femminile facente funzioni della madre. A Mantova nel 1905 , nasce l’ “Istituto pro lattanti e slattati” , per opera del medico Ernesto Soncini. Una delle sue opere più famose, il memoriale del neonato, pubblicato nel 1908 , costituisce il primo modello di libretto sanitario della storia della pediatria italiano. A partire da questa data, nasce una cultura dell’asilo nido come presidio territoriale di base per i servizi socio- assistenziali per la maternità e l’infanzia. Tra il 1905 il 1924 c’è un consolidamento e un’espansione di tali iniziative: i nidi sul modello Soncini si diffondono presso molti ospedali, cliniche pediatriche e scuole di puericultura con l’obiettivo di superare i problemi legati alle malattie infantili e alla mortalità. La svolta del fasciamo: la scuola materna e l’asilo nido dell’ONMI Durante il fascismo, per la prima volta nella storia, la scuola materna e l’asilo si trovano riordinati quasi contemporaneamente: con la riforma gentile del 1923 la prima e con l’istituzione dell’ Opera Nazionale Maternità e Infanzia il secondo nel 1925. La scuola materna Con il decreto del 6 maggio 1923 si ufficializzano i giardini d’infanzia di ispirazione froebeliana e le case dei bambini di d’ispirazione Montessoriana, obbligando ogni istituto preposto alla formazione delle future maestre di averne uno per le attività di tirocinio. Successivamente, si normalizzano le adozioni dei libri di testo nelle scuole elementari e nelle scuole popolari pubbliche e private, si riorganizza la scuola elementare introducendo l’obbligatorietà dell’ istruzione religiosa e si classificano i gradi dell’istruzione elementare. Il primo grado (preparatorio) è costituito dalla scuola materna (durata di tre anni), non è obbligatorio, ha un carattere ricreativo e non educativo, si propone di disciplinare le prime manifestazioni del carattere e dell’intelligenza del bambino. Nell’ordinanza ministeriale dell’ 11 dicembre 1923 , Orari e programmi e prescrizioni didattiche , si stabiliscono le discipline di insegnamento: canto, audizione musicale, disegno spontaneo, giochi ginnastici, esercizi di costruzione, giardinaggio, allevamento di animali domestici, preghiere e nozioni fondamentali della dottrina cristiana. L’orario settimanale è di 35 ore. Con il regio decreto 31 dicembre 1923 il grado preparatorio viene denominato “ scuola materna ” e vengono trasferiti ufficialmente la vigilanza e la tutela del settore al Ministero della pubblica istruzione , e non più ad altri organi dello Stato; viene stabilito che le insegnanti abbiano il titolo di abilitazione all’insegnamento di questo grado. Tutte le norme relative

al grado preparatorio confluiscono nel Testo unico dell’istruzione elementare ( 22 gennaio 1925 ). In questo testo, non è però dichiarata obbligatoria l’istituzione di scuole apposite da parte dello Stato o del Comune; la frequenza a tali scuole non è obbligatoria. Il modello pedagogico della scuola materna voluta da Gentile e messo in atto da Giuseppe Lombardo Radice è il metodo delle sorelle Agazzi, però più malleabile e meno strutturato dal punto di vista applicativo. Il metodo Montessori si propone finalità diverse rispetto alle declaratorie sull’educazione del regime (i suoi piani sono pacifisti e umanitari, contrari all’indottrinamento autoritario, nazionalistico e paramilitare del regime); inoltre sembra agnostico se non ateo. Il programma della scuola materna è appunto preparatorio ai programmi della scuola elementare divisa in 2 gradi (anche essi poco coerenti e destinati nel 1934 a essere sostituiti dai programmi del ministro Francesco Ercole). La Carta della Scuola del 1939 , mai attuata, prevede la riduzione di un anno della scuola materna, a dimostrare il disinteresse del regime fascista proprio per quell’età. Il fascismo e la risposta ai bisogni sociali come costruzione del consenso: il ruolo dell’Opera Nazionale Maternità e Infanzia (ONMI) Due anni dopo il riordino della scuola materna, gli asili nido hanno un grosso impulso con la nascita dell’ONMI (organizzazione istituita con il Regio Decreto il 10 dicembre 1925 , modificata e poi definitivamente normata con il Regio Decreto del 24 dicembre 1934). L’ONMI ha funzionalità di sostegno alle madri lavoratrici, principalmente rivolgendosi a soggetti di classe povera (quindi non aveva solo l’obiettivo di aprire e gestire degli asili nido); tale organizzazione infatti è il primo organismo parastatale con lo scopo di promuovere iniziative assistenziali per la protezione e l’assistenza della maternità e dell’infanzia. La legge attribuisce esplicitamente a tale organizzazione il compito di proteggere e assistere : le madri bisognose, i bambini abbandonati, famiglie bisognose, fanciulli fisicamente o psichicamente anomali, i delinquenti. Si può notare che la prima infanzia equiparata, come problema sociale, alla disabilità e alla criminalità infantile. L’ONMI si occupa anche di promozione di scuole teorico-pratiche di puericultura, dell’organizzazione della profilassi antitubercolare dell’infanzia e della vigilanza sull’applicazione di ogni disposizione legislativa e/o regolamentare in vigore per la protezione della maternità e dell’infanzia. Vi è una condizione “ premiale ” che permette di accedere ai servizi solo alle madri “meritevoli”, cioè quelle che sono disposte ad allattare e quelle che si sottomettono al controllo dei propri comportamenti quotidiani e della propria moralità. L’ articolo 11 dell’ONMI afferma che “l’asilo è un servizio della comunità per i figli dei lavoratori o per bambini di famiglie gravemente impedite di attendere alla loro cura”. La struttura prevede una rigida distribuzione degli spazi in tre ambienti: il dormitorio, il refettorio e una zona gioco. I locali sono ampi in personali e personale è vestito di bianco: richiamo l’immagine di tipo infermieristico e non educativo o ludico-creativo. L’attenzione degli educatori, rivolta alle diete e all’igiene del corpo, è figlia di un’epoca nella quale la prima infanzia non è pensata come necessitante di una crescita nella sua globalità, ma come uno stato di minorità da accudire e custodire. Conclusione Durante il periodo fascista vi è una saldatura tra le due fasce di età 0-3 e 3-6 che non è frutto di una scelta politica intenzionale, culturalmente e pedagogicamente fondata, ma più che altro un effetto casuale della soluzione data a due problemi concettualmente ancora separati. L’accudimento previsto per la prima fascia è concepito come una prestazione di tipo sociale assistenziale , mentre la seconda fascia è una preparazione alla vita scolastica che si realizza nella scuola elementare. La prosecuzione dell’esistente nei primi due decenni dalla Repubblica Il dibattito sull’asilo nido Caduto il fascismo, non cadono però molte delle istituzioni che il fascismo ha implementato: i nidi ora ex ONMI perseguono la loro attività, affiancati dagli asili aziendali. Infatti nel 1950 , la legge denominata Tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri disciplina l’obbligo dei datori di lavoro di istituire sia camere di allattamento (stanze destinate alla custodia dei bambini lattanti nelle quali si recano le madri due volte al giorno per l’allattamento) sia asili nido (spazi sempre

rappresentanza presso il consiglio superiore della pubblica istruzione. Il personale è femminile (vincolo che dura fino al 1983), fornito da diploma. Tutte le forme di istruzione pre-elementare per la fascia tre-sei anni, per esempio i giardini d’infanzia, diventano scuole materne statali. A causa della instabile situazione politica, gli Orientamenti arrivano un anno dopo ( 1969 ): rifiuto del concetto di programmi per questo segmento scolastico; si mantiene la dizione “orientamenti” per una formazione cognitiva e socio-affettiva aperta più che disciplinare; centrali le esigenze affettive del bambino; collaborazione tra famiglia e scuola per mantenere una continuità dei ritmi di vita. È garantita la libertà di insegnamento. L’educazione deve essere religiosa, affettiva, emotiva, morale e sociale; il gioco e le attività devono essere costruttive e di vita pratica; l’educazione deve essere intellettuale, linguistica; ci deve essere libera espressione grafico-pittorica e plastica; educazione musicale; educazione fisica; educazione sanitaria. L’asilo nido comunale Nel 1971 si giunge alla legge Piano quinquennale per l’istituzione degli asili nido comunali con il concorso dello Stato : rappresenta il provvedimento delle politiche sociali per l’infanzia in quanto riconosce a tutti i bambini e alle bambine il diritto di accedere la asilo nido. Il periodo in cui nasce la cultura del nido come servizio pubblico è lo stesso in cui viene generato il principio dello stato sociale, vi è il decentramento dei poteri, vi è il riconoscimento degli stessi diritti e doveri tra uomo e donna. Soggetti sociali e politici hanno influito per la nascita dell’asilo nido: le donne , che tramite le loro organizzazioni difendono al lavoro extra domestico come momento di emancipazione, rivendicando l’istituzione di servizi sociali che rendano questa istanza una realtà; i sindacati confederali (sensibili nel collegare funzionalmente il tema dell’occupazione con quelli dell’emancipazione femminile, da cui la necessità di attuare riforme per implementare servizi ancora non esistenti); i partiti di sinistra (comunista e socialista) e alcuni settori del cattolicesimo sociale e della sinistra democristiana , impegnati sul tema dell’uguaglianza sociale; gli enti locali che intendono attivare rapporti più snello e immediati tra pubblici poteri e cittadini. Novità riguardanti la legge 1044: riconosce finalmente a bambini e bambine il diritto all’educazione e all’assistenza (i bambini non sono più trattati come semplici membri di una famiglia); stabilisce il principio del finanziamento pubblico di queste istituzioni, mediante l’istituzione di un fondo speciale (non è più una faccenda privata); i nidi non sono più collegati a uno specifico luogo di lavoro, ma un territorio (diventano servizi sociali pubblici rivolti a tutte le famiglie); gli asili nido finanziati pubblicamente dallo stato passano sotto il controllo delle amministrazioni locali (regioni e comuni); allo Stato compete il finanziamento; alle regioni il coordinamento e ai comuni la gestione. Questo è un indicatore di modernità e di lungimiranza politica, però mancano i termini di una qualità educativa del servizio; infatti l’unico riferimento in proposito è contenuto nell’ articolo 6 in cui si prevede che gli asili nido debbano essere dotati di personale qualificato e idoneo a garantire l’assistenza sanitaria e psico-pedagogica del bambino. Aspetti positivi della legge, legati all’avvio di un lento superamento della versione custodialistico- assistenziale: riconosce l’infanzia come presenza storica e provvede a difenderla; assicura pari opportunità formative a tutta l’infanzia; si lascia alle spalle l’assistenzialismo degli Enti di carità e lo spirito dei nidi ex ONMI per iniziare un cammino di educazione; affida coordinamento e gestione non a enti parastatali, ma a quelli locali; fa si che la successiva legislazione regionale delinei un’idea di nido unitaria e omogenea per una ti riguarda le finalità formative e l’assetto istituzionale. Aspetti negativi della legge, legati all’inefficace applicazione della legge: dopo 5 anni dall’entrata in vigore della legge, sono stati attivati solo il 10% dei nidi preventivati; si assiste a una divaricazione tra Nord e Sud; l’asilo pubblico ha alti costi di gestione; la burocratizzazione (orari, modalità del pasto...) irrigidisce il modello formativo. Alcuni anni dopo, sorge la necessità di un modello più elastico, qualificato come educativo, efficiente ed efficace. Tra il 1972 e il 1974 sono state emanate 21 leggi regionali ; per comprendere la loro importanza bisogna tenere in considerazione i mutamenti nella famiglia (già negli anni Settanta le dinamiche infrasettimanali iniziano a modificarsi: per la donna la maternità non è più un valido motivo per rinunciare all’attività professionale; dagli anni ottanta c’è un processo di frammentazione dei nuclei familiari, intesa come restrizione del numero dei membri e come isolamento Inter familiare) e la nuova sensibilità culturale e pedagogica (il nido si trasforma progressivamente in un luogo di incontro per bambini, famiglie ed educatori). Conclusione

La legislazione degli anni Sessanta costituisce una svolta : stabilisce che l’educazione prescolare diventi parte integrante del sistema educativo nazionale, sotto la supervisione e la responsabilità dello Stato. La scuola materna decolla in parallelo alle scuola e comunali e a quelle private, mentre gli asili nido comunali no; questo perché: la mancanza del contenuto pedagogico fa si che molte regioni replichino gli ex ONMI senza pensare a nulla di nuovo; dove c’è una politica più forte che aiuta finanzia gli asili per offrire realtà mente l’aspetto educativo vengono implementati i nidi, dove non c’è questa volontà politica no. Una legge che doveva rappresentare un collante per le politiche dell’Italia ha invece ribadito il divario tra Nord e Sud. Con l’insostenibilità dei costi di gestione nel 1983 il nido da pubblico diventa un servizio a domanda individuale per il quale è previsto che gli utenti paghino non meno del 30% del costo reale (motivo di freno alla sua diffusione). Gli Orientamenti del 1991 e le nuove tipologie di asilo nido I nuovi Orientamenti per la scuola primaria statale del 1991 A partire dagli anni Settanta vi è una nuova immagine di bambino: il bambino passa da essere considerato passivo ad attivo e competente , quindi dotato di caratteristiche comportamentali che lo predispongono al rapporto sociale e di capacità cognitive. Questo è manifestato nei Nuovi programmi per la scuola elementare del 1985. Il 4 febbraio 1988 il ministro Giovanni Galloni costituisce una commissione di esperti (“i cinquanta”), guidata da Cesare Scurati, per l’aggiornamento della scuola materna. Gli Orientamenti per le attività educative nelle scuole materne statali (o Nuovi Orientamenti ) sono emanati il 3 giugno 1991 : “scuola materna” rimane nel titolo e nel testo, ma si predilige la dizione “scuola dell’infanzia”; è preservata un’autonomia educativa e didattica della scuola, magari anticipando l’obbligo scolastico già ai 3 anni; viene riaffermata la centralità del bambino, la personalizzazione dei percorsi, l’attenzione ai momenti educativi nello sviluppo cognitivo e affittivo dell’infanzia. Gli Orientamenti inoltre hanno una parte dedicata alla didattica e all’organizzazione: metodo fondato sulla valorizzazione del gioco, sull’esplorazione e la ricerca, sulla vita di relazione. L’insegnante diventa un professionista dell’educazione formato a livello universitario e in continuo aggiornamento. Le nuove tipologie di asili nido Per tutti gli anni 70 e 80 la pedagogia manifesta una nuova attenzione alle istituzioni pre- scolastiche e ai comportamenti cognitivi, affettivi e sociali dei bambini dai 0 ai 3 anni. Questa concezione costituisce una rottura con le pratiche del passato: non bisogna più occuparsi di quei pochi bambini “bisognosi“, ma bisogna interessarsi di tutti i bambini in quanto tali; l’educazione dell’infanzia quindi supera i confini della scuola materna (verso la fascia di età più bassa) perché il sostegno al processo di crescita, per essere efficace, deve essere attivato in modo intenzionale e sistematico sin dei primi mesi di vita. Il problema dei costi troppo elevati, le crisi innescate dalle prime forme di globalizzazione, le migrazioni interne, la modificazione strutturale della natura delle famiglie sono problemi che vengono ovviati nell’agosto del 1997 con l’approvazione della legge Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e per l’adolescenza (o Legge Turco). Questa legge non riguarda solo l’infanzia, ma anche l’adolescenza, con particolare attenzione ai soggetti in difficoltà: riguarda la promozione dei diritti di tutti soggetti in età evolutiva (viene programmata l’attivazione di servizi che possano assicurare le opportunità indispensabili per un processo di sviluppo e di costruzione della personalità). Questa legge presenta quattro obiettivi principali: sceglie itinerari di crescita, della formazione e della socializzazione delle persone come luogo di prevenzione del disagio e di rafforzamento dell’identità; concepisce le politiche per l’infanzia e per l’adolescenza come tratto distintivo delle politiche sociali; si richiede alle istituzioni di elaborare i piani di intervento oltre a realizzare le attività; auspica l’intreccio tra solidarietà sociale e compatibilità ambientale. L’ articolo 3 emana delle tipologie di intervento finanziate dalla legge. L’ articolo 5 individua due servizi : l’avvio di servizi con caratteristiche educative, ludiche, culturali e di aggregazione sociale per bambini da zero a tre anni, che prevedono la presenza dei genitori, familiari o adulti che quotidianamente si occupano di cura, organizzati secondo criteri di flessibilità; l’avvio di servizi con caratteristiche educative e ludiche per l’assistenza a bambini dai 18 mesi ai 3 anni per un tempo giornaliero non superiore alle cinque ore, privi di servizi mensa e di riposo pomeridiano. Questi servizi non sono considerati come sostitutivi degli asili nido, ma servizi auto- organizzati alle famiglie, dalle associazioni e dai gruppi. L’ obiettivo di tali servizi riguarda la

La nascita del settore 0- L’inizio del XXI secolo è stato un periodo in cui si è ricercata una regolamentazione regionale sempre più attenta e dettagliata sugli asili nido, cercando di adeguare i servizi alle nuove tipologie di famiglie e alle nuove realtà sociali. L’asilo nido non deve solo garantire una sede di cura, di formazione e di socializzazione e di ricreazione per favorire il benessere psicofisico e la promozione delle potenzialità cognitive affettive dei bambini, ma deve anche garantire il sostegno alle famiglie, nella cura dei bambini, anche con lo scopo di facilitare l’ingresso e il re-ingresso delle donne nel lavoro. Gestione dei servizi: lo Stato ha il compito di definire con le regioni e con gli enti locali i criteri generali per la realizzazione e lo sviluppo degli asili nido, i requisiti minimi per autorizzarne il funzionamento e gli orientamenti nazionali in materia e la ripartizione delle risorse; le regioni programmano lo sviluppo degli asili nido, ne definiscono i criteri per l’autorizzazione, stabiliscono i profili professionali, promuovono anche mediante eventuali sostegni finanziari interventi per ampliare la gamma dei servizi comunali; i comuni costituiscono la base operativa per la gestione dei servizi, provvedono alla gestione diretta dei servizi, ne definiscono le modalità gestionali ed organizzative, anche sostenendo l’iniziativa privata. Vi è una rivoluzione nella scuola nel biennio 2015 - 2017 : La Buona Scuola. Per esempio, per la prima volta si riconosce che alle bambine e ai bambini, dalla nascita fino a sei anni, per sviluppare potenzialità di relazioni, autonomia, creatività, apprendimento, in un adeguato contesto affettivo, ludico e cognitivo, sono garantite pari opportunità di educazione e di istruzione, di cura, di relazione e di gioco, superando disuguaglianze e barriere territoriali, economiche, etniche e culturali. Perciò viene istituito il sistema integrato di educazione e di istruzione: esso prevede la continuità del percorso educativo e scolastico, concorre a ridurre gli svantaggi socioculturali e favorisce l’inclusione, rispetta e cogliere le diversità, promuove la qualità dell’offerta educativa avvalendosi di personale educativo e docente con qualificazione universitaria e attraverso la formazione continua in servizio. Il sistema prevede un’articolazione di nidi e micronidi (tre-36 mesi di età parentesi), sezioni primavera (24-36 mesi di vita) applicate, di norma, alle scuole per l’infanzia statale o paritarie. Per dare continuità al sistema 0-6, la legge prevede la costituzione di Poli per l’infanzia che accolgano in un unico complesso o in edifici vicini più strutture di educazione e di istruzione dai bambini fino ai sei anni di età. Gli obiettivi sono: il consolidamento dei sistemi educativi per l’infanzia; la graduale diffusione territoriale dei servizi educativi per l’infanzia con l’obiettivo tendenziale di raggiungere il 75% di copertura dei comuni; la generalizzazione progressiva della scuola dell’infanzia per le bambine e i bambini dai sei anni di età e la loro inclusione; la qualificazione universitaria del personale dei servizi educativi per l’infanzia; la formazione in servizio del personale al fine di promuovere il benessere psicofisico; il coordinamento pedagogico territoriale; l’introduzione di condizioni che agevolino la frequenza dei servizi educativi per l’infanzia. Conclusione La strada che ha portato dalle prime esperienze di “asilo aziendale“ e di “presepe” al “Sistema integrato di educazione e di istruzione“ non è stata lineare, ma contraddittoria e con rallentamenti deviazioni. L’Unione Europea nel 2010 indica al 33% la percentuale di copertura del territorio nazionale da assicurare per i servizi della primissima infanzia (asilo nido); in Italia nel 2013 la media nazionale era il 12% (con Regioni al di sotto del 5%). Si riscontrano risultati buoni per quanto riguarda la scuola dell’infanzia: nel 2013 si attesta una copertura del 95% dei bambini e delle bambine fascia 3-5 anni. L’attenzione alla fascia 0-6 nella sua complessità e unità è strategica per la promozione della uguaglianza delle opportunità formative e per l’accesso al mondo del lavoro. L’innovazione metodologica e didattica in campo educativo rappresenta in larga parte il prodotto di una situazione sociale cambiata e lo sforzo di andare incontro ai bisogni della nuova società; di conseguenza nel futuro bisognerà potenziare il “sistema integrato di educazione e di istruzione” in modo da adattarlo ai nuovi scenari del III millennio.

La scuola elementare

La legge Casati

L’intervento che ha avuto effetti più duraturi nella definizione del moderno sistema di istruzione elementare si ha con la legge del 13 novembre 1859 , definita legge Casati. La scuola diventa un luogo per la costruzione del carattere degli italiani e del loro risorgimento morale (spirito nazionale). La leggi ha 380 articoli divisi in cinque titoli dedicati all’amministrazione della pubblica istruzione, all’istruzione superiore e classica, (università e liceo), alle scuole elementari. La scuola elementare è divisa in due gradi (superiore e inferiore) ciascuno di due anni ; essa è “data gratuitamente in tutti i comuni” i quali vi provvedono in base ai bisogni dei propri abitanti. Vi è un tentativo di distribuzione capillare delle scuole sul territorio basato sulla numerosità degli abitanti e sul numero di bambini che potrebbero avviare il corso. Vi è un sistema di esami pubblici, con scadenza semestrale, che garantisce la verifica degli apprendimenti. Le materie obbligatorie nel corso inferiore sono: l’insegnamento religioso, la lettura, la scrittura, l’aritmetica elementare, la lingua italiana, le nozioni elementari sul sistema metrico. Nel grado superiore oltre a queste si aggiungono: le regole della composizione, la calligrafia, la tenuta dei libri, la geografia elementare, l’esposizione dei fatti più notevoli della storia nazionale nazionale, le cognizioni di scienze fisiche e naturali applicabili ad usi ordinari della vita. In più i maschi hanno “i primi elementi della geometria ed il disegno lineare” e le femmine “i lavori domestici”. La questione dell’obbligo scolastico Il principio dell’obbligo di istruzione è tutt’altro che semplice da far rispettare. I governi della Destra storica mantengono un atteggiamento incerto. I padri hanno l’obbligo di procacciare l’istruzione elementare dei figli nel modo che loro ritengono più conveniente (affidandosi a un precettore come fanno gli aristocratici o alla scuola comunale); nel caso di mancata presenza alla scuola paterna o municipale il sindaco perseguiterebbe la negligenza con punizioni. Perché ci siano sanzioni bisognerà attendere il 1877 con il ministro Michele Coppino. Il processo di alfabetizzazione necessità di un investimento sugli insegnanti ; infatti la maestra dell’Ottocento è fragile sul versante sindacale (perché eletta dal consiglio comunale) e su quello intellettuale. L’ elezione della maestra consente l’incarico per un triennio; le mancanze dei maestri sono punite con censura, sospensione dall’ufficio, deposizione e interdizione scolastica. Il ministro si limita a fissare gli stipendi e le pensioni. Da ciò si deriva che l’istruzione elementare dell’Ottocento non può essere descritta in modo omogeneo dato che i municipi, il territorio e le famiglie rendono l’offerta formativa molto differenziata. Il corpo docenti è costituito da individui sono succubi di angustie derivanti dai bilanci comunali. L’istruzione pubblica negli anni postunitari ha il carattere di istruzione libera , affidata alla buona volontà delle famiglie e dei municipi. Tuttavia, le mutate esigenze politiche, connesse al desiderio di Unità, comportano una riconfigurazione dei compiti dell’istruzione di base; quest’ultima diventa assimilabile alla costrizione militare (obbligatoria) e ne eredita dei tratti. In questo contesto si collocano due riforme : una in merito all’ obbligo scolastico e una all’ estensione del suffragio. La riforma del sistema elettorale mira a cambiare il sistema di voro: prima solamente i cittadini maschi, alfabeti, con più di 25 anni, che pagavano 40 lire d’imposte o che facevano parte di determinate categorie (es. funzionari, impiegati statali...) avevano diritto elettorale. Le proposte in campo sono volte a considerare l’elettorato come un diritto e la cultura una condizione per esercitarlo. Quindi l’istruzione elementare diventa una sorta di titolo minimo di ingresso all’esercizio di voto. Dal 1877 al 1911 La legge Coppino , del 15 luglio 1877 , contiene almeno due importanti principi: la determinazione dell’ obbligo di età dai 6 ai 9 anni , con l’esplicazione delle sanzioni per le eventuali inadempienze di alunni, famiglie e comuni, e il carattere aconfessionale di questo periodo di studi. Frequentando dai 6 ai 9 anni, il bambino impara : le prime nozioni dei doveri dell’uomo e del cittadino, la lettura, la calligrafia, i rudimenti della lingua italiana, dell’aritmetica e del sistema metrico. Però queste conoscenze sono molto fragili, quindi spesso capita che ci sia il fenomeno dell’analfabetismo di ritorno. La legge Coppino intercetta le attese e gli orientamenti della borghesia italiana , che ha visto nella chiesa cattolica una delle istituzioni più ostili alla completa unificazione della penisola, e da avvio ad un processo di standardizzazione dell’istruzione.

Nel 1901 nasce l’ Unione Magistrale Nazionale (partito della scuola) che è un movimento trasversale alle diverse fazioni politiche, favorevole al rinnovamento dell’istruzione popolare. Grazie ad essa, inizia la standardizzazione dell’istruzione elementare, che si realizzerà completamente negli anni Trenta del Novecento. Il 19 febbraio 1903 viene approvata la legge Nasi relativa al reclutamento, al licenziamento degli insegnanti e ai loro stipendi: assunzione dei maestri solo tramite concorso, supervisione delle procedure a livello provinciale e non più comunale. Vi è anche un provvedimento che stabilisce l’obbligo della Direzione didattica nei comuni con popolazione non inferiore d 10000 abitanti. Per questa nuova funzione si istituiscono corsi di perfezionamento di durata biennale, divenuti poi una vera e propria Scuola Pedagogica. La legge Orlando , dell’ 8 luglio 1904 , richiama ala necessità per i Comuni di iscrivere in bilancio un fondo per sovvenire gli iscritti appartenenti a famiglie povere, sia con una refezione scolastica, sia con la distribuzione di indumenti, di libri di testo. Questo rappresenta un segnale di un diverso rapporto tra Stato e cittadini. Nel 1904 Orlando istituisce la scuola popolare , affidando così all’erario, e non alle classi municipali, i nuovi oneri derivanti dalla riforma. Vi è l’ obbligo scolastico fino ai 12 anni ; di conseguenza, matura la riforma della legislazione relativa al lavoro minorile (determinazione del tetto dei 12 anni per l’ingresso ne, mondo produttivo). L’Unione Magistrale Nazionale ( UMN ) vira decisamente a sinistra schierandosi apertamente con la posizione di chi chiede una scuola popolare, laica dai giardini d’infanzia all’istruzione professionale. Questo mutamento comporta la fuoriuscita della componente cattolica dall’organizzazione credi a a e la nascita, nel 1906 , dell’associazione magistrale “ Nicolò Tommaseo ”, favorevole a proseguire delle rivendicazioni tradizionali dei maestri cattolici (libertà di insegnamento, insegnamento religioso, tutela delle scuole rurali, pareggiamento degli stipendi delle maestre e dei maestri). Dal 1911 all’avvento del fascismo Il 4 giungo 1911 viene approvata la legge Daneo-Credato che segna il passaggio dell’ istruzione elementare dai comuni allo Stato (ad eccezione dei comuni più grandi, capoluogo di provincia). In realtà però bisogna specificare che le scuole non vengono affidate totalmente allo stato, come avverrà con il fascismo con il Regio a Decreto del 1 luglio 1933 , ma ad un suo organo intermedio, il Consiglio scolastico provinciale. La legge del 1911 interviene su un aspetto ordinamentale, su stanziamenti per l’edilizia scolastica, sul riordinamento della scuola rurale, sulla determinazione dei minimi stipendiali, sul potenziamento delle scuole serali e estive per adulti. Per quanto riguarda la percentuale di analfabetismo in generale, vi è un miglioramento: tra il 1861 e il 1911 gli istruiti superano di qualche punto coloro che non sanno né leggere né scrivere. Però vi è una disgregazione tra maschi e femmine e tra Nord e Sud. Nel 1906 viene approvata infatti la legge SonninoProvvedimenti per le province meridionali, per la Sicilia e per la Sardegna ” che prevede la costruzione, l’ampliamento e il restauro di scuole elementari a carico dello stato, l’adempimento dell’obbligo scolastico, il pagamento degli stipendi e dei direttori didattici, l’istituzione di scuole serali e festive per adulti analfabeti, lo stanziamento di 450000 lire per la nascita e il mantenimento dei giardini ed asili d’infanzia. I cambiamenti dell’ordinamento della scuola elementare, con l’istituzione del corso popolare (legge Orlando), e il progresso degli studi pedagogici d’inizio secolo fanno si che vengano redatti i nuovi programmi del con il decreto del 29 gennaio 1905 : più precisi e graduali, non organizzati in materie ma per classi. Il motto di tali programmi è “ né troppo né troppo poco ” che indica un approccio didattico ancorato ad un’osservazione diretta dei fatti, piuttosto che alla verbosità erudita di una scuola nozionistica. Nella Prefazione al Sommario di pedagogia come scienza filosofica , testo per la formazione dei maestri, del 1913-1914 si chiarisce che l’educazione, prima che questione pratica e operativa, è “generazione perpetua che lo spirito fa di esso” (cioè, il compito del maestro non è quello di dare sapere, ma dare il bisogno di sapere). L’avvento della Prima Guerra Mondiale con le note vicende belliche (disfatta di Caporetto, battaglia di Vittorio Veneto, conferenza di pace di Parigi...) darebbe argomenti a chi incolpa la scuola di non aver alimentato adeguatamente il senso di appartenenza alla nazione. La scuola necessità di una conversione in senso patriottico. La riforma Gentile

La riforma Giovanni Gentile nel 1923 ha un duplice significato: fa sintesi di molti di molti dibattiti irrisolti dell’Italia postunitaria (i limiti nella formazione dei maestri, la questione della libertà di insegnamento, l’organizzazione degli studi, in particolare quelli secondari, ma poi anche quelli a valle - la scuola elementare - e a monte - l’università) e ribadisce il ruolo preminente dello Stato nell’educazione nazionale. Tre momenti importanti per la scuola elementare: il RD del 6 maggio 1923 ordina l’istruzione media al cui interno troviamo la riforma dell’istruzione magistrale; il RD del 1 ottobre 1923 riguarda l’ordinamento dei gradi scolastici e dei programmi didattici; il RD del 31 ottobre 1923 articola le scuole elementari in classificate e non classificate, provvisorie o sussidiate. Gentile ha una visione d’insieme, derivante da una sua idea di uomo e di cultura, facente perno sul principio che le scuole, tenute dallo Stato, debbano essere poche ma buone e che la selezione sia un compito strettamente connesso all’obiettivo di formare un’ élite privilegiata vagliata con criteri meritocratici. Lo Stato dovrebbe perseguito un ideale aristocratico di cultura umanistica e scientifica attraverso il liceo classico e l’esame di Stato. La scelta di rendere obbligatorio l’ insegnamento della religione nella scuola elementare non è simbolo di cedimento dello Stato alle esigenze della Chiesa, ma una concessione data in virtù dei vantaggi che sarebbero derivati. Questa disciplina viene intesa come “ philosophia inferior ”, cioè propedeutica alla maturità filosofica. Dal punto di vista politico, il cattolicesimo deve essere un tutt’uno con il corpo dello Stato fascista. Si tratta dunque di reinterpretare e incorporare la religione nella teologia politica dello Stato autoritario. Per quanto riguarda la formazione dell’insegnante , l’istruzione magistrale passa da essere garantita entro la scuola normale di tipo post-elementare di due o tre anni ad un istituto magistrale , quindi di tipo secondario superiore, costituito da 7 anni (4 di corso inferiore + 3). Nei primi quattro anni viene insegnato: italiano, latino, storia, geografia, matematica, una lingua straniera, materie professionalizzanti come il disegno, la scuola, il canto, lo studio di uno strumento musicale; nel ciclo superiore: lingua e letteratura italiana, lingua e letteratura latina, storia, filosofia e pedagogia, matematica e fisica, scienze, geografia, disegno e musica. Ogni istituto inoltre ha annesso un Giardino d’infanzia o una Casa dei bambini per consentire attività in aula. Per quanto riguarda la scuola elementare , questa si divide in grado inferiore , 3 anni, e superiore , 2 anni. Le classi oltre alla 5 prendono il nome di classi integrative e avviamento professionale. C’è l’idea di una nuova didattica basata sulla possibilità di una rinascita nazionale a partire dalle capacità soggettive dell’uomo di migliorarsi. Aspetti che possiamo trovare nei programmi di Giuseppe Lombardo Radice (collaboratore di Gentile) dell’ 11 novembre 1923 sono: la centralità alla coltivazione dello spirito del bambino, la profonda intesa tra maestro e scolaro, la fiducia nella creatività soggettiva dell’allievo, la cura dell’educazione estetica, vista come la più vicina alla natura stessa del bambino. Il 1 ottobre 1923 si afferma che l’insegnamento della religione è posto a fondamento dell’istruzione elementare, è a cura di insegnanti di classe o persone ritenute idonee. I Programmi formati da Lombardo prevedono l’insegnamento di: preghiere, lettura, scrittura, aritmetica, sistema metrico (nel grado inferiore); nel grado superiore, oltre alle materie suddette, religione, “tradizione agiografica locale e nazionale”, morale, dogma cattolico, lettura di libri utili a orientare il bambino ai problemi di vita domestica, forme di educazione civica, calcoli elementari, elementi di scienze, disegno, ginnastica ed esercizi da “giovane esploratore”. Per le femmine ci sono anche i lavori donneschi e l’economia domestica. Negli anni successivi vengono messi in atto degli interventi di correzione dell’impianto originario. Vi è la prospettiva di una scuola serena, in cui lo studio si alterna all’attività ricreativa. La riforma Gentile è, nel suo impianto originario, conservatrice ; infatti essa risponde ai valori espressi da un elitarismo colto, aristocratico e spiritualistico che non si adatta ai bisogni della nuova “civiltà fascista” e alle dinamiche di cambiamento sociale auspicare dal duce. Dalla volontà di aggiustare la riforma del 1923, derivano molti interventi con il succedersi dei ministri. La fascistizzazione della scuola Tra il 1925 e il 1929 viene istituita l’ Opera Nazionale Balilla (ONB) per “l’assistenza e l’educazione fisica e morale della gioventù” (legge del 3 aprile 1926 ). Questa organizzazione, che mobilità i giovani dividendoli in balilla (8-14 anni) e avanguardisti (14-18 anni), sostituisce l’Ente nazionale per l’educazione fisica, assumendo il compito dell’educazione fisica degli alunni delle scuole pubbliche elementari. Dal 9 aprile 1928 c’è il divieto di qualsiasi formazione o d’organizzazione che si proponga di promuovere l’istruzione, l’avviamento alla professione, l’educazione fisica, morale o spirituale dei giovani. L’ONB estende il suo ambito nelle aule, nel

pragmatismo americano, e la precisa presa di distanza dall’uso della religione obbligatoria come strumento di propaganda sembrano all’opinione pubblica meridionale troppo ambiziosi. Al centro Italia , la dura occupazione tedesca rende vano il tentativo di organizzare una palese resistenza a livello di istruzione elementare. Il Nord Italia , affidato al controllo della “Repubblica Sociale Italiana”, è altrettanto complesso. Uno scampolo della dittatura fascista è quella del giurista Carlo Alberto Biggini che, a qualche mese della fondazione della Repubblica di Salò (autunno 1943), assume la guida del Ministero dell’Educazione Nazionale. Biggini incoraggia la revisione e il rinnovo dei libri di Stato per l’ordine elementare. I Programmi di studio: norme e prescrizioni didattiche per le scuole elementari (stilati nel 1934 come revisione dei programmi del 1923) vengono sfoltiti, riunendoli per cicli e riducendoli a obiettivi generali. Quando si inizia l’opera di revisione dei testi scolastici e della loro epurazione si suggerisce di utilizzare, quali libri sostitutivi, i testi precedenti al periodo fascista. “ Educare ”, “ Educare e poi istruire ” o “ Rieducare ” sono parole d’ordine nella propaganda postbellica dei diversi partiti antifascisti facenti parte dei Comitati di Liberazione Nazionale (CLN). Restano patrimonio della cultura pedagogica antifascista principi come la libera dei docenti, la partecipazione e l’uguaglianza tra gli studenti, il diritto allo studio e il libero accesso alle forme più alte del sapere. Il processo che porta all’approdo della scuola elementare italiana dal fascismo alla Repubblica è tutt’altro che lineare e non è semplice allontanare dall’amministrazione scolastica tutti coloro che in passato sono risultati compromessi con il regime. Si tratta infatti di guardare le vicende biografiche dei dipendenti per verificare se qualcuno di loro ha collaborato con i tedeschi (per esempio a Milano vengono allontanati 40 direttori su 104, 5 ispettori scolastici su 6, 26 presidi su 44). La fase di “ normalizzazione ”, con la consegna al Governo Italiano dell’amministrazione del territorio dell’Italia del Nord, da avvio a una diversa fase nella storia. Il 28 luglio 1944 Guido de Ruggiero redige i Programmi del 1945 per la scuola elementare e anche materna. La nuova scuola ha essenzialmente il compito di combattere la forma di ignoranza (intesa come immaturità civile, impreparazione alla vita politica, empirismo nel campo del lavoro, insensibilità verso i problemi sociali in genere), educando nel fanciullo, l’uomo e il cittadino. Si tratta di programmi che nascono con una chiara visione dei problemi etici da svilupparsi in materie come la religione, l’educazione morale, civile e fisica, nel lavoro, nella storia e geografia. L’ordinamento disciplinare e didattico della scuola deve ispirarsi al concetto di autogoverno. Tale idea viene espresso nei programmi insieme ai concetti: della soppressione del voto di condotta implicito in quello di educazione morale, civile e fisica; il superamento della distinzione tra scuola urbana e rurale. Dalla rinascita della vita democratica alla metà degli anni Cinquanta Il 2 giugno 1946 si tengono le prime elezioni a suffragio universale, il cui risultato scaturisce l’organo legislativo elettivo preposto dalla Costituzione per la neonata Repubblica: l’Assemblea costituente. Con l’articolo 3 della costituzione lo Stato, e quindi la scuola, si impregnano a rendere effettivo quella pari dignità sociale e quell’ uguaglianza posti alla base della Repubblica fondata sul lavoro. “L’Istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita” ( articolo 34 ): scuola per tutti “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento” ( articolo 33 ): vi è un’ispirazione antifascista dovuta dalle limitazioni alla libertà dei docenti imposte dal regime. “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione” ( articolo 33 ): riconosce la storica battaglia dello schieramento cattolico a favore della libertà della famiglia come nucleo primogenito della società, con la conseguente libertà nella scelta della scuola per i figli, ma da spazio anche alle posizioni comuniste (“La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi”-articolo 33). L’avvio di una fase di scontro e chiusura accompagna la politica tra la fine degli anni Quaranta e i primi anni Cinquanta. Nei governi centristi, retti da Alcide De Gasperi, il Ministero della pubblica Istruzione viene affidato alla Democrazia Cristina, nello specifico a Guido Gonella fino al 1951 , al quale succede Antonio Segni. Spetta a Gonella, nell’ aprile 1947 , insediare una commissione che promuove un’inchiesta per raccogliere l’indicazione dei programmi, disegni, voti, al fine di ripristinare dignità della scuola e

l’efficienza dei suoi ordinamenti. Il ministro comprende che la riprogettazione della scuola necessità il consenso dell’opinione pubblica. Quindi, per dimostrare che è alto l’interesse dell’insegnante e dell’opinione pubblica, vengono distribuiti trentamila questionari in tutte le scuole dal 1 ottobre al 30 novembre 1948. I risultati vengono resi pubblici nel 1949. In questi anni l’opposizione (il Partito Comunista Italiano e il Partito socialista italiano) è impegnata a raccogliere il consenso della sinistra e della “terza forza” (liberali e laici) per frenare l’ingerenza confessionale cattolica nella scuola. La costituzione sostiene che “ lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai patti lateranensi“ in essi è compresa la dizione “l’Italia considera fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica l’insegnamento della dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica. E perciò consente che l’ insegnamento religioso ora impartito nelle scuole pubbliche elementari abbia un ulteriore sviluppo nelle scuole medie, secondo programmi da stabilirsi raccordo tra la fantasia dello Stato”. Il peso di questa decisione si fa sentire tanto più che le “ modificazioni dei Patti ” avvengono nel 1984. Gonella, nel dicembre 1947 , emana un decreto volto a istituire la “ scuola popolare ” per combattere l’analfabetismo e per completare l’istruzione popolare per i giovani e gli adulti dai 12 anni in su. Questa scuola prevede tre corsi: per analfabeti, per semianalfabeti e per gli sprovvisti di licenza elementare. Nel 1949 i risultati dell’inchiesta mettono in luce la volontà di insegnanti e studenti di ridare prestigio alla scuola attraverso il recupero della sua funzione selettiva. Gonella presenta un progetto di legge “ Norme Generali sull’Istruzione ” alla Camera il 13 luglio 1952 , ma questo viene accantonato senza arrivare in aula. (tra le cause: nel 1951 Gonella viene sostituito da Segni). Pur in assenza di leggi, tra il 1948 e il 1953 vengono messe in atto diverse misure relative alla lotta dell’analfabetismo, al riordino amministrativo della scuola, all’istruzione popolare, all’educazione prescolastica e si aggiorna la modalità di reclutamento degli insegnanti. La Pubblica istruzione inoltre deve ripristinare edifici distrutti dall’incuria e dai bombardamenti, riedificare stabili e ampliarli per far fronte all’aumento di popolazione scolastica e deve aprirsi a proposte pedagogiche come l’attivismo. Gli anni Cinquanta segnano anche il ritorno in patria di Maria Montessori che può di nuovo diffondere il suo metodo grazie a corsi nelle scuole, alle organizzazioni che seguono la sua opera. Un peso considerevole ha, nella formazione e animazione degli insegnanti elementari del dopo guerra, la casa editrice La Scuola di Brescia e la sua rivista Scuola Italiana Moderna. La pedagogia d’ispirazione cattolica si muove quindi cercando di superare sia lo statalismo etico di matrice fascista sia il liberalismo borghese in tipo individualista, senza far mancare una dura critica alle posizioni marxiste e comunisti. Il maestro elementare è ormai un personaggio chiave del processo di socializzazione e lo resterà fino a che il suo prestigio verrà messo in crisi (anni 60, dal diffondersi della televisione). La sua centralità deriva dal fatto che i cinque anni di studio sono l’unica occasione di un cittadino per entrare in contatto con un sapere formale e strutturato. Maestri e maestre incarnano l’immagine stessa dell’ autorità e dello Stato. Sotto la guida del maestro i bambini approdano alla vita sociale, ad un ideale dal cittadinanza patriottica. L’insegnante elementare compie un aggiornamento soprattutto tramite le riviste magistrali dalle quali attinge i temi da svolgere, i brani da dettare, gli esercizi di aritmetica, le attività scientifiche. Esempi di riviste: I diritti della scuola, Scuola Italiana Moderna, Scuola e città, Riforma della scuola, Cooperazione educativa (questa, attiva dal 1951, è orientata al rinnovamento delle pratiche didattiche della scuola e alla sperimentazione di una pedagogia progressista e democratica). Negli anni della rinascita della vita democratica manca un disegno organico di riforma e la politica scolastica è caratterizzata da una serie più o meno minuta dei provvedimenti come l’approvazione della legge del 16 aprile 1953 (che modifica la scuola popolare del 1947 e le modalità di lotta dell’analfabetismo), la legge votata nel agosto 1954 (che costituisce un primo tentativo di attuare il dettato costituzionale sul diritto allo studio attraverso finanziamenti per l’edilizia scolastica e lo stanziamento di borse di studio) la legge delega 1181/1954 (che garantisce l’autonomia dello stato giuridico del personale della scuola rispetto ad altri pubblici impieghi). I Programmi Didattici del 1955