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Riassunto -Sintesi Manuale Edises Concorso Scuola Docenti Ordinario - Avvertenze Generali, Sintesi del corso di Diritto Pubblico

Riassuto accurato del Manuale Edises, utile per la preparazione ai Concorsi Scuola. Concorso Ordinario e Straordinario 2023/24. Contiene le informazioni utili per preparare la prima prova scritta e a supplemento della preparazione della prova orale. Il manuale serve come base per superare tutte le prove concorsuali. Ottimo riassunto del manuale per sostenere la prova orale. Nelle avvertenze generali sono compresi argomenti di: - Legislazione Scolastica - Metodologie didattiche - Psicologia e Pedagogia (24 CFU)

Tipologia: Sintesi del corso

2023/2024

In vendita dal 12/06/2020

Ant.Borrelli
Ant.Borrelli 🇮🇹

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Scarica Riassunto -Sintesi Manuale Edises Concorso Scuola Docenti Ordinario - Avvertenze Generali e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Pubblico solo su Docsity! 1 - LE TEORIE DELL’APPRENDIMENTO E LA PSICOLOGIA DELL’EDUCAZIONE Il comportamentismo Il comportamentismo (behaviour – comportamento) è una teoria dell’apprendimento nata dall’idea che l'apprendimento avviene mediante degli stimoli derivanti dall'ambiente esterno, che comportano delle risposte (comportamenti) di un soggetto che si pone in atteggiamento passivo. Ciò che avviene nella mente non è oggetto di studio (Black box). Il punto centrale è cercare di associare una risposta ad un determinato stimolo in maniera stabile. Se questa è stabile, si può affermare che il soggetto ha imparato a rispondere in un certo modo, pertanto si è verificato un apprendimento. Tra i principali esponenti del comportamentismo citiamo: • Pavlov: analizzando il comportamento di alcuni cani, egli nota che, alla presenza del cibo, l’animale inizia a produrre un quantitativo maggiore di saliva. Il cibo rappresenta lo stimolo incondizionato, mentre la bava è la risposta incondizionata (istinto animale). Se la somministrazione del cibo viene fatta da un ricercatore che indossa un camice bianco, inizialmente il camice rappresenta uno stimolo neutro; ma dopo che la somministrazione del cibo è avvenuta più volte, Pavlov nota che anche la sola presenza del camice (senza cibo) induce nel cane la produzione di bava. Il camice diventa uno stimolo condizionato. Ciò rappresenta il vero apprendimento, in quanto il cane ha imparato che quando vede un camice, probabilmente gli verrà somministrato del cibo. • Watson: secondo lo psicologo, l’ambiente circostante influenza il soggetto, il quale apprende solo se viene stimolato. La presenza del medesimo stimolo potrebbe generare delle risposte differenti. Pertanto, si interroga su quale di queste risposte sia la più probabile. Esistono due leggi: ▪ Legge della frequenza: la probabilità di una risposta è direttamente proporzionale alle volte in cui tale risposta si è verifica; ▪ Legge della recenza: la risposta più recente è quella più probabile. Pertanto, nel prevedere una risposta ad uno stimolo, occorre osservare quante volte e quanto di recente tale risposta sia stata data. • Thorndike: tramite lo strumento scientifico “gabbia-problema” (puzzle box), l’autore nota che se un gatto viene rinchiuso nella gabbia, mentre può osservare del cibo che si trova esternamente, egli adotta determinati comportamenti per uscire dalla gabbia. Da qui nasce l’ipotesi dell’apprendimento per prove ed errori. Al fine di raggiungere un determinato obiettivo, si adottano dei comportamenti l'uno diverso dall’altro, in sequenza e in modo casuale, fino a individuare quel comportamento che si ritiene soddisfacente. Si rinsalda, così, la convinzione che per l’apprendimento sia necessario un rinforzo positivo, ossia una ricompensa. Quindi, si determina una nuova dinamica stimolo-risposta-rinforzo, ossia la risposta che viene attuata è quella che conduce ad una ricompensa. • Skinner: delinea due tipologie di comportamento: ▪ Comportamento rispondente: comportamento indotto da uno stimolo esterno che genera una risposta; ▪ Comportamento operante: il soggetto, senza particolari stimoli, produce un comportamento al fine di ricevere un rinforzo positivo (si ha un rinforzo negativo quando parliamo di sottrazione del soggetto ad una situazione di disagio). A differenza di quello rispondente, si tratta di un comportamento attivo, in quanto il soggetto di sua iniziativa opera sull’ambiente esterno al fine di ricevere un beneficio. Il condizionamento operante può essere visto come un processo di apprendimento, in quanto, tramite dei rinforzi, si riescono ad imprimere dei comportamenti (shaping – modellamento). Un esempio può essere quello di un bambino che trova dilettevole stare in braccio alla mamma. Si supponga che, in seguito al pianto del bambino, generato da un qualsiasi motivo, la madre, con una certa regolarità, lo prenda in braccio per calmarlo. Può succedere che il bambino pianga in modo operante (senza stimoli), semplicemente per ricevere il rinforzo positivo, ossia per essere preso in braccio. Il cognitivismo Il cognitivismo si basa sullo studio della mente e dei suoi processi come l’uso del linguaggio, della memoria, delle dinamiche percettive, il ragionamento e il problem solving. Tra i diversi indirizzi del cognitivismo abbiamo: • Gestalt: prende dall’empirismo l’idea che la conoscenza avvenga tramite l'esperienza (una serie di sensazioni che vengono convogliate nella rappresentazione mentale dell'oggetto - mela); tuttavia, sostiene che la rappresentazione mentale va vista nella sua configurazione totale (e non va ridotta in associazioni elementari). Inoltre, critica il comportamentismo, in quanto l’apprendimento, non è una successione di tentativi (prove ed errori), ma un fenomeno intuitivo e globale. Tra gli esponenti troviamo: ▪ Kohler: noto per i suoi esperimenti sugli scimpanzé chiusi in una gabbia e in presenza di cibo (non direttamente accessibile). Le scimmie devono trovare un modo per arrivare ad esso. Può succedere che le scimmie poggino l’una sull’altra le cassette di legno, creando una struttura stabile su cui salire per raggiungere il cibo. Kohler chiama insight l’intuizione improvvisa che permette alle scimmie di risolvere il problema. Mediante l’insight, lo scimpanzé compie due passaggi importanti: o Assegna un nuovo significato alle casse; da attrezzi per contenere oggetti, le fa diventare gradini; o Ha una visione globale del problema e mette in rapporto gli elementi a disposizione. ▪ Wertheimer: inizialmente, secondo un esperimento chiamato fenomeno Phi, lo psicologo, proietta su di un muro, due luci identiche ad una distanza minima. Da un punto di vista sensoriale si avvertono due luci che si susseguono, ma in realtà ciò che viene percepito è un'unica luce. Di conseguenza, nel processo di percezione, la rappresentazione globale prevale sui singoli elementi costitutivi. Una seconda teoria dell’autore nasce mentre svolgeva l’attività di ispettore scolastico. Nelle sue visite presso le scuole, lo psicologo nota che i docenti richiedono agli alunni la riproduzione di procedure che essi hanno appreso in precedenza. Secondo l’autore, l’attività scolastica dovrebbe orientare gli studenti nella risoluzione di problemi nuovi, per stimolare il loro intuito. Per pensiero produttivo si intende quell’attività mentale che produce nuova conoscenza; esso si contrappone al pensiero riproduttivo, che quello che meccanicamente ci porta ad affrontare situazioni con le stesse vecchie soluzioni (esempio: somma matematica di Gauss). • HIP - Human Information Processing (elaborazione dell’informazione nell’uomo): si tratta di una corrente psicologica, secondo cui l’uomo può essere paragonato a un computer che riceve informazioni dall’esterno (input), le elabora nella propria mente e, a sua volta, produce azioni che hanno un effetto sull’ambiente esterno (output). Queste informazioni possono essere organizzate in modo coerente e diventano programmi, ossia compiti che l’uomo riesce a svolgere. Tali compiti sono di diversa difficoltà, alcuni sono basilari ed avvengono in modo automatico (respirare), altri sono più elaborati e vengono eseguiti in maniera consapevole (guidare, scrivere, cucinare). Uno dei modelli di HIP, è detto Multi-Store Model (modello multi-magazzino) in quanto descrive la mente umana come un sistema di tre magazzini o memorie che scambiano informazioni. ▪ Memoria Sensoriale: ha una grande capacità, in quanto riesce a contenere tutti gli stimoli che giungono dall’esterno. Tuttavia, il tempo di trattenimento è limitato e buona parte dell’informazione viene persa; una parte selezionata giunge alla memoria a breve termine. ▪ Memoria a Breve Termine: ha il compito di trasformare gli stimoli in informazioni stabili: questo processo deve avvenire nei tempi ridotti in cui la memoria breve termine trattiene le informazioni. Innanzitutto, è necessario un processo di codifica ossia di trasformazione delle informazioni per renderli fruibili. Segue un processo di consolidamento nel quale l’informazione assume la struttura idonea per procedere all’immagazzinamento nella memoria lungo termine. Infine, vi è l’operazione di recupero, con la quale possibile richiamare nella memoria breve termine le informazioni conservate in quella lungo termine. ▪ Memoria a Lungo Termine: può essere suddivisa in: o Memoria Esplicita (dichiarativa): I suoi contenuti sono gestiti in modo consapevole; alcuni sono ricordi di vicende della vita, siano essi orientativi o precisi; altri contenuti comprendono informazioni di tipo generale. o Memoria Implicita (procedurale): in essa conserviamo procedure che attuiamo senza una piena consapevolezza, in modo pressoché automatico. Il contenuto di questa memoria si può identificare con dei comportamenti. • Approccio e Metodo Metacognitivo: L’attività metacognitiva è un’attività di auto-riflessione che accompagna quella cognitiva e ha il compito di monitorarla e valutarla al fine di garantire un apprendimento più efficace. Si supponga, per semplicità, che un insegnante assegni un compito ad un alunno. In parallelo allo svolgimento del compito, che genera di per sé un apprendimento, lo studente può porsi l’obiettivo di eseguire altre attività di carattere metacognitivo. Si può suddividere l’attività metacognitiva nelle seguenti fasi: ▪ comprendere la natura del compito (metacomprensione): ossia la capacità di riconoscere con chiarezza gli aspetti fondanti del compito che si deve svolgere (capire di aver capito). ▪ scegliere la strategia adeguata: può essere una strategia nuova, o una già appresa e attuata in precedenza; si parla, in tal caso di metamemoria, che è la capacità di richiamare dalla memoria le strategie più idonee allo svolgimento del compito. ▪ gestire e distribuire bene il tempo disponibile: dal momento che vi possono essere tempi prefissati, occorre che tutte le fasi di svolgimento siano attuate con una tempistica che rispetti le scadenze prefissate. ▪ prevedere gli esiti: la scelta delle strategie e la distribuzione dei tempi permettono già nella fase iniziale di valutare quale sia l’esito dello stesso, se portato a termine secondo i piani stabiliti. ▪ controllare l’esecuzione: Occorre essere consapevoli dell'esito dei passaggi precedenti, dello sviluppo del passaggio in corso e di ciò che implica l’attuazione dei passaggi successivi. ▪ valutare il risultato: svolto il compito, occorre chiedersi se si è ottenuto quello che si era programmato. Il costruttivismo Il costruttivismo è considerato il punto di arrivo del comportamentismo e del cognitivismo. Esso ipotizza che ciascun individuo, mediante la propria visione personale della realtà, riesce a decodificarla e a darle un senso, apprendendo dall’interazione con l’ambiente. Piaget, Vygotskij e Bruner sono considerati i padri e i precursori del costruttivismo. A questi studiosi, si aggiungono altri psicologi che hanno maturato declinazioni differenti, pertanto spesso viene utilizzato il termine plurale di costruttivismi. In particolare, è stato ritenuto che questo movimento costituisca un ponte tra le due correnti filosofiche del realismo (gli oggetti materiali esistono indipendentemente dalla nostra esperienza) e del nominalismo (non esiste una realtà esterna e oggettiva). Partendo da questa osservazione, possiamo individuare diverse tipologie di costruttivismo: • realismo limitato, secondo il quale esiste una realtà esterna oggettiva che è possibile conoscere direttamente. Tuttavia, questa conoscenza è imperfetta, a causa della percezione umana che è limitata e può fallire; • costruttivismo epistemologico, che si basa sull’esistenza di una realtà esterna indipendente, la quale è inconoscibile da parte dell’uomo, se non attraverso un processo di costruzione della stessa. Pertanto, la conoscenza è una costruzione fatta dall'uomo; • costruttivismo ermeneutico, secondo cui non si crede nell’esistenza di una realtà indipendente, oggettiva ed esterna all’individuo. La conoscenza è frutto della mediazione del linguaggio e dell'interazione tra diversi osservatori. Prima di introdurre alcuni autori, occorre notare che molti dei costruttivisti si sono interessati anche di cibernetica, la quale si occupa di studiare i meccanismi di autoregolazione e di controllo di un sistema. Quest'ultimo può essere un sistema naturale (un organismo vivente), sociale (un gruppo di individui) o artificiale (una macchina). Concetti alla base della cibernetica sono: • L’omeostato: un sistema inserito in un ambiente, ma ben distinguibile da esso e in grado di auto-organizzarsi. Il sistema può attuare diversi tipi di comportamenti in base agli stimoli che riceve dall'ambiente; • Il feedback è un’informazione che il sistema riceve indietro dopo aver attuato il suo comportamento. Esso viene adoperato dal sistema per apprendere i risultati del suo comportamento e per attuare comportamenti più efficaci in futuro. Possiamo avere un feedback negativo o convergente (corregge ed elimina criticità e mantiene stabile un certo comportamento) e un feedback positivo o divergente (permette il cambiamento ed esplora nuovi comportamenti da poter attuare). • Kelly: secondo la sua psicologia dei costrutti personali, egli afferma che la conoscenza non può essere costruita come qualcosa di oggettivo, ma è una rappresentazione della realtà che ogni individuo realizza in modo personale e soggettivo. Ciascun uomo deve essere consapevole che possa esistere una descrizione alternativa: questa posizione è chiamata alternativismo costruttivo (es. non esiste un concetto assoluto di intelligenza, tuttavia per ogni individuo alcuni comportamenti possono essere intelligenti o meno, in base a degli schemi operativi che gli adotta per comodità). La psicologia dei costrutti personali è fondata su un postulato fondamentale, il quale afferma che un individuo si comporta in base a ciò che si aspetta che accada o che ha in progetto di far avverare. Le modalità con le quali un individuo formula le sue anticipazioni sono i costrutti, ossia l’unità fondamentale con la quale l’uomo realizza la sua visione del mondo. Vengono sviluppati 11 corollari, tra cui quello della costruzione (interpretazione di eventi passati consente di anticipare l’esito di eventi futuri), dell’individualità (ciascun individuo agisce in modo coerente con la sua idea), dell’organizzazione (costrutti organizzati gerarchicamente), di dicotomia (i costrutti sono dicotomici), della scelta (si sceglie, in un costrutto dicotomico, l’alternativa più favorevole), dell'esperienza (i costrutti variano in base alle repliche di eventi), della modulazione (nel tempo, possiamo aspettarci cambi nel sistema dei costrutti). • von Glasersfeld: l’autore sostiene che la conoscenza è sempre frutto dell’esperienza personale, in quanto viene costruita attivamente dal soggetto. Tuttavia, le esperienze, sebbene fatte su realtà concrete, hanno una loro esistenza soggettiva: non è scontato che lo stesso tipo di esperienza, compiuto da due soggetti diversi, sia costruito e metabolizzato nello stesso modo dei due individui. Bowlby Si è occupato dello sviluppo psichico e sociale del bambino nei primi mesi di vita, prestando particolare attenzione al legame privilegiato che si instaura tra il bambino e la madre (monotropia: tendenza a privilegiare una particolare figura di attaccamento), il quale si esprime attraverso una serie di risposte istintuali. Queste risposte istintuali sono essenzialmente dei comportamenti che il bambino adotta per fare in modo che Ia madre resti in contatto con lui (succhiare, aggrapparsi, seguire, piangere e sorridere). Delle cinque risposte istintuali solo il pianto e il sorriso sono risposte che sortiscono un effetto e raggiungono il fine prefissato, in quanto la madre attua una risposta reciproca, ragion per cui sono chiamati social releaser (rilasci sociali) poiché attivano negli adulti comportamenti innati con i quali essi si prendono cura dei bambini. Queste risposte istintuali presentano due caratteristiche: la loro frequenza di adozione ha un andamento variabile nel tempo e si manifestano sotto forme espressive differenti, in base al periodo della vita nel quale vengono rivelate. Durante il primo anno di vita del bambino, queste risposte istintuali si integrano formando il comportamento di attaccamento, il quale si sviluppa in quattro fasi principali: • Fase 1: Orientamento e segnalazione senza discriminazione (dalla nascita ai 2-3 mesi): Il bambino interagisce con l’ambiente e le persone circostanti, soprattutto mediante comportamenti di orientamento e segnalazione. Inizialmente non sembra distinguere un familiare da un estraneo. A poco a poco, imparando a riconoscere le sembianze, si concentra esclusivamente sui familiari. • Fase 2: Orientamento e segnalazione con discriminazione (dai 2-3 mesi ai 5-6 mesi): In questo periodo, i comportamenti che prima erano diretti in modo indiscriminato verso tutti gli adulti, ora si indirizzano in modo specifico verso la madre. • Fase 3: Mantenimento della prossimità, mediante segnalazione ed esecuzione (dai 5-6 mesi ai 2 anni): Si tratta di un periodo cruciale durante il quale il bambino inizia a maturare abilità motorie, che gli consentono di mantenere una distanza prefissata dalla madre. • Fase 4: Formazione di una relazione reciproca (dai 2 anni in poi): il bambino è entrato in sintonia con la madre: la conosce bene e riesce a prevedere i suoi comportamenti. Quando non è in grado di aggiustare la distanza con le proprie forze, il bambino innesca schemi di comportamento mirati a persuadere l’adulto e ad indurlo a fare qualcosa. In questa fase il bambino ha raggiunto buone capacità motorie, pertanto è in grado di gestire in prima persona il livello di vicinanza alla madre. Di giorno in giorno, il bambino si ritrova in situazioni per le quali deve valutare la propria incolumità e l’eventuale insorgere di un pericolo, valutare in quanto tempo sia possibile avere la disponibilità della figura di riferimento, e valutare quanto questa figura sia disposta a prestargli attenzioni e cure. Ogni volta che un bambino si ritrova in una situazione del genere, non compie i propri ragionamenti partendo da zero, ma cerca di ricondursi ad esperienze precedenti. In questo modo, il bambino costruisce dei Modelli Operativi Interni che gli consentono di valutare le conseguenze dei propri comportamenti e prendere una decisione su quali attuare. Deprivazione Materna A seguito di numerosi studi, Bowlby mette in evidenza come la mancanza e/o l'assenza in età infantile della figura materna possa avere degli effetti, anche a lungo termine, sulla salute mentale e sullo sviluppo della personalità di un bambino. Si parla di deprivazione parziale quando il bambino vive a casa, ma sua madre non è in grado di fornirgli tutto l’amore e le cure di cui ha bisogno, o quando, per un qualsiasi motivo, il bambino viene allontanato dalla figura materna, ma viene preso in cura da qualcuno a cui riesce a legarsi parzialmente (in quanto tale persona viene considerata un’estranea). La deprivazione totale si ha quando il bambino non ha alcuna persona che si prende cura di lui. Bowlby cerca di inquadrare questo problema utilizzando la dialettica freudiana. Il bambino si affida alla madre, che esercita al suo posto le funzioni dell’Io e del Super-Io. Pertanto, lo sviluppo di questi ultimi è legato alle relazioni che il bambino instaura con la figura materna. Di conseguenza, l’Io e il Super-Io dei bambini che hanno vissuto esperienze di deprivazione materna, si sono sviluppati poco rispetto agli altri bambini. Il loro comportamento, quindi, essendo ancora controllato dall’Es, è impulsivo, incerto, incapace di stabilire obiettivi. Mary D.S. Ainsworth È stata una delle maggiori collaboratrici di Bowlby, continuando ad approfondire gli studi sul legame madre-figlio. L'obiettivo è descrivere il comportamento di attaccamento del bambino alla madre. A tale scopo, la psicologa, tramite la strange situation (situazione sperimentale), ha potuto osservare il comportamento dei soggetti coinvolti nell’esperimento, senza che le persone coinvolte ne avvertano la presenza. L’esperimento partiva con la madre entra in una stanza con il bambino, in seguito si succedono alcuni eventi: entra un estraneo, poi la mamma esce dalla stanza, successivamente esce l'estraneo e il bimbo resta solo, poi rientra l’estraneo e infine la madre. Una volta osservati i comportamenti dei bambini, la psicologa ha individuato quattro gruppi: • Gruppo dei bambini insicuri ed evitanti: mostrano una scarsa tendenza a ricercare la prossimità o l’interazione con la loro madre. Non entrano in uno stato d’ansia quando si separano dalla madre oppure restano soli. • Gruppo dei bambini sicuri: quando la madre ritorna nella stanza, questi bambini la salutano. Mostrano un chiaro desiderio di attaccamento e di prossimità la madre. Quando non la vedono tendono a cercarla attivamente. • Gruppo dei bambini insicuri e ambivalenti: non riescono ad attribuire alla madre il ruolo protettivo in caso di pericolo. Difatti, questi bambini subiscono lo stress della separazione della madre, ma quando la madre ritorna dopo l’assenza, mostrano un comportamento ambivalente, richiedono il contatto con lei, ma non sono in grado di calmarsi attraverso il contatto e l’interazione con la madre. • Gruppo dei bambini disorientati e/o disorganizzati: si tratta di bambini che non mostrano una strategia coerente per affrontare lo stress dovuto al distacco dalla madre. Esibiscono comportamenti contraddittori; ad esempio, si avvicinano alla madre ma guardano altrove o all’indietro, mentre camminano in modo deciso verso una direzione si fermano e assumono un’espressione facciale confusa. Lawrence Kohlberg Per Kohlberg lo sviluppo morale di una persona non è rappresentato semplicemente da un incremento della conoscenza dei valori di una cultura, poiché ciò porta ad un'etica che ha valore relativamente a quella sola cultura. Ciascuna cultura ha un proprio insieme di valori che non sempre coincidono. Di conseguenza, una persona si evolve moralmente quando la sua struttura di pensiero cambia. L'obiettivo di Kohlberg è definire una teoria evolutiva della moralità, che passi attraverso degli stadi. Ogni stadio rappresenta un sistema organizzato di pensiero alla cui base vi sono delle strutture. Ovviamente, gli stadi sono qualitativamente diversi, perché le strutture e i ragionamenti alla loro base sono diversi da un punto di vista qualitativo. Lo strumento alla base della ricerca di Kohlberg è un insieme di dilemmi morali proposti ad individui di diverse età. In base alla risposta, viene assegnato un punteggio che li colloca in uno stadio. L’autore giunge a delineare la seguente teoria dello sviluppo morale: • Livello Pre-convenzionale (da 4 a 10 anni): il bambino è consapevole delle regole culturali e tramite esse è in grado di etichettare le azioni e i comportamenti come giusti o sbagliati. Le cose sono giuste o sbagliate perché vi sono conseguenze come le sanzioni o ricompense. Di conseguenza, il bambino agisce in base a quali saranno le conseguenze fisiche delle sue azioni (paura della punizione). Inoltre, le azioni sono guidate dalla possibilità di avere qualcosa in cambio e non da un senso di giustizia, di gratitudine o di lealtà. • Livello Convenzionale (adolescenti e adulti): l’individuo inizia a percepire che è moralmente opportuno perseguire gli obiettivi di un gruppo con il quale condivide la propria esistenza (famiglia). Un comportamento corretto è quello che desta approvazione negli altri ed è socialmente accettato. • Livello Post-convenzionale (o livello autonomo o livello di principio): Si tratta di un livello che non viene raggiunto da tutti gli adulti, in quanto vi è il superamento dell’autorità precostituita, nell'ottica di definire nuovi valori morali e nuovi principi che hanno un valore ancora più generale di quelli che vigono nel gruppo di appartenenza. Si è di fronte a principi universali di giustizia, reciprocità e uguaglianza dei diritti umani. L'uomo deve essere il fine di ogni azione e non il mezzo per raggiungere lo scopo. Robert L. Selman Ha dedicato i suoi studi principalmente verso lo sviluppo sociale del bambino e dell‘adolescente, cercando di descrivere l'abilità dei bambini di porsi nella prospettiva degli altri per capirne i punti di vista differenti. Il Role-taking (assunzione di ruolo) è l'abilità di vedere il mondo dalla prospettiva di un'altra persona e comprende anche l'abilità di riuscire a vedere se stessi secondo la prospettiva degli altri. In particolare, Selman preferisce utilizzare l’espressione Perspective-taking (assunzione di prospettiva). Il bambino inizia a decentrare la propria osservazione, essendo in grado di guardare una situazione da più punti di vista, il suo e quello degli altri. Selman individua 5 stadi evolutivi del Role-taking: • Stadio 0 — Lo stadio egocentrico (da circa 4 anni a circa 6 anni): il bambino si limita all’osservazione dei fenomeni che sono apertamente visibili e manifesti. Egli è capace di leggere le emozioni degli altri; comprende che un altro bambino piange oppure che si diverte, tuttavia ha difficoltà nel capire perché le persone compiono certe azioni, sul piano della loro motivazione interna. L’incapacità di distinguere negli altri il movente dall’azione determina anche l’incapacità di distinguere le azioni intenzionali, da quelle avvenute per caso. Sebbene il bambino sia in grado di distinguere fisicamente sé dagli altri, egli non è in grado di differenziare i punti di vista, riconducendo qualsiasi situazione sempre nell’ambito della propria prospettiva (egocentrico). • Stadio 1 – Lo stadio soggettivo (da circa 6 anni a circa 8 anni): il bambino capisce che gli altri sono in grado di interpretare una situazione sociale, proprio come fa lui. La grande conquista di questo stadio è l’abilità del bambino di comprendere che le azioni e le scelte hanno sempre un movente o una ragione sottostante. Inoltre, il bambino comprende che esistono distinzioni precise tra le azioni che sono intenzionali e quelle accidentali. In conclusione, ciascuno è un soggetto che può vedere una situazione dal proprio punto di vista. Per tale motivo si parla di stadio soggettivo. • Stadio 2 – Lo stadio autoriflessivo (da circa 8 anni a circa 10 anni): il bambino comprende che così come egli è stato in grado di cogliere la soggettività dei sentimenti e delle azioni in relazione a sé e agli altri, allo stesso modo anche gli altri hanno elaborato questo risultato. Pertanto, il bambino capisce che, così come egli giudica ed esamina le azioni degli altri, anche gli altri fanno lo stesso con lui. • Stadio 3 — Lo stadio reciproco (da circa 10 anni a circa 12 anni): il bambino è cosciente che, in una situazione sociale, si possono prendere in considerazione più prospettive e si genera una rete di relazioni, piuttosto che una relazione diadica (di coppia). Inoltre, queste relazioni si instaurano simultaneamente, rendendo più complesso il quadro sociale. • Stadio 4 - Lo stadio sociale (da circa 12 anni in poi): il bambino è consapevole che comprendere le dinamiche simultanee e reciproche che avvengono tra due soggetti non sempre porta ad una comprensione completa da parte di entrambi. Per questo motivo, esiste anche un insieme di convenzioni sociali, di valori unanimemente accettati, che è alla base della comunicazione tra gli individui e che rende possibile la comprensione tra questi ultimi. 3 – LE COMPETENZE PSICO-PEDAGOGICHE Le scuole nuove, la scuola attiva e l’attivismo Verso la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento si diffondono in Europa e negli Stati Uniti le new schools (scuole nuove). Diversamente dalle scuole tradizionali, che hanno programmi statici e caratterizzati da un’impostazione teorica e formale (appresa dai libri), nelle scuole nuove (chiamate anche scuole attive, e da cui nasce il termine attivismo) si applica un'educazione progressiva, che segue, cioè, in modo specifico lo sviluppo cognitivo di ciascuno studente. L'alunno non viene posto in un atteggiamento passivo, ma sperimenta e comprende in prima persona (si parla di puerocentrismo), mediante l’esperienza e l’attività pratica. L’azione educativa deve favorire la cooperazione tra gli alunni, soprattutto tra quelli di sesso diverso (coeducazione) affinché si possano riconoscere le caratteristiche dell’altro. John Dewey È il maggiore esponente dell’attivismo. Dewey declina in cinque articoli fondamentali la propria idea pedagogica legata alle scuole nuove. 1. L'educazione: processo che permette di giungere a contatto con le risorse intellettuali e morali che l’umanità ha conquistato. 2. La scuola: comunità che rende il fanciullo capace di partecipare attivamente alla vita sociale e di contribuire al progresso della società. 3. I contenuti dell’educazione: sono mediati e fusi attraverso le attività sociali del fanciullo. 4. Il metodo educativo: deve tener conto della natura del fanciullo, che non può essere posto in un atteggiamento passivo. 5. Il progresso sociale: è garantito dalla scuola. Qualsiasi legge o qualsiasi riforma che tenda a migliorare le condizioni della società risulta futile se gli individui non hanno i mezzi per intenderla e accoglierla. Per Dewey, la democrazia non è solo una forma di governo, ma un modo di intendere la vita individuale e sociale, la cui caratteristica essenziale consiste nel permettere a ciascun individuo di esprimersi al meglio e di realizzarsi secondo quelle che sono le sue attitudini. La democrazia è in grado di instaurare un sistema sociale dinamico, in continua evoluzione, in cui ognuno può apportare un contributo significativo: d'altra parte, il contributo di ciascun individuo è proprio ciò che mantiene in piedi una democrazia. Uno degli elementi costitutivi della società democratica è la comunicazione, che consente agli individui di scambiarsi esperienze e di moltiplicare le proprie conoscenze. Il rapporto essenziale e sinergico che esiste tra democrazia ed educazione si traduce concretamente nell'interazione che esiste tra scuola e società democratica. La scuola si profila come quell’ambiente educativo che funge da ponte tra la famiglia, in cui il bambino è inizialmente accolto e svolge le sue prime esperienze, e la società, nella quale l’adulto sperimenterà la vita in tutti i suoi aspetti. Partendo dal concetto di esperienza e di scuola attiva, Dewey sostiene che l’apprendimento attraverso il fare (learning by doing) aiuta il fanciullo ad organizzare la sua conoscenza e non si può sostituire con lezioni frontali o con l’apprendimento da un testo. Ovviamente i libri sono uno strumento utile per apprendere, ma l’esperienza deve essere affiancata ai testi, in quanto favorisce la vocazione attiva del bambino. Il learning by doing sviluppa anche la creatività e la motivazione degli alunni, che finiscono col proporre al maestro situazioni problematiche da loro inventate e codificate, al fine di poterle risolvere con un approccio pratico. Skinner Skinner (comportamentismo: il soggetto, senza stimoli, produce un comportamento al fine di ricevere un rinforzo) ha dato un notevole contributo anche nel campo dell’istruzione programmata. Skinner sostiene che, nella scuola attuale, l'apprendimento è rivolto a concetti semplici e basilari, che spesso sono appresi in modo meccanico (tabelline); in seguito, questi concetti basilari devono essere assemblati in procedure più complesse, che permettono di risolvere situazioni problematiche. A livello pratico, però, questi obiettivi sono raggiunti tramite delle strategie errate. Nasce quindi l’idea dell’istruzione programmata che si propone come metodologia alternativa a quella adoperata abitualmente nelle scuole. Secondo Skinner, per ovviare ciò, si possono applicare alcuni correttivi. • Lo studente svolge i suoi compiti per evitare stati di disagio o sanzioni (un brutto voto, una nota in condotta). Tuttavia, la sanzione è un metodo più appropriato per rimuovere comportamenti, piuttosto che per promuoverne. Il rinforzo, quindi, sostituisce la sanzione, e deve essere fornito ai soggetti nei tempi giusti e con le modalità corrette, così da creare i presupposti per generare motivazione e apprendimento; il percorso di apprendimento deve essere organizzato in modo sistematico, ordinato, e personalizzato per ogni singolo alunno. Esso presenta elementi di flessibilità, in quanto è rispettoso dei tempi di apprendimento e delle esigenze di ogni alunno. Skinner si rende conto che, per quanto efficace possa essere un percorso di istruzione programmata, esso è difficilmente attuabile. Tuttavia, le moderne tecnologie informatiche permettono di trovare una soluzione agevole a tali problematiche. Così, prende forma l’idea della macchina per insegnare, ossia delle macchine capaci di organizzare le domande in modo da creare sequenze di apprendimento volte all’acquisizione di specifiche conoscenze; in pratica, tali macchine possono essere programmate con molteplici obiettivi. Sono in grado di modificare il loro comportamento in base alle risposte dello studente, ossia possono cambiare la sequenza di domande in una più semplice se lo studente da molte risposte errate o passare a sequenze più difficili se le risposte esatte sono prevalenti. Il punto chiave è la possibilità di avere un rinforzo immediato ed efficace. Mediante le macchine per insegnare, lo studente ha un feedback continuo, impara a valutare il proprio apprendimento, studia in modo consapevole. Il lavoro svolto dallo studente con le macchine avviene sostanzialmente in solitudine, mentre altri aspetti dell’educazione, come i momenti di socializzazione e le attività di gruppo, possono essere svolti con la classe. In tal modo, il lavoro degli insegnanti non viene sminuito, lasciando i compiti ripetitivi e noiosi alle macchine. Benjamin S. Bloom Ha dato importanti contributi nell’ambito delle teorie dell’apprendimento, analizzando le problematiche della scuola classica in cui è abitudine dei docenti ritenere che i risultati finali di apprendimento della disciplina debbano essere coerenti all’interno del gruppo classe, nel senso che debbano rispecchiare una certa graduatoria interna al gruppo (ultimo tra gli intelligenti, ma primo tra i mediocri); una seconda osservazione è legata alla curva normale (o gaussiana), secondo la quale solo una minima parte di studenti può raggiungere risultati eccellenti. Sarebbe possibile portare la maggior parte degli studenti ad un livello di padronanza, se si attuassero strategie di insegnamento-apprendimento che fornissero un feedback personalizzato e costante a ciascuno studente. Da qui nasce l’idea della procedura di apprendimento denominata Mastery Learning (Apprendimento per padronanza), cui obiettivo è portare la maggioranza degli studenti (circa il 90%) alla padronanza della disciplina che viene loro insegnata, cercando di comprendere in che modo la maggior parte degli studenti possa apprendere abilità e concetti ritenuti essenziali in una società complessa. Secondo l’autore, le variabili del Mastery Learning sono: • L'attitudine è definita come l'ammontare di tempo richiesto dallo studente per raggiungere la padronanza di un apprendimento. Non è vero che uno studente con attitudine inferiore può cimentarsi nell’apprendere solo contenuti semplici e basilari. L'attitudine è espressa in termini di tempo necessario per apprendere un qualsiasi contenuto. • L'abilità nel comprendere l’istruzione può essere definita come l'abilità di comprendere la natura del compito assegnato e le procedure che deve svolgere per assolverlo. • La qualità dell’istruzione si esprime in termini di livello con il quale la presentazione, la spiegazione e l'organizzazione degli elementi di apprendimento si avvicinano alla condizione ottimale per uno studente. Ciascuno studente può trovare un particolare docente, un libro di testo o un materiale di studio adeguato al proprio stile di apprendimento. Se il docente riesce ad adeguare ai bisogni dei singoli studenti, allora le loro abilità nell'apprendere possono essere messe in risalto. Per fare ciò il docente può usare diverse metodologie: ▪ Gruppi di studio: formati da due o tre studenti, che cooperando rendono il processo di apprendimento più efficace; ▪ Tutor: lo strumento più efficace, in quanto estremamente personalizzato, ma allo stesso tempo è molto costosa. Pertanto, è opportuno definire in primis una strategia di istruzione su gruppi e in subordine una strategia sui singoli; ▪ Libro di testo: può avere un’impostazione che non favorisce l'apprendimento, perciò può essere affiancato da altri volumi; ▪ Quaderni di lavoro, schede esercitative e software di istruzione programmata: possono essere utili per quegli studenti che hanno bisogno di un rinforzo frequente, derivante dal risolvere problemi ed esercizi o dall’osservarne le soluzioni; ▪ Materiale audiovisivo e i giochi educativi: utili per studenti che vogliono illustrazioni e rappresentazioni vivide dei concetti. • La perseveranza è intesa come il tempo che si è disposi a spendere per apprendere un determinato argomento. Se la perseveranza è inferiore all’attitudine, il discente non potrà raggiungere la padronanza dell’apprendimento; • Il tempo a disposizione per l’apprendimento consiste che ciascun docente prevede un certo tempo a disposizione per presentare e spiegare alcuni contenuti, includendo anche il tempo necessario agli alunni per la comprensione. In conclusione, perché il processo di valutazione abbia luogo in modo chiaro, docente e studente devono avere perfetta cognizione di quali siano i criteri per stabilire se l'apprendimento è stato conseguito. Porre un’eccessiva enfasi sulla competizione distoglie lo studente dai segnali reali del suo apprendimento. Invece si rivela più efficace una procedura di valutazione di carattere non competitivo, basata sul raggiungimento di uno standard assoluto. La procedura del Mastery Learning prevede, infatti, che un corso di studi di una disciplina sia frammentato in piccole unità di apprendimento. Al termine di ciascuna unità, vi deve essere una valutazione formativa, che viene attuata durante lo svolgimento del corso di studio, tra un’unità e la successiva. Di conseguenza lo studente ha un segnale del suo livello di apprendimento e avrà un rinforzo costante che genera in lui motivazione, mentre il docente ha un indizio sulla sua azione didattica. Lo scopo di questo processo diagnostico è di indicare se sia stata raggiunta o meno la padronanza. Piaget Piaget si è interessato solo in parte degli aspetti pedagogici delle sue teorie psicologiche. Un primo aspetto importante è il legame tra azione e operazione. Nella sua teoria dello sviluppo, Piaget parte da azioni concrete e visibili che il bambino svolge e con le quali impara e si esercita; queste azioni vengono poi interiorizzate con rappresentazioni mentali che caratterizzano le fasi evolutive successive identificandosi con il pensiero del bambino/adolescente. La teoria psicologica da lui elaborata dovrebbe aiutare l’educatore a proporre al bambino attività che siano per lui significative in base allo sviluppo biologico e intellettivo raggiunto. A tal proposito, Piaget afferma che gli insegnanti dovrebbero avere una formazione adeguata di carattere psicologico per valorizzare le teorie evolutive nella loro pratica pedagogica. 6. Insegnare la comprensione: gli educatori devono stimolare nelle nuove generazioni competenze empatiche, sociali e interpersonali che permettano a ciascun individuo di riconoscere l’altro e di accettarne la visione differente della realtà. Occorre anche studiare le cause dell’incomprensione, affinché si possano intendere quelli che sono gli effetti più evidenti dell’incomprensione stessa, come il razzismo, la xenofobia, l’odio e il disprezzo del diverso, la divisione ed emarginazione; 7. Conoscere l’etica del genere umano: l’essere umano ha una triplice natura. Innanzitutto, egli è un singolo, un individuo, con le sue esigenze, i suoi bisogni e le sue peculiarità; ma appartiene anche ad una società, ad una comunità ed è, pertanto, in relazione con altri. Infine, l’individuo appartiene ad una specie, ossia ad una collettività di individui che è diffusa sull’intero pianeta. Per tale motivo, l’insegnamento deve stabilire un rapporto di reciproco controllo tra società e individui e questo può essere ottenuto tramite il sistema democratico; inoltre, bisogna far comprendere agli individui la loro appartenenza ad una comunità planetaria. Non si è solo cittadini di una patria, ma si è anche cittadini della Terra. La visione globale implica una responsabilità superiore in quanto ci aiuta a comprendere che ciascuno non è responsabile verso una cerchia di individui o verso una comunità, ma è responsabile verso l’intero genere umano. Solo se maturiamo una consapevolezza della nostra attività in termini globali, allora comprendiamo che anche la nostra responsabilità lo è. La visione globale implica anche maggiore solidarietà, in quanto l’interconnessione e l'allargamento delle responsabilità spinge gli individui ad essere più solidali gli uni verso gli altri. 4 - LE COMPETENZE DIDATTICHE DEL DOCENTE Se, finora, la pedagogia ha stabilito un approccio teorico all'apprendimento, fornendo idee e principi di carattere generale, la didattica studia il metodo con il quale applicare tali principi. In altre parole, la didattica si occupa di mettere a punto azioni concrete da utilizzare in classe per favorire l'apprendimento. Volendo descrivere le varie metodologie didattiche, individuiamo: La lezione frontale La lezione frontale è la più classica delle metodologie didattiche, quella tuttora maggiormente presente nell’immaginario collettivo. Nella lezione frontale il ruolo attivo è svolto principalmente dal docente, mentre gli alunni si pongono in un atteggiamento passivo di ascolto e di ricezione dei contenuti. L'insegnante può chiedere agli studenti di intervenire in merito alle sue osservazioni e generalmente questi ultimi, nella loro risposta, si rivolgono direttamente a lui, mentre gli altri compagni di classe ascoltano di riflesso. La lezione frontale è sicuramente il modo più efficace per trasmettere quantità ingenti di contenuti in tempi relativamente brevi. Tuttavia, visto l'atteggiamento sostanzialmente passivo dei discenti, questa modalità non è sempre la più adatta per far maturare abilità o competenze negli alunni. Notiamo che lo stesso assetto dell'aula non facilita l'interazione tra gli studenti, fatta eccezione per la possibilità di lavorare con il compagno di banco. Pertanto, è difficilmente praticabile un'attività condotta in gruppo. L'apprendimento attivo L’apprendimento attivo è una sorta di termine generale per indicare diverse metodologie didattiche nelle quali si focalizza l’attenzione su attività condotte dagli studenti in prima persona. L'obiettivo è quello di coinvolgere gli allievi attivamente nel processo di apprendimento. Tale modalità prevede per lo studente la possibilità di interagire con altri soggetti, e per il docente di supervisionare il lavoro che gli alunni svolgono; per questo motivo le attività di apprendimento attivo vengono svolte solitamente in classe. Il passaggio verso una nuova modalità di gestire la lezione in classe non è sempre facile, soprattutto quando un docente è abituato a svolgere la normale lezione frontale. Esistono due piccoli step iniziali che il docente può compiere per introdurre in classe un apprendimento attivo partendo dalla didattica tradizionale: • Intervallare la lezione frontale con attività degli studenti: proporre delle brevi pause nelle quali gli studenti possono confrontarsi in coppie per chiarire alcuni aspetti più critici degli appunti. Ciò nasce a seguito di alcuni studi fatti sul calo di attenzione degli studenti: diverse ricerche evidenziano che, dopo 15 minuti, la capacità di rimanere concentrati diminuisce drasticamente con una conseguente assimilazione ridotta dei contenuti da apprendere. Pertanto, una pausa periodica di 2 minuti, ogni 15 di lezione frontale, può far svagare gli studenti, creare un momento in cui si scarica la tensione e ci si prepara per recepire altri contenuti; • Promuovere il coinvolgimento e l’impegno dello studente: apprendimento attivo significa incoraggiare attività tali da favorire negli studenti stessi una riflessione su quello che stanno apprendendo. Più lo studente è coinvolto, maggiore è l’apprendimento. Esistono tre tipologie di apprendimento attivo che si dimostrano efficaci: • think-pair-share (pensa, abbinati e condividi): si propone una attività e si chiede agli studenti di riflettere singolarmente sullo stimolo proposto. In seguito, viene chiesto agli studenti di riunirsi in coppie e di trovare un accordo sulla soluzione. Infine, si interpellano alcuni studenti o alcune coppie chiedendo di condividere le loro risposte; • concept test (test su un concetto): si propone un test a risposta multipla agli studenti, avendo cura di inserire tra le risposte sbagliate (i distrattori), quelle che presentano i ragionamenti, le idee e i concetti errati più comuni e diffusi tra gli alunni. Gli studenti devono rispondere di getto. In seguito, si riuniscono in coppie e discutono sulle loro risposte, cercano di pervenire a un’intesa sulla risposta esatta; • thinking-aloud pair problem solving TAPPS (risoluzione di problemi a coppie pensando ad alta voce): viene proposta un’attività che può essere suddivisa in due parti e si inizia a svolgere la prima chiedendo agli studenti di riunirsi in coppie. In ciascuna coppia si deve definire un explainer (colui che spiega) e un questioner (colui che pone domande). Nella coppia l’explainer cerca di trovare una soluzione per l’attività proposta, stimolato dalle domande, dalle osservazioni e dalle correzioni del questioner. Successivamente si ascoltano le coppie per constatare che tipo di soluzione hanno previsto. Nella seconda parte dell’attività, i ruoli nella coppia si invertono e si procede in modo analogo, ascoltando alla fine le soluzioni pensate dalle coppie. L'apprendimento tra pari L’apprendimento tra pari consiste nell’acquisizione di conoscenze e abilità attraverso l’aiuto attivo e il supporto instaurato tra individui di pari stato (gruppi sociali similari) o tra compagni che vengono abbinati. Tale tipologia di apprendimento è divisibile in due ampie categorie: • l'apprendimento cooperativo: basato su una interdipendenza positiva che si instaura in un gruppo di studenti che lavorano in sinergia per conseguire un obiettivo comune. • il tutoraggio tra pari: fondato su una specifica divisione di ruoli da parte degli studenti. Uno svolge il ruolo di tutor (colui che insegna) e l’altro il ruolo di tutee (colui che apprende). Innanzitutto, occorre tracciare delle differenze: il tutor guida il tutee nel suo percorso di apprendimento, spiega in prima persona contenuti e argomenti, adotta strategie opportune per favorirne l’apprendimento. L'attività svolta dal tutor viene detta tutoring. Il mentore, invece, è una figura esperta che stabilisce una relazione uno ad uno con il suo interlocutore e fornisce a quest’ultimo un supporto in termini psico-sociali. Incoraggia e suggerisce opportunità e percorsi per lo sviluppo di una carriera professionale. L'attività svolta dal mentore viene detta mentoring. Infine, il lavoro del coach mira a motivare la persona che assiste, chiamata coachee, e a far emergere tutte le abilità e le competenze di cui è dotata, che sono momentaneamente sopite. L'attività svolta dal coach è detta coaching. Più di recente, si è compreso che la relazione, che si instaura tra il tutor e il tutee, nell’ambito di un tutoraggio tra pari, deve essere qualitativamente diversa da quella che si delinea tra docente e alunno. Il modo più efficace per realizzare un tutoraggio tra pari è quello di utilizzare un tutor le cui capacità siano di poco superiori a quelle dello studente da aiutare. In questo modo, entrambi i membri trovano le motivazioni adatte per affrontare la sfida che viene loro proposta. Di seguito vengono presentate diverse tipologie di tutoraggio tra pari. Tra le più diffuse sono: ▪ Apprendimento tra pari di età diverse: lo studente più anziano riveste il ruolo di tutor, mentre quello più giovane quello tutee. In questa metodologia i ruoli restano fissi. Generalmente avviene che lo studente più anziano abbia un’abilità maggiore del più giovane, in relazione agli apprendimenti oggetto di studio. ▪ Apprendimento tra pari della stessa età: coppie di studenti che hanno la stessa età. Siccome gli studenti fanno parte della stessa classe, possono avere tra loro una differenza di età che può arrivare al massimo fino a due anni; ▪ Apprendimento tra pari reciproco: prevede che nella coppia di studenti vi sia un'alternanza, per i medesimi tempi, tra i ruoli di tutor e tutee. Gli studiosi ritengono che, almeno in linea teorica, il tutoring reciproco abbia potenzialità superiori rispetto al tutoring con ruoli fissi. In primo luogo, perché è possibile che estenda i vantaggi ad entrambi gli studenti, e poi perché potrebbe ridurre gli effetti negativi tipici del tutoring a ruoli fissi, come la possibilità che il tutor assuma un ruolo autoritario o che lo studente aiutato inizi ad essere dipendente dal tutor; ▪ Apprendimento tra pari diffuso nell’intera classe: quando si vogliono svolgere attività di tutoraggio reciproco che coinvolgano l’intera classe, allora si parla di apprendimento tra pari diffuso nell’intera classe. In questa tecnica di apprendimento, il docente divide la classe in coppie di studenti. Ciascuna coppia è costituita da un'tutor e da un tutee. Esistono diverse varianti di questa metodologia, una tra le più interessanti prevede l'istituzione di un torneo tra le varie coppie. Ciascuna coppia guadagna dei punti se il tutee risponde correttamente alle domande del tutor; inoltre, il docente può assegnare dei punti alla coppia se il tutor svolge il suo ruolo con efficacia. L’attività di tutoraggio viene svolta un paio di volte a settimana, per tempi relativamente brevi. Inoltre, di settimana in settimana, le coppie possono cambiare. Nel cambio di coppia è prevista anche una possibile inversione dei ruoli; ▪ Strategie di apprendimento con l’assistenza di pari: in questo caso vengono create coppie di studenti con abilità di livello simile. A ciascuna coppia vengono assegnati dei materiali adatti al loro livello di abilità in modo tale che l’apprendimento risulti personalizzato. Nelle coppie, i ruoli di tutor e tutee vengono scambiati, così da dare la possibilità a ciascuno studente di fare un’esperienza in entrambi i ruoli. Vygotskij, nei suoi studi, ha messo in evidenza due aspetti teorici dell’apprendimento che danno ragione dell’utilità della metodologia di tutoraggio tra pari. Il primo aspetto è legato all'uso del linguaggio. Così come il bambino tende a parlare ad alta voce quando svolge dei compiti, generando nuovi stimoli, così il tutor, nello spiegare i contenuti al tutee, può usare le parole e ragionare ad alta voce. In questo modo moltiplica i suoi stimoli e riesce a trovare il percorso più efficace per presentare l’argomento al compagno. Il secondo aspetto è legato alla zona di sviluppo prossimale, zona che contiene quegli apprendimenti che non sono ancora posseduti da un soggetto, ma che il soggetto può acquisire se opportunamente guidato. L'apprendimento collaborativo L'apprendimento collaborativo può essere definito come un metodo di istruzione nel quale gli studenti lavorano insieme in piccoli gruppi per raggiungere un obiettivo comune. Per arrivare al concetto di apprendimento collaborativo, bisogna partire da alcuni assunti di base: l'apprendimento, che è un fatto sociale, emotivo e soggettivo, è un processo attivo e costruttivo, favorito da un contesto stimolante. L’espressione “apprendimento collaborativo” è piuttosto generica, in quanto può riferirsi a numerosi approcci distinti del processo di insegnamento-apprendimento (gruppi grandi, piccoli, omogenei, eterogenei...). Variando questi parametri si ottengono tante specifiche attività di apprendimento collaborativo che i vari studiosi hanno denominato in modo differente, ma che hanno alla base l’idea comune del confronto tra studenti e del lavoro in gruppi. Ad esempio, metodi di apprendimento collaborativo possono essere l’apprendimento cooperativo o induttivo. L’apprendimento cooperativo L’idea alla base dell’apprendimento collaborativo è che un contesto di apprendimento viene maggiormente favorito dalla collaborazione tra gli studenti. Per tracciare la definizione dell’apprendimento cooperativo, è utile partire analizzando le tipologie di strutture incentivanti che si possono utilizzare in ambito scolastico per favorire l’apprendimento. In particolare, si individuano tre tipi di strutture: • una struttura incentivante cooperativa: più individui vengono premiati per il lavoro che hanno svolto in gruppo; • una struttura incentivante competitiva: più individui sono paragonati e quelli che ottengono prestazioni migliori vengono premiati; • una struttura incentivante individualistica: più individui sono premiati in base alla loro prestazione, senza un confronto con gli altri. Nell'apprendimento cooperativo, l'acquisizione di competenze interpersonali è importante almeno quanto l'apprendimento stesso di concetti e idee. Per lavorare in gruppo, infatti, è necessario che gli studenti maturino abilità sociali e relazionali che risultano determinanti per il successo del gruppo stesso. Pertanto, nell’apprendimento cooperativo i compiti richiesti hanno come obiettivo anche la maturazione di tali abilità, prima tra tutte quella di saper lavorare in gruppo. I fratelli David e Robert Johnson hanno studiato sistematicamente i risultati di apprendimento sviluppati con la cooperazione di individui, mettendo in evidenza come vi siano 5 caratteristiche essenziali che rendono un apprendimento cooperativo migliore di uno individuale: 1. Interdipendenza positiva: ciascuno dei membri percepisce di essere legato agli altri in modo tale che il suo successo può avvenire solo se anche gli altri hanno successo e viceversa. Si costituisce una sorta di identità sovraordinata, che unisce l’individui con tutti gli altri membri del gruppo. In questo modo si stabilisce una sorta di identità di gruppo. 2. Responsabilità individuali: Per far sì che ogni membro sia responsabile degli obiettivi di gruppo nel contribuire con la sua parte di lavoro, è necessaria sia una valutazione della prestazione del singolo individuo sia una valutazione del lavoro complessivo del gruppo. 3. Interazione che promuove il faccia a faccia: ciascun componente comprende l’importanza che tutti gli altri capiscano ogni aspetto del lavoro che il gruppo sta portando avanti. Nasce quindi la necessità di confrontarsi, aiutarsi e incoraggiarsi. 4. Abilità sociali: Far lavorare delle persone insieme non permette di risolvere sempre il problema dell’apprendimento. Se le persone che devono cooperare hanno scarse abilità sociali (leadership, processo decisionale, comunicazione, gestione dei conflitti), allora il lavoro del gruppo sarà poco efficace. 5. Elaborazione di gruppo: è una fase che tutti i docenti dovrebbero prevedere nelle attività di gruppo. Si tratta di una fase che può essere svolta sia durante il lavoro, sia dopo la consegna del lavoro. In essa i componenti del gruppo analizzano gli aspetti che stanno funzionando o che hanno funzionato e quelli che sono stati deficitari. I ricercatori hanno individuato molteplici tipologie di apprendimento cooperativo; qualunque sia la tecnica prescelta per applicare il metodo cooperativo, il docente deve seguire alcune regole e occuparsi di alcuni aspetti critici che si determinano nell’‘organizzare l’attività e nel monitorarla in classe. I fratelli Johnson hanno illustrato nel dettaglio i compiti del docente impegnato a implementare l‘apprendimento cooperativo in classe, partendo dai 5 elementi, già descritti, sui quali si fonda una cooperazione efficace. A tal proposito, i docenti devono: • fissare chiaramente gli obiettivi della lezione; • prendere decisioni circa la collocazione degli studenti nei gruppi, prima dell’inizio della lezione; • spiegare chiaramente agli studenti i compiti da svolgere, gli obiettivi da raggiungere e le attività di apprendimento; • monitorare l’efficacia dell’apprendimento cooperativo e intervenire per aiutare a migliorare le abilità degli studenti; • valutare i risultati raggiunti dagli studenti e aiutarli a discutere circa l’andamento del lavoro di gruppo. L’apprendimento induttivo L’insegnamento delle discipline scientifiche avviene tipicamente in modo deduttivo: il docente espone principi e idee generali e successivamente presenta delle esercitazioni pratiche che vertono sui principi teorici appena introdotti. Infine, se resta tempo, l’attenzione si indirizza su alcune applicazioni dei principi introdotti, fatte in un contesto reale, di vita comune. Lungo questo percorso, fatto in prevalenza di teoria e formalismi, i docenti hanno solo due modi per alimentare la motivazione degli studenti: insistendo sul fatto che saranno valutati e sottolineando l’importanza dei concetti astratti e formali studiati, che un domani saranno utili nella vita e nella loro carriera. Un percorso di tipo induttivo, invece, parte dall‘applicazione pratica, dal problema reale, dall’analisi e dall’interpretazione di alcuni dati, dallo studio di un caso specifico per giungere a concetti astratti e generali. In questo modo gli studenti sono più motivati ad affrontare la necessaria formalizzazione di alcuni concetti e la comprensione di principi astratti di carattere generale. Un’applicazione pratica del paradigma teorico dell’insegnamento induttivo è una metodologia didattica denominata apprendimento basato sull’indagine. Si tratta di una metodologia centrata intorno allo studente. Essa affonda le proprie radici nel costruttivismo, poiché gli studenti sono chiamati a costruire in prima persona la propria conoscenza, senza assorbire passivamente strutture cognitive preconfezionate e proposte dal docente. La difficoltà del percorso di apprendimento, che gli studenti devono portare a termine, sta nel fatto che le informazioni di cui hanno bisogno per risolvere il compito proposto non sono state esplicitamente introdotte con una lezione frontale fatta in precedenza. Tuttavia, queste informazioni sono generalmente presenti nei materiali didattici che vengono consegnati loro in anticipo. La definizione fornita per l’apprendimento basato sull’indagine è piuttosto generale e può comprendere una grande varietà di metodi induttivi che possono differire per il tipo di stimolo iniziale, il livello di generalità dei materiali didattici proposti, la quantità di supporto diretto che il docente fornisce agli studenti. Variando ciascuno di questi parametri si ottengono tipologie diverse di apprendimento basato sull’indagine; in particolare, si distinguono: • Apprendimento per scoperta: è forse la forma più “pura” di apprendimento basato sull’indagine. L'idea era quella di ricondurre l’attività di apprendimento in classe a una vera e propria dinamica di scoperta, come quella che viene vissuta dallo scienziato durante le sue ricerche e i suoi studi. L'apprendimento per scoperta è un percorso piuttosto impegnativo per gli studenti, ma che offre numerose insidie anche per il docente. Per questo motivo, è più diffusa una variante dell’apprendimento per scoperta, che è la scoperta guidata, in cui il docente fornisce una certa guida nel percorso di apprendimento che consiste in indicazioni specifiche fornite verbalmente, oppure in materiali che indicano almeno parzialmente la struttura del percorso da intraprendere. • Apprendimento per problemi: è un’attività didattica che prevede l'utilizzo di gruppi di studenti. Al gruppo di studenti viene fornito un problema che è allo stesso tempo mal-strutturato e autentico. Pertanto, un tipo di problema del genere è aperto a molteplici soluzioni. Gli studenti devono valutare le possibili soluzioni alternative e selezionare quella che ritengono migliore, in base a dei criteri logici che siano accettati in modo unanime dal gruppo. In seguito, devono intraprendere la strada verso la soluzione individuata e alla fine devono trarre un insegnamento dalle scelte fatte e dai percorsi intrapresi. L’apprendimento per problemi è probabilmente il metodo induttivo più difficile da implementare; il docente, infatti, deve definire un problema che sia autentico e contestualizzato, il quale non deve essere troppo banale, né deve essere troppo articolato, ed inoltre deve richiamare soltanto tutti i concetti, le procedure e i principi che il docente vuole che siano appresi dagli studenti e di cui vuole valutare l’apprendimento. Per tale motivo, la progettazione ex novo di lezioni di apprendimento per problemi richiede una padronanza notevole della disciplina, una solida esperienza di insegnamento e di conoscenza delle problematiche. • Apprendimento per progetti: ha come finalità la realizzazione di un prodotto, generalmente da parte di gruppi di studenti. Il prodotto da realizzare può essere il progetto di un dispositivo, la realizzazione di una simulazione, la progettazione di un esperimento, etc. In pratica, l’apprendimento per progetti mira a porre gli studenti di fronte a situazioni reali che potrebbero incontrare durante la loro vita professionale e pertanto ha un alto valore formativo. Si tratta di una differenza sostanziale rispetto all’apprendimento per problemi, dove l’attività svolta dagli studenti è mirata ad apprendere nuovi principi e nuovi concetti, mentre la realizzazione del report finale passa in secondo piano. • Insegnamento mediante studi di caso: permette agli studenti di cimentarsi in scenari che, verosimilmente, incontreranno durante la loro pratica professionale. Agli studenti sono proposti dei “casi” che possono avere una loro origine storica, oppure possono essere frutto di inventiva. Lo studio di caso nasce come modalità di apprendimento nel campo del business management, dell’amministrazione pubblica e del diritto, per permettere agli apprendisti di fare pratica professionale. Quando il caso è estrapolato dalla realtà, il docente può fornire agli studenti dei materiali, quali ritagli di riviste o articoli di giornale, dati reali in forma grafica o tabulare e altre informazioni. Se il caso è frutto dell’immaginazione, i materiali devono essere appositamente preparati dal docente. • Insegnamento Just in Time: gli studenti sono invitati dal docente a rispondere a un questionario che viene caricato su di una piattaforma on-line. Il questionario è relativo ad argomenti che ancora devono essere presentati dal docente e che, molto probabilmente, verranno illustrati nella lezione successiva. Le domande sono progettate dal docente per far emergere tutti quei luoghi comuni e quelle idee errate che sono diffuse tra gli studenti. Inoltre, gli interrogativi proposti fanno emergere negli alunni curiosità e motivazione a seguire la lezione successiva. Il docente consulta le risposte fornite dagli studenti e, in base ad esse, inizia a modulare la propria lezione per risolvere i dubbi e le incertezze che sono emerse dal questionario. In tal modo, il docente regola, appena in tempo, la propria lezione per farla essere più incisiva. • Le classi invertite: invertire una classe significa che gli eventi che tradizionalmente hanno luogo nella classe verranno svolti fuori da essa e viceversa. In altre parole, nel modello di classe invertita le attività che normalmente vengono svolte in classe e le attività che normalmente vengono svolte come compiti a casa vengono invertite. Per tale motivo, nella classe invertita, all’inizio lo studente seguirà trasformare la molteplicità dei saperi in un sapere unitario, dotato di senso, ricco di motivazioni. L'obiettivo della elevazione dei livelli di istruzione fu ribadito nel 2006 dal Parlamento europeo e dal Consiglio dei Ministri dell’istruzione con “Raccomandazione relativa a competenze chiave per l'apprendimento permanente”. In questa strategia gioca un ruolo decisivo il tema dello “sviluppo di competenze chiave”. A distanza di 12 anni, le istituzioni europee presero atto che le competenze oggi richieste sono cambiate: più posti di lavoro sono automatizzati, le tecnologie svolgono un ruolo maggiore. Pertanto, il Consiglio dell’Unione, tramite la Raccomandazione del Consiglio UE del 22 maggio 2018, definisce che le competenze chiave sono quelle di cui tutti hanno bisogno per la realizzazione e lo sviluppo personali, l'occupabilità, l'inclusione sociale, uno stile di vita sostenibile, una vita fruttuosa in società pacifiche, una gestione della vita attenta alla salute e alla cittadinanza attiva. Esse si sviluppano in una prospettiva di apprendimento permanente, dalla prima infanzia a tutta la vita adulta. Il nuovo quadro di riferimento delinea otto tipi di competenze chiave (tutte di pari importanza): ▪ competenza alfabetica funzionale; competenza multilinguistica; competenza matematica e competenza in scienze, tecnologie ingegneria; competenza digitale; competenza personale, sociale e capacità di impara ad imparare; competenza in materia di cittadinanza; competenza imprenditoriale; competenza in materia di consapevolezza ed espressione culturali. • gli Indirizzi, profili, quadri orari e risultati di apprendimento delle singole articolazioni interne. I percorsi liceali forniscono allo studente le conoscenze, le abilità e le competenze che gli permettono di proseguire in modo efficace i suoi studi o di inserirsi in modo coerente nella vita sociale e nel mondo del lavoro. Al termine del percorso liceale, lo studente deve aver raggiunto alcuni Risultati di Apprendimento (RdA) ossia sviluppo di conoscenze e abilità, maturazione di competenze e acquisizione di strumenti. In base alla loro generalità, i RdA possono essere divisi in comuni, raggiunti alla fine di qualsiasi percorso liceale e vengono suddivisi in cinque aree (metodologica, logico-argomentativa, linguistica e comunicativa, storico-umanistica, scientifica, matematica e tecnologia); e in specifici, relativi ai singoli percorsi liceali (discipline di indirizzo). Il percorso di studi di ciascuna disciplina è suddiviso in tre periodi: il primo biennio (che coincide con l’ultimo periodo di istruzione obbligatoria), il secondo biennio, e l’ultimo anno. Per ognuno di questi tre periodi, sono elaborati degli Obiettivi Specifici di Apprendimento (OSA). Gli OSA costituiscono ciò che gli studenti devono sapere e saper fare al termine di un certo periodo o ciclo di istruzione, espressi per l’appunto in termini di conoscenze e abilità, e il cui raggiungimento il sistema nazionale dell’istruzione e della formazione deve garantire. • Gli istituti tecnici e professionali: come detto, l'allegato A del Regolamento degli istituiti tecnici e dei professionali riporta il Profilo educativo, culturale e professionale (PECuP) dello studente a conclusione del percorso di istruzione professionale. A sua volta, l'allegato A rimanda agli allegati B e C per gli aspetti del PECuP specifici di ogni indirizzo. Il profilo culturale, educativo e professionale dello studente in uscita da un istituto professionale o da un istituto tecnico si compone di due aspetti complementari che sono entrambi fondamentali. Ad una prima parte del profilo contribuiscono gli insegnamenti afferenti all’area di istruzione generale, che sono comuni a tutti gli indirizzi. Una seconda parte del profilo viene composta dagli insegnamenti afferenti all’area di indirizzo che mirano a far acquisire agli studenti specifiche competenze del percorso di studi intrapreso. Questi insegnamenti contribuiscono a determinare competenze spendibili in vari contesti della vita lavorativa e produttiva. Come per i licei, anche per gli istituti professionali e tecnici, il PECuP dello studente si esprime in termini di risultati di apprendimento. Questi sono riferibili a competenze che lo studente deve maturare al termine del suo percorso di studi. Ai sensi dell’art. 8, c. 6, del Regolamento degli istituti professionali, viene emanata la Direttiva Ministeriale 65/2010 che riporta le Linee guida che presentano le scelte organizzative, l’impronta metodologico-didattica e l'approccio pedagogico che possono risultare efficaci nel contesto di un istituto professionale. Per gli istituti tecnici, le Linee guida per il passaggio al nuovo ordinamento, che sono della Direttiva Ministeriale 57/2010, tracciano l’identità degli istituti tecnici, secondo uno schema analogo a quello dei professionali. Il Decreto Legislativo 13 aprile 2017, n. 61 ha disposto una profonda revisione dei percorsi dell’istruzione professionale delineata nel 2010. Il nuovo decreto conferma la durata di cinque anni dell’istruzione professionale di competenza statale ma essa è ora suddivisa in un biennio ed in un triennio. Inoltre, con tale Decreto sono stati individuati undici indirizzi di studio dei percorsi dell’istruzione professionale: ▪ Servizi per l’agricoltura, lo sviluppo rurale e la silvicoltura; Pesca commerciale e produzioni ittiche; Artigianato per il Made in Italy; Manutenzione e assistenza tecnica; Gestione delle acque e risanamento ambientale; Servizi commerciali; Enogastronomia e ospitalità alberghiera; Servizi culturali e dello spettacolo; Servizi per la sanità e l'assistenza sociale; Arti ausiliarie delle professioni sanitarie: odontotecnico; Arti ausiliarie delle professioni sanitarie: ottico. L'Allegato 2 al Decreto individua, per ciascuno degli 11 Indirizzi, i risultati di apprendimento, declinati in termini di competenze, abilità e conoscenze. Il successivo Allegato 3 articola i quadri orari in una parte comune, che concerne tutti gli indirizzi e comprende le attività e gli insegnamenti di istruzione generale, e in una parte specifica per ciascun indirizzo. L'ultimo Allegato individua la correlazione tra qualifiche e diplomi di istruzione e formazione professionale (IeFP) e indirizzi dei percorsi quinquennali dell’istruzione professionale. 6 – LIBRI DI TESTO E NUOVE TECNOLOGIE PER LA DIDATTICA L’introduzione dei libri digitali nella scuola italiana Negli ultimi anni una serie di interventi normativi ha definito la progressiva migrazione, nel sistema scolastico italiano, dai libri cartacei a quelli in digitale. Un primo passo importante è stato compiuto con il D.L. 112/2008 il quale ribadisce che i libri di testo possono essere prodotti in tre versioni: a stampa, online scaricabile da internet, mista. Inoltre, lo stesso articolo, afferma che a partire dall’anno scolastico 2011/2012 il Collegio dei docenti deve adottare esclusivamente libri nelle ultime due versioni (scaricabile e mista). Questo limite viene posto solo sulle nuove adozioni; pertanto, i libri in versione cartacea già in uso possono essere confermati. Il decreto ministeriale 41/2009, fissa i prezzi dei libri scolastici della primaria e i tetti di spesa della scuola secondaria di primo e secondo grado. Inoltre, fissa per i libri di testo: • i criteri pedagogici: I libri scolastici devono proporre contenuti che siano pertinenti, improntati al massimo rigore scientifico e adeguatamente aggiornati. Inoltre, il libro di testo deve prevedere collegamenti tra i vari contenuti (nessi interni), in modo da rendere significativo e organico l’apprendimento degli studenti. • le caratteristiche tecniche dei testi scolastici a stampa: fissano la grandezza del carattere per garantire la leggibilità del testo, il numero di pagine e le caratteristiche della copertina, per limitare il peso del volume, il tipo di carta, la qualità delle immagini e il formato del volume, per contenerne il costo. • le caratteristiche tecnologiche per i libri di testo nella versione online e mista: l'eventuale formato digitale adottato per il libro deve essere tra i più diffusi sul mercato, leggibile con software facilmente reperibili e deve essere compatibile sui dispositivi hardware più diffusi. Il libro on-line scaricabile non deve limitarsi a proporre una semplice lettura di testi mediante un dispositivo elettronico. Esso deve essere interattivo, deve fornire collegamenti ipertestuali ad approfondimenti presenti sul web, deve mettere a disposizione delle animazioni; inoltre, deve avere carattere multimediale fornendo anche supporti audio, video e immagini. Con la Legge 221/2012, le norme che regolano la stesura, la diffusione l'adozione dei libri di testo hanno subito delle importanti variazioni. Tale legge nasce dall’osservazione che molti libri di testo in formato digitale non erano altro che duplicati dei libri cartacei. Con tale legge, si è stabilito il principio secondo il quale un libro scolastico può essere prodotto in parte in forma cartacea e in parte in forma elettronica. Un'altra importante novità introdotta è stata l’abrogazione del vincolo di confermare un libro adottato ex-novo per i successivi cinque anni nella scuola primaria e per i successivi sei anni nella scuola secondaria di primo e secondo grado. In altre parole, diventa possibile adottare un nuovo libro senza dover attendere cinque o sei anni prima di poterlo cambiare. Solo successivamente, con il D.M. 781/2013 venne presentato il sistema che permette di fruire dei libri digitali in un contesto educativo. Gli elementi che costituiscono questo sistema sono: • Libri di testo e, in particolare, libri di testo digitali: vengono messe in evidenza le tre funzioni principali che svolgono i libri di testo (cartacei o digitali) nell'azione didattica quotidiana dei docenti. Esso permette di garantire un opportuno livello di uniformità e standardizzazione dei percorsi e degli obiettivi di apprendimento; è una fonte autorevole e scientificamente validata; e infine presenta un’organizzazione metodica e coerente di contenuti che possono essere complessi. Per quanto riguarda i libri digitali si raccomanda di integrare al meglio alcuni strumenti come lo storytelling multimediale (narrazione di un racconto), l’infografica (diagrammi e immagini), e la visualizzazione in forma animata interattiva. • Contenuti di Apprendimento Integrativi (CAI) e, in particolare, Contenuti Digitali Integrativi: In passato, spesso i docenti affiancavano al libro di testo altri CAI (cassette e poster). Come si può notare, questi contenuti di apprendimento fanno leva su canali comunicativi che non usano il testo scritto. Quando questi contenuti di apprendimento sono prodotti in formato digitale, usando appositi software, e sono fruibili mediante dispositivi hardware, allora si parla di CDI. • Piattaforma di fruizione (software): costituiscono l'ambiente software all'interno del quale i libri di testo digitali e i contenuti digitali integrati vengono aggregati e utilizzati. La piattaforma non deve essere concepita per far funzionare libri digitali e CDI di un unico produttore, ma deve permettere la fruibilità di più formati di libri digitali e di CDI. Inoltre, per i CDI le piattaforme dovrebbero permettere anche l’aggregazione di contenuti e risorse di apprendimento provenienti dal web o prodotte dai docenti. • Dispositivi di fruizione (hardware): dispositivi hardware di natura digitale che possono essere utilizzati per la fruizione dei contenuti di apprendimento (computer, notebook, tablet, e-reader, smartphone). In questo scenario tecnologico, nell'allegato al decreto si ritiene che i tablet multimediali possano costituire in futuro dei veri e propri terminali personali di apprendimento, e far dunque parte della dotazione standard di docenti e studenti. Inoltre, mentre un libro cartaceo ha dei costi di distribuzione alti, in quanto deve essere materialmente trasportato ai destinatari, quello digitale non presenta costi di questo tipo, poiché può essere disponibile per chiunque. La diffusione del libro digitale è più rapida e molto meno costosa Quando un insegnante ha intenzione di proporre una nuova adozione, in generale nella scelta di un nuovo testo deve verificare, oltre alla compensazione delle lacune presenti in quello in uso, l'assenza di evidenti nuove criticità. Una linea guida valida per la scelta di un testo può essere la verifica analitica delle caratteristiche elencate nel D.M. 781/2013. Questo livello di aderenza può essere misurato secondo una scala Likert a cinque livelli, che va dal valore 1, corrispondente a “molto in disaccordo”, fino al valore 5, corrispondente a “molto in accordo”. Al termine della compilazione della griglia, si può calcolare la media dei valori: maggiore è il valore della media e maggiore è l'aderenza del volume ai criteri pedagogici generali. In molte scuole sono stati istituiti i Dipartimenti Disciplinari che raggruppano i docenti della stessa materia o del medesimo ambito disciplinare per discutere, per l’appunto, sull’eventuale adozione di un nuovo testo. Infine, occorre tenere conto di una variabile fondamentale e critica per la scelta del volume, ossia il prezzo. Nella scuola secondaria non vi sono dei prezzi imposti sui libri di testo; tuttavia, vige un tetto di spesa sulla dotazione libraria della singola classe che non può essere sforato. È possibile superare solo del 10% qualora tale necessità sia debitamente motivata. La procedura per l’adozione dei libri scolastici può essere suddivisa in varie fasi. • Consultazione: i DS possono favorire incontri tra i docenti e i promotori editoriali finalizzati alla presentazione delle nuove proposte. • Confronto: i dipartimenti disciplinari sono il luogo ideale per realizzare un confronto e uno scambio di vedute tra i vari docenti. • Proposte di adozione: i Consigli di classe sono convocati con la presenza dei rappresentanti dei genitori (e degli studenti). • Adozione: le proposte formulate nei Consigli di classe vengono portate all'attenzione del Collegio dei docenti che delibera le adozioni dei testi nelle singole classi e acquisisce agli atti le eventuali motivazioni di superamento del tetto di spesa. • Pubblicità: in base al principio della trasparenza, le adozioni devono essere rese visibili e controllabili da chiunque ne abbia interesse. Pertanto, è cura del Dirigente Scolastico disporre il caricamento delle adozioni sul sito web della scuola. I testi consigliati possono essere indicati dal collegio dei docenti solo se hanno carattere di approfondimento. Con questo asserto, si vuole vietare esplicitamente una pratica invalsa, legata all’elusione del tetto di spesa. In alcuni casi, per mantenere la spesa complessiva sotto il tetto previsto, alcuni libri di testo venivano indicati come “consigliati”. Questo vuol dire che essi non devono essere obbligatoriamente acquistati dalle famiglie, in quanto non sono strettamente necessari alla preparazione richiesta, ma costituiscono semplicemente un approfondimento. Per tale motivo, i testi consigliati non vengono conteggiati nella spesa complessiva e non contribuiscono a raggiungere o superare il tetto di spesa consentito. Con questo intervento normativo, si chiarisce definitivamente che i testi “consigliati” devono essere solo di approfondimento. La Lavagna Interattiva Multimediale (LIM) Perché la rivoluzione didattica si potesse compiere realmente, era necessario che le nuove tecnologie si spostassero dal laboratorio fin dentro l'aula, ossia nel luogo dove tradizionalmente si svolge la lezione. Ciò si è avuto grazie alla LIM (Lavagna Interattiva Multimediale), inizialmente diffusa nelle scuole anglosassoni e in seguito progressivamente introdotta nelle scuole italiane. La LIM è una periferica di input, ossia un dispositivo capace di immettere informazioni nel computer. Questa periferica è caratterizzata da una superficie molto estesa (170x140). Mediante un cavo USB, la lavagna viene collegata a un computer. Il setup tecnologico è completato da un proiettore, tipicamente installato su una staffa (braccio) collocato poco sopra la LIM. Infine, è opportuno che al computer sia collegato un paio di casse acustiche. Il setup classico viene detto a proiezione frontale, in quanto il proiettore si trova di fronte alla LIM. Esistono anche sistemi a retroproiezione. È opportuno che le fonti luminose naturali possano essere schermate, pertanto l’aula sarà dotata di tende o serrande che impediscono alla luce esterna di entrare. Lo spazio antistante alla LIM non dovrebbe essere occupato dalla cattedra o da banchi, in quanto la LIM dovrebbe diventare il centro di una lezione partecipata. Il setup hardware appena presentato risulta essere quello più diffuso nelle scuole. Tuttavia, è ipotizzabile che quando si verificherà un'effettiva riduzione dei costi, si potranno introdurre degli schermi interattivi a parete. Come spesso avviene in tutti i dispositivi informatici, al setup hardware, si aggiunge un setup software, costituito dagli applicativi (i programmi) che sono necessari per l’utilizzo di una LIM. Generalmente, per ciascun modello di lavagna si distinguono due applicativi principali: • il software di gestione della LIM, che contiene i driver necessari al sistema operativo per far funzionare la lavagna; • il software autore della LIM, che ricorda per molti versi un software di presentazione (come PPt). Questo software permette di utilizzare la LIM come una lavagna di ardesia, sulla quale scrivere con uno stilo o con le dita. Viene da chiedersi, a questo punto, quale sia la necessità di utilizzare una superficie interattiva come la LIM in classe e non limitarsi a connettere un proiettore ad un computer. Mediante la LIM, il docente si libera della presenza del computer e interagisce con lo schermo, pertanto non deve continuamente muoversi tra la console di comando del computer e lo schermo con i contenuti. Gli alunni risultano quindi meno disorientati e più concentrati sui contenuti della lezione. Prima di affrontare in modo approfondito quali strategie didattiche è utile impostare con l’uso della LIM, è opportuno introdurre le caratteristiche dei Learning Object, Digital Asset e delle Risorse Educative Aperte. • Learning Object: è un'unità di apprendimento auto-consistente, coerente e completa; è costituito da contenuti essenziali, piccoli approfondimenti e verifiche; spesso permette il tracciamento dell’attività dello studente ed è incentrato su di un concetto piuttosto specifico; è un oggetto chiuso e rigidamente strutturato, che non è concepito per essere arricchito o alimentato da altri contenuti. Pertanto, il Learning Object è pensato per l'autoapprendimento, in un contesto di e-learning di formazione a distanza, piuttosto che inteso come oggetto alla base di una didattica collaborativa. • Digital Asset: sono frammenti di contenuto digitali, come unità basilari di informazione che possono essere singolarmente modificate e successivamente assemblate a piacimento. La loro finalità è dare forma, di volta in volta, a un'unità di apprendimento (Learning Object) che sia personalizzata e sia frutto di un lavoro di ricerca e di costruzione della conoscenza. In altre parole, il software permette di creare un vero e proprio tavolo di lavoro, sul quale docente e studenti possono interagire senza particolari limitazioni. • Risorse Educative Aperte: si intendono tutte quelle risorse, reperibili nel web, che possono essere adoperate in campo educativo (materiali e contenuti didattici). L'aggettivo “aperte” sta ad indicare che l’uso della risorsa non comporta alcun costo per l’utente. Nello specifico, le risorse possono essere copiate, modificate e distribuite sia in versione originale che modificata (una delle licenze d’uso che spesso accompagna le risorse aperte è quella implementata da Creative Commons, un ente non-profit statunitense). La veloce diffusione della LIM nelle aule delle scuole italiane ha posto diversi interrogativi su quale sia il vero vantaggio nell’impostare un’attività didattica basata sull’uso della lavagna interattiva piuttosto che degli strumenti tradizionali. Come sempre accade, i vantaggi nell’uso di uno strumento sono frutto delle modalità con le quali si utilizza lo strumento stesso. La LIM può essere usata in modo molto “tradizionale” oppure in modo “innovativo”. In via del tutto generale, proviamo a distinguere quattro livelli differenti di uso della LIM: • usare la sua superficie per scrivervi sopra con lo stilo, con un dito o con qualsiasi altro puntatore. In alternativa, si può usare una presentazione, preparata soprattutto con informazioni testuali, che ha una struttura lineare e sequenziale. Il docente illustra i contenuti scritti sulla LIM e li commenta; gli alunni ascoltano e assimilano i contenuti. • Si sfruttano al meglio gli aspetti multimediali della lavagna, utilizzando le potenzialità del computer per inserire immagini, mostrare filmati, accedere ad altre risorse presenti in internet che possono fungere da approfondimento. • Associare la LIM all'utilizzo di Learning Object e coinvolgendo attivamente gli studenti nelle attività svolte con tali oggetti di apprendimento. Gli studenti sono coinvolti nelle attività che si svolgono sulla superficie interattiva. • l’attività didattica viene fondata sull'uso di asset digitali i cui contenuti possono essere modificati e completamente riadattati dall’alunno o dal docente. La LIM diventa un tavolo di montaggio della conoscenza. Se consideriamo l’assetto di un’aula in cui è presente una LIM, la lavagna interattiva è il fulcro della didattica e verso di essa è diretta l'attenzione degli studenti. Tuttavia, buona parte della classe non interagisce direttamente con la LIM, ma osserva i compagni che lavorano con oggetti multimediali e interattivi sulla sua superficie. Pertanto, è necessario pensare a un nuovo assetto d’aula che possa favorire anche questi aspetti. Le classi dotate di particolari strumentazioni che rendono possibile questa finalità vengono definite Classi 2.0. Le Classi 2.0 e il nuovo assetto dell’aula Il Piano Scuola Digitale è stato promosso dal MIUR al fine di modificare gli ambienti di apprendimento degli istituti scolastici italiani, mediante l’integrazione delle tecnologie nella didattica. Un ambiente nel quale gli studenti hanno la possibilità di esplorare, fissare i loro obiettivi e di scegliere le loro attività di apprendimento è senz’altro un ambiente molto attraente per gli studenti. Tra le distinte azioni che hanno composto il Piano Scuola Digitale, ve ne sono tre di particolare importanza: • il Piano Diffusione LIM, che prevede di dotare le scuole statali di kit tecnologici composti da LIM; • il Piano Cl@ssi 2.0, che prevede di creare aule che siano ambienti di apprendimento in cui si integrano diversi dispositivi tecnologici (tablet) utilizzati in modo naturale per creare una nuova impostazione didattica e nuovi processi di apprendimento; • il Piano Editoria Digitale, che ha come obiettivo la realizzazione di prodotti editoriali che permettano a docenti e alunni di interagire efficacemente con le moderne tecnologie digitali e multimediali. La legge 107/2015 ha rilanciato tale strategia di innovazione ed ha dato incarico al MIUR di adottare un Piano Nazionale per la Scuola Digitale (PNSD); a loro volta le scuole, all’interno dei loro piani triennali, attivano azioni coerenti con tale piano. Fra gli obiettivi individuati, oltre all’ovvio potenziamento delle infrastrutture di rete e di connettività nelle scuole e alla formazione del personale docente e ATA, c’era la realizzazione di attività volte allo sviluppo delle competenze digitali degli studenti, anche attraverso la collaborazione con università, associazioni, organismi del terzo settore, imprese. Nel processo di digitalizzazione delle scuole, un ruolo particolare è svolto dall’animatore digitale, ossia un docente a tempo indeterminato che ha il compito di favorire il processo di digitalizzazione nelle scuole. Per parlare di una classe 2.0, partiamo dalla dotazione tecnologica che essa deve avere. Primo fra tutti, una connessione di rete che permette di accedere alle risorse del web, ma permette anche ai dispositivi della classe di essere connessi tra loro. Il secondo elemento essenziale è la LIM. Inoltre, l’aula deve essere dotata di alcuni dispositivi fissi (scanner e fotocamere digitali). Infine, vi sono i dispositivi mobili che maggiormente contraddistinguono una classe 2.0 (notebook, tablet, smartphone). In generale, il docente e tutti gli alunni sono dotati di questi dispositivi, di proprietà dell’istituto e concessi in comodato d’uso agli studenti e al docente. In alternativa, si può prevedere che ciascuno alunno sia dotato di un proprio dispositivo, che adopera per l’attività in classe. Si tratta di una modalità chiamata BYOD (Bring Your Own Device). È una modalità meno dispendiosa per le scuole, che non devono provvedere ai dispositivi; tuttavia, questa scelta può creare maggiori problemi di compatibilità tra i vari dispositivi usati, che possono essere anche di natura diversa. In una classe 2.0, ogni studente lavora sul proprio dispositivo portatile, ma può condividere la sua creazione con gli altri e con il docente, tramite il suo dispositivo connesso in rete. Le applicazioni software di una classe 2.0 Il Web 2.0 è un termine entrato ormai nel linguaggio comune. Esso è rappresentato da un set di strumenti tecnologici che permettono di incrementare l’interazione tra sito e utente e di utilizzare i mass media in modo innovativo. La grande rivoluzione del web 2.0 si riflette anche nel mondo dell’istruzione. Molti docenti sono convinti che il web 2.0 rappresenti un modello di didattica che nel futuro avrà un numero sempre maggiore di sostenitori. Tra gli strumenti software del web 2.0, ritroviamo i Virtual Learning Environment. È un termine piuttosto generico per indicare una piattaforma didattica. Spesso si ricorre anche all’espressione Learning Management System (LMS). Il sistema di gestione è costituito da un software che crea uno spazio virtuale che supporta la didattica. Gli utenti connessi alla rete possono essere i membri di una classe, di un Il bullismo Con il termine bullismo si indica un comportamento aggressivo ripetuto nel tempo contro un individuo con l'intenzione di ferirlo fisicamente, verbalmente (minacce) o psicologicamente (diffondendo maldicenze). In altre parole, è costituito da una serie di atti di prepotenza, prevaricazione e maldicenza che sono perpetrati con continuità e sistematicità da alcune persone, sempre nei confronti della stessa/e vittima. Il singolo atto di violenza non è un sintomo di bullismo. Per tale motivo, non va confuso con la cosiddetta “ragazzata”. È importante sottolineare che il malessere della vittima non si limita ai momenti in cui questa subisce direttamente il sopruso, ma si trascina anche successivamente, finendo con il caratterizzare la sua esistenza. Il bullismo può essere di vari tipi. • Bullismo diretto: il bullo attacca direttamente la vittima e lo può fare Fisicamente (prevede violenza fisica sulla vittima, attraverso un contatto diretto che si esprime con calci, pugni o spinte) o Verbalmente (caratterizzato dall’offendere e dal denigrare verbalmente la vittima). Altre forme di bullismo diretto sono considerate il riprodurre gesti o facce offensive nei confronti della vittima, il danneggiare, sottrarre o estorcere le sue cose. • Bullismo indiretto: il bullo non affronta direttamente la vittima, ma tende a isolarla o a metterla in difficoltà, attraverso comportamenti premeditati e studiati. Si diffondono calunnie e maldicenze sul conto della vittima e la si diffama, per metterla in cattiva luce agli occhi degli altri. Nella Direttiva 16/2007, si introduce il fenomeno del cyberbullismo, inteso come un particolare tipo di aggressività intenzionale agita attraverso forme elettroniche. Tuttavia, solo con le linee di orientamento emanate dal MIUR il 13 aprile 2015 è stata trattata in modo specifico la questione. Nello specifico, la nascita del web 2.0 ha permesso che i contenuti delle pagine web potessero essere elaborati direttamente dagli utenti comuni, anche quando questi non sono esperti di tecnologie per realizzare e pubblicare pagine web. Questo ha consentito la creazione e la diffusione dei social network, dei forum, delle chat e delle reti di messaggistica istantanea. Questi strumenti di comunicazione sono in grado di mettere in contatto numerose persone, distanti geograficamente, e sono utili strumenti di scambio di informazioni e di confronto di opinioni. Tuttavia, questi strumenti possono essere usati anche per fini meno nobili, come il mettere in cattiva luce, il diffamare e il deridere vittime che vengono prese di mira. Un altro aspetto caratterizzante del bullismo praticato mediante gli strumenti elettronici è l’apparente anonimato che questi ultimi garantiscono, favorito dall’uso di nickname per celare la propria identità. Tuttavia, questo anonimato é solo apparente, in quanto è possibile sempre tracciare il collegamento dell’utente e identificare l’indirizzo IP e quindi il dispositivo connesso alla rete da cui l'utente agisce. Inoltre, la mancanza di un contatto diretto con la vittima riduce nel bullo la consapevolezza e la reale percezione dei suoi attacchi. Egli non sempre vede la diretta conseguenza delle sue azioni e spesso non può rendersi conto delle conseguenze negative. Le Linee di orientamento dell’aprile 2015 mettono in evidenza anche altri due fenomeni che stanno emergendo con il cyberbullismo. Si tratta: ▪ Del cyberstalking, ossia di un insieme di comportamenti insistenti commessi nei confronti di una vittima che si manifesta in maniera diretta attraverso continue telefonate, sms, e-mail dal contenuto minaccioso, oppure in maniera indiretta, attraverso la diffusione online di immagini o recapiti della persona perseguitata, violando l’account della posta privata o del profilo sui social network e pubblicando frasi che danneggiano la reputazione della vittima; ▪ Del sexting, ossia della preoccupante moda, diffusa tra gli adolescenti, di inviare messaggi via smartphone ed Internet corredati da immagini a sfondo sessuale. Il crescente allarme sociale ha indotto il Parlamento all’approvazione della Legge 71/2017 “Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione e il contrasto del fenomeno del cyberbullismo”. Il bullismo è un fenomeno che coinvolge diverse figure, ciascuna delle quali recita una parte, volutamente o suo malgrado. Difatti, non vi può essere bullo, se non vi è una vittima designata, se non vi sono delle figure satellite che ruotano intorno al bullo e ne appoggiano l'operato. Questo vuol dire che tutti soggetti che vivono in questo contesto sono in qualche modo coinvolti. Si parla di cerchio del bullismo, per individuare tutte le figure intermedie che si collocano tra la vittima e bullo. Alcune di queste figure sono vicine al bullo, altre alla vittima, altre si collocano in una posizione di neutralità. Andando ad analizzare tali figure in dettaglio, vediamo che: • Il Bullo: la caratteristica principale del bullo è la sua prestanza fisica, la sua sicurezza e la forte energia. Le situazioni preferite dal bullo sono quelle in cui la sua supremazia può essere facilmente ostentata di fronte ai coetanei e dove la vittima risulta impotente. • La Vittima: il bullo ha delle vittime predestinate, che sono chiaramente identificabili per dei loro tratti distintivi. In particolare: ▪ la vittima passiva: non risponde alle provocazioni e agli a insulti del bullo. Si tratta di un soggetto pauroso, che ha una limitata prestanza fisica; talvolta è goffo e scoordinato e ha in generale un basso livello di autostima. ▪ La vittima provocatrice: viene individuata in bambini che hanno atteggiamenti deliberatamente provocatori nei confronti dei compagni. Pertanto, il bullo risulta particolarmente stimolato a intraprendere azioni persecutorie nei loro confronti. ▪ La vittima collusa: si tratta di alunni che vogliono essere accettati nel gruppo del bullo, soprattutto quando questi è particolarmente popolare. Per ottenere questo risultato, sono disposti a sottostare volontariamente alle derisioni del bullo. ▪ La vittima-bullo: emerge da alcuni studi che mettono in evidenza come alcuni bambini che assumono il ruolo di vittime in un certo contesto, diventino poi dei bulli in contesti differenti. • I seguaci (gli scagnozzi) del bullo: prendono parte attiva e diretta negli atti di bullismo e che individuano nel bullo il loro leader. • I sostenitori del bullo: non prendono parte attiva e diretta negli atti di bullismo, ma sostengono il bullo e i seguaci in modo indiretto. • Gli spettatori disimpegnati: evitano di prendere posizione sia a favore del bullo, sia a sostegno della vittima. Assistono a ciò che avviene, ne sono ben consapevoli, ma non intervengono in alcun modo. • I difensori della vittima: sono bambini o adolescenti che hanno un alto livello di autostima, godono di una certa popolarità con i compagni e hanno un atteggiamento pro-sociale. Si schierarono apertamente contro il bullo, che non sempre gode di popolarità indiscussa in un determinato contesto. Il loro comportamento è mirato a tentare di difendere la vittima. Le cause principali del bullismo vanno ricercate sia tra quei fattori che determinano il comportamento del bullo, sia tra quelli che definiscono la personalità della vittima. È possibile individuare diversi fattori: • Fattori familiari: facciamo riferimento ad una relazione negativa esistente tra genitore e figlio (in particolare con la madre). Da queste dinamiche possono emergere comportamenti da bullo o da vittima, a seconda del carattere e della predisposizione del bambino. Il bullo cercherà nei suoi atteggiamenti vessatori quella sicurezza che non ha ricevuto dai genitori, mentre la vittima esibirà il suo stato d’animo rassegnato e passivo anche fuori dal contesto familiare. Un altro fattore può essere l’uso smodato di punizioni e l'applicazione troppo rigorosa della disciplina o, al contrario, un controllo inconsistente e lassista. In alcuni casi il bambino riversa sugli altri l’aggressività e la violenza che i genitori hanno avuto nei suoi confronti, in altri, il bambino diventa timido e insicuro, tanto da sviluppare comportamenti autopunitivi e depressivi che lo rendono un facile bersaglio per i coetanei. Infine, abbiamo il caso dell'aggressione fisica vista come un comportamento socialmente accettabile. Si tratta di genitori che simpatizzano con i figli quando questi usano modi violenti per raggiungere un obiettivo o per vincere una disputa con altri coetanei. Questi genitori affermano di essere dispiaciuti del comportamento dei loro figli, ma in fondo si compiacciono del fatto che i loro figli si sappiano far rispettare. • Fattori genetici: i comportamenti aggressivi si determinano in quelle famiglie dove vi è una storia pregressa di aggressività. Inoltre, occorre sottolineare che il bullismo si accompagna spesso alla presenza di alcuni disturbi psichici e comportamentali. • Fattori caratteriali: alcuni tratti caratteriali dei genitori possono essere ereditati dai figli. Pertanto, un genitore rigido, esigente e irruente può trasmettere questi tratti caratteriali al figlio. • Fattori sociali: un primo fattore che determina la condizione di bullo o di vittima può essere l’insuccesso del soggetto da un punto di vista delle relazioni sociali. Alcuni individui sono più predisposti di altri a creare rapporti sociali e amicali, in quanto sono particolarmente abili nel condividere interessi e passioni con gli altri. Questi fattori rendono un bambino o un adolescente desiderabile agli occhi degli altri, e quando ciò non avviene, vi può essere la tendenza del bambino a trasformarsi in bullo per avere la propria affermazione sociale e la propria popolarità. In altri casi, il soggetto rinuncia una vita sociale soddisfacente e finisce con l'interpretare il ruolo della vittima. Un ulteriore aspetto sociale che può determinare fenomeni di bullismo è la scarsa tolleranza e la non accettazione delle diversità. Sempre più spesso, la vittima diventa tale perché appartiene a un'etnia o ha un credo religioso diversi dal bullo. Inoltre, la vittima può essere discriminata per la sua identità di genere o per il suo orientamento sessuale. In altre parole, la vittima è discriminata perché su di essa gravano stereotipi che scaturiscono da pregiudizi discriminatori. Altre categorie di possibili vittime possono essere i ragazzi disabili e autistici, per la loro mancanza di abilità sociali, per le loro difficoltà nei rapporti interpersonali e per l’incapacità di gestire la comunicazione con gli altri. Un programma sistematico per prevenire e contrastare il fenomeno del bullismo si basa su quattro principi fondamentali che possono prevenire comportamenti problematici, soprattutto di tipo aggressivo. Tali principi sono: • il ruolo degli adulti all'interno della scuola deve trasmettere calore, coinvolgimento e interesse positivo ai ragazzi; • vi devono essere limiti fermi e chiari circa il comportamento ritenuto inaccettabile; • occorre applicare in modo coerente delle sanzioni di carattere non punitivo; • gli adulti nell’istituzione scolastica devono fungere da autorità e da modelli positivi di comportamento. Il prerequisito essenziale del programma è che tutta la comunità scolastica deve essere informata sulla sua attuazione. Pertanto, il programma coinvolge il dirigente scolastico, i docenti e il personale ATA. Le azioni da intraprendere a livello di istituzione scolastica sono: • la somministrazione di un questionario in forma anonima rivolto agli studenti e mirato a individuare profili da bullo o da vittima; • costituzione di un comitato di coordinamento sulla prevenzione del bullismo; • una vigilanza efficace durante l’intervallo o la pausa pranzo. Le azioni precedenti vanno coordinate con interventi che si effettuano a livello di singola classe. Le misure più significative sono: • instaurare in ogni classe delle regole che proibiscono comportamenti aggressivi di qualunque genere; • organizzare incontri della classe con esperti formati all’interno dell'istituzione scolastica o provenienti da altre istituzioni; • organizzare incontri con i genitori degli studenti, per conoscere la situazione familiare e individuare eventuali campanelli d’allarme. Ciascuna istituzione scolastica deve adottare una politica che sia mirata a prevenire e individuare in tempo utile fenomeni di bullismo. Pertanto, il dirigente scolastico deve promuovere la codifica di regole comportamentali che siano efficaci e che siano condivise da tutta la comunità scolastica. Questi principi sono descritti solitamente nel Regolamento di Istituto, finalizzato a promuovere la partecipazione democratica dell'intera comunità alla vita scolastica. L'insegnamento di Cittadinanza e Costituzione La comunità scolastica contribuisce allo sviluppo della personalità dei giovani anche attraverso l'educazione alla legalità, intesa non solo come rispetto delle regole di convivenza democratica ma anche dei doveri che ineriscono al ruolo e alla funzione che ciascun soggetto è chiamato a svolgere all’interno della comunità stessa. Un ulteriore passo verso questa impostazione educativa è compiuto con la legge 169/2008 (Riforma Gelmini) che, oltre ad inserire nella valutazione dell’alunno il voto di comportamento, stabilendo che esso concorresse alla valutazione complessiva dello studente e determinasse, se inferiore a sei decimi, la non ammissione al successivo anno di corso e all'esame conclusivo del ciclo, ha introdotto anche l’insegnamento di cittadinanza e costituzione. Tale insegnamento non viene previsto come una disciplina vera e propria, piuttosto deve afferire ad ambiti disciplinari già presenti nel curricolo della scuola italiana. Per il primo ciclo l’insegnamento di Cittadinanza e Costituzione viene inserito nell'area disciplinare storico-geografica, e per il primo biennio dell’istruzione secondaria di secondo grado, nell’asse storico-sociale. Ciò vuol dire che l'insegnamento di Cittadinanza e Costituzione spettava all’insegnante di diritto, quando tale disciplina era presente nel curricolo; in alternativa, al docente di storia e geografia. La “Cittadinanza” è intesa come il vivere civile, il contribuire alla crescita sociale e alla costruzione del proprio benessere e di quello altrui. La “Costituzione” italiana ci permette di conoscere i principi fondamentali che regolano la nostra società e di discutere ciascun aspetto della vita civile (diritti e doveri del cittadino). La costituzione consente di comprendere l’ordinamento del nostro Stato, il principio di suddivisione dei poteri, le modalità di esercitare e gestire ciascuno di questi poteri. Il Co-teaching Un aspetto fondamentale della professione del docente è il lavoro che deve svolgere insieme agli altri membri della comunità scolastica. Per co- teaching si intende lo sforzo congiunto di due o più docenti per migliorare e rendere più efficace la loro pratica educativa, in uno specifico contesto classe. Sono quattro i componenti chiave che circoscrivono il co-teaching: • La presenza di due educatori; • L'insegnamento di concetti significativi; • La presenza di gruppi di studenti con bisogni educativi distinti; • Un insieme di impostazioni comuni nella pratica didattica. Occorre dire che, nella concezione iniziale, il co-teaching era inteso come una pratica educativa mirata all’‘inclusione, ossia alla gestione di studenti con difficoltà di apprendimento (disabilità, disturbi specifici di apprendimento, Bisogni Educativi Speciali) all'interno di un gruppo classe più ampio. La logica di questo approccio alla didattica è quella di ridurre la stigmatizzazione che subiscono gli studenti con l'allontanamento dalla classe. Al contempo, la pratica di co-teaching favorisce lo scambio di idee e di esperienze tra i docenti, che vengono a contatto con modi di operare diversi e, per tale motivo, maturano professionalmente. In seguito, il co-teaching ha assunto un significato più generale, poiché spesso in ogni classe si rilevano bisogni distinti tra i vari studenti e si avverte la necessità di personalizzare l'apprendimento, senza dover contemplare necessariamente la disabilità o i disturbi dell’apprendimento. Vengono individuate le seguenti sei modalità di condurre il co-teaching: • Uno insegna, l’altro osserva: l'osservazione è finalizzata a raccogliere dati comportamentali o sociali sui singoli studenti o su gruppi di studenti. La configurazione dell’aula è quella usuale della lezione frontale, il docente osservatore deve fare in modo che la sua presenza sia discreta e poco ravvisabile dagli studenti, in modo da non influenzare i comportamenti (in fondo all’aula); • Insegnamento a stazione: in questo caso si formano gruppi di studenti. Il numero ideale può essere tre. Nell’aula vengono formate tre isole di banchi, che possono essere definite stazioni. Gli insegnanti si muovono a rotazione tra le tre stazioni ciascuno svolgendo ogni volta i compiti ad esso assegnati, che, ad esempio, possono essere legati ad una presentazione teorica e generale dell'argomento. Nel frattempo, nella terza isola di banchi, gli studenti che hanno ricevuto le spiegazioni dai docenti iniziano il loro lavoro cooperativo. In questo modo, i docenti sono come dei treni che si muovono di stazione in stazione; • Insegnamento in parallelo: i due insegnanti si dividono la classe in due gruppi, approssimativamente delle stesse dimensioni. I due insegnanti presentano la medesima lezione in parallelo ai due gruppi. In questo caso l’obiettivo è di aumentare il coinvolgimento e la partecipazione degli studenti, che, in gruppi più piccoli, hanno maggiore possibilità di partecipare attivamente alla lezione; • Insegnamento alternativo: la classe viene divisa in due gruppi, uno di numero maggiore e l’altro più ristretto. Si può trattare di interventi di recupero di abilità di base, di interventi di potenziamento e arricchimento della conoscenza, di verifiche specifiche; • Team-teaching (teaming): i due docenti lavorano in squadra e in stretta sinergia, anche durante lo svolgimento della lezione. I due insegnanti si alternano nella lezione alla classe, ciascuno presentando degli aspetti specifici. In alternativa, si può pensare anche a una sorta di lezione-dibattito, nella quale i due insegnanti assumono posizioni differenti su di un argomento e sostengono tesi opposte; • Uno insegna, l’altro assiste: in questo caso, un docente si fa carico della lezione nei confronti della classe, mentre l’altro circola tra gli studenti e offre assistenza individuale in caso di difficoltà. Per introdurre il co-teaching nella pratica scolastica è necessario un periodo di preparazione preliminare. Si tratta di sensibilizzare tutte le componenti scolastiche, a partire dal dirigente. Se il clima e le relazioni interpersonali dell’istituzione scolastica lo consentono, è possibile che un nucleo di insegnanti mostri interesse per la novità proposta. A questo punto è importante che questa metodologia didattica sia nel Piano Triennale dell’Offerta Formativa (PTOF) dell’istituto. Dopo l'elaborazione in Collegio dei Docenti, vi sarà la conseguente adozione del Piano da parte del Consiglio di Istituto. Una volta approvato il progetto di co-teaching, l’attenzione si sposta sulla fase di pianificazione dell’intervento. In queste riunioni di avvio del progetto è utile che partecipino anche i componenti del personale ATA per organizzare al meglio i tempi della sperimentazione e per scegliere gli ambienti più adatti. La fase di preparazione didattica è cruciale. È opportuno che i docenti si incontrino periodicamente per stabilire i dettagli delle lezioni da realizzare. In queste riunioni, di volta in volta, si identificheranno i contenuti da presentare, le modalità con le quali verranno presentati e si preparerà il materiale che farà da guida alla lezione. La fase dell’attività didattica si alterna a quella della preparazione. In essa si entra nel vivo poiché si affronta il lavoro da svolgere in classe con gli studenti. A conclusione dell’esperienza di co-teaching, è necessaria una valutazione del progetto nel suo complesso che può essere effettuata raccogliendo le impressioni e i giudizi degli studenti, attraverso dei questionari. Fino questo punto si è fatto riferimento alla cooperazione tra docenti delle stesse discipline, tuttavia, nel tempo, il co-teaching si è affermato anche come metodologia che può rendere possibile la creazione di percorsi didattici interdisciplinari. In questo caso, insegnanti di materie diverse (almeno 3) devono essere coinvolti nell’attività di co-teaching. Spesso si parla direttamente di team-teaching interdisciplinare. Difatti, un percorso interdisciplinare acquista valore e significato se coinvolge un certo numero di insegnamenti distinti e rende ragione di una visione unitaria del sapere. Tramite questa tecnica si genera creatività, che nasce dall’interazione tra gli insegnanti e dai loro stretti rapporti di lavoro. La gestione del gruppo Un gruppo è costituito da un insieme di individui che condividono un obiettivo comune e svolgono compiti in stretta correlazione. Nel gruppo si contraddistingue un leader, che è tale perché questo ruolo gli è riconosciuto dai componenti del gruppo (i follower). Tra le caratteristiche che permettono a un leader di poter guidare un gruppo, le principali sono: saper promuovere una visione, essere empatici, saper motivare i membri e favorire la comunicazione all’interno del gruppo. Lavorando in gruppo si possono raggiungere obiettivi ambiziosi e articolati che, con sforzi singoli e poco coordinati, sarebbero impossibili da ottenere; ed inoltre con il confronto reciproco si moltiplicano le possibilità concrete di crescita professionale per ciascuno dei membri del gruppo. Allo stesso modo, all’interno di un gruppo, possono verificarsi i seguenti fenomeni negativi, da parte di singoli individui o di più persone, che sono spesso dovuti a personalismi: • antagonismo: i componenti del gruppo entrano in competizione, invece di collaborare; • narcisismo: alla base di questo comportamento vi è la volontà di mettersi in mostra; • accaparramento: un individuo tende ad attribuire ingiustamente a se stesso il merito del raggiungimento di un risultato o dello svolgimento di un compito. Non si è disposti ad ammettere che il lavoro o il contributo degli altri sia altrettanto valido e non marginale; • emarginazione: può succedere che uno o più individui del gruppo siano emarginati a seguito di comportamenti scorretti; • dispersività: è spesso sintomo di una leadership non efficace. Il gruppo non viene coordinato e istruito bene dal suo leader e i singoli componenti si disperdono in compiti che sono scorrelati tra loro o che hanno una utilità poco rilevante per l’obiettivo finale; • formazione di sottogruppi: spesso si ha la sensazione che in un gruppo si formino tanti sottogruppi che lavorano in modo scoordinato. • gregarismo: è l’attitudine di alcuni ad accettare completamente le idee degli altri o del leader, senza porsi mai in un atteggiamento di critica costruttiva e positiva. I motivi possono essere l’insicurezza, il disinteresse e la paura del giudizio degli altri; • free-riding: si tratta di un’espressione inglese che significa letteralmente “correre senza pagare”. Descrive il comportamento di alcuni elementi del gruppo che si appoggiano al lavoro degli altri, cercando di contribuire il meno possibile all'attività di gruppo. Lavorare in gruppo comporta necessariamente delle fasi di stretta interazione tra i membri. La riunione è lo strumento più diffuso per raggiungere tali finalità. Una riunione comporta un importante sforzo lavorativo sia per chi la organizza sia per chi vi partecipa. Pertanto, è opportuno chiedersi sempre se la riunione sia realmente necessaria. La buona riuscita di una riunione si determina già con la scelta dell’orario, che deve essere accessibile a tutti, e con la scelta del luogo, che deve essere accogliente e funzionale al tipo di riunione da effettuare. È importante convocare alla riunione solo le persone che effettivamente sono coinvolte negli argomenti oggetto di discussione. In ogni caso, occorre evitare riunioni con pochi partecipanti (sotto i cinque), che potrebbero essere improduttive, o con numerosi partecipanti (sopra gli otto/dieci), che potrebbero essere dispersiva e inconcludenti. Esistono diversi tipi di riunione. • Riunioni di informazione discendente: un membro del gruppo comunica informazioni agli altri membri. In questo tipo di riunione, colui che comunica informazioni è in una posizione di partecipazione attiva, mentre il resto dei componenti e in una condizione di passività: per tale motivo possono risultare talvolta noiose e controproducente. In alternativa si sarebbe potuto pensare alla semplice distribuzione di una nota informativa scritta, schematica o ben dettagliata. • Riunioni di informazione ascendente: sono riunioni molto importanti in cui i partecipanti riportano al leader i risultati del loro lavoro, le criticità e gli aspetti positivi che hanno incontrato. In altre parole, si tratta di una riunione di feedback su ciò che è stato svolto. sulle modalità e sull’efficacia dell’apprendimento di uno studente. Quando i fattori hanno una certa configurazione, ossia assumono un insieme di valori specifici, allora l’apprendimento di un determinato studente viene favorito. L’insieme dei valori assunti dai fattori identifica lo stile di apprendimento dello studente. Ovviamente, questi valori variano da studente a studente; per tale motivo si afferma che ciascuno studente ha un proprio stile di apprendimento. Per identificare lo stile di apprendimento di uno studente, i Dunn utilizzano un questionario. Al termine della compilazione del questionario, è possibile assegnare un valore a ciascun fattore. Allo stato attuale esistono quattro versioni del questionario: ognuna di esse è specifica per un intervallo di età dello studente (dai 7 ai 9 anni, dai 10 ai 13 anni, dai 14 ai 18 anni e oltre i 18 anni). I fattori individuati dai due studiosi sono raggruppati in cinque ambiti: • Fattori ambientali: nell’ambito ambientale sono collocati quattro fattori che possono influenzare l’apprendimento. Un primo fattore è il suono. Tale fattore può variare tra due valori estremi che sono l’assoluta preferenza per un ambiente silenzioso, oppure l’assoluta preferenza per un ambiente rumoroso. Un secondo fattore è costituito dalla temperatura dell’ambiente. Alcuni studenti apprendono meglio in un ambiente fresco, altri sono più produttivi in un ambiente caldo. Un terzo fattore è costituito dalla luminosità dell’ambiente. Alcuni studenti pensano meglio con un’illuminazione soffusa, mentre altri rischiano di addormentarsi nella medesima condizione; altri ancora restano concentrati solo se l’ambiente è molto luminoso. Infine, un fattore importante è il design dell'aula. Con questo fattore si fa riferimento al modo con il quale l'aula è arredata e alla collocazione che gli arredi anno al suo interno. Ad esempio, alcuni studenti possono apprendere meglio in un ambiente informale, mentre altri in un ambiente formale, consegne rigide, banchi e cattedra. • Fattori emotivi: tra i fattori emotivi si riconosce la motivazione che è indice della volontà del soggetto di apprendere determinate conoscenze e abilità. Maggiore è la motivazione dell’apprendente e maggiore sarà lo sforzo che questi è disposto a profondere e il tempo che è intenzionato a impegnare per raggiungere la padronanza di un apprendimento. Vi possono essere studenti motivati e studenti meno motivati chiamo bisogno di motivazione. Un secondo fattore è la persistenza la quale indica se lo studente tende a lavorare ininterrottamente sul compito assegnato fino a portarlo a conclusione, oppure se è orientato a fare delle pause periodiche e ritornare su un compito in un momento successivo. Gli studenti poco persistenti tendono a elaborare il loro apprendimento sotto un profilo globale, apprendendo un argomento dapprima globalmente, mediante la perdonanza dei concetti generali e fondamentali, per poi spostarsi ai dettagli. Viceversa, gli studenti molto persistenti tendono a essere analitici, ossia a studiare passo dopo passo, prima di giungere a una comprensione globale dell’argomento. Un terzo fattore è la responsabilità. Uno studente è tanto più responsabile, quanto più i compiti che deve fare coincidono con quelli che vuole fare. Per gli studenti non responsabili, occorre essere poco direttivi, ossia dare poche e semplici istruzioni, garantendo loro una certa libertà nell’ambito del compito da svolgere. Inoltre, occorre spiegare loro perché il compito che svolgono è importante e perché esso è necessario per la prosecuzione dei loro studi con successo. Infine, per struttura dell’insegnamento si intende un insieme di attività che il docente attua durante l’insegnamento (fornire indicazioni, proporre compiti, fornire feedback costanti, assistere gli studenti). Quando sono presenti tutte queste attività, i Dunn asseriscono che è presente una struttura dell’insegnamento. • Fattori sociologici: un primo importante fattore sociologico individua se lo studente preferisce apprendere da solo o con i pari ruolo (ossia con altri studenti). In tal caso, il docente può orientarsi verso le metodologie di apprendimento cooperativo, nell’ambito delle quali gruppi di studenti si suddividono compiti oppure hanno l’obiettivo di sopportarsi a vicenda nell’apprendimento. Un secondo aspetto importante è relativo al ruolo che il docente deve interpretare. A tale proposito, esiste un fattore che nel modello dei Dunn è chiamato autorità. Vi sono studenti che sono portati a riconoscere il ruolo autorevole del docente, in quanto adulto con maggiore esperienza e con una conoscenza approfondita dell’oggetto di studio. Viceversa, vi sono altri studenti che rifiutano un insegnante autoritario e vogliono prendere parte in prima persona alla negoziazione delle attività che verranno realizzate per favorire l’apprendimento. In questo caso il docente deve avere uno stile più collegiale, coinvolgendo gli studenti nelle decisioni, abbassando al minimo il suo livello di supervisione delle attività. Il terzo e ultimo fattore descrive la varietà dei modi di apprendimento dello studente. Alcuni studenti non sono in grado di apprendere in modo vario, ma hanno bisogno di procedere con maggiori certezze nelle loro esperienze di studio. Pertanto, se questi studenti si abituano a un tipo di approccio (lavorare in solitudine), allora è bene che continuino ad attuare questa strategia che promette loro il maggiore successo. • Fattori fisiologici: la prima variabile essenziale inclusa nei fattori fisiologici è la percezione, la quale si suddivide in quattro fattori. ▪ Stile uditivo: gli studenti apprendono soprattutto dall’ascolto, pertanto sono avvantaggiati dal più classico degli stili di insegnamento (lezione frontale). ▪ Stile visivo: gli studenti apprendono attraverso la vista. Il loro apprendimento è massimo quando l’informazione è presentata mediante diagrammi, immagini e grafici. ▪ Stile tattile: lo studente ha molta dimestichezza con i movimenti fini e di precisione, fatti con le mani o con le dita. Ad esempio, si tratta di studenti a cui piace scrivere. In altre parole, fissano bene i concetti nella mente quando è permesso loro di riassumerli scrivendo e per tale motivo sono studenti che riescono a prendere appunti dettagliati durante le lezioni. ▪ Stile cinestesico: uno studente apprende soprattutto dalla sperimentazione concreta, dall’interazione con l’ambiente circostante, dal quale riceve sensazioni visive, uditive e tattili. Apprendono se svolgono attività con i compagni, come esperimenti nelle materie scientifiche o drammatizzazioni nelle discipline umanistiche. Per loro, l’esperienza diretta, collegata alla vita quotidiana, è il veicolo preferenziale di apprendimento. Un altro fattore importante è indicato come assunzione. Ci si riferisce alla necessità per lo studente di ingerire cibo, di sgranocchiare qualcosa, di mangiucchiare durante l'apprendimento. In alternativa, si può avvertire la necessità di bere o sorseggiare una bevanda, oppure di masticare un chewing-gum. Si possono collocare in questa categoria anche quegli studenti che sono soliti mordere tappi, matite o penne mentre sono concentrati nell’apprendimento. Un’altra variabile essenziale è il tempo. In questo caso si cerca di individuare quel periodo del giorno nel quale l’energia dell’alunno sono al loro picco massimo. Se uno studente preferisce la mattina, allora quello è il periodo nel quale il docente deve introdurre nuovi argomenti e nel quale deve svolgere i test. Se lo studente preferisce la sera, allora il docente deve introdurre nuovi argomenti e svolgere i test nelle ore pomeridiane di lezione che preludono al picco di apprendimento serale. Alla variabile tempo si accompagnano altri due fattori. Un primo fattore specifico è teso a investigare se lo studente raggiunga il picco dell’energia nella tarda mattinata. Un secondo fattore specifico vuole accertare se tale picco sia raggiunto il pomeriggio. Un altro fattore che può inibire o facilitare l’apprendimento è l’abilità di restare fermi per periodi di tempo lunghi oppure brevi. In questo caso, si parla di fattore di mobilità. Può accadere di incontrare studenti che hanno bisogno di muoversi molto, durante le attività di apprendimento. Quando tali attività hanno luogo in classe, questi studenti possono arrecare disturbo al docente oppure compagni e spesso vengono indicati come iperattivi. L’iperattività è un disturbo legato all'attenzione, che diagnosticabile clinicamente da un medico e non va confuso con la semplice necessità di muoversi e di non riuscire a restare fermi per lungo tempo. Talvolta, un alto livello di mobilità in uno studente e sintomo di uno scarso interesse. • Fattori psicologici: un primo fattore psicologico è relativo all’elaborazione dell’informazione. Con esso è possibile distinguere gli studenti che tendono a un’elaborazione globale dell’informazione e quelli che preferiscono un’elaborazione analitica dell’informazione. Il secondo fattore dell’ambito psicologico descrive le modalità di agire dello studente di fronte a uno stimolo di apprendimento. Esistono studenti impulsivi che si buttano a capofitto nello stimolo, e quindi provano in modo impulsivo a risolvere il problema, attaccano la risoluzione senza pensare molto alle conseguenze della strategia scelta. Viceversa, vi sono studenti riflessivi, che non trasformano subito i loro pensieri in azioni. Questi studenti pianificano ogni tipo di intervento e non si lasciano trasportare dall'impeto; valutano bene le implicazioni di ogni azione che si prefiggono di svolgere. Lo stile di apprendimento di uno specifico soggetto può subire modifiche con il passare del tempo. In altre parole, uno studente non ha il medesimo stile di apprendimento durante la sua intera carriera scolastica. L'importante è proporre modalità di apprendimento adeguate al soggetto di cui si conosce lo stile di apprendimento in un determinato momento. A dimostrazione di ciò, i risultati dell'apprendimento, misurati mediante test oggettivi, danno un riscontro netto: gli esiti migliori sono tenuti da quegli studenti che hanno seguito un corso di lezioni impostato secondo quello che loro stessi considerano il proprio stile di apprendimento. Pertanto, è fondamentale che il docente adotti uno stile di insegnamento che possa andare incontro agli stili di apprendimento dei discenti. Tuttavia, è piuttosto scontato che in una classe possono ritrovarsi studenti che hanno stili di apprendimento distinti, a volte opposti. In questo caso, l'abilità del docente sta nell'organizzare il lavoro in classe, in modo che vengano svolte da ciascuno studente delle attività che favoriscano il suo apprendimento. In altre parole, il docente deve adottare, di volta in volta, le metodologie didattiche in modo da personalizzare l’apprendimento di ciascuno studente. Il modello di Neil Fleming Il modello di apprendimento VARK di Neil Fleming riprende i fattori percettivi del modello elaborato dai coniugi Dunn. VARK è l’acronimo delle parole Visual, Aural, Read/write e Kinesthetic, le quali si riferiscono a quattro stili di apprendimento. VARK è un modello la cui impostazione è in prevalenza fisiologica; esso si basa su caratteristiche biologiche. In questo caso, le caratteristiche principali sono i sensi (vista, udito, tatto). Tuttavia, alla sensazione si lega in modo immediato la percezione, come elaborazione iniziale di tipo cognitivo dei segnali provenienti dall’ambiente esterno e recepiti dai sensi. Un Visual Learner preferisce osservare immagini e diagrammi per apprendere al meglio. Un Aural Learner è avvantaggiato in prevalenza dell’ascolto, mentre un Reader/writer riconosce nel testo (letto o scritto) il migliore veicolo di approccio alla conoscenza. Infine, un Kinesthetic Learner trova naturale apprendere mediante l’esperienza diretta e la pratica. Il modello ha profonde implicazioni dal punto di vista dell’attività didattica predisposta dal docente. La personalizzazione del percorso di apprendimento risiede soprattutto nel favorire gli studenti attraverso i canali comunicativi che preferiscono. Per evitare l'insuccesso scolastico e per favorire le loro abilità cognitive, il docente deve realizzare materiali di apprendimento e verifiche personalizzate che possano andare incontro alle caratteristiche di tutti gli studenti; ed inoltre deve impostare la lezione cercando di coinvolgere attivamente gli studenti. Un lavoro di questo genere comporta, per il docente, difficoltà e impegno in termini di energie e tempo. Tuttavia, è utile rimarcare come le nuove tecnologie permettano al docente di risparmiare tempo nel realizzare materiali didattici piuttosto elaborati, che tengano conto delle esigenze di tutti gli studenti. Nella fase iniziale delle sue ricerche, Fleming mette a punto un questionario mirato a individuare lo stile di apprendimento di uno studente. Lo scopo dello studioso è quello di creare un questionario che rappresenti uno spunto per aprire una discussione tra docenti e studenti sui modi migliori per apprendere. Il questionario si compone di 13 domande a risposta multipla e ogni domanda ha quattro opzioni di risposta. Ciascuna delle quattro alternative è legata a uno dei quattro stili di apprendimento dell’alunno. Per ogni domanda lo studente può segnare una o più risposte, se le ritiene rispondenti alle sue attitudini, oppure non indicare alcuna risposta. Il profilo dello studente si ottiene sommando le risposte segnate per ciascuno stile. Fleming nota che il questionario mette in evidenza diversi casi: • Preferenza singola: in questo caso, emerge la netta prevalenza di uno stile di apprendimento, mentre gli altri stili sono minoritari e relativi a canali comunicativi poco sfruttati dallo studente. In alcune circostanze, uno degli stili minoritari può risultare addirittura inibito, nel senso che esso raccoglie nessuna o solo una preferenza nel questionario. La presenza di stili inibiti può essere un campanello di allarme qualora lo studente si trovi di fronte ad un docente il cui stile di insegnamento privilegia proprio il canale inibito. • Preferenza doppia: in questo caso, emerge la netta prevalenza di due stili di apprendimento sugli altri. In particolare, due stili hanno un congruo numero di preferenze e differiscono poco tra loro, mentre si distinguono dagli altri stili minoritari. Si tratta della prima categoria di studenti multimodali. • Preferenza tripla: emerge la netta prevalenza di tre stili di apprendimento su uno minoritario. In particolare, tre stili hanno un congruo numero di preferenze e differiscono poco tra loro, mentre si distinguono dall'altro per un numero di preferenze significativo. Si tratta di un’altra categoria di studenti multimodali. • Il profilo VARK: nel caso del profilo VARK non vi è una netta preferenza di nessuno stile di apprendimento. Si è di fronte al soggetto multimodale per eccellenza. Tuttavia, in tale profilo, è possibile distinguere due casi: ▪ Profilo VARK-Tipo 1: indica uno studente che riesce a selezionare la sua preferenza di volta in volta. Questo studente esamina la situazione e sceglie il canale che meglio si addice ad essa. ▪ Profilo VARK-Tipo 2: è proprio di un alunno che bisogno di utilizzare tutte le modalità comunicative per raggiungere un apprendimento completo. Difatti, egli non riesce ad attivare il canale specifico di un contesto, ma mantiene aperti tutti i canali. Ciò può comportare un tempo maggiore per la comprensione; tuttavia, quando questa viene acquisita, presenta i caratteri della profondità e della completezza. Il questionario di Fleming è uno strumento a disposizione dei docenti, in quanto permette loro di aprire un canale comunicativo con gli studenti sul loro stile di apprendimento. Tuttavia, Fleming ha l’idea di somministrare il medesimo questionario anche ai docenti. In questo caso, il risultato porta il docente a un’auto-riflessione, consentendo al docente di mettere a confronto il risultato del suo questionario con quello di altri insegnanti, in modo da dare vita a una discussione costruttiva tra i colleghi, e con quello degli studenti, per capire quanto il suo stile di insegnamento sia adatto alle caratteristiche della classe. Il modello Richard Felder Felder pubblica uno studio condotto tra gli studenti e i docenti delle facoltà di ingegneria americane. Il suo intento è quello di individuare delle coordinate universali che possano descrivere gli stili di apprendimento degli studenti e contemporaneamente dei corrispondenti stili di insegnamento dei docenti che possano risultare idonei per gli studenti. Per identificare gli stili di apprendimento degli studenti, Felder inizia con il definire il processo di apprendimento, suddividendolo in due fasi: • La ricezione dell’informazione: l’informazione esterna viene recepita e osservata dai sensi e richiama l’informazione già posseduta; • L’elaborazione dell’informazione: processo di memorizzazione, ragionamento, uno schema di interazione con gli altri, una riflessione; A seconda di come uno studente e gestisce questi due passaggi, è possibile classificare il suo stile di apprendimento. In particolare, Felder individua cinque dimensioni dello stile di apprendimento. Ciascuna dimensione prevede due stili complementari, che hanno caratteristiche distinte e alternative. Lo stile di apprendimento di uno studente si descrive percorrendo le cinque dimensioni e scegliendo in ciascuna di esse quello dei due stili complementari che maggiormente si addice allo studente. • La dimensione della percezione (stile sensoriale o intuitivo): usare la sensazione vuol dire osservare e raccogliere informazioni attraverso i sensi ed elaborare percezioni che siano direttamente connesse con tali informazioni. Gli studenti che sono propensi a questa impostazione vengono detti apprendenti sensoriali. Viceversa, adoperare l’intuizione vuol dire andare oltre quello che i sensi ci mostrano. L’intuizione apre la strada all’immaginazione, all’istinto, alle elaborazioni inconsce, alle impressioni. In questo caso siamo in presenza di apprendenti intuitivi. Per assecondare lo stile percettivo di uno studente, occorre intervenire, sul piano dell'insegnamento, attraverso un'adeguata scelta di contenuti. Una didattica efficace, che voglia contemplare queste due categorie di studenti, deve essere improntata a presentare sia materiale concreto, come esperienze e dati di fatto, sia concetti più astratti, come modelli teorici e principi generali. • La dimensione dell’input (stile visivo o verbale): gli apprendenti visivi imparano dall'uso di diagrammi, grafici, immagini e da quanto viene proposto loro nel canale comunicativo di tipo visivo. Gli apprendenti verbali, invece, ricordano meglio ciò che ascoltano durante la lezione; pertanto preferiscono spiegazioni e dimostrazioni orali. Quando un docente presenta i contenuti oralmente o con testi scritti, allora favorisce principalmente gli apprendenti verbali. In questo caso l’insegnante ha uno stile di insegnamento verbale; viceversa, quando presenta i contenuti con presentazioni o dispense, utilizzando diagrammi e simboli, allora ha uno stile di insegnamento visivo. • La dimensione dell’organizzazione (stile induttivo o deduttivo): l'induzione è una modalità di ragionamento che parte da fatti particolari, come le osservazioni e i dati sperimentali, per raggiungere regole e leggi generali incardinate in teorie organiche. La deduzione è il modo di ragionare inverso rispetto all'induzione, pertanto si parte dalla conoscenza di regole generali per spiegare, alla luce di queste ultime, le osservazioni sperimentali e i casi particolari. In base ai dati in possesso di Felder durante lo studio della sua versione iniziale del modello, una netta maggioranza degli studenti ha uno stile di apprendimento induttivo. Ciò è giustificato dal fatto che l'induzione, come accennato, è il processo che di solito porta l'uomo alla conoscenza. Gli studenti con stile di apprendimento induttivo preferiscono osservare inizialmente i fatti concreti e muoversi gradualmente verso leggi teoriche e principi generali di tipo astratto. Gli studenti con lo stile di apprendimento deduttivo sono una minoranza. Essi preferiscono la linearità e l'ordine del percorso deduttivo, nel quale non si incontrano difficoltà impreviste, non si fanno letture errate dei dati sperimentali e non vi è bisogno di prove successive per giungere alle leggi generali. Se un docente utilizza un percorso induttivo nell’organizzazione del curricolo disciplinare degli studenti, allora egli usa uno stile di insegnamento induttivo. L’insegnante organizza una successione di argomenti e un insieme di collegamenti tra di essi che porta lo studente dall’osservazione concreta e dall’analisi di dati sperimentali, verso la codifica di leggi universali. Nel secondo caso il docente organizza la successione degli argomenti partendo dai principi generali, fino a giungere alle applicazioni contestualizzate e ai casi particolari. Nonostante un imponente lettura scientifica sostenga l’efficacia dell’insegnamento induttivo, poiché favorisce le abilità di ragionamento astratto, quello deduttivo resta lo stile di insegnamento più diffuso. In conclusione, avendo dati che indicano una prevalenza di scelte deduttive da parte degli studenti, i docenti si sentono ancora più autorizzati a perseguire un insegnamento di tipo deduttivo e a non aggiornare e potenziare la loro didattica, restando ancorati a vecchie concezioni dell’insegnamento. Per tale motivo, Felder rimuove la dimensione dell’organizzazione del modello; egli la ritiene fuorviante sia per gli studenti sia per i docenti. • La dimensione dell’elaborazione (stile attivo o riflessivo): gli apprendenti attivi si trovano a loro agio sperimentando, osservando l’ambiente circostante e lavorando in gruppo con gli altri. Non apprendono molto da situazioni o da lezioni nelle quali restano passivi e non possono operare direttamente. Gli apprendenti riflessivi preferiscono la possibilità di soffermarsi su quanto affermano intorno al loro, per cercare idee risolutive e chiavi di lettura. Lavorano da soli o con persone con le quali hanno un forte affiatamento. Non apprendono se durante la lezione non è data loro la possibilità di soffermarsi sui nuovi concetti presentati e su come questi si collegano agli apprendimenti precedenti. Questa dimensione prevede due stili di insegnamento che sono l’uno l’opposto dell’altro: lo stile di insegnamento attivo e lo stile di insegnamento passivo. Il primo viene definito come una strategia di apprendimento nella quale lo studente in classe è chiamato a fare qualcosa di diverso da vedere e osservare. Viceversa, lo stile di insegnamento passivo, prevede che gli studenti ascoltino e osservino quanto viene presentato dal docente, senza la possibilità di interagire. • La dimensione della comprensione (stile sequenziale o globale): durante un corso relativo all’insegnamento di una certa disciplina, la presentazione dei contenuti di apprendimento è generalmente sequenziale. In altre parole, gli argomenti sono organizzati secondo una sequenza logica. L’apprendimento di un certo contenuto e funzionale e propedeutico all’apprendimento del contenuto successivo. Gli apprendenti che riescono a seguire senza grandi difficoltà un curricolo strutturato in questo modo sono detti apprendenti sequenziali. Tuttavia, l'organizzazione del curricolo o di un corso secondo questa logica presenta una criticità. Nel presentare i contenuti, frazionati in parti, non si offre agli studenti un quadro complessivamente e globalmente e coerente. Gli apprendenti globali, invece, trovano difficoltà nel seguire un curricolo che si sviluppa secondo una logica sequenziale. Sono insicuri nell'apprendimento fino a quando non raggiungono il pieno controllo di quanto stanno apprendendo. Per tale motivo, non sono a loro agio con materiali di apprendimento che tralasciano alcuni aspetti o parlano in modo superficiale di alcuni contenuti. Essi preferiscono osservare la situazione direttamente dalla prospettiva più complessa, nella quale sono in gioco tutte le variabili. La maggioranza dei docenti a uno stile di insegnamento sequenziale, seguendo libri di testo che seguono tale impostazione, per realizzare i curricoli che hanno una struttura sequenziale. Il problema nasce su come riuscire ad avvantaggiare gli apprendenti globali. Un insegnante potrebbe presentare le finalità e gli scopi generali della lezione, assegnare problemi che portino a più soluzioni, incoraggiare l’utilizzo di metodi alternativi, o collegare i contenuti ad altre discipline. In collaborazione con Barbara Salomon, Felder ha messo a punto l’Index of Learning Styles (ILS), ossia l’indice degli stili di apprendimento. Si tratta di un questionario che può essere compilato via web. Al termine della compilazione viene restituito un profilo dell’apprendente in cui sono valutate le sue preferenze per ciascuno dei quattro domini della versione attuale del modello. Lo strumento è liberamente utilizzabile per i docenti che vogliono valutare il modo migliore di insegnare nella loro classe o per singoli individui che vogliono conoscere il loro stile di apprendimento. I disturbi specifici di apprendimento I disturbi specifici di apprendimento (DSA), disciplinate dalla legge 170/2010, sono disturbi di carattere evolutivo che interessano abilità coinvolte nelle attività scolastiche, come la lettura, la scrittura e il calcolo. Per tale motivo, molto spesso, l’evidenza iniziale di questi disturbi viene riscontrata proprio nell’ambito scolastico. È bene precisare che il funzionamento cognitivo degli studenti che ne soffrono e nella norma, pertanto essi non sono disabili. In generale, una lingua viene espressa sia in forma parlata sia in forma scritta. Alla base delle modalità di espressione di una lingua vi sono i grafemi e i fonemi. I grafemi sono i segni con i quali la lingua viene scritta (l’alfabeto), mentre i fonemi sono i suoni vocali che vengono associate grafemi. Con il termine trasparenza linguistica o, più propriamente, trasparenza fonologica, si indica la corrispondenza tra grafemi e fonemi. Una lingua trasparente è una lingua in cui esiste una corrispondenza alta tra come una parola si scrive e come si pronuncia (inversamente viene definita lingua opaca). L’italiano è una lingua molto trasparente. All’aumentare del livello di opacità di una lingua, aumenta la necessità di svolgere una procedura detta compitazione (in inglese spelling). La lettura e la scrittura sono aspetti essenziali nello studio di una lingua. Lo svolgimento di compiti di lettura e scrittura può risultare semplificato nelle lingue trasparenti. Tuttavia, esistono delle specificità della nostra lingua che portano spesso a commettere degli errori durante lo svolgimento di compiti. Nella scrittura, e analogamente nella lettura, si possono distinguere tre categorie di errori ortografici: • Gli errori fonologici sono quelli nei quali non si associa correttamente il fonema al grafema scritto. Tra questi errori riconosciamo: gli scambi di suono (si scambia p con b e viceversa); le riduzioni di gruppo (corte viene sostituito da cote); le riduzioni di dittonghi (siepe viene sostituito con sepe); le aggiunte di suoni (corte diventa carote); le omissioni di suoni (carote diventa carte); le inversioni (tavolo diventa talovo); le migrazioni (cinema diventa cimena); l’uso di un grafema inesatto (magi al posto di maghi); • Gli errori fonetici sono quelli nei quali l’associazione grafema-fonema non rispetta la giusta intensità ottenuta dei suoni. Tra questi riconosciamo: l’omissione di doppie, l’aggiunta di doppie, l’omissione di accento, l’aggiunta di accento. • Errori non fonologici, ossia gli errori in cui non sono rispettate le regole ortografiche come: l’omissione o l’aggiunta dell’h, l’omissione o l’aggiunta dell’apostrofo, la fusione illegale, la separazione illegale, lo scambio di un grafema con un altro omofono. Nella International Classification of Diseas (ICD) stilata dall’OMS, i DSA sono inseriti nella categoria F, che raggruppa i disturbi della mente e del comportamento, più precisamente nella sottocategoria F81 che comprende i disturbi evolutivi specifici delle abilità scolastiche. Si tratta di disturbi molto più frequenti nei ragazzi che nelle ragazze. Per la diagnosi di tali disturbi occorre accertarsi che le prestazioni siano significativamente inferiori al livello previsto in base all’età e all’intelligenza. In particolare la legge individua quattro tipologie: • Dislessia: difficoltà nell’imparare a leggere, ovvero nella correttezza e nella rapidità della lettura. • Disgrafia: difficoltà nella realizzazione grafica. Pertanto questo disturbo interessa la grafia (e non l’ortografia). I segnali che la mettono in evidenza sono una scarsa agilità del movimento della mano e una bassa qualità dell’aspetto grafico della scrittura. • Disortografia: difficoltà nei processi linguistici di transcodifica. Si tratta di un disturbo che riguarda la correttezza della scrittura secondo le regole del codice linguistico e non secondo l'aspetto grafico. • Discalculia: difficoltà negli automatismi del calcolo e della elaborazione dei numeri. Si tracciano due componenti dell’abilità di calcolo: l’organizzazione della cognizione numerica, ossia l’intelligenza numerica di base, i meccanismi di quantificazione, la comparazione, le strategie di calcolo a mente; le procedure esecutive e di calcolo, come la lettura e la scrittura di numeri, l’incolonnamento, il recupero dei fatti numerici e gli algoritmi del calcolo scritto vero e proprio. I quattro disturbi specifici dell’apprendimento finora illustrati possono anche presentarsi insieme in un soggetto. In casi di comorbilità, la classificazione ICD descrive il disturbo misto delle capacità scolastiche che comprende disturbi nei quali “sia le funzioni aritmetiche che la lettura o la compilazione sono significativamente alterate”. A riguardo della diagnosi e individuazione dei DSA, la prima fase della procedura ha luogo nell’ambiente scolastico. L’osservazione svolta dagli insegnanti ha ruolo fondamentale per individuare i casi di DSA e soprattutto nei primi anni di istruzione. Possono nascere sospetti quando vi sono evidenti ritardi o anomalie nei processi di sviluppo dell’alunno; tali ritardi devono essere sempre definiti sulla base dell’età anagrafica del soggetto e della media dello sviluppo delle abilità riscontrate negli altri alunni della classe. Durante la fase di osservazione, il docente può decidere di sottoporre l’alunno a un test standardizzato per avere conferma delle sue ipotesi. Questo passaggio non è strettamente necessario. Tuttavia, la somministrazione del test può dare ulteriore conferma all’insegnante dei suoi sospetti. Quando il docente prende in seria considerazione la possibile presenza di un DSA, allora è importante che individui un percorso specifico di recupero delle abilità ed entri in contatto con la famiglia dell’alunno. Nei primi due anni della scuola primaria circa il 20% degli alunni presenta difficoltà nelle abilità di base legate alla lettura, alla scrittura e al calcolo, ma sono il 3-4% di essi è realmente affetto da un DSA. Tener conto di ciò evita che vengano segnalati al servizio sanitario nazionale come affetti da DSA bambini che in realtà hanno difficoltà che rientrano nella norma. Qualora le difficoltà dovessero permanere anche al termine di interventi prolungati di recupero delle abilità, allora le istituzioni scolastiche devono provvedere a segnalare il problema alle famiglie, consegnando una lettera descrittiva delle difficoltà riscontrate, al fine di avviare il percorso per la diagnosi. Si tenga presente che la comunicazione formale include anche un invito a ricorrere ad uno specialista per accertare la presenza o meno di un DSA. In seguito alla comunicazione pervenuta dalla scuola, la famiglia può decidere di intraprendere il percorso della diagnosi e della successiva certificazione. La certificazione diagnostica viene fatta da un’équipe multidisciplinare composta da neuropsichiatri infantili, psicologi, logopedisti e altre figure professionali. Una volta che il DSA è stato diagnosticato, la struttura preposta emette una certificazione diagnostica, ossia un documento, con valore legale, che attesta il diritto dell’interessato ad avvalersi di una serie di misure previste tra la legge. A livello scolastico, lo studente avrà diritto a ricevere una programmazione educativa e didattica che tenga conto delle difficoltà del soggetto e preveda l’applicazione mirata delle misure previste dalla legge. Di solito è utile aggiornare il profilo della certificazione con durata triennale. Nel caso degli studenti con DSA il canale legato al testo (da leggere o da scrivere) è molto inibito. Pertanto, il loro stile di apprendimento prevede che essi possano imparare in qualità di apprendenti visibili, come apprendenti uditivi o come apprendenti cinestesici. Le metodologie didattiche, gli interventi formativi, le misure e gli strumenti, che la scuola ha intenzione di adottare per garantire il successo formativo dell'alunno con DSA, sono riportati nel Piano Didattico Personalizzato (PDP). Tale piano deve riportare i dati anagrafici dell’alunno, la tipologia di disturbo, ed inoltre per ciascuna delle discipline coinvolte nel disturbo bisogna esplicitare: • Attività didattiche individualizzate: se un docente è nella situazione di dover far raggiungere a un intero gruppo di studenti degli obiettivi prefissati e comuni per tutti, allora si dice che egli adotta una didattica individualizzata. In questo caso, è noto che non tutti gli studenti hanno le medesime caratteristiche cognitive; ciascuno di essi ha un proprio stile di apprendimento. In questo modo raggiungeranno l’apprendimento solo quelli che hanno una certa compatibilità con lo stile didattico scelto dall’insegnante. Nel concreto per dar vita a una didattica individualizzata occorre che l'insegnante prenda in considerazione le caratteristiche di ogni singolo alunno, evidenziandone i tratti comuni, ed effettuando una proposta didattica che globalmente si possa adattare al gruppo. • Attività didattiche personalizzate: la didattica personalizzata si applica quando si vogliono far emergere le potenzialità insite in ciascuno degli studenti. Per realizzare tale didattica vi deve essere la disponibilità di un pluralismo di percorsi mirati a formare profili cognitivi educativi e professionali diversi, vi deve essere la possibilità di scelta del percorso più adeguato tenendo conto delle attitudini dello studente; inoltre, il docente deve fornire allo studente il necessario supporto didattico per far emergere il suo talento. • Strumenti compensativi utilizzati: la L. 170/2010 prevede che le scuole garantiscano, per gli studenti con DSA, l’introduzione di strumenti compensativi, ossia strumenti didattici e tecnologici che sostituiscono o facilitano la prestazione richiesta nell’abilità deficitaria. Lo scopo di questi strumenti è quello di ridurre il divario di partenza delle abilità dell'alunno con DSA, rispetto alle abilità che possono mettere in campo i suoi compagni di classe. In questo modo, nello svolgimento del compito, l'alunno con disturbo specifico di apprendimento parte da una situazione analoga a quella dei compagni. Tra gli strumenti compensativi vi sono i computer, gli audiolibri, il vocabolario multimediale, e il registratore, i programmi di video scrittura con correttore ortografico, la calcolatrice, la tabella delle misure e delle formule geometriche. • Misure dispensative adottate: la L. 170/2010, inoltre, prevede che le scuole garantiscano, per gli studenti con DSA, l’introduzione di misure dispense da alcune prestazioni non essenziali ai fini della qualità dei concetti da apprendere. Ci si riferisce a interventi che consentono all'alunno di non svolgere alcune prestazioni che, a causa del disturbo, risultano particolarmente difficoltose e che non migliorano l'apprendimento (non è utile far leggere a un alunno con dislessia un lungo brano). • Forme di verifica e valutazione personalizzate: per la valutazione degli alunni con DSA, la legge 170/2010 si limita a stabilire il criterio generale che siano garantite, durante il percorso di istruzione e di formazione scolastica e universitaria, adeguate forme di verifica e di valutazione. La valutazione degli apprendimenti, incluse l’ammissione e la partecipazione all'esame finale del primo ciclo di istruzione, sono coerenti con il piano didattico personalizzato. In altre parole, le modalità di svolgimento delle verifiche devono consentire all’alunno di dimostrare l’effettivo livello di apprendimento conseguito, mediante l’applicazione delle misure dispensative e degli strumenti compensativi programmati nel PDP. Per l’esame di Stato conclusivo del primo ciclo di istruzione è previsto che la commissione possa riservare agli alunni con DSA tempi più lunghi di quelli ordinari nonché l’utilizzazione di apparecchiature e strumenti informatici. Nel caso in cui la certificazione di DSA preveda la dispensa dalla prova scritta di lingua straniera, in sede di esame di Stato la sottocommissione stabilisce modalità e contenuti della prova orale sostitutiva. È cambiata invece la normativa relativa all'ipotesi in cui l'alunno con DSA sia stato esonerato in toto dall'insegnamento delle lingue straniere in casi di particolare gravità del disturbo. In ogni caso, nel diploma finale rilasciato al termine degli esami non viene fatta menzione delle modalità di svolgimento e della differenziazione delle prove. Per quanto riguarda la scuola del secondo ciclo, le regole per gli esami di Stato sono le stesse previste per gli esami conclusivi del primo ciclo. L’unica variante riguarda il caso in cui lo studente, su richiesta della famiglia e con l’approvazione del consiglio di classe, sia stato esonerato in toto dallo studio delle lingue straniere. In sede di esame di Stato, tale studente sostiene prove differenziate non equipollenti a quelle ordinarie, coerenti con il percorso svolto. Ma, come già avviene nel caso dello studente con handicap, tali prove sono finalizzate solo al rilascio dell'attestato di credito formativo recante gli elementi informativi relativi all’indirizzo e alla durata del corso di studi seguito, alle discipline comprese nel piano di studi, con l’indicazione della durata oraria complessiva destinata a ciascuna delle valutazioni, anche parziali, ottenuta in sede di esame. I bisogni educativi speciali - BES Il Regno Unito è stato uno dei primi paesi in cui si è iniziato a parlare di Bisogni Educativi Speciali affrontando la questione in una serie di interventi normativi, tra cui la Legge sull’Istruzione del 1996, la Legge dei BES e sulla Disabilità del 2001, e il Codice di Condotta di Novembre 2001. Nella legge del 1996 si stabilisce che gli alunni hanno BES se presentano una difficoltà di apprendimento che richiede l’adozione di misure educative speciali. Tali difficoltà di apprendimento si verificano se gli alunni hanno una difficoltà nell’apprendere superiore rispetto alla maggioranza degli alunni della stessa età; gli alunni hanno una disabilità che impedisce loro di fare uso dell’opportunità che sono offerte dalle istituzioni scolastiche inserite nel sistema di istruzione generale. Pertanto, rientrano nei BES sia le difficoltà di apprendimento sia la vera propria disabilità. La scuola deve andare incontro ai BES, tenendo conto del punto di vista dell’alunno, il quale deve avere pieno accesso all’istruzione garantendogli un curriculum adeguato. I genitori hanno un ruolo fondamentale nel supportare l’istruzione dell’alunno. Il modello diagnostico dell’ICF ha cambiato il concetto di disabilità. Più che sul concetto di menomazione di un soggetto, ci si è concentrati sull’osservazione di quanto un soggetto possa essere attivo e partecipativo in un particolare ambiente. Gli alunni con BES non sono solo quelli che hanno svantaggi biologici o psicologici (disabilità, DSA o altri disturbi evolutivi), ma anche gli studenti che presentano svantaggi causati dal contesto sociale. Anche nella normativa italiana, Direttiva del 27 dicembre 2012, si cerca di identificare le categorie di studenti che presentano BES, affermando che esiste un'area dello svantaggio scolastico. In ogni classe ci sono alunni che presentano una richiesta di speciale attenzione per una varietà di ragioni. Possiamo avere: • Gli studenti con disabilità (L.104/1992) • Gli studenti con DSA (L.170/2010) • Gli studenti con altri disturbi evolutivi specifici. In particolare la direttiva menziona: ▪ Disturbi evolutivi specifici dell’eloquio e del linguaggio: sono disturbi in cui l'acquisizione delle normali abilità linguistiche è compromessa sin dai primi stadi dello sviluppo. Tali disturbi sono spesso seguiti da problemi associati, come difficoltà nella lettura e nella compitazione, anomalie nelle relazioni interpersonali e disturbi emotivi e comportamentali. ▪ Disturbi evolutivi specifici dell’articolazione dell’eloquio: l’uso dei suoni verbali da parte del bambino è al di sotto del livello appropriato alla sua età mentale, ma in cui vi è un normale livello delle abilità linguistiche. Poiché gli alunni che presentano tale tipologia di disturbi hanno principalmente una difficoltà nell'articolare l’eloquio, non sono favoriti nelle prove orali, pertanto si può permettere loro di esprimersi mediante elaborati scritti o mediante attività pratiche. ▪ Disturbi del linguaggio espressivo: tali studenti non riescono ad usare il linguaggio con ricchezze di espressione e di lessico, sia nella forma scritta che nella forma orale. Di conseguenza occorre fare leva soprattutto sulla componente visiva e quella cinestesica del loro stile di apprendimento. ▪ Disturbi della comprensione del linguaggio: tra i sintomi maggiori vi è l’incapacità di comprendere le strutture grammaticali e l’incapacità di comprendere gli aspetti più sottili del linguaggio. Bisogna sfruttare la componente visiva e cinestetica dello stile di apprendimento degli studenti. ▪ Disturbi evolutivi specifici della funzione motoria: è una grave compromissione dello sviluppo della coordinazione motoria. Facciamo riferimento a movimenti coreiformi (movimenti fluttuanti, continui e casuali) degli arti senza appoggio, o movimenti speculari ed altri aspetti motori associati. Questa categoria comprende la sindrome del bambino goffo, il disturbo evolutivo della coordinazione e la disprassia evolutiva. ▪ Disturbi Evolutivi Globali: gruppo di disturbi caratterizzati da compromissioni qualitative delle interazioni sociali e delle modalità di comunicazione e da un repertorio limitato, stereotipato e ripetitivo di interessi e di attività. Rientrano in questa categoria tutte le forme di autismo che presentano tre caratteristiche principali: o Compromissione qualitativa dell’interazione sociale: il soggetto autistico è incapace di apprezzare gli aspetti socio- emozionali dell’interazione con gli altri. Pertanto, la sua integrazione in un gruppo è molto difficile; o Compromissioni qualitative nella comunicazione: in una conversazione, il soggetto affetto da autismo difficilmente entra in sintonia con il suo interlocutore; o Interessi limitati, attività ripetitive e modelli di comportamento stereotipati: i soggetti autistici possono insistere sulla realizzazione di particolari azioni di routine, di specifici rituali che non hanno alcuna funzionalità. Possono avere preoccupazioni o paure stereotipate e interessi per dati specifici come orari, date e itinerari. Questi tre evidenti sintomi dell’autismo possono essere, distintamente, più o meno presenti in ciascun soggetto, determinando una varietà di forme di questo disturbo. Per tale motivo si parla spesso di spettro autistico. In merito alle strategie didattiche bisogna fornire istruzioni e informazioni chiare e concrete, cercare di programmare al meglio tutte le attività, avvisare lo studente di eventuali cambiamenti nella pianificazione o quando vi sarà un cambio di ambiente, cercare di introdurre dei processi di routine. ▪ Disturbi Ipercinetici: gruppo di disturbi caratterizzato da un esordio precoce (cinque anni), una mancanza di perseveranza nelle attività che richiedono un impegno cognitivo ed una tendenza a passare da un’attività all’altra senza completarne alcuna, insieme ad un’attività disorganizzata, mal regolata ed eccessiva. Quando al disturbo ipercinetico sono associati atti delinquenziali e aggressivi o, più in generale, un comportamento antisociale, allora si è in presenza del disturbo ipercinetico della condotta. Viceversa, quando non si verificano disturbi della condotta, si è in presenza di un disturbo delle attività e dell’attenzione. In questa categoria viene incluso anche il disturbo di iperattività con deficit dell’attenzione o disturbo del deficit dell’attenzione con iperattività (ADHD). Per quanto riguarda le metodologie didattiche, si tratta di apprendenti che preferiscono imparare dall'esperienza concreta e dalla pratica sul campo; impiega una grande energia nelle loro attività e preferiscono toccare, muoversi interagire con l'ambiente mentre apprendono. ▪ Funzionamento intellettivo limite: attraverso il WISC (scala Wechsler dell’intelligenza per i bambini), strumento utile per misurare abilità e intelligenza di un bambino, è possibile diagnosticare, attraverso la determinazione del quoziente intellettivo, e con un buon livello di precisione, eventuali DSA oppure particolari BES. L’espressione funzionamento intellettivo limite viene spesso denominato anche come intelligenza borderline. Tale casistica non è esplicitamente classificata come patologia o disturbo. Gli studenti con intelligenza borderline rappresentano una categoria in una condizione non facile, perché tra la “normalità” e il “ritardo”. Essi raramente presentano caratteristiche tali da poter rientrare nell'educazione speciale e fruire del supporto di un docente specializzato. Per tale motivo rappresentano una delle categorie che ha i più alti tassi di insuccesso nel sistema di istruzione. Diversi studi hanno mostrato che tali studenti, abbandonati al loro destino nell’ambito del sistema di istruzione, sono via via scivolati verso un funzionamento cognitivo sempre più limitato, ottenendo un abbassamento del loro QI, come risulta dai test. Tutti questi disturbi, quando non sono presenti in forme gravi, non possono essere certificati ne ai sensi della L.104/1992 come disabilità, e neanche ai sensi della L.170/2010 come DSA. Proprio per fornire all'istituzioni scolastiche opportuni strumenti di lavoro al fine di garantire il successo formativo anche di questi studenti, la direttiva del 27 dicembre 2012 menzione la possibilità di estendere, anche a loro, le disposizioni previste dalla L.170/2010. A tale proposito è intervenuta la nota prot. n.2563 del 22 novembre 2013 nella quale si afferma che “anche in presenza di richieste dei genitori accompagnate da diagnosi che però non hanno dato diritto alla certificazione di disabilità o di DSA, il consiglio di classe è autonomo nel decidere se formulare o non formulare un piano didattico personalizzato, avendo cura di verbalizzare le motivazioni della decisione”. La nota sembra ridurre il campo di applicazione della L. 170/2010 “ampliato” dalla direttiva. Pertanto, gli alunni con disturbi evolutivi speciali (che non siano di DSA) non possono fruire di misure dispensative in sede d’esame, pertanto è opportuno che, nella redazione del piano didattico personalizzato si adottino eventualmente le misure che non abituino l’alunno a fruire di agevolazioni che purtroppo non sono previste durante l’esame. • Gli studenti collocabili nell’area dello svantaggio socio-economico, linguistico e culturale. Gli studenti che rientrano in quest'area non hanno alcuna documentazione clinica e nessuna certificazione attestante disturbi evolutivi specifici da cui si possa innescare la costruzione di un piano didattico personalizzato. Il consiglio di classe può decidere un meno di adottare un PDP per lo studente, con i relativi strumenti compensativi e misure dispensative. Ad ogni modo il consiglio deve specificare nel verbale le motivazioni della sua scelta. Il PDP degli alunni afferenti all’area di svantaggio socioeconomico, linguistico e culturale presenta alcune limitazioni per il fatto che esso non nasce da una situazione clinica solitamente irreversibile. Nei percorsi personalizzati occorre privilegiare le strategie educative e didattiche. Gli strumenti compensativi e le misure dispensative hanno carattere transitorio e devono limitarsi alla sola attività didattica (dispensare un alunno straniero dalla lettura ad alta voce). Non si possono usare misure dispense particolari, come l’esonero dalle prove scritte di lingua straniera e ovviamente dall’insegnamento della lingua straniera. Anche questa categoria di alunni, in sede d’esame conclusivo del secondo ciclo, non possono fruire di misure dispense attive durante l’esame. La scuola in ospedale e l’istruzione domiciliare La legge 104/1992 prevede che ai minori disabili, in età di obbligo scolastico temporaneamente impediti per motivi di salute a frequentare la scuola, siano garantite l’educazione e l’istruzione scolastica. A tal fine, si provvede all’istruzione per minori ricoverati, di classi ordinarie quali sezioni staccate dalla scuola statale. A tali classi possono essere ammessi anche minori ricoverati nei centri di degenza, che non versino in situazione di handicap e per i quali sia accertata l'impossibilità della frequenza della scuola dell’obbligo per un periodo non inferiore a 30 giorni di lezione. La frequenza di tali classi è equiparata ad ogni effetto alla frequenza delle classi alle quali i minori sono iscritti. Tali servizi sono parte integrante del “protocollo terapeutico” del minore malato: sul piano personale permettono la prosecuzione delle attività di insegnamento e di apprendimento; sul piano psicologico contribuiscono ad alleviare lo stato di sofferenza (fisica e spirituale) derivante dalla malattia, sostenendo l’autostima e la motivazione del minore. Nel caso in cui il ricovero comprenda anche il periodo di effettuazione degli esami conclusivi, le prove vanno sostenute presso la scuola in ospedale. Un caso particolare si presenta quando si hanno studenti ricoverati, iscritti a scuole con discipline di indirizzo e con conseguenti attività laboratoriali, non presenti ordinariamente nell’offerta formativa delle sezioni ospedaliere. In tal caso, si suggerisce che, ferma restando l'esigenza di assicurare preliminarmente le discipline di base, l’erogazione della disciplina di indirizzo siano prerogativa, quando possibile, dei docenti della scuola di appartenenza degli stessi alunni, anche attraverso l’utilizzo integrato delle tecnologie. Il servizio di istruzione domiciliare può essere erogato ad alunni, i quali, già ospedalizzati a causa di gravi patologie, siano sottoposti a terapie domiciliari che impediscano la frequenza della scuola per un periodo di tempo non inferiore a 30 giorni. Anche in questo caso siamo in presenza La scuola in Italia nella prima metà del Novecento La Legge Orlando del 1904 rese obbligatoria l’istruzione fino al dodicesimo anno di età, prevedendo un “corso popolare” formato dalle classi quinta e sesta per quei ragazzi che non intendessero proseguire negli studi. Si aprì con rinnovata attenzione la questione della scuola successiva ai corsi di scuola primaria, con la proposta di una scuola media che fosse unica sia per coloro che proseguissero gli studi nel ginnasio e nel liceo sia per coloro che avessero scelto la strada degli istituti tecnici. Nel 1911 la Legge Daneo-Credaro introdusse norme importanti per assicurare il diritto all’istruzione anche nelle aree più povere. Le scuole elementari passarono alla diretta gestione dello Stato; la condizione dei maestri registrò un miglioramento perché fu fissata la retribuzione minima e fu istituito per loro il fondo pensionistico; i patronati scolastici diventarono obbligatori per fornire assistenza alle famiglie in difficoltà e nell’assicurare il soddisfacimento dell’obbligo di istruzione. Fu, inoltre, istituito il liceo moderno (successivamente denominato liceo scientifico), da affiancare al liceo classico. Si suole chiamare “riforma Gentile” tutto il complesso delle norme di sistema che riformarono la scuola italiana tra il 1923 e il 1928, quando fu emanato il Testo unico delle leggi sulla Pubblica Istruzione. L’istruzione scolastica fu resa obbligatoria fino ai 14 anni. L’alunno che terminava la scuola elementare, della durata di cinque anni, aveva quattro possibilità: il ginnasio, l’istituto tecnico, l’istituto magistrale, o la scuola complementare, di indirizzo tecnico, commerciale ed agrario, denominata poi scuola di avviamento professionale, che non consentiva l’ulteriore proseguimento negli studi e aveva la durata di tre anni. Gli elementi essenziali della riforma possono essere così schematizzati: • Riordinò l’istruzione classica la quale ha per fine di preparare alle università ed agli istituti superiori; Istituì l’istituto magistrale il quale ha per fine di preparare gli insegnanti nelle scuole elementari; Riordinò il liceo scientifico per sviluppare l’istruzione dei giovani agli studi universitari nelle facoltà di scienze e medicina; Istituì il liceo femminile che impartiva nozioni di cultura generale alle giovinette che non aspiravano agli studi superiori; Articolò l’istituto tecnico; Istituì l’esame di maturità per l’accesso all’università; Pose il limite di 35 alunni per classe; Istituì scuole speciali per ciechi e sordomuti; Confermò l’insegnamento obbligatorio della religione cattolica nelle scuole primarie. A riguardo della “questione cattolica”, il Concordato del 1929 comportava che l’insegnamento della religione cattolica sarebbe stato effettuato in tutte le scuole non universitarie, e non solo nelle scuole elementari. Chi non intendeva seguire l’insegnamento della religione cattolica era esonerato a richiesta. Gli insegnanti di religione dovevano essere riconosciuti dall’autorità ecclesiastica. La pagina più nera della scuola italiana fu scritta il 5 settembre 1938 quando entrò in vigore il regio decreto legge n. 1390, “Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista”. Alle persone di razza ebraica fu preclusa la possibilità di insegnare nelle scuole e nelle università; ai bambini e agli studenti ebrei fu vietata la frequenza delle scuole statali o legalmente riconosciute. Con il regio decreto legge 23 settembre 1938, n. 1630, furono istituite scuole elementari speciali per i fanciulli di razza ebraica, a cui erano ammessi insegnanti di razza ebraica. Alla fine degli anni Trenta, giudicando la Riforma Gentile più selettiva che nazionalpopolare, si arrivò alla riforma del ministro Bottai, contenuta nella Carta della Scuola del 1939. La Carta della Scuola sanciva l'obbligo scolastico di otto anni: dopo la scuola elementare si sarebbe introdotta la scuola media unica di tre anni, affiancata dalla scuola triennale di avviamento professionale. Si previde l'obbligatorietà della scuola materna per disciplinare le prime manifestazioni dell’intelligenza e del carattere dal quarto al sesto anno. Tale riforma rimase sostanzialmente inattuata per il sopraggiungere del secondo conflitto mondiale. La scuola in Italia nel secondo dopoguerra Nel dopoguerra, la Costituzione Repubblicana (1946) creò l'attuale sistema di democrazia parlamentare basata sul suffragio popolare. L’elaborazione più alta fu raggiunta nelle parti dedicate ai principi fondamentali ed ai diritti e doveri dei cittadini. Nel 1962, con l’ingresso dei socialisti nell’area di governo, si inaugurò la stagione del centro sinistra che varò due storiche riforme: la nazionalizzazione dell’energia elettrica e la scuola media unica obbligatoria. Riprendendo il filo del discorso di Bottai, fu sostituita la precedente scuola media triennale e i paralleli corsi di avviamento professionale con una scuola media uguale per tutti: si dava concretezza all'obbligo scolastico di otto anni rimasto per decenni solo una proclamazione di principio. Gli anni Sessanta furono gli anni del boom economico, con il passaggio dall’economia agricola a quella industriale e la migrazione di massa dalle campagne alle città. La frequenza scolastica pose progressivamente termine alla precocità del lavoro minorile. In generale, per la generazione nata dopo la guerra, la scuola fu sempre più intesa come strumento di ascesa sociale. Il Sessantotto fu la rivolta generazionale dei figli della libertà ritrovate. Con una serie di provvedimenti legislativi si tentò di recepire e le legittime istanze sociali nonché di contenere la rivolta nelle università e nelle scuole superiori. A tal proposito fu operato il riordinamento degli esami di stato di maturità (due sole prove scritte ed un colloquio su due materie scelte dal candidato) ed inoltre fu aperto a tutti i diplomati l’accesso a tutte le facoltà universitarie (la legge ebbe effetti importanti sullo sviluppo della frequenza universitaria). La legge delega 477/1973, i c.d. decreti delegati, “delega al governo per l’emanazione di norme di stato giuridico del personale direttivo, ispettivo, docente e non docente della scuola materna, elementare, secondaria e artistica dello Stato” segnò una svolta epocale. Concretamente, le deleghe contenute nella legge portarono a ridisegnare il rapporto tra la scuola, le famiglie e gli studenti delle scuole superiori istituendo gli organi collegiali della scuola; ridefinì lo stato giuridico degli insegnamenti, del personale direttivo e ispettivo; ridefinì lo stato giuridico del personale non docente; regolamentò l’avvio di sperimentazioni innovative rispetto agli ordinamenti in vigore. La successiva legge 517/1977 andò a riformare la valutazione nella scuola dell’obbligo e previde l’integrazione degli alunni con handicap nelle classi normali. In particolare fu limitata a casi eccezionali la ripetenza nelle scuole elementari; furono aboliti gli esami di riparazione nella scuola elementare e nella scuola media; furono introdotti i giudizi al posto dei voti nelle scuole elementari e medie; fu sostituita la pagella con la scheda di valutazione; furono integrati gli studenti con handicap nelle classi normali (un massimo di 20 alunni per classe in presenza di alunni con handicap); fu introdotta nell’équipe di classe la figura dell’insegnante di sostegno. La riforma degli anni Novanta Le discussioni parlamentari, a riguardo della riforma della scuola secondaria di secondo grado, non portarono a progetti condivisi, a causa delle contrapposizioni politiche. Avvenne così che, in assenza di riforme tramite lo strumento ordinario dei provvedimenti legislativi, si ricorse alle sperimentazioni per introdurre innovazioni ordinamentali e didattiche anche importanti. Prima dello scioglimento delle camere (1994) furono adottate due decisioni significative per la scuola: l’istituzione degli istituti comprensivi di scuola materna, elementare e secondaria di primo grado e l’adozione del testo unico delle leggi della scuola. Furono aboliti gli esami di riparazione nella scuola superiore, sostituiti con gli IDEI (Interventi Didattici ed Educativi Integrativi). Fu innalzato l’obbligo scolastico a nove anni, ma paradossalmente, fu reso obbligatorio solo il primo anno della scuola superiore. Segno, invece, un passaggio fondamentale l’approvazione della legge 59/1997: fu introdotta l’autonomia scolastica. Altri provvedimenti importanti approvato in quella legislatura furono lo statuto delle studentesse e degli studenti, e la parità scolastica (creando il sistema pubblico di educazione e di istruzione composto dalle scuole statali e dalle scuole non statali che chiedono e ottengono la parità). La strategia di Lisbona La strategia di Lisbona fu voluta dal consiglio europeo nell’anno 2000 come programma globale per la crescita e l’occupazione. Il Consiglio dei Ministri dell’istruzione dei paesi membri dell’unione definì nel 2001 i tre obiettivi fondamentali: • Aumentare la qualità e l’efficacia dei sistemi di istruzione e di formazione dell’UE; • Facilitare l’accesso ai sistemi di istruzione e formazione; • Aprire i sistemi di istruzione e di formazione al mondo esterno. Con la legge 53/2003 fu approvato un complessivo disegno di riforma del sistema scolastico italiano (riforma Moratti). La legge delego il governo ad elaborare i successivi decreti legislativi per il riordino della scuola non universitaria, affermando la centralità, nella scuola, della crescita e valorizzazione della persona umana. Tale legge riformò il sistema dell’istruzione, istituendo la scuola dell’infanzia, il primo ciclo e il secondo ciclo. La riforma fu fortemente osteggiata dalla posizione politica e dalle forze sindacali, divenendo uno dei temi più accesi della campagna elettorale nella primavera 2006. La coalizione di centrosinistra vinse le elezioni del 2006 e diede vita ad un governo che non condivideva la riforma Moratti ma non aveva al Senato la forza parlamentare necessaria per sostituirla. Il ministro Giuseppe Fioroni si limitò ad apportare modifiche parziali (cacciavite). Con il D.M. 31 luglio 2007 invio alle scuole del primo ciclo le nuove indicazioni per il curricolo, da affiancare sperimentalmente a quelle vigenti. Le nuove indicazioni erano più aperte e meno dense di prescrizioni organizzative e didattiche. Esse davano particolare attenzione alla continuità del percorso educativo dai 3 ai 14 anni, strutturando percorsi disciplinari unitari dalla primaria al termine della secondaria di primo grado. Il ministero Gelmini Dopo due soli anni si tornò alle urne, e le elezioni del 2008 furono vinte dalla coalizione di centro destra. L'azione del nuovo governo si mosse in un quadro di crisi economica internazionale, che impose anche in Italia una politica economica basata sui tagli della spesa pubblica. Come base per gli interventi nella scuola fu impostato il “piano programmatico di riordino e di sviluppo del sistema scolastico” (Legge 133/2008), quale comportò la reintroduzione del maestro unico nella scuola primaria; la reintroduzione dei voti da 1 a 10 nelle scuole del primo ciclo; la valutazione del comportamento oltre che dell’apprendimento nonché la certificazione delle competenze. Il ministero Profumo Il continuo incalzare della crisi economica internazionale portò alle dimissioni del Governo Berlusconi e all’insediamento del governo “tecnico” di Mario Monti: a reggere il MIUR fu chiamato Francesco Profumo. Il suo merito più importante fu quello di aver riattivato, per i docenti, la macchina dei concorsi ordinari. Convinto sostenitore dell'innovazione tecnologica nella pubblica amministrazione e nel rapporto fra di essa e i cittadini, dispose la dematerializzazione degli atti scolastici e, in particolare, che, a decorrere dall’anno scolastico 2012-2013, le pagelle fossero redatte in formato elettronico. Dispose che anche i registri degli insegnanti fossero online e che tutte le comunicazioni agli alunni e alle famiglie, pagelle incluse, fossero inviate in formato elettronico. Il ministero Giannini A seguito della crisi del Governo Monti, il paese fu chiamato alle urne con le elezioni politiche del febbraio 2013. Dalle elezioni ottenne la fiducia un nuovo governo guidato da Matteo Renzi: all’istruzione fu assegnata Stefania Giannini. Il 3 settembre 2014 la presidenza del consiglio dei ministri e il ministero pubblicarono congiuntamente un documento in dodici punti intitolato “La Buona Scuola - Facciamo crescere il paese”. L’iter di elaborazione del progetto di riforma subì una brusca accelerazione a seguito della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che si dichiarava contraria alla normativa italiana sui contratti di lavoro a tempo determinato in quanto non era giustificato il rinnovo illimitato di tali contratti per soddisfare le esigenze permanenti e durevoli delle scuole statali. Il governo dovette, quindi, muoversi per stabilizzare i precari inseriti nelle graduatorie ad esaurimento. Per la stabilizzazione dei precari, fu varato un piano straordinario di assunzioni e fu rilanciato il sistema dei concorsi e della formazione iniziale quale strada maestra per l’assunzione di nuovi insegnanti. Perno della legge è il “Piano Triennale dell’Offerta Formativa”, che amplia gli orizzonti e le funzioni del POF. Fu, infatti, previsto un organico aggiuntivo, sulla base di incarichi triennali conferiti dal dirigente scolastico al quale vennero attribuite nuove funzioni di impulso al PTOF, di scelta dei docenti da inserire nell’organico dell’autonomia, di valorizzazione del merito dei docenti dell’istituto. Il ministero Fedeli A seguito dell’esito della consultazione referendaria del 4 dicembre 2016, che vide prevalere il “no” alla riforma della costituzione, il governo Renzi si dimise. Nel giro di una settimana fu varato il nuovo governo Gentiloni: al MIUR fu assegnata a Valeria Fedeli. Occorreva lavorare con rapidità per dare attuazione, prima della loro scadenza, alle deleghe contenute nella legge 107/2015. Ne derivano una serie di decreti legislativi, tutti con data 13 aprile 2017: riordino, adeguamento e semplificazione del sistema di formazione iniziale e di accesso nei ruoli di docente; norme in materia di certificazione delle competenze del primo ciclo ed esami di stato; istituzione del sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita fino ai sei anni; norme per la promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità. Il ministero Bussetti A seguito delle elezioni politiche del 4 marzo 2018, nelle quali nessuna delle coalizioni e delle liste aveva avuto la maggioranza in parlamento, ci fu un accordo tra il M5S e la lega. L’accordo è stato trovato sulla base di un programma comune denominato “Contratto per il Governo del Cambiamento”. L’incarico di presidente del consiglio fu attribuito a Giuseppe Conte; al MIUR fu assegnato Marco Bussetti. Venne revisionato il sistema di reclutamento degli insegnanti, della chiamata diretta dei docenti, della riduzione del monte ore per l’alternanza scuola-lavoro. 11 – IL DIRITTO ALL’EDUCAZIONE E ALL’ISTRUZIONE NEL SISTEMA SCOLASTICO ITALIANO Il diritto del bambino all’educazione e all’istruzione è posto anzitutto in capo ai suoi genitori, titolare del dovere e diritto di mantenere, istruire ed educare i figli (art. 30 Cost.). L’art. 33 Cost. dice che la Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. Le norme oggi vigenti in materia di diritto-dovere all’istruzione e formazione affermano che l’istruzione impartita per almeno 10 anni è obbligatoria ed è finalizzata a consentire il conseguimento di un titolo di studio di scuola secondaria superiore o di una qualifica professionale di durata almeno triennale entro il diciottesimo anno di età. Dopo il compimento del sedicesimo anno di età, quindi, sussiste ancora l’obbligo formativo. In altre parole, nessun giovane può interrompere il proprio percorso formativo senza aver conseguito un titolo di studio o almeno una qualifica professionale entro il 18º anno di età. Scuole statali e scuole paritarie Il diritto allo studio si realizza all’interno del sistema nazionale di istruzione. Esso è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie, private e degli enti locali (legge 62/2000). Sulla base del principio di sussidiarietà, l’erogazione dei servizi pubblici non è monopolio dello Stato ma vede il concorso dell’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, all’interno di un quadro nazionale che definisce i livelli delle prestazioni erogate ai cittadini. La costituzione sancisce il diritto dei privati di istituire scuole e istituti di educazione, senza oneri per lo Stato. La legge delega n. 53/2003 ha ridisegnato il nuovo ordinamento scolastico denominandolo sistema educativo di istruzione e di formazione. Tale sistema educativo si articola in una scuola dell’infanzia, Primo ciclo dell’istruzione, secondo ciclo dell’istruzione (affiancato dal canale parallelo dell’istruzione e formazione professionale). Come accennato, la legge 62/2000 introdusse la parità scolastica: il sistema pubblico di educazione e di istruzione risulta oggi composto dalle scuole statali e dalle scuole non statali che chiedono e ottengono la parità, riconosciuta alle scuole non statali in possesso dei seguenti requisiti: • Progetto educativo in armonia con i principi della costituzione; POF conforme agli ordinamenti e alle disposizioni vigenti; attestazione della titolarità della gestione e la pubblicità dei bilanci; • Disponibilità di locali, arredi e attrezzature didattiche propri del tipo di scuola e conformi alle norme vigenti; • Istituzione e il funzionamento degli organi collegiali improntati alla partecipazione democratica; • Iscrizione alla scuola per tutti gli studenti i cui genitori ne facciano richiesta; • Applicazione delle norme vigenti in materia di inserimento di studenti con handicap o in condizioni di svantaggio; • Organica costituzione di corsi completi; • Personale docente fornito del titolo di abilitazione; • Contratti individuali di lavoro per personale dirigente e insegnante che rispettano i contratti collettivi nazionali di settore. L’istruzione non statale era precedentemente normata dal T.U. della scuola, il quale prevedeva una molteplicità di situazioni giuridiche. Su questo quadro è sopravvenuta la legge 27/2006, la quale ha operato una semplificazione. Tale legge chiarisce che le scuole non statali sono ricondotte alle due tipologie di scuole paritarie (legge 62/2000), e di scuole non paritarie. Circa le scuole paritarie, stabilisce che solo la frequenza di tali scuole costituisce l'assolvimento del diritto-dovere all'istruzione e alla formazione. Circa le scuole non paritarie, stabilisce le condizioni sulla base delle quali esse possono essere definite “scuole”, condizioni che autorizzano l’inclusione in un apposito elenco pubblicato dall’ufficio scolastico regionale; tale ufficio vigila sulla sussistenza e sulla permanenza delle predette condizioni, il cui venir meno comporta la cancellazione dall’elenco; esse non possono rilasciare titoli di studio aventi valore legale, ne intermedi, ne finali; non possono assumere denominazioni corrispondenti a quelle previste dall’ordinamento vigente per le istituzioni scolastiche statali o paritarie e devono indicare nella propria denominazione la condizione di scuola non paritaria. L’istruzione parentale L'ordinamento scolastico prevede anche l'istruzione parentale, cioè a cura dei famigliari o di precettori privati da loro incaricati. A garanzia dell'assolvimento dell'obbligo distruzione, i genitori sono tenuti a presentare annualmente la comunicazione preventiva al dirigente scolastico del territorio di residenza, e a far sostenere annualmente l'esame di idoneità per il passaggio dell’obbligo alla classe successiva presso una scuola statale o paritaria. I genitori devono dimostrare di avere le capacità tecniche ed economiche e darne comunicazione anno per anno alla competente autorità. L’istruzione parentale costituisce modalità di assolvimento dell’obbligo d’istruzione alternativa alla frequenza dei primi due anni degli istituti di istruzione secondaria di secondo grado o alla frequenza dei percorsi di istruzione e formazione professionale finalizzata al conseguimento di una qualifica. Apprendistato Per i ragazzi che hanno compiuto i 15 anni di età è prevista la possibilità di assolvere all'obbligo di istruzione anche tramite la stipula di un contratto di apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale. Gli studenti che non hanno conseguito il titolo conclusivo del primo ciclo e che hanno compiuto il 16º anno di età possono conseguire tale titolo anche nei centri provinciali per l’istruzione degli adulti ovvero, dove ancora non istituiti, presso centri territoriali permanenti. Il D.Lgs. n. 81/2015, attuativo del Jobs Act, circa l'apprendistato per l'espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione professionale introduce finalmente il concetto del "sistema duale" formazione e lavoro, affermando che l'apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore e quello di alta formazione e ricerca integrano organicamente, in un sistema duale, formazione e lavoro. Diritto allo studio e potenziamento della Carta dello Studente Tra le deleghe legislative conferita al governo dalla legge 107/2015 via è quella relativa all'emanazione di norme finalizzate a: • garantire l'effettività del diritto allo studio su tutto il territorio nazionale; • potenziare la carta dello studente, al fine di attestare, attraverso la stessa, lo status di studente e rendere possibile l'accesso a programmi e servizi nonché la possibilità di associare funzionalità aggiuntive (borsellino elettronico). Ne è derivato il D.Lgs. 13 aprile 2017, n.63, il quale individua i servizi per il diritto allo studio da fornire su tutto il territorio nazionale: • Tasse scolastiche: l’esonero dalle tasse scolastiche è già esistente per gli studenti dei primi tre anni della secondaria di secondo grado. Per gli studenti degli ultimi due anni, l’eventuale esonero è modulato sulle fasce ISEE. • Servizi di trasporto e forme di agevolazione della mobilità: gli enti locali devono assicurare agli alunni delle scuole primarie il trasporto per il raggiungimento dei plessi dietro pagamento di una quota di partecipazione diretta; • Servizi di mensa e Libri di testo e strumenti didattici: gli alunni che frequentano il tempo pieno (primaria) o il tempo prolungato (secondaria) possono essere assicurati, a richiesta (dietro pagamento di una quota di partecipazione diretta), i servizi di mensa. I libri di testo sono gratuiti alla scuola primaria mentre nella scuola secondaria di primo secondo grado può essere promossa la diffusione del comodato d’uso; • Borse di studio: per ridurre il fenomeno della dispersione scolastica, è prevista l'erogazione di borse di studio agli studenti delle scuole secondarie di secondo grado purché appartenenti a nuclei familiari che abbiano un valore ISEE inferiore alla soglia determinata annualmente tramite decreto. • Potenziamento della Carta dello Studente: “IoStudio – La Carta dello Studente” una tessera nominativa alla quale sono associate funzionalità volte ad agevolare l'accesso degli studenti di ogni ordine di scuola a beni e servizi di natura culturale, per la mobilità nazionale e internazionale, ausili di natura tecnologica e multimediale per lo studio e per l’acquisto di materiale scolastico. Per gli studenti delle secondarie di secondo grado può essere associato un borsellino elettronico attivabile dallo studente o da chi ne esercita la responsabilità genitoriale. • La possibilità dell’insegnamento potenziato dell’inglese per cinque ore settimanali complessive, utilizzando anche le ore di insegnamento della seconda lingua comunitaria; • La possibilità di trasformare le due ore di seconda lingua comunitaria in due ore di rinforzo della lingua italiana per gli alunni stranieri non in possesso delle necessarie conoscenze e competenze nella lingua. L’unificazione delle scuole dell’infanzia e del primo ciclo nell’istituto comprensivo L'Istituto comprensivo nacque dalla necessità di mantenere aperte le piccole scuole di montagna con accorpamenti verticali delle direzioni di scuole materne, elementari e medie. Le riforme scolastiche successive, per ragioni pedagogiche di continuità del curricolo, accolsero tale principio. A tal proposito, le indicazioni per il curricolo del 2007 furono centrate sulla continuità del percorso educativo dai 3 ai 14 anni. Sia le indicazioni del 2007 che quelle definitive del 2012 adottarono i curricoli verticali, suggerendo alle scuole la progettazione continua dei saperi e delle discipline. La spinta decisiva per la generalizzazione dell'Istituto comprensivo venne dalla legge 111/2011, la quale impose l’obbligatoria costituzione degli istituti comprensivi con la conseguente soppressione delle istituzioni scolastiche autonome costituite separatamente da direzioni didattiche e scuole secondarie di primo grado. La valutazione intermedia e finale nella scuola del primo ciclo d’istruzione Il D.Lgs. 62/2017 ha riformato la valutazione dell’esame di Stato nel primo ciclo dell’istruzione. In generale, l’anno scolastico è giuridicamente valido quando l’alunno ha frequentato per almeno tre quarti dell’orario annuale personalizzato. Si noti che il calcolo è riferito alle ore e non ai giorni di presenza a scuola. Qualora difettasse il criterio della frequenza, in sede di scrutinio finale il dirigente scolastico si limita alla compilazione dell'attestato sulla prima pagina del documento di valutazione. In esso dichiara che l'alunno non ha frequentato le lezioni nella quantità minima prevista è per questa ragione non è stato ammesso alla classe successiva o agli esami di stato. Il criterio quantitativo è mitigato dalla possibilità per il collegio dei docenti di prevedere motivate deroghe in casi eccezionali (assenze poco superiori al limite di legge; assenze dovute ad impedimenti oggettivi e gravi; le assenze non hanno impedito l’essenziale raggiungimento degli obiettivi educativi e didattici previsti). Il criterio della frequenza di almeno tre quarti dell'orario annuale personalizzato non è previsto per gli alunni della scuola primaria. Questo non significa che, nella scuola primaria, le assenze siamo irrilevanti ai fini della valutazione. Significa invece che la valutazione dell’incidenza delle assenze sul profitto scolastico è rimessa al team dei docenti. La valutazione dei risultati didattici è integrata dalla descrizione del processo e del livello globale di sviluppo degli apprendimenti raggiunto: e così confermata la tradizione del c.d. giudizio globale introdotta dalla legge 517/1977. L’art. 2 del D.Lgs. 62/2017 attribuisce la competenza della valutazione periodica e finale (scrutini) nella scuola del primo ciclo alla collegialità dei docenti contitolari della classe nella scuola primaria ovvero del consiglio di classe nella scuola secondaria. Le operazioni di scrutinio sono convocate dal dirigente scolastico al termine del quadrimestre e al termine delle lezioni. Le sedute del consiglio sono verbalizzate da un segretario (uno dei docenti membro del consiglio stesso). Essendo il dirigente scolastico membro a tutti gli effetti del consiglio di classe, e tenuto alla votazione: in caso di parità prevale il suo voto. L’organo collegiale di valutazione, in sede di scrutinio, assume la forma di organo collegiale perfetto (può deliberare solo in presenza di tutti i componenti, non è ammesso lo scrutinio segreto, non è ammessa l’astensione in sede di votazione. Fanno parte del consiglio di classe: I docenti che svolgono insegnamenti curricolari, i docenti di sostegno e i docenti incaricati dell’insegnamento della religione cattolica. Ovviamente, i docenti di religione cattolica partecipano alla valutazione esclusivamente per gli alunni che si avvalgono dei loro insegnamenti. Per l'insegnamento della religione cattolica, viene redatta a cura del docente e comunicata alla famiglia, una speciale nota, da consegnare unitamente alla scheda o alla pagella scolastica, riguardante l'interesse con il quale l'alunno segue l'insegnamento e il profitto che ne ritrae. La verbalizzazione delle operazioni di scrutinio è quantomai importante ai fini della tutela dell’operato della scuola. È opportuno che la verbalizzazione sia contestuale e che la seduta si chiuda con l’approvazione del verbale. In esso devono risultare gli esiti numerici delle votazioni e le motivazioni delle delibere collegiali di ammissione / non ammissione. Ogni docente, per poter legittimamente proporre il voto della propria disciplina, deve avere documentato un congruo numero di interrogazioni e lavori dell'alunno. Questa valutazione si traduce in un giudizio, dal quale scaturisce la proposta di voto; sulla base della proposta di voto del docente il consiglio di classe assegna il voto, nel caso con voto a maggioranza. Il D.Lgs. 62/2017 prevede in tutti gli ordini di scuola la somministrazione di prove nazionali su base censuaria predisposte dall’Invalsi, computer based, volte ad accertare i livelli generali e specifici di apprendimento. Per quanto riguarda il primo ciclo dell'istruzione, esse sono previste sia nella scuola primaria sia nella scuola secondaria di primo grado. • Nella scuola primaria: esse sono svolte nelle classi seconda e quinta. Le materie oggetto di rilevazione sono l’italiano e la matematica. Adesso è, solo nella classe quinta si aggiunge la prova di inglese. • Nella scuola secondaria di primo grado: esse sono effettuate nella classe terza. Per la prova di inglese, l’invalsi accerta i livelli di apprendimento attraverso prove di posizionamento sulle abilità di comprensione e uso della lingua. Tali prove non fanno più parte dell’esame di Stato conclusivo del primo ciclo; a tal proposito è previsto lo svolgimento entro il mese di aprile. La partecipazione degli alunni è obbligatoria in quanto costituisce requisito di ammissione all’esame di Stato. Per gli alunni risultati assenti per gravi motivi documentati, valutati dal consiglio di classe, è prevista una sessione suppletiva. Per quanto riguarda i criteri per l'ammissione alla classe successiva, il sopra citato decreto opera una netta distinzione fra la scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado. Per quanto concerne la scuola primaria, pur prevedendo la possibilità della ripetenza (solo in casi eccezionali e comprovati da specifica motivazione), richiede l’ammissione alla classe successiva anche nei casi di livelli di apprendimento parzialmente raggiunti o in via di prima acquisizione, in quanto obbliga la scuola all’attivazione di specifiche strategie per il miglioramento dei livelli di apprendimento. Invece, nella secondaria di primo grado, è possibile deliberare la non ammissione alla classe successiva o all'esame conclusivo del primo ciclo. Resta fermo l'obbligo per le scuole di attuare, a favore degli alunni con carenze in una o più discipline, specifiche strategie per il miglioramento dei livelli di apprendimento. La famiglia va responsabilizzata sull’andamento scolastico del figlio, documentando convocazioni e colloqui; la pagella del primo quadrimestre deve riportare una valutazione significativa del possibile esito negativo dell’anno scolastico. Il testo unico della scuola, all’art. 182, prescrive che una stessa classe può essere frequentata soltanto per due anni e che gli alunni con handicap può essere consentita una terza di potenza in singole classi. Il D.Lgs. 62/2017 prevede che per favorire i rapporti scuola-famiglia, le istituzioni scolastiche adottano modalità di comunicazione efficaci e trasparenti in merito alla valutazione del percorso scolastico degli alunni. La legge 135/2012 ha disposto che le scuole utilizzano esclusivamente le modalità online per la comunicazione di voti, valutazioni, presenze e assenze degli alunni, in sostituzione dei registri cartacei dei docenti; per la comunicazione dei risultati degli scrutini intermedi e finali, in sostituzione delle pagelle cartacee; per le iscrizioni alle scuole di ogni grado (ad eccezione della scuola dell’infanzia). La certificazione delle competenze viene rilasciata nei momenti conclusivi delle quattro fasi del percorso di istruzione e di formazione e, precisamente, al termine dell’anno conclusivo della scuola primaria, della scuola secondaria di primo grado, dell’adempimento dell’obbligo d’istruzione (primo biennio della scuola superiore), del secondo ciclo di istruzione. La certificazione descrive lo sviluppo dei livelli delle competenze chiave e delle competenze di cittadinanza progressivamente acquisite dagli alunni. I modelli nazionali per la certificazione delle competenze sono stati emanati con D.M 742/2017, distinti per la scuola primaria (allegato A) e per la scuola secondaria di primo grado (allegato B). Le competenze sono declinate su quattro livelli: avanzato, intermedio, base, iniziale. Non è previsto un livello negativo. La compilazione delle certificazioni avviene durante lo scrutinio finale dell'anno scolastico di riferimento. L’esame di Stato conclusivo del primo ciclo dell’istruzione Abolito dalla legge 53/2003 l’esame conclusivo della scuola elementare, l’esame di Stato al termine dell’ultimo anno della scuola del primo ciclo e la prima prova di certificazione legale degli apprendimenti cui si sottopongono gli alunni. L’esame è finalizzato a verificare le conoscenze, le abilità e le competenze acquisite dall’alunno. Il D.Lgs 62/2017 ha modificato le procedure di conduzione dell’esame di Stato conclusivo del primo ciclo di istruzione. Le principali innovazioni sono l’abolizione del requisito del voto “sei” in ciascuna disciplina ai fini dell’ammissione; l’abolizione del presidente esterno di commissione e sua sostituzione con il dirigente scolastico della scuola medesima; la soppressione delle prove invalsi quali prove scritte d’esame e loro effettuazione in altro momento dell’a.s. così da costituire requisito di ammissione all’esame stesso. L’esame di Stato consiste in tre prove scritte e nel colloquio. L’ammissione all’esame è deliberata in sede di scrutinio finale della classe terza. Essa consiste nell’attribuzione di un voto in decimi, che prende in considerazione il percorso scolastico compiuto dall’alunno. L’esito della valutazione viene pubblicata all’albo dell’istituto, con l’indicazione “ammesso” seguita dal voto in decimi attribuita al giudizio di ammissione, ovvero “non ammesso” (in tal caso non si mette alcun voto). In caso di non ammissione all'esame, è opportuno che le scuole adottino idonee modalità di comunicazione preventiva alle famiglie. La commissione esaminatrice è composta da tutti i docenti dei consigli delle classi terze della scuola e ed è articolata in sottocommissioni per ciascuna classe terza. Le funzioni di presidente sono attribuite al dirigente scolastico della scuola stessa. In caso di assenza, di impedimento o di reggenza di altra istituzione scolastica, il dirigente delega un docente collaboratore da lui individuato. La commissione, su proposta dei docenti della materia, approva per ciascuna prova scritta tre gruppi di tracce da assegnare ai candidati. In generale, la commissione definisce: • il calendario delle prove scritte; • la durata oraria di ciascuna delle prove scritte; • il calendario delle prove orali; • i sussidi autorizzati per le prove scritte (vocabolari, tavole numeriche, calcolatrice); • i criteri di valutazione delle prove scritte; • le prove d’esame eventualmente differenziate per alunni con certificazione di handicap e DSA; • la conduzione del colloquio e la sua valutazione; • i criteri per l’eventuale assegnazione della “lode”. Le prove scritte sono tre: italiano, competenze logico-matematiche, lingue straniere. Nel giorno calendarizzato per l'effettuazione della prova, la commissione sorteggia la terna di tracce da proporre ai candidati: ciascun candidato svolge la prova scegliendo una delle tracce individuate con sorteggio. La prova di italiano è intesa ad accertare la padronanza della lingua, la capacità di espressione personale, la coerente e organica esposizione del pensiero. Ciascuna delle terne contiene tre tracce delle seguenti tipologie: testo narrativo o descrittivo, testo argomentativo, comprensione e sintesi di un testo. La prova scritta relativa alle competenze logico-matematiche è tesa ad accertare la capacità di rielaborazione e organizzazione delle conoscenze, delle abilità e delle competenze acquisite dagli alunni. Ciascuna delle terne contiene tracce delle seguenti tipologie: problemi articolati su una o più richieste, quesiti a risposta aperta. La prova relativa alle lingue straniere si articola in due sezioni distinte valutate con un unico voto ed è intesa ad accertare le competenze di comprensione e produzione scritta riconducibili al livello A2 per l’inglese e al livello A1 per la seconda lingua comunitaria, come previsto dalle indicazioni nazionali. Ciascuna delle terne contiene tracce delle seguenti tipologie: questionario di comprensione di un testo, completamento, riscrittura o trasformazione di un testo, elaborazione di un dialogo, lettera o e-mail a personale, sintesi di un testo. Il colloquio pluridisciplinare, condotto collegialmente alla presenza dell’intera sotto commissione, è finalizzato a valutare non solo le conoscenze e le competenze acquisite, ma anche a livello di padronanza e di competenze trasversali. Non può ridursi alla somma di colloqui distinti, ma deve svolgersi con la maggiore possibile coerenza nella trattazione dei vari argomenti, così che l’alunno dimostri la capacità di svolgere ragionamenti complessi, sostanziati da irrinunciabili conoscenze e da un'adeguata capacità espositiva. La valutazione delle prove scritte e del colloquio viene effettuata sulla base di criteri comuni adottati dalla commissione, attribuendo un voto in decimi a ciascuna prova, senza frazioni decimali. Il voto finale viene determinato dalla media del voto di ammissione con la media dei voti attribuiti alle prove scritte e al colloquio. Per superare l’esame è richiesto un voto finale non inferiore a 6/10. Su proposta della sottocommissione, la commissione può, deliberando all’unanimità, attribuire la lode agli alunni che hanno conseguito un voto di 10/10, tenendo a riferimento sia gli esiti delle prove d’esame sia il percorso scolastico triennale. L’esito dell’esame e pubblicato all’albo dell’istituto con indicazioni del voto finale in decimi; per i candidati che non superano l’esame e resa pubblica esclusivamente la dicitura “esame non superato”. Il rilascio di diplomi e dei certificati sostitutivi avviene a cura del dirigente scolastico. Il diploma degli alunni con disabilità e degli alunni con DSA e riportato il voto finale in decimi, senza menzione alle modalità di svolgimento e di differenziazione delle prove. 13 – IL SECONDO CICLO DELL’ISTRUZIONE: PARTE GENERALE La legge 53/2003 ha ridisegnato il sistema scolastico italiano in una visione d’insieme, alla luce degli obiettivi declinati al livello europeo degli obiettivi della Strategia di Lisbona. Il sistema del secondo ciclo fu previsto con due insiemi di percorsi formativi: quello dei licei (della durata di cinque anni) e quello dell’istruzione e formazione professionale (della durata di tre anni – qualifica / o fino a quattro anni - diploma). Il merito, forse principale, della riforma Moratti fu quello di avere affermato la parità dignità dei due percorsi successivi alla scuola del primo ciclo. La parificazione legislativa dei due percorsi comporta che il cosiddetto secondo canale (formazione professionale - FP) sia implementato di obiettivi e contenuti culturali, così da ridenominarsi istruzione e formazione professionale (IeFP) consentendo l’inserimento al quinto anno dell’istruzione del secondo ciclo, così da cedere all’esame di Stato conclusivo. La medesima norma assicura la possibilità di cambiare indirizzo (dal liceo all’istituto professionale e viceversa), la frequenza di qualsiasi segmento del secondo ciclo comporta l’acquisizione dei crediti certificati, ed infine riconosce, con specifiche certificazioni, esercitazioni pratiche, esperienze formative e stage realizzati in Italia o all’estero. Il riconoscimento del lavoro nell’istruzione superiore riformata La riforma Moratti aveva posto le premesse e per il riconoscimento formativo del lavoro anche ai fini dell’espletamento dell’obbligo di istruzione e formazione. L’articolo due di tale legge dispone che dal compimento del 15º anno di età i diplomi e le qualifiche possono essere conseguiti in alternanza scuola-lavoro o attraverso l’apprendistato. Il nuovo assetto dell’istruzione del secondo ciclo (L. 133/2008) ha fortemente rivalutato l'approccio alle scienze, alle tecnologie e al lavoro, nell'adesione alla strategia di Lisbona il cui obiettivo è stato quello di rendere entro il 2010 il sistema economico dell'Europa il più competitivo e dinamico al mondo con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale. Conseguenza, i progetti di alternanza scuola-lavoro sono comuni a tutti i percorsi di studio e formazione nel secondo ciclo. • Percorsi di alternanza scuola-lavoro – legge 107/2015: tale legge anticipo al terzo anno delle scuole di secondo grado l’attivazione dei percorsi di alternanza scuola-lavoro, con facoltà di svolgimento anche durante la sospensione delle attività didattiche e all’estero. Fu disposto che per gli studenti inseriti in tali percorsi le scuole svolgessero attività di formazione in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Presso le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura fu pure istituito il registro nazionale per l’alternanza scuola-lavoro, per rendere visibili le imprese disponibile a svolgere i percorsi di alternanza. • Percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento – legge 145/2018: secondo tale legge la durata di tali attività e di almeno 210 ore nel triennio terminale degli istituti professionali; almeno 150 ore nello stesso periodo degli istituti tecnici; almeno 90 ore nello stesso periodo dei licei. L’assetto della scuola secondaria di secondo grado dopo la riforma del 2010 Alcuni riordini e revisioni e alla riforma Moratti, sono stati previsti dal piano programmatico varato il 20 settembre 2008. Da tale piano È derivata la riforma della scuola secondaria di secondo grado, attuata nel 2010 con percorsi tutti di durata quinquennale. Il MIUR, nel 2013, riaprire la discussione introducendo la possibilità di sperimentazioni quadriennali dei percorsi dell’istruzione del secondo grado. La legittimazione di tali sperimentazioni fu rinvenuta all’interno del regolamento dell’autonomia scolastica, il quale dava al ministero la facoltà di promuovere progetti in ambito nazionale volti a esplorare possibili innovazioni riguardanti gli ordinamenti degli studi, la loro articolazione e durata. Hanno preso quindi avvio le sperimentazioni di corsi di durata quadriennale istituiti presso istituti del secondo ciclo, sia statali che paritari. L’iscrizione e formazione delle classi negli istituti del secondo ciclo Le iscrizioni sono online; all’atto dell’iscrizione, la scuola mette a disposizione delle famiglie il proprio PTOF. Le classi del primo anno di corso, di norma, sono costituite con non meno di 27 studenti. Gli eventuali resti della costituzione di classi con 27 alunni sono distribuiti tra le classi dello stesso istituto, fede coordinata e sezione staccata o aggregata. Non va superato il numero di 30 studenti per classe (costituisce una sola classe quando le iscrizioni non superano le 30 unità). Il numero delle classi del primo anno si determina tenendo conto del numero complessivo degli alunni iscritti. Invece, negli istituti in cui sono presenti ordini di studio o sezioni di diverso tipo, le classi del primo anno di corso si formano separatamente per ogni ordine o sezione di diverso tipo. Le classi intermedie sono costituite in numero pari a quello delle classi di provenienza degli studenti purché siano formate con un numero medio non inferiore a 22. Invece, le classi terminali sono costituite in numero pari a quello delle corrispondenti penultime classe funzionanti dell’anno scolastico precedente, purché vi siano iscritti almeno 10 alunni. Il piano programmatico 133/2008, ha previsto, per tutte le cattedre della scuola secondaria, la riconduzione a 18 ore di effettivo insegnamento. E per quanto riguarda gli spezzoni orari di non più di sei ore settimanali, essi sono attribuiti ai docenti già in servizio fino ad un massimo di 24 ore settimanali, purché accettino l’Incarico. La valutazione nella scuola del secondo ciclo Con il D.P.R. 122/2009 entrò in vigore il regolamento recante coordinamento delle norme vigenti per la valutazione degli alunni. Per quanto invece riguarda gli esami di Stato conclusivi del secondo ciclo, con l’a.s. 2018/2019 entrano in vigore le nuove procedure emanate con il D.Lgs 62/2017. La valutazione periodica e finale (scrutini) nella scuola del secondo ciclo compete al consiglio di classe. Modalità di funzionamento del consiglio di classe sono le stesse già illustrate per la secondaria di primo grado. Nello scrutinio finale delle scuole secondarie di secondo grado è prevista una procedura particolare per gli studenti che non hanno conseguito la sufficienza in una o più discipline. Il credito scolastico è stato istituito dal D.P.R. 323/1998. Esso tiene in considerazione, oltre alla media dei voti, anche l’assiduità della frequenza scolastica, l’interesse e l’impegno nella partecipazione al dialogo educativo e alle attività complementari e integrative; anche la valutazione del comportamento influisce sull’attribuzione del credito scolastico. All'alunno che ne sia meritevole il consiglio di classe attribuisce, nello scrutinio finale di ciascuno degli ultimi tre anni della scuola superiore, un apposito punteggio per l'andamento degli studi: la somma dei punteggi ottenuti nei tre anni costituisce il credito scolastico che si aggiunge ai punteggi riportati dei candidati nelle prove di esame, scritte e orali. Con l’entrata in vigore del D.Lgs. 62/2017 i punteggi sono attribuiti sulla base della Tabella A (modificata in quanto il punteggio massimo attribuibile nei tre anni è passato da 25 a 40 punti). Il credito massimo attribuibile al triennio ammonta a 40 punti, di cui 12 per il terzo anno 13 per il quarto anno e 15 per il quinto anno. Il credito formativo consiste in ogni qualificata esperienza dalla quale derivino competenze coerenti con il tipo di corso cui si riferisce l’esame di Stato. Le certificazioni comprovanti attività lavorativa devono indicare l'ente a cui sono stati versati i contributi di assistenza e previdenza. La documentazione deve pervenire all'istituto sede di esame entro la data fissata dall'ordinanza ministeriale che annualmente regola l’esame di Stato. La valutazione periodica e finale del comportamento degli alunni riguarda tutto il periodo di permanenza nella sede scolastica nonché le attività realizzate fuori sede in attuazione del PTOF (tale valutazione concorre alla determinazione dei crediti scolastici). Il voto di comportamento è espresso in decimi. Quando è inferiore a sei decimi, comporta la non ammissione al successivo anno di corso o all’esame conclusivo del ciclo. Dal caso, il consiglio di classe e tenuto a dare motivazione adeguata all'estrema gravità della conseguenza. In sostanza, occorre che risulti agli atti una con la documentazione probatoria del voto insufficiente. È un errore, educativo e giuridico, usare il voto insufficiente di comportamento come sanzione disciplinare, la quale prevede invece altre procedure. Il voto inferiore a sei è invece la conseguenza di gravi sanzioni disciplinari, precedentemente comminate a seguito di comportamenti contrari ai doveri e/o lesivi dei diritti altrui. Per quanto riguarda la valutazione delle discipline, i voti si assegnano, su proposta dei singoli professori, in base ad un giudizio brevemente motivato desunto da un congruo numero di interrogazioni e di esercizi scritti, grafici o pratici fatti in casa o a scuola, corretti e classificati durante il trimestre o durante l’ultimo periodo delle lezioni. Ai sensi dell’art. 4 del D.P.R. 122/2009, O ammessi alla classe successiva agli alunni che, in sede di scrutinio finale, conseguono un voto di comportamento non inferiore a sei decimi ed una votazione non inferiore a sei decimi in ciascuna disciplina. Per gli alunni che, nello scrutinio finale, non hanno conseguito la sufficienza in una o più discipline, il consiglio di classe sospende il giudizio, senza riportare immediatamente un giudizio di non promozione. Entro la fine del medesimo anno scolastico e, comunque, non oltre la data di inizio delle lezioni, a conclusione degli interventi didattici programmati per il recupero delle carenze rilevate, il consiglio di classe, in sede • Produzioni industriali e artigianali; • Manutenzione e assistenza tecnica. L'istruzione professionale, secondo il regolamento, svolge anche un ruolo integrativo e complementare rispetto al sistema di istruzione formazione professionale. Gli istituti professionali possono rilasciare qualifiche (al terzo anno) e diplomi professionali (al quarto anno) Il regime di sussidiarietà, sulla base di accordi stipulati dal MIUR con le singole Regioni. La soluzione individuata e vai incontro alla richiesta delle famiglie e del mondo del lavoro di prevedere percorsi formativi di ciclo più breve, tutta via sempre aperti alla prosecuzione degli studi. Dopo il completamento degli studi secondari, i diplomati degli istituti professionali, oltre all’opportunità del lavoro e dell’iscrizione all’università, hanno possibilità di brevi percorsi di 800/1000 ore per conseguire una specializzazione tecnica superiore per rispondere al fabbisogno formativo del territorio o a percorsi biennali per conseguire un diploma di tecnico superiore nelle aree tecnologiche più avanzate presso gli istituti tecnici superiori. Pochi anni dal precedente riordino dell’istruzione professionale, il legislatore ha infatti ravvisato la necessità di riformulare finalità i percorsi dell’IP non che i rapporti dell’IP con il parallelo canale dell’IeFP, di competenza delle Regioni (D.Lgs. 61/2017). In rapporto all’istruzione tecnica e all’IeFP la riforma si pone gli obiettivi di superare la sovrapposizione tra istituti professionali istruzione tecnica, eredità lontana dalla “liceazione” di tutti i percorsi dell'istruzione superiore operata dalla riforma del 2000 trii, superare la sovrapposizione dei percorsi dell'istruzione professionale con quelli di IeFP di competenza delle regioni, prevedendo il raccordo tra l'istruzione professionale e le istituzioni formative in modo stabile e strutturato. Il modello didattico perseguito dall'IP e improntato alla personalizzazione dell'apprendimento: gli istituti professionali sono chiamati ad essere scuole territoriali dell'innovazione, aperte e concepite come laboratori di ricerca, sperimentazione ed innovazione. Identità culturale, metodologica e organizzativa dell'IP è individuata attraverso il profilo educativo, culturale e professionale. L'IP è connotata da uno stretto raccordo della scuola con il mondo del lavoro e delle professioni, ispirato ai modelli duali di apprendimento promossi dall’UE per intrecciare istruzione, formazione e lavoro non che dalla personalizzazione dei percorsi. Lo studente in uscita dalla secondaria di primo grado può scegliere tra: i percorsi di IP (competenza dello Stato) per il conseguimento di diplomi quinquennali o percorsi di IeFP per il conseguimento di qualifiche triennali di diplomi professionali quadriennali, realizzati dalle istituzioni formative accreditate dalle Regioni. Superando l’impostazione attuale di due settori su quattro indirizzi, sono individuati gli undici indirizzi di studio dei percorsi dell’istruzione professionale, validi a partire dalle classi prime attivate nell’a.s. 2018/19: 1. Servizi per l’agricoltura, lo sviluppo rurale e la silvicoltura 2. Pesca commerciale e produzioni ittiche 3. Artigianato per il made in Italy 4. Manutenzione e assistenza tecnica 5. Gestione delle acque e risanamento ambientale 6. Servizi commerciali 7. Enogastronomia e ospitalità alberghiera 8. Servizi culturali e dello spettacolo 9. Servizi per la sanità e l’assistenza sociale 10. Arti ausiliarie delle professioni sanitarie: odontotecnico 11. Arti ausiliari delle professioni sanitarie: ottico Si tratta di indirizzi relativi ad attività economiche di rilevanza nazionale, referenziate ai codici statistici ATECO. L’art.4 conferma la durata di cinque anni dell’istruzione professionale di competenza statale: essa però è suddivisa in un biennio ed in un triennio. Il primo biennio è di complessive 2112 ore, articolate il 1188 ore di attività di insegnamenti di istruzione generale e il 924 ore di attività insegnamenti di indirizzo. Il successivo triennio ha una forte caratterizzazione laboratoriale e lavorativa. Per ciascun anno del triennio l’orario scolastico è di 1056 ore, articolata in 462 ore di attività insegnamenti di istruzione generale e in 594 ore di attività e insegnamenti di indirizzo. Viene introdotto nell'IP il criterio della personalizzazione dell'apprendimento, che si concretizza nel monte orario di 264 ore e nel progetto formativo individuale. Esso è redatto dal consiglio di classe che individua anche il docente tutor che deve seguire lo studente lungo tutto il periodo formativo. In generale, sono raccomandate metodologie didattiche di tipo induttivo, attraverso esperienze laboratoriali e in contesti operativi, analisi e soluzione dei problemi relativi alle attività economiche di riferimento, il lavoro cooperativo per progetti, gestione di processi in contesti organizzati. È possibile già dalla seconda classe attivare esperienze di alternanza scuola-lavoro o stipulare contratti di apprendistato. Inoltre, gli istituti professionali possono attuare in via sussidiaria, previo accreditamento regionale, percorsi di istruzione e formazione professionale per il rilascio della qualifica e del diploma professionale quadriennale. L’art.6 delinea gli strumenti a disposizione della scuola per la realizzazione degli obiettivi formativi dell’istruzione professionale fumé la quota di autonomia, pari al 20% dell'orario sia nel biennio che nel triennio; la quota di flessibilità, pari al 40% dell'orario complessivo previsto per il terzo, quarto e quinto anno; istituzione di un comitato tecnico scientifico, con funzioni consultive e di proposta; utilizzazione degli spazi di autonomia per realizzare connessioni con il sistema IeFP, così che lo studente, nel corso del terzo anno, possa conseguire la qualifica professionale triennale in classi diverse rispetto a quelle dei percorsi quadriennali; stipula di contratti d’opera con soggetti del mondo del lavoro e delle professioni.L’art.8 definisce “un’opportunità” passaggi tre percorsi dell’IP e quelli dell’IeFP (e viceversa), passaggi finalizzati a favorire il percorso personale di crescita, apprendimento ed orientamento. Progressivo nell’ambito dell’offerta formativa unitaria realizzata da una rete nazionale (realizzazione di un’offerta formativa unitaria ed integrata, realizzando confronti organici e continuativi con i soggetti pubblici e privati). Istituti Tecnici Con il D.P.R. 88/2010 atto emanato il regolamento recante norme per il riordino degli istituti tecnici chini definisce l’identità che si caratterizza per una solida base culturale di carattere scientifico e tecnologico in linea con le indicazioni dell’Unione Europea. Espressa da un limitato numero di ampi indirizzi, correlati a settori fondamentali per lo sviluppo economico e produttivo del Paese, con l’obiettivo di acquisire agli studenti, in relazione all’esercizio di professioni tecniche, i saperi e le competenze necessarie per un rapido inserimento nel mondo del lavoro, per l’accesso all’università e all’istruzione e formazione tecnica superiore. Gli istituti tecnici hanno la durata di cinque anni; sono suddivisi in due bienni il quinto anno, al termine del quale gli studenti sostengono l'esame di stato e conseguono il diploma di istruzione tecnica, è utile ai fini della continuazione degli studi in qualsiasi facoltà universitaria. Con la riforma del 2010 è stato progettato il percorso dell’istruzione tecnica, in modo da restituire un’autonoma identità e una specifica missione formativa, diversa da quella dei licei e distinta da quella degli studi professionali; a superare la frammentazione dei percorsi, ramificata in un grande numero di indirizzi ed in un eccessivo numero di sperimentazioni; investire la tendenza al calo delle iscrizioni, andando incontro alle esigenze delle imprese. Il primo biennio, valido ai fini dell'assolvimento dell'obbligo distruzione, prevede 660 ore di attività insegnamenti di istruzione generale e 396 ore di attività insegnamenti obbligatori di indirizzo. Il secondo biennio e quinto anno prevedono, per ciascun anno, 495 ore di attività di insegnamenti di istruzione generale e 561 ore di attività di insegnamenti obbligatori di indirizzo. Le metodologie adottate si basano sulla didattica di laboratorio, l’analisi e la soluzione dei problemi, il lavoro per i progetti, la gestione dei processi in contesti organizzati, ricorrendo a modelli e linguaggi specifici; al collegamento organico con il mondo del lavoro e delle professioni, compreso il volontariato e il privato sociale; il ricorso a stage, tirocini e alternanza scuola-lavoro. Il regolamento dell'autonomia prevede che l'istituzione scolastica e determinano, nel piano dell'offerta formativa il curricolo obbligatorio per i propri alunni in modo da integrare la quota definita a livello nazionale con la quota loro riservata che comprende le discipline e le attività da essere liberamente scelte. Nello specifico, gli istituti tecnici possono utilizzare la quota di autonomia pari al 20% dei curricoli, nell’ambito degli indirizzi definiti dalle regioni e in coerenza con il profilo di uscita per potenziare gli insegnamenti obbligatori e per attivare ulteriori insegnamenti coerenti con gli obiettivi del PTOF. Le aree di indirizzo, la quota di flessibilità può salire al 30% nel secondo biennio e al 35% nell'ultimo anno. Con la riforma indirizzi degli istituti tecnici sono passati da 39 a 11. Essi sono suddivisi: 2 indirizzi nel settore economico e 9 nel settore tecnologico. I 2 indirizzi nel settore economico sono: 1. Amministrazione, Finanza e Marketing 2. Turismo I 9 indirizzi del settore tecnologico sono: 1. Meccanica, Meccatronica ed Energia 2. Trasporti e Logistica 3. Elettronica ed Elettrotecnica 4. Informatica e Telecomunicazioni 5. Grafica e Comunicazione 6. Chimica, Materiali e Biotecnologie 7. Sistema Moda 8. Agraria, Agroalimentare e Agroindustria 9. Costruzioni, Ambiente e Territorio Con il completamento degli studi secondari I diplomati degli istituti professionali possono, ovviamente, accedere all’università oppure direttamente al mondo del lavoro. Inoltre, i diplomati degli istituti tecnici hanno la possibilità di prosecuzione sia negli IFTS che negli ITS, come i diplomati nell’istituto professionale. I Licei Con il D.P.R. n.89/2010 è stato emanato il regolamento recante revisione dell’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico dei licei. Essi forniscono allo studente strumenti culturali e metodologici per una comprensione approfondita della realtà, affinché egli si ponga, con atteggiamento razionale, creativo, progettuale e critico, di fronte alle situazioni, ai fenomeni e ai problemi, e acquisiscono conoscenze, abilità e competenze coerenti con le capacità e le scelte personali e adeguate al proseguimento degli studi di ordine superiore, all'inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro. Facendo un confronto con gli istituti tecnici e professionali notiamo che i licei forniscono strumenti culturali e metodologici per una comprensione approfondita della realtà: non sono quindi espressamente indirizzati a preparare a professioni tecniche o alle esigenze formative del settore produttivo di riferimento, pur non escludendo l’inclusione nel mondo del lavoro. Al termine dei percorsi liceali prima opzione, fra quelle proposte, e quella del proseguimento degli studi di ordine superiore, anzitutto l'università: si noti invece che il rapido inserimento nel mondo del lavoro è la prima opzione che viene posta al termine dei percorsi tecnici e professionali. I percorsi liceali hanno la durata quinquennale, sviluppandosi in due periodi biennali in un quinto anno che completa il percorso disciplinare. Il primo e il secondo biennio è finalizzato all’iniziale approfondimento e sviluppo delle conoscenze e delle abilità non che a una maturazione delle competenze caratterizzanti le singole articolazioni del sistema liceale. Nel quinto anno si prosegue la piena realizzazione del profilo educativo, culturale e professionale dello studente non è il completo raggiungimento degli obiettivi specifici di apprendimento. L’area liceale comprende 6 percorsi. L’orario complessivo annuale è determinato in misura uguale, variando per ciascuno dei percorsi e, all’interno di ognuno di essi è il primo biennio e il triennio conclusivo, composto a sua volta da secondo biennio e ultimo anno. • Liceo artistico: a conclusione del percorso di studi gli studenti devono conoscere la storia della produzione artistica e architettonica e il significato delle opere d'arte nei diversi contesti storici; cogliere i valori estetici, concettuali e funzionali delle opere artistiche; conoscere e applicare le tecniche grafiche, pittoriche, architettoniche e multimediali; conoscere e padroneggiare i processi progettuali e operativi; possedere le problematiche relative alla tutela, alla conservazione e al restauro del patrimonio artistico e architettonico. • Liceo classico: È la scuola superiore della più antica tradizione italiana. Alla conclusione del percorso di studio, gli studenti dovranno aver sviluppato una conoscenza approfondita delle linee di sviluppo della nostra civiltà nei suoi diversi aspetti; conoscere le lingue classiche così da comprendere i testi greci e latini; dimostrare una buona capacità di argomentare, di interpretare i testi complessi, di risolvere diverse tipologie di problemi. Il liceo classico europeo fu istituito nell’anno scolastico 1993/94. Novazione ordinamentali previste le fanno un percorso diverso, cui fa da riscontro una diversa struttura dell’esame di Stato conclusivo. E le innovazioni principali sono nello studio quinquennale di due lingue comunitarie: l’inglese e una seconda lingua; la disciplina “lingue e letterature classiche”, relativa allo studio semplificato del latino e greco; la disciplina di diritto ed economia. • Liceo linguistico: il liceo linguistico era stato originariamente autorizzato nelle scuole non statali. Nelle scuole statali, sono state poi attivate numerose sperimentazioni di indirizzo linguistico, la più diffusa delle quali si era innestata sul vecchio istituto magistrale. Arrivato al pieno riconoscimento con il D.P.R. 89/2010, alla conclusione del percorso conferisce agli studenti delle competenze comunicative in due lingue moderne, a livello B2; competenze comunicative in una terza lingua moderna, corrispondente al livello B1; capacità di affrontare i contenuti disciplinari lingua diversa dall’italiano; conoscenza delle principali caratteristiche culturali dei paesi di cui hanno studiato la lingua. • Liceo musicale e coreutico: per accedere al liceo musicale o coreutico è necessario superare una prova volta a verificare il possesso di specifiche competenze musicali o coreutiche. Gli studenti sezione musicale, a conclusione del percorso di studio, sono in grado di eseguire interpretare opere di epoche, generi e stili diversi; partecipare a insiemi vocali e strumentali; conoscere i fondamenti della corretta emissione vocale. Gli studenti della sezione coreutica, a conclusione del percorso di studio, sono in grado di eseguire e interpretare opere di epoche, generi e stili diversi; analizzare il movimento e le forme coreutica e nei loro principi costitutivi. • Liceo scientifico: fu riformata nel 1923 come liceo scientifico. Oggi gli studenti del liceo scientifico, a conclusione del percorso di studio, devono avere acquisito una formazione culturale ed equilibrata nei due versanti linguistico-storico-filosofico e scientifico; comprendere le strutture dei procedimenti argomentative e dimostrativi della matematica; saper utilizzare strumenti di calcoli e di rappresentazione. La sperimentazione del liceo scientifico tecnologico è confluita nel nuovo Liceo Scientifico delle Scienze Applicate. Ha come obiettivo la preparazione nel campo scientifico-tecnologico integrata con una visione complessiva delle realtà storiche e culturali della società, garantita in modo qualificato dall’area delle discipline umanistiche, pur non essendovi previsto lo studio del latino. Sono potenziate le discipline scientifiche e tecniche: matematica, fisica, informatica, scienze naturali, il cui insegnamento e fondato sull’utilizzo dei laboratori che favorisce l’analisi critica e la riflessione metodologica sulle procedure sperimentali. Con il D.P.R. 52/2013 È stata introdotta, nel sistema dei licei, l’innovazione della sezione ad indirizzo sportivo. L’attivazione dell’indirizzo sportivo presuppone la stipula di apposite convenzioni tra gli uffici scolastici Regionali, i comitati regionali del CONI e del CIP. Allora volta le istituzioni scolastiche assicurano condizioni strutturali, consistenti nella dotazione di impianti ed attrezzature ginnico-sportive adeguati. Al superamento dell’esame di Stato è rilasciato il diploma di liceo scientifico, con l’indicazione “sezione ad indirizzo sportivo”. • Liceo delle scienze umane: la sperimentazione del liceo socio-psico-pedagogico è confluita nel nuovo liceo delle scienze applicate. Le “scienze umane”, che caratterizzano questo percorso liceale, sono: antropologia, pedagogia, psicologia e sociologia. Gli studenti, a conclusione del percorso di studio, devono avere acquisito le conoscenze dei principali campi di indagine delle scienze umane; saper confrontare teorie e strumenti necessari per comprendere la varietà della realtà sociale, con particolare attenzione ai fenomeni educativi, ai luoghi e alle pratiche dell’educazione, ai servizi alla persona, al mondo del lavoro, ai fenomeni interculturali. ▪ Opzione economico-sociale: tuo percorso liceale è caratterizzato dal connubio delle scienze umane in cui gli studi di diritto ed economia politica. Gli studenti, a conclusione del percorso, devono conoscere le categorie delle scienze economiche, giuridiche e sociologiche; comprendere i caratteri dell’economia come scienza delle scelte responsabili e sulle risorse di cui l’uomo dispone, e del diritto come scienza delle regole della convivenza sociale; sviluppare la capacità di misurare i fenomeni economici e sociali indispensabili alla verifica empirica dei principi teorici; identificare il legame tra i fenomeni culturali, sociali ed economici e le istituzioni politiche, in relazione alle dimensioni nazionale, europea e mondiale. 15 – L’UNIONE EUROPEA E LA SUSSIDIARIETÀ VERSO I SISTEMI SCOLASTICI DEI PAESI MEMBRI L’Unione Europea e le azioni di supporto ai sistemi nazionali di istruzione L’UE ritiene che sia negativo cercare di avere un unico sistema di istruzione, poiché le diversità culturali sono una ricchezza per l'Europa: i sistemi di istruzione sono e rimarranno di competenza nazionale. Appare più saggio far dialogare queste diversità, sia sul piano tecnico, sia su quello culturale. Col trattato di Maastricht alcuni aspetti della formazione dei giovani furono riconosciuti come competenza dell’UE, limitatamente alla formazione al lavoro, alla mobilità di giovani ed adulti, allo sviluppo di una istruzione di qualità, senza alcuna potestà di intervento sulle legislazioni scolastiche. Nel 2006 Parlamento Europeo e Consiglio dei Ministri dell’UE approvarono una raccomandazione agli Stati membri finalizzata a sviluppare un’offerta formativa di competenze chiave per assicurare ai giovani un livello tale che li prepari alla vita adulta nel contesto della competitività globale. La consapevolezza che i progressi tecnologici nel frattempo intervenuti impongono una revisione delle competenze oggi richieste ha spinto il Consiglio UE ad adottare la raccomandazione 22 maggio 2018 sulle competenze chiave per l'apprendimento permanente. Infine un ulteriore impulso dell'unione è contenuto nel programma "istruzione e formazione 2020": è un quadro strategico aggiornato per la cooperazione europea nel settore dell’istruzione e della formazione. Il trattato di Maastricht prevedeva che la comunità Europea, a titolo di sussidiarietà, supportasse i sistemi nazionali di istruzione e di formazione professionale. Fu, quindi, varato il Programma Socrates, finalizzato a sostenere un'istruzione di qualità sviluppando la dimensione europea dell’insegnamento. Ne erano derivati i quattro storici programmi: 1. Comenius, a sostegno dei percorsi di istruzione; 2. Erasmus, per la mobilità nell’istruzione universitaria; 3. Leonardo da Vinci, a sostegno dei percorsi di formazione professionale; 4. Grundtvig, a sostegno dell’istruzione degli adulti. Nel 2014 ha preso avvio il programma Erasmus+, che ingloba, in un aggiornato quadro di obiettivi, le impostazioni tradizionali. Il MIUR ha pubblicato la Guida in italiano per la partecipazione alle azioni del nuovo Programma. Ogni anno la Commissione europea pubblica l’invito generale a presentare le candidature ed indicano le priorità annuali. DI notevole importanza, è l'iniziativa della Commissione Europea denominata eTwinning avente come obiettivo quello di diffondere le possibilità offerte dalle nuove Tecnologie dell'Informazione della Comunicazione (TIC) nei sistemi di didattica e formazione, favorendo nel contempo un'apertura alla dimensione comunitaria dell'istruzione. L’azione si realizza attraverso una piattaforma online che rende possibili progetti di gemellaggio elettronico tra scuole europee primarie e secondarie, coinvolgendo direttamente gli insegnanti in una comunità virtuale dove è possibile conoscersi e collaborare in modo semplice, veloce e sicuro. Attualmente fanno parte di eTwinning circa 20.000 docenti italiani (250.000 a livello europeo). I finanziamenti europei tramite i fondi strutturali Oltre un terzo del bilancio dell’UE e gestito, in collaborazione con le amministrazioni nazionali e regionali, mediante cinque fondi strutturali: • Fondo europeo di sviluppo regionale per lo sviluppo regionale e urbano (FESR): la sua azione mira a ridurre i problemi economici, ambientali e sociali che affliggono le aree urbane, investendo principalmente nello sviluppo urbano sostenibile; • Fondo sociale europeo per l’inclusione sociale e il buon governo(FES): si propone di aiutare le persone svantaggiate a rischio di povertà o esclusione sociale; • Fondo di coesione per la convergenza economica delle regioni meno sviluppate(FC); • Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale(FEASR); • Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca(FEAMP). Le risorse previste dai fondi strutturali sono distribuite secondo una programmazione settennale, oggi finalizzata all’attuazione della “strategia Europa 2020”. Due di questi fondi contengono obiettivi di interesse alle scuole: il FESR e il FES. Da oltre vent’anni, il MIUR promuovere la realizzazione di interventi finalizzati dei fondi strutturali. Tre sono i cicli di programmazione ormai conclusi: 1994/99; 2000/06 e 2007/13. Nei primi due, in aderenza alle direttive europee e sulla base dei programmi operativi nazionali (PON), hanno beneficiato di finanziamenti le Regioni in cui il PIL pro capite era inferiore al 75% della media comunitaria: Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia. Nel periodo successivo (2007/2013) le Regioni ammesse sulla base del criterio il 75% del Pil sono state: Calabria, Campania, Puglia e Sicilia. Nel periodo 2014-2020 la programmazione dei fondi Europei mira a sostenere principalmente gli undici obiettivi di crescita concordati con la strategia “Europa 2020”, per la crescita intelligente, sostenibile e inclusiva nel MIUR entro il 2020. Nell’ambito dell’istruzione il MIUR è responsabile dell’attuazione del PON “Per la scuola. Competenze e ambienti per l’apprendistato”, che prevede interventi: • di sviluppo delle competenze, finanziati dell’FSE; • per il miglioramento degli ambienti e delle attrezzature per la didattica, finanziati dal FESR. A differenza dei cicli precedenti, con il nuovo ciclo 2014-2020 l’ambito di azione è stato esteso a tutte le regioni italiane, suddivise in tre categorie: adempimenti del calendario scolastico in relazione alle esigenze derivate dal PTOF, l’organizzazione flessibile dell’orario del curricolo, la possibilità di diversificare nelle classi le modalità di impiego dei docenti. • Autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo: consente alle istituzioni scolastiche di cui rispondere meglio alle esigenze delle realtà locali. Ciò può essere realizzato curando tra l'altro la formazione e l'aggiornamento culturale professionale del personale scolastico, l'innovazione metodologica e disciplinare, la ricerca didattica, la documentazione educativa e la sua diffusione all’interno della scuola, gli scambi di informazioni, esperienze e materiali didattici. Sono possibili anche modifiche strutturali che vanno oltre la flessibilità curricolare proponendo al ministero iniziative finalizzate all'innovazione. Con l'autonomia scolastica questo tipo di sperimentazione e assorbito nelle ordinarie competenze del collegio dei docenti. Al ministero rimane la facoltà di promuovere progetti volti a esplorare possibili innovazioni riguardanti gli ordinamenti degli studi, la loro articolazione durata, l’integrazione tra sistemi formativi, i processi di continuità e orientamento. L’organico dell’autonomia L’attuazione del PTOF porta la definizione dell’organico dell’autonomia: esso è costituito dei posti comuni, dei posti per il sostegno e dei posti per il potenziamento dell’offerta formativa. L’iter per la definizione di tale organico ha, come prima tappa, il decreto del ministero che, a decorrere dall’anno scolastico 2016/2017, determina triennalmente dell’organico dell’autonomia su base regionale. Il riparto tra le regioni è effettuato sulla base del: • numero delle classi, per i posti comuni (in funzione delle attività di insegnamento curricolare); • numero degli alunni disabili, per il potenziamento dei posti di sostegno (classi con alunni di handicap certificato). • numero degli alunni, per i posti di potenziamento. Tali posti prevedono una pluralità di utilizzo riconducibile alle attività di insegnamento, di organizzazione, progettazione e coordinamento, alla collaborazione con il dirigente scolastico. La legge 107/2015 aveva stabilito che, a decorrere dall’a.s. 2016/2017 i ruoli regionali dei docenti fossero articolati in ambiti territoriali, suddivisi in sezioni separate per gradi di istruzione, classi di concorso e tipologia di posto. La loro ampiezza risultava inferiore alla provincia o alla città metropolitana e teneva conto di fattori quali la popolazione scolastica, la prossimità delle istituzioni scolastiche, tra loro collegate in rete, le caratteristiche del territorio. La stessa legge stabiliva che i docenti assunti a decorrere dall’anno scolastico 2016/2017 fossero assegnati agli ambiti territoriali e non più alle istituzioni scolastiche; inoltre stabiliva che tali docenti entrassero nell'organico delle scuole a seguito della procedura della chiamata diretta da parte del dirigente scolastico della scuola il cui PTOF prevedesse la necessità di docenti di tali profili o classi di concorso. Secondo la legge, infatti, per la copertura dei posti vacanti e disponibili il dirigente scolastico avrebbe proposto ai docenti di ruolo assegnati all'ambito territoriale di riferimento incarichi atti a coprire tali posti, anche tenendo conto delle candidature presentate dei docenti medesimi (durata triennale). Tuttavia, sia la procedura della chiamata diretta sia il vincolo della permanenza triennale sull’organico dell’autonomia si erano dimostrati di non facile applicazione; oltretutto erano stati oggetto della più decisa opposizione sindacale. Nera Feig With a una serie di contratti collettivi nazionali integrativi. Con l’entrata in vigore della legge 145/2018 sono stati aboliti gli ambiti territoriali. Di conseguenza è stata ridata ai docenti la facoltà di indicare la preferenza per l’assegnazione di sede, ripristinando il sistema delle graduatorie con le connesse valutazioni di titoli e di anzianità di servizio. Va, tuttavia, evidenziato che è stato introdotto il vincolo della permanenza quinquennale nella sede in cui il docente ha svolto l’anno di prova/formazione. Il trasferimento delle funzioni amministrative alle scuole autonome A decorrere dal 1’ settembre 2000 alle istituzioni scolastiche sono state attribuite le funzioni, già di competenza dell’amministrazione centrale e periferica, relativa a la carriera scolastica degli alunni; all’amministrazione e gestione del patrimonio delle risorse; la gestione dello stato giuridico ed economico del personale; l’inserimento dell’istituzioni scolastiche nella rete del sistema informativo dell’istruzione (SIDI). A riguardo delle competenze escluse del regolamento dell’autonomia troviamo: il reclutamento del personale docente, amministrativo, tecnico e ausiliario con rapporto di lavoro a tempo indeterminato; la formazione delle graduatorie permanenti; la mobilità esterna alle istituzioni scolastiche e l’utilizzazione del personale che eccede l’organico funzionale di istituto. La contropartita dell’autonomia: il monitoraggio del sistema Nel sistema scolastico la verifica degli standard nazionali e valutata mediante le attività predisposte dall’INVALSI, istituito con legge 53/2003. Con D.P.R. 80/2003 ha appreso via il regolamento sul sistema nazionale di valutazione in materia di istruzione e formazione. È confermato il compito del ministero di individuare, tramite direttiva di periodicità triennale, le priorità della valutazione del SNV. I soggetti che concorrono alla costituzione del Sistema Nazionale di Valutazione (SNV) sono: • INVALSI: l’INVALSI partecipa alle indagini internazionali e alle altre iniziative in materia di valutazione in rappresentanza dell’Italia. L’azione dell’INVALSI è regolata dalle direttive triennali con cui il MIUR individua le priorità strategiche dell’INVALSI per il periodo considerato. Per il triennio 2014-2017 la valutazione del sistema educativo di istruzione è stata caratterizzata dalla progressiva introduzione nelle istituzioni scolastiche del procedimento di valutazione. Gli strumenti valutativi sono di tipo diverso: ▪ Autovalutazione delle scuole mediante l’analisi e la verifica del proprio servizio e la redazione di un rapporto di autovalutazione (RAV) contenente gli obiettivi di miglioramento. Il RAV esprime la capacità della scuola di compiere l’auto analisi dei propri punti di forza e di criticità. Il passo successivo consiste nella redazione del piano di miglioramento (PdM) strutturato su quattro sezioni: o Scegliere gli obiettivi di processo più utili alla luce delle priorità individuate nel RAV; o Decidere le azioni più opportune per raggiungere gli obiettivi scelti; o Pianificare gli obiettivi di processo individuati; o Valutare, condividere e diffondere i risultati alla luce del lavoro svolto dal Nucleo di Valutazione Data la sua importanza strategica per lo sviluppo della scuola, il PdM entra a far parte della PTOF. ▪ Valutazione esterna delle scuole tramite le visite dei nuclei di valutazione; ▪ Valutazione della dirigenza scolastica; ▪ Rilevazioni nazionali sugli apprendimenti degli studenti e partecipazione alle indagini internazionali; ▪ Valutazione di sistema. • INDIRE: è acronimo di Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa. All’INDIRE sono attribuiti nuovi campi di impegno a sostegno del processo di autonomia delle scuole e, in particolare, per la gestione dei programmi e dei progetti dell’Unione Europea. Il D.M. 850/2015 ha affidato all’indire il compito di realizzare e aggiornare la piattaforma digitale per i docenti neo assunti: si tratta di uno strumento online che supporta gli insegnanti con una serie di attività guidate di analisi e di riflessione sul loro percorso professionale durante il periodo di formazione. • Contingente Ispettivo: il regolamento sul sistema nazionale di valutazione pone il contingente ispettivo tra i soggetti che concorrono alla costituzione del SNV. Vz prevede che, nell’ambito del procedimento di valutazione esterna delle scuole, siano disposte visite da parte di nuclei costituiti da un dirigente tecnico (ispettore) e/o da due esperti scelti dall’elenco appositamente predisposto. La gestione amministrativo-finanziaria delle istituzioni scolastiche autonome Il Regolamento di contabilità è uno dei principali provvedimenti attuativi dell’autonomia scolastica. È lo strumento di bilancio che assicura l’autonomia negoziale delle scuole. Il dirigente scolastico, avvalendosi della collaborazione del DSGA: • È diventato titolare del potere di proposta nell’elaborazione dei programmi e destinatario delle risorse da gestire per l’attuazione; • È il rappresentante legale dell’istituto; • Svolge attività negoziale, predispone il programma annuale e la posta relazione nonché le relative variazioni; • Sottopone al collegio dei revisori il conto consuntivo e la relazione produttiva. Il bilancio, funzionale all’attuazione del PTOF ha avuto i propri riferimenti nel decreto 129/2018. L’art. 2 del decreto definisce i principi cui deve ispirarsi la gestione delle istituzioni scolastiche improntata a criteri di efficacia, efficienza ed economicità, di trasparenza, annualità, universalità, integrità, unità, veridicità, chiarezza, pareggio, armonizzazione, confrontabilità, monitoraggio. L’esercizio finanziario delle scuole a inizio il 1 gennaio e termina il 31 dicembre, il che comporta disallineamento fra anno scolastico ed anno finanziario. La gestione finanziaria delle istituzioni scolastiche si svolge sulla base di un unico documento contabile, il Programma Annuale (già detto bilancio preventivo), redatto in termini di competenza ed in coerenza con le previsioni del PTOF. Il programma annuale è predisposto dal dirigente scolastico con la collaborazione del DSGA per la parte economico-finanziaria. È proposto dalla giunta esecutiva, unitamente alla Relazione Illustrativa (descrive dettagliatamente gli obiettivi da realizzare e la destinazione delle risorse; inoltre espone sinteticamente i risultati della gestione in corso), al consiglio d'istituto, organo competente per l'approvazione: la scadenza per la presentazione al consiglio da parte della giunta è il 30 novembre dell’anno precedente a quello di riferimento. Entro la stessa data, il programma annuale e la relazione illustrativa sono sottoposti ai revisori dei conti (due persone individuati tra soggetti in possesso di adeguata professionalità; l’incarico a durata triennale, rinnovabile una sola volta per lo stesso ambito territoriale) che rendono il parere di regolarità contabile. Entro il 31 dicembre il consiglio d’istituto ne delibera l’approvazione, anche nel caso di mancata acquisizione del parere dei revisori dei conti. Entro 15 giorni dall'approvazione, il programma è pubblicato nel portale unico dei dati della scuola nonché nel sito Internet di ciascuna istituzione scolastica (amministrazione trasparente). Il documento contabile del programma annuale è estinto in due sezioni: • le entrate, aggregate per fonte di finanziamento secondo la loro provenienza; • le spese, aggregate secondo la finalità di utilizzo delle risorse disponibili, distinte in attività amministrativa e didattica, progetti e gestioni economiche separate. Le spese non possono superare, nel loro importo complessivo, le entrate ed il programma deve risultare in equilibrio. A ciascuna destinazione di spesa è allegata una scheda illustrativa finanziaria di progetto, predisposta dal DSGA, Nella quale sono indicati Lacco temporale di riferimento, le fonti di finanziamento e il dettaglio delle spese distinte per natura. I progetti sono soggetti all’approvazione del collegio dei docenti e del consiglio d’istituto, ciascuno per la propria competenza, previa verifica della coerenza con il PTOF. Una volta che il programma annuale è stato approvato, spetta al dirigente scolastico la responsabilità della sua realizzazione, gestendo le risorse finanziarie e strumentali e rispondendo dei relativi risultati. Il Conto Consuntivo si compone del conto finanziario e del conto del patrimonio. Il conto finanziario comprende le entrate di competenza dell’esercizio, distinte tra entrate definitivamente accertate, riscosse e da riscuotere e le spese definitivamente impegnate, pagate e rimaste da pagare. Il conto del patrimonio indica la consistenza degli elementi patrimoniali attivi e passivi all'inizio e al termine dell'esercizio e le relative variazioni, non che il totale complessivo dei crediti e dei debiti risultanti alla fine dell’esercizio. Il conto consuntivo è predisposto dal DSGA entro il 15 marzo dell’esercizio successivo a quello cui si riferisce ed è sottoposto dal dirigente scolastico all’esame dei revisori dei conti unitamente ad una relazione che illustra la gestione dell’istituzione scolastica e di risultati conseguiti in attuazione degli obiettivi prefissati col programma. Il conto consuntivo, con allegata la relazione dei revisori dei conti redatta dagli stessi entro il 15 aprile, è sottoposto all’approvazione del consiglio d’istituto entro il 30 aprile dell’esercizio successivo a quello cui si riferisce. Entro 15 giorni dall’approvazione del conto consuntivo è pubblicato nel portale unico dei dati della scuola, nonché nel sito dell’istituzione medesima (amministrazione trasparente). 17 – GLI ORGANI COLLEGIALI D’ISTITUTO I “decreti delegati” nel contesto del 1974 Fino agli anni 60 il sistema scolastico era basato su un assetto a piramide (il ministero della pubblica istruzione a livello nazionale, i provvedimenti agli studi a livello provinciale, i direttori didattici e i presidi a livello di singola istituzione scolastica) in un sistema gerarchico nel quale l'organo subordinato volgeva, rispetto all'organo sovraordinato, mansioni delegate ed esecutive. Genitori e studenti non avevano ruoli istituzionali., e Ancora oggi i D.P.R. n.416, 417, 419, 420 emanati nel 1974, indicati come i Decreti Delegati hanno segnato una svolta epocale. La legge istituì nuovi organi collegiali di governo finalizzati a realizzare la partecipazione nella gestione della scuola dando alla scuola stessa i caratteri di una comunità che interagisce con la più vasta comunità sociale e civica. Così, nella singola istituzione scolastica, al direttore didattico o preside fu affiancato il consiglio di circolo o istituto; a livello provinciale il consiglio scolastico provinciale affianco il provveditore agli studi; a livello nazionale, al ministero sì affiancò il consiglio nazionale della pubblica istruzione. A questi organi simmetrici ai livelli dell’amministrazione fu aggiunto il consiglio scolastico distrettuale che rappresentava un ambito territoriale subprovinciale allora coincidente con quello delle unità sanitarie locali. In questa presentazione non sono trattati gli organi collegiali territoriali: viene, invece, svolta una sintetica analisi degli organi collegiali dell’istituzione scolastica. Sono presi in considerazione: • Il consiglio di circolo o di istituto; • Il collegio dei docenti; • I consigli di intersezione, di interclasse e di classe; • il comitato per la valutazione del servizio dei docenti; • le assemblee studentesche e dei genitori. Le competenze degli organi collegiali sono ricavate dal T.U. delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione (D.Lgs.297/1994). La convocazione degli organi collegiali deve essere disposta dal presidente con preavviso di massima non inferiore a cinque giorni, tramite lettera diretta ai singoli membri dell’organo ed è affissa all’albo d’istituto, firmata dal presidente dell’organo collegiale stesso. La lettera di convocazione riporta l’ordine del giorno sottoposto a delibera. La riunione è valida a tutti gli effetti con la presenza di almeno la metà più uno dei componenti in carica; il numero legale deve sussistere al momento della votazione. È compito del presidente porre in discussione gli argomenti all’ordine del giorno, seguendo la successione in cui compaiono nell’avviso di convocazione. Di regola, l’organo collegiale delibera solo sugli argomenti all’o.d.g.: il regolamento di istituto può prevedere la procedura per l’inserimento, l’inizio della seduta, di altri punti nell’o.d.g. Conclusa la discussione il presidente pone ai voti la proposta di delibera. Le votazioni si effettuano: in modo palese per alzata di mano; per appello nominale, quando lo richiedono il presidente è uno dei componenti; a scrutinio segreto quando si fa questione di persone. Le deliberazioni sono adottate a maggioranza assoluta dei voti validamente espressi. Nelle votazioni palesi, in caso di parità prevale il voto del presidente. Nel caso di presentazione di emendamenti rispetto a un testo predisposto si mettono ai voti prima i singoli emendamenti e, infine, il provvedimento nella sua globalità, integrato degli emendamenti precedentemente approvati. Di ogni seduta dell’organo collegiale e redatto un processo verbale ad opera di un componente dell’organo collegiale stesso, designato dal presidente alla funzione di segretario: esso va steso su apposito registro a pagine numerate e vidimate dal dirigente scolastico. In apertura del verbale si attestano gli elementi formali della seduta: data e ora della riunione, nomi di presidente e segretario, nomi dei presenti e degli assenti, dichiarazione di raggiungimento del numero legale. Si trascrive, quindi, l’ordine del giorno quale risulta dalla convocazione. Normalmente il verbale riporta in maniera sintetica le opinioni e le posizioni che emergono dalla discussione. Per ogni votazione va indicato il numero di presenti, il numero dei votanti, il numero dei voti favorevoli e dei voti contrari nonché la conseguente approvazione/non approvazione della proposta di delibera. La modalità della votazione deve essere riportata sul verbale, in particolare per le votazioni a scrutinio segreto. Dopo l’approvazione esso deve essere firmato dal presidente e dal segretario. In quanto atto pubblico, il verbale fa fede fino a prova di falso. Il consiglio d’istituto Il consiglio di circolo (nelle scuole elementari) o di istituto (nelle scuole secondarie) fu voluto dal legislatore come organo di indirizzo e di regolamentazione nella scuola e, insieme, come luogo di formazione della volontà collettiva dell’istituzione scolastica, espressa dalle sue componenti: famiglie e studenti, personale della scuola. Il consiglio di circolo o di istituto è convocato dal presidente del consiglio stesso: egli è tenuto a disporre la convocazione del consiglio su richiesta del dirigente scolastico ovvero della maggioranza dei componenti del consiglio stesso. Il consiglio d’istituto è composto dai rappresentanti elettivi: dei i genitori degli alunni; del personale docente e non docente; degli studenti nella scuola secondaria di secondo grado. Il dirigente scolastico è membro di diritto. Il numero di rappresentanti eletti si distingue fra le scuole con popolazione scolastica fino a 500 alunni (14 membri: 6 genitori, 6 docenti, 1 non docente, oltre al capo d’istituto) e nelle scuole con popolazione superiore ai 500 alunni (19 membri: 8 genitori, 8 docenti, 2 non docenti, oltre al capo d’istituto). Le rappresentanze sono elette per la durata di tre anni tramite elezioni generali delle rispettive componenti indette dal dirigente scolastico; la componente degli alunni è rinnovata annualmente. La prima convocazione del neoeletto consiglio è disposta dal dirigente scolastico, il quale pone al primo punto dell’ordine del giorno l’elezione del presidente. La votazione è a scrutinio segreto, facendosi questione di persona. La maggioranza richiesta è la maggioranza assoluta dei componenti; se tuttavia il quorum non viene raggiunto alla prima votazione, le successive votazioni prevedono la maggioranza relativa. Avvenuta l’elezione del presidente, il dirigente gli lascia immediatamente la presidenza dell’organo collegiale. La decadenza dal consiglio di un suo membro si verifica in due ipotesi: • in caso di perdita dei requisiti (per i genitori, dal momento in cui il figlio non risulta più iscritto o per i docenti e non docenti nel caso di trasferimento o di cessazione dal servizio); • in caso di assenza ingiustificata da tre sedute consecutive. In tali casi il dirigente scolastico provvede con proprio decreto alla surroga con altro membro, il primo fra i non eletti, della stessa componente e della stessa lista di colui che è decaduto. La Giunta Esecutiva del consiglio d’istituto è eletta tra i componenti del consiglio e alla seguente composizione: un docente, un rappresentante non docente, due genitori (nel secondo ciclo: un genitore e un alunno). Ne fanno parte di diritto il dirigente scolastico, che la presiede e ha la rappresentanza del circolo o dell’istituto, e il DSGA che svolge anche funzioni di segretario della giunta stessa. La giunta esecutiva predispone il bilancio preventivo e il conto consuntivo; prepara i lavori del consiglio di circolo o di istituto, fermo restando il diritto di iniziativa del consiglio stesso, e cura l’esecuzione delle relative delibere. Il consiglio d’istituto è la sede del confronto fra l’istituzione e la società del territorio in cui la scuola agisce; inoltre funge da interlocutore del collegio dei docenti. Esso ha quindi il potere deliberante nei seguenti fattori fondamentali: l’approvazione del PTOF, l’organizzazione e la programmazione della vita della scuola; la materia finanziaria; la materia regolamentare (con particolare riferimento alle responsabilità sugli alunni minori). Con l’avvento dell’autonomia scolastica sono state impartite le disposizioni per l’approvazione del programma annuale e del conto consuntivo da parte del consiglio d’istituto. L’ampliamento dell’offerta formativa, deliberata dal PTOF, prevede normalmente attività didattiche aggiuntive, la cui copertura non rientra nelle normali prestazioni del personale docente o nei fondi disponibili in base alla dotazione assegnata alla scuola: è, quindi, legittimo che il consiglio deliberi la richiesta di contributi a carico delle famiglie per la fruizione di attività extracurricolari. È, però, diffusa la consuetudine di richiedere alle famiglie, all’atto dell’iscrizione e all’inizio di ogni anno scolastico, un contributo fisso forfettario. La ragione prima della regolamentazione della scuola sta nella sua funzione educativa nei confronti degli studenti, oltre che nella tutela della loro incolumità: nasce, cioè, dalla necessità che l’istituto agisca come un’organizzazione accogliente e ordinata che opera per rispondere ai bisogni educativi e di istruzione degli allievi. La funzione regolamentare compete al consiglio d’istituto. Con l’accrescersi della complessità dell’istituzione scolastica, la regolamentazione delle attività e dei rapporti interni alla scuola ha ampliato l’ambito di az ione del consiglio. • Il regolamento d’istituto per la vigilanza sugli alunni: il regolamento d’istituto norma il complesso delle attività della scuola, allo scopo di utilizzare al meglio delle risorse umane, strutturali, strumentali e finanziarie a disposizione, di permettere un ordinato rapporto tra gli operatori interni e l’utenza, di garantire sicurezza a coloro che soggiornano nell’edificio. Infatti, l’art. 2048 c.c. prevede che i precettori e coloro che insegnano un mestiere o un’arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza. Le persone indicate sono liberate dalla responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto. Il bisogno di assistenza e vigilanza degli alunni è, di regola, inversamente proporzionale alla loro età e maturazione: pertanto i bambini della scuola dell’infanzia hanno bisogni più marcati rispetto agli studenti della scuola superiore. Chiarito che il regolamento di istituto relativo alla vigilanza sugli alunni non può essere uguale dappertutto, i criteri della sua elaborazione devono tener conto di presupposti giuridici di portata generale: ▪ responsabilità per colpa presunta del personale scolastico rispetto ai fatti illeciti compiuti dagli alunni nel tempo di affidamento all’istituzione scolastica; ▪ specificità degli obblighi del personale docente e non docente di vigilanza sui minuti affidati; ▪ obbligo di continuità nella vigilanza fino al subentro dei genitori o dei loro delegati. ▪ alla scuola è dato il compito di elaborare ed attuare la proposta educativa e didattica; ▪ la famiglia è l’interlocutrice della scuola. Si possono ravvisare due tipi di libertà in capo alla famiglia: la libertà della scuola e la libertà nella scuola. ▪ La libertà della scuola: la legge nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali. La libertà della famiglia nelle scelte della scuola deve, tuttavia, fare i conti con i limiti di capienza degli istituti stessi. ▪ La libertà nella scuola: attiene al diritto del rispetto della coscienza morale e civile degli alunni. Infatti, il rapporto di insegnamento/apprendimento si basa sulla differenza di cognizioni e di maturazione tra chi insegna e chi impara. L’art. 395 del T.U. delinea l'identità, articolata e complessa, della funzione docente, declinata come esplicazione essenziale dell'attività di trasmissione della cultura, contributo all'elaborazione di essa, impulso alla partecipazione dei giovani a tale processo e alla formazione umana e critica della loro personalità. Mediante la trasmissione della cultura ad opera dell’insegnante, i giovani interiorizzano il patrimonio di conoscenze e di valori elaborati dalle generazioni che li hanno preceduti e si inseriscono attivamente in tale processo. Il presupposto è, ovviamente, che il docente conosca in modo approfondito sia i contenuti della propria disciplina sia le metodologie didattiche idonee per insegnarla, in un'ottica metacognitiva, cioè in rapporto all'attività del pensiero ed al suo modo di funzionare nel processo di apprendimento. (si educa con ciò che si dice; di più, si educa con ciò che si fa; ancor di più, si educa con ciò che si è). Il problema della formazione degli insegnanti fu uno dei più sentiti dopo l’unificazione del regno d’Italia. Il canale per la formazione dei maestri fu previsto dalla legge Casati tramite la “scuola normale” di durata triennale: vi si era ammessi a 15 anni, se femmine, o a 16 anni, se maschi, in possesso della licenza elementare. La riforma Gentile intervenne in modo robusto per dare spessore alla formazione dei maestri, istituendo l’istituto magistrale. Fu previsto su sette anni, successivi alla scuola elementare: un corso inferiore di tre anni, seguito dal corso superiore di quattro. La sua durata quadriennale ebbe la possibilità del quinto anno integrativo per effetto della legge 910/1969 che aprì le porte dell’università ai diplomati di tutte le scuole superiori, ponendo la condizione della durata quinquennale di tali scuole. La modifica decisiva avvenne tuttavia con l’entrata in vigore della legge 341/1990 la quale prevede che il diploma di laurea costituisce titolo necessario, a seconda dell’indirizzo seguito, ai fini dell’ammissione ai concorsi apposti di insegnamento nella scuola materna e nella scuola elementare. Con il D.M. 249/2010 fu emanato il regolamento concernente la definizione della disciplina dei requisiti e delle modalità della formazione iniziale degli insegnanti. Nello specifico, tale decreto stabilisce che i percorsi formativi siano così articolati: • per l’insegnamento nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria: un corso di laurea magistrale quinquennale, comprensivo di tirocinio da avviare a partire dal secondo anno di corso; • per l’insegnamento nella scuola secondaria di primo e secondo grado: un corso di laurea magistrale biennale ed un successivo anno di tirocinio formativo attivo. Tra le deleghe legislative conferite al governo dalla legge 107/2015 vi era quella relativa al riordino, adeguamento e semplificazione del sistema di formazione iniziale e di accesso nei ruoli di docente nella scuola secondaria. Ne era derivato il D.Lgs. 59/2017, che delineava un nuovo percorso per l’accesso all’insegnamento nella scuola secondaria. Successivamente al superamento del concorso pubblico nazionale, era stato previsto un percorso triennale di formazione iniziale, tirocinio e inserimento nella funzione docente (percorso FIT). Con l’entrata in vigore della legge 145/2018 è stato modificato l’iter appena delineato, anzitutto con l’abolizione della triennalità del percorso FIT e con il ritorno ad un percorso annuale di formazione e prova. Per gli aspiranti docenti delle scuole secondarie le tappe previste sono: • Superamento del concorso pubblico nazionale; • Percorso annuale di formazione iniziale e prova; • A seguito di valutazione positiva, immissione in ruolo presso l’istituzione scolastica fine dell’anno di formazione iniziale e prova; • Obbligo di permanenza nella stessa scuola per almeno altri quattro anni. Il periodo di prova del personale docente L’assunzione in prova è la regola generale stabilita dall’art. 2096 cod. civ. al momento della costituzione del rapporto di lavoro. Il superamento del periodo di prova è subordinato allo svolgimento del servizio per almeno 180 giorni, dei quali almeno 120 per le attività didattiche. Secondo la legge 107/2015, al neodocente viene affiancato un docente tutor designato dal dirigente scolastico (sentito il parere del collegio dei docenti). Tale docente assume un ruolo significativo non solo al termine dell'anno di prova, quando rilascia parere motivato al dirigente, ma soprattutto nel corso dell’anno scolastico, quando esplica un’importante funzione di accoglienza, accompagnamento, tutoraggio e supervisione professionale. Tendenzialmente ogni docente neoassunto ha un tutor di riferimento, preferibilmente della stessa classe di concorso, ed operante di norma nello stesso plesso; ad ogni modo non si può superare la quota di tre docenti affidati al medesimo tutor. Al docente neoassunto il dirigente scolastico consegna il PTOF nonché la documentazione tecnico-didattica relativa alle classi, ai corsi e agli insegnamenti di sua pertinenza. Su queste basi il neodocente redige la propria programmazione annuale, in cui specifica, condividendoli con il tutor, gli esiti di apprendimento attesi, le metodologie didattiche, le strategie inclusive per gli alunni con BES e per lo sviluppo delle eccellenze, gli strumenti e i criteri di valutazione. Alla luce delle attività didattiche svolte nelle prime settimane di lavoro in classe, il neodocente traccia un primo bilancio di competenze, in forma di autovalutazione strutturata, con la collaborazione del docente tutor. Il dirigente scolastico e il neodocente, sentito il docente tutor e tenuto conto dei bisogni della scuola, stabiliscono, con un apposito patto per lo sviluppo professionale, gli obiettivi di sviluppo delle competenze di natura culturale, disciplinare, didattico-metodologica e relazionale, da raggiungere attraverso le attività formative programmate. Tali attività formative sono organizzate in quattro fasi, per la durata complessiva di 50 ore: incontri propedeutici e di restituzione finale (6 ore); laboratori formativi (12 ore); osservazione in classe da parte del tutor (12 ore); formazione online (20 ore). Al termine dell’anno scolastico, nel periodo compreso tra il 1 luglio e il 31 agosto, il personale docente ed educativo in periodo di formazione e di prova è sottoposto a valutazione da parte del dirigente scolastico sulla base dell’istruttoria del docente tutor. Il neodocente sostiene un colloquio innanzi al comitato, prendendo avvio dalla presentazione delle attività di insegnamento e formazione nonché della relativa documentazione contenuta nel portfolio professionale. All'esito del colloquio, il comitato procede all’espressione del parere. Il parere del comitato è obbligatorio, ma non vincolante per il dirigente scolastico, che può discostarsene con atto motivato. Sulla base di questi elementi di valutazione e di ogni altro elemento da lui acquisito dispone il motivato decreto di conferma in ruolo, con decorrenza dal 1 settembre dell’anno scolastico successivo. La ripetizione dell’anno di prova può essere motivata da assenze che hanno causato la mancata effettuazione dei 180 giorni di effettivo servizio oppure dalla valutazione negativa dell’anno di prova. Nel corso di questo secondo periodo è obbligatoriamente disposta una verifica, affidata ad un dirigente tecnico, per l'assunzione di ogni utile elemento di valutazione della idoneità del docente; può essere viene richiesta anche una visita ispettiva, qualora siano rilevate nel neodocente gravi lacune di carattere culturale, metodologico- didattico, relazionale. Al termine del secondo anno, l’interessato, se non consegue la nomina in ruolo a causa dell’esito sfavorevole del periodo di prova, è dispensato dal servizio o restituito al ruolo di provenienza. Il “travaso” della funzione docente nel contratto A seguito del passaggio della materia lavorativa nel pubblico impiego alla disciplina privatistica del contratto collettivo di lavoro, le norme dello stato giuridico sono state “contrattualizzate”, cioè novellate nel contratto di lavoro (CCNL). Ne deriva il profilo professionale docente, delineato nel CCNL 2007 (art. 27), poi confermato dal CCNL 2018 con poche ma significative integrazioni. Il profilo professionale dei docenti è costituito da competenze disciplinari, informatiche, linguistiche, psicopedagogiche, metodologiche-didattiche, organizzativo-relazionali, di orientamento e di ricerca, documentazione e valutazione tra loro correlate ed interagenti, che si sviluppano con maturare dell’esperienza didattica, l’attività di studio e di sistematizzazione della pratica didattica. La regola generale dell’orario di lavoro nel pubblico impiego e quella delle 36 ore settimanali. Nell’ambito del pubblico impiego quella dell’insegnante è una figura atipica. Ricondurre il suo orario di lavoro al solo impegno settimanale di lezione è fuorviante. La quantificazione e la qualificazione dei contenuti lavorativi della funzione docente non conducono ad un unico profilo di impegni e responsabilità. Balza all’occhio un’ampia differenziazione interna dovuta a vari fattori: • l’età dello studente, che esige un approccio psicologico e metodologico del tutto diverso in relazione al tipo di scuola; • il tipo di scuola e, nella scuola secondaria, la classe di concorso e di insegnamento; • la diversa gestione dell’impegno professionale, pur all’interno della stessa tipologia di docente, con tempi dettati dai ritmi personali. L’art. 28 del CCNL 2007 prescrive gli obblighi orari di insegnamento: • 25 ore settimanali nella scuola dell’infanzia; • 22 ore settimanali nella scuola primaria, con l’aggiunta di due ore da dedicare alla programmazione didattica; • 18 ore settimanali nelle scuole e istituti di istruzione secondaria ed artistica, distribuite in non meno di cinque giornate settimanali. L’ora di lezione si intende ovviamente della durata di 60 minuti. L’art. 4 del D.P.R. 275/1999 mia delle scuole l’adozione di unità temporali non coincidenti con l’ora di 60 minuti: in tal caso insorge l’obbligo del recupero delle residue frazioni di tempo. Il CCNL prevede la possibilità che la riduzione della durata oraria sia dovuta a cause di forza maggiore (accertata esigenze sociali degli studenti o competenza degli dirigenti scolastici). In tal caso non grava sui docenti l’obbligo di recupero delle frazioni orarie non lavorate. In ogni caso la riduzione dell’ora di lezione superare i 10 minuti. Essa si riferisce solo alle classi in cui sia necessaria, senza assumere carattere generalizzato per l’intero istituto. Nel caso in cui le esigenze di riduzione si riferiscono ad un esiguo numero di studenti, può essere adottato il criterio di autorizzare il ritardo e / o l’uscita anticipata per gli interessati. L’art 29 del CCNL 2007 sostiene che nell’attività didattica del docente sono comprese tutte le attività, anche a carattere collegiale, di programmazione, progettazione, ricerca, valutazione, documentazione, aggiornamento e formazione, compresa la preparazione dei lavori degli organi collegiali, la partecipazione alle riunioni e l’attuazione delle delibere adottate dei predetti organi. È possibile, quindi, scandire le tipologie, qualificate in cinque ambiti: • Gli adempimenti individuali dovuti: preparazione delle lezioni, correzione degli elaborati, rapporti individuali con le famiglie; • Le attività di carattere collegiale (fino a 40 ore annue) finalizzate alla partecipazione alle riunioni del collegio dei docenti; • La partecipazione alle attività collegiali dei consigli di classe, di interclasse, di intersezione (fino a 40 ore annue); • Lo svolgimento degli scrutini e degli esami, compresa la compilazione degli atti relativi alla valutazione (pagelle, registri); • Gli insegnanti sono tenuti a trovarsi in classe 5 minuti prima dell’inizio delle lezioni e ad assistere all’uscita degli alunni medesimi. Incarichi particolari È previsto che il docente possa ricevere incarichi particolari per la collaborazione con il dirigente scolastico e per il coordinamento di settori di attività previste dal PTOF. A tal proposito, nello svolgimento delle proprie funzioni organizzative e amministrative, il dirigente può avvalersi di docenti da lui individuati, ai quali possono essere delegati specifici compiti. Il dirigente scolastico può individuare nell’ambito dell’organico dell’autonomia fino al 10% di docenti che lo coadiuvano in attività di supporto organizzativo e didattico dell’istruzione scolastica. In istituzioni scolastiche di particolari dimensioni e complessità è prevista la possibilità di esonero o semiesonero di uno dei collaboratori in modo da affiancare il dirigente scolastico con modalità più operative, venendo meno o essendo ridotti gli impegni relativi all’insegnamento. Nel caso di affido in reggenza di un'istituzione scolastica prima di titolare, la figura dei collaboratori assume particolare rilevanza in quanto, venendo a mancare nell'istituto la quotidiana presenza del dirigente, uno di essi può essere delegato ad una serie di compiti gestionali, inclusa eventualmente anche la firma di atti di rilevanza esterna. L’art. 35 del CCNL 2007 prevede che il personale docente possa prestare la propria collaborazione in altre scuole statali che, per la realizzazione di specifici progetti deliberati dai competenti organi, abbiano necessità di disporre di competenze non presenti nel corpo docente dell'istituzione scolastica. Tale collaborazione è autorizzata dal dirigente scolastico della scuola di appartenenza, a condizione che non interferisca con gli obblighi ordinari di servizio che vanno integralmente assolti. Caso diverso da quello delle collaborazioni plurime appena citato, è dato dalla possibilità di accettare, su proposta del dirigente scolastico, l'insegnamento (aggiuntivo all'orario di cattedra delle 18 ore) per spezzoni orari fino a sei ore settimanali disponibili per tutto l’anno. La proposta deve essere rivolta a docenti già in servizio nell’istituzione scolastica e l’incarico deve essere da loro liberamente accettato. Il principio di esclusività del lavoro pubblico ha due specifiche attenuazioni, in rapporto allo stato giuridico del personale docente. L’insegnante può impartire lezioni private ad alunni gli altri istituti purché informi il capo di istituto e comunichi il nome degli alunni e la loro provenienza. Al personale docente è consentito, previa autorizzazione del dirigente scolastico, l’esercizio di libere professioni che non siano di pregiudizio all’assolvimento di tutte le attività inerenti alla funzione docente e che siano compatibili con l’orario di insegnamento e di servizio. Il diritto-dovere all’aggiornamento culturale e professionale La definizione dell’aggiornamento come diritto-dovere è contenuta nel D.P.R. 419/1974 “Sperimentazione e ricerca educativa, aggiornamento culturale e professionale ed istituzione dei relativi istituti”. Il CCNL 2007 allora fra gli impegni dell'insegnante quelli relativi ad aggiornamento e formazione. La formazione costituisce una leva strategica fondamentale per lo sviluppo professionale del personale, per il necessario sostegno agli obiettivi di cambiamento, per un'efficace politica di sviluppo delle risorse umane. Estrazione è tenuta a fornire strumenti, risorse e opportunità che garantiscano la formazione in servizio. Sta di fatto che il CCNL si limita a ribadire che la partecipazione ad attività di formazione e di aggiornamento costituisce un diritto per il personale in quanto funzionale alla piena realizzazione e allo sviluppo delle proprie professionalità, senza fare alcun cenno al sinallagmatico “dovere” di investire sulla propria professionalità. La legge 107/2015 segna la ripresa dell’azione legislativa nel campo della formazione in servizio degli insegnanti, formazione che nuovamente viene definita obbligatoria, permanente e strutturale. La responsabilità dell’insegnante e della scuola nel c.c. Nella scuola la quasi totalità degli alunni frequentanti è di minore età. La legge non opera distinzione fra i minori a seconda della loro età né una graduazione della responsabilità della figura del "minore grande", sicché il regime di responsabilità che deriva dall’illecito di un diciassettenne È formalmente uguale a quello che consegue dal medesimo fatto di un bambino di otto anni. Il padre e la madre, o il tutore, sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati o delle persone soggette alla tutela, che abitano con essi. Stessa disposizione si applica all'affiliante. I precettori e coloro che insegnano un mestiere o un'arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro sorveglianza. Le persone indicate dai commi precedenti sono liberate dalla responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto. A carico del dirigente scolastico sussiste la responsabilità nei casi in cui il danno risulti da carenze organizzative a lui imputabili, e cioè: • Quando non abbia eliminato le fonti di pericolo con l’applicazione delle norme di sua competenza per la sicurezza; • Quando non abbia adeguatamente custodito le attrezzature della scuola così da prevenire i danni; • Quando non abbia disciplinato l’avvicendamento dei docenti nelle classi, l’accesso e vigilanza degli alunni nei servizi igienici, palestre. • Quando non abbia, al termine delle lezioni, provveduto a impartire disposizioni per la vigilanza sugli alunni e per tutto il tempo in cui sono affidati alla scuola e, quindi, fino al subentro dei genitori o dei loro incaricati. La responsabilità disciplinare dell’insegnante L’esercizio dell’azione disciplinare nel pubblico impiego è obbligatorio in quanto risponde ai principi costituzionali di buon andamento della P.A. e di legittimità nell’azione amministrativa. Le fonti normative sono di duplice natura: • La legge, in particolare il D.Lgs. 165/2001, regola i rapporti di lavoro, le norme sull’incompatibilità, il codice di comportamento e la responsabilità disciplinare: le infrazioni più gravi con le relative sanzioni, forme e termini del procedimento disciplinare. • Il contratto collettivo nazionale di lavoro, che determina l’apparato di dettaglio infrazioni/sanzioni. Allo stato attuale l’insegnante è soggetto alla disciplina generale del pubblico impiego, quale risulta dal D.Lgs. 165/2001; invece, le funzioni di codice disciplinare di dettaglio sono svolte non da un CCNL bensì dagli articoli 492-501 del T.U. del 1994, che prevedono la corrispondenza fra le infrazioni disciplinari e le rispettive sanzioni. Con l’entrata in vigore del D.Lgs. 75/2017 sono state introdotte modifiche nel procedimento disciplinare. I principi da seguire nell’irrogazione delle sanzioni sono a quelli della proporzionalità tra infrazione e sanzione, quello della gradualità delle sanzioni e quello del contraddittorio. Il dirigente scolastico ha la competenza sulle mancanze disciplinari punibili con sanzioni fino alla sospensione dal servizio fino a dieci giorni. Sugli illeciti disciplinari punibili con sanzioni più gravi la competenza passa all’Ufficio Scolastico Regionale. Il dirigente scolastico, quando ha notizia di comportamenti punibili con sanzioni disciplinari di propria competenza, senza indugio (e comunque non oltre dieci giorni da quando il dirigente scolastico è venuto a conoscenza del fatto) contesta per iscritto l’addebito al dipendente medesimo. La contestazione, per essere tale, deve essere precisa e circostanziata. Per le infrazioni punibili con le sanzioni più gravi, la competenza passa all’Ufficio procedimenti disciplinari istituito presso l’USR: in tali casi il capo d’istituto trasmette gli atti superiore entro dieci giorni dalla notizia del fatto. Con la contestazione di addebiti viene assegnato il termine a difesa: l’incolpato è convocato con un preavviso di almeno venti giorni per il contraddittorio a sua difesa. Il dipendente convocato può: • presentarsi personalmente, con o senza una memoria scritta; • presentarsi personalmente con l’assistenza di un procuratore o di un rappresentante sindacale al quale conferisce mandato; • inviare una memoria scritta entro il termine fissato, se non intende presentarsi; • in caso di grave ed oggettivo impedimento, formulare motivata istanza di rinvio (solo 1 volta) del termine: il rinvio è possibile solo una volta nel corso del procedimento. Acquisiti gli elementi a difesa, il dirigente scolastico conclude il procedimento entro centoventi giorni dalla contestazione dell’addebito emettendo l’atto di archiviazione, qualora accolga le giustificazioni del dipendente incolpato e l’irrogazione della sanzione. La P.A. ha l’obbligo di concludere i procedimenti. Nel caso in cui, a carico di un dipendente, risulti una precedente sanzione, irrogata non oltre i due anni precedenti, gli deve essere imputata la recidiva, richiamandola ella contestazione degli addebiti. L'effetto della contestazione della recidiva è quello di poter comminare al dipendente, laddove ne ricorrano gli estremi, una sanzione di livello immediatamente superiore a quella corrispondente all’infrazione ultimamente accertata. Infine, solo per gli insegnanti, esiste l’istituto della riabilitazione. Trascorsi due anni dalla data dell'atto con cui fu inflitta la sanzione disciplinare, il dipendente che, a giudizio del comitato per la valutazione del servizio, abbia mantenuto condotta meritevole, può chiedere che siano resi nulli gli effetti della sanzione, esclusa ogni efficacia retroattiva. La valorizzazione del merito degli insegnanti È sempre più diffusa la convinzione che il merito va da valorizzato e che la progressione di carriera non sia connessa solo ad automatismi contrattuali. L'idea di sbloccare la carriera degli insegnanti in base alla valutazione dell'oro merito a trovato un cenno di attuazione nella legge 107/2015. Il legislatore optò per la figlia minore del bonus annuale, avente natura di retribuzione accessoria, delegando il dirigente scolastico a individuare i docenti dell’istituto ritenuti meritevoli sulla base dei criteri individuati dal comitato per la valutazione dei docenti. Con l’entrata in vigore del CCNL 2018, è stata demandata alla contrattazione d’istituto l’individuazione dei criteri generali per la determinazione dei compensi. Cenni di diritto penale Perché si abbia un reato occorre la concomitanza di tre elementi: • una condotta (di azione o di omissione) che realizza l’evento previsto come reato dalle leggi penali; • l’imputabilità dell’evento (cioè coscienza e volontà) al soggetto che l’ha commesso; • rapporto di causalità tra la condotta e l’evento criminale. Sulla base dell’elemento soggettivo del reato, esso viene definito: • doloso: quando l’evento dannoso o pericoloso è preveduto e voluto dall’agente come conseguenza della propria azione od omissione; • preterintenzionale: quando dall’azione od omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall’agente; • colposo: quando l’evento non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia. ▪ Campo Civile: concernono la protezione della persona del minore in situazione potenziale di pregiudizio o di abbandono. I provvedimenti conseguenti possono decretare limitazioni all'esercizio della responsabilità genitoriale, disporre l'affidamento del minore o dichiararne l’adozione; ▪ Campo Amministrativo: adottando misure a carattere rieducativo nei confronti di minori con atteggiamenti devianti; ▪ Campo Penale: giudica i minori che hanno commesso reati prima di compiere la maggiore età. Le Giurisdizioni Speciali L’art. 103 della Costituzione individua seguenti giurisdizioni speciali: • Giurisdizione Amministrativa: nell'ordinamento italiano vige un sistema di giustizia amministrativa ripartita fra gli organi di giurisdizione ordinaria e quelli di giurisdizione amministrativa. Nello specifico, il giudice ordinario giudica le controversie tra soggetto privato e pubblica amministrazione quando hanno ad oggetto un diritto soggettivo; mentre, il giudice amministrativo giudica le controversie che hanno come oggetto un interesse legittimo. La locuzione “giudice amministrativo” indica l’insieme dei tribunali amministrativi regionali (TAR), quali i giudici di primo grado, e il consiglio di Stato, quale giudice di appello. • Giurisdizione Contabile: è effettuata dalla corte dei conti, organo indipendente con funzioni di giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica. La corte dei conti e organo di giurisdizione speciale di rilevanza costituzionale; esercita il controllo preventivo di legittimità sugli atti del governo, e anche sulla gestione del bilancio dello Stato. Partecipa al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria. Riferisce direttamente alle camere sul risultato del riscontro eseguito. • Giurisdizione Militare. Il Consiglio Superiore della Magistratura Il consiglio superiore della magistratura è formato da tre membri di diritto (PdR, presidente della corte di cassazione e il procuratore generale della corte di cassazione), da 16 membri togati eletti tra i magistrati ordinari, da otto membri laici eletti dal parlamento (professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati che esercitano la professione da almeno 15 anni). Il numero complessivo dei membri del consiglio è di 27 membri. Le funzioni attengono allo stato giuridico dei magistrati: trasferimenti, assegnazioni, promozioni e provvedimenti disciplinari. Il Presidente della Repubblica Il PdR è un organo costituzionale, monocratico, autonomo e indipendente. È un potere dello Stato, neutrale e super partes che esercita funzioni di garante della costituzione, controllo e collegamento tra gli organi costituzionali dello Stato, rappresentante dello Stato e dell’unità nazionale. Figura e il ruolo del PdR sono disciplinati dalla costituzione, dall’art. 83 all’art. 91. Il presidente della Repubblica è eletto dal parlamento in seduta comune dei suoi membri per scrutinio segreto. Per essere eletti i presidenti della Repubblica è necessario essere cittadini italiani, aver compiuto cinquant'anni di età e godere dei diritti civili e politici. Una volta eletto, il presidente presta giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della costituzione dinanzi al parlamento in seduta comune. Il PdR è eletto per sette anni e il suo ufficio è incompatibile con qualsiasi altra carica. Il PdR non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla costituzione. Gli organi ausiliari e le autorità indipendenti Sono denominati ausiliari gli organi che svolgono attività di consulenza nei confronti degli organi costituzionali. Sono organi collegiali, di garanzia, indipendenti dal potere esecutivo e dalla pubblica amministrazione. Operano in funzione consultiva o di controllo affinché gli atti del Consiglio dei Ministri e della pubblica amministrazione siano legittimamente fondanti. Gli organi ausiliari sono: • Consiglio di Stato: viene definito organo di consulenza giuridico-amministrativa e di tutela della giustizia nell’amministrazione. Si compone di sei sezioni di cui le prime tre svolgono funzioni consultive e le ultime tre funzioni giurisdizionali. L'attività consultiva si esprime attraverso pareri, che possono essere facoltativi o obbligatori. I principali pareri obbligatori riguardano gli atti normativi del governo (regolamenti), i ricorsi straordinari al PdR, il coordinamento di leggi e regolamenti in testi unici, il riconoscimento delle persone giuridiche pubbliche. In sede giurisdizionale il Consiglio di Stato ha giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi. • Corte dei Conti: È organo confermato dalla costituzione con funzioni di controllo, consultive e giurisdizionali. L'attività di controllo preventivo si esplica nel visto di legittimità, che rende i provvedimenti efficaci. Nel caso di rifiuto del visto di legittimità occorre una deliberazione del Consiglio dei Ministri affinché il provvedimento prosegue il suo corso. Sull’esito dei controlli eseguiti, la corte riferisce direttamente al parlamento. La funzione consultiva della corte si esplica in pareri obbligatori sulle leggi che comportano modificazioni alle sue attribuzioni e alle norme che modificano le leggi sulla contabilità dello Stato. La funzione giurisdizionale esercitata dalla corte a natura di giurisdizione speciale. La corte è giudice unico in materia pensionistica, ambito delle pensioni ordinarie civili e militari; giudica sulla responsabilità dei funzionari pubblici per danno erariale e nei casi in cui ci sia maneggio di denaro pubblico. • Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL): È un organo collegiale che rappresenta le categorie produttive. Ha l’iniziativa legislativa e può contribuire all’elaborazione della legislazione economica e sociale secondo i principi ed entro i limiti stabiliti. Con lo sviluppo dei compiti dello Stato si è affermata la necessità di affiancare agli organi ausiliari altri organi di controllo in posizione di autonomia e indipendenza sia dal governo e dalla pubblica amministrazione. Le autorità presenti nell'ordinamento sono: • La Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob); L’istituto per la vigilanza delle assicurazioni (IVASS); L’Autor ità per le garanzie nelle comunicazioni; L’Autorità garante della concorrenza e del mercato (antitrust); L’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC); Autorità di Regolazione per Energia, reti e Ambiente; Il Garante per la tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali; La Commissione di garanzia per l’attuazione della legge sul diritto di sciopero; L’Autorità per la regolazione dei trasporti; Commissione di vigilanza sui fondi pensione. 20 – LE AUTONOMIE TERRITORIALI DELLA REPUBBLICA L’art. 5 della Costituzione afferma che la Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali, attua nei servizi che dipendono dallo stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua a e i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento. L’art. 114 dichiara che la Repubblica è costituita dai comuni, dalle province, dalle città metropolitane, dalle regioni e dallo Stato. I rapporti fra le articolazioni territoriali della Repubblica sono regolati dal principio di sussidiarietà previsto con il trattato di Maastricht del 1992 recepito nella costituzione italiana con legge costituzionale n. 3/2001. Tale legge dichiara che Stato, regioni, città metropolitane, province e comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà. Le Regioni Le regioni sono enti autonomi costitutivi della Repubblica. La denominazione e il numero delle regioni sono stabiliti dall’art. 131 della costituzione. Si distinguono in tre tipologie: le Regioni ordinarie, le Regioni a Statuto Speciale, e Regioni ordinarie, che attivano la procedura di specializzazione (richiesta di attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia sulle materie di potestà legislativa esclusiva statale). Le regioni presentano tre elementi identificativi: il territorio regionale, la popolazione, e l’apparato autoritario, formato dagli organi regionali, che sono: • Consiglio Regionale: è l'organo rappresentativo della collettività regionale. Il consiglio regionale dura in carica cinque anni ed esercita la potestà legislativa e le funzioni assegnate dalle leggi e dallo statuto. Il consiglio elegge tra i suoi componenti un presidente e un ufficio di presidenza. • Giunta Regionale e il suo Presidente: È l'organo collegiale esecutivo delle regioni, composto dal presidente, da un vice presidente eventuale e dagli assessori. La giunta attuale la specifica e propria funzione di indirizzo politico-amministrativo mediante l'iniziativa legislativa, l'esercizio delle funzioni amministrative, la programmazione e la decisione sui ricorsi di legittimità costituzionale sui conflitti di attribuzione. Il presidente della regione riveste la duplice funzione di rappresentante della regione (rappresenta l’ente all’esterno, promulga le leggi ed emana i regolamenti regionali, indice il referendum, dirige le funzioni amministrative) e di presidente della giunta (dirige la politica della giunta e ne è responsabile, esercita funzioni di indirizzo, coordinamento e vigilanza). Ciascuna regione ha uno statuto che, in armonia con la costituzione, ne determina la forma di governo i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento. Le regioni sono dotate di: • Autonomia statuaria (principi fondamentali di organizzazione e funzionamento); • Autonomia legislativa (potestà legislativa); • Autonomia amministrativa o autarchica (emanano atti amministrativi che hanno la stessa efficacia dei provvedimenti amministrativi emanati dallo Stato); • Autonomia organizzativa (dispongono di un proprio apparato organizzativo); • Autonomia finanziaria (dispongono di entrate proprie e sono responsabili delle spese); • Autonomia di indirizzo politico-amministrativo (possono deliberare un proprio indirizzo politico). Il nuovo art. 117 della Costituzione ha ridefinito la suddivisione della potestà legislativa tra lo Stato e le Regioni, distinguendo tra tre tipi: • Potestà legislativa esclusiva dello Stato: lo Stato ha il potere di disciplina regolamentare, il quale può essere delegato alle regioni • Potestà legislativa concorrente o ripartita: in essi esiste una suddivisione dei compiti tra lo Stato e le regioni. Lo Stato ha il compito di determinare i principi fondamentali (legge-quadro / cornice) e le regioni hanno il compito di emanare la legislazione specifica di settore. • Potestà legislativa residuale delle regioni: i settori in cui si esercita la potestà legislativa residuale delle regioni non sono definiti nella costituzione ma sono ricavabili per esclusione. Infatti, spetta alle regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello stato. Le competenze delle Regioni nel sistema dell’istruzione Per quanto riguarda le materie dell’istruzione nonché dell’istruzione formazione professionale, le competenze legislative nella nuova formulazione dell’art. 117 sono: • Legislazione esclusiva dello Stato nell'istruzione: la legge 53/2003 (riforma Moratti) a delegato il governo ad adottare uno o più decreti legislativi per la definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale. Per norme generali, il legislatore ha inteso la definizione generale e complessiva del sistema educativo di istruzione e di formazione, la previsione e la regolamentazione degli esami di Stato, la definizione degli standard minimi formativi, i principi della valutazione, il modello di alternanza scuola-lavoro, e i principi in materia di formazione degli insegnanti. • Legislazione concorrente tra Stato e Regioni nell’istruzione: spetta alle regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato. Circa la competenza regionale, questa si basa sulla programmazione della rete scolastica, ritenendo altresì che compete alle regioni la distribuzione del personale docente tra le istituzioni scolastiche. Per quanto riguarda l’autonomia scolastica, sono sottratte alla competenza delle regioni tutte le competenze che le disposizioni in materia di autonomia riservano alla competenza delle istituzioni scolastiche. Le Province La provincia è l’ente costitutivo della Repubblica ed è definita dal D.Lgs. 267/2000, secondo cui è l’ente locale intermedio tra Comune e regione, rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi, ne promuove e ne coordina lo sviluppo. Le funzioni amministrative della provincia riguardano questi settori: la difesa del suolo; la tutela e valorizzazione dell’ambiente, delle risorse idriche ed energetiche; valorizzazione dei beni culturali; viabilità e trasporti; protezione della flora e della fauna; organizzazione dello smaltimento dei rifiuti e degli scarichi delle acque e delle emissioni atmosferiche e sonore; servizi sanitari e di igiene; istruzione secondaria di secondo grado ed artistica ed alla formazione professionale. Sono organi di governo della provincia: • Il consiglio provinciale: è l’organo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo titolare di competenze specifiche. Tra gli atti fondamentali abbiamo: l’organizzazione dei pubblici servizi; costituzione di istituzioni e aziende speciali; concessione di pubblici servizi; istituzione e ordinamento dei tributi; contrazione di mutui; acquisti e alienazioni di immobili, permute, appalti e concessioni non previsti espressamente in atti fondamentali del consiglio. • La Giunta provinciale e il Presidente della Provincia: È organo a competenza residuale. È composta dal presidente, che la presiede, e da un numero pari di assessori, stabilito dallo statuto dell'ente. Collabora nell'attuazione degli indirizzi generali del consiglio e riferisce annualmente sulla propria attività. Il presidente della provincia è organo responsabile dell’amministrazione provinciale; rappresenta l’ente, convoca e presiede la giunta, convoca e presiede il consiglio, sovrintende al funzionamento dei servizi e degli uffic i ed all’esecuzione degli atti. Le competenze delle Province nel sistema dell’istruzione Nell’ambito dell’istruzione, le province hanno sostanzialmente le seguenti competenze: • Predisporre il piano provinciale delle istituzioni scolastiche; • Fornire gli edifici, gli arredi e ogni strumento organizzativo necessario per il funzionamento delle scuole secondarie superiori; • Provvedere a curare la rete dei trasporti anche scolastici. I Comuni Il comune è ente costitutivo della Repubblica ed è definito dal D.Lgs. 267/2000 come l’ente locale che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo. Le funzioni amministrative dei comuni riguardano la popolazione e del territorio comunale, principalmente nei settori organici dei servizi alla persona e alla comunità, dell’assetto ed utilizzazione del territorio e dello sviluppo economico, salvo quanto non sia espressamente attribuito ad altri soggetti dalla legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze. Gli organi sono: • Consiglio Comunale: È l’organo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo, titolare di competenze specifiche. • Giunta Comunale: come quella provinciale, è organo a competenza residuale. È composta dal presidente, che la presiede, e da assessori. Collabora nell'attuazione degli indirizzi generali del consiglio e riferisce annualmente sulla propria attività. Svolge funzioni di proposta e compie tutti gli atti di amministrazione non riservati dalla legge al consiglio. • Sindaco: È organo responsabile dell'amministrazione comunale. Viene eletto contestualmente all'elezione del consiglio comunale, con suffragio universale e diretto. Rappresenta l'ente, convocata e presiede la giunta, convoca e presiede il consiglio; sovrintende al funzionamento dei servizi e degli uffici e all’esecuzione degli atti; nomina e revoca gli assessori, nomina i responsabili degli uffici e dei servizi ed esercita le funzioni attribuite dalle leggi, dallo statuto e dei regolamenti. Inoltre emana ordinanza e urgenti in materia di emergenza sanitaria o di gene pubblica; coordina e riorganizza gli orari degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici, e gli orari di apertura al pubblico degli uffici pubblici del territorio comunale. L'esercizio associato di funzioni da parte degli enti locali, finalizzato alla razionalizzazione delle risorse ha generato diverse forme di aggregazione fra comuni. Le tipologie associative sono le Comunità Montane, le Comunità Isolane e le Unioni di Comuni. Le competenze dei Comuni nel sistema dell’istruzione I Comuni provvedono a: • Definire e a gestire il piano comunale delle istituzioni scolastiche; • Fornire edifici, arredamento e attrezzature alle scuole dell’infanzia e del primo ciclo. L’ente locale può delegare alle singole istituzioni scolastiche, sul loro richiesta, funzioni relative alla manutenzione ordinaria, previa assegnazione dei fondi necessari all’esercizio delle funzioni delegate. Gli enti locali sono tenuti ad assegnare fondi alle scuole o a provvedere direttamente per le spese varie d’ufficio necessari al funzionamento delle segreterie amministrative (cancelleria, piccole attrezzature, registri, manutenzione strumenti informatici). Sono inoltre in capo agli enti locali le spese per utenze elettriche, gas e acqua nonché per il riscaldamento e i relativi impianti, le spese telefoniche ad uso amministrativo, le spese per i materiali necessari alla pulizia dei locali scolastici. • Provvedere alla rete dei trasporti urbani; • Vigilare sull’osservanza dell’obbligo d’istruzione. Le Città Metropolitane Sono enti locali autonomi. La riforma della seconda parte della costituzione (legge cost. 3/2001) le ha costituzionalizzate, definendole enti autonomi costitutivi della Repubblica (art. 114), con proprio statuto, poteri e funzioni. Tali enti sono stati riformati con l’entrata in vigore della legge 56/2014, la quale ha così disposto: • Le città metropolitane sono enti territoriali di area vasta che curano lo sviluppo strategico del territorio metropolitano; promuovono e gestiscono i servizi, le infrastrutture e le reti di comunicazione di interesse della città metropolitana; curano le relazioni istituzionali afferenti al proprio livello; • Il loro territorio coincide con quello della provincia omonima; • Gli organi amministrativi sono: il sindaco metropolitano, il consiglio metropolitano e la conferenza metropolitana; Le città metropolitane sono 10: Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria, più Roma capitale con disciplina speciale. 21 – LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE NELLA COSTITUZIONE E NELLA LEGGE Il testo della Costituzione colloca la Pubblica Amministrazione all’interno del Titolo III “Il Governo”. La Sez. II “La pubblica amministrazione” (artt. 97 e 98) individua i principi che reggono l’attività della PA e dei pubblici impiegati. • Art. 97 Cost.: I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione. Nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari. • Art. 98 Cost.: I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della nazione. Seguendo il principio generale della responsabilità della PA (art. 28), i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità si estende allo Stato e agli enti pubblici. Dal principio generale della responsabilità della PA precedentemente enunciato risulta che la titolarità del potere esecutivo è attribuito al governo, che esercita tramite la PA; la PA È l’organizzazione di mezzi e di persone cui è devoluta la funzione di raggiungere gli obiettivi di interesse pubblico definiti dall’ordinamento. Si noti tuttavia che, pur essendo la PA parte del potere esecutivo, l’organizzazione dei pubblici uffici e riserva di legge e, quindi, materia di competenza del parlamento. Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le regioni, le province, i comuni, le comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli istituti autonomi case popolari, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del servizio sanitario nazionale, l’agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni e le agenzie di cui al decreto legislativo 300/1999. Le persone giuridiche, in quanto creazioni del diritto, svolgono la loro attività attraverso persone fisiche le quali esercitano le facoltà e le potestà di cui sono titolari. Si definisce organo la persona o l'insieme di persone che esercitano una potestà pubblica: il meccanismo di imputazione prevede che l’azione svolta dall’organo si consideri come posta in essere dall’ente stesso. Quindi, la persona fisica titolare dell’organo è Nella Costituzione italiana il tema del lavoro è centrale e rientra nella parte dedicata ai principi fondamentali. L’art. 1 stabilisce che la democrazia repubblicana è fondata sul lavoro. L'art. 4 dichiara che: il diritto al lavoro è riconosciuto a tutti i cittadini; la Repubblica promuove le condizioni che rendono effettivo tale diritto; il lavoro è un dovere, che consente al cittadino di concorrere al progresso materiale e spirituale della società: il lavoro non è quindi un semplice mezzo per la sopravvivenza individuale o collettiva. Il Titolo III della Cost. “Rapporti economici” prevede particolari norme di tutela per il lavoro e per i lavoratori: • l’art. 35 tutela il lavoro, la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori; • l’art. 36 tutela il diritto alla retribuzione, al riposo settimanale e alle ferie annuali, retribuite e non rinunziabili; • l’art. 37 stabilisce la parità sul lavoro tra uomo e donna, tutelando la maternità; stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato; • l’art. 38 stabilisce tutele sociali per gli inabili e per i lavoratori in casi di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia e disoccupazione involontaria; • l’art. 39 afferma il principio della libertà dell’organizzazione sindacale e, nel contempo, prevede la riserva di legge per la loro registrazione, ponendola come condizione perché possano sottoscrivere contratti di lavoro con validità erga omnes; • l’art. 40, tutelando il diritto di sciopero, rinvia alla legge per la sua regolamentazione (L. 146/1990, i servizi pubblici essenziali). Con la L. 300/1970, conosciuta come lo Statuto dei Lavoratori, vennero accresciuti nei luoghi di lavoro i diritti dei lavoratori e, soprattutto, furono codificati i diritti sindacali. La legge è impostata su tre parti, corrispondenti ad altrettanti nuclei di diritti. • Il Titolo I è denominato “Della libertà e dignità del lavoratore” (artt. 1-13); • Il Titolo II è denominato “Della libertà sindacale” (artt. 14-18); • Il Titolo III è denominato “Dell'attività sindacale” (artt. 19-27). Il rapporto di lavoro è il rapporto giuridico che trae origine dal contratto di lavoro, caratterizzato, da un lato, dall’obbligazione della prestazione lavorativa a carico del lavoratore e, dall’altro, dall’obbligazione della retribuzione a carico del datore di lavoro. Il contratto di lavoro è un contratto tipico (disciplinato espressamente dalla legge), bilaterale (gli obblighi sorgono in capo ad entrambe le parti), sinallagmatico (ciascuna parte assume l’obbligazione di corrispondere una prestazione in favore dell’altra) e oneroso (corrisponde in capo al datore di lavoro l’obbligazione di retribuire). Il contratto di lavoro viene stipulato tra un datore di lavoro ed un lavoratore; con il consenso delle parti si costituisce il contratto. La capacità di stipulare validamente un contratto di lavoro si acquisisce con la maggiore età (o, a seguito della legge finanziaria 2007, al compimento del 16° anno di età). Il contratto di lavoro può essere stipulato sia a tempo indeterminato che determinato prevedendo un termine conclusivo rispetto alla durata. In materia di lavoro, la Costituzione italiana prevede che non vi siano discriminazioni nei confronti delle donne e dei minori. Le caratteristiche del rapporto di lavoro subordinato sono la collaborazione e la subordinazione. I due elementi sono individuati dall’art. 2094 del codice civile, che definisce il prestatore d’opera subordinato colui che “si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro, intellettuale o manuale, alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”. Si ha subordinazione quando il contenuto della prestazione lavorativa è determinato da altro soggetto: i lavoratori subordinati devono seguire le disposizioni del datore di lavoro. Il lavoro autonomo è, invece, caratterizzato dalla gestione del lavoro a proprio rischio e dall’organizzazione del lavoro da parte dello stesso prestatore, che determina in modo libero l’oggetto, il luogo della prestazione ed il modo di operare. La distinzione tra lavoro subordinato e lavoro autonomo è significativa non solo per gli aspetti tecnici che la caratterizzano ma anche per determinare le garanzie che il legislatore ha previsto per il lavoro subordinato, fra le quali diritti assistenziali e previdenziali, in caso di licenziamento, limiti al potere direttivo, ecc. Dalla “riforma Biagi” al Jobs Act Gli scopi della legge delega 30/2003 (c.d. riforma Biagi), che si ispiravano alle indicazioni delineate a livello comunitario, erano: • la creazione di un mercato del lavoro trasparente ed efficiente; • l’introduzione di forme di flessibilità regolata e contrattata con il sindacato; • l’introduzione di nuove tipologie di contratto. ▪ lavoro intermittente o a chiamata: un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro; ▪ lavoro ripartito: contratto di lavoro mediante in cui due lavoratori assumono l’adempimento di un’unica obbligazione; ▪ lavoro part-time. La scelta di rilanciare con contratti a tempo indeterminato, togliendo i vincoli ritenuti superati e limitando gli abusi nell’applicazione delle norme contenute nella “riforma Biagi” portò all'approvazione della legge n. 183/2014, contenente le deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell'attività ispettiva e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro. Il cuore del Jobs act è la promozione, in coerenza con le indicazioni europee, del contratto a tempo indeterminato. Il nuovo contratto a tempo indeterminato ha le seguenti caratteristiche: ▪ è a tutele crescenti in relazione all'anzianità di servizio; ▪ è reso più conveniente rispetto agli altri tipi di contratto in termini di oneri diretti e indiretti; ▪ esclude per i licenziamenti economici la possibilità della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro Il ricorso al contratto a tempo determinato era consentito a fronte di ragioni di carattere: ▪ tecnico: quando insorge la necessità di figure professionali non previste normalmente nel contesto lavorativo; ▪ produttivo e organizzativo: per far fronte ad esigenze particolari, ad es. picchi di produzione; ▪ sostitutivo: per sostituire lavoratori assenti. La proroga del contratto a termine era prevista per una durata complessiva non superiore ai tre anni; superato tale termine il contratto si considera a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini. La regola era stata sostanzialmente confermata con il Jobs Act. Tale normativa è stata parzialmente superata a seguito dell’entrata in vigore della legge 96/2018 (c.d. Decreto dignità), la quale stabilisce che: ▪ al contratto di lavoro, può essere apposto un termine di durata non superiore a dodici mesi; ▪ può avere una durata superiore, comunque non eccedente i ventiquattro. Esclusività del lavoro pubblico Sulla base del principio secondo cui i “pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione” la nostra legislazione ha regolamentato l’incompatibilità tra l’impiego pubblico e il contestuale svolgimento di altre attività lavorative. A tal proposito, il pubblico impiegato non può esercitare il commercio, l'industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro. Sono sanzionate le violazioni del dovere di esclusività, fino al licenziamento disciplinare. I dipendenti delle PA possono esercitare le libere professioni o svolgere altra attività purché optino per il regime di part time con prestazione lavorativa non superiore al 50% rispetto a quella prevista per il tempo pieno. Infatti, su richiesta dei dipendenti l’Amministrazione scolastica può costituire rapporti do lavoro a tempo parziale all’atto dell’assunzione stessa, oppure mediante trasformazione di rapporti a tempo pieno, e comunque nei limiti massimi del 25% della dotazione organica complessiva di personale a tempo pieno di ciascuna classe di concorso a cattedre o posti o di ciascun ruolo. Il tempo parziale può essere realizzato: • con la prestazione ridotta in tutti i giorni lavorativi (tempo parziale orizzontale); • con articolazione su alcuni giorni della settimana (tempo parziale verticale); • con articolazione della prestazione risultante dalla combinazione delle due modalità. Il personale con rapporto di lavoro a tempo parziale è escluso dalle attività aggiuntive di insegnamento aventi carattere continuativo: non può, quindi, assumere incarichi di insegnamento aggiuntivo di durata annuale, neppure sugli spezzoni vacanti, di orario pari o inferiore alle 6 ore settimanali, che rientrano nella competenza del dirigente scolastico. Invece può accettare ore saltuarie di supplenza per sostituire colleghi assenti, e può accettare corsi di recupero o altri corsi facenti parte dell'ampliamento dell’offerta formativa purché di durata determinata. La privatizzazione del rapporto di lavoro nella PA Oggi, tutte le disposizioni vigenti in materia di pubblico impiego sono state raccolte e coordinate nel D.Lgs. 165/2001, rubricato “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni” (è il nuovo Testo Unico del pubblico impiego), poi modificato a seguito di successivi interventi legislativi. In particolare, il D.Lgs. 150/2009 (c.d. riforma Brunetta) ha innovato le norme sulla contrattazione nel pubblico impiego: esse sono state riversate nel Titolo III “Contrattazione collettiva e rappresentatività sindacale” del citato Testo Unito. La contrattazione collettiva si svolge su tutte le materie relative al rapporto di lavoro ed alle relazioni sindacali. La parte pubblica è rappresentata dall’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) la quale: • ha la rappresentanza legale delle PA ed esercita, per loro conto, ogni attività inerente le relazioni sindacali e la contrattazione collettiva; • ha funzioni consultive in materia di interpretazione dei contratti; • ha funzioni di raccolta dei dati in materia di voti e deleghe ai sindacati che debbono essere ammessi alla contrattazione. L'ARAN ammette alla contrattazione collettiva nazionale le organizzazioni sindacali che abbiano nel comparto o nell’area una rappresentatività non inferiore al 5%. L'ARAN sottoscrive i contratti collettivi verificando previamente che le organizzazioni sindacali che aderiscono all’ipotesi di accordo rappresentino nel loro complesso almeno il 51%. Il Contrattato collettivo nazionale di lavoro (CCNL) regolamenta il rapporto di lavoro nell’ambito di un settore omogeneo: un comparto o un’area della PA. La contrattazione collettiva prevede ulteriori livelli di contrattazione: • contratto collettivo nazionale quadro (CCNQ) stabilisce le regole della contrattazione valide per tutta la PA; in particolare stabilisce i comparti, le aree contrattuali, i diritti e le prerogative sindacali; • contratto collettivo nazionale integrativo (CCNI) riguarda le singole amministrazioni secondo materie e limiti posti dal rispettivo CCNL; • nella scuola, il contratto integrativo regionale (CIR) regolamenta le materie espressamente previste dal CCNL a livello di singola USR; • ancora nella scuola, la contrattazione integrativa di istituto definisce a livello di singola istituzione scolastica i criteri di cui il dirigente scolastico tiene conto nell'attribuire e retribuire incarichi specifici, regola l’esercizio dei diritti sindacali ecc. La RSU è l’organismo di rappresentanza sindacale che, in specifici campi riservati alla contrattazione integrativa, rappresenta il personale dell’istituzione scolastica autonoma. La RSU è di competenza sindacale, non della PA che ne rappresenta la controparte. La RSU si forma con elezioni a scrutinio segreto. Hanno diritto di voto tutti i dipendenti con contratto a tempo indeterminato, ivi compresi quelli provenienti da altre amministrazioni che vi prestano servizio in posizione di comando e fuori ruolo, nonché i supplenti con incarico annuale. Le elezioni sono valide solo se la partecipazione al voto è di almeno la metà più uno degli elettori: in caso contrario, occorre indire nuove elezioni. In ogni caso gli eletti rappresentano i lavoratori e non il sindacato nella cui lista sono stati eletti. La RSU ha la durata di tre anni. Il CCNL 19 aprile 2018 del comparto Istruzione e ricerca Il Contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto Istruzione e ricerca, sottoscritto definitivamente il19 aprile 2018; ha visto applicata per la prima volta la nuova struttura della contrattazione dei comparti del pubblico impiego, ridotti a quattro in applicazione del D.Lgs. n. 165/2001. La mission di questo contratto era migliorare il trattamento economico del personale Istruzione e ricerca sulla base delle disponibilità reperite dal Governo. Il comparto Istruzione e ricerca comprende quattro settori: • Scuole statali; • Accademie, Istituti superiori per le industrie artistiche, Conservatori di musica e Istituti musicali pareggiati; • Università, Istituzioni Universitarie e le Aziende ospedaliero-universitarie; • CNR tutte le istituzioni della Ricerca. Il CCNL 2018, valido per il triennio normativo ed economico 2016-2018, si articola perciò in una Parte comune (artt. 1-21) e in quattro successive Sezioni, corrispondenti ai settori sopra elencati (alla Sezione scuola sono dedicati gli artt. 22-40). Il D.Lgs. n. 165/2001 prevede due modelli alla base delle relazioni sindacali: la partecipazione e la contrattazione integrativa. La partecipazione, i cui istituti sono concordati in sede di CCNL, è finalizzata al dialogo costruttivo tra le parti, anche su atti e decisioni di competenza delle amministrazioni in materia di organizzazione o aventi riflessi sul rapporto di lavoro. La contrattazione integrativa è, invece, finalizzata alla stipulazione di contratti che obbligano reciprocamente le parti. La contrattazione integrativa d’istituto è finalizzata ad incrementare la qualità dell’offerta formativa, sostenendo i processi di innovazione in atto, anche mediante la valorizzazione delle professionalità coinvolte. Le materie riservate alla contrattazione integrativa a livello sono: • salute e sicurezza sul lavoro; • diritti sindacali; • risorse per la formazione del personale; • i criteri generali per l’utilizzo di strumentazioni tecnologiche in orario diverso da quello di servizio, al fine di una maggiore conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare (diritto alla disconnessione); • riflessi delle innovazioni tecnologiche sulla qualità del lavoro e sulla professionalità. • criteri per la ripartizione dei compensi accessori denominati FIS (fondo per l’istituzione scolastica) inclusi quelli “finalizzati alla valorizzazione del personale” (bonus); Una volta determinata la consistenza del fondo a disposizione, detratta la quota relativa alla indennità di direzione spettante al DSGA (quota a destinazione vincolata), il dirigente scolastico, sulla base del PTOF, predispone la proposta di contrattazione integrativa relativa alla ripartizione delle risorse del FIS. Convoca poi, con atto formale, la RSU e le organizzazioni sindacali territoriali firmatarie del CCNL per consegnare loro la proposta contrattuale: le trattative devono iniziare non oltre il 15 settembre. L'accordo, di regola, va sottoscritto entro il 30 novembre per essere poi sottoposto alla certificazione da parte dei revisori dei conti: il termine per l’accertamento è fissato in 30 giorni. Decorso inutilmente tale termine, si forma il silenzio assenso. Conclusa e certificata la contrattazione, il dirigente scolastico conferisce individualmente e in forma scritta gli incarichi relativi allo svolgimento delle attività aggiuntive da retribuire con il fondo d’istituto. L'atto indica: • il tipo di incarico; • le modalità di svolgimento; • gli obiettivi da raggiungere; • la misura del compenso; • la richiesta di relazione documentata da presentare alla fine dello svolgimento dell’incarico. Al termine delle attività, corrispondente con il termine delle attività didattiche (30 giugno), il personale incaricato presenta la relazione documentata sull’attività svolta. Il dirigente scolastico verifica la rispondenza di quanto dichiarato rispetto agli obiettivi assegnati e al compimento delle attività oggetto di incarico. Provvede, quindi, tramite l’ufficio di segreteria, alla determinazione dei compensi da retribuire. Il pagamento avviene tramite il cedolino dello stipendio. L'esercizio dei diritti sindacali nella scuola Costituiscono materia di contrattazione i criteri e le modalità di applicazione dei diritti sindacali e la determinazione dei contingenti in servizio in caso di sciopero per assicurare i servizi minimi essenziali previsti dalla legge n. 146/1990. La partecipazione all’assemblea sindacale è retribuita e costituisce servizio a tutti gli effetti: perciò il personale è tenuto alla massima collaborazione nei termini previsti dal contratto, relativi in particolare alla dichiarazione di adesione e ai termini per comunicarla. Chi sciopera esercita, invece, a proprie spese il diritto previsto dall’art. 40 Cost.: pertanto non è obbligato alla preventiva dichiarazione. Nello specifico, il dirigente scolastico: • per le assemblee in cui è coinvolto anche il personale docente sospende le attività didattiche delle sole classi, o sezioni di scuola dell’infanzia, i cui docenti hanno dichiarato di partecipare all’assemblea; • per le assemblee in cui è coinvolto anche il personale ATA, se la partecipazione è totale, stabilisce, con la contrattazione di istituto, la quota e i nominativi del personale tenuto ad assicurare i servizi essenziali relativi la vigilanza degli ingressi alla scuola, al centralino e ad altre attività indifferibili coincidenti con l’assemblea sindacale. La materia dello sciopero nella scuola è regolata dall’appendice al CCNL del 29 maggio 1999, rubricata “Attuazione della legge n. 146/1990” riguardante “Norme sull'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali”. Spetta alla contrattazione d’istituto regolamentare i contingenti minimi di collaboratori scolastici e di personale amministrativo previsti in caso di sciopero parziale per garantire lo svolgimento delle lezioni alle classi dei docenti non aderenti allo sciopero. I contingenti minimi per i servizi essenziali devono essere sempre garantiti nei casi di: • effettuazione degli scrutini ed esami, con particolare riferimento agli esami finali; • vigilanza sui minori durante il servizio di refezione; • vigilanza degli impianti e delle apparecchiature il cui funzionamento non possa essere interrotto; • cura e allevamento del bestiame nelle aziende agrarie annesse agli istituti professionali; • smaltimento di rifiuti tossici e radioattivi; • pagamento degli stipendi al personale con rapporto di lavoro a tempo determinato; • servizi indispensabili agli alunni convittori e semiconvittori nelle istituzioni educative, con particolare riferimento alla vigilanza nelle ore notturne ed alla mensa. In occasione di ogni sciopero, i dirigenti scolastici inviteranno in forma scritta il personale a rendere comunicazione volontaria circa l’adesione allo sciopero entro il decimo giorno dalla comunicazione della proclamazione dello sciopero oppure entro il quinto, qualora lo sciopero sia proclamato per più comparti. Decorso tale termine, sulla base dei dati conoscitivi disponibili i dirigenti scolastici valuteranno l'entità della riduzione del servizio scolastico e, almeno cinque giorni prima dell’effettuazione dello sciopero, comunicheranno le modalità di funzionamento o la sospensione del servizio alle famiglie, nonché al dirigente territoriale competente. In queste circostante spetta personalmente al capo d’istituto garantire la pluralità di diritti e interessi in atto, in questo caso configgenti fra di loro: • il diritto degli alunni e delle famiglie al servizio scolastico; • il diritto di lavorare per chi non aderisce allo sciopero; • il diritto di scioperare per chi vi aderisce.