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Riassunto manuale Edises concorso straordinario docenti 2024, Schemi e mappe concettuali di Pedagogia

Riassunto completo del manuale Edises per la preparazione del concorso straordinario docenti 2023

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2022/2023

In vendita dal 25/01/2024

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Scarica Riassunto manuale Edises concorso straordinario docenti 2024 e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Pedagogia solo su Docsity! 1 CAPITOLO 1 – LO SVILUPPO SOCIALE E LE RELAZIONI DI GRUPPO La SOCIETA’ è formata da individui che compiono azioni sociali, cioè azioni che sono intenzionalmente rivolte verso gli altri, e che posseggono un senso sociale nella loro mente. L'oggetto di studio della psicologia sociale è rappresentato dall'attività mentale e dai comportamenti dei soggetti immersi nella vita sociale, cioè che agiscono in uno stesso spazio sociale e che si influenzano reciprocamente con le loro azioni. L'obiettivo principale è, quindi, quello di comprendere il modo in cui il pensiero, il sentimento e il comportamento degli esseri umani vengono condizionati dalla presenza degli altri, analizzando soprattutto i rapporti competitivi e cooperativi, le relazioni di aiuto e le reazioni all'ingiustizia in modo da poter descrivere sia i comportamenti sia i processi mentali che li sottendono. Inoltre, lo sviluppo morale insieme all'introduzione dei concetti di giustizia distributiva, di giustizia positiva, di altruismo, di comportamento prosociale e di EQUITA’ (intesa come situazione in cui i singoli individui possono trarre vantaggio da istruzione e formazione in termini di accesso all'educazione e al mondo del lavoro) sono concetti strettamente legati tra di loro, tanto che alcune volte sono addirittura sovrapponibili e seguono un preciso modello di sviluppo che si evolve con l'evolversi degli stadi di sviluppo cognitivo e sociale. Di conseguenza, lo sviluppo morale è importante anche per comprendere tutti quei fenomeni che contraddistinguono il nostro vivere con gli altri. Infine, nel momento in cui si studia il comportamento in un contesto sociale è possibile osservare che le risposte agli stimoli mostrano alcune regolarità che dipendono dall'eredità biologica oppure dai rapporti che intercorrono tra i membri della collettività. La struttura sociale non è altro che un sistema interrelato di modelli e aspettative propri di una società caratterizzata da rapporti relativamente stabili, che consentono alla stessa struttura di permanere al di là della mutevolezza della quotidianità. La famiglia, la scuola e il lavoro sono i tre contesti primari di cui un individuo viene a far parte nel corso della vita. In ognuno di questi contesti, l'individuo si relaziona con altri individui ed è così che si sviluppano relazioni più o meno profonde, più o meno durature e significative. Ogni relazione costituirà un tassello che si unirà ad altri e concorrerà a determinare lo sviluppo di ciascuno. Se si restringe il campo di indagine alla fascia d'età compresa tra la nascita e il termine dell'obbligo scolastico, si può affermare che gli agenti che influiscono maggiormente sulla formazione di un'identità socio-culturale sono: il sistema educativo, le agenzie educative e i mezzi di comunicazione di massa. La FAMIGLIA è un contesto costitutivo perché è lì che il bambino trova le prime corrispondenze ai propri bisogni, in cui stabilisce le prime relazioni significative e in cui trova una base sicura (lo psicologo britannico John Bowlby la definisce come il luogo da cui un bambino parte per esplorare il mondo e a cui può far ritorno in qualsiasi momento di difficoltà o quando ne sente il bisogno) dal punto di vista affettivo-relazionale. Un bambino che entra al nido in tenera età sperimenta immediatamente la socialità, impara a gestire i conflitti, acquisisce maggiore autonomia traendo benefici dal confronto con gli altri, anticipando alcune tappe dello sviluppo che, per i coetanei che non frequentano ancora un ambiente scolastico, si susseguiranno con maggior lentezza. 2 La SCUOLA è organizzata in modo ciclico, sia per quanto riguarda i contenuti didattici e gli apprendimenti relativi, sia per la struttura. Con le ultime riforme si sono registrati dei cambiamenti notevoli anche all'interno della struttura. Il LAVORO entra a far parte del mondo del bambino in modo indiretto, cioè attraverso i genitori, anche se, in alcuni contesti culturali, i minori spesso lavorano sin dalla più tenera età. L'interazione tra questi sistemi è uno dei punti cardine dei nuovi presupposti socio- educativi, infatti, sempre più spesso la famiglia sceglie la scuola e la scuola si adatta alle esigenze della famiglia con programmi attenti all'orario di lavoro dei genitori e con un orario scolastico flessibile per venire incontro ai bisogni degli stessi. Questa sinergia tra scuola e famiglia è fondamentale per attuare una coerenza educativa che permetta al bambino una crescita e uno sviluppo armonici. Per quanto riguarda la variabile temporale è possibile distinguere diversi periodi dello sviluppo più o meno coincidenti con i criteri dello sviluppo sociale: 1) età della prima infanzia → da 0 a 3 anni, il contesto è esclusivamente familiare anche se, sempre più spesso, vi sono bambini che frequentano il nido anche a partire dai quattro mesi; 2) età prescolare → da 3 a 6 anni, i sistemi coinvolti sono quello scolastico e familiare, infatti, le relazioni che si sviluppano riguardano sia i familiari sia i pari e i partner dei sistemi esterni, come le maestre; 3) età scolare → da 6 a 10-11 anni, in questa fase dello sviluppo il bambino acquisisce maggiore autonomia e capacità di relazionarsi consapevolmente con gli altri, scegliendo le proprie amicizie e direzionando le proprie scelte; 4) pre adolescenza e adolescenza → è da sempre definita l'età della crisi, coincide con l'ingresso nella scuola secondaria e con gli studi superiori ed è il periodo più delicato per alcuni equilibri, come ad esempio la gestione della propria autostima; 5) fase adulta → da questo momento inizia il secondo ciclo della famiglia e della vita lavorativa. L'ambiente ecologico di URIE BRONFENBRENNER (1917- 2005) → questo psicologo ritiene che per comprendere lo sviluppo di un individuo sia indispensabile considerare il rapporto che questo stabilisce con il proprio ambiente ecologico, inteso come un sistema complessivo dato dall’interconnessione tra i diversi contesti che influenzano il suo sviluppo. Il modello ecologico intende quindi l'ambiente di sviluppo del bambino come un sistema articolato, costituito da sistemi più specifici che sono in relazione tra di loro secondo un modello di cerchi concentrici. Al centro vengono collocati i microsistemi, cioè i contesti di attività, i ruoli e le relazioni che favoriscono il coinvolgimento di relazioni sempre più complesse (ne sono esempi la classe, la famiglia, il gruppo dei pari). L'insieme delle relazioni che legano più microsistemi costituisce il mesosistema, in cui il bambino vive e fa esperienze, ne è un esempio la scuola, intesa come ambiente in cui entrano in relazione la famiglia, il gruppo degli amici, i docenti. Il mesosistema è a sua volta inscritto nell'esosistema, il quale si 5 comprendere il senso delle regole, per questo, sono importanti le routine, ovvero le attività ricorrenti che consentono al bambino di abituarsi alla regolarità dello schema. Inoltre, la routine consente al bambino sia di prevedere le fasi sia di attendere lo sviluppo di ognuno dei passaggi che compongono l'intero schema, ponendo le basi per l'acquisizione delle regole, rassicurandolo e favorendo esperienze di tipo cognitivo, emotivo e sociale. L’importanza della routine è riferibile anche al contesto scolastico, infatti, le attività proposte dagli insegnanti portano alla costruzione di scenari per la conversazione tra compagni. Tra i due e i tre anni aumentano le relazioni con i coetanei, con i quali il bambino è capace di fare giochi di collaborazione e si possono evidenziare modelli relazionali basati sullo scambio e sull'alternanza dei ruoli. Le relazioni con i coetanei sono specifiche poiché si basano su una simmetria del potere, mentre quelle con gli adulti sono asimmetriche. Le prime relazioni che il bambino instaura sono di tipo diadico (il termine diade è un termine psicoanalitico introdotto da Renè Spitz per indicare la relazione madre-figlio nei primi anni di vita). Il neonato vive, infatti, con la madre una relazione simbiotica in cui vi è una trasmissione non mediata della condizione emotiva di quest'ultima. Di conseguenza, la madre diventa la chiave di lettura della realtà, capace di influenzare ogni azione. Si tratta di un passaggio necessario nel processo di maturazione psicologica del bambino dal momento che egli è incapace di provvedere a sé stesso. La teoria dell'attaccamento di JOHN BOWLBY → con il termine ATTACCAMENTO si indica una teoria del legame con una persona specifica. In particolare, questa teoria riguarda la costruzione del legame madre-bambino. L'autore John Bowlby nel suo testo intitolato “Una base sicura” usa questa espressione per descrivere il bisogno del bambino di potersi lanciare nell'esplorazione del mondo certo che nei propri genitori o nelle figure di riferimento potrà trovare un punto di riferimento emotivo saldo, accogliente ed emotivamente sintonico. Secondo Bowlby l'attaccamento è innanzitutto una predisposizione biologica intesa come: - il senso di protezione che il bambino prova verso chi si occupa di lui; - il potersi sentire al sicuro; - l'avvertire che qualcuno interviene in sua protezione all'occorrenza; - la fiducia che si instaura fra bambino e caregiver. Bowlby individua 3 tipi di attaccamento: 1) attaccamento ansioso evitante → tipico del bambino che non sceglie significativamente la madre tra altre figure estranee, indicando una scarsa reciprocità nella relazione con quest'ultima; 2) attaccamento sicuro → tipico del bambino che sceglie la madre con decisione tra altre figure estranee, indicando una forte relazione con quest'ultima; 3) attaccamento ansioso ambivalente → tipico del bambino che oscilla tra il contatto con la madre e il rifiuto, indicando una relazione non ben definita. Un altro grande contributo relativo alla teoria dell'attaccamento si deve a Mary Ainsworth, collaboratrice di J. Bowlby, studiosa che definisce la procedura della “STRANGE SITUATION” →finalizzata ad individuare diversi modelli di attaccamento tra madre e bambino, osservando il modo in cui avviene la separazione e il ricongiungimento tra questi in una situazione non conosciuta e in presenza di uno sconosciuto. La procedura ideata da 6 Ainsworth prevede che un bambino fra i 12 e i 18 mesi, accompagnato da una sola delle sue figure di attaccamento, venga introdotto in una stanza che vede per la prima volta, dove ad accoglierli c'è uno sconosciuto. Dopo pochi minuti, viene chiesto al genitore di uscire lasciando il bambino, in modo da poter osservare le sue reazioni alla separazione. Dopo tre minuti, viene chiesto al genitore di rientrare per poter osservare le reazioni del bambino al ricongiungimento. Il comportamento del bambino, in entrambi i momenti, descrive la forma assunta dalla relazione di attaccamento nel corso del primo anno di vita. In questo modo, la studiosa ha definito 4 pattern di attaccamento: 1) insicuro-evitante → quando il bambino sembra non avere fiducia e sicurezza verso la madre e tende a mostrarsi distaccato e poco interessato ai contatti affettivi con lei; 2) sicuro → quando il bambino nutre fiducia e sicurezza verso la madre e mostra un equilibrio tra le manifestazioni di curiosità ed esplorazione e la ricerca di contatto con lei; 3) insicuro-ansioso-ambivalente → quando il bambino ha sperimentato un legame con la madre, in cui questa è stata intrusiva e ipercontrollante, e mostra, al momento della separazione, intense sensazioni di disagio che non si calmano al ricongiungimento; 4) disorganizzato → quando il bambino ha sperimentato un fallimento nel legame con la madre e mostra segnali non coerenti e inadeguati sia in sua presenza che in sua assenza. La TEORIA dell’ATTACCAMENTO è ampiamente applicata in ambito pedagogico e psicologico non solo relativamente all'età infantile ma anche a quella adulta. Proprio in relazione a quest'ultima, utilizzando il metodo dell'intervista (Adult Attachment Interview) Massimo Ammaniti e Silvia Cimino hanno valutato la rappresentazione che gli individui hanno della propria storia di attaccamento, individuando 5 tipologie di persone adulte con specifici stati mentali. Con il graduale abbandono della diade, l'individuo trova la propria unità esistenziale e le interazioni, in questa fase, si strutturano a raggiera, infatti, un individuo occupa il centro e tutti gli altri si collocano in periferia. Con la crescita, aumenta gradualmente l'importanza del contesto familiare in tutte le sue forme di interazione fino a diventare vere e proprie relazioni. In ogni caso, la relazione familiare che offre cure e protezione e garantisce l'apprendimento e lo sviluppo della persona è di tipo verticale, tra adulto e figlio. La famiglia è la cellula vitale che garantisce la continuità biologica ed ereditaria della specie umana su cui poggia tutta la società, infatti anche nelle situazioni di maggiore difficoltà o disagio sociale, la famiglia rappresenta il più importante elemento formativo nella personalità dell'individuo che, durante tutto l'arco dello sviluppo del bambino, dà un apporto indispensabile al completamento della sua personalità, anche se la vita dei bambini si svolge spesso per buona parte della giornata fuori casa, il modello educativo che la vita familiare rappresenta e introiettato da ciascuno e stimola apprendimenti e comportamenti che diventano pattern interattivi, infatti, l'individuo sviluppa il suo sé sul modello del sistema familiare. L'identificazione con i modelli genitoriali rappresenta, infatti, per il bambino uno stile di comportamento e un modus vivendi. Ogni sistema familiare è portatore di specifiche credenze, valori e comportamenti ma è necessario che questi elementi siano forniti ai bambini in modo da lasciarli muovere con sicurezza, anche con la libertà di sbagliare, ma con la certezza di poter contare su figure-guida in grado di comprendere le conseguenze negative degli errori. Cioè è possibile se i genitori si 7 pongono, nei confronti del problema dell'educazione, con un atteggiamento saldo e privo di contraddizioni, che non sia motivo di confusione e incertezza per i bambini e che non assuma caratteri di inflessibilità e ostinazione. Intorno ai due anni il bambino inizia a percepirsi come una persona in mezzo alle persone, è in grado di riconoscersi quando si guarda allo specchio e inizia a comprendere di essere diverso dai suoi genitori. Inoltre, aumentando la sua curiosità, il bambino vuole scoprire esplorare tutto ciò che incontra e può alle volte capitare che il suo desiderio di conoscenza ed esplorazione entri in conflitto con la preoccupazione che i genitori hanno per la sua incolumità. Arriva così il momento in cui diventano necessarie delle regole che contrastano col desiderio di autonomia del bambino (ciò risponde al principio di reciprocità complementare, ovvero l'accettazione da parte del bambino dell'autorità unilaterale degli adulti e la fruizione dei vantaggi che si accompagnano a questa accettazione). Tuttavia, l'esercizio dell'autorità non va visto come un fatto negativo se diventa per i genitori stessi un'occasione per stabilire regole sensate, porre limiti, insegnare i valori e aiutare a prendere decisioni appropriate. In questa fase il conflitto diventa inevitabile poiché il mondo del bambino è dominato da una forma di egocentrismo (nel senso che l'unica cosa che conta per lui è il soddisfacimento dei suoi desideri) che si protrarrà fino ai 4-5 anni. Secondo lo studioso di psicoanalisi genetica Renè Spitz, la normale crescita e maturazione del bambino è resa evidente da tre fasi che si possono identificare attraverso tre concetti da lui definiti organizzatori, ovvero: il sorriso, la comparsa dell'angoscia di fronte al viso di un estraneo e la comparsa del no. È proprio questo terzo organizzatore che compare durante il secondo anno di vita e che permette al bambino di giungere a una completa distinzione e riconoscimento di sé rispetto alla madre e all'ambiente esterno. Infine, va specificato che l'opposizione nei confronti dei genitori è anch'essa un'importante fase della crescita, poiché consente al bambino di acquisire fiducia in sé stesso, di costruirsi un'identità e di comprendere il motivo dell'atteggiamento dei genitori e dei loro divieti. INSERIMENTO SCOLASTICO E COLLABORAZIONE CON LA FAMIGLIA → nell'arco del suo sviluppo, il bambino supererà la relazione diadica per inserirsi nella relazionalità familiare poi di gruppo. La formazione del gruppo dei pari diventerà, dunque, un fatto spontaneo e naturale a partire dalla scuola dell'infanzia. La natura del gruppo è variabile in base all'età dei membri. In una prima fase, i bambini costruiscono gruppi informali e non duraturi, infatti, sarà a partire dalla scuola primaria che i gruppi si comporranno sulla base di norme più rigorose e chi intende farne parte dovrà possedere precisi requisiti. In questo modo, il gruppo dei pari assumerà la funzione dell'integrazione sociale per garantire lo sviluppo degli allievi in un ambiente ricco di stimoli e di esperienze produttive, è importante una stretta relazione e collaborazione delle istituzioni scolastiche con le famiglie e le agenzie formative e sociali a questo proposito si parla di sistema formativo integrato, in cui il sistema non formale comprende le agenzie extra scolastiche intenzionalmente educative. In particolare, in caso di disabilità, Bes e qualunque altra fragilità dell'alunno, la partecipazione della famiglia rappresenta un punto di riferimento essenziale per la corretta inclusione scolastica. In passato, l'istituzione scolastica si prefiggeva il compito di trasmettere alle classi giovanili il bagaglio conoscitivo delle generazioni passate per preparare l'allievo a vivere e a comportarsi, tenendo conto delle conquiste conseguite nei vari campi. Oggi, il compito della scuola è diverso, a cominciare da quella elementare, dal momento che la società sia progressivamente trasformata per una serie di repentine rivoluzioni economiche, sociali e 10 gli estranei. Il confine tra il gruppo di appartenenza, detto GRUPPO ESCLUSIVO, e i membri dei gruppi esterni diventa ancora più marcato se gli interessi confliggono e sorge una competizione (es: il caso delle lotte politiche). Il problema dell'antagonismo tra i gruppi costituisce una minaccia all'equilibrato funzionamento dell'organizzazione sociale. Inoltre, può accadere che si attribuiscano ad un individuo caratteri che si ritengono tipici del gruppo cui lo si assegna che porta alla STEREOTIPIZZAZIONE, cioè alla rappresentazione schematica di gruppi sociali che si formano nelle esperienze relazionali tra gruppi. Lo STEREOTIPO consiste nella generalizzazione tendenziosa, solitamente relativa ad un gruppo sociale o etnico, secondo cui si attribuiscono agli individui dei tratti che essi non posseggono. Nonostante sponga a rischio di errore, lo stereotipo aiuta a districarsi nella realtà sociale, a comprenderne le dinamiche e a delineare aspettative e decisioni. Differente dal gruppo è l’AGGREGATO, cioè un insieme di persone che si trova casualmente nello stesso istante in uno stesso luogo, che non interagisce in maniera significativa e che non sperimenta alcun senso di partecipazione. Inoltre, il gruppo differisce anche dalla CATEGORIA, formata da un certo numero di persone che non si sono mai incontrate ma che sono caratterizzate da tratti comuni, come l'età, la razza, il sesso. I gruppi si distinguono in: - GRUPPI PRIMARI → costituiti da un esiguo numero di individui che interagiscono per un periodo di tempo relativamente lungo sulla base di rapporti informali. Le relazioni tra i membri, dirette, personali, intime, sono segnate da un profondo coinvolgimento emotivo (es: la famiglia, il gruppo dei pari, le piccole comunità); - GRUPPI SECONDARI → formati da soggetti non vincolati da legami affettivi ma da legami nati per conseguire finalità specifiche, dotati di una struttura interna rigida e formalizzata e costituiti da persone che instaurano relazioni temporanee e anonime. Questo tipo di gruppo, spesso definito ASSOCIAZIONE, contempla al suo interno l'esistenza di gruppi primari. Esempi di gruppi secondari sono le società commerciali, i partiti politici o le burocrazie statali. Accade spesso che gruppi secondari, di limitata e dimensioni e di recente formazione, si trasformino in gruppi primari. Ad esempio, un insieme di studenti universitari che frequenta un corso, inizialmente può essere definito un gruppo secondario, ma, con lo stabilirsi di rapporti più informali e affettivi, può diventare un gruppo primario o suddividersi in più gruppi primari di minori dimensioni. Tutti gli individui interagiscono tra di loro determinando spontaneamente delle dinamiche nei gruppi in cui sono inseriti. Per questo le capacità interpersonali sono fondamentali nella definizione del ruolo che ciascun componente può avere all'interno del gruppo. Inoltre, per fare in modo che un gruppo funzioni è necessario che al suo interno vi siano membri con spiccata capacità di negoziare. L'abilità nel negoziare è tra le principali capacità interpersonali affinché un gruppo riesca a risolvere i conflitti che possono generarsi al suo interno. Ogni membro di un gruppo si trova nella situazione di essere psicologicamente vicino a tutti gli altri, ma, nonostante ciò, i membri di un gruppo non devono essere considerati come la somma di unità individuali, ma come un complesso rapporto di relazioni. Le relazioni all'interno del gruppo si strutturano su modelli di tipo circolare o di tipo radiale: - nel modello circolare ogni membro del gruppo, sia trasmettendo sia ricevendo informazioni, ha la stessa possibilità di interagire con gli altri; - nel modello radiale emerge un leader che funge da coordinatore dell'intero gruppo. Ogni gruppo possiede il proprio patrimonio di norme, status e ruoli. In particolare, si definisce STATUS la posizione del singolo membro all'interno della struttura di un gruppo e RUOLO, la funzione che tale individuo svolge. Minori sono le dimensioni del gruppo e maggiore sarà l'intensità dell'interazione tra i membri e l'influenza esercitata sui singoli dai valori comuni. 11 Un elemento fondamentale della vita del gruppo è la leadership, detenuta da soggetti che, in virtù di particolari doti personali, influenzano il comportamento degli altri. Nei piccoli gruppi esistono 2 TIPI diversi di LEADER, distinguibili in base alla NATURA della FUNZIONE svolta: - strumentale, che organizza il gruppo in vista del perseguimento di determinati fini (iniziative concrete); - espressivo, che crea solidarietà tra i membri riducendo la conflittualità. Rispetto allo STILE della LEADERSHIP è possibile sottolineare l'esistenza di 3 TIPI di LEADER: 1) autoritario, che impartisce ordini; 2) democratico, che cerca di ottenere il consenso alle sue iniziative; 3) laissez-faire, che tende a non dare direttive al gruppo, destinato ad andare incontro alla disorganizzazione. Il paesaggio sociale e attualmente dominato dai grandi gruppi rivolti intenzionalmente e razionalmente al conseguimento di specifici obiettivi, organizzazioni formali che possono essere: - volontarie, nel senso che i membri possono liberamente aderire come avviene con i movimenti religiosi, i partiti politici, le associazioni professionali; - obbligatorie, nel senso che i membri sono costretti a farne parte come accade con le prigioni e le scuole; - utilitarie, nel senso che i membri vi partecipano per ragioni pratiche come si verifica con le imprese commerciali. Le organizzazioni dotate di una struttura di autorità gerarchica, che opera secondo regole e procedure precise, comprendono numerosi status ufficiali e gli incarichi competono all'ufficio che il soggetto ricopre. Il comportamento individuale tende ad essere influenzato dal gruppo di appartenenza che genera norme che regolano gran parte del comportamento sociale. Le norme sociali sono definibili come regole o direttive condivise, prodotte dalla società, che disciplinano la vita interattiva, prescrivendo come gli individui e i gruppi debbano pensare, sentire e agire in determinate situazioni. Inoltre, le norme forniscono valide indicazioni concernenti le corrette modalità d'azione affidabili aspettative riguardanti il comportamento altrui. Una società, per assicurare la conformità delle condotte alle norme e ai modelli stabiliti, ricorre all'insieme delle sanzioni positive e negative che garantiscono il controllo sociale. Le comunità di pratica → questa espressione compare agli inizi degli anni ‘90 ad opera di Etienne Wenger e fu usata per descrivere un sistema auto-organizzato che si sviluppa in tre dimensioni: 1) campi tematici → accomunano i membri ai quali partecipano e possono evolversi; 2) comunità → elemento che stimola alla condivisione di idee ed alle interazioni; 3) pratica → conoscenza specifica che viene condivisa e mantenuta. Una comunità di pratica è composta da un gruppo di persone che condividono un interesse e un codice comuni. Si tratta di una struttura radicata l'impegno reciproco di persone organizzate intorno ad un'impresa comune e a compiti di qualità socialmente apprezzati. All'interno di questo gruppo è costante il concetto di mutuo aiuto. Molte di queste caratteristiche fanno capire come queste comunità non possono essere imposte in quanto a sostenerle è una motivazione intrinseca presente 12 in ogni sua componente. Di solito, all'interno della comunità, non esiste una gerarchia esplicita ma i ruoli vengono assunti in base alle competenze e ai bisogni degli individui. Il fine della comunità è il miglioramento collettivo. Le comunità di pratica sono luoghi in cui si sviluppa apprendimento e ciò che cambia rispetto al passato è il modo e i mezzi per svilupparlo. La conoscenza diviene un mezzo per costruire collettivamente seguendo il metodo del costruttivismo sociale. TEORIE DI MCLUHAN → Marshall McLuhan è uno dei più importanti teorici delle comunità di pratica, secondo cui viviamo in una società che oscilla tra individualismo e divisione dei ruoli, tra collaborazione e globalizzazione, tipici dell'era elettrica. Le comunità di pratica condividono interessi e problematiche per collaborare, promuovere, discutere e confrontarsi su questioni correlate ai diversi interessi dei componenti. Si tratta di gruppi sociali, cioè di insiemi di persone, che interagiscono in modo ordinato sulla base di aspettative condivise, con status e ruoli interrelati che si organizzano sia per il miglioramento collettivo sia per apprendere, a partire dalle singole conoscenze degli individui che li compongono. L’EDUCAZIONE INTERCULTURALE → quello in cui viviamo oggi è una società multirazziale e multiculturale e ciò ha inevitabilmente avuto delle ripercussioni in ambito educativo e ha stimolato una fervida ricerca pedagogica finalizzata a favorire l'integrazione. Per EDUCAZIONE INTERCULTURALE si intende l'individuazione, all'interno di un progetto educativo, di uno specifico percorso di interazioni fra soggetti appartenenti a diverse culture e miranti a favorire il superamento del monoculturalismo. L'educazione interculturale ha quindi come principale obiettivo l'acquisizione di strumenti che portano al riconoscimento di valori appartenenti alle diverse culture, ad un confronto finalizzato alla comprensione delle differenze, favorendo la verbalizzazione e l'empatia. In questo modo, l'educazione interculturale costituisce la risposta educativa alle esigenze delle società multiculturali odierne, realtà complesse caratterizzate dalla compresenza di soggetti che interagiscono tra di loro secondo dinamiche diverse e dovrebbe prevedere attività che alternino linguaggi e lingue promuovendo competenze trasversali. In questo senso, l'educazione interculturale può essere definita come il progetto pedagogico sulla realtà multiculturale la cui finalità è la promozione di una tutela è un arricchimento reciproco a partire dalla scoperta delle potenzialità geologiche e di incontro con l'altro. Se si prende in considerazione l'evoluzione storica del fenomeno dell'integrazione da un punto di vista sociologico, si può evidenziare che agli inizi del 900 nel contesto statunitense il paradigma usato per analizzare e spiegare come gli stranieri si integrassero nella società era il PARADIGMA ASSIMILAZIONISTA, secondo cui lo straniero si immette nella società in maniera lineare attraverso una mobilità ascendente, rinunciando ai suoi valori e assorbendo quelli della società ricevente. Questo è un modello però non riesce a descrivere le modalità con cui avviene oggi l'integrazione degli stranieri nel contesto europeo, dal momento che non tiene in considerazione i mutamenti socio-economici che si sono verificati a livello globale. Di conseguenza, la teoria classica è stata riformulata nel PARADIGMA DELL’ASSIMILAZIONE SEGMENTATA, secondo cui l'integrazione degli stranieri dipende dal segmento della popolazione cui essi aspirano. Questo modello evidenzia che per integrarsi nella società ricevente gli stranieri possono riferirsi ad un particolare segmento della società ed aspirare a un diverso tipo di integrazione. La riflessione sulla educazione multiculturale è stata sollecitata dall'intensificarsi del fenomeno migratorio e dall'incremento della presenza straniera nelle scuole. L'idea si è fatta strada tra coloro che si occupavano di difficoltà scolastiche riconducibili agli svantaggi socio culturali al fine di rendere meno traumatico l'impatto con le nuove realtà culturali, linguistiche e sociali che vivono i soggetti che lasciano il proprio paese d'origine e che permettono alla scuola di trovare delle risposte all'inadeguatezza dei sistemi di fronte alla pluralità. A partire dal 2006 la pubblicazione del 15 varie popolazioni. Il linguaggio e inoltre espressione è condizione necessaria della vita sociale, infatti, affinché possa avvenire comunicazione i soggetti di una comunità devono riferire gli stessi simboli agli stessi oggetti (questa operazione arbitraria dal momento che niente impone che un determinato oggetto debba chiamarsi in un modo specifico) e combinare questi simboli secondo le stesse regole. Il linguaggio verbale assolve a 4 funzioni fondamentali: 1) espressiva → il linguaggio consente l'eliminazione e/o l'allentamento di una tensione interna; 2) comunicativa → il linguaggio consente la regolazione delle interazioni tra gli individui; 3) cognitiva → il linguaggio permette la rielaborazione interna delle conoscenze offrendo un fondamentale supporto una varietà di operazioni cognitive come la memorizzazione, l'astrazione, la ristrutturazione del campo cognitivo, ecc… 4) regolativa → il linguaggio facilita l'autoregolazione del comportamento offrendo una guida a delle condotte da assumere in una varietà di situazioni. Roman Jakobson, uno dei maggiori linguisti del XX secolo, ha integrato il modello generale sulla comunicazione linguistica proponendo una suddivisione in 6 funzioni del linguaggio: 1) funzione emotiva → esprime il vissuto dell'emittente; 2) funzione fàtica → è legata al canale e ne monitora il funzionamento, infatti, si realizza quando la lingua viene utilizzata per controllare l'efficienza del contatto con il destinatario; 3) funzione conativa → cerca di introdurre un atteggiamento o un comportamento nel destinatario; 4) funzione poetica → è legata al messaggio che è incentrato su sé stesso; 5) funzione metalinguistica → realizza una comunicazione sulla comunicazione, in particolare, per la messa a punto del codice; 6) funzione referenziale → è legata al contesto in cui si svolge la comunicazione. Tramite il linguaggio si trasmette la cultura e ogni progresso individuale diventa in questo modo progresso della comunità. Con il termine CULTURA si intende con l'insieme complesso che include la conoscenza, le credenze, l'arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall'uomo come membro di una società. Infine, la cultura comprende tutti i prodotti condivisi dalle varie collettività che vengono tramandati da una generazione a un'altra. METALINGUAGGIO → in linguistica questo termine riguarda un linguaggio a cui si possono far rientrare discorsi volti a descrivere e a definire sul piano lessicale, grammaticale e semantico una lingua. Il metalinguaggio, quindi, è un linguaggio adottato per descriverne un altro. La comunicazione non verbale → la comunicazione non verbale si riferisce alla comunicazione parlata e scritta che assume caratteristiche diverse a seconda di chi parla, del fine perseguito dall'atto comunicativo e del contesto in cui si verifica lo scambio di informazioni. Oltre al linguaggio, esistono 16 altre forme di comunicazione definite non verbali che trasmettono informazioni percepibili dal soggetto attraverso il coinvolgimento dell'intero apparato sensoriale. Secondo gli studi sulla comunicazione, il 90% di un messaggio emotivo viene comunicato attraverso canali non verbali (canale chimico-olfattivo, motorio-tattile, visivo-cinesico, ecc). Questi messaggi vengono recepiti in modo inconscio, cioè senza prestare attenzione alla natura del messaggio. I sistemi verbali sono in codice digitale, in quanto consistono in combinazioni di segni, invece, quelli non verbali sono in codice analogico, in quanto riproducono ciò a cui si riferiscono. La comunicazione non verbale viene utilizzata soprattutto per svolgere 4 diverse funzioni: 1) funzione espressiva → manifestando emozioni e sentimenti; 2) funzione interpersonale → segnalando i vari aspetti della relazione tra interlocutori; 3) funzione di regolazione dell'interazione → tenendo sotto controllo lo scambio faccia a faccia; 4) funzione di supporto al linguaggio → caricando di senso l'espressione linguistica. La comunicazione non verbale espleta anche una funzione ideativa, cioè di rappresentazione delle conoscenze. Nonostante la comunicazione non verbale presenti un certo grado di spontaneità e trasparenza, si può comunque essere controllata in modo ingannevole nei confronti degli altri, per esempio, monitorando con facilità le espressioni del viso. La combinazione delle parole genera una particolare melodia capace di trasmettere numerose informazioni all'ascoltatore e rafforzata da vari elementi: - la forza vocale → che varia da un individuo all'altro e viene modulata a seconda delle circostanze; - l'intonazione vocale → legata all'altezza della voce, alle frequenze dei suoni emessi. Infatti, è possibile impostare la voce e attribuirle a un determinato tono, modulandola, per regolare il rapporto con gli ascoltatori; merda - la velocità di eloquio → misurata in numero di sillabe pronunciate al secondo, utilizzata come indicatore di ansietà-tranquillità; - il ritmo → la cadenza data dalla distribuzione degli accenti nel tempo; - l'enfasi → consiste nel mettere in rilievo una parola o una parte di essa, utilizzando la forza vocale, l'intonazione, la velocità di eloquio e gli intervalli melodici. PROSODIA → indica il complesso di regole che governano la collocazione dell'accento tonico sulle parole, insieme ai gesti che sostengono il linguaggio. Rientra nella paralinguistica. Il modo in cui individui usano lo spazio per comunicare è oggetto di studio della PROSSEMICA, scienza che studia l'uso dello spazio → la distanza interpersonale fornisce informazioni sulle caratteristiche di una relazione sociale, sia ad un osservatore esterno sia agli stessi protagonisti, espletando la duplice funzione di indicatore e di componente costitutiva del processo di interazione sociale. Secondo la prossemica, infatti, la distanza relazionale tra le persone è correlata con la distanza fisica. La funzione fondamentale e difensiva dei meccanismi di regolazione della distanza reciproca si traduce in una sorta di area spaziale che circonda i soggetti, in cui si rileva una tendenza a distanziarsi dagli altri nel momento in cui lo spazio fisico è ristretto e quando il contesto relazionale si connota più in senso competitivo che cooperativo. Le differenze nell'estensione dello spazio personale dipendono sia dal tipo di contesto socioculturale considerato sia da caratteristiche individuali, come l'età, il sesso, l'essere più o meno estroversi. 17 La maggior parte dei processi prossemici sembra svolgersi al di fuori della coscienza, infatti, la rappresentazione del proprio schema corporeo, il senso dello spazio personale, l'orientamento e la postura vengono codificati e decodificati senza che l'individuo ne sia pienamente consapevole. Gli altri vengono percepiti vicini o lontani senza che emergano gli elementi su cui si fonda questa percezione. Un altro segnale di fondamentale importanza è rappresentato dalla posizione del corpo assunta durante la comunicazione, cioè dalla postura che dipende dalle convenzioni sociali, in quanto segnala rapporti di status, il grado di formalità dell'incontro, la soglia dell'attenzione, la partecipazione attiva all'esperienza comunicativa. Attraverso la mimica facciale è possibile inviare un gran numero di segnali non verbali che risentono poco delle differenze culturali poiché il riso, il pianto, il saluto sono espressioni universali minimamente modellate dalla cultura. I gesti utilizzati per mandare segnali possono essere: - Simbolici → se adoperati in sostituzione del linguaggio; - automanipolazione o adattivi → come rosicchiarsi le unghie; - Illustratori → che accompagnano il discorso per chiarirne i significati. Anche la multimedialità può essere considerata una tecnica di comunicazione che impiega linguaggi diversi. Le abilità comunicative nel bambino → la lingua è il fenomeno concreto e determinato con cui si manifesta la facoltà della comunicazione verbale. L'acquisizione del linguaggio è uno degli aspetti più significativi dello sviluppo del bambino, tuttavia, nel momento in cui questo sviluppo procede nella norma si può notare come egli sia, ancor prima di acquisire la capacità di comunicare verbalmente, un buon comunicatore. Avendo acquisito nel primo anno di vita una serie di competenze nella gestione nella regolazione emotiva, il bambino è in grado di porre domande e fare commenti attraverso l'uso di tutte le risorse non verbali. Lo sviluppo dell'udito e della vista, l'acquisizione delle abilità cognitive, l'acquisizione della comprensione simbolica e l'apprendimento sociale sono tutte competenze che concorrono per l'apprendimento del linguaggio. Nella fase dello sviluppo, in cui non può comunicare attraverso il linguaggio verbale, il neonato utilizza il pianto. La madre dovrebbe essere in grado di recepire la valenza comunicativa di questa manifestazione per poter soddisfare i bisogni del bambino. L'attenzione del bambino nei primissimi mesi è rivolta prevalentemente al volto della madre, mentre intorno al quinto mese viene diretta gli oggetti e solo verso il nono mese di vita il bambino è in grado di rivolgere l'attenzione materna sull’oggetto. L’acquisizione del linguaggio → il bambino inizia a padroneggiare i codici comunicativi che gli consentono di parlare intorno ai tre anni d'età. Un sistema di comunicazione per essere definito linguaggio deve possedere alcune caratteristiche di base, in particolare: semancità, dislocazione, produttività. Per quanto riguarda la semanticità si deve riprodurre simbolicamente tutto ciò che fa riferimento ad oggetti, emozioni o concetti, tenendo in considerazione i diversi parametri temporali, cioè passato, presente e futuro (dislocazione). Infine, un linguaggio per potersi considerare tale deve essere produttivo, cioè consentire la produzione di una serie infinita di messaggi, emessi attraverso la formazione di frasi. Sviluppo delle abilità comunicative: - prime settimane → il pianto e vocalizzi, vagiti; 20 comportamenti messi in atto per risolvere un problema in modo autonomo. Dal confronto tra livello potenziale ed effettivo di sviluppo il bambino apprende gradualmente un'autonomia di azione e di pensiero appunto la mediazione semiotica ha la funzione di rendere possibile il passaggio dall'una all'altra modalità. L'interconnessione tra apprendimento del linguaggio e interazione sociale è stata sottolineata più volte anche in altre teorie, infatti, è stato dimostrato il peso che le interazioni sociali hanno nello sviluppo dell'individuo fin dall'infanzia. Jerome Seymour Bruner ha riportato l'attenzione sulla funzione sociale del linguaggio riproponendo i presupposti teorici di Vygotskij. Secondo Bruner il linguaggio va studiato per la sua funzione sociale nei diversi contesti e rispetto ad interlocutori diversi, al pari che nei suoi aspetti strutturali e formali. Per lo sviluppo del linguaggio e in generale per la maturazione delle abilità di comunicazione è importante sia il contributo degli adulti sia il modo in cui questo contributo viene dato. Di solito, infatti, sono proprio gli adulti ad interpretare i suoni e i vocalizzi del bambino, ad attribuire nomi agli oggetti di suo interesse, a sintonizzarsi con il suo sguardo diretto verso un obiettivo preciso. Questi scambi hanno la funzione di creare significati condivisi. Altri modelli psicologici dello sviluppo del linguaggio → Altri teorici hanno dato il loro contributo allo studio dell'acquisizione del linguaggio, in particolare sono da ricordare: - Skinner e il comportamentismo → secondo i principi del condizionamento l'apprendimento del linguaggio non è dissimile da altre forme di apprendimento. Non vi è una competenza linguistica innata, perciò si tratta di uno dei comportamenti che si apprendono per associazione stimolo-risposta; - Noam Chomsky e la teoria innatista → nel corso di un celebre dibattito che lo ha visto opporsi a Skinner, questo studioso sostiene che alla base dell'acquisizione del linguaggio ci sia una competenza innata denominata grammatica universale, ovvero la conoscenza delle regole sottese della grammatica propria delle diverse lingue, e il Language acquisition device, dispositivo per l'acquisizione del linguaggio che consente di acquisire gli aspetti più complessi della lingua madre il ruolo degli adulti è marginale, proprio per questo Chomsky sostiene che il bambino sia creativo e che riesca a produrre espressioni mai udite prima appunto tra le sue opere più importanti si ricordi “La grammatica generativa trasformazionale”; - Teoria neuro costruttivista di Karmiloff-Smith → questa teoria sostiene che durante lo sviluppo vi è un processo di progressiva specializzazione delle aree emisferiche e delle funzioni da esse veicolate tale per cui questo processo è determinato dall'interazione tra vincoli biologici ed esperienza; - Rogers → propose il modello della comunicazione assertiva, quella che riesce ad esprimere le proprie idee e a far valere il proprio punto di vista rispettando le idee degli altri. Si tratta quindi di uno stile comunicativo adeguato al contesto relazionale e funzionale all'obiettivo della comunicazione; - Marshall Rosenberg → nell'ambito della comunicazione non violenta il termine “linguaggio giraffa” si riferisce alla metafora che questo studioso utilizzava in contrapposizione a quella di “linguaggio sciacallo”. Secondo questa metafora la Giraffa possiede il cuore più grande tra i mammiferi terrestri ed è dotata di un lungo collo, per questo, viene presa a modello di empatia e lungimiranza per simboleggiare una comunicazione che evita i conflitti e rispetta le opinioni altrui. I disturbi della comunicazione → è possibile che nel corso dello sviluppo il bambino manifesti di difficoltà in una o più aree del linguaggio. I disturbi della comunicazione possono essere: 21 - Fisici → quando comportano l'impossibilità sia nel percepire sia nel produrre segnali e segni di comunicazione (fisici od organici: cecità, sordità, mutismo e così via); - Psicologici → quando comportano la difficoltà a stabilire un rapporto efficace nella comunicazione (attenzione e memoria labili, rumore psicologico o disturbo interiore, pregiudizi o interpretazioni devianti, antipatia e rifiuti consci ed inconsci, simpatia permanenti, saturazioni, distorsioni, dissonanze cognitive); - Sociali → che disegnano una difficoltà di strutturazione dinamica di comunicazione soprattutto in un gruppo (eccessiva rigidità, egocentrismo, intolleranza, timidezza); - Strumentali → che fotografano l'incapacità o la difficoltà sia dell'utilizzazione di alcune tecniche comunicative sia della codificazione (non conoscenza del codice, dislivelli intellettivi, cognitivi ed emotivi tra l'emittente ed il ricevente, dominanza di una modalità comunicativa sull'altra, dissonanze cognitive, distorsioni). Il rapporto comunicativo può essere ostacolato da: - Distrazione → che può dipendere da chi riceve il messaggio (mancanza di interessi o stanchezza) oppure per disturbi esterni; - Saturazione → che può dipendere nel ricevente di accogliere, per stanchezza, ulteriori messaggi; - mancanza di canali → l'informazione è trasmessa attraverso canali difettosi; - l'esistenza di codici incompatibili (è l'esempio tipico di chi parla lingue diverse). Per facilitare un rapporto comunicativo con gli altri è necessario: - cercare di instaurare prevalentemente un rapporto empatico; - garantire, attraverso la ridondanza (cioè la ripetizione con modalità diverse dello stesso concetto) una migliore comunicazione ed un più alto livello di ricettività; - assicurarsi che l'emittente di ricevente comprendano e rispettino i reciproci ruoli; - individuare, quando si verificano, i disturbi della comunicazione; - evitare di valutare gli altri con atteggiamenti moralistici. CAPITOLO 3 – COMUNICARE CON GLI ADOLESCENTI LE DINAMICHE del CAMBIAMENTO in ADOLESCENZA → nonostante la COMUNICAZIONE sia il FONDAMENTO della VITA SOCIALE, esistono degli OSTACOLI o delle DISTORSIONI COMUNICATIVE che rendono PIU’ DIFFICILE la TRASMISSIONE del MESSAGGIO. Queste DIFFICOLTA’ COMUNICATIVE AUMENTANO particolarmente nel periodo dell’ADOLESCENZA, quando i RAGAZZI iniziano a METTERE IN DISCUSSIONE i MODELLI ACQUISITI nel PROPRIO CONTESTO FAMILIARE e SCOLASTICO e sono impegnati nella RICERCA della PROPRIA IDENTITA’. Per questo motivo, capita che l'adolescente ricerchi la propria identità PER OPPOSIONE → ciò significa che la FAMIGLIA, che FINO in QUESTO MOMENTO rappresentava una FONTE IRRINUNCIABILE di SICUREZZA e un PUNTO di RIFERIMENTO, diventa TERRENO di CONFLITTI. In particolare, il RAPPORTO con i GENITORI oscilla tra BISOGNO di AUTONOMIA e TIMORE di DIPENDENZA. Si tratta di una fase della vita molto delicata in quanto la MENTE dell’ADOLESCENTE inizia a COMPIERE RAGIONAMENTI che si DISCOSTANO dal DATO CONCRETO e REALE e SVILUPPA una NUOVA CAPACITA’ di ASTRAZIONE. La MATURAZIONE di QUESTA FORMA di PENSIERO induce l'ADOLESCENTE a METTERE IN DISCUSSIONE le CERTEZZE per quel momento li hanno sostenuti. Il PENSIERO IPOTETICO DEDUTTIVO è responsabile anche della FORTE INDECISIONE che MOLTI ADOLESCENTI sperimentano, infatti, di 22 fronte a più alternative essi non sanno che strada intraprendere perché non riescono a comprendere quale sia quella maggiormente praticabile. Durante questa fase di sviluppo così ricca di dinamiche intrapsichiche e interpersonali possono manifestarsi una serie di comportamenti che sono espressione di un DISAGIO ma che non porteranno necessariamente allo sviluppo di una psicopatologia, ne sono un esempio: condotta alimentari sbagliate, sperimentazioni di sostanze, atteggiamenti di chiusura e isolamento, manifestazione di aggressività scuola e in famiglia, episodi di autolesionismo, ecc → sono problematiche che non devono essere sottovalutate e che possono connotarsi come un tentativo poco adattivo di affrontare le sfide che l'adolescenza pone. IL METODO GORDON → questo metodo prende il nome dallo studioso THOMAS GORDON e si identifica come un particolare MODELLO EDUCATIVO centrato sulla COMUNICAZIONE e sull'importanza delle RELAZIONI tra INDIVIDUI, ovvero sulla FIDUCIA nel POTEZIALE dell’ALTRO con il FINE di FACILITARE lo SVILUPPO di RELAZIONI DURATURE e SIGNIFICATIVE tra le PERSONE. Questo modello fu inizialmente sviluppato negli ANNI ’60 ed è stato poi successivamente RIVISTO e ADATTATO al CONTESTO EDUCATIVO e in particolare al MONDO dell’ISTRUZIONE. Il punto di partenza del modello di Gordon consiste nell’ELEVAZIONE del RAPPORTO EDUCATORE-STUDENTE → in particolare, Gordon sostiene che questo modello consente di INSEGNARE CON SUCCESSO QUALSIASI MATERIA e che per l'INSEGNANTE SAPER COMUNICARE in maniera efficace e DISPORRE di COMPETENZE SPECIFICHE sul PIANO RELAZIONALE sia FONDAMENTALE per RIDURRE i PROBLEMI e le CONFLITTUALITA’ che immancabilmente CARATTERIZZANO il RAPPORTO con gli STUDENTI. A DIFFERENZA dei MODELLI CLASSICI, quello proposto da GORDON sostiene che l’EDUCAZIONE è un PROCESSO AUTOGESTITO, atto a SVILUPPARE nel DISCENTE una MAGGIORE COMPRENSIONE di SÉ STESSO. L’EDUCATORE è, quindi, un FACILITATORE. IL RUOLO del FACILITATORE → nel MODELLO di GORDON, il FACILITATORE è colui che, attraverso l’EMPATIA, sostiene il processo di SVILUPPO e di CRESCITA della PERSONA. Egli è, dunque, un BUON COMUNICATORE e, in quanto tale, deve possedere 2 COMPETENZE fondamentali: ➢ l’ASCOLTO ATTIVO → consiste nel PORSI IN ASCOLTO, NON SOLO con le ORECCHIE, MA ANCHE con il CUORE e con la MENTE, mostrandosi ATTENTI, LANCIANDO MESSAGGI di ACCOGLIENZA VERBALI e NON VERBALI, PONENDO DOMANDE, ecc. È il PRIMO PASSO per una VERA CONNESSIONE con l’ALTRA PERSONA. ➢ il MESSAGGIO IO → consiste nel COMUNICARE all’ALTRO COME ci si SENTE e IN CHE MODO il SUO COMPORTAMENTO ci CAUSA un PROBLEMA. LE BARRIERE della COMUNICAZIONE → nel libro “Insegnanti efficaci” GORDON elenca le 12 BARRIERE alla COMUNICAZIONE che costituiscono il cosiddetto LINGUAGGIO del RIFIUTO e IMPEDISCONO una VERA CONNESSIONE con l’ALTRO. Esse sono: ➢ ESSERE IMPERATIVI/ORDINARE/ESIGERE → quando si impartisce un ORDINE ad un ADOLESCENTE, spesso, NON si tengono in considerazione i SUOI SENTIMENTI e si RISCHIA di PROPORRE dei MODELLI di COMPORTAMENTO INADATTI alla SUA ETA’. Inoltre, il COMANDO genera RABBIA e OSTILITA’, fa SENTIRE l’ADOLESCENTE INFERIORE rispetto all’ADULTO. ➢ AVVERTIRE/MINACCIARE → quando l’ADOLESCENTE si SENTE MINACCIATO può REAGORE in 2 MODI: CONTRATTACARE per il semplice gusto di OPPORSI a quell’IMPOSIZIONE oppure SOTTOMETTERSI per TIMORE di PERDERE un’importante PUNTO di RIFERIMENTO. In ENTRAMBI i CASI si AFFIEVOLISCE il DESIDERIO di AFFRONTARE il PROBLEMA in MODO COSTRUTTIVO. 25 studiare ciò che avviene nella fase dell'infanzia sino all'adolescenza, due periodi dello sviluppo psicologico ricchi di cambiamenti e di importanti acquisizioni sia cognitive sia affettive, emotive e, prima ancora, fisiologiche. Il periodo dell'INFANZIA comprende la FASE della VITA che va dal momento della NASCITA al 12° ANNO. (La neotenia è una caratteristica che contraddistingue l'uomo dagli animali e riguarda l’aumento della durata dell'infanzia). La fase dell'ADOLESCENZA abbraccia tutto ciò che avviene dal 12° ANNO al 18° ANNO, e si parla di "tarda adolescenza", intendendo il prolungamento di alcune caratteristiche psicologiche proprie di questa fase di sviluppo, sino al venticinquesimo anno di età. È importante operare le distinzioni per fasce d'età, poiché a ognuna corrispondono una serie di cambiamenti non solo individuali. L’ETA’ SCOLARE è caratterizzata dall'INGRESSO nel SISTEMA SCOLASTICO, cui segue la maturazione di specifiche abilità. Obiettivo del percorso di crescita è il raggiungimento della maturità, ovvero ciò che l'individuo dovrebbe aver acquisito alla fine di questo lungo periodo di vita, in termini di crescita progressiva e armonica nei diversi piani dello sviluppo in ambito fisiologico e psicologico. Il raggiungimento della MATURITA’ dovrebbe condurre all'ACQUISIZIONE delle CAPACITA’ COGNITIVO-SOCIALI, ovvero l'insieme delle funzioni mentali che consentono a un individuo di prendere parte attivamente alla vita sociale. Il campo della PSICOLOGIA del CICLO di VITA, al quale ha dato forte impulso il lavoro di ERIK ERIKSON (1902-1980), studia come le persone si adattano alle diverse tappe dell'esistenza e come acquisiscano consapevolezza del calendario biosociale, ovvero di quell'insieme di scadenze che scandiscono i passaggi evolutivi, come il matrimonio o l'arrivo dei figli. Per ERIKSON l'uomo ha come scopo quello di costruire un senso di identità, per cui ogni tappa della vita rappresenta una svolta. La vita pone l'individuo nella condizione di dover affrontare dei dilemmi sempre nuovi, in cui le esigenze personali si scontrano con le componenti e i vincoli sociali. L’uomo apprende attraverso la gestione di questi dilemmi nuove competenze e consapevolezze che lo conducono a sviluppare la propria identità. A queste due impostazioni teoriche si aggiunge la prospettiva della PSICOLOGIA dell’ARCO della VITA, sviluppatasi a partire dai contributi teorici di Lev Semenovič VYGOTSKIJ (1896-1934) e della scuola russa, secondo cui per COMPRENDERE lo SVILUPPO PSICOLOGICO dell'INDIVIDUO è necessario tenere in considerazione i FATTORI SOCIALI e CULTURALI in cui la persona è inserita. Secondo questa prospettiva, le età dell'uomo non possono basarsi su un calcolo puramente cronologico, poiché l'età da sola non può spiegare i cambiamenti comportamentali. Viene inserito il concetto di crescita continua, poiché pur ammettendo la suddivisione in fasi, queste non possono essere esplicative di un processo di costruzione e integrazione di abilità che progredisce nel tempo. Lo SVILUPPO UMANO è un PROCESSO DINAMICO costituito da una SERIE di CAMBIAMENTI che avvengono in CIASCUNA delle FASI principali della VITA e che hanno importanti IMPLICAZIONI per il FUTURO. I concetti di CAMBIAMENTO e SVILUPPO devono dunque essere inquadrati in una PROSPETTIVA INTERAZIONISTA e COSTRUTTIVISTA in cui individuo e ambiente sono correlati. La persona conosce e interpreta la realtà in interazione con l'ambiente che non è separato dall'individuo ma è costruito dall'individuo stesso. Per questo motivo occorre porre l'attenzione sulle diverse funzioni psicologiche dello sviluppo: lo SVILUPPO FISICO-MOTORIO, lo SVILUPPO 26 COGNITIVO, lo SVILUPPO AFFETTIVO-EMOZIONALE, lo SVILUPPO SOCIALE e della PERSONALITA’, lo SVILUPPO MORALE. Ognuna agisce attivamente nel processo di maturazione, andando a formare l'unità psico-fisica dell'individuo, che si sviluppa come soggetto e come persona. Occorre tenere presenti la variabilità interindividuale, che è possibile riscontrare tra soggetti della stessa età, e la VARIABILITA’ INTRAINDIVIDUALE, che riguarda invece il modo in cui ciascun soggetto vive le diverse fasi della propria esistenza. Il concetto di stadio deve essere analizzato tenendo conto dell'influenza ambientale e dell'esperienza personale. All'interno dello stesso stadio si può osservare una variabilità, sia tra gli individui, sia nello stesso individuo, rispetto a diversi aspetti del funzionamento psichico. Vediamo adesso le principali teorie relative ai vari ambiti dello sviluppo individuale. Per comprendere la psicologia dello sviluppo contemporanea è necessario tenere presente le sue origini e l'evoluzione dei suoi modelli esplicativi nel tempo. LA VISIONE AMBIENTALISTA → JOHN LOCKE (1632-1704) riteneva che il bambino nascesse come una tabula rasa e che ogni sua caratteristica fosse poi plasmata dall'esperienza. Il neonato era quindi privo di strutture psicologiche ed estremamente influenzabile dall’ambiente circostante. La VISIONE AMBIENTALISTA di Locke tendeva a NEGARE OGNI CONTRIBUTO dei FATTORI INNATI allo SVILUPPO PSICOLOGICO. L'acquisizione della conoscenza avveniva esclusivamente mediante l'apprendimento dall'esterno. LA VISIONE NATURALISTA → Contrapposta alla visione ambientalista è la PROSPETTIVA NATURALISTA di JEAN JACQUES ROUSSEAU (1712-1778), secondo cui le PREDISPOSIZIONI NATURALI MINIMIZZANO gli EFFETTI dell'EDUCAZIONE e dell'ESPERIENZA. ROUSSEAU sosteneva che i BAMBINI sono PER NATURA BUONI, per cui NON hanno BISOGNO di una particolare GUIDA MORALE né di IMPOSIZIONI per uno SVILUPPO NORMALE. I bambini crescono secondo il "disegno della natura". LOCKE e ROUSSEAU → le loro concezioni diedero luogo ad un DIBATTITO fuorviante sul peso relativo di NATURA vs CULTURA nello SVILUPPO. La MODERNA PSICOLOGIA dello SVILUPPO EVITA IMPOSTAZIONI DICOTOMICHE nella consapevolezza che esista una profonda e complessa interazione dei fattori che determinano lo sviluppo. LA TEORIA EVOLUZIONISTICA → Lo studio scientifico dell'infanzia è divenuto rigoroso solo nel diciannovesimo secolo con CHARLES DARWIN (1809-1882), che con la sua TEORIA EVOLUZIONISTICA ha dato un grande contributo allo studio delle differenze individuali e alle teorie dello sviluppo. Gli studi e le ricerche sulla comparazione tra lo sviluppo animale e umano e l'etologia (disciplina fondata da K. Lorenz, 1903-1989, che studia i comportamenti e le abitudini degli animali e il loro adattamento all'ambiente) prendono origine proprio dalle teorie evoluzionistiche. DARWIN era un COVINTO ASSERTORE dell'ESISTENZA di PROFONDE ANALOGIE tra gli ANIMALI VERTEBRATI e gli UOMINI. Le differenze per lui erano solo di natura quantitativa e non qualitativa. Pertanto, egli teorizzò e credette di DIMOSTRARE l'ESISTENZA di una CONTINUITA’ BIOLOGICA tra VERTEBRATI e UOMINI e INDAGO’ sulle COMPONENTI ISTINTUALI COMUNI, come l'ISTINTO MATERNO. Le DIFFERENZE INDIVIDUALI, che egli definì MUTAZIONI, erano frutto di un PROCESSO di ADATTAMENTO dell'INDIVIDUO all'AMBIENTE: tali differenze si mantenevano nel corso delle generazioni, e dunque in linea evolutiva, proprio per la loro utilità. L'ADATTAMENTO → questo concetto è il CARDINE della TEORIA EVOLUZIONISTA. Ogni manifestazione psicologica, dalla più elementare alla più complessa, dalla percezione sensoriale sino alla conoscenza superiore, dall’emotività al giudizio morale, rappresenta un meccanismo di 27 adattamento dell’individuo all'ambiente. (A. Quadrio, P. Catellani, Psicologia dello sviluppo individuale e sociale, Vita e pensiero, Milano, 1996) DARWIN DISTINGUE 2 FASI: la PRIMA è caratterizzata dallo SVILUPPO di una VARIETA’ abbondante di INDIVIDUI. È regolata dalla casualità; nella SECONDA, gli INDIVIDUI vengono SELEZIONATI con il CRITERIO della SOPRAVVIVENZA del PIU’ ADATTO (selezione naturale). È regolata dalla necessità. Il MECCANISMO della SELEZIONE NATURALE determina la SOPRAVVIVENZA e il SUCCESSO RIPRODUTTIVO delle VARIETA’ che POSSEGGONO i CARATTERI MAGGIORMENTE ADATTIVI. Questi caratteri sono ereditabili da una generazione all'altra. Il RISULTATO di questo processo di SPECIALIZZAZIONE è la FORMAZIONE di un GRUPPO di INDIVIDUI che risultano essere DIVERSI. Si deve a Darwin gran parte di ciò che poi sarà sviluppato dalla psicologia comparata e della psicologia differenziale, nonché il contributo alla psicologia dell'età evolutiva. Egli, infatti, raccolse una mole significativa di dati attraverso l'osservazione dei propri figli e concluse teorizzando che l'ONTOGENESI CONTENESSE in sé la FILOGENESI e che il BAMBINO rappresenti quel MOMENTO dell'EVOLUZIONE A CAVALLO “[...] tra la FASE di EVOLUZIONE dell'ANIMALE PIU’ EVOLUTO e la FASE di SVILUPPO dell'UOMO ADULTO” (A. Quadrio, P. Catellani, Psicologia dello sviluppo individuale e sociale, Vita e pensiero, Milano, 1996, p. 29). DARWINISMO e PSICOLOGIA → gli ASSUNTI di BASE del DARWINISMO, fatti propri dalla psicologia sono: - il METODO dell'OSSERVAZIONE e della REGISTRAZIONE SISTEMATICA; - l’esistenza di VARIAZIONI tra INDIVIDUI APPARTENENTI alla STESSA SPECIE; - le ANALOGIE tra l'UOMO e l'ANIMALE; - il RAPPORTO tra COMPORTAMENTO e AMBIENTE → dallo studio di questo aspetto nacquero: • la PSICOLOGIA COMPARATA o ANIMALE → studio delle abitudini e dell'intelligenza animale; • l'ETOLOGIA → studio del comportamento animale nel suo habitat naturale; • la PSICOBIOLOGIA → studio delle basi biologiche del comportamento e la neurofisiologia. L'APPROCCIO SOCIOLOGICO → l’approccio evoluzionistico viene contrastato dal filone sociologico e culturale, ovvero da coloro che, come ÉMILE DURKHEIM (1858-1917), sostengono il primato della società nello sviluppo individuale. Secondo questo filone di pensiero, è la società che condiziona obiettivi e bisogni, fornisce i mezzi di sussistenza e orienta le azioni individuali. Gli individui vivono in gruppi sociali organizzati, e sono fortemente condizionati dalle leggi che regolano la partecipazione alla vita comunitaria. La personalità del singolo quindi, si forma a partire sua appartenenza ad un gruppo sociale. Il SISTEMA EDUCATIVO secondo DURKHEIM finisce per mirare all'INTEGRAZIONE SOCIALE dell'INDIVIDUO. La nascita della psicologia dello sviluppo, come disciplina autonoma, avvenne ufficialmente nel 1882, anno in cui WILHELM PREYER (1803-1889) pubblicò “La mente del fanciullo”, che si basava sull'osservazione di sua figlia. L'autore descriveva lo SVILUPPO dalla NASCITA ai PRIMI 4 ANNI di VITA illustrando come si EVOLVESSERO CONSAPEVOLEZZA, INTELLIGENZA e VOLONTA’. PREYER propose una teoria interessante che rappresentava una SINTESI tra il PRIMATO BIOLOGICO e QUELLO SOCIALE. LE PRINCIPALI TEORIE dello SVILUPPO → Tre sono i grandi filoni teorici della moderna psicologia dello sviluppo: quello COMPORTAMENTISTA, quello ORGANISMICO e quello PSICOANALITICO, differenti l'uno dall'altro per gli assunti di base, per i metodi di indagine e per il focus di indagine. L’approccio comportamentista muove dall’assunto che l’individuo è plasmabile ed è predisposto a sviluppare processi di apprendimento costanti e progressivi, se sottoposto a giuste stimolazioni esterne. 1) COMPORTAMENTISMO → Secondo i comportamentisti, il CAMBIAMENTO dipende dagli STIMOLI proposti dall'AMBIENTE, per cui il BAMBINO tenderà a RIPETERE QUELLE SEQUENZE 30 che differenzia i percorsi dello sviluppo psicologico di un individuo. RAPPRESENTAZIONE ESECUTIVA (azione), RAPPRESENTAZIONE ICONICA (immagine) e RAPPRESENTAZIONE SIMBOLICA (linguaggio) sono MODALITA’ di ELABORAZIONE del PENSIERO che NON COSTITUISCONO FASI DISGIUNTE o STADI di SVILUPPO, MA possono COESISTERE. L’azione si riferisce alla prima modalità di conoscenza corrispondente a ciò che il bambino fa esplorando intenzionalmente l'ambiente. Tale attivazione ha come scopo proprio la conoscenza dell'ambiente e della realtà. La RAPPRESENTAZIONE ICONICA (fino ai 7 anni) corrisponde alle IMMAGINI MENTALI che il BAMBINO si COSTRUISCE in base all'ESPERIENZA e che costituiscono FORME di RIORGANIZZAZIONE della REALTA’. L'acquisizione del linguaggio fornisce poi al bambino uno strumento di codifica e decodifica della realtà ancora più complesso. I processi mentali hanno pertanto, per Bruner, un fondamento sociale. 3) L'APPROCCIO PSICANALITICO → considera l'INDIVIDUO come un ORGANISMO SIMBOLICO capace di ATTRIBUIRE SIGNIFICATO a SE’ STESSO e all'AMBIENTE circostante. Il cambiamento è visto come l'esito di conflitti interni (es. tra amore e odio, tra serenità e ansia). La TEORIA PSICOANALITICA di SIGMUND FREUD (1856-1939) si basa sullo SVILUPPO come un SUSSEGUIRSI di FASI PSICOSESSUALI. ERIK ERIKSON (1902-1994) AGGIUNGE alla DIMENSIONE PSICSESSUALE QUELLA SOCIALE, DIVIDENDO il CICLO di VITA in 8 ETA’. Rispetto a Freud, Erikson prolunga lo sviluppo nell'intero arco di vita. WILLIAM STERN (1871-1938), psicologo e filosofo tedesco, è noto per lo SVILUPPO della PSICOLOGIA PERSONALISTICA, che poneva l'accento sull'individuo esaminando i tratti misurabili della personalità e l'interazione di quei tratti all'interno di ogni persona per creare il sé. LO SVILUPPO PSICOLOGICO → Il panorama delle teorie sullo sviluppo infantile è complesso e variegato ma le diverse linee di pensiero si sforzano di rispondere a 3 domande che rappresentano le questioni di fondo della psicologia dello sviluppo: 1) Qual è la natura del cambiamento che caratterizza lo sviluppo? Secondo alcuni teorici, il CAMBIAMENTO ha NATURA QUANTITATIVA, dunque, lo SVILUPPO è considerato sotto forma di ACCRESCIMENTO, come somma e accumulazione progressiva di piccoli cambiamenti nel tempo. Secondo altri il CAMBIAMENTO avrebbe una NATURA prettamente QUALITATIVA sarebbe cioè una TRASFORMAZIONE conseguente a specifici cambiamenti evolutivi. La TESI QUANTITATIVA è SOSTENUTA dai COMPORTAMENTISTI, secondo cui l'INDIVIDUO ACCUMULA nel tempo ESPERIENZE e APPRENDIMENTI CONSEQUENZIALI, che ne PLASMANO la CRESCITA e ne DIREZIONANO lo SVILUPPO. QUESTE TEORIE, dette anche STIMOLO-RISPOSTA (S-R), considerano il BAMBINO un ESSERE INFINITAMENTE PLASMABILE il cui SVILUPPO è interamente CONDIZIONATO da FATTORI AMBIENTALI ESTERNI. La TESI QUALITATIVA è SOSTENUTA dalle TEORIE ORGANISMICHE, proposte da Piaget e Vygotskij, secondo cui l'INDIVIDUO è ATTIVO COSTRUTTORE 31 delle PROPRIE CONOSCENZE e COMPETENZE e lo SVILUPPO appare DETERMINATO da PRINCIPI INTRINSECI piuttosto che da fattori ambientali esterni. 2) Quali processi causano questo cambiamento? Su questo punto le TEORIE DIVERGONO tra i SOSTENITORI delle INFLUENZE AMBIENTALI (comportamentisti), QUELLI che ATTRIBUISCONO MAGGIORE IMPORTANZA ai FATTORI GENETICI (teorie innatiste) e QUELLI che trovano una VIA di MEDIAZIONE tra i 2 ESTREMI (teorie organismiche). Secondo i COMPORTAMENTISTI le INFLUENZE AMBIENTALI sono DETERMINANTI e modellano il comportamento del bambino. Secondo le TEORIE INNATISTE le RAGIONI dello SVILUPPO risiedono nella PROGRAMMAZIONE GENETICA, mentre le condizioni ambientali possono solo modulare, ma non determinare, le fasi e l'intensità dello sviluppo. Secondo le TEORIE ORGANISMICHE vi è un'INTERAZIONE tra FATTORI AMBIENTALI e GENETICI che concorrono nel direzionare i processi di sviluppo. L’esperienza è in grado di stimolare particolari competenze che gli individui hanno già innate (geneticamente programmate). DILEMMA NATURA VS CULTURA → Qual è l’importanza del patrimonio genetico, cioè dell'ereditarietà, e quale quella della cultura nello sviluppo di un individuo? Gli autori favorevoli alla visione sociale e culturale dello sviluppo sostengono che i fattori ereditari da soli non sarebbero sufficienti allo sviluppo dell’individuo che è il frutto degli stimoli provenienti dall'esterno, dalla cultura e dai rapporti sociali. La superiorità dell'influenza ambientale su quella genetica è dimostrata dagli studi condotti su bambini cresciuti nelle foreste e ritrovati successivamente, nei quali è stato riscontrato un quoziente intellettivo inferiore alla media e delle capacità di apprendimento decisamente compromesse. 3) Si tratta di un cambiamento continuo e graduale o viceversa discontinuo e improvviso? Se consideriamo lo SVILUPPO come un PROCESSO QUANTITATIVO, il CAMBIAMENTO dovrà essere considerato GRADUALE e CONTINUO: l'individuo reagisce agli stimoli esterni e all'esperienza mediante maturazione e crescita continue (teoria comportamentista). Se immaginiamo lo SVILUPPO come un PROCESSO QUALITATIVO, il CAMBIAMENTO sarà caratterizzato da DISCONTINUITA’: l'individuo passa da una fase all'altra di sviluppo mediante cambiamenti improvvisi che annunciano nuove acquisizioni (teorie organismiche). Esistono, anche, POSIZIONI INTERMEDIE che prevedono la COMPRESENZA di PROCESSI CONTINUI DISCONTINUI: per esempio, si può assumere che il cambiamento sia discontinuo tra uno stadio e l'altro (come avviene nel passaggio dall'infanzia all'adolescenza), ma continuo all'interno di ciascuno stadio (nell'ambito dell'adolescenza si possono ipotizzare cambiamenti graduali nella crescita tra i 13 e i 18 anni). CONTINUITA’ VS DISCONTINUITA’ in ETA’ ADULTA → Anche nell'ETA’ ADULTA si verificano CRISI o FASI di DISCONTINUITA’ EVOLUTIVA legate a momenti di cambiamento o di profonde trasformazioni: si pensi alla maternità/paternità, al pensionamento, alla menopausa. Tali passaggi, analogamente a quanto avviene per lo svezzamento, la pubertà, la conquista del linguaggio o la deambulazione, rappresentano fasi di transizione complesse e non sempre lineari. LO SVILUPPO DELL’ABILITA’ DI PERSPECTIVE TAKING E DI ROLE TAKING → Un importante AMBITO di INDAGINE della PSICOLOGIA dello SVILUPPO è quello che riguarda il PERSPECTIVE TAKING, ovvero la CAPACITA’ di ASSUMERE la PROSPETTIVA dell'ALTRO. Si tratta di una ABILITA’ FONDAMENTALE nello SVILUPPO della PROPRIA IDENTITA’ e delle RELAZIONI con gli ALTRI, che si 32 caratterizza per la sua NATURA MULTIDIMENSIONALE, che coinvolge più dimensioni della mente umana. Il CONCETTO CENTRALE dell'IDEA di PERSPECTIVE TAKING risiede nella POSSIBILITA’ che QUESTA CAPACITA’ OFFRE di USCIRE dalla PROPRIA POSIZIONE EGOCENTRICA per ASSUMERE la PROSPETTIVA di un'ALTRA PERSONA in 3 DIMENSIONI DIFFERENTI: 1) COGNITIVA, perché ci permette di comprenderne i pensieri, le motivazioni e le intenzioni; 2) EMOTIVA, perché ci permette di comprenderne gli stati emotivi (non a caso l'abilità di perspective taking è considerata alla base dell'empatia); 3) PERCETTIVA, perché ci permette di comprendere come quel particolare oggetto (una cosa, una persona o un evento) che stiamo percependo si presenta anche ad altri che sono spazialmente in una prospettiva diversa dalla nostra. Alcuni autori fanno coincidere il concetto di perspective taking con quello di role taking. Per esempio, Robert L. Selman li usa come sinonimi di un'abilità socio-cognitiva fondamentale che consiste nel bilanciare e considerare contemporaneamente a livello cognitivo e percettivo gli stimoli provenienti da un oggetto, e permette di vedere il mondo, incluso il Sé, dal punto di vista di un'altra persona. L'espressione ROLE TAKING viene utilizzata per riferirsi alle DIMENSIONE COGNITIVA e PERCETTIVA. Pioniere nello studio dello sviluppo dell'abilità di role taking è ROBERT L. SELMAN, che individua nell'età compresa trai 6 e gli 11 ANNI (scuola primaria) il MOMENTO in cui la PERSONA COSTRUISCE PIU’ AVANZATE COMPETENZE SOCIALI. È in QUESTO PERIODO che, proprio per inserirsi nel contesto scolastico, si SVILUPPA la CAPACITA’ di ACQUISIRE una PROSPETTIVA SOCIALE, non più focalizzato sul proprio punto di vista, ma aperta anche a quello altrui. I 5 STADI → Livello 0 (3-6 anni): STADIO EGOCENTRICO Il bambino non distingue tra caratteristiche fisiche e psicologiche di una persona e tra atti intenzionali e non intenzionali. Confonde il mondo soggettivo con quello oggettivo e la prospettiva personale con la verità. Si considera diverso dagli altri, ma non riconosce punti di vista differenti. Il bambino, non differenziando i punti di vista, non può metterli in relazione tra loro. Livello 1 (6-8 anni): STADIO SOGGETTIVO Il bambino comprende la differenza tra caratteristiche fisiche e psicologiche e manifesta una maggiore uniformità tra pensieri e sentimenti. Distingue gli atti intenzionali da quelli che non lo sono e riconosce punti di vista differenti comprendendo la soggettività delle persone. Il bambino, pur riconoscendo la differenza tra prospettive proprie e altrui, non riesce ancora a metterle in relazione. Livello 2 (9 anni): STADIO AUTORIFLESSIVO Il bambino riconosce la prospettiva dell'altro come diversa dalla propria e comprende che l'altro può avere sentimenti e pensieri non solo diversi dai suoi, ma molteplici. Il bambino è capace di riflettere sul proprio comportamento e sulle proprie motivazioni ponendosi nella prospettiva di un'altra persona. Riconosce che anche gli altri possono mettersi nei suoi panni e riesce a prevedere le loro reazioni ai suoi propositi e azioni. Livello 3 (11 anni): STADIO RECIPROCO Il ragazzo comprende che la sua prospettiva può essere diversa non solo da quella di un altro, ma anche da quella "generale", cioè comune a un gruppo. È in grado di differenziare i due punti di vista presenti in una coppia da un terzo, proprio di chi osserva da fuori. Il ragazzo comprende che sia lui che gli altri possono prendere in considerazione simultaneamente e reciprocamente i rispettivi punti 35 STADIO DI LATENZA → Dai 6 agli 11 anni emerge la fase di latenza, in cui l'energia libidica si rafforza ma non viene espressa. A questo punto il bambino è ormai un essere completo. La fine della conflittualità edipica lo porterà a impegnare le proprie energie nella ricerca, nello studio, nel rapporto con i coetanei. STADIO GENITALE → In questo stadio le pulsioni sessuali vengono orientate verso un partner e finalizzate a costruire una relazione sessuale. Con la pubertà si risvegliano le cariche libidiche e aggressive che dovranno trovare una modalità espressiva sempre più matura per giungere ad un'identità sessuale tanto più valida quanto più sono stati superati gli stadi precedenti. Se questo non avviene, l'adolescenza da crisi passeggera può trasformarsi in situazione di patologia più o meno grave. Per FREUD ci sono 2 TIPI principali di PROCESSI che REGOLANO le IDEE: PROCESSI PRIMARI e PROCESSI SECONDARI. I PROCESSI PRIMARI sono LIBERI dalla LOGICA, mentre quelli SECONDARI sono RAZIONALI e LOGICI. Ciò che succede ad un individuo che matura è proprio il fatto che è obbligato a dipendere dal processo secondario, man mano che apprende dalla sua cultura come vanno le cose. Il processo primario, che permette di mettere insieme delle idee apparentemente del tutto distinte, la tolleranza delle contraddizioni, tale che ogni idea possa coesistere con un'altra e la formazione di connessioni molto ampie fra le idee, sono respinti dalla maggior parte delle persone ed il pensiero diviene molto logico, razionale, conformistico. I PENSATORI CREATIVI MANTENGONO la CAPACITA’ di AMMETTERE il MATERIALE del PROCESSO PRIMARIO nel LORO PENSIERO, che è arricchito di legami tra le idee che sono del tutto repressi nelle persone dominate dai processi secondari. I LIMITI della TEORIA FREUDIANA → I primi anni di vita sono ricostruiti da Freud sulla base della terapia psicoanalitica condotta con pazienti adulti. La METODOLOGIA di RICOSTRUIRE lo SVILUPPO INFANTILE dall'OSSERVAZIONE di ADULTI ha comportato una SERIE di IPOTESI, messe in crisi da un modello di diretta osservazione del bambino. Tra le principali opere pubblicate da Freud: - “Progetto per una psicologia scientifica” (1895) - “L’interpretazione dei sogni” (1899) - “Psicopatologia della vita quotidiana” (1901) - “Tre saggi sulla teoria sessuale” (1905) - “Totem e tabù” (1913) - “Introduzione al narcisismo” (1914) - “Introduzione alla psicoanalisi” (1915-1917) 36 - “Psicologia delle masse e analisi dell’Io” (1921) - “L’Io e l’Es” (1923) GUSTAV JUNG e la PSICOLOGIA ANALITICA → Le teorie sviluppate da Freud hanno avuto ampio seguito e molti studiosi sono partiti dalla sua scoperta dell'inconscio per elaborare nuovi approcci. Tra questi, il più importante fu sicuramente CARL GUSTAV JUNG (1875-1961), una delle principali figure intellettuali del pensiero psicologico e psicoanalitico del ‘900. La sua TECNICA e TEORIA, di DERIVAZIONE PSICOANALITICA, è chiamata PSICOLOGIA ANALITICA o PSICOLOGIA del PROFONDO. Inizialmente vicino alle concezioni di Freud, se ne allontanò nel 1913, dopo un percorso di differenziazione concettuale culminato con la pubblicazione, nel 1912, di “La libido: simboli e trasformazioni”. In questo libro esponeva il suo orientamento, AMPLIANDO la RICERCA ANALITICA dalla STORIA del SINGOLO alla STORIA della COLLETTIVITA’ UMANA. C'è un inconscio collettivo che si esprime negli archetipi, oltre a un inconscio individuale. La vita dell'individuo è vista come un percorso, chiamato processo di individuazione, di realizzazione del sé personale a confronto con l’inconscio individuale e collettivo. La PSICHE si COMPONE della PARTE INCONSCIA, INDIVIDUALE e COLLETTIVA, e della PARTE CONSCIA. La DINAMICA tra le 2 PARTI è considerata da Jung come CIO’ che PERMETTE all'INDIVIDUO di AFFRONTARE un LUNGO PERCORSO per REALIZZARE la PROPRIA PERSONALITA’ in un PROCESSO che egli denomina INDIVIDUAZIONE → in questo percorso l’INDIVIDUO incontra e si scontra con delle ORGANIZZAZIONI ARCHETIPICHE (inconsce) della PROPRIA PERSONALITA’: solo affrontandole potrà far emergere la propria coscienza. Gli ARCHETIPI secondo Jung sono "la PERSONA", "l’OMBRA", "l'ANIMUS e l’ANIMA" e "il SÉ". L'ARCHETIPO è una sorta di DNA PSICHICO, concetto che si deve agli studi di filogenetica iniziati con Freud. La PERSONA (dalla parola latina che indica la "maschera teatrale") può essere considerata l'ASPETTO PUBBLICO che OGNI PERSONA MOSTRA di SÉ, come un individuo appare nella società, nel rispetto di regole e convenzioni. Rispecchia ciò che ognuno di noi vuol rendere noto agli altri, ma non coincide con ciò che realmente si è. L'OMBRA coincide con gli IMPULSI ISTINTUALI che l'individuo tende a reprimere, impersona tutto ciò che l'individuo rifiuta di riconoscere e che nello stesso tempo influisce sul suo comportamento esprimendosi con tratti sgradevoli del carattere o con tendenze incompatibili con la parte conscia del soggetto. È in pratica l'EVOLUZIONE JUNGHIANA dell'ES FREUDIANO. L'OMBRA è un GRANDE POTENZIALE ENERGETICO, la sua integrazione comporta un AMPLIAMENTO della CONSAPEVOLEZZA, una SOLIDIFICAZIONE della PERSONALITA’, conferisce vitalità, autenticità ed è fonte di creatività. Ci arricchisce perché l'Ombra come ogni archetipo ha il suo lato duplice: c'è della luce anche nel buio. ANIMUS e ANIMA rappresentano l'IMMAGINE MASCHILE presente nella DONNA e l'IMMAGINE FEMMINILE presente nell'UOMO. Si manifesta in sogni e fantasie ed è proiettata sulle persone del sesso opposto, più frequentemente nell'innamoramento. L’immagine dell'anima o dell'animus ha una funzione compensatoria con la PERSONA, è la sua PARTE INCONSCIA e offre POSSIBILITA’ CREATIVE nel PERCORSO di INDIVIDUAZIONE. Il SÉ è il PUNTO FINALE del PERCORSO di REALIZZAZIONE della PROPRIA PERSONALITA’, nel quale si portano a un'UNIFICAZIONE TUTTI gli ASPETTI CONSCI e INCONSCI del SOGGETTO. ERIK ERIKSON e lo SVILUPPO PSICOSOCIALE (o dell'apprendimento sociale) → ERIK ERIKSON (1902-1994) è l'unico autore che, ha fornito un QUADRO COMPLETO dell'INTERO CICLO VITALE dell'UOMO, dalla NASCITA alla VECCHIAIA. Nell'ambito della psicologia dello sviluppo sono noti i suoi STUDI sui BAMBINI SIOUX e gli YOUK, nonché i suoi STUDI sui GIOCHI di BAMBINI NORMALI e DISTURBATI e sulle CRISI ADOLESCENZIALI. La SUA FORMAZIONE è di stampo PSICOANALITICO tanto che diventerà il PRIMO PSICOANALISTA di BOSTON. L’apporto teorico più 37 significativo alla teoria dello sviluppo è rappresentato dall'elaborazione di un modello di sviluppo psicosociale di tipo stadiale, diviso in otto stadi. La sua TEORIA NEOFREUDIANA mantiene in COMUNE con la matrice originale l'assunto dell'ESISTENZA dell'INCONSCIO. ERIKSON, a DIFFERENZA di FREUD, attribuisce notevole IMPORTANZA alla DIMENSIONE SOCIO-CULTURALE nei suoi stadi e RIDIMENSIONA la COMPONENTE SESSUALE, che nella teoria freudiana è un caposaldo. Per FREUD lo SVILUPPO della PERSONALITA’ ha una CONCLUSIONE nel PERIODO ADOLESCENZIALE, per ERIKSON procede per TUTTA la VITA sino alla MORTE. Egli polarizza il proprio interesse sull'INTERAZIONE tra INDIVIDUO e AMBIENTE, tanto da definire gli STADI di SVILUPPO come STADI PSICOSOCIALI, a DIFFERENZA di FREUD che aveva parlato di STADI PSICOSESSUALI. Lo SCOPO fondamentale dell'UOMO è la RICERCA di una PROPRIA IDENTITA’ che è caratterizzata da un BISOGNO di COERENZA dell'IO tale da permettergli un RAPPORTO VALIDO e CREATIVO con l'AMBIENTE SOCIALE. Nel CICLO VITALE l'INDIVIDUO passa attraverso una SERIE di TAPPE EVOLUTIVE (stadi), che sono CARATTERIZZATE da una COPPIA ANTINOMICA, ovvero una CONQUISTA e un FALLIMENTO → questa situazione è definita QUALITA’ dell’IO. Questi STADI NON sono definiti da SPECIFICI MOMENTI BIOLOGICI, bensì da specifiche CRISI PSICOSOCIALI. OGNI TAPPA deve portare al RINFORZO della SPECIFICA QUALITA’ POSITIVA dell'IO → solo in questo modo il soggetto può accedere validamente allo stadio successivo. Le qualità dell'Io sono esperite come vissuti, come modalità comportamentali e come strutture del mondo interno, ovvero tra strutture personali e strutture sociali. Secondo la TEORIA dell'APPRENDIMENTO SOCIALE, lo SVILUPPO della PERSONALITA’ dell'INDIVIDUO procede per l'INTERO ARCO della VITA e attraversa 8 STATI DIVERSI di SVILUPPO PSICOSOCIALE che si RIPETONO in TUTTI gli INDIVIDUI anche se APPARTENENTI a DIVERSE CULTURE. - I STADIO: FIDUCIA/SFIDUCIA → la condizione di FIDUCIA nasce da un RAPPORTO AFFETTIVO incentrato sulla FIGURA della MADRE e caratterizzato da RIPETITIVITA’ e COSTANZA. Secondo Erikson, tale rapporto NON è di tipo QUANTITATIVO MA QUALITATIVO. L'insieme del CONTESTO SOCIALE contribuisce per Erikson a CREARE il SENTIMENTO di FIDUCIA. La madre riesce a trasmettere fiducia al bambino nella misura in cui è supportata dall'intero nucleo familiare che rappresenta per il bambino il contesto sociale di riferimento. Il MANCATO SVILUPPO della FIDUCIA PROVOCA nel bambino SFIDUCIA e IMPEDISCE la CREAZIONE di un IO SOLIDO. 40 il bambino vede nel reale. Il senso della prospettiva e l'interesse decorativo si affina a partire dagli 11-12 anni. JAMES MARCIA → per questo studioso la definizione dell'IDENTITA’ dell'individuo si raggiunge attraverso delle CRISI EVOLUTIVE che consentono di RIDEFINIRE il CONCETTO di SÉ. Per MARCIA la CRISI è un PERIODO in cui l'ADOLESCENTE si trova a dover SCEGLIERE tra DIVERSE ALTERNATIVE ed è chiamato ad IMPEGNARSI in una SCELTA. Questi periodi di crisi vanno oltre il periodo adolescenziale; nei diversi ambiti (es. lavoro, politica, relazioni) e momenti della vita, possiamo attraversarne di diversi. LA TEORIA dei TRATTI e della PERSONALITA’ di GORDON ALLPORT → il punto di partenza della TEORIA dei TRATTI di GORDON ALLPORT è che le UNITA’ MINIME ANALIZZABILI della PERSONALITA’, i TRATTI, siano perlopiù INNATI. Tale innatismo non deve però trarre in inganno, perché la personalità e l’identità non sono qualcosa di rigido. Infatti, lo stesso ALLPORT ha chiarito che IDENTITA’ e PERSONALITA’ sono CARATTERIZZATE da APERTURA e FLESSIBILITA’. OGNI INDIVIDUO è una COMBINAZIONE unica di TRATTI di PERSONALITA’ e per questo è IMPOSSIBILE INDIVIDUARE 2 PERSONALITA’ IDENTICHE. Pur considerandoli innati, i TRATTI sono il RISULTATO dell'INTRECCIO DINAMICO tra SISTEMA PSICOFISICO e RETE SOCIALE. La PERSONALITA’ e i SUOI ELEMENTI PIU’ PICCOLI, cioè i TRATTI, sono STRUTTURE che si RINNOVANO e CAMBIANO CONTINUAMENTE, CONDIZIONATI dall'AMBIENTE e dalle ESPERIENZE. ALLPORT considera la PERSONALITA’ un'ENTITA’ DINAMICA, perché esposta a cambiamenti attraverso gli stimoli ambientali, le esperienze, le relazioni e gli sforzi adattivi che un individuo mette in atto nel corso della vita, e DISTINGUE i TRATTI COMUNI da QUELLI INDIVIDUALI: - i TRATTI COMUNI sono quelli che abbiamo IN COMUNE con ALTRE PERSONE e che possono essere descritti attraverso i test della personalità; - i TRATTI INDIVIDUALI sono quelli SPECIFICI, che rendono le PERSONE ORIGINALI, e INDIVIDUABILI attraverso l'OSSERVAZIONE DIRETTA o i racconti che le persone fanno di sé stesse. ALLPORT SOSTIENE che i TRATTI INDIVIDUALI si DIVIDONO in 3 CATEGORIE: 1. I TRATTI CARDINALI, costituiti da predisposizioni così totalizzanti e coerenti da determinare e influenzare la maggior parte delle azioni compiute dall'individuo che le possiede. 2. I TRATTI CENTRALI, costituiti da elementi secondari della personalità, meno generali dei cardinali, ma capaci di influenzare in maniera determinante le azioni e il comportamento di una persona. Sono quelli che determinano il livello di coerenza della persona. 3. I TRATTI SECONDARI, meno palesi e con una frequenza limitata rispetto ai limiti centrali. Riguardano gli atteggiamenti, i gusti e le preferenze. ERICH S. FROMM (1900 -1980) → è stato uno psicologo, psicoanalista, filosofo ed accademico tedesco, allievo di Freud, che operò una DISTINZIONE tra ISTINTI e PULSIONI: i PRIMI sono BISOGNI PRIMARI legati al MONDO ANIMALE e CREANO COMPORTAMENTI RIGIDI e definiti organicamente (bisogni fisiologici come sessualità, fame, sete, etc.); le SECONDE sono frutto dell'EVOLUZIONE ONTOGENETICA dell'UOMO e riguardano principalmente la SFERA del DESIDERIO e dei BISOGNI SECONDARI di tipo PSICHICO e SPIRITUALE nonché la naturale tendenza ad aggregarsi per dare vita a delle comunità. Fromm identifica i seguenti 8 BISOGNI PSICOLOGICI BASILARI: - relazione - trascendenza - radicamento 41 - identità - orientamento - stimolo - unità - realizzazione Per FROMM la PERSONALITA’ è l'INSIEME delle QUALITA’ PSICHICHE EREDITARIE ed ACQUISITE dall'INDIVIDUO che ne definiscono prima il temperamento, quindi il carattere attraverso un processo evolutivo di adattamento. Il CARATTERE dell'UOMO è inteso come il MODO in cui l'INDIVIDUO USA la PROPRIA ENERGIA PSICHICA in FUNZIONE delle PROPRIE ESIGENZE INDIVIDUALI in un dato contesto sociale ed ambientale. Il PROCESSO di FORMAZIONE ha dunque 2 PRINCIPALI DIMENSIONI: - SOCIALE - INDIVIDUALE L’UOMO INSTAURA poi RELAZIONI POSITIVE con il MONDO attraverso: - l’ASSIMILIAZIONE (acquisizione dell'ambiente); - la SOCIALIZZAZIONE (tensione verso l'altro). La SOCIALIZZAZIONE può essere tuttavia TURBATA dalla COMPARSA di almeno UNO di 4 ATTEGGIAMENTI che FROMM identifica nel MASOCHISMO, nel SADISMO, nella DISTRUTTIVITA’ e nel CONFORMISMO. Il RAPPORTO con il MONDO diviene PRODUTTIVO mediante il CONNUBIO fra RAGIONE e AMORE. Tra le sue opere principali: - “Avere o essere?” (1976) - “Psicoanalisi della società contemporanea” (1955). LO SVILUPPO del SENSO MORALE → è una tematica importante dal punto di vista socio-psicologico. I MECCANISMI della FORMAZIONE della MORALITA’ e i FATTORI che la influenzano aiutano a COMPRENDERE le INTERAZIONI tra INDIVIDUI e SOCIETA’. Una NORMA MORALE contiene un VALORE AFFETTIVO EMOTIVO, contiene cioè un'INDICAZIONE EMOTIVA di COLPA, VERGOGNA o IMBARAZZO se viene TRASGREDITA, SODDISFAZIONE e ORGOGLIO se viene RISPETTATA. In questo senso una norma è una guida per la condotta, poiché delinea i comportamenti desiderabili e quelli non desiderabili. Lo SVILUPPO del GIUDIZIO e della CONDOTTA MORALE sono stati OGGETTO di APPROFONDIMENTI, condotti secondo prospettive differenti: alcuni hanno posto l'accento su fattori esteriori, di natura socio-culturale, inducenti all'assunzione di norme etiche e di condotte moralmente accettabili; altri, invece, hanno posto l'attenzione sulle componenti intrinseche dello sviluppo individuale, sottolineando la connessione fra le tappe di maturazione mentale e le fasi di crescita morale. Le 3 GRANDI TEORIE che hanno provato a DESCRIVERE lo SVILUPPO MORALE degli INDIVIDUI sono: la TEORIA PSICOANALITICA, quella COMPORTAMENTISTA e quella COGNITIVA che si sono concentrate su diversi aspetti dello stesso tema. 42 LE TEORIE COGNITIVE → Nell'ambito delle TEORIE COGNITIVE EVOLUTIVE, PIAGET e KOHLBERG sono i 2 AUTORI che si sono OCCUPATI dell'ACQUISIZIONE del GIUDIZIO MORALE. Uno dei primi psicologi a occuparsi del problema fu PIAGET, che nei primi scritti si focalizzò sulla MORALE dei BAMBINI, studiando il MODO in cui GIOCANO per capire il loro concetto di BENE e di MALE. Basandosi sull'osservazione delle regole dei giochi e su interviste riguardanti azioni come il rubare o il mentire, PIAGET scoprì che anche la MORALITA’ può considerarsi un PROCESSO EVOLUTIVO. I bambini cominciano con lo sviluppo di una MORALE basata sul RISPETTO delle REGOLE, dei doveri e sull’obbedienza all'autorità → questo tipo di morale è dettato dalla convinzione che ad un'azione errata segua una punizione. Successivamente, attraverso l'INTERAZIONE con ALTRI BAMBINI, essi scoprono che un COMPORTAMENTO ADERENTE alle REGOLE può essere PROBLEMATICO. Ecco che sviluppano uno STADIO AUTONOMO di PENSIERO MORALE, caratterizzato dalla capacità di interpretare le regole criticamente, basandosi sul mutuo rispetto e sulla cooperazione. Piaget concluse così che la scuola dovrebbe enfatizzare i processi decisionali basati sulla cooperazione, la soluzione di problemi e richiedere che gli studenti lavorino su regole comuni basate sul rispetto dei ruoli. Con l'applicazione del metodo clinico e con l’osservazione diretta, PIAGET delinea DIVERSE FASI dello SVILUPPO MORALE: ANOMIA, REALISMO MORALE e RELATIVISMO MORALE. Fino ai 4 ANNI, secondo PIAGET, il bambino attraversa la FASE PREMORALE (anomia), di ASSENZA TOTALE di REGOLE. Fino ai 9 ANNI circa, il bambino adotta un punto di vista EGOCENTRICO (realismo morale). Il giudizio si basa sul danno oggettivo arrecato e non prende in considerazione l'intenzionalità dell'atto. Il BAMBINO manifesta una MORALE ETERONOMA. La validità della regola dipende da chi la impone e prevale il criterio della responsabilità oggettiva, per cui la gravità di un atto è data dalle sue conseguenze. Nell'ULTIMA FASE, quella del RELATIVISMO MORALE, prevale il SOGGETTIVISMO MORALE. Dopo i 9 anni il bambino comprende il concetto di RESPONSABILITA’ SOGGETTIVA di un'AZIONE o di una SCELTA. La comprensione delle regole e lo sviluppo morale sono processi che risentono dello sviluppo delle funzioni cognitive, poiché è attraverso la maturazione cognitiva che il bambino è in grado di comprendere, rielaborare, scegliere. Piaget si sofferma anche sul concetto di giustizia, che passa dall'essere retributiva all'essere distributiva nella fase di autonomia morale. Gli studi di Piaget furono sviluppati successivamente da LAWRENCE KOHLBERG (1927-1987) che ritiene determinante la MATURAZIONE delle STRUTTURE COGNITIVE e AGGIUNGE il concetto di CONVENZIONE. Pur riconoscendo l'importanza di fattori estrinseci, socio-culturali e ambientali, KOHLBERG ritiene che lo SVILUPPO MORALE al pari di quello cognitivo MANIFESTI negli INDIVIDUI COMPONENTI INTRINSECHE caratterizzate da SPECIFICI RITMI EVOLUTIVI, che percorrono una sequenza di passaggi obbligati. Come Piaget, KOHLBERG FONDA la SUA TEORIA su una SERIE di STUDI, che compie utilizzando uno STRUMENTO definito DILEMMA MORALE, ovvero STORIE da PROPORRE ai SOGGETTI PRESI in ESAME, in cui il protagonista ha la possibilità di prendere decisioni diverse. Dalle sue osservazioni emerge uno SVILUPPO in 3 LIVELLI: PRECONVENZIONALE, CONVENZIONALE e POSTCONVENZIONALE, ciascuno suddiviso in 2 STADI. “Convenzionale” significa attinente alle regole, alle aspettative dell'autorità, della società. 45 meno dei controlli morali interni, agendo così come cause del comportamento immorale di persone capaci delle più elevate forme di ragionamento morale. La giustificazione morale è un meccanismo attraverso il quale i comportamenti socialmente deleteri vengono resi accettabili, sia personalmente che socialmente, attraverso la ricostruzione cognitiva o forme di ideologizzazione. Gli individui agiscono per impulso di un imperativo sociale o morale. L’etichettamento eufemistico è un meccanismo che si fonda sul potere del linguaggio, che se elaborato, permette di mascherare un'azione riprovevole conferendole un carattere di rispettabilità proprio grazie all'attribuzione di caratteristiche positive, in modo tale che il soggetto si senta libero da ogni responsabilità. Il confronto vantaggioso consiste nel mettere a confronto la propria azione deplorevole con una peggiore, in modo da alterarne la percezione ed il giudizio. I deterrenti interni vengono eliminati dalla ristrutturazione morale che mette così l'autoapprovazione a servizio di imprese distruttive, trasformando ciò che prima era condannabile in fonte di autostima. La dislocazione della responsabilità è un meccanismo che permette alle persone di compiere azioni che solitamente ripudiano. Questo è evidente quando si obbedisce ad una autorità: considerando l'obbedienza come obbligatoria si individua l'autorità stessa come responsabile. La diffusione della responsabilità è un meccanismo che permette di distribuire la responsabilità derivante dall'attività rischiosa, della quale vengono eseguiti aspetti parziali che sembrano innocui in sé, ma che sono pericolosi nella loro totalità. La diffusione della responsabilità permette agli individui di comportarsi in maniera crudele. L'APPROCCIO PSICOANALITICO → nella prospettiva psicoanalitica rientrano sia la teorizzazione originaria di Freud sia quelle di Klein e Jacobson. FREUD sostiene che la coscienza morale, il SUPER IO, sia il risultato del COMPLESSO EDIPICO e del LEGAME di DIPENDENZA con le FIGURE GENITORIALI. Il SENSO di COLPA si CONFIGURA come la CONSEGUENZA dell'AZIONE CENSORIA del SUPER IO. Una funzione importante la assume anche l'Io Ideale, derivante dall'identificazione con gli adulti di riferimento, poiché costituisce un modello a cui il bambino tende ad assomigliare. Diversamente da Freud, l'austriaca MELANIE KLEIN (1882-1960), considerata la FONDATRICE della PSICOANALISI INFANTILE, ritiene che per parlare di COSCIENZA MORALE NON si debba ATTENDERE il SUPERAMENTE del COMPLESSO di EDIPO, MA che il BAMBINO MANIFESTI una COMPRENSIONE di QUESTA DIMENSIONE fin dalla PRIMA INFANZIA. Infatti, manifestando spinte aggressive nei confronti della madre viene spinto a tenere comportamenti riparatori. EDITH JACOBSON (1897-1978), psicoanalista statunitense di origini tedesche, ha studiato il costituirsi dei codici morali all'interno della prospettiva delle relazioni oggettuali e della costruzione del sé. Per la Jacobson riveste una FUNZIONE PRIMARIA l'IO IDEALE, che si formerebbe PRIMA del SUPER IO e che concorrerebbe a guidare il bambino nella comprensione di ciò che è giusto e di ciò che non lo è. Vi è un generale consenso tra gli studiosi sul principio che lo SVILUPPO della MORALITA’ avvenga per STADI SUCCESSIVI. Ne consegue che la PERSONALITA’ ADULTA riflette le CARATTERISTICHE SVILUPPATE durante l’INFANZIA. In particolare, gli anni dai 6 ai 13 rivestono un ruolo fondamentale nella formazione della personalità e del comportamento sociale; la funzione genitoriale e quella scolastica risultano basilari. 46 SERGEJ HESSEN: la FILOSOFIA dei VALORI e l'EDUCAZIONE come SVILUPPO MORALE → il pensiero pedagogico del filosofo russo SERGEJ HESSEN (1887-1950) è riportabile alla FILOSOFIA dei VALORI, i quali TRASCENDONO l'INDIVIDUO per ASSUMERE il RUOLO di IDEALI alla BASE della STORIA e capaci di spiegarla, dotati dunque di un valore proprio. HESSEN IDENTIFICA i VALORI con gli IDEALI CULTURALI e INTERPRETA la FILOSOFIA dei VALORI come FONDAMENTO per la SUA PEDAGOGIA. L'EDUCAZIONE deve porsi come FINE l'INSERIMENTO dello STUDENTE in una ben precisa TRADIZIONE CULTURALE e VALORIALE a cui è chiamato a conformarsi. HESSEN critica le precedenti formulazioni teoriche che prevedevano una forma anarchica nel gestire il processo educativo del bambino e del giovane, primo fra tutti Rousseau. La libertà cui fanno riferimento tutti i teorici dello spontaneismo pedagogico è solo apparente, poiché l'autorità più o meno diretta del maestro limita il libero agire dell'allievo. Traccia una strada volta a conciliare la SALVAGUARDIA della SPONTANEITA’ dello STUDENTE con la DISCIPLINA, al fine di arrivare alla CREAZIONE di VALORI CULTURALI. Individua nell'uomo 3 DIVERSI MOMENTI di VITA a cui l'educazione deve rivolgersi e che si identificano in tre stadi, attraverso i quali l'educazione opera anche in termini di sviluppo morale. 1. PERIODO dell’ANOMIA (Biologico) → in cui il soggetto dipende dalle forze delle cose esterne. È la fase della prima infanzia e del gioco, in cui il bambino è portato a seguire i suoi istinti e il suo naturale egocentrismo. Si tratta di un momento in cui non è ancora presente alcun tipo di norma morale. La strategia metodologica proposta da Hessen è riconducibile al gioco, che non deve però essere fine a sé stesso, quindi, è necessario chiedere al bambino di portare sempre a termine i propri giochi, in modo da favorire una prima forma organizzativa. 2. PERIODO dell’ETERONOMIA (Sociale) → quando il bambino entra nella scuola è già capace di comprendere il significato di una norma esterna e di adattare la propria condotta a tali regole. Il bambino si ritrova a contatto con altri coetanei e scopre che il proprio operato non è indirizzato a un fine individuale, ma comune e collettivo. Nella scuola di Hessen non c'è spontaneità, tutto è regolato dall'esperienza didattica del docente, che deve guidare il lavoro in tutto questo periodo, e per tutta la formazione scolastica: elementare, media e superiore. 3. PERIODO dell’AUTONOMIA (Spirituale) → ultima fase dello sviluppo morale dell'individuo, che coincide con l'uscita dalla scuola e l'inserimento nelle strutture parascolastiche e nelle attività di tempo libero. L'AUTONOMIA si conquista con un percorso progressivo, che l'insegnante dovrà predisporre ampliando gli spazi dedicati alla creatività e al lavoro autonomo degli studenti. 47 Opere principali - “Fondamenti filosofici della pedagogia” (1923) - “Ideologia ed autonomia dell'educazione della pedagogia” (1938) - “Struttura e contenuto della scuola moderna” (1939) - “Pedagogia e mondo economico” (1949) CAPITOLO 5 – I PRINCIPALI CONTRIBUTI PEDAGOGICI IN TEMA DI SVILUPPO E APPRENDIMENTO PEDAGOGIA → è la scienza che si occupa della formazione dell’uomo e della donna per l’intero corso della vita, nella pluralità dei tempi di vita e di esperienza. Per la globalità degli aspetti che caratterizza la ricerca educativa è fondamentale che nel settore pedagogico la ricerca sia interdisciplinare. Tra le branche più rilevanti si individuano: la pedagogia sociale che opera all'interno dei problemi sociali; la pedagogia speciale che si occupa dei soggetti con bisogni educativi speciali (come le persone con disabilità), favorendo la loro inclusione scolastica e sociale lungo tutto l'arco della vita; la pedagogia sperimentale che si occupa della ricerca scientifica in pedagogia, guardando agli aspetti oggettivi e misurabili dell'esperienza; la pedagogia comparativa che si occupa di altre nazioni e culture; la pedagogia della comunicazione che studia i fenomeni comunicativi da un punto di vista educativo descrivendone gli effetti sulla persona; la pedagogia interculturale o approccio transculturale che si fonda sullo scambio interattivo tra individui appartenenti a culture diverse e si occupa di favorire il superamento del monoculturalismo il riconoscimento dei valori appartenenti alle diverse culture; la pedagogia degli adulti detta anche educazione degli adulti o andragogia, si occupa dei problemi specifici degli adulti come la rieducazione e la formazione continua (lifelong learning); il problematicismo pedagogico è un modello elaborato da Giovanni Maria Bertin per riflettere sui processi educativi e sintetizzare le esperienze e le teorie che nel corso dei secoli hanno arricchito la scienza pedagogica. Si parla invece di sociometria riferendosi ad una teoria che si propone di descrivere la struttura informale dei processi socio-affettivi e socio-cognitivi nei piccoli gruppi. Tra le altre scienze sociali può risultare utile a ricordare che la gnoseologia, chiamata anche teoria della conoscenza, è la branca della filosofia che studia la natura della conoscenza. L'epistemologia invece designa quella parte della geologia che studia i fondamenti, la validità, i limiti della conoscenza scientifica. La docimologia è un ramo della pedagogia che si occupa dello studio dei sistemi di valutazione delle prove di verifica, dove la valutazione rappresenta uno snodo fondamentale, dal momento che il voto non viene più inteso in ambito strettamente numerico. Quest'ultima si pone come obiettivo quello di trovare metodi di valutazione oggettivi, attraverso varie tipologie di prove (come test, prove strutturate, ecc). La pedagogia contemporanea è una scienza autonoma nella quale convivono una dimensione più propriamente critica è ancorata alla teoria è un'altra dal carattere pratico, legata all'azione. Ognuna di esse è ulteriormente strutturata in varie articolazioni, infatti, all'interno della dimensione teorica sono distinguibili diversi elementi individuabili nell'oggetto, nel linguaggio adottato, nell'approccio. L'oggetto di indagine è sicuramente costituito dal processo formativo che coinvolge l'essere umano, inserito all'interno di una precisa situazione storico-sociale è volta a promuovere una crescita totale dell'individuo e della sua personalità. Esso investe l'intero vissuto del singolo, dal momento che la capacità d'apprendimento permette all'essere umano di adattarsi alle varie situazioni e di affrontare le difficoltà che man mano incontra nel suo cammino. La formazione, infatti, implica un cambiamento dal punto di vista intellettuale ed emotivo, connotando le varie fasi della vita, per ognuna delle quali deve essere previsto un percorso di apprendimento specifico. La complessità 50 IL MODELLO EDUCATIVO ILLUMINISTA Il ‘700 è caratterizzato dall'ILLUMINISMO, un movimento che racchiude in sé aspetti filosofici, politici e sociali. Il termine ILLUMINISMO fa riferimento al LUME DELLA RAGIONE che deve illuminare l'intelletto, affinché l'uomo possa raggiungere la sua piena realizzazione. Il secolo dell'illuminismo vede i profondi cambiamenti sociali, segnati dalla rivoluzione industriale e dall'ascesa di una nuova classe sociale, la borghesia, che ha costruito la propria ricchezza e la propria affermazione con enormi sforzi ottenendo il controllo e il potere economico degli Stati europei. Per questo motivo il reclama l'uguaglianza di tutti gli individui a fronte dei privilegi di cui godono ancora le classi nobiliari e clericali. L'illuminismo trova una sua espressione anche sul piano culturale e influenza il modello educativo dell'epoca. Secondo quest'ultimo l'istruzione deve partire dallo studio della realtà, al fine di descrivere i meccanismi e le logiche la regolano e deve essere fornita al maggior numero possibile di persone: a tal proposito si parla per la prima volta di ISTRUZIONE UNIVERSALE che trova fondamenti giuridici e filosofici e che deve essere gratuita e obbligatoria. 1) JOHN LOCKE (1632-1704) → è considerato uno dei precursori dell'illuminismo in quanto ne ha affermato con anticipo alcune idee. Nel suo saggio intitolato “Saggio sull'intelletto umano”, pubblicato nel 1690, il filosofo afferma che la conoscenza proviene soprattutto dall'esperienza. Inizialmente, la mente dell'uomo è come una tabula rasa che viene scritta progressivamente dalle esperienze svolte che producono sensazioni e che vengono successivamente elaborate in idee semplici. Locke afferma che queste idee non sono innate nell'uomo ma sono frutto di esperienze che vengono compiute fin dal grembo materno. Nonostante ciò, egli non esclude che alcune idee semplici possono nascere anche da riflessioni circoscritte dell'intelletto, senza necessariamente avere accesso dalla vita sensoriale. In seguito, l'intelletto associa molte di queste idee per analogia o le separa per differenze, creando idee complesse e più generali, costruendo in questo modo l'impianto conoscitivo dell'uomo. Alcuni esempi di idee complesse possono essere il concetto di numero, di figura o di sostanza. L'ideale pedagogico di Locke è espresso nell'opera intitolata “Pensieri sull'educazione”, una raccolta di pensieri scritti in forma epistolare che contiene una serie di proposte orientate alla formazione della nuova aristocrazia inglese, rappresentata soprattutto dalla borghesia. Per le classi proletarie e poco facoltose Locke propone le WORKING SCHOOLS → ovvero delle scuole che possano avviare le nuove generazioni alla vita lavorativa e che abbiano come obiettivo principale quello di prevenire la delinquenza e il vagabondaggio. In queste scuole viene impartito un insegnamento obbligatorio e gli studenti possono usufruire di vitto e alloggio. Si tratta, infine, di scuole che hanno anche un impianto correttivo e che prevedono l'obbligo di assistere alla funzione religiosa. 2) NICOLAS DE CONDORCET (1743-1794) → fu uno degli autori dell’Encyclopedie degli illuministi nella Francia del ‘700 e, in qualità di uomo politico e rivoluzionario, si è occupato del problema dell'organizzazione di un sistema di istruzione che potesse affrontare in modo efficace le problematiche della società moderna. Nel 1791 pubblico alcune “Memorie” che sfociarono poi in un Progetto sull'organizzazione generale dell'istruzione, presentato all'assemblea legislativa francese nel 1792. Le caratteristiche del sistema di istruzione da lui teorizzato sono: - l'istruzione deve essere universale accessibile a tutti, comprese le donne e le classi meno abbienti; - l'istruzione deve essere gratuita: solo in questo modo è possibile garantire la sua universalità; 51 - l'istruzione deve essere libera e in tal senso viene sottolineata la differenza tra istruzione ed educazione. Lo stato deve garantire un'istruzione oggettiva basata sui fatti, tralasciando orientamenti religiosi o morali, che spettano alla sfera delle scelte familiari; - l'istruzione deve essere efficace e specialistica, cioè legata alle reali esigenze della società produttiva del paese. Occorre istruire le persone per le professioni che sono richieste nella sfera sociale ed economica. Questo sistema di istruzione vuole perseguire degli obiettivi di stampo illuminista, in particolare, si tratta di uno strumento sociale e politico che vuole: - eliminare ogni tipo di emarginazione sociale che spesso sfocia in fenomeni delinquenziali; - garantire l'effettiva uguaglianza dei cittadini non solo come principio ma nei dati di fatto; - garantire la libertà dell'uomo, liberandolo dall'ignoranza e permettendogli di contribuire alla crescita sociale. Tutti questi principi sono presenti nell'attuale costituzione italiana e per questo motivo l'illuminismo segna la nascita dello Stato moderno. Il sistema di istruzione proposto da Condorcet si articola nei seguenti livelli: ➢ Una scuola comune suddivisa in: • Una scuola primaria, della durata di due anni, in cui si insegnano diritti e doveri del cittadino in cui si apprendono tutte le nozioni fondamentali per partecipare alla vita sociale e produttiva. Si tratta del livello minimo di istruzione che dovrebbe essere raggiunto anche dalle classi più indigenti; • una scuola secondaria, della durata di due anni in cui si ha accesso alle discipline scientifiche e alla storia. Si tratta di un livello successivo di istruzione che ha pensato per essere accessibile a chi non ha necessità di dover contribuire al bilancio familiare lavorando; ➢ gli Istituti, che possono essere ricondotti alla nostra istruzione secondaria di secondo grado, in cui si specializzano le conoscenze, secondo vari indirizzi; ➢ i Licei, riconducibili alle nostre Università; ➢ la Società nazionale delle Scienze e delle Arti, che supervisiona su tutti gli altri livelli di istruzione e conduce ricerche nei vari settori della conoscenza. 3) GIAMBATTISTA VICO (1668-1744) → il contributo del filosofo alla questione dell'educazione può essere ricondotta in parte alla tesi dell'illuminismo, infatti, secondo lo stesso l'educazione deve essere diretta a tutti mirando alla piena realizzazione di ogni individuo. In particolare, il pensiero di Vico si incentra sulla storia come prodotto della natura umana, per questo, egli vuole codificare un metodo che possa far emergere delle verità dallo studio della storia e che si possa applicare alle scienze umane, ossia quelle scienze che studiano l'uomo sotto tutte le prospettive. Questo metodo deve essere affiancato al metodo scientifico di Galilei e al metodo matematico di Cartesio. L'opera in cui Vico affronta questo problema è intitolata “Scienza Nuova”. Il pensiero pedagogico di Vico emerge in una delle sue Orazioni, tenuta durante la cerimonia iniziale dell'anno accademico dell'Università di Napoli → si tratta della De nostri temporis studiorum ratione, in cui si asserisce che gli studi di carattere umanistico devono essere affiancati, con pari dignità, a quelli di tipo scientifico. Vico, inoltre, facendo un'analogia con l'analisi della storia ideale eterna traccia anche un profilo dell'evoluzione del bambino che è il riflesso del ciclo storico dell'evoluzione dei popoli, infatti, il bambino passa da una fase in cui è legato soprattutto ai sensi come veicolo di conoscenza 52 ad una in cui fa particolare uso dell'intuizione, della fantasia e dell'immaginazione. Solo successivamente il bambino arriva ad una fase in cui raggiunge la piena razionalità ed usa in modo efficace l'intelletto. Proprio sulla base di queste tre fasi evolutive, lo studio delle scienze umane dovrebbe essere anteposto a quello delle discipline scientifiche, per cui l'astrazione è dettata dall'intelletto ed è particolarmente necessaria. Inoltre, risulta essenziale educare i popoli attraverso la storia poiché solo in questo modo l'uomo potrà conoscere appieno la propria natura. In questo senso, infine, la storia può avvicinare il discente ad uno studio compiuto attraverso un'indagine, che si avvale dell'analisi dei fatti e dei problemi, evitando qualsiasi approccio dogmatico. 4) JEAN-JACQUES ROUSSEAU (1712-1778) → il filosofo svizzero ha contribuito in modo significativo allo sviluppo della pedagogia distaccandosi in parte dalla visione degli illuministi. Egli viaggia in tutta Europa, spostandosi da una città all'altra e nel 1745 si trasferì a Parigi, dove iniziò a frequentare i circoli intellettuali del tempo e dove fece la conoscenza di Condillac e Diderot, con i quali inizierà a collaborare alla famosa Encyclopedie. Il pensiero di Rousseau emerge fin dai suoi primi scritti, secondo lo stesso infatti l'educazione ci viene impartita o dalla natura, o dagli uomini, o dalle cose. Quella della natura consiste nello sviluppo interno delle nostre facoltà e dei nostri organi; quella degli uomini ci insegna a fare un certo uso di facoltà e organico si sviluppati; quella delle cose sta nell'acquisto di una nostra personale esperienza attraverso gli oggetti da cui riceviamo impressioni. La declinazione educativa della visione sociale di Rousseau viene ampiamente sviluppata nell'opera intitolata “Emilio o dell’educazione” (1762), per cui il filosofo descrive fondamenti della sua concezione pedagogica. Lo stato naturale e lo sviluppo della cultura → nell’opera intitolata “Discorso sulle scienze e sulle arti” (1750) Rousseau introdusse il concetto di STATO NATURALE e sostiene come il progressivo avanzare della cultura abbia distaccato l'uomo da questa situazione idilliaca, infatti, la cultura e l'avanzamento delle scienze hanno scatenato nell'uomo gli aspetti più brutali e dannosi. Rousseau parte dall'affermazione che la natura è una creazione di Dio, pertanto essa è perfetta e incontaminata, l'uomo, invece, in quanto essere naturale è anch’egli puro e incontaminato ma, una volta creato da Dio, si è progressivamente distaccato dal suo stato naturale perdendo la sua originale bontà e purezza. A questo punto russo introduce il MITO DEL BUON SELVAGGIO → ossia di un uomo che a stretto contatto con la natura lontano dalla civiltà e altruista, innocente nelle sue azioni, saggio e spontaneo negli atteggiamenti. Da questo stato di purezza originale, però, si distacca progressivamente, creando delle strutture artificiali che possono essere identificate con le culture dei singoli popoli in cui sono rappresentate le usanze, le credenze e le conoscenze scaturite dal progresso scientifico. Queste ultime danno origine ad una società contaminata in cui l'uomo compie azioni e assume comportamenti difformi dalla sua originale purezza. Lo stato naturale corrisponde a un ritorno dell'uomo a ciò di cui ha realmente bisogno, allontanandosi dal lusso, dall'opulenza, dalla guerra e dal conflitto. Eliminando questi aspetti, si ristabilisce l'uguaglianza fra gli uomini così come era intesa alla luce della creazione di Dio. Nell'opera intitolata “Discorso sull'origine e i fondamenti della diseguaglianza fra gli uomini” (1755) Rousseau riprende il concetto di Stato naturale dell'uomo e cerca di tracciarne con rigore filosofico le principali caratteristiche. L'autore non sostiene esplicitamente che questo stato naturale possa essere realmente esistito e non è in grado di collocarlo temporalmente, tuttavia, vuole descriverlo affinché si possa tendere ad esso in modo più consapevole ed efficace. L'educazione libera sostenuta da Rousseau fu particolarmente gradita dalla pedagogia socialista in quanto, essendo basata sulla spontaneità e sul ritorno alla natura dell'uomo, forniva lo spunto per una linea educativa coerente con la nuova società appena fondata. Si trattava infatti di una posizione 55 ad anteporre il prossimo a sé stesso e che ha una profonda fede religiosa. Spesso però a questo aspetto si contrappone una natura egoistica e violenta. Il compito dell'educazione è quello di risvegliare l'uomo morale e sopire gli istinti brutali. Un giardiniere, per promuovere la crescita e la fioritura di 1000 alberi. Per conseguire un'educazione morale è necessario che lo sviluppo umano attraversi tre fasi, che Pestalozzi descrive così: - lo STATO DI NATURA → in cui l'uomo segue l'istinto e può lasciar prevalere virtù, l'egoismo o interessi personali; - lo STATO SOCIALE → in cui l'uomo vive in contatto con gli altri sebbene non sempre in maniera armoniosa. Talvolta, infatti, si verificano contrasti tra gli oppressori che cercano di prevalere e i più deboli che cercano protezione; - lo STATO MORALE → che rappresenta l'approdo finale al quale occorre tendere e si realizza se l'educazione riesce a far prevalere la moralità dell'uomo che domina le proprie passioni e accoglie gli altri. Di conseguenza, il processo educativo (ricordato anche come concetto di educazione del cuore) mira a far convergere in senso positivo e morale le forze che il bambino possiede e che per salvarsi suddivide in sentimento, pensiero e volontà. Queste tre forze vengono rappresentate simbolicamente da tre organi cuore, testa (mente) e mano. ➢ Il CUORE rappresenta i sentimenti che accompagnano la vita dell'uomo in particolare quelli di stampo morale come l'amore, la fede e la gratitudine. È proprio questa l'area nella quale l'educazione deve intervenire in maniera prioritaria, in modo tale che anche le altre due forze saranno al servizio della morale. ➢ La TESTA rappresenta la capacità dell'uomo di operare un giudizio razionale, di usare la memoria e l'immaginazione. Ci si riferisce all'area cognitiva che Pestalozzi vuole sviluppare attraverso il metodo intuitivo. ➢ La MANO rappresenta la forza che spinge un uomo alle attività di carattere pratico, professionale, tecnico o artistico. Cuore, testa e mano possono essere ricondotti alle tre aree fondamentali dello sviluppo del bambino, ossia l'area affettiva (cuore), cognitiva (testa) e psicomotoria (mano). Il metodo elementare → è così chiamato perché fondato su una didattica mirata alla comprensione degli elementi costitutivi del sapere. In questo modo, sarà possibile dirigere la futura formazione culturale del discente. Si tratta di un metodo che coinvolge le tre forze presenti nel bambino (sentimento, pensiero e volontà) e si basa su tre principi fondamentali: 1) il principio di necessità meccanica → l'educazione deve operare in modo da produrre nel discente, senza forzature o artifici, ma in maniera del tutto naturale, la moralità e le facoltà intellettuali; 2) il principio di organicità e continuità → il discente deve essere guidato in modo graduale, secondo i tempi che rispetti nel suo sviluppo e la sua maturazione, non vi devono essere salti o vuoti nel processo educativo; 56 3) il principio di vicinanza e lontananza → permette di esplorare la realtà partendo dagli elementi che sono più accessibili e prossimi al bambino, da esperienze concrete che egli può comprendere fino a giungere agli aspetti più generali e astratti. Uno degli esempi di attivismo pedagogico ispirato all'opera di Pestalozzi è rappresentato dalla scuola-città, finalizzata alla formazione sociale dei ragazzi. Il metodo intuitivo e lo sviluppo cognitivo → in relazione all'aria cognitiva e allo sviluppo della mente, Pestalozzi elabora questo metodo come approccio basilare alla conoscenza. Il metodo è così definito perché parte dall'intuizione fatta sull'esperienza concreta e sensibile, per giungere alla formulazione delle leggi che regolano la natura e il comportamento umano. Attraverso osservazioni dirette, l'intuizione conduce al bambino ad individuare tre concetti fondamentali per ordinare il suo pensiero. Questi concetti sono: - La FORMA, alla base della geometria e del disegno. La geometria e il disegno permettono lo studio della forma della realtà; - Il NUMERO, alla base della matematica. La matematica serve per quantificare fenomeni, cose e rapporti; - Il NOME, alla base del linguaggio. Il linguaggio consente di descrivere la realtà in modo qualitativo, identificando gli oggetti con termini precisi. Infine, l'educazione al lavoro assume per Pestalozzi un valore puramente formativo. 2) FRIEDRICH WILHELM AUGUST FROBEL (1782-1852) → è un pedagogista tedesco che opera presso la scuola di Yverdon, in cui entra in contatto con Pestalozzi, da cui ha preso in prestito alcune idee che successivamente ha arricchito con spunti e metodi educativi originali e che raccoglie all'interno dell'opera intitolata “L’educazione dell'uomo” (1826). Nel 1837 fonda un istituto scolastico in Germania, destinato ad accogliere tutti i bambini al di sotto dei sei anni di età appartenenti alle classi sociali più svantaggiate. In questa scuola, il pedagogista adotta un metodo improntato su “gioco e attività”. Nel 1840 conia il termine KINDERGARTEN (“giardino dei bambini”), parola che tuttora viene associata alla sua didattica. Le fasi evolutive del bambino → Frobel concentra i suoi studi principalmente sul periodo dell'infanzia, per questo motivo, può risultare utile soffermarsi sugli elementi cardine del suo pensiero in relazione alle dinamiche educative dei bambini. Nella sua opera intitolata “L’ educazione dell'uomo” egli traccia alcune fasi evolutive che caratterizzano il processo di crescita del bambino: ➢ Il LATTANTE → si tratta di un periodo di massima apertura verso il mondo esterno che viene conosciuto attraverso i sensi. È una fase in cui lo sviluppo del corpo assume un aspetto preponderante; ➢ Il FANCIULLO → è un periodo incentrato sul linguaggio che serve per ragionare, organizzare le idee e ordinare il mondo esterno; ➢ Lo SCOLARO → è il periodo dell'adolescenza, in cui l'istruzione diventa centrale e il mondo comincia ad essere codificato tramite l'intelletto. Ogni fase è connessa a una facoltà dell'essere umano, dai sensi al linguaggio all'intelletto ed è caratterizzata da tre campi esplorativi sui quali il maestro deve incentrare le attività del bambino: 57 - La RELIGIONE → che cura l'indagine su Dio e gli aspetti morali; - le SCIENZE → che investigano la natura il mondo fisico circostante; - il LINGUAGGIO → che aiuta a comunicare con gli altri e a conoscere l'uomo. [Verso la metà dell'Ottocento, più o meno negli stessi anni in cui Frobel organizza in Germania i suoi Kindergarten, In Italia don Ferrante Aporti, istituisce il primo asilo infantile per bimbi poveri sul modello delle Infant’s schools inglesi. Il suo asilo infantile ha delle caratteristiche molto specifiche che lo rendono innovativo per l'epoca: - è basato sull'idea che “la vita educa”; - è organizzato secondo regole disciplinari rigorose; - promuove l'apprendimento attraverso i tre momenti dell'osservazione, dell'intuizione e dell'esperienza; - è finalizzato a una rudimentale alfabetizzazione di base (leggere, scrivere e far di conto) rivolta ai bambini poveri che ha messi a lavorare in tenera età, non potranno frequentare le scuole elementari; - si accompagna all'educazione cattolica; - educa alle prime norme igieniche. ] 3) JOHANN FRIEDRICH HERBART (1776-1841) → è un filosofo tedesco che si è occupato di dare un aspetto autonomo alla scienza pedagogica. Questo lavoro si evince principalmente in due opere intitolate rispettivamente “Pedagogia Generale the dedotta dal fine dell'educazione” (1806) e “Disegno di Lezioni di Pedagogia” (1835). Herbart considera la pedagogia come una scienza autonoma e specifica, un sistema di concetti intorno al metodo dell'educazione, tanto è vero che parla di pedagogia scientifica, che trova i suoi fondamenti nell'etica e nella psicologia. La pedagogia scientifica secondo Herbart può dunque essere definita come un sistema di concetti sui quali si fonda il modello dell'educazione. L’etica deve indicare il fine stesso della pedagogia, che è la formazione morale dell'allievo, mentre la psicologia deve indicare i mezzi e gli strumenti con i quali ottenere questa finalità. In termini pratici, la pedagogia individua quelle caratteristiche della condotta che hanno valore etico. È importante che il discente riconosca i 5 seguenti valori etici: 1. la LIBERTA’ INTERIORE → che contraddistingue la coerenza tra la volontà dell'individuo e la sua condotta; 2. la PERFEZIONE → che rappresenta l'equilibrio interiore è il perfetto compimento dell'individuo; 3. la BENVOLENZA → che rappresenta l'armonia fra la volontà del soggetto e quella degli altri; 4. il DIRITTO → che definisce la concordanza della volontà di molti e diviene un accordo che può prevenire scontri e lotte; 5. L’EQUITA’ → che commisura la ricompensa alle azioni svolte. Nell'ambito della psicologia, Herbart, come altri pedagogisti e filosofi del romanticismo, disconosce l'idea dell'innatismo, infatti, le idee non sono innate nel soggetto ma si costruiscono con l'esperienza attraverso le sensazioni. 60 guida la conoscenza come elemento essenziale. La conoscenza, secondo Comte, si fonda direttamente sull’esperienza, che permette all'uomo di giungere non all'assoluto ma solo alla comprensione dei rapporti che uniscono le varie cose e i vari fatti fra di loro. Nella sua opera intitolata “Discorso sullo spirito positivo” egli espone le 5 accezioni fondamentali del positivismo: - Nella sua accezione più antica e più comune, la parola positivo designa il reale, in opposizione al chimerico; - Il positivismo intende rappresentare il contrasto dell'utile con l'inutile; - Il positivismo intende rappresentare l'opposizione tra la certezza e l'indecisione; - il positivismo intende rappresentare l'opposizione tra il preciso e il vago. Il positivismo divenne la cultura predominante della classe borghese. La formazione della conoscenza → la conoscenza non avviene attraverso forme a priori, ma attraverso l'osservazione dei singoli fatti della realtà e della vita, che si manifestano in relazioni costanti di successione e di somiglianza in virtù delle loro proprie leggi. Scoprire questa legge significa ricostruire la società su basi scientifiche e non più religioso filosofiche e riformare la vita socialmente e politicamente. Lo sviluppo individuale si forma attraverso tre stadi che corrispondono a tre età che sono gli stessi attraverso cui è passata l'umanità (stato teologico, metafisico e positivo). Nell'opera intitolata “Discorso sull'insieme del positivismo” Comte delineò le norme secondo cui si doveva impartire la nuova educazione. Egli suggerisce di sostituire l'educazione europea, essenzialmente teologica, metafisica, letteraria, con un'educazione positiva, conforme allo spirito della nuova epoca e alle esigenze della civiltà moderna. Fondamento di questa educazione è la scienza che, essendo opera dell'intera umanità, sviluppa la coscienza della solidarietà umana che deve essere posta a fondamento dell'insegnamento morale. 2) ROBERTO ARDIGO’ (1828-1920) → è considerato tra i padri della psicologia scientifica italiana per aver promosso una concezione scientifica della psicologia, una complessa teoria della percezione e del pensiero. Il suo pensiero mosse dalla conoscenza dei classici teologi e filosofici, come Agostino e Tommaso d'Aquino, all'adesione al razionalismo e al positivismo di Auguste Comte ed Herbert Spencer passando attraverso il naturalismo del Rinascimento. Ardigò insistette sulla necessità di una pedagogia scientifica soffermandosi sul ruolo delle abitudini. L'educazione, infatti, sul piano naturale può essere ricondotta all'acquisizione di comportamenti sedimentati e certi. Ciò implica il passaggio da una pedagogia metafisica ed astratta ad una pedagogia intesa come scienza dell'educazione. Ardigò coniò, inoltre, il termine di confluenza mentale, secondo cui non ci può essere scienza se non di fatti. Per questo motivo, per Ardigò non tutte le abitudini sono educative e, dal punto di vista didattico, privilegiò l'intuizione, il metodo oggettivo, il passaggio dal noto all'ignoto, insegnando poche cose alla volta e ritornando più volte sulle cose spiegate facendo continue applicazioni di teorie a casi nuovi. Egli puntava a far rinascere un'etica laica, naturalistica, non prescrittiva che poneva l'uomo davanti a scelte dando gli strumenti conoscitivi per una scelta razionale. IL FUNZIONALISMO E L’ATTIVISMO Lo psicologo americano William James (1842-1910) è considerato il padre del funzionalismo. Nella sua opera intitolata “Principi di Psicologia” (1890) egli afferma che la mente è caratterizzata da un susseguirsi continuo di esperienze, che definisce flusso di coscienza. Queste esperienze causano degli incessanti mutamenti nella mente, per cui non ha senso definire delle 61 rappresentazioni statiche della stessa e scomporle in elementi fondamentali o isolati. Alla base del FUNZIONALISMO vi è lo studio della funzione del pensiero umano. In base a questo approccio il funzionalismo si contrappone allo STRUTTURALISMO un'altra corrente psicologica coeva che è nata e si è diffusa in Europa. Per lo STRUTTURALISMO è importante scomporre l'esperienza in una serie di elementi fondamentali quali le sensazioni, le immagini mentali, gli stati affettivi, per poi studiare le relazioni che intercorrono tra gli stessi. Si può, dunque, affermare che il funzionalismo contrappone a una visione analitica dei processi mentali dello strutturalismo una visione olistica, ossia di insieme delle attività della mente. Il FUNZIONALISMO attinge dall'evoluzionismo di Darwin, al fine di dare una risposta a quali siano le finalità dei processi della mente. Darwin afferma che ogni organismo deve far fronte a problemi di adattamento nell'ambiente in cui vive e, dato un certo ambiente con alcune caratteristiche, vi sono alcune facoltà e alcune qualità che permettono un organismo di sopravvivere meglio e di adattarsi a quell'ambiente. Di conseguenza, solo con gli organismi che possiedono queste qualità di adattamento riescono a sopravvivere e a riprodursi più facilmente di altri. In questo modo, è possibile continuare la specie in modo più efficace. Le attività mentali dell'essere umano sono quelle qualità che danno un contributo fondamentale alla possibilità di sopravvivenza dell'uomo e alla perpetuazione della sua specie. Per questo motivo, il funzionalismo intravede nei processi mentali la finalità di adattare l'organismo all'ambiente e favorire la sopravvivenza. Per adattamento James intende anche la capacità dell'uomo di modificare l'ambiente circostante in modo da renderlo più rispondente ai propri bisogni. Un altro aspetto fondamentale del funzionalismo è il PRAGMATISMO, infatti, lo studio della mente va rivolto soprattutto verso quelle funzioni che mostrano le loro utilità pratica. In quest'ottica assumono particolare rilievo le funzioni utili per la sopravvivenza dell'organismo. Il funzionalismo, in ambito psicologico, trova la sua formulazione completa nella SCUOLA DI CHICAGO, formatasi intorno al 1930 negli ambienti universitari dell'omonima città. A questa scuola è possibile ricondurre il pedagogista americano John Dewey (1859-1952, pragmatista) e lo psicologo americano James Rowland Angel (1869-1949), autore dell'articolo intitolato “The province of functional psychology” (1907) tuttora considerato il manifesto della psicologia funzionale. In Europa, un'esponente di spicco del funzionalismo è stato il pedagogista svizzero Edouard Cleparede (1873-1940). Il nuovo approccio psicologico del funzionalismo comporta delle ricadute anche in ambito pedagogico, in particolare assunsero una rilevanza specifica le funzioni della mente che favoriscono l'apprendimento e la motivazione, di conseguenza, il bisogno di apprendere la curiosità, connessa alla motivazione, sono elementi essenziali che hanno determinato la sopravvivenza dell'uomo e la sua predominanza sulle altre specie viventi. LE SCUOLE NUOVE, LA SCUOLA ATTIVA, L’ATTIVISMO Verso la fine dell'800 e gli inizi del ‘900 si diffusero in Europa e negli Stati Uniti le NEW SCHOOLS → ovvero le scuole nuove che presentano caratteristiche specifiche che variano da paese e paese e sono il riflesso delle condizioni economiche e sociali in cui si sviluppano. Tuttavia, è possibile riconoscere alcuni tratti comuni, in primis il fatto che si tratta di una serie di esperienze educative che mostrano un'evidente rottura con l'organizzazione e con i metodi della scuola coeva, infatti, sono scuole generalmente destinate a formare la futura classe dirigente. Le scuole nuove pongono particolare attenzione all'istruzione di tipo scientifico, allo studio della lingua e all'esperienza diretta sulla realtà circostante, attraverso attività che possono stimolare l'interesse del discente. L'impostazione di queste scuole si distingue subito per il grado di coinvolgimento dell'alunno nell'attività didattica, infatti, l'alunno non deve avere un atteggiamento passivo e assorbire in modo acritico tutte le nozioni che il docente propone ma deve sperimentare e comprendere in prima persona, attraverso l'esperienza e l'attività pratica. L'educazione pone al centro l'allievo e deve 62 essere finalizzata alla formazione di una personalità autonoma. Le diverse esperienze educative delle scuole nuove possono sembrare solo parzialmente in relazione tra loro, anche se, alla nascita di queste diverse esperienze si accompagna anche un'elaborazione teorica e una formulazione più concettuale ed organica della loro impostazione educativa. Il marito di questo lavoro è da attribuire ad Adolphe Ferriere (1879-1960), il quale istituì in prima persona una scuola nuova in Svizzera. Nel 1899 fondò l’Ufficio Internazionale delle Scuole Nuove, il cui intento era quello di raccogliere le esperienze delle scuole nuove al fine di integrarle in una visione organica. Nel 1917 il pedagogista Pierre Bovet utilizzò per la prima volta l'espressione SCUOLE ATTIVE→ per riferirsi alle scuole nuove, espressione diffusa da Ferriere che nel 1921 in occasione del Primo Congresso sull'Educazione Nuova delineò i principi fondamentali che regolano l'azione educativa delle scuole attive: ➢ il fanciullo ha un'energia vitale che gli permette di svolgere un ruolo attivo nel processo educativo e deve essere posto al centro di questo processo (si parla di puerocentrismo in opposizione alla visione magistricentrica); ➢ Ogni fanciullo ha le proprie attitudini, i propri bisogni e interessi, che vanno assecondati per favorire il suo apprendimento. È, inoltre, necessario che l'azione educativa tenga presente la fase di sviluppo che il discente sta attraversando virgola in quanto ogni fase ha le sue specificità; ➢ l'azione educativa deve necessariamente avvenire favorendo la cooperazione tra gli alunni, realizzata virgola in particolare, attraverso il fare che non deve essere fine a sé stesso ma deve essere indirizzato all'apprendimento. Per questo, assumono particolare rilievo le attività manuali, l'esperienza diretta, il lavoro è il gioco. Un ulteriore aspetto cooperativo è rappresentato dalla coeducazione, ovvero dalla presenza nell'ambiente scolastico di alunni di entrambi i sessi, affinché ciascuno possa riconoscere le caratteristiche dell'altro; ➢ l'ambiente in cui il fanciullo svolge le sue attività risulta un fattore fondamentale per il suo apprendimento, in quanto da esso devono pervenire gli stimoli positivi. Di conseguenza, il docente deve avere particolare cura nel predisporre intorno all'alunno un ambiente di apprendimento efficace; ➢ le attività dei fanciulli devono svolgersi in piena libertà, al fine di favorire i loro bisogni, per questo, il docente deve rinunciare ad un atteggiamento autoritario, limitando i propri interventi e lasciando al bambino la possibilità di esprimersi appieno; ➢ le attività di tipo intellettuale sono impostate in un percorso di scoperta progressiva, evitando di fare ricorso alla memoria in modo meccanico e lasciando lavorare la mente e le capacità raziocinanti; ➢ nelle scuole attive è necessario creare tra gli alunni e una struttura di rapporti sociali, di compiti specifici e di responsabilità personali che insegni agli alunni l'essenza del vivere civile e l'educazione alla cittadinanza. Dalle scuole attive e dalla formalizzazione di Ferriere nasce quindi il termine ATTIVISMO, i cui maggiori esponenti furono Claparède, Decroly, Montessori e Dewey. 1) EDOUARD CLAPAREDE (1873-1940) → psicologo e pedagogista svizzero tra i maggiori esponenti del funzionalismo psicologico. Le sue opere principali sono: “Psicologia del fanciullo e pedagogia sperimentale” (1909); “Scuola su misura” (1920); “L'educazione funzionale” (1931). Nel 1912 fondò con Pierre Bovet l’Istituto Jean-Jacques Rousseau a Ginevra che divenne un punto di riferimento per le ricerche psicopedagogiche. Nel 1921 Piaget diverrà direttore di questo istituto. 65 di studenti, che ha necessità di svolgere attività di recupero, ed un secondo gruppo omogeneo di studenti più dotati virgola che può svolgere attività di approfondimento. - CLASSI MOBILI → Tra classi che non sono composte sempre dagli stessi alunni e, viste le diverse attitudini di ciascuno, non è detto che alunni della stessa età debbano seguire lo stesso programma di una specifica disciplina. Per esempio, un ragazzo che ha una particolare attitudine per una disciplina può seguire le lezioni con gli alunni più grandi di lui e, allo stesso modo, un fanciullo che abbia difficoltà in una specifica disciplina potrà soffermarsi sulle azioni più elementari e meno impegnative rispetto a quelle previste per la sua età. - SEZIONI PARALLELE → Sono dei percorsi che danno particolare risalto ad alcune attività o discipline, tra cui l'alunno può scegliere in base alle sue attitudini e ai suoi interessi. - SISTEMA DELLE OPZIONI → si tratta di un'ulteriore specializzazione del percorso di studi scelto nella sezione parallela e prevede diverse possibilità: • la suddivisione delle ore di studio in una parte obbligatoria per tutti e in una parte che gli alunni possono personalizzare a propria scelta; • un nucleo minimo di conoscenze obbligatorie per tutti gli alunni su cui possono aggiungersi i percorsi specifici dettati dall'interesse dei singoli alunni. 2) OVIDE DECROLY (1871-1932) → è stato il pedagogista belga tra i maggiori fautori della scuola attivista in Europa e sia anche interessato dell'educazione dei bambini diversamente abili. Nel 1901 fondò una scuola di insegnamento per bambini anormali, cioè portatori di handicap. Nel 1907 fondo la SCUOLA DELL’ERMITAGE, cioè una scuola in cui i bambini normali vengono educati con gli stessi metodi e materiali utilizzati per quelli con difficoltà. Le sue opere principali sono: “Verso la scuola rinnovata” (1921) e “La funzione di globalizzazione e l'insegnamento” (1929). I bisogni → per impostare il suo impianto pedagogico, Decroly parte dai bisogni del fanciullo con un approccio che riprende il funzionalismo. Il programma educativo deve riuscire a soddisfare questi bisogni, che possono essere suddivisi in: esigenze soggettivo-psicologica, legate alla necessità del fanciullo; esigenze oggettivo-sociali, legate alla realtà che circonda il fanciullo. Le esigenze soggettivo-psicologica sono riconducibili a 4 bisogni fondamentali: ➢ nutrirsi ➢ lottare contro le intemperie ➢ difendersi dai pericoli e dai nemici ➢ lavorare e rilassarsi, elevarsi in modo solidale. Da ognuno di questi bisogni può nascere un particolare interesse. Per i bisogni oggettivo-sociali ha un ruolo fondamentale l'ambiente in cui il bambino è immerso. Per ambiente si può intendere sia il sistema di relazioni sociali che il bambino instaura in famiglia o a scuola, sia il vero e proprio ambiente fisico nel quale egli è immerso (la natura). I centri di interesse e le idee associate → Il centro di interesse costituisce un elemento fondamentale nella didattica di Decroly, infatti, da ciascuno dei bisogni elencati in precedenza nasce un particolare interesse del fanciullo. Ad esempio, dal bisogno di nutrirsi nasce l'interesse per il cibo, mentre dal bisogno di proteggersi dalle intemperie può nascere l'interesse per la casa. Di conseguenza, è importante impostare la didattica attraverso dei centri di interesse che possano attirare l'attenzione del bambino e motivarlo alla scoperta e alla conoscenza. Attorno a questo centro di interesse sono poi raggruppate delle nozioni ad esso pertinenti, evitando il nozionismo e la frammentazione artificiale del sapere. Le attività, infatti, non vengono suddivise in base alle discipline ma attorno ai centri di interesse. In questo modo, si imposta un apprendimento più 66 naturale, in quanto i vari concetti sono tra di loro collegati ed assumono dei significati: l’alunno, di conseguenza, non ha bisogno di ricordare meccanicamente una serie di concetti astratti e decontestualizzati. In particolare, l'impostazione didattica di Decroly prevede non solo l'utilizzo dei sensi e dell'esperienza diretta, ma anche il ricorso al ricordo personale allo studio di documenti. L'utilizzo dei centri di interesse crea una nuova modalità di impostare il programma educativo e in particolare Decroly parla di PROGRAMMA DELLE IDEE ASSOCIATE, in riferimento all'aggregazione di idee e concetti intorno al centro di interesse. Questa strategia permette al fanciullo di ampliare progressivamente il suo sapere in modo naturale. L’ambiente → un altro elemento fondamentale della didattica di Decroly è costituito dall'ambiente ed è strettamente connesso ai bisogni oggettivo-sociali. Il programma enunciato da Decroly mira, infatti, a promuovere anche lo sviluppo sociale del bambino. Di conseguenza, particolare attenzione viene posta alle dinamiche della classe, l'interazione tra fanciulli e al rapporto tra docenti e alunni. Il programma educativo, quindi, deve fare in modo di creare le condizioni di adattamento del fanciullo all'ambiente sociale in cui vive. È, inoltre, necessario predisporre in modo organico anche l'attività didattica che prepara l'adattamento dell'alunno all'ambiente fisico-naturale che lo circonda. In questo senso, Decroly è convinto che il contatto con la natura e la vita in campagna siano preferibili per impostare il programma educativo del fanciullo rispetto ad un ambiente artificiale come quello della città. Il contatto con la natura favorisce un maggior stimolo agli interessi ed influenza positivamente anche gli atteggiamenti sociali dell'allievo. In base a questi due aspetti si riconosce un impianto duplice di contenuti che scaturiscono dall'ambiente e che possono essere di diversa tipologia come contenuti etici, storici e sociologici da un lato e geografici e scientifici dall'altro. Le fasi dell'insegnamento → la didattica intorno al centro di interesse si articola in 3 tipi di attività che i fanciulli possono svolgere: 1. ATTIVITA’ DI OSSERVAZIONE → gli allievi acquisiscono esperienza e informazioni in modo personale diretto, formulando impressioni, stimando grandezza e quantità, facendo particolari verifiche su ciò che si sta osservando. 2. ATTIVITA’ DI ASSOCIAZIONE → i fanciulli acquisiscono conoscenza in modo indiretto, attraverso richiami di cognizioni acquisite in precedenza. Si tratta di una fase in cui si possono operare confronti, compiere generalizzazioni ed esprimere giudizi o valutazioni. 3. ATTIVITA’ DI ESPRESSIONE → I fanciulli riproducono ed esprimono quanto appreso, attraverso un disegno, un componimento, una realizzazione pratica. I progressi degli alunni vengono monitorati attraverso schede di osservazione a carattere individuale che permettono di migliorare e calibrare i percorsi di apprendimento di ogni fanciullo. La funzione di globalizzazione → dal momento che il centro di interesse è un catalizzatore di contenuti ed informazioni che possono essere presentati in modo organico, lo stesso centro di interesse ha un carattere globale, infatti, il suo valore didattico risiede proprio in questa caratteristica che lo rende corrispondente alla modalità con cui gli alunni percepiscono la realtà. Gli oggetti o i fenomeni si presentano agli alunni nella loro complessità globalità, senza essere artificialmente attraverso processi analitici. Di conseguenza, presentare la conoscenza nelle sue componenti essenziali disorienta i bambini, l'idea emotiva e li allontana dallo studio. Decroly è convinto che i concetti e le idee vadano presentati in modo globale, rispecchiando la complessità con cui un fenomeno o un oggetto si presenta al fanciullo nella realtà. Per questo, il docente deve fare 67 attenzione a sviluppare in classe delle attività che centrino i bisogni dei fanciulli e stimolino il loro interesse. L'idea di Decroly trova fondamento negli studi scientifici che in precedenza erano stati compiuti da Claparede, il quale aveva già evidenziato l'approccio sincretico che i bambini adottano nella conoscenza delle cose verso i 7-8 anni. L'approccio sincretico diventa capacità analitica (di decomporre una cosa nelle sue parti) e sintetica (di ricomporre il tutto dalle parti). Lo sviluppo delle abilità analitico-sintetica può essere facilitato dal gioco, per cui Decroly propone di utilizzare materiali specifici. Dell'approccio globale possono beneficiare tutti gli ambiti disciplinari ma Decroly è noto per aver applicato la funzione globalizzatrice alle attività di lettura e scrittura (metodo ideovisivo). Per facilitare l'insegnamento della lettura, il docente parte da frasi o parole che destano emozione e interesse nel bambino. Si attraversa un periodo di riconoscimento globale di queste frasi o parole che per il bambino hanno un significato e, da queste, si passa progressivamente allo studio delle lettere e delle sillabe, cioè gli elementi costitutivi delle parole. In aritmetica vi è un approccio simile di tipo globale adesso consiste nel partire dallo studio della numerosità degli oggetti osservando il numero globale degli stessi appunto si passa successivamente a misurare gli oggetti con unità di misura naturali (Il palmo, il piede, il pollice) fino a giungere a unità di misura formali come il metro. 3) DON BOSCO (1815-1888) → è stato un presbitero e pedagogo italiano, fondatore delle congregazioni dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Il contributo di Giovanni Bosco rientra nella corrente del cattolicesimo liberale, un movimento che teorizzò la conciliabilità della dottrina cattolica con i principi liberali della separazione tra stato e chiesa, nell'ambito di uno stato ispirato ai valori del cristianesimo. Egli fu il fautore di una PEDAGOGIA POVERA, indirizzato ad aiutare i giovani degli ambienti maggiormente disagiati. Per fornire concretamente un aiuto a questi ultimi Don Bosco aprì un oratorio, luogo di formazione, studio, avviamento al lavoro e svago virgola in modo da aiutare i giovani da lui definiti “traballanti”, togliendoli dalla strada. Secondo Don Bosco era necessario fornire a tutti i giovani un'istruzione elementare, una regola di vita (educazione morale) e un lavoro, attraverso cui l'uomo si arrenda utile, affinché potessero inserirsi nella società. Il principio educativo adottato da Don Giovanni Bosco era il METODO PREVENTIVO, secondo cui è necessario interessarsi della formazione dei giovani in modo da prevenire il disagio morale della società. L'educazione ha quindi una funzione civile e preventiva. Il sistema preventivo di Don Bosco si basa su: ➢ ragione ➢ religione ➢ amorevolezza In particolare, l’AMOREVOLEZZA è la parte portante del metodo, infatti, gli educatori devono essere amorevoli e comprensivi con i giovani. 4) DON MILANI (1923-1967) → Don Lorenzo Milani è stato un presbitero, scrittore, docente ed educatore cattolico italiano. La sua figura di prete è legata all'esperienza didattica rivolta ai bambini poveri nella disagiata e isolata SCUOLA DI BARBIANA, in cui avviò il primo tentativo di scuola a tempo pieno, rivolto a coloro che per mancanza di mezzi sarebbero stati inevitabilmente destinati a rimanere vittime di una situazione di subordinazione sociale e culturale. In quelle circostanze, iniziò a sperimentare il METODO DELLA SCRITTURA COLLETTIVA. Gli ideali della scuola di Barbiana erano quelli di costituire un'istituzione inclusiva, democratica, con il fine non di selezionare ma piuttosto di far arrivare, attraverso un insegnamento personalizzato, tutti gli alunni ad un livello minimo di istruzione garantendo l'eguaglianza con la rimozione di quelle differenze che 70 l'unico ambiente in cui si svolge l'attività dei bambini, ma vi sono anche dei luoghi più ampi e comuni a tutti in cui i bambini delle varie classi possono socializzare. Ad esempio, vi sono spazi dedicati alla lettura, un refettorio e un giardino in cui stare a contatto con la natura, proprio quest'ultimo costituisce un ambiente altamente formativo. I materiali didattici → la comprensione del metodo Montessori passa attraverso la conoscenza dei materiali usati dalla pedagogista nella sua esperienza personale. Si tratta di materiali per cui ogni aspetto è scientificamente studiato, al fine di motivare il bambino, di incuriosirlo e invogliarlo a svolgere quell'attività che si ritiene utile per la sua crescita cognitiva e sensoriale. La realtà esterna fornisce al bambino numerosi stimoli che possono mettere in luce i suoi bisogni e lo inducono a svolgere particolari attività, anche se, gli stimoli ricevuti dall'esterno possono essere molteplici e creare confusione nel bambino che poi dovrà essere in grado di ordinarli e organizzarli. I materiali utilizzati dalla Montessori, accompagnati da appositi esercizi, aiutano il bambino in questa direzione permettendogli di isolare di volta in volta un determinato senso o aspetto cognitivo, accrescendo il suo interesse e concentrando la sua attenzione sull'esercizio svolto. Ad esempio, per isolare il senso tattile, al bambino possono essere fornite delle tavolette di diversi materiali oppure possono essere ricoperte con fogli di carta ruvida, liscia o vetrata. Il bambino, ad occhi chiusi, deve notare con il solo tatto le differenze tra le varie tavolette. Per il senso termico si possono dare all'alunno scodelle contenenti acqua con diversa temperatura e per il senso del colore può essere messo in evidenza con varie tavolette che hanno tutte la stessa forma o lo stesso peso ma che presentano gradazioni dello stesso colore più o meno intense. In ogni caso, i materiali vanno usati in modi ben codificati, svolgendo sequenze di operazioni sensoriali che guidino l'alunno all'apprendimento. L'insegnante deve supervisionare l'uso corretto dei materiali. Infine, riporre in maniera ordinata i materiali sul banco o negli scaffali, a conclusione dell'attività, è un esercizio che aiuta il bambino a creare ordine nella sua esperienza, separando oggetti distinti e associando quelli simili per riporli insieme nello stesso cassetto, svolgendo così operazioni di confronto virgola di distinzione e di congiunzione che aiutano le sue facoltà mentali. La nuova figura del maestro → l'organizzazione e le attività dell’asilo montessoriano prevedono la presenza di un maestro o una maestra. I bambini sono impegnati in prima persona nelle attività e le eseguono con un certo grado di autonomia, di conseguenza la maestra o il maestro raramente svolgono una lezione frontale in cui i bambini sono passivi e si limitano ad ascoltare le loro parole. La Montessori afferma che la maestra, più che insegnare, deve svolgere il ruolo di DIRETTRICE, ovvero deve dirigere le attività degli alunni, assicurandosi che le svolgano secondo le regole prestabilite. Chi non lo fa è invitato in silenzio a seguire il compagno che svolge l'attività correttamente. La maestra funge quindi da guida e da sostegno all'attività del bambino che viene eseguita secondo delle regole codificate. La direttrice conosce bene le caratteristiche dei materiali usati e ha ben presente le modalità di svolgimento delle attività. Inoltre, la Montessori prevede anche la presenza di una maestra che assuma un ruolo parzialmente riconducibile a quello di uno scienziato, ritirandosi ai margini dell'area in cui i bambini operano e osservando le attività da loro svolte. La direttrice garantisce che le condizioni dell'ambiente siano favorevoli allo svolgimento dell'attività e dall'osservazione ricava informazioni sulla crescita degli alunni e sui risultati da essi raggiunti. Lo sviluppo del bambino → secondo la Montessori vi sono delle caratteristiche universali e innate, bio-antropo-evolutive identificate come TENDENZE UMANE → viste come comportamento-guida in ogni fase di sviluppo e l'educazione dovrebbe facilitarne l'espressione. Dal momento che un bambino non ha raccolto molte esperienze nel corso della sua breve esistenza, ogni esperienza 71 nuova può destare in lui una certa curiosità, per cui è facile suscitare in lui interessi e motivazioni. È come se la mente del bambino avesse fame di esperienze e fosse naturalmente predisposta ad immagazzinarlo e custodirle gelosamente. Inoltre, è come se i suoi sensi fossero naturalmente predisposti, più di quelli di un adulto, a recepire informazioni dall'ambiente circostante proprio perché meno stimolati fino a quel momento. Per questo motivo, la mente del bambino tende più di altre ad assorbire, anche inconsapevolmente, le sensazioni che gli provengono dall'ambiente imparando anche in modo non volontario. A tal proposito, la Montessori parla di MENTE ASSORBENTE, che è dotata sia di capacità selettiva, nel senso che recepisce e trattiene solo le informazioni che ritiene importanti, sia di capacità organizzativa, cioè in grado di organizzare il sapere che recepisce dalle esperienze. Queste due ultime capacità, ovvero selezione e organizzazione, devono essere però favorite e stimolate da una didattica opportuna. La Montessori parla di una realtà che inizialmente è per il bambino come una nebulosa spaziale, detta NEBULA, ovvero è confusa e indistinta. Così come dalla nebulosa si formano gradualmente, in modo distinto, astri e pianeti, allo stesso modo le esperienze e la mente assorbente aiutano a definire ordinare le conoscenze del bambino. L'esempio più evidente di mente assorbente è rappresentato dall'acquisizione del linguaggio. In particolare, entro i tre anni il bambino è capace di acquisire l'uso della lingua senza imparare le regole grammaticali e i costrutti, acquisendo la lingua senza delle vere e proprie lezioni ma ascoltando, ripetendo, assimilando e nuovamente ascoltando. Il bambino, dunque, si limita ad assorbire per la forza incredibile che ha di fissare le proprie esperienze e di richiamarle successivamente in modo corretto. In questo caso particolare, la nebula iniziale del linguaggio prende forma progressivamente nei costrutti e nelle parole che il bambino apprende. La mente assorbente è, quindi, naturalmente predisposta all'acquisizione del linguaggio. Proprio per questo, tentare di acquisire un linguaggio in età adulta estremamente più difficile dal momento che le caratteristiche della mente dell'essere umano sono cambiate. In particolare, il periodo della mente assorbente viene individuato dalla Montessori da 0 a 3 anni di età. Il periodo successivo, che va dai 3 ai 6 anni, è caratterizzato da uno sviluppo cosciente, per cui le caratteristiche della mente assorbente continuano a persistere ma ad essa si affianca la MENTE COSCIENTE, ovvero quella fase in cui il bambino inizia a sentire l'esigenza di organizzare e ordinare i contenuti che ha acquisito. Inoltre, proprio in questo periodo i materiali e le attività organizzate dalla Montessori aiutano il bambino nel compito di riordino cosciente delle sensazioni che provengono dall'esterno e l'ordine ha ricreato nell'ambiente della classe, con i materiali disposti negli scaffali, aiuta a favorire l'ordine e l'organizzazione mentale del fanciullo. Il pensiero cosmico di Maria Montessori → si tratta di una delle teorie che pervade l'intera opera di Maria Montessori sebbene la studiosa ne parli in modo più sistematico a partire dal periodo in cui vive in India, tra il 1942 e la fine del la Seconda guerra mondiale e per tutta la fase finale della sua vita, in particolare in opere come “Educazione per un mondo nuovo” e “Come educare il potenziale umano”, tra il 1946 e il 1948. Secondo la Montessori, nonostante possa sembrarci di vivere nel disordine e nel caos, nella realtà, il nostro universo tende sempre all'armonia e all'equilibrio. Secondo la studiosa l'esistenza di un PIANO COSMICO implica che ogni essere vivente ha un compito a cui deve adempiere nella propria vita e che costituisce la sua ragione di esistere. Per questo motivo, ogni essere vivente poggia la propria esistenza su movimenti intenzionali che hanno uno scopo non soltanto in sé stessi, ma anche in relazione alla funzione che svolgono nel cosmo, cioè nell'ordine dell'universo, un ordine in cui anche le cose trovano un post e sono in relazione l'una con l'altra. Di fronte all'esistenza di questo piano, che unisce tutto ciò che esiste in un unico destino, Montessori avvisa la necessità di educare l'uomo e il suo potenziale affinché possa costruire un mondo nuovo. In quest'ottica la Montessori illustra agli educatori e agli insegnanti come condurre i bambini a partire dai 6 anni alla scoperta della storia della terra, dell'universo e 72 della storia dell'umanità in un modo che tenga sempre conto di un fatto fondamentale, cioè che l'educazione è un processo naturale che si svolge spontaneamente nell'individuo e si acquisisce non ascoltando le parole degli altri, ma attraverso l'esperienza diretta del mondo circostante. Di conseguenza, il compito del maestro deve essere quello di preparare una serie di spunti e incentivi all'attività culturale, distribuiti in un ambiente espressamente preparato, per poi astenersi da ogni intervento troppo diretto e invadente. Questo significa che così come nel periodo dell'infanzia, il compito dell'educatore era favorire l'assimilazione dell'ambiente, a partire dai sei anni il suo ruolo deve essere quello di favorire in ogni modo possibile l'assimilazione della cultura verso cui il bambino è naturalmente predisposto dato lo sviluppo della sua coscienza che e inizia a essere rivolta verso l'esterno. 6) JOHN DEWEY (1859-1952) → è un pedagogista americano ed è il maggiore esponente dell'attivismo di cui è considerato il padre. Ha contribuito in modo significativo allo sviluppo della pedagogia americana e di quella mondiale. Nel 1896 ha fondato presso l'università di Chicago una scuola elementare in cui ha svolto studi di pedagogia e didattica e da questa esperienza sono nate due delle sue opere più importanti intitolate rispettivamente “Il mio credo pedagogico” (1897) e “Scuola e società” (1899). Fu il fautore del sistema democratico e ha sostenuto la sua stretta connessione con il processo di educazione generalizzato e rinnovata rispetto ai canoni del tempo. A tal proposito scrisse un'altra importante opera intitolata “Democrazia ed educazione” (1916). La pedagogia di Dewey → nell'opera intitolata“Il mio credo pedagogico” (1897) Dewey declina in 5 articoli fondamentali la propria idea pedagogica legata alle scuole nuove: - ARTICOLO 1 → l'educazione è un processo che permette all'individuo di giungere gradualmente a contatto con le risorse intellettuali e morali che l'umanità in questa era di divenire il depositario di un capitale, quello delle conoscenze e della civiltà. Il processo educativo è costituito da due aspetti fondamentali, uno psicologico e uno sociologico: il primo essenziale in quanto permette di determinare i bisogni, gli interessi e le potenzialità dei discenti; il secondo, è necessario in quanto le condizioni sociali del discente e lo stato della società in cui vive influenzano le caratteristiche e le attitudini del fanciullo. - ARTICOLO 2 → la scuola è una comunità in cui tutti i mezzi sono destinati a rendere il fanciullo capace di partecipare attivamente alla vita sociale e di contribuire al progresso della società. La scuola non prepara alla vita ma è un contesto in cui si attuano processi che costituiscono la vita stessa e in tal senso si parla di scuola laboratorio. - ARTICOLO 3 → I contenuti dell'educazione sono mediati e fusi attraverso le attività sociali del fanciullo. L'ex funzione deve essere attuata attraverso l'esperienza che il mezzo per educare ma è anche la finalità verso la quale essa tende. - ARTICOLO 4 → Il metodo educativo deve tenere conto della natura del fanciullo e, dal momento che quest'ultimo ha il carattere dell'azione e dell'impulso, non si può limitare il fanciullo in un atteggiamento passivo e ricettivo. - ARTICOLO 5 → il progresso sociale garantito innanzitutto dalla scuola e dalla sua azione educativa, infatti, qualsiasi legge o qualsiasi riforma che tende a migliorare le condizioni complessive della società risulta futile e sterile se gli individui non alimenti per intenderla e 75 suo schema logico-consequenziale, essendo frutto di invenzione, non è immediatamente riscontrabile nella realtà e non ha senso verificarlo direttamente. Inoltre, si tratta di un'attività che non ha un obiettivo cognitivo o una precisa finalità di indagine nonostante non siano utili per l'indagine e per la conoscenza, l'immaginazione e il flusso di coscienza hanno una loro finalità, ovvero assolvono alla necessità di svago e di diletto degli individui. ➢ La CREDENZA → è un pensiero o un'idea che ha una sua coerenza di cui però non ci si è mai posti il problema della fondatezza. Questo pensiero, che viene assunto per vero in quanto lo ritiene tale la maggior parte delle persone, assolve ad un bisogno specifico, cioè quello di categorizzare e ridurre le esperienze nuove o le cose ignote a schemi mentali già noti. A questa categoria appartengono, ad esempio, le superstizioni e le scaramanzie. Le credenze si distinguono dal pensiero riflessivo in quanto non sono soggetti ad alcuna verifica ma vengono accettate acriticamente. La riflessione filosofica di Dewey ha toccato anche l'ambito dell'intelligenza creativa, infatti, nel volume intitolato “Creative intelligence. Essays in the pragmatic attitude” (1917), egli sottolinea l'importanza dell'impegno dell'intellettuale e la funzione della filosofia all'interno della società. Dewey parla di INTELLIGENZA PRAGMATICA, per descrivere il processo mentale che rende l'azione efficace in base alle necessità che di volta in volta si presentano. Si tratta di un'attività creativa non ripetitiva. Il pensiero progettante collabora strettamente con quello meditativo, infatti, coinvolge la sfera della responsabilità, dell'etica e della normatività e quella dell'efficacia operativa. Questo tipo di pensiero è l'opposto del pensiero responsivo che si conforma alla realtà esistente senza tentare di modificarla. L'indagine e il pensiero riflessivo → nell'opera intitolata “Logica. Teoria dell'indagine” (1938), il pensiero riflessivo viene descritto in dettaglio attraverso le sue fasi. Innanzitutto, è importante sottolineare che esso si genera da un dubbio che fa nascere nell'individuo il bisogno di un chiarimento di una conoscenza. Questo dubbio iniziale mette in moto un'indagine in cui si fanno ipotesi, si determinano deduzioni e si ragiona al fine di chiarire l'incertezza iniziale dal momento che il pensiero riflessivo è quell’attività cognitiva che permette di realizzare un'indagine conoscitiva, le fasi in cui esso si snoda possono ricondursi alle fasi della vera e propria indagine conoscitiva. 1. La prima fase è la SUGGESTIONE, che determina l'affiorare di un dubbio o di un'incertezza. Quando pensiamo e agiamo, di solito lo facciamo per azioni dirette, cioè siamo convinti di dover avere un certo comportamento di dover fare una certa deduzione che ci porta a una determinata conclusione. In questi casi stiamo affrontando un compito. In altri casi, possiamo essere in dubbio su quale possa essere l'azione migliore da svolgere e, di conseguenza, più che di fronte a un compito da svolgere ci troviamo di fronte ad un problema da risolvere. Pensiamo così ad una possibile azione risolutiva, che viene detta suggestione, ma, contemporaneamente, avvertiamo anche una seconda o una terza possibilità, ossia altre suggestioni. 2. La seconda fase è l’INTELLETTUALIZZAZIONE, in cui il problema inizia ad essere inquadrato nelle sue variabili fondamentali, ossia si comprende realmente quali siano le difficoltà che esso presenta. Si passa così dalla suggestione all'intellettualizzazione del problema, che viene rappresentato in modo preciso e definito, secondo le variabili che possono risolverlo. 3. La terza fase è quella dell’IDEA GUIDA o dell’IPOTESI, in cui una delle possibili suggestioni iniziali comincia ad essere considerata come eventuale soluzione divenendo idea guida o ipotesi risolutiva. 76 4. La quarta fase è il CONTROLLO DELLE IPOTESI, che avviene attraverso l'azione diretta volta a verificare la validità della risoluzione elaborata nella fase precedente. L'azione diretta può avere sia il connotato di un'azione compiuta da uno scienziato con un fine universale generico, cioè il confermare una teoria elaborata, sia le caratteristiche di un'azione svolta da un comune individuo che ha un fine pratico, personale e contingente nel compiere quella determinata azione. In questa fase vi è anche una chiara influenza funzionalistica, infatti, si parte da un individuo che è in equilibrio con l'ambiente esterno che poi si rompe per il subentrare di un fattore di novità. In questo modo nell'individuo si crea un dubbio che diventa strettamente collegato ad un suo bisogno. Di conseguenza, il soggetto ha interesse a risolvere la situazione problematica e dà vita ad un'indagine per arrivare ad una soluzione. Questa, a sua volta, determina una nuova conoscenza è un'evoluzione nell'individuo, ristabilendo il suo stato di equilibrio con l'ambiente esterno. L'esperienza e l'educazione progressiva → nel suo saggio intitolato “Esperienza ed educazione” (1938) Dewey risponde a diverse critiche che vengono mosse alle scuole nuove e alla centralità dell'esperienza. In questo modo, il pedagogista riorganizza e approfondisce il concetto di esperienza. In particolare, nella prima parte del saggio, egli individua 2 tipologie di scuole: - le SCUOLE TRADIZIONALI, che hanno programmi statici e immutabili, lontani dall'esperienza e caratterizzati da un'impostazione teorica e formale, appresa soprattutto dai libri. Si tratta di un approccio standardizzato che può essere distante dalle esigenze di ogni singolo alunno, infatti, i contenuti e i comportamenti sono imposti dall'alto. Di conseguenza, le dinamiche educative prevedono una forte autorità del docente una passività ricettiva dell'alunno; - le SCUOLE NUOVE, dette anche SCUOLE ATTIVE, in cui si applica in un'educazione progressiva, cioè che segue lo sviluppo cognitivo di ciascuno studente. Si tratta di scuole calibrate sulle esigenze dei singoli allievi e il punto di partenza è l'esperienza, lo studio di una situazione reale, che deve essere effettuato attraverso il metodo scientifico. Solo successivamente si può giungere ad una formulazione teorica. In queste scuole l'alunno è attivo e gode di una certa libertà nel percorrere il suo iter formativo. In una società democratica, in cui il cambiamento è la regola e ciascun individuo ha specifiche caratteristiche, l'approccio alle scuole tradizionali risulta fallimentare. Nonostante ciò, alcune critiche possono essere rivolte anche alle scuole nuove, poiché possono non realizzare o non proporre esperienze valide e significative. In particolare, Dewey accetta l'assunto secondo cui non tutte le esperienze si possono ritenere educative, infatti, alcune favoriscono la conoscenza e aprono ad ulteriori esperienze, altre, invece, inibiscono e limitano la capacità dell'alunno di compiere nuove esperienze. Per questo motivo, il punto cruciale non è accumulare esperienze, ma proporre esperienze realmente significative, in modo che aprano la strada a nuove esperienze e quindi a nuove conoscenze, motivando i bisogni degli alunni. Le esperienze positive si conformano ai seguenti principi: ➢ PRINCIPIO DI CONTINUITA’ → le esperienze devono essere fatte in continuità l'una rispetto all'altra, ciò significa che un'esperienza deve attingere da quelle precedenti e fungere da giusto presupposto per esperienze di ordine superiore che avverranno in seguito. In questo modo, le esperienze precedenti trovano giustificazione nell'essere propedeutica all'esperienza attuale e questa è legittimata e motivata dalle esperienze che seguiranno; 77 ➢ PRINCIPIO DI CRESCITA (o CRESCENZA) → l’esperienza educativa ha un suo valore se permette di accrescere le abilità e le conoscenze dell'alunno e lo rende capace di interagire in modo più efficace con il mondo circostante, creando le premesse per un'ulteriore crescita; ➢ PRINCIPIO DI INTERAZIONE → tutte le esperienze sono il frutto di due ordini di fattori, ovvero i fattori esterni (oggettivi), legati all'ambiente in cui avviene l'esperienza (in generale, si tratta di un ambiente scolastico che può essere controllato dal docente) e i fattori interni (soggettivi), specifici dell'alunno e sono più difficili da prendere in considerazione da parte del docente. A questo punto, emerge il ruolo dell'educatore della scuola attiva che ha il compito di progettare esperienze che riprendano i suddetti principi. Innanzitutto, l'educatore deve conoscere i propri allievi, in modo da poter tenere conto dei fattori interni, per poi individuare i loro bisogni e i loro interessi. Inoltre, deve tenere conto degli aspetti oggettivi dell'esperienza. Risulta quindi necessario conciliare la motivazione degli allievi con la necessità di svolgere queste esperienze oggettivamente significative, per questo, il profilo culturale dell’educatore deve essere di ampio respiro in modo che gli possa tenere conto di quante più variabili possibili nel progettare le sue esperienze. IL METODO DEI PROGETTI DI KILPATRICK → William Heard Kilpatrick (1871-1965), allievo di John Dewey, partendo dall'idea dell'educazione come elemento cruciale per la crescita sociale, prova a tradurre i principi pedagogici del suo maestro nella messa a punto del cosiddetto METODO DEI PROGETTI, sperimentato a partire dal 1916 nella scuola elementare di Chicago è basato su un'organizzazione innovativa sia del tempo che delle attività. Come l'autore stesso illustra nelle tue opere che dedica all'argomento, rispettivamente intitolate “Il metodo dei progetti” (1918) e “Fondamenti del metodo” (1925), al curricolo tradizionale si sostituisce un percorso fatto di progetti che possono essere di 4 tipi: 1. di produzione, cioè volti ad ideare e costruire cose; 2. di consumo, cioè finalizzati ad attuare modalità specifiche di fruizione dell'esperienza; 3. di problema, cioè orientati a cercare una soluzione ad un problema che viene presentato; 4. di addestramento, cioè finalizzati ad acquisire le competenze e le abilità tecniche necessarie per affrontare un problema. Le attività devono avere degli scopi ben definiti e chiari e devono essere articolate in un certo modo, cioè svilupparsi lungo un processo in 4 fasi sequenziali che Kilpatrick individua in: 1. ideazione, in cui si definisce l'idea del progetto; 2. pianificazione, in cui si identificano i vari passaggi necessari per la realizzazione del progetto; 3. esecuzione, in cui si procede alla realizzazione del progetto vero e proprio; 4. valutazione, in cui si esprime un giudizio dei risultati. A prescindere dalle caratteristiche e finalità specifiche, i progetti sono degli strumenti che favoriscono la crescita pragmatico-cognitiva e psicologica dell'allievo, il quale diventa il protagonista del proprio percorso formativo e gestisce tutte le fasi dell'azione progettuale, dall'ideazione, in cui è chiamato in prima persona a scegliere anche l'obiettivo del proprio apprendimento, alla valutazione, in cui compiono analisi critica dei processi e dei risultati. Il modello di scuola che Kilpatrick propone non è solo attivo ma è anche pragmatica (supera Dewey) e porta a 80 condizionato, l'altro, che è molto simile, non riesce a produrre analogamente la risposta condizionata. 2) JOHN B. WATSON (1878-1958) → lo psicologo statunitense è considerato il padre del comportamentismo. Nel 1913 pubblicò l'articolo intitolato “Psychology as the Behaviorist Views It” (“La Psicologia dal punto di vista del Comportamentista”), che è considerato il manifesto del behaviourismo. La visione psicologica di Watson prevede l'esistenza di un ambiente circostante attivo, capace di influenzare un soggetto passivo, che apprende solo se viene stimolato. Watson afferma che esistono delle connessioni stimolo-risposta che sono ereditarie e altre che si generano attraverso processi di condizionamento e possono configurarsi come processi di apprendimento. L'interesse di Watson si concentra proprio su questi ultimi, infatti, constata sperimentalmente che la presenza dello stesso stimolo genera nel soggetto delle risposte differenti. Di conseguenza, si interroga su quale di queste risposte sia la più probabile ripetendo lo stimolo con il passare del tempo e da qui derivano le prime due leggi del suo studio: 1. La LEGGE DELLA FREQUENZA → secondo cui la probabilità di una risposta è direttamente proporzionale al numero di volte in cui questa risposta si verifica in seguito allo stimolo; 2. la LEGGE DELLA RECENZA → secondo cui la risposta più recente è quella maggiormente probabile. Di conseguenza, nel prevedere una risposta ad uno stimolo è necessario osservare quante volte e quanto di recente questa risposta sia stata data. Le due leggi illustrate in precedenza vengono applicate al comportamento animale nel lavoro intitolato “Behavior: an introduction to comparative psychology” (“Comportamento: un'introduzione alla psicologia comparativa”), pubblicato nel 1914. In relazione al condizionamento, famoso è l'esperimento del piccolo Albert, un bambino di 9 mesi che ama giocare con un topolino bianco e che viene spaventato con rumori violenti proprio mentre gioca: uno stimolo incondizionato (il rumore violento) provoca una risposta incondizionata (la paura). Allo stimolo incondizionato il bambino associa lo stimolo neutro (il topolino) per cui, dopo una serie di somministrazioni dei due stimoli, Albert finisce per avere paura anche del topolino. Egli gli mostra una risposta condizionata o riflessa (la paura) in presenza dello stimolo neutro (il topolino) che diventa condizionato. Di conseguenza, una risposta connaturata nel bambino viene estesa anche a nuovi stimoli e situazioni. Il resoconto degli esperimenti sul piccolo Albert è presentato nell'articolo intitolato “Conditioned emotional reactions”, pubblicato nel 1920. Watson nelle sue ricerche non si è occupato a fondo degli aspetti pedagogici, nonostante ciò, vi è un'opera in cui espone in modo più approfondito le sue idee sul processo educativo, intitolata “Psychological Care of Infant and Child” (“La cura psicologica del neonato e del bambino”), pubblicata nel 1919. In quest'opera l'autore assume una posizione decisa sull'educazione dei bambini sostenendo che non vi deve essere alcun permissivismo e che i genitori devono mantenere sempre un certo distacco emotivo dal fanciullo, per il bene della sua educazione. Con il progredire dei suoi studi, la posizione di Watson rispetto alle conoscenze innate o ereditarie negli esseri viventi si fa sempre più critica, in quanto egli minimizza ulteriormente questo aspetto fino a ritenerlo insignificante. Nell'opera intitolata “Behaviourism”, pubblicata nel 1925 Watson conclude che, attraverso il condizionamento e la realizzazione di un ambiente appropriato, è possibile cambiare radicalmente i comportamenti dei soggetti. Lo psicologo afferma di essere in grado di creare da un bambino, privo di deficit cognitivi, un medico, un'artista e addirittura un ladro, a seconda del condizionamento operato. Le convinzioni che portano Watson ad esprimere un giudizio azzardato come questo sono le stesse che gli permettono di affermare, in modo 81 rivoluzionario, che non è possibile sostenere la superiorità di una razza rispetto ad un'altra. L'educazione che avviene attraverso il condizionamento può consentire a chiunque di raggiungere un'adeguata condizione sociale. 3) EDWARD L. THORNDIKE (1874-1949) → lo psicologo statunitense con i suoi studi sul comportamento animale ha dato importanti contributi alle teorie comportamentista. Le opere più importanti sul tema dell'apprendimento sono rispettivamente: “Animal Intelligence” (1911) e “Education Psychology: briefer course” (1931). Lo strumento scientifico che Thorndike usa per i suoi esperimenti è la gabbia-problema (puzzle box), in particolare, un gatto affamato viene rinchiuso nella gabbia, mentre può osservare a vista del cibo che si trova esternamente ad essa. A questo punto inizia ad adottare determinati comportamenti per uscire dalla gabbia, alcuni dei quali non danno risultato (come ad esempio graffiare le pareti, saltare contro il tetto o mordere le sbarre). Nella gabbia vi sono dei dispositivi che ne permettono l'apertura, come la pressione di una leva o il sollevamento di un gancio. Può succedere che il gatto azioni la leva o il gancio e riesca ad aprire la gabbia raggiungendo il cibo. Questo comportamento porta lo studioso a formulare l'ipotesi dell'apprendimento per prove ed errori. Al fine di raggiungere un determinato obiettivo, infatti, se adottano in sequenza dei comportamenti diversi fino ad individuare quel comportamento che si ritiene soddisfacente per arrivare allo scopo. L'esperimento di Thorndike si fonda nuovamente sulla dinamica stimolo- risposta, infatti, lo stimolo e la visione del cibo mentre la risposta sono i comportamenti. Il comportamento, dunque, non è altro che un’associazione stimolo-risposta. Una volta individuato il comportamento soddisfacente è importante formulare delle leggi che possano descrivere come apprende adotta questo comportamento in situazioni analoghe. Continuando i suoi esperimenti Thorndike nota che i gatti, trovandosi dinanzi alla stessa situazione, fissano in modo sempre più preciso i comportamenti che favoriscono l'uscita dalla gabbia. Di conseguenza vengono formulate le seguenti leggi dell'apprendimento: ➢ La LEGGE DELL’EFFETTO → se un’associazione stimolo-risposta porta il soggetto ad uno stato di soddisfazione, questa associazione tenderà a verificarsi sempre più spesso. Se, invece, l'associazione porta ad uno stato di disagio, allora essa tenderà ad essere progressivamente rimossa; ➢ La LEGGE DELL’ESERCIZIO → se un'associazione viene ripetuta spesso tende a rinsaldarsi, mentre se non viene ripetuta tende a scomparire. ➢ La LEGGE DELLA PRONTEZZA → un soggetto trova stimolante compiere una certa associazione quando è pronto, ossia è sufficientemente maturo per compiere quella associazione. Se non è nello stato di poterla compiere, il fatto di metterla in atto lo porta ad una situazione di disagio. Allo stesso modo, l'essere pronti a svolgere una certa associazione e non essere messi in condizione di farlo crea uno stato di disagio. Questa legge deve essere vista come una dichiarazione che delinea la possibilità che una serie di associazioni concatenate si verifichino. Sebbene queste leggi siano state ricavate da esperimenti condotti su animali, Thorndike le considera adatta a descrivere anche il comportamento umano. Nel 1931, lo psicologo pubblica “Human learning” e rivede le sue leggi, in seguito ad altri esperimenti questa volta condotti sugli esseri umani. In particolare, sostiene che nella legge dell'effetto lo stato finale di soddisfazione influenza l'apprendimento del soggetto molto di più dello stato finale di disagio. Inoltre, egli abbandona la legge dell'esercizio, avendo sperimentato che la ripetizione meccanica di un comportamento non 82 necessariamente porta ad un apprendimento. In particolare, Thorndike si convinse di questa osservazione in seguito ad un esperimento in cui chiedeva degli uomini di disegnare un numero considerevole di volte, ad occhi bendati, una linea verticale dritta lunga circa 10 cm. La ripetizione dell'esercizio non causava il miglioramento della prestazione. Di conseguenza, nello psicologo statunitense si è rinforzata la convinzione tale per cui per l'apprendimento sia necessario un rinforzo positivo, ovvero un feedback, una ricompensa che segua il comportamento desiderato. Dalla semplice dinamica stimolo-risposta si determina una nuova dinamica stimolo-risposta-rinforzo, cioè dato un determinato stimolo, la risposta che viene attuata è quella che conduce ad una ricompensa, ad un rinforzo che genera uno stato di soddisfazione. 4) BURRHUS F. SKINNER (1904-1990) → lo psicologo statunitense è considerato il maggior esponente del comportamentismo e rispetto ai suoi predecessori introduce degli elementi di discontinuità. Egli riprende il concetto di rinforzo e si sofferma in molti suoi lavori all'insegnamento e all'apprendimento fondando l'idea di un'istruzione programmata secondo una rielaborazione del modello stimolo-risposta. Le sue opere più importanti sono: “Il comportamento degli organismi” (1938), “Il comportamento verbale” (1957), “Walden due” (1948) e “La tecnologia dell'insegnamento” (1968). Il condizionamento operante → questo concetto viene introdotto nell'opera intitolata “Il comportamento degli organismi” (1938), in cui Skinner delinea 2 tipologie di comportamento: ➢ Il COMPORTAMENTO RISPONDENTE → che segue il paradigma stimolo-risposta e può definirsi comunque un comportamento indotto da uno stimolo esterno che genera nel soggetto una risposta. Si tratta del comportamento studiato da Pavlov, Watson e Thorndike e si può inquadrare nel modello del condizionamento classico. Questo comportamento è di natura principalmente passiva, in quanto è una risposta indotta nel soggetto dall'ambiente esterno; ➢ Il COMPORTAMENTO OPERANTE → modello in cui il soggetto, anche senza particolari stimoli dall'esterno, produce un comportamento al fine di ricevere un effetto premiante che si può definire rinforzo positivo. Il rinforzo è lo stimolo a posteriori, cioè che segue l'azione e che è destinato ad ind\urre nel soggetto un comportamento analogo. A differenza di quello rispondente, si tratta di un comportamento attivo, in quanto il soggetto di sua iniziativa opera sull'ambiente esterno al fine di ricevere un beneficio. Per distinguere questa procedura di condizionamento da quella studiata dai suoi predecessori, Skinner la definisce condizionamento operante secondo cui la probabilità che una certa azione venga ripetuta dipende dalle sue conseguenze. Sulla base di esperimenti condotti sugli animali Skinner e definisce con il termine shaping (o modellaggio), le tecniche attraverso cui è possibile ottenere una modificazione del comportamento. Nella sua opera intitolata “Science and Human Behaviour” (1953), Skinner ha descritto lo shaping con un’analogia: il condizionamento operante viene paragonato ad un ceramista che modella un pezzo di argilla. Il prodotto del ceramista avrà una sua forma specifica ma non riusciremo a trovare un momento preciso in cui questa forma apparirà. Allo stesso modo una certa risposta di un organismo non è qualcosa che appare all'improvviso ma è il risultato di un processo in continua formazione. Di conseguenza, lo shaping può essere definito come il rinforzamento differenziale dei comportamenti che progressivamente si avvicinano al comportamento target. Anche nel bambino e nell'adulto si generano comportamenti operanti che vengono messi in atto per ricevere un rinforzo positivo. Ad esempio, un bambino può trovare soddisfacente stare in braccio 85 - Il RECUPERO SPONTANEO → consiste nel riapparire della risposta o del comportamento nel momento in cui il soggetto assiste alla contemporanea ricomparsa del rinforzo. Questo denota che l'estinzione non è stata una cancellazione dell'apprendimento avvenuto in precedenza. Allo stesso modo, si possono verificare i fenomeni della GENERALIZZAZIONE, alla base della quale vi è il concetto di analogia, secondo cui gli esseri viventi hanno l'abitudine di creare analogie tra situazioni simili con l'intento di ordinare e semplificare la realtà circostante; e della DISCRIMINAZIONE, alla base della quale vi è la differenza, per cui la realtà è categorizzata in modo sufficientemente vario e specifico senza essere banalizzata. Il controllo condizionante → nel romanzo intitolato “Walden due” (1948), Skinner si sofferma sulle importanti implicazioni sociologiche e pedagogiche che derivano dai suoi studi sull'apprendimento. L'intento è quello di testimoniare come l'uomo possa vivere in modo sano e completo quando è immerso nella natura. Infatti, sebbene la vita a contatto con la natura possa evidenziare condizioni di indigenza, è comunque un'esperienza edificante in quanto lontana dalle aberrazioni di una società che fa del profitto e del successo l'unica finalità. In questo romanzo Skinner rappresenta il suo modello utopico di società. Il protagonista è il professor Burris che si reca in una comunità guidata dal suo ex collega Frazier. I membri di questa comunità, denominata “Walden due”, sono felici e produttivi, condivido un'esperienza e conoscenza e non sono mai in conflitto tra di loro. Questo risultato viene raggiunto adottando metodi di condizionamento del comportamento umano che tendono al continuo miglioramento dell'uomo. Nello specifico, il controllo e la pace sociale della comunità si basano sul sistema educativo che adotta il controllo condizionante. I bambini vengono cresciuti attraverso condizionamenti e al loro comportamento, che deve essere socievole, produttivo, democratico e intelligente. Le emozioni negative vengono represse attraverso tecniche di condizionamento che la rendono non desiderabili a colui che le sperimenta. L'istruzione e la lezione frontale sono completamente rimosse dalla comunità, infatti, l'unico compito degli insegnanti è quello di mostrare ai bambini come applicare le tecniche di apprendimento, che vanno dall'impianto deduttivo della logica al metodo scientifico, fino all'analisi statistica. Per il resto, l'apprendimento è libero e volontario e avviene nelle biblioteche e nei laboratori della comunità. Questi ultimi sono fondamentali perché permettono un riscontro diretto e reale della conoscenza. Nel sistema educativo Walden due sono abolite le punizioni e gli atteggiamenti repressivi. Attraverso questo romanzo, Skinner lancia un monito al sistema educativo reale, secondo cui occorre rinforzare e favorire fin dalla tenera età comportamenti indesiderabili, piuttosto che controllare e reprimere tardivamente i comportamenti disdicevoli, attraverso censure e punizioni. Il testo intende anche mettere in evidenza come questo non sia un approccio di carattere istruttivo, basato sull’assimilazione meccanica e mnemonica di contenuti, ma può accostarsi anche a metodi di carattere attivistico, prevalentemente incentrati sul riscontro di quanto si è appreso nella realtà. In questo modo, il processo di insegnamento-apprendimento si pone sotto una prospettiva più congeniale all'alunno. L'istruzione programmata e la programmazione lineare → i principi pedagogici di Skinner e i metodi da essi dedotti sono illustrati nell'articolo intitolato “The Science of learning and the Heart of teaching” (1954) e sono approfonditi nel volume intitolato “The Technology of teaching” (1968). Skinner delinea gli obiettivi di apprendimento nella scuola attuale e, in una prima fase, l'apprendimento è rivolto a concetti semplici e basilari che spesso vengono acquisiti in modo meccanico. Successivamente, questi concetti basilari devono essere assemblati in procedure più complesse che permettano di risolvere situazioni problematiche. Nelle dinamiche attuali della 86 scuola, simili finalità si perseguono attraverso una serie di strategie errate. I correttivi che si possono applicare sono i seguenti: ➢ Il RINFORZO → lo studente deve svolgere i suoi compiti per evitare stati di disagio o sanzioni, che possono consistere in un brutto voto, una nota, il dispiacere del docente o la derisione dei compagni. Per rimuovere determinati comportamenti è più appropriata la sanzione, mentre per promuovere comportamenti ritenuti desiderabili è più efficace il rinforzo. La situazione sarebbe quella di adottare rinforzi per incentivare atteggiamenti di motivazione allo studio. ➢ La MODALITA’ → con cui il rinforzo viene fornito. Bisogna tenere in considerazione che il rinforzo perde la sua efficacia nel momento in cui giunge molto tempo dopo il comportamento desiderabile, infatti, è importante definire quando l'alunno deve ricevere il rinforzo per le sue azioni. Nella fase iniziale, quando l'alunno deve ancora acquisire la competenza, è necessario che l'insegnante gli fornisca il feedback appropriato. Se si considera un'ipotetica esercitazione in classe, il docente non può seguire contemporaneamente numerosi allievi e dire a ciascuno di loro cosa sta svolgendo bene dove sta sbagliando. Di conseguenza, questi fattori possono determinare nell'uno uno stato di incertezza e di demotivazione. ➢ La STRUTTURAZIONE DEL PROGRAMMA → deve condurre gli alunni a raggiungere determinati obiettivi complessi di conoscenza. Il programma non viene elaborato gradualmente e sarebbe, invece, opportuno costruire un programma di insegnamento i cui risultati siano ottenuti progressivamente, in una sequenza stabilita in maniera rigorosa. Secondo Skinner, questi fattori hanno causato la crisi del sistema educativo statunitense, che è incapace di determinare l'acquisizione di abilità nei suoi studenti. Si è dunque cercato di porre rimedio a questa crisi negando che le abilità siano l'unico aspetto fondamentale e concentrandosi su obiettivi vaghi e poco misurabili e per questo motivo si è parlato di educazione integrale dell'alunno, educazione alla democrazia o alla vita. In questo modo, nasce l'idea di istruzione programmata che si propone come metodologia alternativa a quella tradizionalmente adoperata nelle scuole. In essa: - il rinforzo sostituisce la sanzione o la punizione; - il rinforzo è fornito ai soggetti nei tempi giusti e con le modalità corrette, così da creare i presupposti per generare motivazione e apprendimento; - il percorso di apprendimento è progressivo e si muove di contenuto in contenuto, secondo una progettazione scientifica; - gli obiettivi intermedi e finali sono misurabili e quindi certificabili; - il percorso di apprendimento e personalizzato per ogni singolo alunno, per questo presente elementi di flessibilità che rispecchino i tempi di apprendimento e le esigenze di ogni studente. Gli obiettivi finali sono uguali per tutti. Le macchine per insegnare → Skinner ad un certo punto si rese conto che, per quanto un percorso di istruzione programmata possa essere efficace, esso è difficilmente attuabile per diversi motivi, come la personalizzazione dello stesso o la cadenza serrata dei rinforzi. Tuttavia, le moderne tecnologie informatiche permettono di trovare una soluzione agevole a queste problematiche, così per piede l'idea della macchina per insegnare virgola che venne presentata nell'articolo intitolato “Teaching machine” (1958) e ripresa nell'articolo intitolato “The Technology of teaching” (1968). La macchina per insegnare non è un elemento di totale novità nel panorama educativo, infatti, nel 1920 lo studioso Sydney Pressey aveva messo a punto uno strumento che in modo automatico proponeva 87 dei test composti da domande organizzate accuratamente in modo sequenziale. Per ogni domanda la macchina dava automaticamente e immediatamente un feedback sulla correttezza della risposta e, in caso di risposta esatta, procedeva alla domanda successiva. La macchina era anche in grado di assegnare un punteggio al test effettuato. Alla base della progettazione vi erano le leggi sull'apprendimento di Thorndike. Skinner sostiene che, dagli studi di Pressey, si può giungere alla progettazione di macchine per insegnare che siano più elaborate ed efficaci. Queste apparecchiature possono organizzare le domande in modo da creare sequenze di apprendimento che mirino l'acquisizione di specifiche conoscenze, potendo essere programmate con molteplici obiettivi. Possono modificare il loro comportamento in base alle risposte dello studente, cioè possono cambiare la sequenza di domande in una più semplice se registrano molte risposte errate o passare a sequenze più difficili se le risposte esatte sono prevalenti. Inoltre, è possibile ripetere più volte la stessa sequenza di apprendimento e avere un rinforzo immediato ed efficace. Attraverso le macchine per insegnare, lo studente ha un feedback continuo, impara a valutare il proprio apprendimento e studia in modo consapevole. Nonostante lo studente svolga in solitudine il lavoro sulla macchina avrà comunque modo di vivere i propri momenti di socializzazione all'interno della classe, ad esempio attraverso le attività di gruppo. È, inoltre, necessario specificare che l'utilizzo delle macchine per insegnare non sminuisce il lavoro degli insegnanti, in quanto essi possono dedicarsi in modo più efficace alla progettazione di attività didattiche di gruppo, sperimentare nuove metodologie e occuparsi del lato umano, lasciando i compiti ripetitivi e noiosi alle macchine. Questo tipo di apparecchiature ha trovato in seguito la massima realizzazione pratica nei moderni software di Computer Based Training (CBT, ossia “allenamento basato sul computer”) e di Computer Assisted Instruction (CAI, ossia “istruzione assistita dal computer”). IL NEOCOMPORTAMENTISMO E LA GENESI DEL COGNITIVISMO Questo modello fu delineato principalmente da TOLMAN e HULL, segnando un PUNTO di ROTTURA con il COMPORTAMENTISMO CLASSICO. Il NEOCOMPORTAMENTISMO rappresenta infatti un ponte verso le TEORIE COGNITIVISTE che focalizzeranno la loro attenzione anche su concetti come la MENTE e la COSCIENZA, categorie che si rifanno a stati interni dell'individuo. Il NEOCOMPORTAMENTISMO prova a ricondurre lo studio scientifico su aspetti che vanno OLTRE il COMPORTAMENTO, concentrandosi infatti sull’OSSERVAZIONE di concetti nuovi, come lo SCOPO e la MEMORIA. Al paradigma STIMOLO-RISPOSTA si SOSTITUISCE quello formato da STIMOLO- ORGANISMO-RISPOSTA. 1) EDWARD C. TOLMAN (1886-1959) → questo psicologo neocomportamentista statunitense è considerato il PRECURSORE del COGNITIVISMO. Nel suo volume più famoso, intitolato “Purposive Behavior in Animals and Men” (1932) sono riportati gli studi sul COMPORTAMENTO dei RATTI nei LABIRINTI. A differenza dei suoi predecessori (Watson e Thorndike), Tolman sostiene che il COMPORTAMENTO di un SOGGETTO deve essere OSSERVATO nella sua TOTALITA’. Di conseguenza, egli si dedica allo studio di un COMPORTAMENTO GLOBALE e NON FRAMMENTATO, definito COMPORTAMENTO MOLARE, in riferimento alla MOLE che CONTIENE un ALTO NUMERO di MOLECOLE. Quindi, riprendendo l’esperimento sui ratti, bisogna concentrarsi sul RISULTATO COMPLESSIVO di USCITA dal LABIRINTO in un NUMERO DETERMINATO di MOSSE e NON SOLO sulle SINGOLE AZIONI. Un primo importante risultato viene raggiunto nello studio presentato, insieme allo studioso HONZIK, nell’articolo intitolato “Introduction and Removal of Reward and Maze Performance in Rats” (1930) → 3 GRUPPI di TOPI (A, B e C) sono rinchiusi in tre labirinti identici per osservarne il comportamento che li porta 90 quelle del modello, se ripetono l'intera sequenza di azioni violente, sei inventano nuove azioni violente con i giochi a disposizione, se si comportano in modo aggressivo da un punto di vista fisico verbale o da entrambi i punti di vista. Dai RISULTATI emerge che: ➢ Il gruppo che ha osservato il modello aggressivo risulta in media più aggressivo degli altri due (quello di controllo e quello non aggressivo); ➢ siamo maschi risultano più aggressivi delle femmine dal punto di vista fisico, mentre dal punto di vista verbale il livello di aggressività è identico; ➢ quando il bambino osserva un modello aggressivo del proprio sesso tende ad essere maggiormente aggressivo come se riuscisse a immedesimarsi più facilmente. Tuttavia questo fenomeno è molto più evidente nei maschi che nelle femmine; ➢ anche un modello positivo, come quello non aggressivo, tende ad essere imitato dai bambini, sebbene in tono minore rispetto al modello aggressivo. Infatti, il gruppo che ha visto il modello non aggressivo, nella stanza di osservazione mostra in media minore aggressività dello stesso gruppo di controllo. Le CONCLUSIONI di questo esperimento sono le seguenti: un modello aggressivo tende ad essere giustificato e imitato dai bambini quando questi si trovano in uno stato di irritazione. L'esperimento NON dimostra che i bambini sono violenti anche quando non sono particolarmente irritati. Questi risultati aprono le porte al concetto di APPRENDIMENTO OSSERVATIVO o APPRENDIMENTO VICARIO, un tipo di apprendimento che avviene osservando un modello. Un terzo esperimento è presentato da Bandura nell'articolo intitolato “Influence of models reinforcement contingencies on the acquisition of imitative responses” (1965) → Questa volta i tre gruppi osservano tre filmati in cui la prima parte è la stessa, infatti, vi è un modello che aggredisce la bambola BoBo. Tuttavia, il filmato del primo gruppo continua con una sequenza in cui il modello che ha picchiato la bambola viene ricompensato e lodato da un adulto per aver compiuto questi gesti aggressivi; il filmato del secondo gruppo prosegue con una sequenza in cui il modello che ha picchiato la bambola viene biasimato aspramente e minacciato di non comportarsi mai più in quel modo, se non vuole sperimentare gravi conseguenze; infine, il filmato del terzo gruppo termina dopo la prima parte senza che venga espresso alcun giudizio sul comportamento del modello. Non vi è alcuna fase di istigazione alla violenza e i tre gruppi vengono direttamente portati nella stanza con la bambola BoBo. Si nota che il gruppo che ha visto lodare l'aggressività si comporta in modo più aggressivo degli altri due, mentre il gruppo che ha visto redarguire la violenza si comporta in modo meno aggressivo rispetto agli altri due. Da questa osservazione Bandura deduce il concetto di RINFORZO VICARIO, cioè il fatto che un opportuno rinforzo dato al modello che svolge l'azione influenza il futuro comportamento di chi osserva. Resta ora da comprendere se il rinforzo fornito al modello incida solo sulla prestazione, cioè sul fatto che i bambini svolgano o meno l'azione, oppure influenzi il vero e proprio processo di apprendimento. Per verificare questo aspetto, in una fase successiva dell'esperimento, viene chiesto ai bambini di tutti e tre i gruppi di ripetere le azioni a cui hanno assistito e le parole che hanno ascoltato, promettendo loro che riceveranno una ricompensa. In questo caso tutti e tre i gruppi riescono a riprodurre più o meno nello stesso modo le azioni osservate. Questo vuol dire che i bambini in realtà hanno appreso, ma non mettono in atto ciò che hanno appreso perché fanno delle valutazioni di opportunità e sono influenzati dal giudizio degli adulti o, più in generale, dall'ambiente in cui vivono. TEORIA dell’APPRENDIMENTO SOCIALE → questa teoria viene delineata dallo studioso negli articoli intitolati rispettivamente “Social learning and personality development” (1963) e “Social Learning Theory” (1971 e 1977). Nel panorama delle teorie dell'apprendimento, quella dell'apprendimento 91 sociale introduce elementi di novità che la collocano a metà strada tra il comportamentismo e il cognitivismo. Di seguito si illustrano le principali caratteristiche: 1. NON si APPRENDE SOLO tramite il PARADIGMA STIMOLO-RISPOSTA-RINFORZO o tramite la dinamica delle PROVE ed ERRORI, MA un'altra MODALITA’ di APPRENDIMENTO, ancora più efficace, è l’OSSERVAZIONE di un MODELLO di COMPORTAMENTO. Per questa modalità di apprendimento Bandura usa l'espressione APPRENDIMENTO OSSERVATIVO o APPRENDIMENTO VICARIO. 2. Il PARADIGMA del RINFORZO viene RIVISTO e ampliato, infatti, insieme all'usuale rinforzo diretto, inteso secondo il paradigma del condizionamento operante, è opportuno considerare anche un RINFORZO ANTICIPATO per MIGLIORARE l’ATTENZIONE di chi osserva il modello, un RINFORZO VICARIO che proviene dall'osservazione del modello o dalle conseguenze che il modello di comportamento genera e un AUTO-RINFORZO, proveniente dalla sfera dei processi interni che avvengono nell'individuo. 3. Nel MODELLO COMPORTAMENTISTA l’AMBIENTE influenza il comportamento degli individui, invece, Bandura afferma che esiste un DETERMINISMO RECIPROCO, in quanto anche il COMPORTAMENTO dei SOGGETTI può INFLUENZARE l'AMBIENTE CIRCOSTANTE. L’APPRENDIMENTO OSSERVATIVO → è il punto centrale della teoria dell'apprendimento sociale, infatti, Bandura afferma che questo tipo di apprendimento è più efficace di un addestramento per prove ed errori. Volendo far replicare ad un soggetto un determinato comportamento, piuttosto che condurlo per tentativi e successive approssimazioni verso il comportamento desiderato, risulta invece più immediato far riapprendere il comportamento dall'osservazione di qualche altro soggetto che lo mette in atto → questo processo prende il nome di MODELING, termine inglese che si può tradurre con “MODELLAMENTO” e che si riferisce proprio all’AZIONE di OSSERVARE un MODELLO di COMPORTAMENTO e di MODELLARSI ad esso. Lo STIMOLO che viene fornito al soggetto per REPLICARE il COMPORTAMENTO può essere di 3 TIPI: 1. L’OSSERVAZIONE FISICA DIRETTA DI UN MODELLO → cioè di un individuo che svolge alcune azioni che devono essere replicate. In generale questo tipo di stimolo è molto efficace e diventa una delle modalità preferenziali per i bambini che ancora non hanno accesso al linguaggio scritto o non padroneggiano bene il linguaggio parlato; 2. La DESCRIZIONE VERBALE di un COMPORTAMENTO → cioè la possibilità di seguire delle istruzioni che vengono lette da un manuale o che vengono impartite verbalmente. In entrambi i casi, ci si riferisce alla RAPPRESENTAZIONE SIMBOLICA della PROCEDURA di COMPORTAMENTO attraverso il LINGUAGGIO. 3. La RAPPRESENTAZIONE PITTORICA o SIMBOLICA → cioè l'uso di immagini, disegni e filmati per illustrare un determinato comportamento. In questa tipologia di stimoli rientrano tutti con gli elementi simbolici che possono rappresentare un comportamento, fatta eccezione per il linguaggio virgola che è stato contemplato nel punto precedente. Il PROCESSO di APPRENDIMENTO OSSERVATIVO viene suddiviso nelle seguenti FASI: 1. PROCESSI di ATTENZIONE → è necessario che il soggetto ponga attenzione al processo che deve osservare. La scelta di prestare attenzione dipende da diversi fattori, come ad esempio da quanto si ritiene interessante ciò che si deve osservare, da quali ricompense intrinseche o estrinseche si possano prevedere nel riprodurre il comportamento sottoposto all'attenzione. Questa scelta può dipendere sia dalla storia persona del soggetto sia dall'influenza della comunità e dell'ambiente in cui vive; 92 2. PROCESSI di RITENZIONE → affinché un processo venga ricordato è necessario che sia impresso nella memoria. Ciò può avvenire sia attraverso immagini di cose, persone e luoghi che vengono preservate in memoria nelle loro caratteristiche essenziali, sia attraverso rappresentazioni che coinvolgono codici verbali che descrivono quanto osservato. L'importante è che attraverso queste due modalità il processo possa essere richiamato dalla memoria ed attuato. 3. PROCESSI ESECUZIONE → anche se il processo è fissato in modo nitido in memoria, non è detto che il soggetto sia in grado di eseguirlo con sicurezza, senza compiere errori. Questo può avvenire per carenza di abilità motorie oppure perché la propria conformazione fisica non è in grado di garantire la corretta esecuzione. Ad esempio, un bambino può non essere sufficientemente alto per premere l'interruttore ed accendere la luce o per avviare un'automobile, anche se ha memorizzato perfettamente la sequenza di azioni indispensabili. Inoltre, alcuni processi motori, come il nuoto virgola non permettono a chi li compie di osservare perfettamente i propri movimenti per valutare se li stia compiendo in modo corretto. 4. PROCESSI MOTIVAZIONALI e di RINFORZO → infine, il soggetto, pur avendo prestato attenzione a un processo e avendolo immagazzinato correttamente in memoria e pur essendo perfettamente in grado di eseguirlo, può scegliere di non svolgerlo effettivamente mai nella sua vita. Ciò avviene perché non lo ritiene corretto opportuno o perché ritiene che il suo svolgimento possa essere sanzionabile. Nonostante ciò, se è per lo svolgimento si prospetta un rinforzo positivo, allora il processo può essere svolto. Si tratta della DIFFERENZA tra l’APPRENDIMENTO, che è avvenuto, o l’ESECUZIONE della PERFORMANCE, che può non avvenire. Il fatto che la performance non venga eseguita non è un segnale certo che l'apprendimento non sia avvenuto. IL RUOLO DEL RINFORZO → non sempre il solo proporre un comportamento ad un soggetto garantisce che quest'ultimo presti effettivamente attenzione allo stesso. Il processo di MODELING, infatti, avviene se ha luogo la sua fase iniziale, ovvero quella di ATTENZIONE. Per garantire l'attenzione del soggetto, può essere utile proporre un RINFORZO ANTICIPATO, che può costituire un'argomentazione sull'importanza di quello che si sta per osservare e su come questo processo possa essere utilizzato per finalità di proprio interesse. Dopo l’osservazione, s’innescano processi interni di carattere cognitivo, come l’organizzazione del processo in memoria e la scelta o meno di volerlo mettere in atto. La motivazione a svolgere il processo viene alimentata dal RINFORZO VICARIO, infatti, il soggetto prima di eseguire il processo osserva l'eventuale rinforzo che riceve colui che ha svolto il processo. Tuttavia, non è detto che questo rinforzo vicario garantisca lo svolgimento del processo da parte dell’osservante, infatti, quest'ultimo potrebbe fare delle sue valutazioni, immaginandosi nelle condizioni di chi ha messo in atto il processo. Per Bandura, l’uomo tende ad esercitare un CONTROLLO COGNITIVO su ciò che deve effettuare, cercando, in modo naturale di anticipare le conseguenze delle sue azioni. Infine, Bandura introduce il concetto di AUTO-RINFORZO, che consiste nel determinare per sé stessi alcuni standard di comportamento che si ritengono plausibili e accettabili. Se questi standard vengono raggiunti, l'individuo può autocompiacersi, premiarsi e stabilire per sé un'auto-rinforzo virgola che influenza lo stesso comportamento dell'individuo. In questo caso si parla di AUTO-EFFICACIA o ESPERIENZE di PADRONANZA, riferendosi all'esperienze in cui l'allievo ha affrontato e superato un compito. Per bandura, le esperienze non troppo semplici virgola in cui l'individuo deve preservarsi anche di fronte agli insuccessi, sono viste come esperienze di costruzione e sfida, dette anche ESPERIENZE di PADRONANZA. 95 - La PERSEVERANZA, intesa come il TEMPO che il DISCENTE è disposto a spendere per APPRENDERE un determinato argomento. È un parametro molto importante perché se la PERSEVERANZA è MINORE rispetto all’ATTITUDINE, il discente NON potrà raggiungere la PADRONANZA dell’APPRENDIMENTO. Inoltre, bisogna considerare che la PERSEVERANZA NON è la STESSA per QUALSIASI ARGOMENTO, per questo l’uso di strumenti e metodologie opportune è fondamentale al fine di RIDURRE il TEMPO necessario all’APPRENDIMENTO. - L’ultima variabile è rappresentata proprio dal TEMPO A DISPOSIZIONE per l’APPRENDIMENTO, in quanto nel progettare un percorso di istruzione, il docente prevede un certo TEMPO a disposizione per PRESENTARE e SPIEGARE ALCUNI CONTENUTI. STRATEGIE PER ATTUARE IL MASTERY LEARNING → per attuare il MASTERY LEARNING una STRATEGIA mira a: ➢ Definire le metodologie e gli strumenti per RIDURRE il TEMPO che serve per APPRENDERE (questo ambito è legato all’ISTRUZIONE). ➢ Definire le MODALITA’ per determinare il TEMPO necessario per APPRENDERE (questo ambito è legato all’ORGANIZZAZIONE dei CURRICOLI). Inoltre, una STRATEGIA deve MODULARE le 5 VARIABILI in base alle ESIGENZE del discente. Per Bloom la STRATEGIA migliore del MASTERY LEARNING, seppure molto costosa, è l’INTERAZIONE con il TUTOR. Per questo è importante definire una STRATEGIA di ISTRUZIONE su GRUPPI di ALUNNI e successivamente una STRATEGIA sui SINGOLI ALUNNI (come il TUTORAGGIO). I 3 PUNTI principali della STRATEGIA di MASTERY LEARNING sono: - Le PRECONDIZIONI → bisogna innanzitutto specificare la DIFFERENZA tra il PROCESSO di INSEGNAMENTO-APPRENDIMENTO e il PROCESSO di VALUTAZIONE FINALE, altrimenti detta VALUTAZIONE SOMMATIVA. Questi 2 PROCESSI sono DISTINTI, in quanto il PRIMO serve a PREPARARE lo STUDENTE in un’AREA della CONOSCENZA, mente il SECONDO VALUTA la CONOSCENZA ACQUISITA. Quest’ultimo processo può avvenire nel momento in cui DOCENTE e STUDENTE sono consapevoli dei CRITERI per STABILIRE se l’APPRENDIMENTO è stato CONSEGUITO. Se questi CRITERI sono di carattere COMPETITIVO, lo STUDENTE comprenderà che la SUA POSIZIONE nel gruppo è un SEGNALE del SUO APPRENDIMENTO. Tutto ciò è ERRATO, infatti, porre un'eccessiva attenzione sulla competizione distoglie lo studente dai segnali reali del suo apprendimento. Una procedura di valutazione fatta in questo modo NON FAVORISCE il MASTERY LEARNING, al contrario, si rivela MAGGIORMENTE EFFICACE una PROCEDURA di VALUTAZIONE di carattere NON COMPETITIVO, basata sul raggiungimento di uno standard assoluto. A questo punto il problema diventa quello di stabilire questo standard a livello nazionale o regionale oppure a livello di singola istituzione formativa. L'importante è che si tratti di uno standard realistico. - Le PROCEDURE OPERATIVE → la procedura del Mastery learning prevede che un CORSO di STUDI di una disciplina sia frammentato in piccole UNITA’ di APPRENDIMENTO. Ogni unità può prevedere il possesso della terminologia o di fatti specifici, la comprensione di idee complesse e astratte, la maturazione di concetti e principi e l'applicazione di questi ultimi. Alla fine di ogni unità ci deve essere un processo diagnostico che è Bloom chiama VALUTAZIONE FORMATIVA → questo tipo di valutazione è parte integrante del processo di insegnamento-apprendimento, dunque si distingue dalla valutazione sommativa, che è una valutazione finale. Quella FORMATIVA, infatti, è una valutazione IN ITINERE, che si attua DURANTE lo SVOLGIMENTO del CORSO. Se le UNITA’ sono costruite in modo SINTETICO e le VALUTAZIONI FORMATIVE sono FREQUENTI, si possono avere particolari VANTAGGI, come: 96 ➢ Un SEGNALE del LIVELLO d’APPRENDIMENTO per gli STUDENTI, comprendendo se la MODALITA’ di STUDIO è PRODUTTIVA; ➢ Un SEGNALE per il DOCENTE sulla sua AZIONE DIDATTICA, sulla sua PRATICA ISTRUTTIVA, verificando se hanno un EFFETTO POSITIVO sugli STUDENTI; ➢ Un RINFORZO COSTANTE che genera MOTIVAZIONE nello STUDENTE. L’ESITO di una VALUTAZIONE FORMATIVA NON deve essere un VOTO, perché lo SCOPO principale è quello di comprendere se gli STUDENTI hanno raggiunto o meno la PADRONANZA. - i RISULTATI → sono di carattere diverso: ➢ RISULTATI COGNITIVI ➢ RISULTATI di carattere AFFETTIVO nei confronti della disciplina. L’APPROCCIO COMPORTAMENTISTA → come già detto all’inizio, il MASTERY LEARNING è una procedura di matrice COMPORTAMENTISTA, infatti: ➢ La RIDUZIONE dei CONTENUTI da APPRENDERE in UNITA’ ELEMENTARI si ricollega alla SCOMPOSIZIONE dei COMPORTAMENTI in UNITA’ ELEMENTARI; ➢ Il PARADIGMA STIMOLO-RISPOSTA-RINFORZO trova la sua concretizzazione nella VERIFICA FORMATIVA, che può essere intesa come uno STIMOLO cui viene data una risposta in termini di compilazione della prova. Allo stesso modo, la VALUTAZIONE rappresenta un RINFORZO; ➢ Alcune METODOLOGIE di ACQUISIZIONE della PADRONANZA, in caso di ESITO NEGATIVO della VALUTAZIONE FORMATIVA, comportano la RIPETIZIONE dell’UNITA’ con METODI e STRUMENTI DIVERSI (ricorda il procedimento per PROVE ed ERRORI del COMPORTAMENTISMO); LA TASSONOMIA DEGLI OBIETTIVI EDUCATIVI → le MODALITA’ di APPRENDIMENTO vengono SUDDIVISE in 3 AREE o DOMINI, al cui interno vengono rilevati i relativi OBIETTIVI EDUCATIVI. Nel 1956 Bloom pubblica il volume intitolato “Taxonomy of educational objectives: The classification of educational goals. Handbook I: Cognitive domain” → si tratta di un'opera in cui viene proposta una TASSONOMIA, cioè una CLASSIFICAZIONE degli OBIETTIVI EDUCATIVI. In particolare, questo volume si concentra sugli OBIETTIVI EDUCATIVI del DOMINIO COGNITIVO che hanno a che fare con ASPETTI della CONOSCENZA e con lo SVILUPPO di ATTIVITA’ e ABILITA’ INTELLETTIVE. Il DOMINIO COGNITIVO riguarda le ATTIVITA’ INTELLETTUALI e LOGICHE dell'individuo e viene SUDDIVISO nei seguenti OBIETTIVI DIDATTICI, dal più semplice al più complesso: ➢ CONOSCENZA ➢ COMPRENSIONE ➢ APLLICAZIONE ➢ ANALISI ➢ SINTESI ➢ VALUTAZIONE. Nel 1964 viene pubblicata una seconda tassonomia, sempre ad opera di Bloom, il cui intento è quello di integrare la precedente. Il titolo di quest'opera è “Taxonomy of educational objectives: The classification of educational goals. Handbook II: the affective domain.” → Vengono trattati gli OBBIETTIVI EDUCATIVI del DOMINIO AFFETTIVO in cui rientrano gli interessi, i desideri e le altitudini. Il DOMINIO AFFETTIVO è relativo al LATO EMOTIVO, agli STATI MOTIVAZIONALI e ai 97 VALORI che accompagna in un individuo nel suo percorso di apprendimento. Viene SUDDIVISO nei seguenti obiettivi: ➢ RICETTIVITA’ ➢ RISPOSTA ➢ VALUTAZIONE ➢ ORGANIZZAZIONE ➢ CARATTERIZZAZIONE. Un'ultima tassonomia viene pubblicata nel 1972 da ELIZABETH SIMPSON ed è relativa agli OBIETTIVI EDUCATIVI del DOMINIO PSICOMOTORIO. Il titolo dell'articolo che presenta questa tassonomia è “The classification of educational objectives: Psychomotor domain.” → gli ASPETTI PSICOMOTORI sono relativi ad ABILITA’ di carattere FISICO e alla MANIPOLAZIONE e all’USO di STRUMENTI e OGGETTI. Il DOMINIO PSICOMOTORIO fa riferimento alle CAPACITA’ PSICOMOTORIE dell'individuo. Quest'area NON è stata APPROFONDITA da BLOOM ma è stata completata alcuni anni dopo dai suoi seguaci. Viene suddivisa nei seguenti obiettivi: ➢ MOVIMENTI RIFLESSI (risposte ad uno stimolo senza volontà cosciente) ➢ MOVIMENTI FONDAMENTALI di BASE (strutture motorie innate) ➢ ABILITA’ PERCETTIVE (interpretazione degli stimoli e adattamento all'ambiente) ➢ QUALITA’ FISICHE (caratteristiche funzionali organiche) ➢ MOVIMENTI di PADRONANZA e COMPETENZA ➢ COMUNICAZIONE NON-VERBALE. IL DOMINIO COGNITIVO → la TASSONOMIA degli OBIETTIVI EDUCATIVI nel DOMINIO COGNITIVO rappresenta uno STRUMENTO di SUPPORTO per DOCENTI, EDUCATORI e STUDIOSI. I compiti cui la tassonomia deve assolvere sono: ➢ Descrivere in modo univoco e preciso gli obiettivi virgola in modo da poter discutere la stesura del curricolo e la valutazione del discente avendo dei riferimenti oggettivi e scambiando informazioni ed esperienze che possono essere messi a confronto; ➢ partire da obiettivi di carattere generale, per poi scomporli e suddividerli in categorie sempre più stringenti e delimitate, con lo scopo di arrivare a definire comportamenti direttamente misurabili e valutabili; ➢ costruire uno strumento di carattere generale e onnicomprensivo, infatti, gli obiettivi elencati devono ricoprire tutti i possibili comportamenti attesi dal discente in modo che la tassonomia può essere adattata a qualsiasi idea dell'educazione e a qualsiasi pratica didattica. Bloom parte dal dominio cognitivo per individuare gli obiettivi che occorre raggiungere nella pratica educativa, espressi in termini di competenze. Si parte da competenze elementari, come la conoscenza della terminologia e di fatti specifici, fino ad arrivare a competenze sempre più complesse, come la formulazione di un giudizio in termini di evidenze. Per accedere alle competenze complesse è necessaria la maturazione delle competenze elementari. In particolare, le competenze di livello basilare sono anche dette LOWER ORDER THINKING SKILLS (cioè Competenze cognitive di ordine inferiore) e sono indicate con la sigla LOTS; invece, le competenze più complesse sono dette HIGHER ORDER THINKING SKILLS (cioè competenze cognitive di ordine superiore) e sono indicate con la sigla HOTS. Il docente deve individuare, nella scala tassonomica di queste competenze, il livello di partenza dell'alunno prefissando un obiettivo da raggiungere in termini di competenza più complessa. I 6 OBIETTIVI COGNITIVI di carattere generale, ovvero CONOSCENZA, COMPRENSIONE, APPLICAZIONE, ANALISI, SINTESI e VALUTAZIONE, vengono ordinati in base al loro livello di