Scarica Riassunto Manuale "Diritto amministrativo" Clarich Quinta edizione (2022) e più Sbobinature in PDF di Diritto Amministrativo solo su Docsity! Diritto amministrativo Clarich quinta edizione PARTE PRIMA: IL DIRITTO AMMINISTRATIVO E LE SUE FONTI CAPITOLO I: INTRODUZIONE Premessa Il diritto amministrativo può essere definito come la branca del diritto pubblico che ha per oggetto l’organizzazione e l’attività della pubblica amministrazione; riguarda i rapporti tra essa e i privati nell’esercizio di poteri derivanti dalla legge per la cura di interessi collettivi. “È il sistema di quei principii giuridici che regolano l’attività dello Stato per il raggiungimento dei suoi fini”. Il diritto amministrativo ha un corpo di regole autonomo dal diritto privato. La locuzione “burocrazia” appare per la prima volta in Francia metà secolo XVIII, quando nascono gli apparati burocratici come strumenti organizzativi posti al servizio del sovrano. Il primo diritto amministrativo nel 1814 con Gian Domenico Romagnosi. Il diritto amministrativo si è sviluppato grazie a molteplici percorsi: abbiamo detto strumenti organizzativi a servizio del sovrano; funzioni maggiori assunte dallo Stato; la sottoposizione della pubblica amministrazione ai principi dello Stato di diritto; la formazione di un diritto speciale ad essa applicabile. Molto importanti anche la prospettiva sociale del fenomeno delle amministrazioni, e le differenze che si possono cogliere con il diritto pubblico, europeo, privato e penale. Modelli di stato e nascita dello stato amministrativo Stato amministrativo Fin dall’antichità i grandi imperi si dotarono di strutture burocratiche stabili, senza le quali i sovrani non avrebbero potuto controllare territori così estesi. L’impero romano è un esempio di tal genere. Gli esempi antichi non sono d’aiuto per la comprensione del fenomeno nella realtà contemporanea; bisogna prendere le mosse dalla formazione degli stati nazionali in Europa dal XVI secolo, superando il sistema feudale. In quest’ultimo non c’era un centro di potere unitario da cui potessero dipendere le strutture burocratiche. Il sacro romano imperatore non aveva né un’amministrazione professionale al servizio, né un esercito. Gli apparati amministrativi quindi si sviluppano con la nascita dello stato moderno, con l’unificazione del potere nelle mani del re. Proprio questi apparati erano funzionali all’accentramento del potere, da qui il nome di stato amministrativo. Nel corso del XVIII secolo nasce lo stato di polizia in Austria e Prussia (assolutismo illuminato) in una chiave paternalistica, uno stato che promuove e garantisce la convivenza ordinata e il benessere della collettività. Nascono le prime discipline con oggetto lo studio della buona amministrazione della cosa pubblica. La delega ai funzionari del sovrano di poteri amministrativi rese la funzione amministrativa autonoma da quella giudiziaria. Il potere esecutivo, che fa fatica ad emergere e delinearsi, viene considerato inizialmente in ottica residuale: “l’attività dello stato che non è legislazione o giustizia”. Lo stato di diritto o costituzionale si afferma dopo la crisi di quello assoluto, dovuto alla rivoluzione francese. Stato di diritto e stato a regime di diritto amministrativo di 1 187 Lo stato di diritto è oggi uno dei principi fondanti dell’Unione europea, ed è richiamato nel preambolo della carta di Nizza del 2000. Lo stato di diritto si regge su alcuni pilastri da richiamare: - trasferimento della sovranità dal sovrano ad un parlamento eletto da un corpo elettorale - tendenziale separazione dei poteri, ed un sistema di pesi e contrappesi: (sottoposizione del potere esecutivo alla legge) - inserimento nelle costituzioni delle riserve di legge: limitare il potere normativo del governo. Principio di legalità al centro della intera costruzione del diritto amministrativo. - possibilità del cittadino di ottenere la tutela dei diritti vantanti nei confronti della pubblica amministrazione innanzi a un giudice imparziale, indipendente dal potere esecutivo. In Francia la giustizia dell’amministrazione venne realizzata attraverso un giudice speciale: il Conseil d’État in Francia e il Consiglio di Stato in Italia elaborarono un corpo di principi autonomo rispetto al diritto comune che regolava l’organizzazione amministrativa. Lo stato di diritto sfocia in stato di diritto a regime amministrativo. Nei paesi common law, il giudice al quale il cittadino poteva rivolgersi per far valere le proprie ragioni contro il potere esecutivo era quello ordinario; questo rallentò lo sviluppo del diritto amministrativo. Lo stato di diritto così diventa modello affermato, modello a cui tendere che sempre si rinnova; non mancano tra l’altro involuzioni dello stesso, come in Polonia e Ungheria. Stato guardiano notturno, stato sociale, stato imprenditore, stato regolatore Il modello teorico dello stato di diritto è neutrale rispetto alla gamma e ampiezza delle funzioni assunte come proprie dai poteri pubblici. Nel XIX e XX secolo si sono succedute molo esperienze, e ad esse corrispondono altrettanti modelli di stato. Con la rivoluzione francese conosciamo le ideologie di impronta liberista, dove l’ingerenza diretta dello stato doveva essere minima: abolizione dei corpi intermedi, generalità e astrattezza della legge, principio di uguaglianza formale. Ecco che si forma lo stato guardiano notturno che assunse due compiti: tutela dell’ordine pubblico e difesa del territorio. Le aggregazioni sociali venivano viste con sfavore, e la presenza di apparati amministrativi era ridotta al minimo per lasciare il rapporto diretto tra stato e individuo. Verso la fine del XIX lo stato liberale entra in crisi, subentrano partiti e ideologie ispirate al socialismo, operaismo, cattolicesimo. Lo stato si trasforma da monoclasse (interessi esclusivi della borghesia) a pluriclasse, dove ognuna era portatrice di un interesse particolare. Ecco che inizia ad affermarsi lo stato sociale o welfare state. Grande esempio di legislazione sociale si ritrova nella Germania di Bismark. Lo sforzo nella produzione industriale durante la grande guerra contribuisce al superamento dello stato liberista. Ulteriore intervento dello stato si ha con la svolta autoritaria operata dal fascismo e dal nazismo. Secondo la concezione totalitaria, lo stato estende la sua influenza diretta e indiretta su tutte le principali espressioni della società civile e dell’economia. -La crisi finanziaria del 1929 richiese interventi pesanti da parte dello stato e dei pubblici poteri. Si afferma quindi lo stato imprenditore o di gestore diretto di aziende. Gli interventi sotto forma di ausili, contributi finanziari diretti diedero origine allo stato finanziatore. -Nel secondo dopoguerra si affermano le ideologie collettivistiche e l’approvazione di programmi di nazionalizzazione di settori economici strategici. Emerse lo stato pianificatore. La presenza diretta e indiretta dello stato determina una crescita esponenziale della spesa pubblica, che a lungo andare provocò una crisi finanziaria degli stati. L’inversione di rotta si ha con il ritorno delle ideologie liberali negli anni 80. Furono applicate con la Thatcher e Reagan politiche di deregolamentazione e privatizzazione. Questo processo investe anche l’Europa, con la spinta della commissione europea in tema di divieti di aiuti di stato. di 2 187 -il d.lgs.19 agosto 2016 nº 175 in tema di razionalizzazione e riordino delle società a partecipazione pubblica; -legge 28 marzo 2019 nº 26 in tema di contrasto alla povertà; il codice dei contratti pubblici (d.lgs. 18 aprile 2016 nº 50); -il codice del terzo settore (d.lgs. luglio 2017 nº 117). -In relazione alla pandemia abbiamo il PNRR all’interno del programma Next generation EU, dove si prevedono poteri più ampi del governo per contrastare il ritardo dell’attuazione proprio del PNRR, e l’introduzione di misure di semplificazione procedurale. Cenni conclusivi Per riassumere, lo sviluppo dal XIX secolo in poi, è caratterizzato da due fenomeni: un andamento ciclico nell’espansione e nella contrazione del campo d’intervento dei pubblici poteri, il consolidarsi degli apparati amministrativi e l’emergere di un diritto speciale per le pubbliche amministrazioni. Il diritto amministrativo cerca di conciliare l’esigenza di curare i molteplici interessi della collettività, con quella di garantire le libertà dei singoli, in un ottica sempre di autorità-libertà. Diritto amministrativo e scienze non giuridico Premessa La pubblica amministrazione è un concetto che non si presta ad essere definito, ma ad essere descritto, e in questo processo, esistono diversi angoli di visuale dai quali si pone l’osservatore. Bisogna tener conto di molti metodi e discipline che prendono in considerazione le pubbliche amministrazioni. La sociologia La sociologia analizza le relazioni di potere interne ed esterne gli apparati burocratici, e la varietà dei bisogni e degli interessi della collettività di cui essi si fanno carico. Va ricordata l’analisi di Weber sui tipi storici di potere. Il potere è la possibilità per specifici comandi di trovare obbedienza da parte di un gruppo di uomini; si basa su tre criteri di legittimazione: potere tradizionale legato al carattere sacro delle tradizioni; il potere carismatico fondato sulla forza eroica di una persona; il potere razionale fondato sulla legalità di ordinamenti statuiti. Quest’ultimo modello ha un’amministrazione burocratica impersonale che agisce entro limiti giuridici definiti. È strutturata in uffici stabili, ordinati secondo i principi di competenza e gerarchia. Questo modello è funzionale all’economia capitalistica fondata sul calcolo razionale: stabilità delle regole, certezza del diritto etc. La sociologia studia anche le caratteristiche del personale che opera all’interno degli apparati burocratici. Le scienze politiche ed economiche. Fallimenti del mercato e regulation Per le scienze politiche ed economiche sono fondamentali le istituzioni nel ruolo di freno o impulso allo sviluppo economico. Operano una distinzione: istituzioni estrattive, negli ordinamenti chiusi, autoritari, che accentrano le risorse a favore di una casta o elite; inclusive, tipiche di ordinamenti pluralisti, democratici, aperti alla mobilità sociale, alla crescita economica; ruolo importante qui ha la capacità amministrativa. Le scienze politiche analizzano il ruolo degli apparati burocratici, come strumenti per realizzare le politiche pubbliche decise dal parlamento. La burocrazia in realtà non è un attore neutrale nei processi decisionali, ma assume ruolo decisivo di elaborazione e condizionamento delle politiche governative. Le scienze politiche ed economiche individuano le situazioni nelle quali potrebbe intervenire l’intervento dei pubblici poteri. Nel mondo anglosassone ha avuto luogo la teoria di 5 187 della regolazione pubblica (regulation) che studia le modalità d’intervento dei pubblici poteri. Si distinguono due modelli di regolazione pubblica: la prima indirizzata a promuovere scopi sociali (social regulation) e quella indirizzata a massimizzare l’efficienza economica (economic regulation); quest’ultima mira a correggere i fallimenti del mercato, situazioni in cui il mercato da solo non riesce a garantire il benessere della collettività. I principali fallimenti del mercato sono: i monopoli naturali che impediscono o alterano lo sviluppo della concorrenza; i beni pubblici che il mercato non è interessato a produrre; le esternalità negative; le asimmetrie informative; le esigenze di coordinamento. Il principio che deve seguire il legislatore nella scelta dei correttivi a questi fallimenti è quello secondo cui vanno preferiti, tra gli strumenti astrattamente idonei a tutelare l’interesse pubblico, quelli meno restrittivi della libertà d’impresa. Cenni agli indirizzi della pubblic choice e al modello principal-agent È utile accennare l’indirizzo della pubblic choice affermatosi negli USA. Per spiegare il funzionamento degli apparati pubblici è errato muovere dall’idea che gli apparati pubblici agiscano sempre per il perseguimento di obiettivi di interesse pubblico. Più realistico invece presupporre che anche il loro comportamento è guidato dal self- interest come nei soggetti privati. Questo approccio mette in evidenza le inefficienze strutturali e gli effetti negativi dell’azione pubblica. È sempre incombente l’emergere dell’interesse economico nelle decisioni delle amministrazioni pubbliche. A sua volta la microeconomia elabora la teria del principal-agent, che studia i meccanismi e gli incentivi per far si che l’attività dell’agente delegato dal principale a commettere una certa attività, venga attuata nell’interesse di quest’ultimo. Il delegato spesso ha più informazioni del principale che lo porterebbero a seguire più il suo interesse che appunto quello del principale. Ed è proprio il caso delle amministrazioni pubbliche che spesso perseguono fini propri, che non coincidono con la massimizzazione dell’interesse pubblico affidato dal parlamento alle loro cure. La macroeconomia considera lo stato come un meccanismo di gestione e redistribuzione delle risorse alternativo al mercato. La regolamentazione pubblica costituisce alternativa alla tassazione. Le scienze storiche Le istituzioni si evolvono nel tempo. La prospettiva storica approfondisce lo sviluppo delle pubbliche amministrazioni correlato al progressivo ampliamento delle funzioni assunte come proprie dagli stati; si occupa della nascita del diritto amministrativo, andando ad individuare quelli che sono i tratti di specialità rispetto al diritto comune. La scienza dell’amministrazione La scienza dell’amministrazione ha una tradizione che risale al XIX secolo in Italia e in Germania. Non ha mai assunto uno statuto definitivo all’interno delle scienze non giuridiche che studiano la pubblica amministrazione. La scienza del diritto amministrativo Se le discipline non giuridiche ricostruiscono la sostanza dei fenomeni e degli interessi, le scienze giuridiche hanno alcuni compiti specifici. I fenomeni devono essere colti nella loro dimensione giuridica, inquadrati nel contesto delle norme vigenti. Sempre operare una ricognizione delle fonti normative che disciplinano una materia. Storicamente l’applicazione del metodo giuridico al diritto amministrativo risale in Italia alla fine XIX secolo Vittorio Emanuele Orlando pose le basi del diritto pubblico all’interno del quale si trova anche il diritto amministrativo. Il metodo si basava sull’espungere ogni elemento filosofico, storico, politico dall’analisi giuridica, elaborando attraverso classificazioni e successivi processi d’astrazione, i di 6 187 concetti giuridici. In questa prima fase il diritto amministrativo si concentra sull’attività amministrativa; l’accento è posto sulle prerogative degli apparati pubblici, attraverso la teoria dell’atto amministrativo come espressione del potere unilaterale attribuito dalla legge agli apparati pubblici e soprattutto il rapporto di sovra/sotto ordinazione tra stato e cittadino. L’atto amministrativo veniva inizialmente inquadrato negli schemi del diritto privato. A partire dagli anni 30 del XX secolo, il campo d’indagine si allarga, grazie all’emergere di fenomeni come l’ordinamento del credito, gli enti pubblici e l’impresa pubblica. L’ampliamento della prospettiva si deve a Severo Giannini. Anche la costituzione del 48 gioca un ruolo fondamentale, in quanto dedica alcune disposizioni fondamentali all’ordinamento amministrativo. A seguito anche delle leggi di riforma negli anni successivi, la materia dedica maggiore attenzione ai profili organizzativi e ai diritti di cittadinanza amministrativa. Emerse la prospettiva del diritto amministrativo paritario, tesa a riequilibrare il rapporto stato-cittadino attraverso il potenziamento delle garanzie formali (procedimento amministrativo) e sostanziali a favore di quest’ultimo. Gli anni 90 segnano una cesura rispetto alla concezione passata di un diritto amministrativo autoritario, in quanto la legge 7 agosto 1990 nº 241 sul processo amministrativo propone un nuovo paradigma interpretativo che valorizza la posizione del cittadino che ora è titolare di diritti e garanzie nei rapporti con la pubblica amministrazione. Il diritto amministrativo, con il passare del tempo, si lega sempre più agli influssi europei derivanti dal diritto amministrativo globale. Il diritto amministrativo e i suoi rapporti con le altre branche del diritto Il diritto costituzionale Il diritto pubblico generale include le discipline giuridiche che si occupano dello stato e del complesso dei poteri pubblici. Il diritto costituzionale riguarda i rami alti dell’ordinamento, i diritti dei privati, e le fonti del diritto. Il diritto amministrativo riguarda i rami bassi, quel complesso di apparati pubblici sviluppato soprattutto nel XX secolo, ciascuno dei quali dotato di una gamma più o meno ampia di poteri. Il primo ha fondamento nelle costituzioni scritte, considerate progressivamente non più come patto politico tra sovrano e popolo, ma come fonti supreme degli ordinamenti giuridici. Il secondo è regolato da fonti normative subcostituzionali e dai principi giurisprudenziali. I due diritti sono però legati: il diritto amministrativo può definirsi come il diritto costituzionale reso concreto; il grado di tutela dei diritti di libertà e diritti sociali si misura non tanto sulla costituzione, quanto sulle leggi amministrative che attuano il disegno costituzionale e sulla concreta applicazione che esse ricevono dagli apparati amministrativi. Secondo Otto Mayer, il diritto costituzionale passa, quello amministrativo resta. Incidendo sui rami alti, i mutamenti dei diritto costituzionale si producono repentinamente e velocemente. Le riforme amministrative invece mirano a modificare l’organizzazione e il modo di operare degli apparati burocratici. Il diritto europeo Il diritto pubblico è più resistente a innesti e trapianti d’istituiti di altri ordinamenti, e questa resistenza è limite anche al processo d’integrazione europea. Tuttavia, il diritto amministrativo italiano ha acquisito una dimensione europea sotto cinque profili: legislazione amministrativa, attività, organizzazione, finanza e tutela giurisdizionale. 1. Per quanto riguarda la legislazione amministrativa, l’art. 117 cost. stabilisce che la potestà legislativa deve essere esercitata anche nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario. Questo articolo condiziona la legislazione amministrativa statale e regionale, come in tema di contratti pubblici, tutela ambientale, comunicazioni elettroniche, energia elettrica. di 7 187 Il diritto amministrativo ha tante connessioni con il diritto penale. Il codice penale dedica il titolo II del libro II ai delitti contro la pubblica amministrazione distinguendo reati commessi dai pubblici ufficiali e dagli incaricati dei pubblici servizi, e i reati commessi dai privati contro la pubblica amministrazione. Dal codice penale si ricavano alcune definizioni, come quella di funzione amministrativa, caratterizzata dall’esprimersi della volontà dell’autorità pubblica amministrativa per mezzo di poteri autoritativi. Il diritto penale rafforza l’effettività di molte discipline amministrative di settore punendo comportamenti di individui o di imprese che ne violino i precetti. La natura giurisprudenziale del diritto amministrativo Un primo tratto fondamentale del diritto amministrativo è quello di essere un diritto di natura giurisprudenziale. In Francia la giustizia amministrativa si sviluppò dal sistema del contenzioso amministrativo all’istituzione nel 1872 di un giudice speciale. In quell’anno, venne attribuita al conseil d’etat in via permanente la funzione di giudice del contenzioso amministrativo; negli anni successivi fu lo stesso ad elaborare i principi fondamentali di questo diritto. In Italia il percorso è praticamente simile, venne istituito nel 1889 un giudice amministrativo il cui nucleo originale fu costituito dalla IV sezione del consiglio di stato. Quest’ultima intraprese l’opera di costruzione dei principi generali del diritto amministrativo. La natura giurisprudenziale del diritto amministrativo non è contraddetta dalla presenza di un’ampia produzione legislativa. Anzi i difetti strutturali della legislazione amministrativa danno origine a incertezze interpretative, che vengono risolte dall’intervento dall’adunanza plenaria del consiglio di stato. Essa promuove un’applicazione del diritto uniforme. La legge nº 241/1990 offre una base legislativa solida agli istituti fondamentali del diritto amministrativo. Quest’ultimo, ha un’altra importante caratteristica che lo avvicina all’esperienza della common law, ovvero quella dell’elasticità e adattabilità al variare delle situazioni e all’emergere di nuove esigenze. Il diritto amministrativo generale e speciale Il diritto amministrativo si caratterizza per la vastità del materiale normativo e per l’ampiezza delle materie. È emersa la distinzione tra diritto amministrativo generale e speciale. Quello speciale è caratterizzato dai filoni legislativi che disciplinano i vari campi d’intervento delle pubbliche amministrazioni. Quello generale ha natura trasversale, ed opera nella scienza giuridica. Procede alla rielaborazione del materiale giuridico grezzo, attraverso un’attività di classificazione, di individuazione di strutture portanti e di costanti. Poi interviene l’attività di elaborazione dei concetti giuridici che costituiscono il nucleo essenziale della dogmatica del diritto amministrativo. Diritto speciale e generale si condizionano e si evolvono parallelamente. In ogni caso, quello generale è comunque il nucleo costitutivo della materia, in gran parte codificato dalla legge nº 241/1990. di 10 187 CAPITOLO II: LA FUNZIONE DI REGOLAZIONE E LE FONTI DEL DIRITTO Premessa La funzione regolatrice della pubblica amministrazione ha assunto un ruolo crescente negli ultimi anni, in conseguenza della crisi della legge come fonte di disciplina dei rapporti giuridici. Il parlamento non riesce più a elaborare testi legislativi aggiornati tenendo conto di tutti i cambiamenti economici, tecnologici e sociali. Le leggi diventano così “leggi d’indirizzo”; in molti casi, la legge propone i principi generali della disciplina di una determinata materia e delega agli apparati amministrativi le regole di dettaglio. La funzione regolatrice include tutti gli strumenti formali ed informali dei quali l’amministrazione dispone per orientare e condizionare l’attività dei privati. Questo fattore attenua il principio della separazione dei poteri; infatti la pubblica amministrazione in molti casi, ha sia il potere di porre le regole (nei limiti imposti dalla legge), sia di applicarle nei singoli casi con provvedimenti di tipo individuale. Prima che essere soggetti regolatori, le amministrazioni sono soggetti regolati, ed è qui che si coglie la distinzione tra fonti sull’amministrazione e fonti dell’amministrazione. -Le prime hanno come destinatarie le pubbliche amministrazioni, che diventano soggetti eteroregolati, sottoposti allo stato di diritto; disciplinano l'organizzazione, funzioni e poteri di esse e fungono da parametro per sindacare la legittimità di un provvedimento emanato. Queste fonti sono costituite, in virtù della riserva di legge art. 97 cost., da fonti di rango primario e poi da fonti secondarie. -Le seconde sono strumenti a disposizione delle pubbliche amministrazioni, sia per regolare comportamenti privati, sia per disciplinare i propri apparati e funzionamento nei limiti della legge. La costituzione La costituzione del 1948 è la fonte giuridica di rango più elevato, per la modifica è necessario un procedimento aggravato, e dunque rientra nelle costituzioni rigide, è lunga rispetto a quelle brevi ottocentesche. Segna il passaggio dallo stato liberale allo stato interventista in quanto non delinea solamente i diritti di libertà dei cittadini, ma anche i compiti di cui deve farsi carico lo stato e quindi la pubblica amministrazione. La costituzione non tratta molto dell’assetto della pubblica amministrazione…enuncia i principi essenziali in termini di organizzazione (art. 97 cost.) di raccordi tra politica e amministrazione (art. 95 cost.), di assetto della giustizia amministrativa (artt. 103, 113 e 125 cost.). -All’art. 5 cost. esplicita il principio autonomistico (La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali) -all’art. 118 cost. invece il principio di proporzionalità (Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza) La costituzione comunque fornisce una disciplina completa delle fonti del diritto soprattutto di rango primario. di 11 187 Nel 2001 abbiamo la riforma del titolo V, che ridefinisce i rapporti tra legislazione statale e regionale in questo modo: equi ordinazione tra competenze statali e regionali che devono essere esercitate nel rispetto della costituzione e dai vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali; attribuzione alle regioni di una competenza legislativa generale residuale, con indicazione tassativa delle materie attribuite alla competenza legislativa esclusiva e concorrente dello stato. Fonti dell’unione europea Le fonti europee si pongono gerarchicamente a un livello superiore rispetto alle fonti primarie (art. 117 cost.). Le norme nazionali contrastanti con il diritto europeo devono essere disapplicate. Per la pubblica amministrazione il vincolo europeo è ancora più stringente perché non può disapplicare le leggi contrarie alla costituzione né ha il potere attribuito ai giudici di sollevare in via incidentale la questione alla corte costituzionale. Il vincolo europeo si spinge fino al punto di vietare alle pubbliche amministrazioni di dare esecuzione a un provvedimento la cui legittimità sia stata affermata da una sentenza passata in giudicato, allorché esso sia stato ritenuto contrario al diritto europeo dalla corte di giustizia dell’unione europea. -Per sintetizzare, le fonti europee sono costituite dai trattati istitutivi, oggi il TUE e il TFUE. I principi generali in essi contenuti, insieme a quelli che la corte di giustizia ha ricavato dai principi generali comuni agli stati membri, sono di diretta applicabilità negli ordinamenti nazionali. -Abbiamo poi la carta dei diritti fondamentali dell’unione europea e la convenzione europea per la salvaguardia dei dritti dell’uomo. -I regolamenti hanno portata generale, direttamente vincolanti per gli stati membri e per i loro cittadini. -Le direttive hanno per destinatari gli stati e sono vincolanti per il risultato da raggiungere, lasciando spazio agli stati membri per quanto riguarda la forma e i mezzi. Non sono direttamente applicabili, hanno bisogno del recepimento. Scaduto il termine per il recepimento, hanno efficacia diretta. -Le decisioni hanno contenuto puntuale, sono vincolanti, ma non hanno un’efficacia diretta. Nel nostro ordinamento, lo strumento specifico per il recepimento è dato da due leggi annuali di iniziativa governativa: la legge europea che modifica o abroga le disposizioni statali vigenti contrastanti con il diritto dell’unione; la legge di delegazione europea, che attribuisce deleghe al governo per il recepimento delle direttive, eventualmente anche con regolamento nelle materie non coperte da riserva di legge. Fonti normative statali, riserva di legge, principio di legalità La costituzione da una disciplina delle fonti statali di rango primario e sub primario: la legge (artt. 71-74); il decreto legge (art. 77); il decreto legislativo (art. 76) La riserva di legge si ha laddove una disposizione di rango cos:tuzionale prescrive che la disciplina di una determinata materia (o di un determinato se>ore) sia riservata a una fonte di rango legisla:vo, con esclusione delle fon: subordinate. Nell’ordinamento italiano, seppur con di 12 187 La pubblica amministrazione per individuare la règle de droit deve anche accertare la conformità delle disposizioni nazionali con quelle europee e interpretare delle disposizioni interne nel modo più conforme ai principi costituzionali. Infine i parametri che integrano il principio di legalità sono costituiti oltre che dalle leggi e dai regolamenti anche dei principi generali del diritto amministrativo e da questo punto di vista il principio di legalità richiede all'amministrazione una valutazione delle norme e un accertamento riguardo la conformità di tale norma alle disposizioni europee e. La pubblica amministrazione è chiamata inoltre a interpretare le disposizioni interne nel modo più conforme ai principi costituzionali. Le leggi provvedimento Le leggi provvedimento sono leggi (statali e regionali) che non hanno i caratteri di generalità e astrattezza, e sono sintomo di una disfunzione nei rapporti tra parlamento ed esecutivo. Le leggi-provvedimento costituiscono atti formalmente legislativi ma con un contenuto sostanzialmente amministrativo. Sul piano sostanziale esse agiscono, infatti, come un provvedimento, in quanto si riferiscono a destinatari determinati e regolano una situazione concreta. È proprio il loro carattere specifico e concreto che le distingue dalla legge ordinaria (per sua natura generale e astratta). La costituzione non ha un principio di riserva di amministrazione; quindi, non c’è protezione dell’esecutivo nei confronti dell’invasione del legislativo. La legge provvedimento scardina le garanzie offerte al privato come: il diritto di partecipare al procedimento, l’obbligo di motivazione e il diritto di proporre ricorso giurisdizionale innanzi al giudice amministrativo per ottenere l’annullamento dell’atto illegittimo. La legge provvedimento, infatti, può essere censurata solo sotto il profilo della costituzionalità innanzi alla corte costituzionale. I regolamenti governativi Definizione: Un regolamento governativo, nell'ordinamento giuridico italiano, è un atto amministrativo del Governo avente valore di fonte normativa secondaria, che si colloca cioè al di sotto delle fonti costituzionali e delle fonti primarie (ossia legge ordinaria, decreto legislativo, decreto-legge, trattato internazionale, direttive e regolamenti dell'Unione europea). Secondo la dottrina sono quindi atti formalmente amministrativi e sostanzialmente normativi. La loro collocazione al di sotto delle fonti primarie è giustificata dal processo richiesto per la loro approvazione, dal quale il Parlamento è completamente escluso: i regolamenti governativi sono infatti proposti e approvati interamente all'interno dell’esecutivo. La legge costituzionale nº 3/2001 introduce il parallelismo tra competenza legislativa e regolamentare dello stato. Lo stato è titolare di un potere regolamentare solo nelle materie attribuite alla sua competenza legislativa dall’art. 117. Nelle altre materie, la potestà regolamentare è delle regioni. Lo stato può emanare regolamenti nelle materie di competenza regionale concorrente o residuale solo nelle materie dell’approvazione da parte delle regioni delle norme di loro competenza e in caso di inerzia di quest’ultime. L’art. 87 attribuisce al presidente della repubblica il potere di emanare regolamenti. La legge nº 400/1988 individua cinque tipi di regolamenti governativi: esecutivi, attutativi- integrativi, indipendenti, di organizzazione, delegati o autorizzati. di 15 187 1. Gli esecutivi pongono norme di dettaglio per l’applicazione concreta di una legge; possono essere utilizzati per dare esecuzione ai regolamenti europei e anche a direttive. 2. Gli attuativi possono essere emanati nelle materie non coperte da riserva di legge assoluta nei casi in cui la legge si limiti ad individuare i principi generali della materia e autorizzi espressamente il governo a porre la disciplina di dettaglio. 3. I regolamenti indipendenti intervengono nelle materie non coperte da riserva di legge li dove manchi una disciplina di rango primario. 4. I regolamenti di organizzazione sono una sottospecie di regolamenti esecutivi, di attuazione; disciplinano il funzionamento delle pubbliche amministrazioni secondo le disposizioni indicate dalla legge. 5. I delegati, o autorizzati sono previsti nelle materie non coperte da riserva di legge e attuano la delegificazione. Sostituiscono la disciplina posta da una fonte primaria con una disciplina posta da una fonte secondaria. Occorre comunque una legge che autorizzi il governo ad emanarli, che contenga anche le norme generali regolatrici della materia; deve disporre l’abrogazione delle norme vigenti. La delegificazione contrasta la tendenza del parlamento a porre regole di dettaglio. I regolamenti fino qui menzionati sono attribuiti alla competenza del consiglio dei ministri. 6. I regolamenti ministeriali e interministeriali possono essere emanati solo nei casi espressamente previsti dalla legge e sono sottordinati gerarchicamente ai regolamenti governativi. Devono essere comunicati al presidente del consiglio dei ministri prima della loro emanazione. Sono approvati previo parere del consiglio di stato, sono sottoposti al controllo preventivo di legittimità e alla registrazione della corte dei conti e poi pubblicati in gazzetta ufficiale. La legge nº 400/1990 non esaurisce la tipologia dei regolamenti governativi. Leggi speciali prevedono discipline derogatorie. Per esempio, vediamo i regolamenti emanati con decreto del presidente del consiglio dei ministri. Di essi si è fatto un uso assai frequente in seguito alla pandemia da Covid-19 del 2020 (ben 19 in nove mesi) allo scopo di imporre regole e limiti anche alla libertà personale. Il regime giuridico dei regolamenti, che sono atti formalmente amministrativi anche se sostanzialmente normativi, è in parte quello proprio dei provvedimenti amministrativi (sia pur con le deroghe in tema di obbligo di motivazione), in parte quello proprio delle fonti del diritto. In quanto atti formalmente amministrativi, ove contengano disposizioni contrarie alla legge i regolamenti possono essere impugnati innanzi al giudice amministrativo e conseguentemente annullati. In base al principio della supremazia della legge, i regolamenti sono suscettibili di disapplicazione da parte del giudice ordinario. Anche il giudice amministrativo può disapplicare un regolamento in almeno due ipotesi: quando il provvedimento impugnato viola un regolamento a sua volta difforme dalla legge; quando il provvedimento impugnato è conforme ad un regolamento che però contrasta con una legge. In ogni caso, in base al principio jura novità curia la violazione regolamento può costituire motivo di ricorso per cassazione. I tesi unici e i codici di 16 187 La legislazione amministrativa si è estesa. La produzione normativa ha acquisito una dimensione patologica. Le leggi amministrative organiche infatti sono poco frequenti. A partire dagli anni 90, è stato promosso un riordino della legislazione almeno nelle materie più importanti. Lo strumento classico di riordino è il testo unico, che accorpa e razionalizza in un unico corpo normativo le disposizioni legislative vigenti relative ad una determinata materia. Si distinguono i testi unici innovativi e di mera compilazione. I primi emanati sulla base di un’autorizzazione legislativa che stabilisce i criteri del riordino; sono fonti del diritto in senso proprio, in quanto atti a innovare il diritto oggettivo e determinano l’abrogazione delle fonti legislative precedenti. I secondi sono emanati su iniziativa autonoma del governo, e hanno la funzione di riorganizzare in un testo univo le varie disposizioni vigenti. Un altro strumento importante è il codice. Esso è concepito, oltre che per coordinare i testi normativi, anche per innovare in modo più esteso la disciplina usualmente sulla base di una legge delega. Cenni alle fonti normative regionali, dagli enti locali e di altri enti pubblici La costituzione prevede tre fonti regionali: gli statuti, le leggi, i regolamenti. -Lo statuto delle regioni ordinarie determina la forma di governo e i principi di organizzazione e funzionamento. È approvato con procedimento aggravato, ovvero una doppia approvazione a maggioranza assoluta nel consiglio regionale. Lo statuto delle regioni a statuto speciale è approvato con legge costituzionale. -Le leggi regionali sono approvate dal consiglio regionale e promulgate dal presidente nelle materie di competenza concorrente e residuale. -I regolamenti regionali sono adottati dalla giunta regionale e possono essere emanati nelle materie attribuite alla competenza legislativa concorrente e residuale delle regioni. La giurisprudenza costituzionale ha ritenuto che anche nelle materie di competenza regionale lo Stato possa, entro certi limiti, legiferare. Infatti, alcune materie sono attribuite alla competenza legislativa esclusiva statale e avendo natura trasversale consento alle leggi statali di introdurre disposizioni che non possono essere derogate dalle regioni. Poi in base al principio di sussidiarietà verticale (art. 118), ove una funzione richieda di essere esercitata in modo unitario a livello statale, anche la funzione legislativa viene per così dire attratta nell’ambito della competenza statale (C. cost., sentenza 1o ottobre 2003, n. 303, che ha posto il principio della cosiddetta «chiamata in sussidiarietà»). I rapporti tra leggi e regolamenti regionali sono disciplinati dagli statuti. Le fonti normative di comuni, province e città metropolitane sono essenzialmente gli statuti e i regolamenti. Lo statuto è approvato dal consiglio dell’ente locale a maggioranza dei due terzi, oppure se non si raggiunge questa maggioranza, con delibera approvata due volte dalla maggioranza assoluta dei consiglieri. Lo statuto ha rango subprimario poiché si pone al di sotto delle leggi statali di principio. di 17 187 L’esercizio dei poteri amministrativi deve avvenire in modo coerente con una strategia complessiva. Pertanto, in molte materie, la legge prevede che a monte dell’adozione di un provvedimento, ci sia un’attività di pianificazione con la quale si prefigurano obiettivi, priorità, limiti e altri criteri per l’esercizio di poteri amministrativi. (Es: il rilascio dei permessi di costruzione avviene nel rispetto dei piani regolatori comunali). L’attività di programmazione serve a creare i raccordi tra i diversi livelli di governo secondo il modello della pianificazione a cascata. Es: in materia sanitaria, l’attività di programmazione si articola nel piano sanitario nazionale e nei piani sanitari regionali. Questo vale per esempio anche in altre materie come l’anticorruzione o la tutela ambientale. Costituisce tipo a sé il PNRR, presentato dal governo alla commissione europea ad aprile 2021, allo scopo di ottenere i finanziamenti europei per favorire il rilancio economico post pandemia. Esso ha due componenti: un elenco di progetti, le tempistiche per la realizzazione e gli importi da stanziare per ciascuno di essi; le riforme strutturali che dovranno essere approvate per legge al fine di creare condizioni favorevoli alla crescita economica. L’attuazione del piano è monitorata in sede europea e condiziona l’erogazione delle risorse. Molti atti di pianificazione e di programmazione pongono il problema se essi rilevino solo all’interno dei rapporti organizzatori tra i diversi livelli di governo, oppure se contengano prescrizioni direttamente vincolanti i soggetti privati. Inoltre, dal punto di vista della teoria della regolazione amministrativa, gli atti di pianificazione introdotti nella seconda metà del secolo scorso, secondo il modello dello stato interventista programmatore, sono considerati tra gli strumenti di intervento pubblico più intrusivi della libertà di iniziativa privata. Per questo, con l’affermazione dello stato regolatore, in seguito alla liberalizzazione, molti atti di pianificazione sono stati soppressi. Ancora il modello della pianificazione a cascata e delle pianificazioni settoriali si è rilevato oneroso e di difficile attuazione. Merita approfondimento il piano regolatore generale, strumento principale di governo del territorio da parte dei comuni. Fu previsto dalla legge urbanistica 1942. Disciplinato oggi dalle leggi regionali. Il piano suddivide il territorio comunale in zone omogenee, con l’indicazione per ciascuna di esse delle attività insediabili; poi individua le aree destinate ad edifici e a infrastrutture pubbliche o a uso pubblico (localizzazione). Se la localizzazione riguarda terreni di proprietà privata, essa determina un vincolo di inedificabilità di durata quinquennale che decade se nel frattempo non interviene l’espropriazione. Il piano regolatore e corredato dalle norme tecniche di attuazione. Il piano regolatore generale condizionato a monte dal piano territoriale di coordinamento provinciale, dai piani paesistici e dai piani urbanistico-territoriali previsti dalla normativa in materia di valori paesistici e ambientali. Sono strumenti attuativi del piano regolatore: -il piano particolareggiato di iniziativa pubblica per la realizzazione di interventi di riqualificazione territoriale; -i piani di zona per l’edilizia residenziale pubblica; -i piani per gli insediamenti produttivi; -i piani di lottizzazione di iniziativa privata e disciplinati da una convenzione con il comune. Il piano è approvato alla fine di un procedimento aperto ai privati. Il piano adottato dal comune, pubblicato per 30 giorni per consentire agli interessati di prendere visione e presentare osservazioni. Viene poi sottoposto a una nuova delibera del consiglio comunale che deve pronunciarsi sulle osservazioni presentate. Il piano è soggetto all’approvazione della regione, che può proporre anche modifiche, comunicate al comune, il quale con delibera del consiglio comunale può approvare controdeduzioni delle quali la regione terrà conto in sede di 20 187 di approvazione definitiva. La notizia dell’approvazione viene data dal bollettino ufficiale della regione. Essendo la procedura molto lunga, il piano, fin dalla sua adozione formale, produce l’effetto di precludere il rilascio di permessi a costruire incompatibili con le nuove prescrizioni. È controversa la natura giuridica del piano regolatore: ha natura essenzialmente normativa (regolamentare), tale da condizionare soltanto l’adozione dei piani attuativi, oppure di atto amministrativo generale tale da produrre effetti giuridici immediati in capo a destinatari ben individuati. Prevale la tesi intermedia: da un lato dispongono in via generale ed astratta in ordine al governo ed all’utilizzazione dell’intero territorio comunale, e dall’altro, contengono istruzioni, norme e prescrizioni di concreta definizione, destinazione e sistemazione di singole parti del comprensorio urbano. Quindi occorre valutare i contenuti del piano allo scopo di appurare se esso leda in via immediata posizioni giuridiche di singoli proprietari e pertanto sia necessario impugnarlo nel termine di 60 giorni; oppure se abbia valenza solo programmatoria e che pertanto solo l’emanazione dei provvedimenti attuativi determini una lesione delle situazioni giuridiche soggettive, tale da rendere necessaria la proposizione di un ricorso giurisdizionale. 13-c) Le ordinanze contingibili e urgenti Gli stati dispongono di strumenti per far fronte a emergenze imprevedibili, che possono mettere a rischio interessi fondamentali della comunità. Con lo statuto albertino si riteneva che per prassi rientrasse nel potere regio emanare, nei casi di urgenza, ordinanze in deroga alle norme vigenti. Con la costituzione questo potere venne assorbito in gran parte dal potere attribuito al governo di emanare decreti leggi nei casi di necessità ed urgenza. A livello subcostituzionale, molte leggi attribuiscono ad autorità amministrative il potere di emanare ordinanze contingibili e urgenti, delle quali è discussa la natura amministrativa o normativa. Tra gli esempi, vediamo il potere del prefetto di adottare provvedimenti indispensabili per la tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica nel caso di urgenza o grave necessità pubblica. Il sindaco nella veste di ufficiale di governo può adottare provvedimenti contingibili e urgenti al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana. Anche in materia di protezione civile è previsto un potere di ordinanza quando si verificano calamità naturali che richiedono interventi immediati con mezzi e poteri straordinari. Infatti, il consiglio dei ministri delibera lo stato di emergenza, disponendo anche in ordine all’esercizio del potere di ordinanza. Le leggi attributive di questo tipo di poteri si limitano di solito a individuare l’autorità amministrativa competente ad adottarli, a descrivere in termini generali il presupposto che ne legittima l’emanazione e a specificare il fine pubblico da perseguire; lasciano quindi indeterminato il contenuto del potere e i destinatari del provvedimento. Le ordinanze in questione operano una deroga al principio della tipicità degli atti amministrativi, in base al quale la norma attributiva del potere deve definirne in modo sufficientemente preciso presupposti e contenuti. Queste comunque pongono vari problemi di applicazione e di qualificazione. È controverso se ed entro quali limiti i poteri di ordinanza devono rispettare le leggi vigenti. La giurisprudenza ha chiarito che, quanto meno, le ordinanze non possono essere emanate in contrasto con i principi generali dell’ordinamento giuridico e fondamentali di 21 187 della costituzione; devono avere efficacia limitata nel tempo e devono essere motivate e adeguatamente pubblicizzate. Un limite interno, costituito dal principio di proporzionalità e pertanto il contenuto delle ordinanze deve essere calibrato in funzione dell’emergenza specifica. -Ha un carattere residuale, trattandosi di uno strumento extra ordinem. -Quanto alla qualificazione giuridica, le ordinanze hanno di regola natura non normativa anche quando si rivolgono a categorie più o meno ampie di destinatari; -si riferiscono ad accadimenti specifici e dunque hanno carattere concreto e efficacia circoscritta. Quando la situazione si protrae nel tempo, si perde il carattere dell’astrattezza, e quindi anche quella della temporaneità, in modo da assumere le caratteristiche del regolamento comunale. Le ordinanze contingibili ed urgenti distinte da altri atti amministrativi che hanno come presupposto l’urgenza, ma il cui contenuto e i cui effetti sono predefiniti dalla norma attributiva del potere. 14-d) Le direttive e gli atti di indirizzo Le direttive amministrative sono affine agli atti di pianificazione. Il loro contenuto è caratteristico, in quanto non è costituito da prescrizioni puntuali e vincolanti in modo assoluto, ma è limitato all’indicazione di fini e obiettivi da raggiungere. Esse attribuiscono ai loro destinatari spazi di valutazione e decisione in modo di poter tener conto di tutte le circostanze del caso concreto. Si distinguono direttive che si inseriscono i rapporti interorganici e le direttive che attengono a rapporti intersoggettivi, dove possono assumere valenza regolatoria ove siano indirizzate a una pluralità di interessati. Le prime sono strumento attraverso il quale l’organo sovraordinato orienta l’attività dell’organo o degli organi sottordinati. Dove il rapporto interorganico ha carattere gerarchico (es: ministero degli interni con il prefetto), la direttiva può essere utilizzata in luogo dell’atto che è più caratteristico di questo tipo di relazione, e cioè l’ordine gerarchico che ha contenuto puntuale e riferito ad una situazione concreta. Laddove l’organo sottoindicato ha competenza autonoma, non inclusa del tutto in quella dell’organo sovraordinato, (non esiste un rapporto propriamente gerarchico), la direttiva ha caratteristiche più tipiche e definisce la relazione “rapporto di direzione” (es: rapporto tra ministro e dirigenti generali). Le direttive che si inseriscono in rapporti intersoggettivi costituiscono strumento attraverso il quale, per esempio, il ministro competente o la regione esercitano il potere di indirizzo nei confronti di enti pubblici strumentali, la cui attività deve essere resa coerente con i fini istituzionali propri del ministero di settore o la regione. Storicamente, interi settori di imprese o vari enti pubblici economici, furono sottoposti a poteri di indirizzo assai penetranti. La direttiva tentava di conciliare l’esigenza di mantenere un legame istituzionale rispetto alla politica governativa con l’esigenza di assicurare una certa libertà di azione a soggetti in massima parte pubblici ma operanti in regime privatistico. di 22 187 A livello nazionale, l’autorità garante della concorrenza e del mercato ha pubblicato linee guida per la quantificazione delle sanzioni irrogate alle imprese nel caso di violazione della normativa sulla concorrenza, e ciò per assicurare agli operatori una maggiore prevedibilità dell’ammontare della sanzione all’interno di una forbice molto ampia prevista a livello legislativo. La violazione delle linee guida può essere fatta valere innanzi al giudice amministrativo che in tema di sanzioni antitrust ha il potere di sindacare nel merito il provvedimento dell’autorità, riducendo, l’importo indicato nel provvedimento impugnato. Sempre a livello nazionale, alcune autorità di regolazione pubblicano atti denominati avvisi, messaggi, comunicazioni, note amministrative, richiami d’attenzione, domande e risposte, per specificare modalità operative. Il grado di effettività della soft law dipende essenzialmente dell’autorevolezza dell’organo da cui essa promana. La better regulation e altri modelli di organizzazione 1. Molti stati hanno strumenti che promuovono la qualità della regolazione: contenere l’iperregolazione; ridurre gli oneri che gravano sulle pubbliche amministrazioni; evitare che un’eccessiva quantità di regole comprometta la competitività del sistema economico; differenziare le regole che prevedono adempimenti semplificati per le piccole e medie imprese. Uno di questi strumenti è l’analisi di impatto della regolazione introdotta in Italia negli anni 90. L’AIR obbliga le pubbliche amministrazioni, prima di approvare un atto di regolazione, a individuare tutte le soluzioni astrattamente possibili valutando costi e benefici per ognuna di esse, e specificarle in un documento che correda la proposta di atto normativo. Approvate, le norme sono sottoposte a una verifica ex post; interviene la verifica dell’impatto della regolamentazione (VIR). A livello governativo è stato istituito un ufficio di livello dirigenziale generale per l’analisi e la verifica dell’impatto della regolamentazione. Questo però è uno strumento utilizzato poco e male. 2. In epoca recente sono stati sperimentati modelli di regolazione innovativi. Va richiamato un approccio più flessibile alla regolazione proposto da una corrente di pensiero ispirata al cosiddetto paternalismo libertario. Lo stato anziché obbligare i soggetti privati a tenere determinati comportamenti, magari con la minaccia delle sanzioni, individua l’opzione che ritiene preferibile per tutelare i reali interessi degli stessi soggetti privati, senza eliminare la loro libertà di scelta. I privati soffrono di bias cognitivi, pertanto spetta ai pubblici poteri promuovere le scelte ritenute migliori sotto il profilo dell’interesse individuale e collettivo. Un altro modello innovativo è quello della regolazione cogestita dal regolatore pubblico e dai soggetti privati. Come misura minimale di temperamento dell’unilateralità del potere di regolazione, le leggi di derivazione europea, hanno reso obbligatorie per i poteri normativi sublegislativi attribuiti alle autorità amministrative indipendenti, forme di partecipazione al procedimento dei soggetti interessati. Negli Stati Uniti dal 1996 è previsto un modelo avanzato di regulatory negotiation. L’agenzia di regolazione competente, può istituire un comitato consultivo, composto da un numero limitato di esponenti di interessi rilevanti e coordinato da un facilitator. Ulteriore modello di regolazione cogestita è quello italiano della autoregolazione monitorata. 3. Alcuni modelli di regolazione attenuano la distinzione tra provvedimenti di tipo individuale e atti normativi. Per esempio, l’autorizzazione, definita come atto amministrativo che consente l’esercizio di un’attività rimuovendo un limite all’esercizio di un diritto e che è di 25 187 emanata su istanza della parte interessata, acquista una dimensione regolatoria nei casi in cui la legge preveda l’emanazione da parte dell’autorità amministrativa delle cosiddette autorizzazioni generali. Anche i procedimenti di tipo sanzionatorio, volti ad accertare la sussistenza di un illecito amministrativo e a applicare una sanzione nei confronti di un soggetto determinato, si aprono a una dimensione regolatoria. In conclusione, la soft law e gli altri modelli di regolazione finiscono per sfumare i contorni di nozioni tradizionali come fonte del diritto, eteroregolazione, provvedimento individuale. PARTE SECONDA: PROFILI FUNZIONALI CAPITOLO III: IL RAPPORTO GIURIDICO AMMINISTRATIVO Gli interessi pubblici, le funzioni e l’attività amministrativa La funzione di amministrazione attiva consiste nell’esercizio attraverso moduli procedimentali, dei poteri amministrativi attribuiti dalla legge a un apparato pubblico al fine di curare l’interesse pubblico. Gli interessi pubblici Il diritto consiste nella regolazione di interessi, che sono di più tipi. Vi sono interessi prettamente privati, come quello del titolare di un diritto di proprietà o di un diritto di credito e interessi collettivi, come quello della massa dei creditori in una procedura fallimentare. Altri interessi hanno carattere diffuso, come per esempio l’interesse correlato a un ambiente salutare. Gli interessi pubblici presuppongono un riconoscimento formale da parte di una legge che li individui, ponga regole e istituisca apparati che si facciano istituzionalmente carico della loro cura. Gli interessi pubblici variano nel tempo in funzione dell’evoluzione della consapevolezza sociale e politica. Sempre gli stessi possono porsi in contrasto fra loro e richiedono da parte del legislatore un bilanciamento. Nel contesto costituzionale, alla cura degli interessi pubblici, possono concorrere soggetti privati, in attuazione del principio di sussidiarietà verticale. Le funzioni La legge ne delinea anzitutto le funzioni correlate alla finalità di interesse pubblico. Il termine funzione ha molti significati: può essere riferito ai vari tipi di attività posti in essere dagli apparati pubblici. Nel contesto che qui rileva, per funzioni amministrative si intendono i compiti che la legge individua come propri di un determinato apparato amministrativo. L’apparato deve esercitarle di 26 187 per la cura dell’interesse pubblico. La legge conferisce agli apparati amministrativi le risorse e i poteri necessari (attribuzioni) e distribuisce la titolarità di questi ultimi tra gli organi che compongono l’apparato (competenze). Le funzioni amministrative vengono individuate dalla legge in modo più o meno analitico o al momento dell’istituzione di un apparato amministrativo, o in sede di riassetto della legislazione di settore e degli apparati amministrativi. L’attività amministrativa L’esercizio delle funzioni comporta lo svolgimento da parte dell’apparato pubblico di una varietà di attività materiali e giuridiche. Emerge la nozione di attività amministrativa: consiste nell’insieme delle azioni e delle decisioni riconducibili ad una pubblica amministrazione in relazione alle funzioni affidate ad essa da una legge; essa è rivolta a un fine pubblico, alla cura di esso e per questo, ha il carattere della doverosità. Il mancato esercizio dell’attività può essere fonte di responsabilità. All’attività amministrativa fa riferimento l’art.1 della legge nº 241/1990 secondo il quale essa “persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, efficacia, imparzialità, pubblicità, trasparenza”. La nozione di attività amministrativa non coincide con quella di atto o provvedimento; essa si riferisce all’operato complessivo delle singole amministrazioni valutato in termini di legalità, efficienza, economicità, efficacia. Il controllo è effettuato da organi come, ad esempio, la corte dei conti, preposta al controllo successivo sull’attività degli enti pubblici. L’atto amministrativo è invece un singolo episodio dell’attività posta in essere dall’apparato, che viene valutato sotto il profilo della legittimità e del merito amministrativo. Questione interpretativa è stabilire dove vada tracciata la linea di confine tra attività amministrativa e attività di diritto privato in senso proprio della pubblica amministrazione. La giurisprudenza indica che l’apparato pubblico svolge attività amministrativa non solo quando esercita pubbliche funzioni e poteri autoritativi, ma anche quando persegue le proprie finalità istituzionali mediante un’attività disciplinata in tutto o in parte dal diritto privato. La tendenza ad attribuire una connotazione pubblicistica ad attività svolte con moduli privatistici, mira a colpire il fenomeno che vede le amministrazioni ricorrere a forme organizzative privatistiche al fine di sottrarsi al regime del diritto amministrativo (assunzioni del personale senza concorso, stipulazione di contratti senza procedure a evidenza pubblica). Il potere, il provvedimento, il procedimento L’attività amministrativa può esprimersi nell’adozione di atti e provvedimenti, manifestazione concreta dei poteri amministrativi attribuiti dalla legge. La legge individua in modo puntuale i poteri al singolo apparato. Il potere di 27 187 Per fare ciò vedremo alcuni concetti di base elaborati allo scopo di inquadrare la varietà dei rapporti giuridici di diritto comune. Nel diritto privato abbiamo la relazione di base tra diritto soggettivo (potere di agire, garantito dall’ordinamento per il perseguimento di un proprio interesse), e obbligo. Alla titolarità del diritto soggettivo corrisponde, in capo al soggetto passivo, a seconda dei casi: -un dovere generico e negativo di astensione; -un obbligo giuridico, cioè il dovere positivo di porre in essere un determinato comportamento. Accanto a questa relazione di base esistono altre situazioni giuridiche che ci avvicinano alla dinamica del rapporto amministrativo. Per esempio abbiamo la situazione giuridica attiva della potestà, finalizzata al perseguimento di un bene altrui, da esercitarsi secondo prudente arbitrio, che può essere confrontata con il potere amministrativo finalizzato al perseguimento di un fine pubblico imposto dalla legge. Da qui i caratteri della doverosità e della non arbitrarietà dell’esercizio del potere. Particolare categoria dei diritti soggettivi è il diritto potestativo, il potere attribuito ad un soggetto di produrre nella sfera giuridica altrui un effetto giuridico, con una propria manifestazione unilaterale di volontà. Il soggetto che subisce una modificazione della propria sfera giuridica è in uno stato di soggezione. Il diritto potestativo rappresenta una particolare tecnica di produzione degli effetti giuridici nei rapporti inter soggettivi che vale anche per il potere amministrativo. La produzione degli effetti giuridici segue tipicamente lo schema [norma-fatto-effetto giuridico], tipico delle relazioni ricostruibili in termini di diritto soggettivo-obbligo. La norma definisce gli elementi della fattispecie e l’effetto giuridico che ad essa si ricollega, ponendo la disciplina degli interessi in conflitto in relazione a un bene; tutte le volte che si verifica un fatto concreto sussumibile nella fattispecie normativa si produce automaticamente un effetto giuridico. Il diritto conosce anche un’altra tecnica di produzione di effetti che segue lo schema [norma- fatto-potere-effetto giuridico]. Qui viene meno l’automatica produzione dell’effetto giuridico. Infatti il verificarsi di un fatto riconducibile ad una determinata norma attributiva del potere pone in capo a un soggetto la possibilità di produrre l’effetto giuridico individuato nella fattispecie. Il titolare del potere è quindi libero di decidere se provocare con la propria volontà l’effetto giuridico descritto dalla norma. Questo è lo schema proprio del diritto potestativo. La dottrina individua due tipi di diritti potestativi: stragiudiziali e a necessario esercizio giudiziale. -Nel primo caso parliamo di un potere unilaterale, autosufficiente in quanto produce direttamente l’effetto giuridico. -Nel secondo caso il prodursi dell’effetto giuridico presuppone, oltre la dichiarazione di volontà del titolare del potere, un previo accertamento giudiziale che verifichi la sussistenza nella fattispecie concreta degli elementi previsti in astratto a livello della fattispecie normativa. Anche per i diritti potestativi del primo caso, è previsto un controllo giurisdizionale, ma successivo al verificarsi dell’effetto giuridico, subordinato all’iniziativa processuale di colui che si è vista modificata a sfera giuridica: il soggetto passivo nel rapporto sostanziale, in questo caso, diventa parte attiva nel rapporto processuale; al contrario vale per l’altro soggetto. di 30 187 La seconda tipologia di diritti potestativi presenta una tutela più forte per il soggetto passivo del rapporto sostanziale, ma non abbiamo la produzione immediata dell’effetto giuridico. Il potere amministrativo è ricondotto nello schema del diritto potestativo stragiudiziale: l’effetto giuridico si realizza immediatamente dalla dichiarazione di volontà dell’amministrazione che emana il provvedimento. L’accertamento giurisdizionale può avvenire solo in via posticipata, in seguito alla proposizione di un ricorso innanzi il giudice amministrativo da parte del soggetto interessato dal provvedimento. Nel caso del potere amministrativo, lo schema trova giustificazione nell’esigenza di realizzazione immediata dell’interesse pubblico, e in base alla legge 241/1990, nell’esigenza di trasparenza, correttezza, imparzialità, principio di partecipazione. Sussistono tuttavia alcune particolarità del potere amministrativo rispetto allo schema del diritto potestativo. Nei rapporti inter privati, il diritto potestativo trova fondamento consensuale di tipo pattizio, (es: il potere di licenziamento trova fondamento consensuale nel contratto di lavoro che, da un punto di vista giuridico, le parti erano libere di stipulare). Inoltre, la fattispecie normativa che disciplina il diritto potestativo determina rigidamente l’effetto giuridico prodotto attraverso la dichiarazione di volontà del titolare del diritto. Potere e effetto giuridico totalmente vincolati. Il titolare del diritto è solo libero di scegliere se esercitarlo o meno. Il potere amministrativo invece, trova fondamento diretto nella legge, nella norma di conferimento del potere, e senza che sussista, di regola, un rapporto giuridico preesistente tra soggetto privato e pubblica amministrazione. Poi il potere dell’amministrazione non è interamente vincolato: la legge attribuisce margini di manovra più o meno ampi all’amministrazione, che determinano una modulazione del contenuto e degli effetti del provvedimento emanato. La disciplina degli interessi in conflitto, non è posta integralmente dalla norma, ma quest’ultima rimette almeno una parte della determinazione dell’assetto finale degli interessi al soggetto titolare del potere. La norma attributiva del potere Vediamo la struttura della norma attributiva del potere. Secondo una classificazione classica, le norme che si riferiscono alla pubblica amministrazione sono di due tipi: norme di azione; norme di relazione. -Le prime disciplinano il potere amministrativo nell’interesse esclusivo della pubblica amministrazione, hanno lo scopo di assicurare che l’emanazione degli atti sia conforme a parametri determinati e non hanno funzione di protezione dell’interesse dei soggetti privati; seguono lo schema [norma- fatto-potere-effetto]. -Le norme di relazione regolano i rapporti tra amministrazione e soggetti privati, a garanzia anche di quest’ultimi, definendo l’assetto degli interessi, dirimendo i conflitti tra cittadino e pubblica amministrazione; seguono lo schema [norma-fatto-effetto]. La norma di azione fissa i limiti interni al potere, volti a guidare l’amministrazione; la norma di relazione segna i limiti esterni tracciando i confini della sfera giuridica dei soggetti privati. Questa distinzione ha effetti diversi in più ambiti: -sul piano delle situazioni giuridiche soggettive c’è la distinzione tra interesse legittimo collegato alla prima, e diritto soggettivo collegato alla seconda; di 31 187 -nelle qualificazioni giuridiche, la categoria dell’illegittimità (annullabilità) o della illiceità (nullità) riferita all’uno o all’altro tipo di norma; -nell’ambito della giurisdizione, abbiamo l’attribuzione delle controversie al giudice amministrativo o al giudice ordinario: il secondo chiamato ad accertare la conformità o meno del fatto rispetto alla noma di relazione, il primo chiamato ad accertare la conformità non solo del fatto, ma anche dell’atto rispetto alle norme di azione. Questa divisione di norme è ormai datata, legata ad una concezione antica dell’interesse legittimo. Appare quindi preferibile utilizzare la formula più generica di norma attributiva del potere. Attuando il principio di legalità, cardine della teoria e del procedimento amministrativo, la norma attributiva del potere individua gli elementi caratterizzanti il potere particolare attribuito ad un apparato pubblico: -soggetto competente; fine pubblico; presupposti e requisiti; modalità di esercizio del potere e requisiti di forma; effetti giuridici. 1. Quanto al soggetto competente, ogni potere amministrativo deve essere attribuito in modo specifico dalla norma alla titolarità di uno e un solo soggetto, o se questo prevede più organi, a un organo soltanto. l’atto emanato da un soggetto o un organo diverso è affetto da vizio di incompetenza. 2. Il fine pubblico è un elemento specificato in modo espresso dalla norma di conferimento del potere, oppure può essere ricavato implicitamente dalla legge che disciplina la particolare materia. L’amministrazione non è libera di esercitare il potere per il perseguimento di qualsivoglia finalità autodeterminata. La violazione del vincolo del fine configura un vizio di eccesso di potere. 3. Il terzo elemento consiste nei presupposti e requisiti sostanziali in presenza dei quali il potere sorge e può essere esercitato; la loro sussistenza è una delle condizioni per l’esercizio legittimo del potere. L’espressione «presupposti e requisiti di legge» è utilizzata dall’art. 19 l. n. 241/1990 ed è riferita alle autorizzazioni cosiddette vincolate che, come si vedrà, sono sostituite dalla cosiddetta segnalazione certificata d’inizio di attività (Scia). Analogamente stessa legge prevede che il responsabile del procedimento valuti a fini istruttori «le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione ed i presupposti che siano rilevanti per l’emanazione del provvedimento». Nel tema, la questione delicata è costituita dal grado di accuratezza della fattispecie normativa. A seconda delle espressioni linguistiche usate, il potere può risultare più o meno ampiamente vincolato o discrezionale. Ciò lungo una linea continua delimitata da due estremi. Al primo estremo troviamo i poteri integralmente vincolati. L’amministrazione ha il solo compito di verificare in modo meccanico, se nella fattispecie concreta siano rinvenibili tutti gli elementi indicati in modo univoco ed esaustivo dalla norma attributiva, e nel caso positivo, di emanare il provvedimento che produce gli effetti anch’essi rigidamente determinati dalla norma. Al secondo estremo si pongono i poteri “in bianco” che rimettono al soggetto titolare del potere spazi ampi di apprezzamento, di valutazione delle fattispecie concrete e di determinazione delle misure necessarie per tutelare un determinato interesse pubblico. di 32 187 Questa ricostruzione è accolta nel settore tributario nel quale si ritiene che l’obbligazione tributaria, sorge a prescindere dall’emanazione di un atto di accertamento del tributo da parte dell’amministrazione finanziaria. Anche con riferimento alle sanzioni amministrative pecuniarie la giurisprudenza della Corte di cassazione afferma che l’obbligazione al pagamento della somma di danaro non nasce per effetto del provvedimento che irroga la sanzione (ordinanza-ingiunzione) e che il giudizio di opposizione ha per oggetto il rapporto sanzionatorio e la pretesa creditoria dell’amministrazione Se dunque i veri poteri sono quelli discrezionali, sorge il problema di come conciliare due esigenze: attribuire all’amministrazione quel tanto di discrezionalità che consente la flessibilità necessaria per gestire i problemi della collettività; la discrezionalità non deve trasformarsi in arbitrio. Qui abbiamo una differenza rispetto al diritto privato, dove Le scelte dei privati non sono vincolate a regole e principi particolari. L’amministrazione titolare di un potere invece deve operare la scelta tra una pluralità di soluzioni, tenendo conto dei limiti esterni sanciti dalla norma di conferimento. Queste regole sono ora annunciate nell’ art. 1 legge nº 241/1990 secondo il quale, “l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge, retta, da criteri di imparzialità, pubblicità e trasparenza”. La discrezionalità amministrativa non ha definizione legislativa, anche se è richiamata in più disposizioni generali. Così, l’art. 11 l. n. 241/1990, nel disciplinare gli accordi tra l’amministrazione procedente e i privati, specifica che essi hanno per oggetto «il contenuto discrezionale del provvedimento» Anche il Codice del processo amministrativo, come si vedrà, contiene un riferimento a situazioni nelle quali «non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità» Volendo porre una definizione di discrezionalità amministrativa, essa consiste nel margine di scelta che la norma rimette all’amministrazione affinché possa individuare, tra quelle consentite, la soluzione migliore per curare nel caso concreto l’interesse pubblico. Per la scelta si guardano durante la fase istruttoria gli interessi pubblici e privati in gioco e si effettua una comparazione. Tra di essi c’è: -l’interesse pubblico primario (fine pubblico) individuato nella norma di conferimento del potere, affidato alla cura dell’amministrazione titolare del potere; -l’interesse primario deve poi essere messo a confronto e valutato alla luce degli interessi secondari rilevanti. tra cui gli interessi privati, che possono partecipare al procedimento per rappresentare il proprio punto di vista, art. 10 legge nº 241/1990. -In definitiva, la scelta dell’amministrazione deve contemperare l’esigenza di massimizzare l’interesse pubblico primario con quella di causare minor sacrificio possibile degli interessi secondari incisi dal provvedimento. L’amministrazione poi deve dar conto della ponderazione degli interessi nella motivazione del provvedimento, per garantire la trasparenza. La discrezionalità agisce su quattro elementi logicamente distinti. 1. Sull’ an, cioè sul se esercitare il potere in una determinata situazione concreta ed emanare il provvedimento 2. Sul quid, quindi il contenuto del provvedimento di 35 187 3. Sul quomodo, cioè sulle modalità da seguire per l’adozione del provvedimento al di là delle sequenze di atti imposti dalla legge che disciplina lo specifico provvedimento. 4. Sul quando, cioè sul momento più opportuno per esercitare un potere d’ufficio avviando il procedimento, e, una volta aperto, per emanare il provvedimento, tenendo conto dei termini massimi per la conclusione del procedimento. In base alla norma di conferimento, un potere può essere discrezionale o vincolato in relazione a uno o più di questi elementi. Occorre poi operare la distinzione tra discrezionalità in astratto e vincolatezza in concreto. Si parla in questo caso di vincolatezza in concreto: All’esito dell’attività istruttoria può darsi che residui un’unica scelta legittima tra quelle consentite in astratto dalla legge. Nel procedimento, ma anche entro certi limiti del processo amministrativo, la discrezionalità può ridursi fino ad annullarsi del tutto. La vincolatezza in astratto, che si verifica quando la norma gli predefinisce in modo puntuale tutti gli elementi che caratterizzano il potere. Una riduzione della discrezionalità può derivare anche dall’autovincolo. Tra la norma di conferimento del potere che concede all’amministrazione spazi di discrezionalità e il provvedimento emanato, si interpone la predeterminazione da parte della stessa amministrazione di criteri e parametri che vincolano l’esercizio della discrezionalità. I criteri devono essere resi pubblici. Ciò accresce l’oggettività e la trasparenza delle decisioni, perché i criteri così stabiliti vincolano l’attività dell’amministrazione, e la violazione dei medesimi è sindacabile da parte del giudice amministrativo, in modo non dissimile dalla violazione di norme giuridiche in senso proprio. L’autovincolo rappresenta un limite alla tecnica del conferimento di poteri discrezionali, salvando in parte l’esigenza di legalità sostanziale. In dottrina si è discusso se l’esercizio della discrezionalità amministrativa consista in un’attività intellettiva e di giudizio, quindi riconducibile a un’attività di interpretazione, oppure un’attività volitiva e creativa; in realtà nella discrezionalità sembra riscontrabile un elemento aggiuntivo costituito dall’individuazione e imposizione della regola per il caso singolo che rappresenta un quid novi atto a integrare in qualche modo, la norma attributiva del potere. Il merito amministrativo Mettiamo a fuoco la nozione speculare della discrezionalità, ovvero quella del merito amministrativo. Il merito ha una dimensione residuale e negativa: si riferisce all’ambito di valutazione e di scelta spettante all’amministrazione che si pone al di la dei limiti coperti dall’area della legalità. Se il potere è integralmente vincolato, lo spazio del merito è nullo. Di regola rientrano nel merito, ad esempio, la valutazione espressa dalla commissione su un candidato che partecipa ad un concorso pubblico, oppure la scelta di chiudere al traffico una strada veicolare in occasione di una corsa ciclistica, etc. Il merito quindi è quell’attività dell’amministrazione essenzialmente libera. La scelta tra una pluralità di soluzioni va apprezzata solo in termini di opportunità o inopportunità (non parametri giuridici); è insindacabile nell’ambito del giudizio di legittimità, quindi il giudice non può sostituire le proprie valutazioni a quelle operate dall’amministrazione. La distinzione tra legittimità e merito rileva in più contesti. di 36 187 -Il primo è quello dei controlli amministrativi: si articolano in controlli di legittimità e di merito: i primi finalizzati eventualmente ad annullare gli atti amministrativi illegittimi - i secondi a modificare o sostituire l’atto oggetto del controllo. Poi il codice del processo amministrativo distingue la giurisdizione di legittimità, che investe il giudice amministrativo, dalla giurisdizione con cognizione estesa al merito, nell’esercizio della quale il giudice amministrativo può sostituirsi all’amministrazione; può rivalutare le scelte discrezionali dell’amministrazione e sostituire la propria valutazione. In deroga al principio della separazione dei poteri, il giudice diventa “amministratore”, e la sua valutazione è limitata a pochi casi tassativi indicati nell’art. 134 c. del processo amministrativo. In terzo luogo i confini tra legittimità e merito rilevano anche in materia di responsabilità amministrativa dei funzionari pubblici in relazione al danno erariale provocato all’amministrazione che rientra, nella giurisdizione della corte dei conti. Le valutazioni tecniche La discrezionalità va tenuta distinta dalle valutazioni tecniche. Queste ultime si riferiscono al caso in cui la norma attributiva del potere rinvia a nozioni tecniche, scientifiche, che in sede di applicazione alla fattispecie concrete presentano margini di opinabilità. Spesso le valutazioni sono espresse da organi appositi nell’ambito del procedimento. L’art. 17 legge nº 241/1990 regola le modalità attraverso le quali il responsabile del procedimento procede ad acquisirle e rimedi in caso di ritardi. Rientrano nelle valutazioni tecniche per esempio i giudizi medici aventi per oggetto l’idoneità ad essere arruolati nelle forze militari o di polizia. Nell’epoca attuale, questo tipo di giudizi è sempre più frequente, si pensi alle valutazioni nell’ultimo periodo caratterizzato dalla pandemia covid-19. La discrezionalità attiene al piano della valutazione e comparazione degli interessi, le valutazioni tecniche al piano dell’accertamento e della qualificazione di fatti alla luce di criteri tecnico-scientifici. Oggi è ancora in uso l’espressione “discrezionalità tecnica”, impropria in quanto manca l’elemento volitivo che caratterizza la discrezionalità amministrativa. Il Codice del processo amministrativo ricorre più correttamente alla formula «valutazioni che richiedono particolari competenze tecniche» L’uso del medesimo sostantivo (discrezionalità) si giustifica per il fatto che, in passato, il problema dei limiti del sindacato del giudice amministrativo sulle valutazioni tecniche era posto in termini uguali a quello dei limiti del sindacato sulla discrezionalità amministrativa; in entrambi casi, precluso un sindacato pieno che comporti una valutazione autonoma del giudice che si sovrapponga a quella dell’amministrazione. In epoca recente, il giudice amministrativo ha intrapreso un’opera volta a rendere più intenso il proprio sindacato sulle valutazioni tecniche; esso non è più soltanto estrinseco, si spinge a valutare l’attendibilità e la correttezza del criterio tecnico utilizzato. In caso di valutazioni che presentano un oggettivo margine di opinabilità, il giudice può soltanto accertare che il provvedimento non abbia esorbitato da esso. L’attendibilità non coincide con la condivisibilità; il giudice potrebbe ritenere una valutazione come attendibile, formulata sulla base di argomentazioni logiche, legittima, pur non condividendola personalmente. Nel sindacare, il giudice amministrativo è agevolato dal di 37 187 diretto e immediato l’interesse pubblico. Le norme che disciplinano il potere hanno come scopo la tutela dell’interesse pubblico, e il soggetto privato può trovare in esse una qualche protezione solo riflessa e indiretta. L’interesse legittimo si distingue dunque dal diritto soggettivo proprio per il fatto che l’acquisizione o la conservazione di un bene della vita non è assicurato immediatamente dalla norma, che tutela in modo diretto solo l’interesse pubblico, bensì passa attraverso l’esercizio del potere amministrativo, senza che sussista alcuna garanzia in ordine alla sua acquisizione o conservazione. La presenza di un ambito di discrezionalità esclude che il soggetto titolare sia in grado di prevedere ex ante l’assetto finale degli interessi, posto dal provvedimento emanato; quest’ultimo potrebbe legittimamente negare l’utilità collegata all’interesse legittimo. L’interesse legittimo quindi fonda in capo al titolare soltanto la pretesa a che l’amministrazione eserciti il potere in modo legittimo. Il titolare dell’interesse può influenzare l’esercizio del potere in senso a sé favorevole partecipando al procedimento. La norma attributiva del potere poi offre al titolare dell’interesse legittimo una tutela strumentale. Ricostruzioni recenti dell’interesse legittimo Le definizioni tradizionali dell’interesse legittimo sono state variamente criticate dalla dottrina, che mette in luce la loro connotazione ideologica che riflette una concezione autoritaria del rapporto cittadino-stato, fondate sull’idea generale della sovraordinazione della pubblica amministrazione. Si è anche criticata l’idea che la norma di azione tuteli in via indiretta e occasionale il privato. La concezione tradizionale entra in crisi a seguito della nuova sensibilità europea e della legge nº 241/1990. L’interesse soggettivo poi assume una valenza sostanziale una volta stabilita la sua risarcibilità ad opera della sentenza delle sezioni unite della cassazione nº 500/1999. La connotazione sostanziale dell’interesse legittimo trova conferma poi nel modo in cui la giurisprudenza ha inquadrato la tutela risarcitoria dell’interesse legittimo, devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo. Il bene della vita correlato all’interesse legittimo trova tutela anche attraverso l’azione di adempimento introdotta dal codice del processo amministrativo; il giudice può condannare l’amministrazione a emanare il provvedimento richiesto dal privato, attribuendogli il bene della vita al quale egli aspira. Dunque, l’interesse legittimo ha una connotazione sostanziale; così il consiglio di stato: “l’interesse legittimo è la posizione di vantaggio riservata ad un soggetto in relazione ad un bene della vita interessato dall’esercizio del potere pubblicistico, che si compendia nell’attribuzione a tale soggetto di poteri idonei ad influire sul corretto esercizio del potere, in modo da rendere possibile la realizzazione o la difesa dell’interesse al bene”. Si può affermare che la norma di conferimento del potere abbia lo scopo: -di tutelare sia l’interesse pubblico curato dalla pubblica amministrazione, -sia del privato, che mira a conservare o ad acquisire una utilità finale o bene della vita. Nel rapporto di sovra e sottordinazione i vincoli della norma di conferimento hanno una doppia funzione: di 40 187 -fungono da guida, vincolo per l’amministrazione nella realizzazione dell’interesse pubblico, ponendo regole procedimentali; -funzionano da garanzia della situazione giuridica soggettiva del privato. L’amministrazione titolare del potere cura in via primaria l’interesse pubblico; il titolare dell’interesse legittimo mira esclusivamente al proprio interesse individuale, con libertà di scegliere le forme di tutela da attivare nel processo e prima ancora nell’ambito del procedimento amministrativo. Per riassumere quindi, l’interesse legittimo è una situazione giuridica soggettiva, correlata al potere dell’amministrazione, tutelata in modo diretto dalla norma di conferimento del potere, che attribuisce al titolare una serie di poteri e facoltà volti a influire sull’esercizio del potere medesimo allo scopo dio conservare o acquisire un bene della vita. I poteri si esplicano solitamente all’interno del procedimento attraverso l’istituto della partecipazione; questa consente al privato di rappresentare il proprio punto di vista presentando memorie e documenti e, prima ancora, mediante l’accesso agli atti del provvedimento. La partecipazione tende a riequilibrare la posizione di soggezione nei confronti del titolare del potere. L’interesse legittimo acquista una dimensione attiva. La prestazione che viene richiesta all’amministrazione ha natura infungibile, in quanto il titolare dell’interesse legittimo può conservare o acquisire una certa utilità esclusivamente tramite l’esercizio o il mancato esercizio del potere da parte dell’unica autorità competente in base alla norma attributiva del potere. Alla fine, è emersa nella dottrina un’altra visione che dissolve l’interesse legittimo nella figura del diritto soggettivo. Il diritto soggettivo infatti include figure di diritti diverse da quelle più tipiche. Si pensi al diritto a un comportamento secondo buona fede nell’ambito delle trattative che portano alla stipula di un contratto. Questa categoria di diritti è strutturalmente analoga all’interesse legittimo, il quale potrebbe essere ricondotto a una figura particolare di diritto, avente per oggetto una prestazione- comportamento da parte dell’amministrazione a favore del soggetto privato. In definitiva l’interesse legittimo ha una duplice dimensione: -passiva (soggezione rispetto al potere esercitato); -attiva (pretesa a un esercizio corretto del potere alla quale corrispondono una serie di poteri e facoltà nei confronti dell’amministrazione da far valere nel procedimento o anche in sede giurisdizionale). A questa duplice dimensione corrisponde la duplice natura del potere: -attiva, riferita alla produzione unilaterale dell’effetto giuridico; -passiva se correlata ai doveri di comportamento che gravano sull’amministrazione. Interessi legittimi oppositivi e pretensivi Gli interessi legittimi possono essere divisi in due categorie: oppositivi e pretensivi. di 41 187 -I primi sono collegati a poteri amministrativi il cui esercizio determina la produzione di un effetto giuridico che incide negativamente, che restringe la sfera giuridica del destinatario. Si pensi al potere di espropriazione. -I secondi sono correlati a poteri amministrativi il cui esercizio determina la produzione di un effetto giuridico che incide positivamente e che amplia la sfera giuridica del destinatario. Si pensi ad un’autorizzazione per l’avvio di un’attività economica. Negli interessi legittimi oppositivi, il rapporto giuridico amministrativo ha una dinamica di contrapposizione, il suo titolare cercherà di contrastare l’esercizio del potere che sacrifica un bene della vita. Il suo interesse a non vedersi ristretta la propria sfera giuridica è soddisfatto quando l’amministrazione si astenga dall’emanare il provvedimento che produce l’effetto negativo. Negli interessi legittimi pretensivi, il rapporto giuridico amministrativo ha una natura più collaborativa; il titolare cercherà di stimolare l’attività dell’amministrazione e di orientarla in modo tale da poter conseguire il bene della vita. Il titolare vuole l’ampliamento della sua sfera giuridica, e questo si verifica quando l’amministrazione emana il provvedimento che produce l’effetto positivo. I due tipi di dinamica si riflettono sia sulla struttura del procedimento, sia su quella del processo amministrativo. Nel caso degli oppositivi, solitamente il procedimento si apre d’ufficio e la comunicazione d’avvio del procedimento instaura il rapporto giuridico amministrativo; Nei pretensivi il procedimento si apre a seguito di una istanza o domanda di parte che fa sorgere l’obbligo di procedere e di provvedere in capo all’amministrazione titolare del potere, che instaura il rapporto giuridico amministrativo. Poi nel caso degli interessi legittimi oppositivi, il bisogno di tutela è legato all’interesse alla conservazione del bene della vita. L’annullamento dell’atto impugnato con efficacia ex tunc soddisfa tale bisogno; il ricorrente viene reintegrato nella situazione in cui si trovava prima dell’emanazione del provvedimento. Nel caso degli interessi legittimi pretensivi il bisogno di tutela è legato all’acquisizione del bene della vita. L’annullamento del provvedimento di diniego o, nel caso di silenzio- inadempimento, l’accertamento dell’inadempimento dell’obbligo di concludere il procedimento nel termine stabilito ex legge nº 241/1990 con un provvedimento espresso si rivelano insufficienti; non determinano in via immediata l’acquisizione di un bene della vita. Solo una sentenza che accerti la spettanza del bene della vita e che condanni l’amministrazione a emanare il provvedimento richiesto risulta satisfattiva. L’azione che mira a questo risultato si chiama azione di adempimento. Anche la tutela risarcitoria, che può essere attivata per soddisfare i bisogni di tutela non coperti dalla tutela specifica, si atteggia diversamente con riferimento agli interessi legittimi oppositivi e agli interessi legittimi pretensivi. -La tutela risarcitoria negli interessi legittimi oppositivi ha per oggetto i danni derivanti dalla privazione nel godimento del bene della vita. La sentenza di annullamento con efficacia retroattiva, pur eliminando l’atto e i suoi effetti, non pone rimedio per il passato. -Con riferimento ai pretensivi la tutela risarcitoria ha per oggetto i danni conseguenti alla mancata o ritardata acquisizione del bene della vita nel caso in cui sia stato emanato un di 42 187 L’accesso consiste “nel diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi” (legge nº 241/1990). È definito come principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurare l’imparzialità e la trasparenza. Si distingue tra accesso procedimentale e non procedimentale. -Quanto al primo, il diritto rientra tra quelli attribuiti ai soggetti che partecipano a un determinato procedimento amministrativo. In questo caso il diritto di partecipazione si rafforza, parlando di partecipazione informata. -Quanto al secondo, il diritto di accesso può essere esercitato in via autonoma da chi ha interesse a esaminare documenti detenuti stabilmente da una pubblica amministrazione. In entrambe le fattispecie la legge nº 241/1990 costruisce il diritto di accesso secondo lo schema del diritto soggettivo. Con riguardo all’accesso non procedimentale, esso sorge quando il soggetto che richiede l’accesso dimostri “un interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso; accesso dunque non è attribuito a chiunque…serve un interesse differenziato e una posizione giuridicamente vincolante. L’accesso non procedimentale è escluso in una serie tassativa di casi, cioè: -in relazione ai segreti di stato, a quelli relativi a procedimenti tributari o a procedimenti per l’adozione di atti amministrativi generali, ai documenti contenenti informazioni di carattere psicoattitudinale di terzi. -Altri casi di esclusione possono essere individuati tramite regolamento di delegificazione là dove sussista il rischio di una lesione di interessi pubblici. Allorché siano presenti esigenze di tutela della riservatezza, l’amministrazione compie una duplice operazione: -Deve comparare l’interesse all’accesso e l’interesse alla riservatezza di terzi; -deve valutare se l’accesso ha il carattere della necessarietà, in quanto deve essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti “la cui conoscenza sia necessaria per curare e difendere i propri interessi giuridici”. Inoltre, il carattere della necessarietà è più stringente nel caso di documenti che contengano dati sensibili e giudiziari. L’accoglimento dell’istanza di accesso sembra subordinata a una valutazione discrezionale dell’amministrazione. Sotto il profilo processuale il diritto di accesso è incluso tra le materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. La giurisprudenza è incerta nel ricostruire la natura giuridica del diritto di accesso; c’è chi in dottrina ha avanzato l’ipotesi che si tratti di una situazione giuridica completamente nuova. -Di recente sembra prevalere l’interpretazione che non si tratti di un diritto soggettivo in senso proprio, ma che l’accesso vada inquadrato nella categoria dell’interesse legittimo. Di conseguenza il diniego all’accesso costituisce un provvedimento in senso proprio impugnabile nel termine di decadenza di 30 giorni, piuttosto che nel termine più lungo di prescrizione applicabile ai diritti soggettivi. di 45 187 -Sono poi state introdotte altre forme di ascesso qualificabili come diritti soggettivi: in materia di tutela ambientale l’accesso alle informazioni è consentito a chiunque ne faccia richiesta; a livello di amministrazioni locali, i consiglieri comunali e provinciali hanno diritto a ottenere dagli uffici tutte le informazioni utili all’espletamento del mandato. È qualificabile come diritto soggettivo anche l’accesso civico introdotto dalla normativa anticorruzione d.lgs. nº 97/2016. L’accesso civico trova appiglio negli artt. 1 e 118 della costituzione che delinea un modello di cittadinanza attiva. La normativa prevede due ipotesi: -La prima ipotesi (accesso semplice) riguarda le informazioni e i dati che le amministrazioni hanno l’obbligo di pubblicare sui propri siti o altre modalità. Se questo adempimento non è stato effettuato, chiunque può richiedere l’accesso. -La seconda ipotesi (accesso generalizzato) tende a favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico. È definito dalla giurisprudenza come un diritto fondamentale, strumentale all’esercizio di altri diritti fondamentali. La disposizione attribuisce a chiunque il diritto di accedere ai dati, documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, tranne quelli elencati tassativamente dalla normativa. In ogni caso, sotto il profilo soggettivo, l’esercizio del diritto di accesso civico non è sottoposto ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente. interessi di fatto, diffusi e collettivi Le norme che disciplinano l’amministrazione possono imporre ad essa doveri di comportamento finalizzati alla tutela di interessi pubblici, senza che a tali doveri corrisponda alcuna situazione giuridica o altro tipo di pretesa in capo a soggetti esterni all’amministrazione. Ciò si verifica nel caso delle norme interne, ma anche nel caso di norme poste da fonti primarie o secondarie. Si pensi alle norme che impongono alle amministrazioni di dotarsi di modelli organizzativi e funzionali particolari: è qualificata come interesse di mero fatto anziché interesse legittimo, la posizione di chi vuol contestare gli atti con i quali una asl organizza al proprio interno l’attività di prevenzione e gestione dei rischi sanitari. La violazione di questi doveri rileva soltanto all’interno dell’organizzazione degli apparati pubblici e può dar origine a interventi di tipo propulsivo (diffide) o sostitutivo da parte di organi di vigilanza, all’erogazione di sanzioni nei confronti di dirigenti e funzionari responsabili. -I soggetti privati che traggono beneficio indiretto da queste attività sono portatori di un interesse di mero fatto a tutela del quale non è attivabile alcun rimedio giurisdizionale; possono però promuovere segnalazioni, petizioni, campagne di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, azioni politiche. Bisogna distinguere gli interessi di fatto dagli interessi legittimi; i criteri sono due: la differenziazione e la qualificazione. -Quanto al primo, affinché possa configurarsi un interesse legittimo occorre che la posizione del soggetto privato rispetto all’amministrazione sia diversa da quella della generalità dei soggetti dell’ordinamento. Viene in rilievo qui l’elemento della vicinanza, che rende più di 46 187 concreto il pregiudizio in capo a alcuni soggetti; il proprietario di un terreno che confina con il terreno al cui proprietario è stato rilasciato un permesso a costruire un edificio che determinerebbe un pregiudizio si trova in una posizione differenziata rispetto a quella di un proprietario di un terreno posto lontanamente. Valutata la differenziazione, tale interesse, rientra poi nel perimetro della tutela offerta dalle norme attributive del potere? La casistica individua un collegamento fra i due criteri: tanto più l’interesse è differenziato, tanto più è suscettibile di tutela. -Gli interessi di mero fatto poi possono avere una dimensione individuale o superindividuale; è emersa così in dottrina la nozione di interesse diffuso. -Gli interessi diffusi sono definiti come interessi non personalizzati, riferibili alla generalità della collettività o a categorie più o meno ampie di soggetti. Gli interessi diffusi sono collegati a quelli che in economia chiamiamo beni pubblici, e costituiscono una categoria dai confini incerti; superano la dimensione individuale in quanto riferibili al loro status di consumatore, utente, e rischiano di sovrapporsi alla nozione di interesse pubblico. Essi oscillano in dottrina tra irrilevanza giuridica (qualificati come interessi di fatto) e la riconducibilità a una situazione giuridica soggettiva tipizzata, una sorta di tertium genus. L’ordinamento tuttavia inizia a prendere in considerazione la rilevanza degli interessi diffusi sia in sede procedimentale che in quella processuale. -Nel primo ambito, l’art. 9 della legge nº 241/1990 attribuisce facoltà di intervenire nel procedimento a qualsiasi soggetto portatore di interessi pubblici o privati, nonché ai portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati ai quali possa derivare un pregiudizio dal provvedimento. Il diritto di partecipazione consente dunque di immettere nel procedimento interessi riferibili alla collettività che non coincidono necessariamente con quello curato in via istituzionale e dall’amministrazione titolare del potere. Più complessa la questione della tutela giurisdizionale degli interessi diffusi. I criteri che aprono la strada alla tutela sono tre. 1. Una prima strada non accolta dalla giurisprudenza è quella di individuare nella partecipazione al procedimento un elemento di differenziazione e qualificazione tale da consentire l’impugnazione davanti al giudice amministrativo del provvedimento conclusivo del procedimento. In realtà, diritto di partecipazione e legittimazione processuale hanno funzioni diverse. La legittimazione processuale può essere riconosciuta soltanto al titolare di una situazione giuridica soggettiva in senso proprio che ha subito una lesione alla quale occorre porre rimedio. 2. Un’altra via è quella di ampliare le maglie dell’interesse legittimo per includervi alcune situazioni in cui il ricorrente agisce per tutelare un interesse superindividuale. A tal proposito c’è la differenza tra interessi propriamente diffusi e collettivi, cioè interessi riferibili a specifiche categorie o gruppi organizzati. A questi organismi rappresentativi della categoria o del gruppo, è stata riconosciuta in giurisprudenza una legittimazione processuale autonoma, collegata a una situazione di interesse legittimo, allo scopo di tutelare gli interessi della categoria in quanto tale. 3. In settori particolari il legislatore ha attribuito a determinati soggetti istituiti per la cura di interessi diffusi, una legittimazione speciale a ricorrere. Queste previsioni legislative non trasformano gli interessi diffusi in interesse legittimo o diritto soggettivo, ma hanno rilevanza prettamente processuale. di 47 187 L’economicità si riferisce alla capacità di lungo periodo di un’organizzazione di utilizzare in modo efficiente le proprie risorse raggiungendo in modo efficace i propri obiettivi. Il principio di pubblicità e trasparenza è enunciato nel TFUE, nella carta dei diritti fondamentali dell’unione europea. -Infatti, il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea precisa che «Al fine di promuovere il buon governo e garantire la partecipazione della società civile, le istituzioni, gli organi e gli organismi dell’Unione operano nel modo più trasparente possibile». Viene altresì stabilito che le istituzioni, gli organi e organismi dell’Unione si basano su «un’amministrazione europea aperta» ispirandosi così al principio dell’open government in base al quale le determinazioni assunte devono essere rese accessibili a chi vi ha interesse. -La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea attribuisce a ogni individuo il diritto «di accedere al fascicolo che lo riguarda, nel rispetto dei legittimi interessi della riservatezza e del segreto professionale» Il principio rileva in due ambiti: -il primo si riferisce all’organizzazione e all’attività della pubblica amministrazione che è tenuta a mettere a disposizione della generalità degli interessati un’ampia serie di informazioni. La normativa anticorruzione definisce la trasparenza come “accessibilità totale delle informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche”. -Il secondo ambito si riferisce al diritto di accesso ai documenti amministrativi. Quest’ultimo è stato ampliato con l’introduzione dell’accesso civico; è stato previsto all’interno di ogni pubblica amministrazione il responsabile per la trasparenza. Il tutto finalizzato a prevenire la corruzione. La pubblicità e la trasparenza così intese si ricollegano alla concezione dell’amministrazione come «casa di vetro», e sono un fattore volto a promuovere l’imparzialità anche in funzione di prevenzione della corruzione. Inoltre, poiché consentono un controllo diffuso dell’attività per così dire dal basso, esse fungono anche da fattore di legittimazione degli apparati amministrativi. I principi sull’esercizio del potere discrezionale. I principi che presiedono all’esercizio del potere discrezionale sono il principio di imparzialità, di proporzionalità, di ragionevolezza, di tutela del legittimo affidamento, di precauzione. -Il principio di imparzialità è richiamato dall’art. 97 cost. e dall’art. 41 della carta dei diritti fondamentali dell’unione europea. Essenzialmente, riguardo alla discrezionalità sancisce il divieto di favoritismi, ed è posto a garanzia della parità di trattamento e dell’uguaglianza dei cittadini di fronte all’amministrazione. Ad essa sono funzionali altri principi come la trasparenza e la pubblicità, la motivazione e il principio di concorsualità nei contratti pubblici o nell’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni. Il principio di imparzialità può entrare in conflitto con il principio della responsabilità politica delle amministrazioni. I vertici delle pubbliche amministrazioni che costituiscono punto di raccordo tra politica e amministrazione sono portati a perseguire obiettivi coerenti con le priorità delle proprie basi elettorali. E siccome gli apparati amministrativi sono i principali di 50 187 erogatori di risorse e di altri benefici diretti o indiretti i vertici politici sono tentati a ingerirsi nella gestione e a condizionare le scelte amministrative. Come si vedrà trattando della dirigenza pubblica, la riforma del pubblico impiego degli anni Novanta del secolo scorso ha introdotto il principio della distinzione tra indirizzo politico amministrativo e gestione. -Un secondo principio che presiede all’esercizio della discrezionalità è il principio della proporzionalità. Trae origine dalla giurisprudenza costituzionale e amministrativa tedesca, fatto proprio dalla corte di giustizia dell’unione europea. Il principio richiede all’amministrazione di applicare in sequenza tre criteri: idoneità, necessarietà e adeguatezza della misura prescelta. -L’idoneità mette in relazione il mezzo adoperato con l’obiettivo da perseguire; -la necessarietà mette a confronto le misure ritenute più idonee e orienta la scelta su quella che comporta il minor sacrificio possibile degli interessi incisi dal provvedimento. -L’adeguatezza consiste nella valutazione della scelta finale in termini di tollerabilità della restrizione o incisione nella sfera giuridica del destinatario del provvedimento: gli inconvenienti causati non devono essere eccessivi rispetto agli scopi perseguiti e se essi superano un determinato livello va rimessa in discussione la scelta medesima. La proporzionalità consiste “nell’accertare se per sparare ai passeri si è impiegato un cannone”. -Il principio di proporzionalità è una specificazione del più generale principio di ragionevolezza. Anche la pubblica amministrazione è un agente in grado di perseguire determinati obiettivi ponendo in essere azioni logiche, coerenti e ad essi funzionali. Si può ritenere illogico, l’impiego di un mezzo che eccede per dimensione o intensità quello strettamente necessario per raggiungere l’obiettivo. Il principio di ragionevolezza ha estensione più ampia e assume rilievo nell’ambito del sindacato di legittimità dei provvedimenti amministrativi come figura sintomatica dell’eccesso di potere. Il principio di proporzionalità è anche parametro che guida il legislatore nel momento in cui alloca e disciplina i poteri dei vari livelli di governo. -Un altro principio che presiede all’esercizio della discrezionalità è il principio del legittimo affidamento, che mira a tutelare le aspettative ingenerate dalla pubblica amministrazione con un suo atto o comportamento. Nel diritto interno il principio del legittimo affidamento interviene per esempio, a proposito del potere di annullamento d’ufficio del provvedimento illegittimo, per l’esercizio del quale è richiesta all’amministrazione una valutazione degli interessi dei destinatari del provvedimento e una considerazione del tempo ormai trascorso. Il principio della tutela del legittimo affidamento si ricollega al principio della certezza del diritto. Tale principio ha come destinatario anzitutto il legislatore ma implica che anche l’agire dell’amministrazione deve essere prevedibile e coerente nel suo svolgimento. -Da ultimo, va menzionato il principio di precauzione enunciato in materia ambientale nel TFUE. Il principio comporta che, quando sussistano incertezze in ordine all’esistenza o al livello di rischi per la salute delle persone, le autorità competenti possono adottare misure protettive senza dover attendere che sia dimostrata in modo compiuto la realtà e la gravità di tali rischi. di 51 187 I principi sul provvedimento. I principi che si riferiscono specificatamente al provvedimento amministrativo sono: di legalità, della motivazione e di sindacabilità degli atti. Il principio della motivazione è desumibile dalla carta dei diritti fondamentali dell’unione europea e dalla legge nº 241/1990. Secondo la giurisprudenza l’obbligo di motivazione è il presupposto, fondamento, baricentro, essenza stessa del legittimo esercizio del potere amministrativo e per questo, un presidio di legalità sostanziale. Il principio di sindacabilità degli atti amministrativi è sancito dagli artt. 24 e 113 cost. Gli atti che ledono i diritti soggettivi e gli interessi legittimi sono sempre sottoposti al controllo giurisdizionale del giudice ordinario o amministrativo I principi sul procedimento. I principi relativi al procedimento sono il principio del contraddittorio, il principio di certezza dei tempi, il principio di efficienza, il principio di correttezza e buona fede. -Il principio del contraddittorio è richiamato nella carta dei diritti fondamentali dell’unione europea, secondo la quale ogni individuo ha diritto di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio”. Esso è stato sviluppato nella legge nº 241/1990. Quest’ultimo talvolta va assimilato al principio del giusto processo elaborato negli ordinamenti anglosassoni, ora inserito nella costituzione all’ art. 111. -Un altro principio importante è quello del della certezza del tempo dell’agire amministrativo e di celerità. La legge nº 241/1990 rende effettivo questo principio individuando per ciascun tipo di procedimento un termine massimo entro il quale l’amministrazione deve emanare il provvedimento finale che conclude il procedimento amministrativo. La durata ragionevole del procedimento e il rispetto dei termini perseguono due obiettivi: tutelano gli interessi dei soggetti coinvolti che dovranno programmare le proprie attività; tendono a promuovere l’efficienza e l’efficacia dell’azione amministrativa: l’ottimizzazione dei tempi dei procedimenti amministrativi costituisce uno degli indicatori della performance organizzativa. -La legge nº 241/1990 richiama anche il principio di efficienza, prevedendo che “l’amministrazione non può aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell’istruttoria”. -Per ultimo, entrambe le parti del rapporto giuridico amministrativo devono conformarsi al principio di correttezza e buona fede, all’insegna della fiducia reciproca. CAPITOLO IV: IL PROVVEDIMENTO Premessa Il provvedimento è la manifestazione di volontà dell’amministrazione tesa a produrre in modo unilaterale effetti giuridici nei confronti del soggetto destinatario. Nei fallimenti di mercato, sono stati fatti esempi di misure di command and control, provvedimenti amministrativi di 52 187 Prima della legge 241/1990 il fondamento dell’esecutorietà è stato rinvenuto nella cosiddetta presunzione di legittimità del provvedimento amministrativo. La giustificazione di quest’ultima venne variamente individuata nella provenienza dell’atto da organi di espressione della sovranità; nelle garanzie offerte dai metodi concorsuali di selezione dei funzionari pubblici, e dal sistema dei controlli amministrativi. Questi elementi fanno presupporre che gli atti dell’amministrazione siano legittimi e dunque portati a esecuzione dall’amministrazione stessa immediatamente. In realtà la presunzione di legittimità aveva una connotazione ideologica e si ricollegava una visione autoritaria dei rapporti fra stato e cittadino. La dottrina ha dimostrato l’inconsistenza teorica di questo principio che però continua talora a essere richiamato dalla giurisprudenza. L’art. 21-ter della legge 241/1990 conferma anzitutto (anche la dottrina) che l’esecutorietà non è caratteristica propria di tutti i provvedimenti amministrativi, ma deve essere di volta in volta prevista dalla legge. Il potere di imporre coattivamente l’adempimento degli obblighi è attribuito all’amministrazione solo nei casi e con modalità stabiliti dalla legge. L’esecutorietà è riferibile non soltanto agli obblighi nascenti dal provvedimento, ma anche a quelli avente fonte negoziale; infatti, l’articolo, include così anche obblighi che sorgono nell’ambito dei rapporti paritari. In relazione agli obblighi nascenti da un provvedimento amministrativo, quest’ultimo deve indicare il termine e le modalità di esecuzione da parte del soggetto obbligato. L’esecuzione coattiva può avvenire solo previa autorizzazione di un atto di diffida con il quale l’amministrazione intima al privato di porre in essere le attività esecutive già indicate nell’atto, concedendo al privato l’ultima chance. Il comma 2 dell’articolo menziona l’esecuzione delle obbligazioni aventi a oggetto somme di denaro, precisando che ad esse si applicano le disposizioni per l’esecuzione coattiva dei crediti dello stato. L’esecutorietà presuppone che il provvedimento emanato sia efficace ed esecutivo. La legge 241/1990 prevede all’art. 21-bis che il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati acquista efficacia con la comunicazione al destinatario e ha natura di atto recettizio. Sono esclusi dall’obbligo di comunicazione i provvedimenti aventi carattere cautelare ed urgente, immediatamente efficaci. Inoltre, i provvedimenti limitativi non aventi carattere sanzionatorio possono contenere una clausola motivata di immediata efficacia. I provvedimenti amministrativi efficaci sono eseguiti immediatamente, salvo che sia diversamente stabilito dalla legge o dal provvedimento. All’efficacia del provvedimento consegue la necessità che esso venga portato subito ad esecuzione, a seconda dei casi, dalla stessa amministrazione che ha emanato l’atto, o dal destinatario del medesimo, là dove il provvedimento faccia sorgere in capo a quest’ultimo un obbligo di fare o di dare. Non tutti i provvedimenti pongono un problema di esecutività. Spesso la produzione dell’effetto giuridico realizza di per sé l’interesse pubblico alla cui cura è finalizzato il provvedimento emanato, senza bisogno di ulteriori attività esecutive. L’esecuzione del provvedimento può essere differita o sospesa discrezionalmente dall’amministrazione. Le disposizioni contenute nella legge accrescono il livello di garanzia per il privato. di 55 187 5-d) L’inoppugnabilità L’inoppugnabilità si ha quando decorrono i tempi previsti per l’esperimento dei rimedi giurisdizionali davanti al giudice amministrativo. L’azione di annullamento va proposta entro il termine di 60 giorni; l’azione di nullità è soggetta a un termine di 180 giorni; l’azione risarcitoria può essere proposta in via autonoma (senza parallela azione di annullamento) nel termine di 120 giorni. Esigenze di certezza e stabilità dei rapporti giuridici, giustificano termini decadenziali brevi per l’esperimento dei mezzi di tutela giurisdizionale. Nel diritto privato i termini di decadenza sono generalmente più lunghi. L’inoppugnabilità non esclude che l’amministrazione possa rimettere in discussione il rapporto giuridico esercitando il potere di autotutela (annullamento d’ufficio o revoca). Ecco un altro elemento di asimmetria tra le parti del rapporto giuridico amministrativo; l’inoppugnabilità garantisce la stabilità del rapporto giuridico solo sul versante delle possibili contestazioni da parte del soggetto privato. L’atto amministrativo diventa inoppugnabile anche in seguito ad acquiescenza del destinatario, una dichiarazione espressa o tacita di assenso all’effetto prodotto dal provvedimento. Si discute se quest’ultima abbia effetto sostanziale, nel senso che provochi l’estinzione della situazione giuridica di cui è titolare il destinatario, oppure se essa rilevi soltanto sotto il profilo processuale che renderebbe inammissibile il ricorso giurisdizionale proposto. Una cautela adottata da destinatario, che assuma un comportamento o renda una dichiarazione che potrebbero essere considerati come incompatibili con la volontà di contestare l’illegittimità del provvedimento, consiste nel precisare espressamente che essi non possono essere interpretati come acquiescenza al provvedimento. Gli elementi strutturali dell’atto amministrativo. L’obbligo di motivazione Anche per l’atto amministrativo possono essere individuati elementi che contribuiscono di volta in volta ad indentificarlo e qualificarlo. Essi sono essenzialmente il soggetto, la volontà, l’oggetto, il contenuto, i motivi, la motivazione e la forma. Vediamo gli aspetti fisiologici e rimandiamo più avanti gli aspetti patologici. 1. Il soggetto si individua in base alle norme sulla competenza. Di regola si tratta di pubbliche amministrazioni, ma in casi particolari, anche soggetti privati sono titolari di poteri amministrativi e i loro atti sono qualificabili come amministrativi. Si pensi al caso di un’impresa concessionaria di un pubblico servizio che in base al codice dei contratti pubblici, è tenuta esperire procedure a evidenza pubblica per l’acquisto di beni e servizi. 2. Un secondo elemento è la volontà. Il provvedimento è manifestazione della volontà dell’amministrazione, volontà che va intesa in senso oggettivato e non psicologico. I vizi della volontà, infatti, non determinano direttamente l’annullabilità del provvedimento, ma rilevano in via indiretta come figura sintomatica dell’eccesso di potere. 3. L’oggetto del provvedimento è la cosa, attività o situazione soggettiva cui il provvedimento si riferisce; deve essere determinato o determinabile. di 56 187 4. Il contenuto si ricava dalla parte dispositiva dell’atto e consiste in ciò che con esso l’autorità intende disporre, ordinare, permettere, attestare, certificare. Rileva la distinzione tra contenuto vincolato e discrezionale del provvedimento. Il contenuto può essere integrato con clausole accessorie ma esse non possono snaturare il contenuto tipico del provvedimento e devono essere coerenti con il fine pubblico previsto dalla legge attributiva. 5. Tra gli elementi dell’atto amministrativo, a differenza del diritto privato, non trova posto la causa: ciò perché i poteri amministrativi sono tutti riconducibili a schemi tipici individuati per legge. È ricorrente invece la nozione di motivi, cioè ragioni di interesse pubblico poste alla base del provvedimento. 6. La motivazione è la parte del provvedimento che secondo la legge 241/1990 enuncia i presupposti di fatto e le ragioni che hanno determinato la decisione dell’amministrazione in relazione alle risultanze dell’istruttoria. L’obbligo di motivazione costituisce uno dei principi generali del regime degli atti amministrativi, e la sua violazione può essere causa di annullabilità. In un certo senso, la motivazione avvicina il regime del provvedimento amministrativo a quello degli atti giudiziari per i quali vi è addirittura una garanzia costituzionale. La motivazione adempie a tre funzioni principali: -promuove la trasparenza dell’azione amministrativa perché rende palesi le ragioni sottostanti le scelte amministrative; -agevola l’interpretazione del provvedimento; -costituisce una garanzia per il soggetto privato che subisce dal provvedimento un pregiudizio. La motivazione deve dar conto di tutti gli elementi rilevanti, acquisiti nel corso dell’istruttoria procedimentale, che hanno indotto l’amministrazione a operare una determinata scelta; in particolare devono emergere le valutazioni operate dall’amministrazione sugli apporti partecipativi dei privati. La motivazione può essere per relationem, con un rinvio ad altro atto acquisito al procedimento del quale si fanno proprie le ragioni. La motivazione può essere sintetica nel caso di domande presentate all’amministrazione volte al rilascio di un provvedimento che risultino manifestamente inammissibili o infondate. In giurisprudenza si ritiene che le ragioni sottese alla scelta non devono risultare necessariamente dal provvedimento, nei casi in cui esse possano essere agevolmente colte dalla lettura degli atti afferenti alle varie fasi in cui si articola il procedimento. La motivazione assume importanza nel caso di provvedimenti discrezionali; è lo strumento per sindacare la legittimità delle scelte operate dall’amministrazione. La giurisprudenza ha individuato come figure sintomatiche dell’eccesso di potere la insufficienza, contraddittorietà, perplessità, non congruità della motivazione. Quanto è più ampio l’ambito della discrezionalità tanto più stringente è da ritenere l’obbligo di motivazione. L’art.3 della legge 241/1990 esclude dall’obbligo di motivazione gli atti normativi e quelli a contenuto generale. Sulla motivazione del provvedimento si è riacceso il dibattito in seguito ad alcune disposizioni che sembrano indicare direttrici contrastanti circa la motivazione: l’una tesa a rafforzarla, l’altra a dequotarla. di 57 187 a qualcuno di commettere un reato. La mancata osservanza dell’ordine può comportare la sanzione disciplinare. Gli ordini possono riguardare i rapporti non solo interorganici ma anche intersoggetivi tra amministrazione e soggetti privati. Gli ordini di polizia sono emanati dalle autorità di pubblica sicurezza in base al testo unico delle leggi di pubblica sicurezza: dentro vi è l’invito a presentarsi davanti all’autorità di pubblica sicurezza entro un termine assegnato, la cui inosservanza è sanzionata anche penalmente; l’ordine di sciogliere una riunione o un assembramento che metta in pericolo l’ordine pubblico preceduto da un invito e da tre intimazioni formali. Esempi di ordini aventi contenuto negativo sono per esempio il divieto di svolgere riunioni per ragioni di ordine pubblico, moralità o sanità pubblica, o di detenzione di armi, munizioni es esplosivi impartito a persone ritenute capaci di abusarne. L’effettività di questi provvedimenti è rafforzata sotto il profilo penale, da una figura di reato che punisce chiunque non osservi un provvedimento legalmente dato da un’autorità amministrativa per ragioni di sicurezza pubblica o di ordine pubblico. La banca d’Italia può imporre alle banche vigilate misure riguardanti l’adeguatezza patrimoniale, contenimento dei rischi, organizzazione aziendale. Può anche disporre misure inibitorie nei confronti dei soggetti vigilati. Secondo il codice del consumo l’autorità garante della concorrenza e del mercato può vietare la continuazione di pratiche commerciali scorrette, eliminandone gli effetti. La diffida è un ordine di cessare da un determinato comportamento posto in essere in violazione di norme amministrative. In caso di inottemperanza, la diffida può comportare sanzioni amministrative. Un altro esempio di diffida è il potere attribuito all’autorità competente al controllo degli scarichi di acque inquinanti di ordinare al titolare dell’autorizzazione che non rispetta le condizioni in essa contenute di cessare dal comportamento entro un termine determinato. Quando si manifesta una situazione di pericolo per la salute pubblica, la stessa autorità può sospendere l’autorizzazione. In alcuni casi la diffida può essere preceduta da un invito formale a desistere dalla condotta illecita. Le sanzioni amministrative. Le sanzioni amministrative servono per reprimere illeciti di tipo amministrativo, e hanno una funzione afflittiva e una valenza dissuasiva; le sanzioni amministrative garantiscono l’effettività e l’autosufficienza degli ordinamenti speciali rispetto all’ordinamento generale. Le sanzioni sono previste dalle leggi amministrative sia in caso di violazione dei precetti in esse contenuti, sia nel caso di violazione dei provvedimenti prescrittivi emanati sulla base di tali leggi. La deterrenza delle sanzioni amministrative è accresciuta dalla previsione in parallelo di sanzioni penali. In realtà sussiste un grado di fungibilità tra sanzioni penali e sanzioni amministrative e la dottrina discute sul criterio sostanziale di distinzione. Entrambi i tipi hanno la finalità di prevenzione generale e speciale di illeciti e ciò spiega una certa affinità di regime. di 60 187 La legge 24 novembre 1981 nº 689 di depenalizzazione detta una disciplina generale delle sanzioni amministrative, richiamando una serie di principi tipicamente penalistici. -Tra di essi il principio di legalità: nessuno può essere sottoposto a sanzioni amministrative se non in forza di una legge entrata in vigore prima della commissione della violazione e secondo il quale leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e per i tempi in esse considerati. -Ancora il principio di personalità riferito alle capacità di intendere e di volere, al concorso di persone, alla non trasmissibilità agli eredi, alla quantificazione in base a criteri che fanno riferimento anche alla personalità del trasgressore. La distinzione tra sanzioni amministrative e sanzioni penali è stata messa in dubbio dalla CEDU in quanto ci indica che le sanzioni amministrative possono avere natura sostanzialmente penale. Tale natura è riconosciuta in base criteri engel: -qualificazione giuridica formale attribuita dalla legge alla sanzione; -natura della sanzione ricavabile principalmente dallo scopo punitivo, deterrente e repressivo; -grado di severità della sanzione. Ove tali criteri vengono riconosciuti, scattano garanzie ad esempio, come il principio secondo il quale nessuno può essere obbligato ad affermare la propria responsabilità (autoincriminazione). Le sanzioni amministrative sono riconducibili a più tipi: -sanzioni pecuniarie che pongono l’obbligo di pagare una somma di denaro determinata entro un minimo e un massimo stabilito dalla norma; -le sanzioni interdittive che incidono sull’attività posta in essere dal soggetto destinatario del provvedimento (ritiro della patente); L’irrogazione di una sanzione può comportare anche l’applicazione di sanzioni accessorie, come la confisca amministrativa di cose la cui fabbricazione, uso, detenzione, alienazione costituisce illecito amministrativo. Le sanzioni amministrative presentano specificità: l’obbligazione grava a titolo di solidarietà in capo a soggetti diversi da colui che pone in essere il comportamento illecito (l’ente del quale è rappresentante il dipendente autore dell’illecito); l’obbligazione può essere estinta tramite il pagamento di una somma ridotta entro 60 giorni dalla contestazione della violazione, cioè prima che abbia corso il procedimento in contradditorio per l’accertamento dell’illecito. Le sanzioni disciplinari si applicano a soggetti che intrattengono una relazione particolare con le pubbliche amministrazioni e colpiscono comportamenti posti in violazione di obblighi speciali collegati allo status; consistono, a seconda della gravità dell’illecito, nell’ammonizione, nella sospensione del servizio o dall’albo per un periodo determinato, radiazione da un albo, o destituzione. Le sanzioni disciplinari sono disciplinate da leggi speciali e sono escluse dall’applicazione della disciplina generale in tema di sanzioni amministrative. Va vista poi la distinzione tra di 61 187 -sanzioni in senso proprio che hanno valenza repressiva-punitiva -sanzioni ripristinatorie che reintegrano l’interesse pubblico leso da un comportamento illecito; quest’ultime non sono sanzionatorie in senso stretto. Le sanzioni amministrative di regola sono applicate nei confronti del trasgressore in coerenza col carattere personale della responsabilità; l’ente che eventualmente paga la sanzione può esercitare l’azione di regresso nei confronti dell’autore dell’illecito. Una particolare forma di responsabilità amministrativa è prevista a carico delle imprese e degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato. Questa responsabilità sorge in automatico in capo all’ente per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio dagli amministratori e dipendenti. La responsabilità amministrativa degli enti comporta l’applicazione di sanzioni pecuniarie e interdittive, come la sospensione e la revoca di licenze. All’applicazione di questo tipo di sanzione provvede il giudice penale competente a conoscere dei reati corrispondenti. L’ente può sottrarsi alla responsabilità amministrativa solo se dimostra di aver adottato modelli di organizzazione, gestione, controllo idonei a prevenire la commissione da parte degli amministratori e dipendenti dei reati, introducendo regole e procedure interne adeguate; così i vertici dell’ente sono sollecitati a dotarsi di una organizzazione atta a minimizzare il rischio della commissione di reati. Le attività libere sottoposte a regime di comunicazione preventiva. La segnalazione certificata d’inizio attività I provvedimenti con effetti ampliativi della sfera giuridica del destinatario sono essenzialmente quelli di tipo autorizzativo. Ci si muove da una premessa generale. Negli ordinamenti giuridici liberal democratici, l’attività dei privati, in generale, è libera, sottoposta cioè solo al diritto comune. È permesso tutto ciò che non è espressamente vietato, salvi limiti generali posti dall’ordinamento civile. Nei casi in cui l’attività dei privati può interferire o mettere in pericolo un interesse della collettività, si giustificano prescrizioni e vincoli. Nel conformare le attività dei privati all’interesse pubblico le leggi amministrative devono rispettare il principio di proporzionalità. Quest’ultimo impone un onere di giustificare la misura introdotta che deve comportare il minimo sacrificio possibile dell’interesse privato. Il rispetto delle leggi amministrative è assicurato in un primo gruppo di casi da un semplice regime di vigilanza, che può portare all’esercizio di poteri repressivi, sanzionatori dove vengono accertate violazioni. Pensiamo al cittadino che deposita rifiuti domestici in luoghi non consentiti ai quali viene irrogata una sanzione pecuniaria. In un secondo gruppo di casi la legge grava i privati di un obbligo di comunicare a una pubblica amministrazione l’intenzione di intraprendere un’attività. Un regime generale di comunicazione preventiva (SCIA) è posto dall’art. 19 della legge 241/1990. la SCIA non è una istanza che dà avvio a un procedimento amministrativo volto al rilascio di un titolo abilitativo. Essa consente solo all’amministrazione di verificare se l’attività è conforme alle norme amministrative. L’avvio dell’attività può essere contestuale alla presentazione della SCIA, che va corredata con un’autocertificazione del possesso dei presupposti e requisiti previsti dalla legge per lo svolgimento dell’attività. In caso di dichiarazioni mendaci scattano sanzioni amministrative e di 62 187 Quanto all’oggetto, le concessioni sono di più specie. -In primo luogo le concessioni di beni pubblici, in particolare i beni demaniali sui quali possono essere attribuiti diritti d’uso esclusivo. -Una seconda specie è data dalle concessioni di servizi pubblici o di attività ancora oggi sottoposte a regime di monopolio legale o di riserva di attività a favore dello stato o di enti pubblici, come per esempio la trasmissione dell’energia elettrica. -Una terza categoria è data dalle concessioni di lavori o di servizi assimilate dal codice dei contratti pubblici a normali contratti. Nelle concessioni di questo tipo il corrispettivo non è a carico dell’amministrazione appaltante; esso è costituito dal diritto di gestire l’opera o il servizio applicando un prezzo o una tariffa agli utenti che consentono il recupero dei costi per la realizzazione e la gestione dell’infrastruttura e il conseguimento di un’utile d’impresa. Rientrano nel fenomeno concessorio alcune sovvenzioni, sussidi e contributi di denaro pubblico erogati per il perseguimento di interessi pubblici. La bipartizione delle autorizzazioni e delle concessioni appare troppo rigida e inadatta a inquadrare una realtà molto più variegata. Vengono infatti individuate figure intermedie di difficile collocazione. In particolare fu posta la distinzione tra: - autorizzazioni costitutive, talune caratterizzate da un’ampia discrezionalità e in relazione alle quali è dubbia la preesistenza di un diritto soggettivo in capo al privato; -autorizzazioni permissive vicine al modello classico che operano come coniciones juris, ovvero fatti permissivi o ostativi all’esercizio di una determinata attività con funzione a volte di mero controllo di quest’ultima oppure di direzione e programmazione; -autorizzazioni ricognitive volte a valutare l’idoneità tecnica di persone o di cose (le abilitazioni). Le categorie ibride includono anche le licenze che hanno due caratteristiche: riguardano attività nelle quali non sono rinvenibili preesistenti diritti soggettivi dei soggetti privati, come accade nelle autorizzazioni classiche, né settori in dominio dell’amministrazione come nel caso delle concessioni; il loro rilascio subordinato a valutazioni di tipo tecnico discrezionale. In secondo luogo, storicamente le autorizzazioni e le concessioni vennero qualificate come atti autoritativi. In origine, nel XIX secolo le concessioni vennero considerate normali contratti a prestazioni corrispettive disciplinato dal diritto civile. Qualche decennio dopo per effetto della pubblicizzazione dottrinale dei rapporti amministrativi, le concessioni vennero considerate provvedimenti discrezionali. Venne dunque riconosciuto il carattere unilaterale e autoritativo. Il tentativo di depurare le concessioni da ogni elemento privatistico apparve però ben presto una forzatura. Dottrina e giurisprudenza elaborarono la nozione di concessione-contratto. Con la concessione-contratto il fenomeno si sdoppia: -un provvedimento volto ad attribuire al concessionario il diritto a svolgere una certa attività; di 65 187 -un contratto volto a regolare su base paritaria i diritti e gli obblighi delle parti nell’ambito di un rapporto di durata. Tipicamente il concessionario deve corrispondere un canone, effettuare investimenti, assicurare determinati livelli di prestazione, d’informazione. Il concedente ha il potere di verificare l’andamento della gestione, approvare le tariffe praticate. Il contratto regola anche il diritto di recesso del concedente subordinandolo a una serie di garanzie, incluso il pagamento di un indennizzo. Molto spesso il momento contrattuale ha più valenza di quello autoritativo. La distinzione tra autorizzazioni e concessioni ha richiesto un ripensamento -sia alla luce del diritto europeo che non conosce la distinzione tra diritto soggettivo e interesse legittimo e tende a qualificare unitariamente gli atti che realizzano forme di controllo ex ante; -sia alla luce del diritto interno. Ciò che conta è che senza un atto di assenso l’attività non può essere intrapresa. La direttiva servizi (CE) 2006/123 recepita con d.lgs. nº 59/2010 da una definizione ampia di regime autorizzatorio che include “qualsiasi procedura che obbliga un prestatore o un destinatario a rivolgersi a un’autorità competente allo scopo di ottenere una decisione formale o implicita relativa all’accesso ad un’attività di servizio o al suo esercizio”; il regime di autorizzazione include tutte le procedure per il rilascio di “autorizzazioni, licenze, approvazioni o concessioni”. Inoltre, specie quando si tratti di attività economiche, il diritto europeo guarda con sfavore la discrezionalità. Per questo numerose direttive europee hanno trasformato i regimi di concessione discrezionale in regimi di autorizzazione vincolata. Uno dei primi casi riguardò il sistema creditizio. Oggi il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia precisa che l’attività bancaria ha carattere d’impresa e subordina il rilascio dell’autorizzazione a una serie di condizioni oggettive che la banca d’Italia può solo valutare tecnicamente. Nei casi in cui il numero di autorizzazioni deve essere limitato per ragioni collegate alla scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche disponibili, o per altri motivi imperativi di interesse generale, il loro rilascio deve avvenire attraverso una procedura di selezione atta ad assicurare l’imparzialità. Essa realizza una forma di concorrenza per il mercato, che surroga la concorrenza nel mercato. Le condizioni alle quali i regimi autorizzatori subordinano l’esercizio di un’attività di servizi devono essere, oltre che non discriminatorie e giustificate da un motivo di interesse generale, chiare e inequivocabili, oggettive, rese pubbliche preventivamente. Vediamo le spinte interne nel nostro ordinamento a una rivalutazione della materia. La prima riguarda la sentenza della corte di cassazione 500/1990 che prevede la risarcibilità del danno anche in caso di interesse legittimo. In definitiva, secondo una nuova dottrina la distinzione che rileva è quella tra atti autorizzativi discrezionali e vincolati. -Nelle prime, l’atto amministrativo è fonte diretta dell’effetto giuridico prodotto secondo lo schema norma-fatto-potere-effetto giuridico; di 66 187 -nelle seconde l’effetto si ricollega direttamente alla legge. All’autorità che emana l’atto è riservato il compito di accertare la produzione dell’effetto giuridico. L’avvio dell’attività nel secondo tipo di autorizzazioni è dunque precluso in assenza dell’atto amministrativo. Gli atti dichiarativi Negli atti dichiarativi è assente il momento volitivo tipico dei provvedimenti, ed è riconosciuta la funzione meramente ricognitiva e dichiarativa finalizzata alla produzione di certezze giuridiche. Tipicamente nella categoria degli atti dichiarativi rientrano: -le certificazioni, dichiarazioni di scienza effettuate da una pubblica amministrazione in relazione ad atti, fatti, qualità, e stati soggettivi. L’amministrazione organizza, elabora, verifica e detiene molti dati e informazioni in registri, elenchi, etc. Si pensi ai registri dello stato civile, liste elettorali, registri immobiliari, registri giudiziari, etc. Le certificazioni relative a questo tipo di dati sono indispensabili alla funzione di certezza pubblica. La funzione di certezza pubblica si realizza con due modalità: -tenuta e aggiornamento dei registri, albi, elenchi pubblici nei quali certe categorie di soggetti o di beni possono essere iscritti in base a procedimenti tipizzati e i relazione a determinati requisiti; -la messa a disposizione ai soggetti interessati dei dati in essi contenuti per mezzo di attestazioni e certificazioni che costituiscono la modalità tradizionale per dimostrare il possesso dei presupposti e dei requisiti richiesti ai privati per poter svolgere molte attività. La legge 241/1990 e il testo unico sulla documentazione amministrativa prevedono due modalità alternative alle certificazioni che dovrebbero essere preferite. -Da un lato le pubbliche amministrazioni sono tenute a scambiarsi d’ufficio le informazioni rilevanti senza gravare i soggetti privati dall’onere di ottenere il rilascio dei certificati; -dall’altro in molti casi le certificazioni possono essere sostituite dalle autocertificazioni: dichiarazioni formali assunte sotto propria responsabilità dal soggetto. Una fattispecie recente di certificazione alla quale merita dedicare un cenno è il green pass e il successivo green pass. Le dichiarazioni sostitutive di certificazione possono avere a oggetto la data, il luogo di nascita, la residenza, la cittadinanza, l’iscrizione in albi, la qualità di studente o di pensionato, etc. L’amministrazione che utilizza il dato autocertificato nell’ambito di un procedimento può verificarne, a campione, la correttezza e deve farlo nei casi in cui sorgono dubbi sulla veridicità delle dichiarazioni. Se la dichiarazione è falsa si può incorrere in sanzioni penali. Sempre nel caso di dichiarazioni mendaci o false, all’interessato è negata la possibilità di conformare l’attività alla legge sanando la propria posizione. Viene disposta nei suoi confronti la decadenza dai benefici conseguiti dal provvedimento emanato in base alla dichiarazione non veritiera. L’autocertificazione stenta a farsi strada nella pratica, data anche la tendenza a dichiarare il falso data la scarsità dei controlli. di 67 187 -le seconde conferiscono poteri, come per esempio quello di fare testamento, di contrare matrimonio, di porre in essere un contratto, e regolano procedure, i presupposti e i limiti all’esercizio di poteri volti alla produzione di effetti giuridici. Esse Sono state etichettate come norme primarie e norme secondarie; norme di condotta e norme sulla produzione giuridica; norme di azione e norme di relazione. I comportamenti che violano le prime sono illeciti e vengono sanzionati penalmente, con obbligo di risarcimento, etc. Gli atti posti in essere in violazione delle norme del secondo tipo sono qualificabili come invalidi, e contro di esse l’ordinamento reagisce disconoscendone gli effetti. L’invalidità è definita come la difformità di un negozio o un atto al suo modello legale; essa può essere sanzionata, in funzione della gravità della violazione, secondo due modalità: -inidoneità dell’atto a produrre effetti giuridici tipici: creare obblighi e diritti, etc. (nullità); l’idoneità a produrli in via precaria, fin tanto che non intervenga un giudice che accerti l’invalidità, rimuova con efficacia retroattiva gli effetti prodotti medio tempore (annullamento). Il regime dell’invalidità del provvedimento si ispira (ma non coincide) con quello accolto dal codice civile. Nel diritto civile la nullità ha carattere atipico; il codice delinea uno schema atipico sanzionando con nullità tutti i casi di contrarietà del contratto a norme imperative. Questa disposizione rimette all’interprete la valutazione caso per caso in ordine al carattere imperativo o meno della norma violata. La nullità del provvedimento è prevista solo in relazione a poche ipotesi tassative, mentre la violazione delle norme attributive del potere porta al regime ordinario dell’annullabilità. Nel diritto amministrativo, in coerenza logica della legalità e della tipicità, le norme attributive del potere, finalizzate a tutelare un interesse pubblico e a garantire i soggetti destinatari del provvedimento, hanno di regola carattere cogente (imperativo). Sanzionare con nullità ogni difformità tra provvedimento e norma attributiva costituirebbe una reazione sproporzionale dell’ordinamento. Questo principio consente meglio la realizzazione immediata della cura in concreto dell’interesse pubblico. Non venne accolto il principio della inidoneità dell’atto non conforme al modello legale a produrre l’effetto. Poi mentre nel diritto privato l’annullabilità è confinata a ipotesi tassative, nel diritto amministrativo, le figure sintomatiche dell’eccesso di potere sono una sorta di catalogo aperto e non tipizzato. L’annullabilità costituisce regime ordinario del provvedimento amministrativo invalido, mentre la nullità è categoria residuale del diritto amministrativo. L’invalidità può essere totale o parziale: -la prima investe l’intero atto, la seconda una parte di questo. Anche il provvedimento può essere colpito da invalidità parziale o totale. -La parziale può aversi soprattutto nel caso di provvedimenti scindibili come gli atti plurimi. Un esempio di nullità parziale è l’inserimento in un bando di gara per l’aggiudicazione di un contratto di casi di esclusione dei concorrenti ulteriori rispetto a quelle stabilite in modo tassativo nel codice dei contratti pubblici. L’invalidità di una parte dell’atto si estende alle altre parti solo ove esse siano strettamente dipendenti da quella viziata. Assume rilievo anche il di 70 187 principio civilistico in base al quale la nullità di una parte o di una clausola del contratto comporta la nullità del contratto quando risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte. L’invalidità di un provvedimento può essere propria o derivata, originaria o sopravvenuta. 1. Nel caso di invalidità propria assumono rilievo diretto i vizi dei quali è affetto l’atto. Nel caso di invalidità derivata, l’invalidità dell’atto discende per propagazione dall’invalidità di un atto presupposto. Ad esempio, l’illegittimità di un bando di gara determina a valle l’invalidità dell’atto di aggiudicazione o approvazione della graduatoria dei vincitori. La derivata può essere di due tipi: -ad effetto caducante quando travolge automaticamente l’atto assunto sulla base dell’atto invalido; -ad effetto invalidante quando l’atto affetto da invalidità derivata, per quanto a sua volta invalido, conserva i suoi effetti fin tanto che non venga annullato. L’effetto caducante si verifica quando c’è un rapporto di stretta causalità tra i due atti: il secondo mera esecuzione del primo. Se invece l’atto successivo non costituisce conseguenza inevitabile del primo, ma presuppone ulteriori apprezzamenti che segnano una discontinuità fra gli atti, l’invalidità derivata ha solo effetto viziante, che deve essere fatta valere attraverso l’impugnazione autonoma di quest’ultimo. 2. Analizzando l’invalidità originaria o sopravvenuta, va premesso che anche nel diritto amministrativo trova spazio il principio del tempus regit actum, secondo il quale la validità di un provvedimento si determina in base alle norme in vigore al momento della sua adozione. Poi, poiché l’esercizio del potere avviene nella forma del procedimento, ovvero attraverso una serie di atti collegati strumentali all’adozione del provvedimento finale, si pone a volte la questione delle conseguenze del mutamento delle norme vigenti sui procedimenti avviati ma non conclusi. Così, per esempio, se dopo la presentazione di una domanda di concessione e l’avvio dell’istruttoria interviene una normativa più restrittiva, la concessione non può essere più rilasciata. In altri casi il mutamento normativo non incide sulle procedure già avviate come per esempio in casa di concorso pubblico in relazione al quale sia già stato emanato il bando. Si parla di invalidità sopravvenuta dei provvedimenti nei casi di legge retroattiva, di legge di interpretazione autentica e di dichiarazione di illegittimità costituzionale. -Nelle prime due ipotesi, la retroattività della nuova legge rende viziato il provvedimento emanato in base alla norma abrogata. -Nella terza ipotesi, poiché le sentenze di accoglimento della corte costituzionale hanno efficacia retroattiva, rendono invalidi i provvedimenti assunti sulla base di norme dichiarate illegittime e dei rapporti giuridici sorti anteriormente, lasciando i rapporti esauriti. Vediamo ancora qualche considerazione sull’invalidità del provvedimento. La legge 241/1990 ha razionalizzato le acquisizioni giurisprudenziali; la teoria dei vizi dell’atto amministrativo è frutto del consiglio di stato. Il giudice amministrativo dovette riempire di contenuto le scarne disposizioni della legge del 1889 che attribuivano alla sua competenza i ricorsi per incompetenza, eccesso di potere o per violazione di legge. di 71 187 In primo luogo, la giurisprudenza interpretò la formula eccesso di potere non come straripamento di potere ma come sviamento di potere. -Il primo riguarda uno sconfinamento macroscopico dell’ambito di competenza da parte di un’autorità amministrativa; -il secondo indica i casi nei quali il potere viene esercitato per un fine diverso da quello posto dalla norma attributiva. Il consiglio di stato infatti ha fatto ricorso all’eccesso di potere per sindacare la legalità intrinseca dei provvedimenti discrezionali e non solo quella estrinseca, ovvero la loro conformità formale a disposizioni di legge. In secondo luogo, nel silenzio della legge, la giurisprudenza individuò ipotesi nelle quali il provvedimento è affetto da deviazioni enormi dalla norma attributiva del potere o è addirittura emanato in assenza di una base legislativa. Emerse una tipologia di vizi più gravi ricompresi nella categoria della carenza di potere o anche della nullità. In presenza di tali vizi il provvedimento perde il suo carattere imperativo. Gli atti assunti in carenza vennero pertanto attribuiti alla cognizione del giudice ordinario. La teoria dei vizi del provvedimento è stata condizionata dalla questione del riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e amministrativo fondato sulla distinzione tra diritto soggettivo e interesse legittimo. Si guarda quindi l’incidenza del provvedimento invalido sulle situazioni giuridiche soggettive; quindi, abbiamo la differenza tra i due comportamenti patologici dell’amministrazione. Da un lato abbiamo i meri comportamenti assunti in violazione di una norma di relazione, lesivi di un diritto soggettivo che sono considerati alla stregua di un comportamento privato non conforme alle norme civilistiche; si pensi a un incidente stradale provocato da un mezzo dell’amministrazione. Dall’altro vi sono i comportamenti che integrano una violazione della norma attributiva del potere e ledono un interesse legittimo. La questione è sorta a proposito dell’espropriazione per pubblica utilità, dove è emersa la distinzione tra occupazione usurpativa e appropriativa. -La prima si ha quando il terreno viene occupato in carenza di qualsiasi titolo; -la seconda quando l’occupazione avviene nell’ambito di una procedura di espropriazione ancorché illegittima. In questo caso i comportamenti costituiscono esercizio, ancorché viziato da illegittimità, della funzione pubblica della pubblica amministrazione; pertanto, inclusi nella giurisdizione del giudice amministrativo. I comportamenti che danno origine a occupazione usurpativa sono illeciti attribuiti alla giurisdizione del giudice ordinario. La questione del riparto giurisdizionale ha reso necessario sfumare la distinzione tra comportamento e atto di esercizio del potere amministrativo, attraendo la fattispecie dei comportamenti riconducibili all’esercizio del potere nella categoria dell’illegittimità piuttosto che in quella dell’illiceità. Un nesso tra illiceità del comportamento dell’amministrazione e illegittimità del provvedimento è emerso in seguito alla sentenza della corte di cassazione nº 500/1999 che ha affermato il principio della risarcibilità del danno da lesione di interesse legittimo. di 72 187 15-b) La violazione di legge La violazione di legge è considerata come categoria residuale, in quanto raggruppa tutte le ipotesi di contrasto tra il provvedimento e le disposizioni normative contenute in fonti di rango primario o secondario che definiscono i profili vincolati, formali e sostanziali, del potere. Si discute se la nozione di violazione di legge includa anche la violazione dei principi generali dell’azione amministrativa ai quali fa riferimento la legge 241/1990, in passato sussunti nella categoria dell’eccesso di potere. La principale distinzione interna alla violazione di legge è quella solita tra vizi formali e vizi sostanziali. L’art. 21-octies comma 2 della legge 241/1990 enuclea tra le ipotesi di violazione di legge la violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti, cioè una subcategoria di vizi formali che a certe condizioni sono dequotati a vizi che non determinano l’annullabilità. La disposizione pone due condizioni: -che sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato -che risulta palese che, anche in assenza del vizio formale o procedurale rilevato, il contenuto del provvedimento sarebbe rimasto invariato. Il provvedimento in questo caso non può essere annullato né dal giudice amministrativo in un giudizio di impugnazione, né dalla stessa amministrazione con l’esercizio del potere dell’autotutela. Ancora l’art. 21-octies comma 2 della legge 241/1990 individua una fattispecie particolare costituita dall’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento per la quale è previsto un regime in parte uguale e in parte diverso da quello esaminato subito sopra. Se la conclusione di questa analisi è che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, l’atto non può essere annullato. La disposizione però presenta due specificità: -si richiede all’amministrazione che ha emanato l’atto di dimostrare in giudizio che il vizio procedurale o formale accertato non ha avuto influenza sul contenuto del provvedimento. Solo quando risulti ex post che l’amministrazione non aveva altra scelta legittima se non emanare l’atto con quel contenuto (vincolatezza in concreto), può operare il principio della non annullabilità per violazione delle norme formali e procedurali. -Quanto al secondo aspetto, l’onere della prova grava sull’amministrazione. Questa è però una deroga al principio che vieta all’amministrazione di integrare la motivazione nel corso del giudizio. La prova richiesta è una probatio diabolica, la giurisprudenza addossa sul ricorrente l’onere di allegare in giudizio gli elementi che sarebbero stati prodotti nell’ambito del procedimento ove la comunicazione di avvio del medesimo procedimento fosse stata effettuata. Il regime della legittimità degli atti amministrativi si avvicina a quello degli atti processuali per i quali vale il principio che la nullità non può mai essere pronunciata, se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato. Per esempio ha chiarito che la mancanza della motivazione in un provvedimento integralmente vincolato non può giustificare l’annullamento di quest’ultimo, e ciò vale anche di 75 187 per i provvedimenti che presentano un margine di discrezionalità allorché dagli atti del procedimento risultino già in qualche modo le ragioni sottostanti. Sembra peraltro prevalente l’orientamento secondo il quale il difetto di motivazione non può essere assimilato alla violazione di norme procedimentali. L’atto non può essere annullato dal giudice ma, sotto il profilo sostanziale continua ad essere affetto da illegittimità che potrebbe portare l’amministrazione a esercitare il potere di annullamento d’ufficio. Questa tesi è smentita dall’art. 21- nonies della legge 241/1990 che esclude espressamente l’annullamento d’ufficio in presenza di vizi formali ai sensi dell’art. 21-octies comma 2. Secondo altra interpretazione, la disposizione avrebbe tipizzato una fattispecie di irregolarità non invalidante del provvedimento. L’irregolarità ammessa in giurisprudenza è un’imperfezione minore del provvedimento. Danno origine ad altre irregolarità per esempio l’erronea indicazione di un testo di legge o di una data, la mancanza di una firma, etc. L’irregolarità non rende invalido il provvedimento che è suscettibile di regolarizzazione attraverso la rettifica. Sembra preferibile una terza interpretazione che qualifica come illegittimi anche i provvedimenti non annullabili ai sensi della disposizione. In definitiva, seguendo quest’ultima interpretazione, l’art. 21-octies comma 2 della legge 241/1990 ha stabilito soltanto che per taluni atti illegittimi l’annullamento, vuoi da parte del giudice, vuoi d’ufficio, costituisce una reazione non proporzionata, visto che il provvedimento risulta sostanzialmente legittimo. Resta poi da appurare quali altre conseguenze possono essere ricollegate ai vizi formali e procedurali. -La tutela risarcitoria non è percorribile poiché è difficile configurare un danno in capo al privato da un atto il cui contenuto non sarebbe stato comunque diverso. -Ipotizzabile invece una responsabilità di tipo disciplinare nei confronti del funzionario al quale sia imputabile la violazione formale o procedurale riscontrata. -Potrebbe essere valutata una sanzione di tipo pecuniaria a carico dell’amministrazione, 16-c) L’eccesso di potere L’eccesso di potere è il vizio tipico dei provvedimenti discrezionali. Secondo ricostruzione diffusa, l’eccesso riguarda l’aspetto funzionale del potere, il perseguimento in concreto dell’interesse pubblico affidato alla cura dell’amministrazione. Si spiega perché si tratta di un vizio sconosciuto nel diritto privato. L’eccesso di potere è stato riconosciuto in dottrina variamente come un vizio della causa, della volontà, dei motivi, del contenuto del provvedimento. All’interno delle fasi del procedimento, possono emergere anomalie, incongruenze e disfunzioni che danno origine all’eccesso di potere. La figura originaria è lo sviamento di potere; siffatta violazione si ha quando il provvedimento emanato persegue un fine diverso da quello in relazione al quale il potere è conferito dalla legge all’amministrazione. di 76 187 Esempi di sviamento sono il trasferimento d’ufficio di un dipendente pubblico non privatizzato, motivato da esigenze di servizio, che in realtà ha una finalità punitiva; l’ordinanza di un sindaco che impone un divieto di fermata degli autoveicoli in alcune strade motivato con l’esigenza di evitare intralci alla circolazione, che persegue in realtà il fine di disincentivare la prostituzione. Lo sviamento di potere poi è difficile da provare, in quanto il provvedimento all’apparenza si presenta come conforme alle disposizioni normative che regolano quel potere. Ciò ha indotto la giurisprudenza a rilevare il vizio indirettamente, attraverso indizi del cattivo esercizio del potere chiamati figure sintomatiche. Le figure sintomatiche dell’eccesso di potere costituiscono una categoria aperta, non tipizzata dal legislatore. Vediamo le principali fattispecie. C1) Errore o travisamento dei fatti Se il provvedimento è emanato sul presupposto dell’esistenza di un fatto o di una circostanza che risulta inesistente o viceversa, della non esistenza di un fatto o di una circostanza che risulta esistente, emerge la figura dell’eccesso di potere per errore di fatto. Si pensi, per esempio, all’imposizione di un obbligo di bonifica ambientale di un terreno nel quale invece si dimostra che non sono presenti sostanze inquinanti L’errore di fatto, può emergere in sede processuale sia in seguito alla produzione di prove da parte del ricorrente, sia in seguito all’esercizio dei poteri istruttori da parte del giudice amministrativo. Quest’ultimo non incontra più alcun limite giuridico a un accertamento pieno dei fatti autonomo rispetto a quello operato nel provvedimento impugnato. Non rileva se l’errore è inconsapevole o volontario. Poi l’errore di fatto riguarda esclusivamente la percezione oggettiva della realtà materiale e non anche il momento successivo della valutazione dei fatti da parte dell’amministrazione rimessa al suo apprezzamento. C2) Difetto di istruttoria Nella fase istruttoria del procedimento l’amministrazione è tenuta ad accertare in modo completo i fatti, ad acquisire gli interessi rilevanti e ogni altro elemento utile per operare una scelta consapevole. Quando questa attività manchi o sia effettuata in modo frettoloso, incompleto o poco approfondito, il provvedimento è viziato sotto il profilo dell’eccesso di potere per difetto di istruttoria. L’amministrazione, per esempio, non può prendere per buona la ricostruzione di fatti operata dalla parte privata intervenuta nel procedimento, ma deve condurre le opportune verifiche A differenza dell’errore di fatto, nel difetto d’istruttoria non si può escludere che il quadro fattuale posto alla base del provvedimento risulti in effetti esistente e che dunque la scelta operata sia corretta, ma l’analisi del provvedimento e degli atti procedimentali lascia dubbi in proposito. Annullato l’atto, posta in essere una nuova istruttoria, l’amministrazione ben potrebbe adottare un atto con il medesimo contenuto. C3) Difetto di motivazione Nella motivazione del provvedimento l’amministrazione deve dar conto, in sede di decisione, delle ragioni che sono alla base della scelta operata. La motivazione deve consentire una verifica del corretto esercizio del potere. Il difetto di motivazione ha molte sfaccettature. di 77 187 a mansioni meno impegnative, piuttosto che collocarlo subito a riposo per inabilità. A breve tempo di distanza il dipendente veniva esonerato per scarso rendimento. Il carattere ingiusto deve essere manifesto, cioè di immediata evidenza per qualsiasi persona di sensibilità media. Altre figure sintomatiche hanno una configurazione più dubbia. Talora in esse vengono infatti inclusi anche i vizi della volontà, la violazione dei principi di proporzionalità e del legittimo affidamento. In particolare, il principio di proporzionalità può essere ricondotto, come si è accennato, al principio più generale di ragionevolezza. Pertanto la violazione del principio di proporzionalità si presta a essere sussunta nella categoria dell’eccesso di potere. In passato, veniva annoverata tra le figure sintomatiche dell’eccesso di potere anche la violazione o elusione del giudicato amministrativo, ora attratta dalla l. n. 241/1990 nella categoria della nullità. Non è da escludere che possano emergere anche nuove figure. La giustificazione teorica delle figure sintomatiche dell’eccesso di potere è controversa. 1. Secondo alcune teorie, esse rilevano come prove indirette dello sviamento di potere e hanno una valenza essenzialmente processuale. Possono cioè essere ricondotte allo schema civilistico delle presunzioni. Si discute se, una volta appurata l’esistenza di una figura sintomatica, sia ammessa in giudizio la prova contraria, se cioè l’amministrazione possa dimostrare che, nonostante il sintomo, non sussiste uno sviamento. In realtà, una siffatta prova contraria non è compatibile con la struttura attuale del processo amministrativo, che è ancora ispirato, come si è visto, al principio del divieto di integrazione della motivazione del provvedimento in corso di giudizio. 2. Secondo altre teorie, le figure sintomatiche hanno ormai raggiunto una completa autonomia. Esse cioè sono riconducibili alla violazione dei principi generali dell’azione amministrativa che presiedono all’esercizio della discrezionalità. 3. Nell’ambito di una rivisitazione critica più generale dell’eccesso di potere le figure sintomatiche sono state ricondotte alle clausole generali (buona fede, imparzialità) che, fanno sorgere obblighi comportamentali nell’ambito del rapporto giuridico amministrativo intercorrente tra la pubblica amministrazione e il cittadino. In definitiva, le figure sintomatiche dell’eccesso di potere, pur essendo consolidate nella prassi della giurisprudenza, hanno ancora uno statuto teorico incerto. Alla fin fine, esse potrebbero essere considerate, più semplicemente, come figure retoriche ormai convenzionalmente accettate nella pratica argomentativa giudiziaria. La nullità La nullità introdotta in via giurisprudenziale ha ormai un fondamento legislativo e una rilevanza teorica uguale all’annullabilità anche se costituisce fenomeno marginale. L’art. 21-septies della legge 241/1990 individua quattro ipotesi tassative: -mancanza degli elementi essenziali; -difetto assoluto di attribuzione; -violazione o elusione del giudicato; -altri casi espressamente previsti dalla legge. di 80 187 1. La mancanza degli elementi essenziali accomuna la nullità del provvedimento a quella del contratto, anche se la legge 241/1990 non li elenca in modo preciso, rimettendo all’interprete il compito di individuare le singole fattispecie. Gli esempi che vengono fatti, come l’espropriazione di un edificio distrutto o di un bene demaniale, costituiscono casi di scuola; un esempio giurisprudenziale è la concessione di un bene demaniale che non individua in modo preciso l’area o la superficie oggetto dell’atto. 2. Il difetto assoluto di attribuzione è stato esaminato nella carenza di potere e dell’incompetenza assoluta. 3. La violazione o elusione del giudicato è un’ipotesi particolare. Si ha elusione del giudicato quando l’amministrazione, in sede di nuovo esercizio del potere in seguito all’annullamento pronunciato con sentenza passata in giudicato, emana un nuovo atto ignora e palesemente trascura il sostanziale contenuto del giudicato e manifesta il reale intendimento dell’amministrazione di sottrarsi al giudicato. Uno dei casi emblematici di questo filone riguarda un concorso pubblico: il giudice amministrativo aveva riconosciuto a un partecipante il diritto a ottenere un certo punteggio più alto e aveva annullato il provvedimento dell’amministrazione, la quale successivamente aveva confermato in un nuovo provvedimento lo stesso punteggio inferiore. 4. La quarta ipotesi di nullità si riferisce ai casi in cui la legge qualifica espressamente come nullo un atto amministrativo (nullità testuale). Il codice dei contratti pubblici sancisce la nullità delle clausole dei bandi di gara che introducono casi di esclusione dei concorrenti ulteriori rispetto a quelle contenute in un elenco stabilito dalla legge. Un’ipotesi di nullità stabilita per legge riguarda gli atti adottati da organi collegiali scaduti. La nullità viene a volte contrapposta all’inesistenza, ma è una differenza priva di effetti pratici. Si è discusso se un’ipotesi di nullità sia costituita dagli atti adottati dall’amministrazione in applicazione delle norme nazionali in contrasto con il diritto europeo. In un primo periodo la giurisprudenza disapplicava le norme nazionali, quindi considerava nullo il provvedimento. Ora la tende a rendere annullabile il provvedimento, ciò in ragione della certezza dei rapporti giuridici di diritto pubblico. Sul versante processuale, l’art. 31 del codice del processo amministrativo disciplina l’azione di accertamento che può essere proposta innanzi al giudice amministrativo entro un termine di decadenza di 180 giorni. A differenza dell’annullabilità, la nullità è rilevabile d’ufficio dal giudice o opposta dalla parte resistente (pubblica amministrazione). L’art. 133 attribuisce alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative alla nullità dell’atto adottato in violazione o elusione del giudicato. Il ricorso può essere proposto nel termine di 10 anni dal passaggio in giudicato della sentenza e il giudice, emana una sentenza che dichiara la nullità del provvedimento. L’annullamento d’ufficio, la convalida, la ratifica, la sanatoria, la conferma, la conversione, la revoca, il recesso di 81 187 I provvedimenti che l’amministrazione può emanare per porre rimedio all’invalidità o alla non conformità all’interesse pubblico di un provvedimento amministrativo. annullamento d’ufficio La misura specifica per reagire all’illegittimità del provvedimento è l’annullamento con efficacia ex tunc dell’atto emanato. L’annullamento del provvedimento illegittimo può essere pronunciato, sotto il profilo soggettivo, dal giudice amministrativo, dalla stessa amministrazione in sede di esame dei ricorsi amministrativi, dagli organi amministrativi preposti al controllo di legittimità di alcune categorie di provvedimenti. In queste situazioni l’annullamento è doveroso, deve essere necessariamente pronunciato ove sia accertato un vizio. L’annullamento d’ufficio ha invece carattere discrezionale ed è una delle manifestazioni del potere di autotutela della pubblica amministrazione. Il potere può essere esercitato dallo stesso organo che ha emanato l’atto (autoannullamento) o da altro organo al quale sia attribuito per legge (annullamento gerarchico). Un particolare annullamento d’ufficio è quello attribuito al consiglio dei ministri nei confronti di tutti gli atti degli apparati statali e locali (annullamento straordinario del governo a tutela dell’unità dell’ordinamento); esso richiede il parere preventivo del consiglio di stato, data la sua delicatezza. Il potere di annullamento d’ufficio può essere esercitato in quattro presupposti esplicitati dall’art. 21-nonies della legge 241/1990. 1. Il provvedimento deve essere illegittimo ai sensi dell’art. 28-octies e dunque, affetto da un vizio di violazione di legge, incompetenza o eccesso di potere. Non si deve quindi ricadere in una delle ipotesi di vizi formali di cui al comma 2 dell’articolo in questione. 2. Devono sussistere ragioni di interesse pubblico rimesse alla valutazione discrezionale dell’amministrazione. L’interesse al ripristino della legalità violata non è sufficiente, ma l’amministrazione deve porre a fondamento un altro interesse pubblico che deve essere presente al momento un cui è disposto l’annullamento d’ufficio. Per esempio l’interesse dello stato a evitare l’irrogazione di sanzioni per violazioni del diritto europeo. 3. È richiesta una ponderazione di tuti gli interessi in gioco da esplicitare nella motivazione. Devono essere valutati, oltre all’interesse pubblico anche quello del destinatario del provvedimento, che per esempio ha ottenuto un provvedimento favorevole; dall’altro quello degli eventuali controinteressati come, i proprietari dei terreni confinanti con quello in relazione al quale è stato rilasciato un permesso a costruire illegittimo. 4. La valutazione discrezionale deve tener conto del fattore temporale. L’annullamento può essere disposto entro un termine ragionevole. Se è trascorso un lungo lasso di tempo dall’emanazione del provvedimento illegittimo, prevale l’interesse a mantenere inalterato lo status quo e a tutelare l’affidamento creato. Se l’amministrazione rileva immediatamente l’illegittimità, può procedere all’annullamento d’ufficio. Rientra nella discrezionalità stabilire se il termine è ragionevole e ciò introduce un elemento di incertezza sulla stabilità dei rapporti giuridici amministrativi. Il potere di annullamento d’ufficio deve essere esercitato nel rispetto delle regole generali della legge 241/1990 in tema di comunicazione di avvio del procedimento e di partecipazione dei soggetti interessati. La convalida di 82 187 -Il mero ritiro ha per oggetto atti amministrativi non ancora efficaci. Può avvenire per ragioni di legittimità o anche di merito e non necessita di una valutazione specifica dell’interesse pubblico e degli interessi dei destinatari del provvedimento. Recesso dei contratti L’art. 21-sexies della legge 241/1990 disciplina il recesso dei contratti della pubblica amministrazione prevedendo che sia solo ammesso nei casi previsti dalla legge o dal contratto. La disposizione riguarda l’attività negoziale di diritto privato della pubblica amministrazione. Fattispecie particolare di recesso è prevista dalla normativa antimafia nei casi in cui emergano tentativi di infiltrazione da parte della criminalità organizzata. CAPITOLO V: IL PROCEDIMENTO Nozione e funzioni del procedimento Il procedimento amministrativo è dato dalla sequenza di atti e operazioni posti in essere in vista dell’emanazione di un provvedimento produttivo di effetti nella sfera giuridica di un soggetto privato. Il procedimento è una nozione di teoria generale collegata alle modalità di produzione di un effetto giuridico. Nello schema norma- fatto-effetto, l’effetto giuridico si produce alcune volte al verificarsi di un singolo accadimento (fatto giuridico semplice); altre volte al verificarsi di una pluralità di accadimenti (fatti complessi). In quest’ultimo caso quindi l’effetto giuridico deriva da una combinazione di eventi, comportamenti o atti che devono verificarsi o essere posti in parallelo o in sequenza (fattispecie a formazione successiva). In quest’ultima l’effetto giuridico si produce solo quando la sequenza si è integralmente realizzata secondo l’ordine normativamente dato. Restano esterni alla fattispecie i presupposti, i fatti che non concorrono direttamente alla produzione dell’effetto giuridico, ma che si collocano a monte della fattispecie e ne condizionano l’operatività. La fattispecie complessa, a formazione successiva costituisce per alcuni la matrice unificante del negozio giuridico privato e dell’atto amministrativo. Nel diritto privato il procedimento ha avuto scarso seguito, mentre nel diritto pubblico rappresenta la modalità ordinaria di esercizio dei poteri dello stato. Nel diritto amministrativo, dopo una prima ignoranza della materia, con la legge nº 241/1990 il procedimento diventa istituto cardine del sistema. Storicamente il procedimento trova ingresso nel diritto amministrativo negli anni trenta del secolo scorso come sviluppo delle acquisizioni della teoria generale in tema di fattispecie. Venne elaborata la nozione di atto complesso del provvedimento che è frutto della confluenza di manifestazioni di volontà provenienti da più soggetti, necessarie ai fini della produzione dell’effetto giuridico. Del procedimento amministrativo sono state offerte molte ricostruzioni. 1. La prima risale al 1940, e opera un’analisi formale e strutturale degli atti e delle operazioni della sequenza procedimentale e delle fasi in cui questa è articolata (fase preparatoria, costitutiva, integrativa dell’efficacia). di 85 187 2. Un’altra ricostruzione colloca il procedimento all’interno della dinamica del potere, cioè come momento della concretizzazione del potere in un atto, ovvero della trasformazione del potere in un atto produttivo di effetti nella sfera giuridica di un determinato soggetto. 3. Ancora un’altra ricostruzione mette in luce la connessione con la discrezionalità amministrativa. Per poter operare una scelta corretta, tutti i fatti e gli interessi rilevanti devono essere acquisiti all’interno del procedimento dell’organo decidente. La sequenza delle operazioni e degli atti serve a immettere in modo strutturato nel processo decisionale gli interessi più rilevanti (interessi secondari). Il responsabile del procedimento poi può valutare caso per caso, nel corso dell’istruttoria se sia necessario acquisire qualche altro interesse potenzialmente inciso dall’atto da emanare. Il procedimento assolve una pluralità di funzioni. 1. Consente un controllo sull’esercizio del potere attraverso una verifica del rispetto della sequenza degli atti e operazioni normativamente predefinita. 2. Fa emergere e da voce agli interessi incisi dal provvedimento, sia nell’interesse dell’amministrazione che può colmare le asimmetrie informative che sussistono nei rapporti con i soggetti privati, sia nell’interesse di quest’ultimi che possono rappresentare il proprio punto di vista. La partecipazione acquista una dimensione collaborativa, dimensione che è presente soprattutto nei procedimenti di tipi individuale nei quali il provvedimento determina effetti ampliativi nella sfera giuridica dell’interessato; la stessa dimensione è anche presente nei procedimenti di regolazione: ad essi non si applicano solitamente le disposizioni sulla partecipazione previste dalla legge nº 241/1990, ma sempre di più la partecipazione è imposta dal diritto europeo. L’amministrazione deve controllare che tutti gli interessi coinvolti siano rappresentati e deve guardare criticamente gli apporti partecipativi dei privati. Questi ultimi sono di parte, e vanno messi a confronto con gli apporti partecipativi dei portatori di interesse contrario. Spesso le lobby riescono a sovrastare gli altri interessi. 3. Funzione di garanzia del contradditorio, funzione che emerge soprattutto nei procedimenti individuali nei quali la pubblica amministrazione esercita un potere che determina effetti restrittivi nella sfera giuridica del destinatario; il rapporto giuridico si connota come rapporto di contrapposizione. Il contradditorio può assumere una dimensione verticale o orizzontale. La prima si riferisce ai casi in cui il rapporto giuridico ha carattere bilaterale e coinvolge l’amministrazione e il destinatario diretto dell’effetto giuridico restrittivo. Nel contradditorio verticale, l’amministrazione deve essere parte imparziale: deve curare l’interesse pubblico di cui essa è portatrice, e garantire la posizione della parte privata portatrice di un interesse contrapposto. Vi è il rischio che un’amministrazione zelante consideri il contradditorio un ostacolo alla propria azione; una soluzione per garantire la terzietà dell’amministrazione, prevista per le autorità indipendenti, consiste nell’attribuire le funzioni decisionali a un organo distinto dall’ufficio preposto all’attività istruttoria e pertanto in grado di valutare con distacco il punto di vista di quest’ultimo, mettendolo a confronto con quello del privato che interviene nel procedimento. La dimensione orizzontale emerge nei procedimenti nei quali i privati sono portatori di interessi contrapposti e nei quali l’organo decidente è chiamato a garantire la parità delle armi. In certi casi il contradditorio è completamente paritario; in altri casi non del tutto, come nei procedimenti sanzionatori antitrust. Nel contraddittorio orizzontale paritario, è più facile mantenere la terzietà. 4. Funge da fattore di legittimazione del potere dell’amministrazione e promuove la democraticità dell’ordinamento amministrativo. La caduta della legalità sostanziale, dovuta di 86 187 all’impossibilità del legislatore di prefigurare in modo preciso tutte le situazioni che richiedono l’esercizio del potere, può essere compensata dalla legalità procedurale. Il procedimento aperto a tutti i soggetti interessati è la sede in cui si individua la regola per il caso concreto dettata dal provvedimento. La democrazia procedimentale completa la rappresentativa. 5. Promuove il coordinamento tra più amministrazioni nei casi in cui un provvedimento vada a incidere su una pluralità di interessi pubblici curati da ciascuna di esse. Accanto ai modelli di coordinamento debole, come il parere non vincolante, la legislazione prevede modelli forti, come il parere vincolante, l’intesa, etc. Il procedimento dunque assolve, compresenti spesso nella stessa fattispecie, e in base al tipo di procedimento, può prevalere l’una o l’altra funzione. Le leggi generali sul procedimento e la legge nº 241/1990 I modelli di riferimento della legge nº 241/1990 sono la legge austriaca e la legge statunitense. -La legge austriaca, già nel 1875, istituì il tribunale amministrativo supremo, a attribuì a quest’ultimo il potere di annullare gli atti dell’amministrazione adottati all’esito di una procedura difettosa; la giurisprudenza specificava poi i casi in cui essa era difettosa. Ciò accade quando l’amministrazione pone in essere gli atti senza rispettare l’ordine cronologico. Nel 1925 emanata una legge generale sul procedimento, che sviluppa il modello processuale di quest’ultimo. Il procedimento viene concepito come strumento per tutelare la posizione del privato, per garantire gli interessi del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione. L’articolazione in atti formali volti a garantire la partecipazione e il contraddittorio anticipava la tutela offerta in sede giurisdizionale. In generale, quanto più completa ed efficacie è la tutela degli interessi privati nell’ambito del procedimento, tanto minore è l’esigenza di un sistema articolato di garanzie giurisdizionale. -Negli USA, in un sistema improntato a una separazione più rigida dei poteri, l’attribuzione di molti poteri e regolatori e amministrativi alle agenzie federali negli anni trenta determinò un conflitto tra presidente e corte suprema. Quest’ultima dichiarò incostituzionali una serie di leggi interventiste. La legge statunitense propone un procedimento aperto a un’ampia partecipazione dei soggetti interessati secondo il modello della public interest representation. Nei procedimenti di tipo individuale, per attuare il principio del giusto procedimento, vengono introdotte garanzie del contraddittorio di tipo paraprocessuale. Sul piano organizzativo, la legge distingue nettamente nelle agenzie federali, tra i funzionari che curano l’istruttoria e l’organo collegiale che assume la decisione; anche nei processi in cui il contraddittorio ha una dimensione verticale si creano le premesse per una decisione assunta da un organo in qualche misura terzo rispetto agli uffici istruttori e alle parti private. Il rispetto delle regole culturali è assicurato dalle corti ordinarie, che verificano inoltre se le decisioni siano state adottate con eccesso di potere. Altri ordinamenti come quello tedesco e spagnolo si sono datati di leggi sul procedimento analitiche. -In Italia, un progetto di legge viene elaborato tra il 1944 e il 1947, ma mai approvato. All’inizio anni 80 ci fu un altro tentativo, che sfocia poi nella legge 7 agosto nº 241/1990. Quest’ultima è una legge di principi, senza la pretesa di porre una disciplina esaustiva di tutti gli istituti; infatti non contiene né una nozione di procedimento, né una disciplina organica delle singole fasi in cui esso si articola; disciplina alcuni istituti fondamentali, rappresenta di 87 187 che tuttavia non pongono un obbligo in capo all’amministrazione di procedere verso il soggetto denunciato, tranne in casi rari qualificati dalla giurisprudenza. L’amministrazione deve dare comunicazione dell’avvio del procedimento al soggetto o ai soggetti destinatari diretti del provvedimento. La comunicazione poi viene inviata eventualmente ad altri soggetti che per legge devono intervenire nel procedimento, e in generale a soggetti individuati o individuabili facilmente che possono subire un pregiudizio dal provvedimento. La comunicazione poi deve indicare l’amministrazione competente, l’oggetto del procedimento, il nome del responsabile del procedimento, il termine di conclusione del procedimento, l’ufficio in cui si può prendere visione degli atti. Nei procedimenti d’ufficio la comunicazione di avvio del procedimento garantisce il contraddittorio. L’omessa comunicazione rende annullabile il provvedimento finale, anche se la legge ha ristretto i casi in cui questo può avvenire. Secondo parte della giurisprudenza, l’omissione rende illegittimi anche i provvedimenti vincolati, poiché la partecipazione può essere utile per l’accertamento e la valutazione dei presupposti sul quale si basa il provvedimento finale. 5-b) L’istruttoria L’istruttoria ha lo scopo di accertare i fatti e di acquisire gli interessi rilevanti ai fini della determinazione finale. -I fatti da accertare riguardano: i presupposti e i requisiti richiesti dalla norma di conferimento del potere - le condizioni di ammissibilità - i requisiti di legittimazione - i presupposti rilevanti per l’emanazione del provvedimento valutati dal responsabile del procedimento. -Gli interessi d’acquisire entrano in gioco solo nei procedimenti relativi a poteri totalmente discrezionali, nei quali, l’interesse pubblico primario desumibile dalla norma di conferimento va ponderato unitamente agli interessi secondari pubblici e privati. L’istruttoria è retta dal principio inquisitorio: secondo la legge n° 241/1990 “il responsabile del procedimento accerta d’ufficio i fatti, disponendo il compimento degli atti necessari”. Quest’ultimo quindi effettua di propria iniziativa le indagini necessarie. L’amministrazione, nel procedimento amministrativo, può compiere tutti gli accertamenti necessari con le modalità ritenute più idonee. Tra gli atti istruttori abbiamo: il rilascio di dichiarazioni, l’esperimento di accertamenti tecnici, le ispezioni e l’ordine di esibizioni documentali. Il responsabile del procedimento compie poi le verifiche della documentazione prodotta dalle parti e della verifica dei dati autocertificati dell’interessato. Nella scelta dei mezzi istruttori l’amministrazione segue i principi di efficienza e di economicità. Talvolta alcuni atti istruttori sono richiesti dalla legge che disciplina il singolo procedimento: è il caso dei pareri obbligatori e delle valutazioni tecniche di competenza di amministrazioni diverse da quella procedente. I pareri, espressione della funzione consultiva, sono obbligatori o facoltativi: di 90 187 -i primi previsti dalla legge in relazione a specifici procedimenti. l’omessa acquisizione rende illegittimo il provvedimento finale. L’amministrazione deve esprimere il parere entro 20 giorni; in caso di ritardo, l’amministrazione con competenza decisionale procede indipendentemente. -I pareri facoltativi sono richiesti dove l’amministrazione procedente ritenga possono essere utili ai fini della decisione. In alcuni casi i pareri obbligatori sono anche vincolanti: il solo potere che residua in capo all’amministrazione procedente è quello di rinunciare ad emanare l’atto finale. Recentemente, è stato introdotto nella legge, un meccanismo inedito di silenzio-assenso tra amministrazioni per velocizzare i tempi di conclusione dei procedimenti: assensi, concerti, nullaosta di amministrazioni statali vengono rilasciati in termini stringenti (di regola 30 giorni), decorsi i quali l’atto si intende acquisito. Il termine può essere interrotto se l’amministrazione che deve fornire assensi, concerti o nullaosta rappresenti esigenze istruttorie o richieste di modifica motivate. In caso di mancato accordo tra amministrazioni statali la questione viene rimessa al presidente del consiglio dei ministri che decide sulle modifiche da apportate allo schema di provvedimento. In tema di adempimenti istruttori, la tendenza è quella di sgravare da oneri di documentazione i soggetti privati, a cui può essere richiesta solo l’autocertificazione, che consiste nella possibilità per i soggetti privati di dichiarare sotto propria responsabilità il possesso di determinati stati e qualità. L’attività istruttoria può essere condotta anche secondo modalità informali; la legge nº 241/1990 prevede ad esempio che per favorire la conclusione di accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento, viene predisposto un calendario di incontri dove sono invitati il destinatario del provvedimento e eventuali contro interessati; inoltre dove si ritiene necessario un esame contestuale dei vari interessi pubblici coinvolti in un procedimento, l’amministrazione procedente può indire una conferenza di servizi istruttoria dove ogni amministrazione esprime le proprie valutazioni. Le attività istruttorie compiute e le risultanze, vengono verbalizzate, e i verbali fanno piena prova fino a querela di falso dei fatti. L’istruttoria è aperta alla partecipazione dei soggetti che abbiano diritto ad intervenire e partecipare al procedimento. Possono intervenire coloro che hanno un interesse pubblico o privato, portatori di interessi diffusi in associazioni o comitati ai quali possa derivare un pregiudizio dal provvedimento. La partecipazione si sostanzia in due diritti: -prendere visione degli atti del procedimento; -possibilità di presentare memorie scritte che illustrano il punto di vista del soggetto interessato; l’amministrazione deve valutare documenti e memorie, e deve farne menzione nella motivazione del provvedimento. L’istruttoria è affidata al responsabile del procedimento. Il suo nominativo è comunicato o reso disponibile su richiesta a tutti i soggetti interessati. I compiti del responsabile del procedimento sono indicati nella legge nº 241/1990, e includono tutte le attività propedeutiche all’emanazione del provvedimento finale e l’adozione di ogni misura per l’adeguato e sollecito svolgimento dell’istruttoria; il responsabile può anche chiedere la rettifica di dichiarazioni errate. C’è qui una funzione di supporto nei confronti del soggetto privato sfornito delle conoscenze e di esperienza. di 91 187 Poi, per prevenire la corruzione, il responsabile deve astenersi quando si trovi in conflitto di interessi. Nei procedimenti a istanza di parte, il responsabile del procedimento attiva una fase istruttoria supplementare nei casi in cui, sulla base degli elementi già acquisiti, sia orientato a proporre o adottare un provvedimento di rigetto dell’istanza. Al soggetto che l’ha proposta, che dunque ha dato avvio al procedimento, devono essere comunicati i motivi ostativi all’accoglimento della domanda. Entro 10 giorni l’interessato può presentare osservazioni scritte nel tentativo di superare le obiezioni dell’amministrazione; l’eventuale provvedimento finale negativo che rigetta l’istanza deve dar conto delle ragioni del mancato accoglimento delle osservazioni presentate. In caso di annullamento del provvedimento negativo, l’amministrazione in sede di sostituzione dell’atto annullato non può addurre motivi già ostativi emergenti dall’istruttoria del provvedimento annullato; ciò a garanzia del privato di fronte a rischio di dinieghi ripetuti di provvedimenti favorevoli fondati su ragioni ostative non esplicitate in precedenza. Il responsabile del procedimento solitamente non adotta il provvedimento finale ma trasmette gli atti all’organo competente a emanare il provvedimento finale, che dovrà seguire le indicazioni del responsabile del procedimento, discostandosene indicando le ragioni nel provvedimento finale. 6-c) Conclusione: il termine, il silenzio, gli accordi. Conclusa l’istruttoria, l’organo competente a emanare il provvedimento, assume la decisione sulla base del materiale acquisito dal procedimento, e se ha potere discrezionale, della ponderazione degli interessi. L’amministrazione in base all’art. 2 legge nº 242/1990 è obbligata a concludere il procedimento con un provvedimento espresso. Il provvedimento può essere emanato dal titolare di un organo individuale oppure da un organo collegiale. Accanto agli atti semplici abbiamo gli atti complessi, come per esempio il decreto interministeriale; si parla di concerto quando il ministero competente a emanare il provvedimento deve prima inviare al ministero concertante lo schema di provvedimento per ottenere l’assenso o proposte di modifica. L’atto finale è sottoscritto da entrambe le autorità. Altro esempio è l’intesa tra stato e regioni. L’intesa è debole quando il dissenso regionale viene superato dallo stato per evitare effetti paralizzanti; è forte quando serve il doppio assenso. Il conflitto può essere superato investendo il consiglio dei ministri. La determinazione finale, come ogni atto della sequenza procedimentale, è assunta sulla base delle regole vigenti al momento in cui essa è adottata: le modifiche legislative intervenute a procedimento avviato trovano immediata applicazione, tranne nelle fasi procedimentali già del tutto esaurite. Approfondiremo ora i seguenti argomenti: -termine del procedimento e rimedi in caso di mancato rispetto del termine; -il silenzio dell’amministrazione; di 92 187 dichiarazioni mendaci può incorrere anche in sanzioni penali; rimangono fermi i poteri di controllo anche dopo l’avvio dell’attività. Il regime del silenzio-assenso non fa venire meno il potere dell’amministrazione di provvedere, ma incide solo sulla fase decisionale non alterando il procedimento. Il regime silenzio-assenso ha anche dei difetti. Poiché esso può applicarsi anche ai provvedimenti discrezionali (quelli vincolanti sono di regola sostituiti dalla SCIA), la valutazione di interessi pubblici, nei casi di inerzia, non viene operata; né può essere demandata al soggetto privato. In secondo luogo, il silenzio-assenso non soddisfa l’esigenza di certezza in relazione allo svolgimento di attività sottoposte a controllo pubblico; davanti all’inerzia, il soggetto privato non sa se dietro l’atteggiamento silenzioso dell’amministrazione si celi un’inerzia assoluta degli uffici, oppure se una qualche istruttoria sia stata in realtà compiuta, anche se l’amministrazione non è stata in grado di provvedere nel termine. Un altro profilo di incertezza deriva dall’orientamento giurisprudenziale secondo il quale il silenzio-assenso non si forma se non sono presenti tutte le condizioni, requisiti e presupposti richiesti dalla legge. C3) Gli accordi integrativi e sostitutivi. Il provvedimento unilaterale è l’esito normale e più frequente del procedimento amministrativo. Esiste una modalità alternativa di conclusione del procedimento che la legge nº 241/1990 favorisce, ovvero l’accordo integrativo o sostitutivo del provvedimento. In base alla legge, l’accordo ha per oggetto il contenuto discrezionale del provvedimento ed è finalizzato a ricercare un miglior contemperamento tra l’interesse pubblico perseguito dall’amministrazione procedente, e l’interesse del privato. I poteri vincolati non si prestano ad essere oggetto di negoziazione. L’accordo può essere promosso dal privato, che può presentare osservazioni e proposte in sede di partecipazione al procedimento; i terzi comunque possono proporre un’azione di annullamento innanzi al giudice amministrativo. Il responsabile del procedimento può organizzare incontri informali con i soggetti privati interessati. L’amministrazione non è obbligata a concludere gli accordi. Sotto il profilo formale, gli accordi devono rispettare la forma dell’atto scritto a pena di nullità, salvo che la legge disponga altrimenti, e devono essere motivati. Si applicano i principi del codice civile in materie di contratti, ma data la natura pubblicistica degli accordi, le controversie rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Gli accordi possono essere integrativi o sostitutivi del provvedimento: -i primi concordano il contenuto del provvedimento finale, emanato in attuazione dell’accordo; il provvedimento mantiene quindi il carattere della unilateralità. Gli integrativi pongono la questione se il mancato recepimento dei suoi contenuti nel provvedimento finale renda quest’ultimo illegittimo. -Negli accordi sostitutivi gli effetti giuridici si producono direttamente con la conclusione dell’accordo. A garanzia dell’imparzialità e del buon andamento dell’azione amministrativa, gli accordi devono essere preceduti da una determinazione dell’organo competente per l’adozione del provvedimento la quale autorizza e stabilisce i limiti di negoziazione; si recupera un momento di unilateralità, momento che si verifica anche dopo la conclusione dell’accordo. di 95 187 L’amministrazione infatti può recedere dall’accordo per motivi di interesse pubblico. Il recesso ha fonte legale ed è espressione di un potere in senso proprio. In dottrina si discute se questi accordi possano essere qualificati come contratti di diritto pubblico; in alternativa possono essere considerati come contratti aventi un oggetto pubblico. Il loro regime comunque è assimilabile a un normale provvedimento amministrativo. Procedimenti semplici, complessi, collegati. Il subprocedimento. I procedimenti possono avere una struttura semplice o complessa a seconda del loro oggetto, numero, natura degli interessi pubblici e privati incisi e dunque della necessità di coinvolgere una pluralità di amministrazioni. Ci sono due estremi: -procedimenti autorizzatori semplici nei quali la sequenza procedimentale consiste solo in domanda, istruttoria limitata a poche verifiche documentali, una decisione affidata a un’unica autorità; -procedimenti complessi che richiedono accertamenti fattuali, momenti partecipativi, acquisizione di pareri o di valutazioni tecniche con il coinvolgimento anche nella fase decisionale di una molteplicità di amministrazioni. I procedimenti complessi sono spesso articolati all’interno in subprocedimenti sequenziali, avente ciascuno una unità funzionale autonoma; talvolta si concludono con atti suscettibili di incidere in via immediata su situazioni giuridiche soggettive. Producono effetti esterni diversi e indipendenti rispetto all’effetto giuridico primario riferibile al provvedimento assunto a conclusione del procedimento. Per esempio, il procedimento per la conclusione di un contratto pubblico prevede nelle procedure ristrette, un subprocedimento di prequalifica. Questa fase individua le imprese ammesse alle fasi successive di presentazione e valutazione delle offerte che si concludono con l’aggiudicazione. Inoltre dopo la conclusione della fase di valutazione delle offerte vi è una fase di verifica di eventuali offerte anomale per esempio troppo basse.questa fase dà origine a un sub procedimento in contraddittorio che può concludersi anche con l'esclusione dell'impresa.sia la non ammissione sia l'esclusione dell'impresa sono atti endo procedimentali o provvedimenti autonomi: endo procedimentali perché fanno parte della sequenza procedimentale, provvedimenti autonomi in quanto producono effetti giuridici negativi immediati nella sfera giuridica del loro destinatari e sono dunque suscettibili di impugnazione immediata. Nei procedimenti sanzionatori di competenza dell’autorità garante della concorrenza e del mercato, l’impresa inquisita ha la possibilità di proporre all’autorità impegni formali atti a rimuovere l’illecito concorrenziale. Se l’autorità approva gli impegni, all’esito di un subprocedimento in contradditorio aperto anche ad altre imprese e a terzi interessati, il procedimento si conclude senza altri accertamenti istruttori e senza l’assunzione di un provvedimento sanzionatorio. Se l’autorità conclude il subprocedimento senza accettare gli impegni, il procedimento prosegue fino all’emanazione di un provvedimento che accerta o meno l’esistenza dell’illecito, e irroga nel caso la sanzione. di 96 187 Il provvedimento di rigetto degli impegni non è impugnabile, mentre quello di accoglimento degli impegni è impugnabile da parte di imprese concorrenti che ritengano che le misure non siano in grado di rimuovere la situazione anticoncorrenziale che le danneggia. In ogni caso la distinzione tra procedimento e subprocedimento ha carattere relativo. L’unica cosa da sottolineare, è che l’unitarietà del procedimento si ha solo quando nessuno degli altri atti endoprocedimentali è suscettibile di produrre effetti giuridici esterni. Per il resto è il suo procedimento si conclude con l'emanazione di un atto idoneo a produrre effetti esterni.quindi sarebbe più corretto parlare di procedimenti autonomi. Si parla di procedimenti collegati nelle ipotesi in cui una pluralità di procedimenti, da avviare in sequenza o in parallelo, sono funzionali a un unico risultato. -Esempio di procedimenti collegati avviati in sequenza si ha con l’espropriazione per pubblica utilità: sia articola in una pluralità di procedimenti connessi sotto il profilo teleologico: la conclusione di quello antecedente è premessa per l’avvio di quello successivo in vista del risultato finale. -Un esempio di procedimenti collegati avviati in parallelo si ha con la realizzazione e la messa in opera di un impianto industriale, che presuppone il rilascio di molti atti autorizzativi. Il collegamento tra questo tipo di procedimento non è sequenziale, ma funzionale: la conclusione positiva di ciascuno di essi è necessaria per l’avvio di una determinata attività o l’ottenimento di un certo risultato. Anche per i procedimenti sono state elaborate classificazioni con valore per lo più descrittivo. Si possono distinguere i procedimenti di primo grado e di secondo grado, gli uni finalizzati all’emanazione di provvedimenti amministrativi con effetti esterni e alla cura di un interesse pubblico, gli altri aventi per oggetto provvedimenti già emanati e per scopo la verifica della loro legittimità e compatibilità con l’interesse pubblico. Un’ altra distinzione è quella tra procedimenti finali e strumentali: i primi sono finalizzati alla cura immediata di interessi pubblici nei rapporti esterni con i soggetti privati, i secondi hanno funzione organizzatoria e riguardano la gestione del personale e delle risorse finanziarie. Ancora troviamo la distinzione tra procedimento in senso proprio e procedura interna all’amministrazione. Il primo si riferisce agli atti della sequenza procedimentale che trovano disciplina nella legge o in una fonte normativa; la procedura interna invece riguarda gli atti e adempimenti interni all’amministrazione previsti da regole di tipo organizzativo. La conferenza di servizi e altre forme di coordinamento I procedimenti pongono il problema del coordinamento degli adempimenti e delle tempistiche relative all’adozione dei vari atti da parte degli uffici o delle amministrazioni competenti. La legge nº 241/1990 individua come strumento principale di coordinamento: la conferenza dei servizi. La conferenza consiste in una o più riunioni dei rappresentanti degli uffici o delle amministrazioni di volta in volta interessate, che sono chiamate a confrontarsi e a esprimere il proprio punto di vista, nel caso di conferenza decisoria, anche a deliberare. Con la conferenza di servizi viene meno la sequenzialità degli atti endoprocedimentali attribuiti alla competenza di ciascuna amministrazione. La legge poi distingue tre tipi di conferenza di servizi: istruttoria, decisoria, preliminare. di 97 187