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Riassunto manuale R. Chiaradonna, P. Pecere, Filosofia. La ricerca della conoscenza (Mondadori Scuola), voll. 1A + 1B fino a p. 72 = Unità 5, Appunti di Storia della filosofia antica

riassunto del manuale molto dettagliato, testi esclusi

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 16/06/2021

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Scarica Riassunto manuale R. Chiaradonna, P. Pecere, Filosofia. La ricerca della conoscenza (Mondadori Scuola), voll. 1A + 1B fino a p. 72 = Unità 5 e più Appunti in PDF di Storia della filosofia antica solo su Docsity! Filosofia Presocratica VI-V sec. pensatori precedenti a Socrate, dominazione introdotta nel tardo 700 e divenuta canonica nel 900 Dossografia: raccolte di dottrine degli antichi filosofi tradizione inaugurata da Teofrasto anche se vi erano precedenti più antiche. I pensatori della pyisis: ricerca di un uguale principio primo archè causa principale e origine di tutta la realtà Talete di Mileto Uno dei sapienti, vi si associa la prima credenza dell'immortalità dell'anima e il “conosci te stesso” Sostiene vi sia un soffio vitale che abita tutte le cose = ilozoismo Archè = acqua - Fondamento materiale all'origine del divenire delle cose - Carattere fisico e non divino - Sostrato su cui galleggia la terra Anassimandro Discepolo di Talete Sostiene vi sia umidità all'origine della vita: da cui nasce l'aria, il vento, la pioggia e la nascita dei pesci o simili fino ad arrivare all'uomo = nessun intervento degli dei Scopritore di equinozi, solstizi e costruttore dello gnome, primo inventore della carta geografica della terra Sostiene che la terra sia un largo cilindro sospesa in aria e immobile perché in perfetto equilibrio equidistante rispetto agli estremi, al centro dell’universo Archè = apeiron, l’illimitato L'infinito che circonda tutto, l’apeiron genera separazione dei contrari porta al conflitto tra le sostanze naturali e si ricompone in un equilibrio dinamico Anassimene Per alcune fonti è allievo di Anassimandro Interesse per l'astronomia e la meteorologia Archè = aria - Soffio vitale dell’universo - Elemento fisico e naturale ma temporalmente eterna e non definita spazialmente - La generazione delle cose avviene attraverso rarefazione e condensazione, tutte le trasformazioni in natura sono trasformazioni dell’aria L'anima è psiche = soffio L'universo è un organismo vivente Crede nell'esistenza di una terra piatta che si sostiene stabilmente sull’aria Senofane Secondo alcuni maestro di Parmenide ma non vi sono elementi certi sull’influenza di egli sulle tesi parmenidee Critica Omero e la teologia dei poeti caratterizzate da antropomorfismo degli dei e relativismo circa la credenza su questi Concezione di dio : unicità, conoscenza perfetta, immortalità, imperturbabilità, incommensurabilità Questo comporta l’incomparabilità tra uomo e Dio e una concezione non antropomorfica della divinità, gli dei sono possessori della vera conoscenza, l'uomo può avvicinarsi ad essa ma mai conoscerla realmente Pitagora di Samo Contemporaneo di Senofane Viaggia in oriente dove scopre forme di saggezza che trasmetterà agli allievi della scuola che fonda a Crotone Tesi dell'immortalità dell’anima: - Si stacca dalla tradizione mitica, epica (di Omero) dove la morte è l'abbandono del corpo da parte del soffio vitale quale l'anima che raggiunge l'oltretomba e diviene fantasma - professa la trasmigrazione dell'anima in corpi umani o animali dopo la morte - composto in esametri - pretende di annunciare verità rivelata per volontà degli dei - dal tono solenne - perduto nella sua interezza vi sono frammenti tardi trasmessi da fonti come Sesto Empirico e Simplicio - iniziato in prima persona Lui è il prescelto portato al cospetto di una dea a noi sconosciuta al confine tra il giorno e la notte per guidarlo alla verità e alla conoscenza La dea gli rivela due modi di guardare le cose: 1. Il cuore incontrollabile della ben rotonda verità = affidabile e solido 2. Le opinioni dei mortali = senza legittima credibilità, regno della doxa = opinione, fragilità delle credenze volubili dell'uomo entrambe presentate a Parmenide affinché possa giungere alla conoscenza piena delle cose I due piani della conoscenza corrispondono due sezioni del poema: una relativa la verità, l’altra relativa alla doxa La dea rivela egli due vie di ricerca: 1. Via dell’essere = unica praticabile e percorribile da pochi eletti 2. Via del non essere = impercorribile, l'uomo non può né pensare né dire il non essere poiché la stessa cosa sono il pensare e l’esistere È introdotta anche quella che per alcuni è la 3° via 3. Via della doxa = percorso intrapreso da i mortali che non sono capaci di distinguere essere e non essere, il percorso è irreversibile torna su se stesso, la via non conduce da nessuna parte, è un accesso ingannevole all'essere Disprezza gli uomini comuni, mortali dalla doppia testa i quali confondono quello che la dea dice di tenere ben distinto: essere e non essere Attribuiscono essere e non essere ad uno stesso oggetto: “questo tavolo è bianco” “questo tavolo non è rosso” L'essere non include: - Nascita - Morte - Cambiamento L'essere è immutabile e privo di molteplicità = ciò che esiste davvero, ciò che può essere pensato davvero, può essere espresso nel linguaggio L’essere è: - Ingenerato - Indivisibile/uniforme - Finito in quanto perfetto - Corrispondenza tra essere, dire e pensare - Compiuto, inviolabile, identico a se stesso - Immobile - Rappresentato dalla figura della sfera perfetta in equilibrio assoluto Protagora Vs Eraclito Eraclito = parte dalle apparenze nel loro carattere contraddittorio per ricercare un principio in armonia cosmica, il logos ovvero la legge che comanda e regola l'apparire sempre mutevole Protagora = esperienza dei sensi è inadeguata e ingannevole, il logos è il discorso rivelatore pronunciato dalla dea ma anche il l'impegno razionale nel cammino della ricerca del vero Zenone di Elea Discepolo di Parmenide e attivo nella vita politica di Elea si dice sia morto nel tentativo di uccidere il tiranno Fonte bibliografica in cui compare il Parmenide di Platone Aristotele lo definisce l'inventore della dialettica Afferma che se il molteplice esiste deve essere inevitabilmente grande e piccolo Sviluppa il metodo di ragionamento per assurdo = se una tesi conduce a una conclusione assurda o contraddittoria deve essere rifiutata, si ammette l'assunto da confutare dimostrando conseguenze indifendibili a cui avrebbe condotto, le aporie ovvero strade senza uscita Sviluppa il regresso all’infinito = Si ammette la tesi contestata come un'ipotesi si dimostra che comporta una serie di conseguenze destinate a protrarsi all'infinito Zenone spingeva a riconoscere l'unicità dell'essere in armonia con Parmenide, risorgeva l'accusa di paradossabilità contro gli avversari di Parmenide Negava l’esistenza dello spazio = se esiste si deve trovare a sua volta in uno spazio e così all'infinito Sostiene l'assenza di movimento con paradossi logici a dimostrazione che il movimento è impossibile, accettarlo è contraddittorio e paradossale I paradossi sono tramandati da Aristotele nella fisica 1. Dicotomia dello spazio da percorrere 2. Achille e la tartaruga 3. La freccia 4. Lo stadio Melisso di Samo Secondo la tradizione e discepolo di Parmenide Impegnato nella vita politica e militare, portò alla vittoria la flotta dei Sami nella battaglia contro gli ateniesi del 442 Autore del trattato “Sulla natura o su ciò ciò che” - equivalenza tra essere e natura - Scritto in prosa - Non presente il tono sapienziali presente in Parmenide Difende l'essere parmenideo dai possibili attacchi dei pluralisti sostenitori della molteplicità dell'essere Entra in contatto con il primo atomismo e contesta i fenomeni che si presentano molteplici ed in movimento Aggiunge rispetto a Parmenide l’infinità: - Per Parmenide l'essere è ingenerato e eterno presente, limitato in quanto rappresentato da una sfera perfetta - Per Melisso sostiene vi sia una coincidenza tra eternità temporale e infinità spaziale, se l'essere fosse limitato sarebbe plausibile l'esistenza di altro fuori da esso, l'essere perfetto è apeiron, privo di limite in spazio e tempo = questo consegue che l'essere sia uno non duplice/molteplice perché troverebbe limite in ciò che è altro da sé L’essere è: - uno - eterno - infinito - omogeneo (pieno e continuo) Teoria della conoscenza Recupera il valore conoscitivo della mente umana e dei sensi, legati alla propria specifica Dagli oggetti si distaccano particelle sensibili quali gli effluvi che vanno a colpire i singoli organi di senso Attraverso i fori essi si uniscono alle componenti interne al corpo in base al principio di attrazione del simile con il simile La conoscenza segue un procedimento analogico cogliendo le somiglianze tra i diversi livelli di realtà Alcuni organi di senso possono prevalere di una radice sull'altra Nel poema “Purificazioni” Si suppone il viaggio di un'anima divina che recupera uno stato originario di purezza attraverso pratiche catartiche Il Dio è esiliato dalla terra affinché possa purificarsi dopo svariate reincarnazioni prima di tornare tra gli immortali Empedocle incarna l'anima del semicidio, la sua vicenda lo associa ad un uomo che sarà responsabile della dissoluzione delle cose se cederà alla contesa L'anima umana è divina e si contamina commettendo il male (lasciandosi sopraffare dalla contesa) e si reincarnerà in essere sempre più lontani dalla benevolenza degli dei Solo espiando la colpa possiamo trovare beatitudine, seguendo il principio di amore Anassagora di Clazomene pluralista Vive nell'Atene del V secolo, stagione più gloriosa della democrazia ateniese: l'età di Pericle Interessi fisico scientifici che lo collega ai filosofi naturalisti o una dottrina in risposta al monismo degli alleati Fece parte della cerchia di Pericle, si inserisce nel razionalismo dell'età di Pericle Le tesi furono talmente innovative da essere aspramente criticate e considerate minacciose rispetto i costumi tradizionali, fu infatti accusato di empietà, accusa di cui fu vittima anche Socrate Costretto all'esilio Sviluppa un metodo di indagine basato sulla fiducia delle capacità umane di interrogare la realtà e sulla separazione tra la sfera umana e quella divina Sostiene come Parmenide che nulla nasce dal nulla ma nascita e morte sono frutto di un processo di aggregazione e disgregazione Elementi alla base di tutto = i semi (spermata) La condizione originaria è l'unione di una massa indistinta, una mescolanza in cui sono presenti tutti i semi All'interno si genera un movimento centrifugo sempre più vorticoso responsabile in parte della configurazione del cosmo Dal vortice si origina due distinte regioni del cosmo: - l'etere di materia rarefatta - Una regione dominata dall'aria che per condensazione origina acqua, nuvole, terra, pietre La separazione originaria è data da un intelletto = nous, principio autonomo che avviato il movimento del vortice I semi sono indefinitamente presenti in tutte le cose, sempre uguali a se stessi ma distribuiti in proporzioni diverse La prevalenza di un certo seme spiega la differenza fra le cose I semi sono divisibili in parti più piccole = la divisibilità infinita ciò assicura che tutto sia davvero in tutto I sensi ci fanno cogliere solo una parte della natura (primo passo di ricerca) L'intelletto è depositario della forma più alta di sapere grazie al processo di lettura e decifrazione dei segni L'uomo si confronta con il mondo attraverso esperienza, memoria, sapere, techne = un articolato sapere tecnico pratico che assicura la superiorità dell'uomo rispetto agli altri esseri viventi L’intelletto (nous) è concepito come: - Illimitato - Eterno - Non mescolato - Principio materiale, interno alla materia ma distinto da essa Platone nel Fedone scopre che il nous di Anassagora non pianifica la struttura del mondo in modo finalistico, il nous sembra cedere il posto alle forze meccaniche Socrate riconosce ad Anassagora di aver concepito una causa (nous) che dà ordine ma non avrebbe saputo sviluppare la concezione tornando a spiegazioni materialiste Aristotele ne critica il nous come elemento responsabile della creazione del mondo, Anassagora se ne sarebbe servito come espediente non come vera e propria causa di ciò che accade Democrito di Abdera pluralista Figura schiva, moderata, viaggiatore, instancabile ricercatore Enorme quantità di opere scritte (Diogene Laerzio ci ha tramandato circa 70 titoli) Attribuito lo sviluppo e la diffusione dell’atomismo = padre della scienza moderna (la nascita dell'atomismo è attribuita al suo maestro Leucippo) In natura tutto è costituito da atomi e vuoto Nulla esiste fuori da questi due principi Esistono sia l'essere che il non essere: l'essere sono gli atomi, il non essere il vuoto Vuole recuperare il movimento, nascita e morte sono il risultato dell'incontro e successiva disgregazione degli atomi tra di loro Gli atomi sono: - Eterni ed immutabili - Indivisibili - Forma, ordine, posizione per cui si distinguono - Seguono un movimento rotatorio eterno e senza scopo che determina l'aggregazione disgregazione atomica = origine al mondo, ed avviene nel vuoto - Sono infiniti per numero l'indivisibilità dal punto di vista matematico e non da quello fisico, ovvero il corpo più piccolo concepibile in natura Di atomi è costituita anche l’anima Piccola cosmogonia di Democrito La sapienza pratica si esprime nella capacità di costruire ragionamenti persuasivi = rendere più forte anche il discorso più debole, competenza da trasmettere al discepolo Protagora si innalza come guida politica (come emerge dal dialogo Protagora di Platone), il sofista insegna a prendere decisioni sia nella vita privata che quella pubblica Come tutti i sofisti, è interessato al logos di cui si presenta specialista Il logos è il linguaggio e il pensiero La competenza dei sofisti si sviluppa intorno a tre ambiti del linguaggio: 1. Correttezza dei nomi e conoscenza grammaticale 2. Rapporto con la poesia e la critica della tradizione epica 3. Retorica e tecniche argomentative Protagora si interessò principalmente di questioni morfologiche, sintattiche e stilistiche = la correttezza delle parole orhoepeia e la capacità di significare qualcosa semantica L'indagine del logos corretta non coincide con un mero interesse grammaticale ma comporta una riflessione sui mezzi più idonei per una rappresentazione adeguata della realtà —› testimonianza relativa ad un incidente occorso durante una gara di pentathlon dove un tale colpì con un giavellotto Epitimo figlio di Farsalio e lo uccise, Pericle e Protagora passarono tutta la giornata a capire chi fosse responsabile, se il giavellotto, o piuttosto chi lo aveva lanciato o gli arbitri Tante sono le verità possibili, Protagora deve dirimere il contrasto e costruire un accordo a partire da una verità incontestabile Protagora ha attenzione per la poesia e la tradizione letteraria fondata sulla figura sapienziali dell'antico rapsodo guidato dalle muse o dagli dei Il poeta = non più depositario di un sapere iniziatico Il sofista dialoga con la tradizione per smascherare i falsi miti e costruire nuove forme di consenso attorno all'argomentazione più rigorosa e l’efficace La giustizia coincide con la legge È giusto ciò che la legge stabilisce La giustizia permette la convivenza civile, mentre la legge si fonda su ciò che è utile e vantaggioso affinché si abbia un potenziamento della natura umana La legge coincide con l'utile per la società e deve essere tutelato Protagora riconosce che la natura dell'uomo ha bisogno dell'aspetto normativo per migliorarsi e per progredire Mito di Prometeo Illustra le capacità politiche e tecniche dell’uomo Prometeo rubò il fuoco e la conoscenza tecnica di Atena e Efeso per donarli agli uomini e fu ferocemente punito da Zeus In un discorso che Platone attribuisce all'omonimo dialogo, Protagora presenta il furto di Prometeo non come un oltraggiosa sfida agli dei ma come tentativo di aiutare gli uomini e pone l'accento sullo sviluppo delle tecniche da parte dell'uomo e insieme sulla necessità di un'idea di giustizia Dopo il furto interverrà Zeus concedendo a ciascun individuo un dono prezioso, la virtù politica, composta da giustizia e pudore Il mito testimonia il legame stretto tra pensiero di Protagora e la democrazia ateniese in cui operò La tradizione vuole Protagora accusato di empietà mentre i suoi libri vengono bruciati in piazza pubblicamente, causa il suo atteggiamento agnostico nei confronti degli dei In realtà non nega l'esistenza degli dei ma sostiene che non ne sia possibile né l'esistenza né la non esistenza Gorgia di Leontini sofista Ebbe lunga vita (105-109 anni) Discepolo in gioventù di Empedocle Sicura è la sua partecipazione politica attiva alla vita pubblica Abile autore di argomentazioni della logica stringente (ampio uso del ragionamento per assurdo) Le tre tesi sull’essere: 1. Niente è 2. E se è, è inconoscibile 3. Ed anche se è ed è conoscibile, tuttavia sarebbe incomunicabile Opposte a Parmenide L'obiettivo non è una riflessione puramente ontologica ma una provocatoria analisi del problema linguistico e del rapporto tra linguaggio, realtà e conoscenza = anti-eleaismo 1. Tesi ontologica Sostiene che niente, rovesciando sia il presupposto parmenideo per cui solo l'essere è, sia quello atomistico per cui l'essere (atomi) e non essere (vuoto) sono entrambi Non è possibile né essere né non essere 2. Tesi gnoseologica Egli non sostiene che non possiamo pensare nulla, un nulla in modo vero, ma che non possiamo conoscere nulla come vero per l'assenza di un criterio che ci permetta di distinguere il vero e falso 3. Tesi sulla possibilità della conoscenza riammessa in ipotesi Anche se qualcosa fosse conoscibile come vero, non sarebbe comunicabile Il logos può comunicare solo se stesso non cose o saperi La comunicazione è impossibile perché non si può nemmeno fondare sull'identità di un soggetto con se stesso = nessun soggetto identico a se stesso perché muta nel corso del tempo l’Encomio di Elena Nel trattato polemizza soprattutto contro l’eleatismo e l’ atomismo Realtà oscura e il linguaggio non può essere un mezzo di trasmissione dei saperi ma solo uno strumento dal potere incantatorio Il linguaggio è rappresentato da un tiranno talmente potente dall'essere invincibile Dell'encomio sostiene una tesi considerata inaccettabile = l'innocenza di Elena Egli non vuole negare il tradimento di Elena ma sostenere ella sia innocente - Il rapimento avvenuto per volere degli dei o per un'azione violenta da parte del singolo, si tratta di un intervento esterno, Elena e quindi assolta e deresponsabilizzata - Nel caso in cui sia stata persuasa dal discorso di Paride è innocente, la forza del logos è assimilabile a quella di un signore potentissimo le cui armi sono invincibili - Se l'eros è responsabile dell'agire di Elena essa non è biasimabile, l'eros è uno strumento in mano a un Dio o è vittima di un morbo inguaribile cui nemmeno Zeus è immune Si suppone critichi l'antropomorfismo della religione tradizionale fornendo una spiegazione razionalistica dell'origine degli dei = Gli dei sono nati dalla celebrazione di fenomeni naturali o dalla divinizzazione dei grandi benefattori dell’umanità L'utile è il criterio che avrebbe guidato l'umanità nelle sue scelte anche relativamente agli dei Socrate di Atene - intera esistenza vissuta ad Atene se non per combattere nell’esercito - Fu critico verso la città e la democrazia e da questa fu processato a morte con l'accusa di empietà = era colpevole di non riconoscere gli dei della città e introdurre nuove divinità compromettendo i giovani, scelse di morire ad Atene piuttosto che l’esilio - La sua filosofia concepisce e mette in pratica una ricerca razionale non è una scienza che ha lo scopo di sottoporre ad esame saperi che gli altri danno per scontato = so di non sapere, sapere critico che riflette su se stesso, i suoi presupposti dei suoi limiti - Il sapere filosofico diviene cosciente in sé e della sua specifica, pensiero socratico sviluppato dal discepolo Platone nei suoi dialoghi dove Socrate si rivolgerà all'interlocutore con la domanda “che cos’è?” Socrate era esteticamente brutto nonostante ciò era estremamente affascinante e capace di ammaliare la gioventù ateniese, non cercava la compagnia di potenti ma tuttavia era amico con molti uomini in vista nella società ateniese Dal giovane Platone era descritto come strano, fuori luogo Socrate è stato filosofo e figura simbolica, associato talvolta a grandi profeti Non scrisse niente Non ha rivelazione da comunicare, la sua sapienza coincide con la consapevolezza della sua ignoranza e la costante ricerca della conoscenza e del continuo sottoporre ad esame Molto fu scritto sul suo conto, le fonti offrono immagini diverse dal difficile arrivare a conclusioni condivise Socrate fu sempre in disparte rispetto alle POSIZIONI POLITICHE, quando fu richiamato a parteciparvi fu IN CONTRASTO CON LA MAGGIORANZA = EPISODIO di ARGINUSE nell’Apologia Aristofane Platone Aristotele Senofonte Fonte più antica che risale a quando Socrate insegnava ad Atene Lo vede protagonista della commedia “Le nuvole” ed è raffigurato come un buffo sofista che dà lezioni in una scuola chiamata pensatoio (covo di stralunati scansafatiche), le sue lezioni sono un condensato grottesco di tutti gli insegnamenti tipici dell'età di Pericle e agli dei tradizionali sostituisce il culto di nuove divinità quali le nuvole Fonte principale, scrive molti dialoghi nei quali Socrate a ruolo di protagonista Il suo Socrate è il filosofo e l'uomo giusto contrapposto ai sofisti il cui fine è persuadere mentre per Socrate è conoscere e da brevi scambi con i suoi interlocutori, sfugge al facile successo e non accetta denaro Grazie a Platone abbiamo la tesi socratica più famose: la professione di ignoranza, il demone, le professioni sull'eros, la morale Il punto è: tutto ciò può essere ascritto a Socrate? Platone fu uno dei discepoli, degli altri abbiamo perso le opere e diedero immagini diverse da quella platonica Non conobbe Socrate ma poteva leggere opere a lui dedicate Già per egli ricostruire l'originale posizione di Socrate era un problema e i suoi scritti testimoniano la prima controversa ricostruzione postuma del suo insegnamento Lo descrive come un sofista che insegna retorica a pagamento e studioso dei fenomeni naturali, promotori di un culto di nuove divinità e sorbir titolare della morale tradizionale promuovendo tesi eccentriche pericolose Fu in contatto con Socrate e compose un certo numero di opere socratica che ci sono pervenute, la più importante, in forma di dialogo è intitolata “Memorabili” dove compare un Socrate più tardivo rispetto a quello di Platone o Aristofane Intendeva a difendere la memoria del maestro dimostrandolo innocente dalle accuse mosse Pensatore convenzionale accusato di empietà ingiustamente Rispettoso di culti tradizionali e disponibile ad ascoltare la voce interiore, il demone Sostenitore della morale tradizionale 406 la flotta ateniese sconfisse quella spartana ad Arginuse, una tempesta in seguito la battaglia impedì agli ateniesi di soccorrere i superstiti e recuperare le vittime a questo punto gli ateniesi inventarono un processo contro i comandanti strateghi = illegale perché Atene prevedeva processi individuali e non collettivi, Socrate era uno dei pritani (dirigeva a turno il consegno dei 500) = fu l'unico ad opporsi alla condanna per fedeltà alla legge L’educazione nell'antica Grecia era collegata a una forma di amore omosessuale tra uomini con regole ben precise: PEDERASTIA = legava un uomo maturo (l’amante) a l'uomo più giovane (l’amato) e coincideva con un'iniziazione del giovane Socrate riprese e trasformò la pratica dell'eros educativo = EPISODIO DEL SIMPOSIO Platone fa enunciare ad Alcibiade un elogio a Socrate con duplice fine: 1. La descrizione del fascino eccezionale di Socrate 2. Ma rivela anche come Alcibiade abbia frainteso il pensiero del maestro Alcibiade paragona Socrate alla statua di Sileno, esteriormente sgraziata ed animalesca ma interiormente con l'immagine di un Dio Alcibiade è incapace di scorgere l'autentica bellezza di Socrate, la bellezza d'animo, la sapienza È pronto a concedere il suo corpo a sorte chiedendo in cambio la bellezza del suo corpo e la bellezza della sua anima ma Socrate rifiuta l'offerta del giovane 2 significati = Socrate è moderato e disprezza la bellezza esterna e non permette ad Alcibiade di accedere alla sapienza che pretendeva di acquisire attraverso la semplice bellezza del corpo Socrate modifica le regole della pederastia conferendo all'educazione erotica un carattere tipicamente intellettuale APOLOGIA di Socrate Il paradosso di Socrate = cittadino esemplare fedele alla legge della città fino alla morte ma il cui insegnamento minacciava le basi stesse della democrazia ateniese Ai democratici doveva apparire come minaccia dei valori fondanti della città e riuniva intorno a sé le personalità più controverse perché crediamo sia buona e giusta, (attraente de bene) non posso pensare qualcosa di cattivo e metterlo in pratica Per questo nessuno sbaglia volontariamente, l'errore nella morale deriva solo dall'ignoranza, le virtù morali si riducono ad una sola: la virtù è identica alla conoscenza Un esempio è quello del fumo: tutti i fumatori sanno che fumare fa male ma ciononostante continuano a farlo; applicando il ragionamento di Socrate il fumatore non smette di fumare perché egli crede che sia un bene, Platone prende le distanze da questa tesi: per lui l'intelletto è solo una componente che determina le nostre azioni Le azioni dipendono anche da stati emozionali e desideri non razionali (possibile comunque difendere la tesi socratica se si crede che qualcosa sia un male, ma non si esiste di conseguenza , forse la ragione è che la conoscenza non è adeguata) La conoscenza precede l’azione, l'azione esegue ciò che si ritiene essere buono da questi presupposti deriva che si compie un'azione solo se si ritenga che sia buona: nessuno compie volontariamente un'azione cattiva, l'errore morale presuppone un errore conoscitivo e la virtù è unica e coincide con la conoscenza quindi più si è sapienti più si è virtuosi I socratici minori prendevano spunto da un assunto socratico e lo sviluppavano in modo originale Antistene Tema socratico della ricerca della definizione del che cos'è fino a farne un'elaborata teoria diversa da quella di Platone che lo condurrà all'esistenza delle idee o forme Rispetto Platone, appare aspramente critico Negò fosse possibile cogliere nature o essenze invisibili e la ricerca della definizione doveva limitarsi a stabilire le qualità proprie delle cose che vediamo Difesa e l'identificazione tra virtù è conoscenza Diogene “il cinico” Disprezzo assoluto delle ricchezze e convenzioni Secondo la leggenda vivevano in una botte e quando Alessandro magno gli fece visita egli gli chiese cosa desiderasse, Diogene rispose “stai fuori dalla mia luce” poiché gli stava facendo ombra Trasse il movimento filosofico noto come cinismo, in simili posizioni possiamo trovare il messaggio di Socrate anche se poco resta del suo intellettualismo Antisippo di Cirene = Scuola Cirenaica A cui si attribuisce che la ricerca della felicità coincida con la ricerca del piacere Scuola di Megara = insegnamento socratico legato ad aspetti logici Euclide, Eubulide, Diodoro Crono a cui è attribuito l'argomento di negare l'esistenza di ciò che è possibile: tutto sarebbe determinato e necessario, argomento dominatore Platone - Abbondanza di notizie biografiche, sicura la data di morte 348/347 (Primo anno della 188ª olimpiade) assicura la data di nascita per sarebbe nato a metà di maggio nel 428/427 per altri 424/423 - La madre discendeva da Solone, lo zio materno era Crizia uno dei 30 tiranni, il padre discendeva dal mitico re ateniese Codro - nella sua giovinezza vide susseguirsi gli eventi cruciali che segnarono la crisi della democrazia ateniese - 387 fondazione dell’Accademia = comunità di intellettuali dediti a matematica e dialettica, interessati alla preparazione di uomini politici e legislatori, vivace libero scambio di idee e le loro dibattiti - insieme a Plotino è l'unico filosofo antico del quale ci siano pervenute tutte le opere, testimonianza di fama che godeva Trasillo ordinò i suoi scritti in 9 gruppi da 4 per un totale di 36 opere l'ultima opera è costituita da 13 lettere, per la maggior parte dedicate giudicate in-autentiche ma resta il dubbio sulla settima lettera che offre nozioni importanti sulla vita il pensiero di Platone 35 sono dialoghi, nell'antichità erano raggruppati per argomento, la critica moderna ha cercato di stabilire una cronologia basata sull'evoluzione del suo pensiero Tre periodi dell'attività di Platone La tripartizione è accettata ma con prudenza per le seguenti ragioni: - alcuni dialoghi come il Gorgia od il Menone contengono aspetti del primo e secondo gruppo e sono stati denominati dialoghi di passaggio nei quali si manifesta la crisi del socratismo di Platone - È difficile individuare un autentico nucleo socratico a cui si aggiungerebbero le dottrine originali elaborate da Platone - Platone rivede e rielaborava opere già scritte (questo impedisce di stabilire una cronologia troppo rigida) Influenza socratica la forma dialogica - Mira la partecipazione attiva del lettore che deve ricavare da sé le conclusioni ultime - Forma inadatta alla rappresentazione esplicita di tesi definitive, Platone esprime la sua sfiducia delle capacità del discorso scritto di poter comunicare adeguatamente le verità più profonde - Partecipazione di tutti i personaggi all'illustrazione del contenuto, lettura dei testi come opere teatrali Nella settima lettera Platone spiega le ragioni che lo condussero alla FILOSOFIA Da giovane pensava alla POLITICA, incoraggiato dalla fine della democrazia e l’avvento dei 30 tiranni, che delusero però le sue aspettative Platone era ancora attratto dalla politica ma con il restauro della democrazia, la quale si macchiò dell’accusa e della condanna di socrate egli ebbe la definitiva SFIDUCIA NELLA POLITICA e qui ritrovò il definitivo richiamo alla filosofia Fase socratica Fase matura Fase di revisione Decisiva influenza dell'insegnamento di Socrate, Platone lo riporterebbe in modo fedele Alla ricerca dialogica di Socrate si sostituisce la rappresentazione di dottrine ben definite I dialoghi contengono discussioni critiche e riformulazioni di dottrine difese nei dialoghi del secondo gruppo Nell'apologia di Socrate, Critone, E dialoghi relativi a concetti morali cui non viene data risposta, gli aporetici = Protagora, Lachete, Ippisia Maggiore, Carmenide, Fedone, Simposio, Ferdo, Repubblica Parmenide, Sofista 2) Il dualismo non sempre condanna il corpo: nel Simposio = amore per i corpi è una tappa per elevarsi alla contemplazione della forma del bello; nel Timeo = il corpo non è un ostacolo ma è un’ ausilio per l'anima L'IMMORTALITÀ DELL'ANIMA È COLLEGATA ALLA DOTTRINA PLATONICA DELLA REINCARNAZIONE O TRASMIGRAZIONE DELL’ANIMA: - Caduta dell'anima in un corpo secondo il mito della biga alata nel Fedro = l'anima viaggia oltre il limite del cielo nell’Iperuranio, seguendo il corteo di uno degli dei, l'auriga ( parte razionale) guida il cavallo bianco (parte animosa) quello nero (parte concupiscibie e desiderativa, la quale tira verso il basso) e causa le tensioni dell'anima lascia il corteo e cade nel corpo - Mito di Er = Dopo la morte, l'anima si separa nel corpo, è sottoposta un giudizio nell'aldilà sulla condotta della vita precedente sconterà una pena godrà di temporanea beatitudine, successivamente si sceglierà la prossima vita e prima di lasciare l’ade le anime sostano presso la pianura dell'oblio e bevono l'acqua del fiume che vi scorre Nei primi dialoghi per Socrate l'anima è sostanzialmente identificata con la ragione ed è concepita in modo unitario Nella sua seconda fase che comprende la Repubblica, il Fedro, il Timeo l'anima è composta da più parti è incorporea ed immortale ma non perfettamente semplice perché è caratterizzata dai conflitti morali delle sue diverse componenti Timeo: di parte dell'anima è associata una parte del corpo: la parte razionale è la testa, la parte animosa è il cuore, la parte concupiscibile e il ventre Filebo: per gran parte è dedicata alla dottrina del PIACERE, discussione inserita in una concezione di tipo matematico sui generi = tipi di realtà universali e fondamentali in cui rientra tutto ciò che esiste: 1. Il limite = fornisce definizione e determinazione precisa 2. L’illimitato= provoca disordine, fluttuazione, assenza di misura 3. Il misto = mescolanza tra limite e l’illimitato 4. La causa = provoca la mescolanza tra il limite e l’illimitato Il piacere appartiene al genere dell'illimitato, non tutti i piaceri sono sullo stesso piano, alcuni sono puri ovvero appartenenti tanto il corpo quanto all’anima Politico: il personaggio principale lo straniero proveniente da Elea Si ricerca la definizione di una scienza politica separata dalla filosofia, politico e filosofo non coincidono in più La specialità politica è associata al mito dell'età del mondo = dopo l'età d'oro quando Dio crono governa il mondo, nell'età attuale spetta agli uomini mantenere l’ordine Leggi: viene narrata la conversazione tra un anonimo ateniese, lo spartano Megillo e il cretese Clinia sulle costituzioni delle loro città Le leggi sono decisive per rendere possibili tra gli uomini virtù e bene, non descrivono un governo reale ma un ideale di governo Nelle leggi si condanna l'ateismo, si deve mostrare che gli dei esistono ed esercitano un'azione provvidenziale verso il mondo gli uomini Pag. 250 La dottrina delle idee Le idee sono il pilastro su cui regge la concezione platonica della filosofia formulata nella Repubblica e nel Simposio. Le idee forniscono il criterio in base al quale deve essere valutato ciò che è buono e giusto. I luoghi in cui si parla delle idee non sono molti. Platone vi si riferisce in modo sfuggente senza fornire chiarimenti che si potrebbero sperare, si può pensare che per egli: • spettasse in ultima analisi al lettore filosofo trarre da sé tutte le conclusioni dalle allusioni contenute nei dialoghi • Le esposizioni dei dialoghi fossero semplici allusioni di una dottrina spiegata in modo esauriente all'interno dell’Accademia • Le idee fossero per se stesse impossibili da conoscere in tutti i dettagli a causa dei limiti del nostro intelletto almeno finché siamo in un corpo Nel Fedone Le idee sono introdotte al termine di una lunga sezione in cui Socrate rievoca la sua vicenda intellettuale. Spiega di essersi interessato da giovane alle ricerche dei naturalisti ma presto in lui era subentrata la delusione per la loro visione delle cause. Ad esempio è il caso di Anassagora dove la sua dottrina dell'intelletto inizialmente l'aveva entusiasmato perché pareva di introdurre una nuova spiegazione della realtà, basata non sulle cause materiali ma sul concetto di ciò che è “migliore”. Ben presto però rimase deluso in quanto l'intelletto di Anassagora non agiva nel mondo faceva ricorso a spiegazioni materiali. Le vere cause sono superiori a quelle materiali e introducono un punto di vista teologico da (tèlos, fine) si considera cioè il fine per il per cui qualcosa viene fatto, non ciò che lo rende materialmente possibile. Socrate afferma che egli diventerebbe discepolo di chiunque gli insegnasse che cos'è e come opera quella causa che è il vero bene e governa ogni cosa ma nessuno ha saputo dare simile insegnamento ed egli non è stato capace di scoprirlo da solo. Socrate ha intrapreso quindi una seconda navigazione che lo condotto alle idee = la navigazione a remi quando il vento è calato, la quale rispetto alla navigazione a vela è più lenta ma più sicura e permette di avanzare anche in condizioni difficili. Come se durante un'eclissi qualcuno fissasse direttamente il sole, sarebbe destinato ad essere a rimanere accecato in quanto dovrebbe servirsi di una mediazione ovvero al riflesso nell’acqua per osservarla. Le idee sono scoperte quando si rinuncia a vedere direttamente le cose e si adotta un altro metodo di ricerca. Nel Fedone Platone suggerisce che la nostra anima può vedere direttamente le idee solo quando non si trova in un corpo. Fin quando siamo in un corpo, sono necessari i ragionamenti. Le idee sono i presupposti più efficaci che noi possiamo stabilire per spiegare i fenomeni. Le idee sono definite come la “verità delle cose che sono”. Per Platone il termine verità non ha senso soltanto logico ma indica un tipo preciso di realtà superiore a quello che vediamo intorno a noi. Se chiamiamo alcune cose belle la ragione sarà diversa: deve esistere una Forma, o Idea, in sé necessariamente e invariabilmente bella (il bello in sé) e le cose che chiamiamo belle lo sono in virtù di quella forma. Platone designa il fenomeno con il verbo partecipare. È la “partecipazione” al Bello che rende belle le cose belle, l'Idea dà nome a ciò che ne partecipa. Cosa significa propriamente partecipare? Nel Fedone si lasciano aperte due possibilità: la partecipazione può indicare la presenza delle idee nelle cose che ne partecipano oppure la comunanza delle idee nelle cose. Platone fa ricorso anche al concetto di imitazione in base al quale le cose visibili sono considerate come immagini o imitazione delle Idee, proprio per questo, costituiscono un tipo di realtà inferiore rispetto ai loro modelli. Le due sottosezioni nella parte dell’intellegibile o noetico (= ambito della conoscenza intellettuale): • b1 = diànoia, pensiero discorsivo si tratta della geometria e delle tecniche che le sono sorelle. Diversamente dagli oggetti sensibili gli oggetti della matematica non si alterano e non variano a seconda delle circostanze e rivelano una struttura armonica e regolare della realtà. Hanno una funzione centrale nell'ascesa dell’anima. Le conoscenze matematiche hanno però due limiti principali: -si servono di immagini e questo aspetto le rende simili alla doxa -danno per scontati gli oggetti di cui si occupano partendo da ipotesi , il temine “ipotesi” indica un presupposto, nelle scienze matematiche vengono dati per buoni dei presupposti senza per ricercare il loro senso ultimo. • b2 = nòesis, pensiero puro forma più alta di conoscenza razionale riservata ai filosofi. La sezione è derivata alla dialettica, la scienza delle idee, le realtà supreme e vere. La dialettica: -non si serve in nessun modo di immagini invisibili -è un pensiero puramente astratto intellettuale le ipotesi sono viste come puri punti di partenza della ricerca filosofica verso principi superiori. La dialettica è una scienza dei principi delle realtà e giunge all'idea più alta importante di tutte ossia l'Idea di Bene o Buono. Essa detta principio non ipotetico è il principio che governa tutte le cose. Il Bene è detto al di sopra dell'essenza per dignità e potenza. Oùsìa indica le idee, il mondo di ciò che è veramente: il bene al vertice del mondo delle idee, ciò che dà orientamento a tutto. La scienza autentica è quella delle idee, mentre del mondo fisico non si può avere conoscenza vera e propria. Già Aristotele respinge questa posizione sostenendo che la natura oggetto di scienza a pieno titolo. Per Platone il mondo fisico è imperfetto se paragonato alle Idee, ma contiene comunque il massimo ordine, la massima regolarità e la massima bontà possibile nelle condizioni che lo caratterizzano: si tratta di un bene approssimato e relativo, distinto al Bene assoluto delle Idee. Nel Timeo il dialogo dedicato alla natura, l'origine dell'universo è descritta in quello che viene definito un “discorso” o una “storia” verosimile. Sin dall'antichità molti pensarono che le parole di Platone si dovessero leggere in senso metaforico, che il cosmo fosse eterno, privo di nascita e di morte. Platone lo presenterebbe come generato solo per sottolineare la sua natura imperfetta e dipendente da cause più alte. Il Timeo è un monologo del personaggio che dà il nome all'opera, il filosofo Timeo di Locri, difensore di tesi tipiche del pitagorismo. Tutto il dialogo è volta a mostrare che l'ordine naturale è garantito da una struttura matematica in cui si manifesta l'ordine del mondo ideale. Secondo il Timeo l'universo è l'opera buona del dio buono è intelligente che lo produce il dio artigiano, demiurgo. La produzione dell'universo è pertanto un processo di tipo tecnico artigianale e richiede oltre al produttore un modello in base al quale egli possa plasmare il suo prodotto. La proprietà fondamentale del cosmo è la vita. Deve esistere perciò un modello di cosmo che è un vivente perfetto, il vivente in sé, eterno e immutabile. L'universo prodotto dal demiurgo è composto di un corpo e di un'anima: l'anima del mondo caratterizzata da una struttura matematica che le permette di mediare tra il mondo sensibile e il mondo delle idee. Anche il tempo è prodotto dal demiurgo come un'immagine dell'eternità delle idee. Perché il mondo in cui viviamo contiene anche degli aspetti disordinati che allontanano dal modello? La causa del disordine va collegata in un principio opposto alle idee chiamato da Platone chòra letteralmente “luogo”, “regione”. Il concetto di chòra equivale in parte a quello di materia ma contiene in sé anche altre connotazioni. Se il demiurgo è una causa razionale, la chòra da lui plasmata e caratterizzata dalla necessità priva di ragione. Il nostro mondo nasce dall'unione di ragioni e necessità e il risultato è una bontà relativa. Il demiurgo introduce le immagini delle forme nella chòra dandole ordine, per quanto è possibile. L'ordine garantito dalla matematica e Platone mostra che gli elementi del mondo materiale hanno in realtà una struttura geometrica composta da poliedri regolari. Tutto è ricondotto alla presenza di principi razionali. Il dialogo si conclude con un esame del corpo umano e delle sue funzioni, che ne descrive l'ordine interno. Allo stesso modo si dimostra che il cosmo ha una struttura ordinata secondo fini (cioè teologica) e armoniosa. Il demiurgo platonico è molto diverso da Dio cristiano di potente e creatore. Il demiurgo opera su materiale preesistente si basa su un modello (le Idee) indipendenti da lui. Pag. 280 Le idee il mondo fisico non sono ambiti opposti e privi di relazione. Esiste un rapporto di “partecipazione” tra le realtà sensibili e le idee. Nel Parmenide Platone offre un resoconto di una conversazione avvenuta ad Atene tra Socrate ,molto giovane, e Parmenide accompagnato dal suo discepolo Zenone. L'opera contiene una discussione sulle Idee e concetti di “uno” e “molti”. Il dialogo si divide in due parti: Nella prima, la dottrina dottrina delle idee difesa da Socrate è oggetto di un attacco devastante da parte di Parmenide, che ritiene impossibile chiarire il rapporto di partecipazione tra le idee e la realtà sensibile. Negli argomenti avanzati si trova il cosiddetto “argomento del velo” secondo cui non è possibile affermare che l'unica idea sia presente in più cose nel medesimo tempo. Immaginiamo un velo che ricopra molti oggetti: ciascuno di essi sarà coperto solo da una parte dal vero ma lo stesso non varrebbe per le Idee, ciascuna delle quali è presente “tutta intera” in ogni cosa che ne partecipa. Questo fenomeno appare inspiegabile perché l'idea verrebbe a moltiplicarsi. Un altro argomento (chiamato da Aristotele il terzo uomo) prende in esame le difficoltà logiche causate dalla partecipazione, le aporie della partecipazione, e mostra come le idee finiscono per moltiplicarsi all’infinito. Se una Forma causa la presenza di una certa proprietà, anche la stessa Forma possiede quella proprietà, allora sarà inevitabile ammettere una nuova Forma per spiegare la presenza di quella proprietà tanto nella prima Forma quanto negli oggetti ne partecipano e così all’infinito. Seconda parte del si riprende il metodo tipico della dialettica di Zenone, che è applicato dal concetto di “uno”. Secondo questo metodo, per esplorare il concetto bisogna prima darlo per esistente investigare tutte le conseguenze che ne discendono, sia in relazione Sia alla distinzione di più livelli in cui uno è molti, limite e illimitato, determinazione e indeterminazione, sono compresenti e mediati in proporzioni diverse. Mentre nelle Idee prevalgono l'unità e limite, nel mondo sensibile prevalgono molteplicità e limitatezza ,ma non ci sono scissioni e separazioni, poiché la realtà organizzata con una gradazione di livelli che conduce dalle Idee al mondo fisico e un'armoniosa struttura matematica garantisce la coesione del tutto. Nel Parmenide Socrate era incapace di rispondere alla richiesta di stabilire di quali cose vi fossero Idee. Ci sono per esempio cose come il fango per le quali non sembra possibile ammettere l'esistenza di idee corrispondenti. La concezione del Timeo permette di risolvere simili problemi: è vero che non c'è un'idea del fango, ma anche il fango è compreso nell'armoniosa catena causale che al suo vertice ha il vivente in sé ed è ordinata in modo matematico. Pag. 286 Platone riprende un problema lasciato in eredità dai sofisti: comprende la natura del linguaggio e garantire che i nostri discorsi abbiano una relazione “oggettiva” con la realtà in base a cui sono veri o falsi. Partiamo dalla riflessione di Platone sui singoli nomi per poi passare la trattazione dei giudizi ossia delle proposizioni. Il dialogo di riferimento è il Cratilo, nel quale sono discusse le posizioni di Cratilo e di Ermogene. Secondo Cratilo i nomi appartengono alle cose per natura, i nomi rivelerebbero la natura degli oggetti a cui si riferiscono e studiare l'etimologia delle parole informerebbe sulla natura della realtà. Ermogene sostiene invece che i nomi sono il risultato di una semplice convenzione arbitraria tra uomini, i nomi senza nessun riferimento alla natura delle cose nominate. Il termine “nome” corrisponde al greco ònoma che può indicare non soltanto i nomi (propri o comuni) ma ogni parola. Entrambe le tesi riguardano dunque il linguaggio nel suo complesso, non una specifica componente di esso. La tesi di Socrate sostiene che l'imposizione dei nomi alle cose non sia arbitraria, ma non rifletta neanche la natura delle cose intorno a noi. Si deve supporre che i nomi imposti originariamente guardino alla “verità delle cose”, ossia le Forme. Il dibattito del linguaggio è riassorbito nella teoria delle Forme. Le Idee forniscono la base per risolvere questioni che, restando sul piano mondo sensibile, rimarrebbero prive di soluzioni. Pag. 287 Cosa sono però vero e falso? Nel Teeteto Platone mette in scena la conversazione tra Socrate e due matematici di genio Teodoro e il suo allievo Teeteto sulla natura della conoscenza, della quale sono discusse tre definizioni: • La conoscenza è sensazione e nient'altro che sensazione • La conoscenza è un'opinione o giudizio (dòxa) vera • La conoscenza è un'opinione o giudizio vera (dòxa) e con una ragione (logos) Ogni definizione è fatto oggetto di un esame approfondito. In rapporto con la prima, Socrate fa vedere come essa sia collegata al relativismo di Protagora in cui è vero tutto ciò che appare ad ogni singolo individuo. Il risultato è l'impossibilità di comunicare qualsiasi cosa attraverso il linguaggio. Ciò porta alla seconda e terza definizione, in cui si fa riferimento a una capacità discorsiva dell'anima diversa dalla sensazione e che permette di formulare enunciati, giudizi predicativo (per esempio Gianni è seduto). Ma neanche questo basta e nel Teeteto non si arriva una soluzione. Nel Sofista, il vero il falso nel giudizio sono ricondotti alla connessione o intreccio delle Forme. Definire che cosa sia il sofista significa trovare un modo per comprendere cosa sia il “falso”, in quanto falso e apparenza sono il dominio sul quale si applica l'attività del sofista e a cui appartengono i suoi discorsi. Platone elabora la concezione del non essere come diverso dall’essere, premessa necessaria per affrontare la questione del vero e del falso. Tanto la realtà quanto il linguaggio che verte su di essa sono per Platone molteplici: si tratta però di una molteplicità non caotica ma interconnessa, organizzata secondo regole precise. Il discorso è costituito da due elementi fondamentali diversi tra loro: il nome (che indica una cosa) e il verbo (che indica un’azione). Indispensabile è stabilire il giusto collegamento tra nomi e verbi è dunque chiaro che “falso” non significa “non esistente” bensì “diverso dal vero”. Platone formula due tesi dove: • Prima tesi, il discorso è composto di elementi basilari di tipo diverso (verbo e nome) • Seconda tesi vero e falso sono definiti dalla corrispondenza tra il discorso e la realtà. Pag. 288 Le dottrine non scritte Testimonianza di Aristotele che passo a vent'anni nell'Accademia (doveva conoscere bene l'insegnamento impartito) al quale si deve anche l'espressione di “dottrine non scritte”. Il contenuto di queste dottrine costituisce uno dei punti più controversi negli studi di Platone, nel corso dei decenni gli specialisti si sono divisi e i dibattiti sono stati innumerevoli Almeno due fatti sono però indubitabili: • in alcuni passi Platone esprime un giudizio sfavorevole nella scrittura. Il caso più famoso si trova alla fine del Fedro ed è un mito in cui il dio egiziano Theut, leggendario inventore dell’alfabeto, presenta la sua creazione al re, il quale l'accoglie con scarsissimo entusiasmo mettendo in luce tutti limiti della comunicazione scritta. Non favorisce la vera memoria, quella che conduce l'anima da prendere, ma anzi lo ostacola in ultima analisi intorpidisce l'anima stessa. • Tra le dottrine non scritte attribuite a Platone da alcuni fonti antiche vi è una concezione della realtà di tipo matematico ispirata al pitagorismo che riconduce tutto ciò che esiste esiste (incluse le Idee) a due principi chiamati “Uno” e “Diade”: l'Uno è superiore alla Diade ed è causa di ogni cosa di limite e determinazione; la Diade e invece causa di illimitatezza, indeterminazione. Dalla combinazione dei due principi sono generati i Quando la direzione dell'Accademia passa Speusippo, visto che lascia Atene per recarsi in aria e minore ad Atarneo, fin quando nel 343 è chiamato alla corte di Macedonia come precettore del giovanissimo Alessandro Magno. Nel 335 Aristotele rientra da Atene e fonda una propria scuola presso il tempio di Apollo Licio: da qui deriva il nome Liceo, oppure di Peripato. Il Liceo era un vero e proprio centro di studio avanzato, provvisto di una biblioteca. Gli anni seguenti sono caratterizzati da una eccezionale attività di ricerca, che conduce Aristotele insieme proprio discepoli. Alla morte di Alessandro magno 323 Aristotele subisce la reazione della fazione antimacedone e, accusato di empietà, lascia Atene. Muore nel 322 a Calcide, nell'isola di Eubea. Aristotele ha esercitato un'influenza incalcolabile sulla filosofia e sulle culture successive, la sua concezione del mondo ha costituito il punto di riferimento per circa 1500 anni. Nella Divina Commedia Dante colloca Aristotele nel limbo, definendolo il “maestro di coloro che sanno”: secondo Dante Aristotele non è semplicemente un grande filosofo, ma è la massima espressione delle capacità cui la ragione umana può arrivare senza l'aiuto della fede. Aristotele e Platone sono anche rappresentati nell'affresco di Raffaello nelle Stanze Vaticane: al centro della Scuola di Atene sono raffigurati i due. Platone ha in mano il Timeo, mentre l'indice dell'altra mano punta verso il cielo; Aristotele tiene in mano l'Etica Nicomachea, e rivolge l'altra mano aperta verso il basso, ossia il mondo terreno. Aristotele non è stato solo l'allievo più grande di Platone il secondo maestro della filosofia greca, ma anche espresso una critica nei confronti di Platone stesso. Aristotele rappresenta la ricerca rivolta verso a questo mondo, che fa meno dei modelli ideali di Platone trova nella natura, accessibile attraverso l'esperienza, una base sufficiente per la conoscenza la condotta morale. Opere: Di Aristotele c'è pervenuto un gran numero di trattati. Lo stile di Aristotele è arido, tecnico, qualche volta pedante, tipico di opere destinate allo studio è composto molto probabilmente in stretto rapporto all'attività di insegnamento. Eppure nell'antichità Aristotele era considerato come uno scrittore dallo stile eloquente e curato. Egli fu autore di due tipi di scritti: • Gli scritti acroamatici (da akròasis, “lezione”) o esoterici (non un sapere per pochi ma scritti destinati a essere letti all’interno della scuola) trattati giunti a noi in funzione all’insegnamento. • Gli scritti essoterici (da èxo, “fuori”) opere più curate nello stile e meno tecniche, destinate circolazione più ampia, esterna alla scuola. Ultimi sono andati perduti ma furono ben noti nell'antichità e ciò spiega perché Aristotele venisse considerato uno scrittore elegante. Secondo alcuni autori, gli scritti acroamatici restarono nascosti nella città di Sepsi e vennero riscoperti nel I secolo a.C., quando il filosofo peripatetico Andronico di Rodi ne avrebbe finalmente affrontato l’edizione. Anche se tecnici aridi, i trattati presentavano un eccezionale ricchezza di contenuto e per questo furono letti e studiati, mentre gli scritti essoterici, di carattere più divulgativo, lentamente scomparvero dalla scena. • La classificazione sistematica dei trattati di Aristotele operata fin dall'antichità si trova nell'edizione a cui facciamo riferimento predisposta dallo studioso Immanuel Bekker: 1. Scritti di logica: costituiscono l'Organon della conoscenza: Categorie, Dell'interpretazione, Analitici primi, Analitici secondi, Elenchi sofistici 2. Scritti di fisica: filosofia naturale, biologia (tra questi Fisica, Sull'anima, Sul cielo, La generazione e la corruzione, Le parti degli animali). 3. Metafisica (l'opera in cui Aristotele tratta dei principi supremi della realtà) 4. Scritti di etica e di politica (in particolare Etica Nicomachea, Etica Eudemia, Politica; la cosiddetta Grande Etica è indubbia autenticità. 5. Politica e retorica Non è sicuro che Aristotele avesse pensato di organizzare le sue opere in questa maniera, abbiamo anche la classificazione dei trattati secondo Andronico. Altrettanto incerta è la scelta dei titoli trattati. Il caso più famoso è quello della Metafisica, questo termine in realtà non è mai presente negli scritti di Aristotele forse fu usato da chi preparò l'edizione del trattato per indicare che l'opera si occupava di argomenti superiori a quella della fisica oppure che questi libri erano collocate successivamente libri della fisica. Anche le due opere sull'etica confermano la situazione: Etica Nicomachea potrebbe infatti significare “Etica eredita da Nicomaco”, il figlio di Aristotele, mentre Etica Eudemia potrebbe significare “Etica eredita da Eudemo”, suo discepolo. È tuttavia possibile che i titoli indichino che Aristotele dedicò questi scritti rispettivamente a Nicomaco e Eudemo. Entrambe le opere hanno un carattere e un contenuto differente, ma stranamente alcuni dei libri che le compongono ricorrono identici tanto nell'uno quanto nell’altro. Anche in questo caso è probabile che non sia stato Aristotele a strutturare i due trattati così come li conosciamo noi. Gli scritti essoterici di Aristotele non ci sono pervenuti, possiamo ricostruire parzialmente il contenuto a partire dalle citazioni che si trovano in altri autori antichi. Lo studioso tedesco Werner Jaegar formula un'ipotesi innovativa. Notò nelle testimonianze relative agli scritti esoterici che vi erano molti punti in comune con la filosofia di Platone e differenze rispetto ai trattati.ritiene allora che questi scritti risalissero al periodo della giovanile permanenza nel Aristotele nell'accademia e testimoniassero la sua evoluzione filosofica. Dopo la sua iniziale adesione al platonismo, Aristotele se ne sarebbe gradualmente distaccato. L'ipotesi mette in questione l'immagine di Aristotele come filosofo sistematico e sempre coerente con se stesso che era stata difesa per quasi 2000 anni. L'ipotesi è molto controversa e difficile da provare. Alcune sezioni dei trattati risentono fortemente dell'influenza di Platone ed è possibile che risalgono alla fase precoce della produzione di Aristotele, ma anche in questi sembra esagerato parlare di un'adesione vera e propria della filosofia di Platone. Anche la letteratura tradizionale e rigidamente sistematica appare ormai, almeno in parte, superata. Gli interpreti di Aristotele hanno colto nel suo progetto filosofico l'intento di individuare forme diverse di sapere e ragionamento, capace di spiegare i molteplici aspetti propri della nostra esperienza. Aristotele propone forme differenti, anche se tra loro collegate, di analisi razionale. L'idea guida della filosofia aristotelica sta proprio in questa organizzazione del sapere come unità flessibile, non rigida e capace di includere in sé stessa la molteplicità. Le categorie non sono tutte sullo stesso piano: la sostanza (ousìa) è infatti la categoria fondamentale da cui dipendono tutte le altre. I termini diversi dalla sostanza sono delle proprietà che appartengono alla sostanza medesima. l’ousìa è cio che è in senso vero e proprio, la realtà fondamentale presupposta da tutte le altre. La sostanza “non è in un soggetto”. La parola soggetto indica ciò che sta alla base di tutto il resto e ciò a cui le altre cose devono far riferimento. A svolgere questa funzione sono le sostanze che esistono nel mondo in modo autonomo, mentre i predicati o proprietà esistono solo in quanto appartengono alle sostanze. ousìa si traduce in Aristotele e non soltanto come “essenza” ma anche con “sostanza” indica ciò che sta sotto a tutte le altre cose. La sostanza è una cosa determinata, a cui deve appartenere tutto ciò che non è sostanza. Per questo sul piano del linguaggio e la sostanza è, in primo luogo, il soggetto di ogni predicato. La relazione di un predicato rispetto al suo soggetto sostanziale è chiamata inerenza e i predicati delle categorie diverse dalla sostanza sono generalmente chiamati predicati accidentali (un uomo può essere grasso magro, alto o basso, ma questo non intacca la sua identità esistenziale di uomo). Diversamente dalle qualità, le sostanze a cui le qualità inseriscono non possono essere l’una contraria dell’altra: non possiamo affermare che “uomo” sia il contrario di “cavallo”, oppure che “bue” sia il contrario di “cane”, mentre si può affermare che le sostanze sono un soggetto permanente a cui appartengono di volta in volta i contrari (un animale può essere prima caldo e poi freddo). Le qualità ammettono il “più” è il “meno” (un rosso può essere più o meno rosso). Lo stesso non vale per le sostanze: non si può essere più o meno “uomo”, non ci sono diverse sfumature di “uomo”. Tutti i predicati accidentali inseriscono a sostanze e solo la sostanza non inerisce all'altro, di così di conseguenza, l'individuo è chiamato sostanza prima: gli individui sono infatti soggetti fondamentali a cui tutto il resto appare. Aristotele distingue sostanze prime (gli individui) e sostanze seconde o universali che definiscono che cos'è un individuo: sono sostanze universali, per esempio l'uomo, l'animale, l’albero. Piano del linguaggio le sostanze prime sono sempre soggetti mentre le sostanze seconde sono predicati delle sostanze prime. Ad esempio Socrate si tratta di una sostanza singolare, della quale possiamo predicare proprietà accidentali come “ateniese” e così via; simili predicati sono esterni a Socrate: egli potrebbe averli o non averli, senza per questo cessare cessare di esistere. La situazione è diversa per la “specie uomo”, per il genere “animale”, e per lo stesso predicato “sostanza”, i quali non si limitano ad appartenere a Socrate, ma lo definiscono nella sua natura propria: dicono che cos’è (ti estì) Socrate. Simili predicati universali sono dunque esistessi sostanze, anche se in modo secondario rispetto all’individuo. Per Aristotele queste classifiche non sono affatto arbitrarie ma riflettono la struttura reale del mondo. Un altro predicato è la differenza specifica. Supponiamo di dover spiegare che cos'è l'individuo Socrate identificando la sua essenza. Risponderemo indicando la specie a cui appartiene, ossia “uomo”, questo ci conduce subito un ulteriore domanda: come definiamo un uomo? La risposta più efficace indicare il genere universale più vicino sotto cui si trova la specie uomo, ossia “animale”. Tuttavia questa risposta insufficiente: ci sono tante specie di animali, una sola è quella che ci interessa. Nella definizione si dovrà indicare oltre al genere, la differenza specifica, il predicato che permette di determinare la specie in questione (l'uomo) all'interno del genere (animale). Aristotele non usa mai quest'esempio, ma i suoi interpreti hanno individuato la differenza specifica di un uomo nel predicato “razionale”. Chiarire che cos'è Socrate significa individuare la sua specie, definire la sua specie significa indicare il genere prossimo a cui essa appartiene fornendo la differenza specifica. Dall'antichità queste dottrine sono raffigurate come una specie di albero: alla base ci sono le sostanze prime, gli individui; al vertice la categoria generalissima della sostanza. Tra la sostanza gli individui ci sono generi e specie ordinati dal più universale al più particolare a seconda della differenza specifica. Poi vi sono dei predicati che appartengono solo a una sostanza seconda e non altre ma che non definiscono tale sostanza. Queste dottrine contengono richiami a Platone. I termini usati sono gli stessi che abbiamo incontrato nella dottrina delle Idee. Lo stesso vale per generi e specie, che per Platone sono Forme, realtà universali e perfette, separate dal mondo degli individui sensibili e indipendenti da essi, e la dialettica studia il modo in cui tali forme sono in rapporto l'una con l’altra. Aristotele riprende il vocabolario del maestro ma vi assegna un senso diverso: i generi e le specie sono predicati a cui corrispondono classi o gruppi in base ai quali ordiniamo gli individui sensibili (le sostanze prime). La sostanza prima non è un'idea ma un individuo sensibile. L'Organon Aristotele non spiega come sono fatte le sostanze, non spiega quali sono i principi da cui è costituito il uomo in virtù dei quali esso nasce, vive e muore. Indicare la sostanza da questo punto di vista è compito della fisica e, soprattutto, della metafisica. Nell'Organon la sostanza e le categorie sono discusse in modo astratto (logico), in quanto concetti indispensabili per spiegare come noi pensiamo ragioniamo a proposito del mondo. Nel trattato dell'Organon intitolato Dell'interpretazione o Dall'espressione, Aristotele chiarisce come il linguaggio possa riferirsi a oggetti nel mondo: la dottrina che egli propone è dunque una dottrina del significato o semantica (da semàintein, “significare”). Tanto i segni grafici quanto le parole vocali sono il risultato di una convenzione, un accordo arbitrale stabilito in una comunità. Aristotele indica questa relazione corrispondenza convenzionale con il termine simbolo (dal greco, symboln, cioè un coccio che si rompeva in due metà che venivano conservate come segni di riconoscimento). le parole corrispondono a concetti mentali chiamati da Aristotele “affezioni dell’anima” uguali per tutti e costituiscono immagini naturali delle cose. L’ espressione scritta orale e convenzionale, mentre il contenuto mentale a cui un termine corrisponde e naturale, uguale per tutti e rispecchia fedelmente le cose al di fuori di noi. Primo schema di sillogismo discusso negli Analitici primi è il seguente: Schema argomento valido e vero argomento valido ma falso C si predica di ogni B = mortale si predica di ogni animale = bicicletta si predica di ogni cane B si predica di ogni A = animale si predica di ogni uomo = cane si predica di ogni automobile C si predica di ogni A = mortale si predica di ogni uomo = bicicletta si predica di ogni automobile E gli analitici primi si distinguono tre figure di sillogismi ovvero tre gruppi di schemi di argomenti validi. Ogni schema è chiamato modo divisi a seconda della posizione che occupa il termine medio: • Nei modi della prima figura il termine medio è soggetto nella premessa maggiore, predicato nella minore • Nei modi della seconda figura il termine medio è predicato sia nella premessa maggiore sia nella premessa minore • Nei modi della terza figura il termine medio è soggetto sia nella premessa maggiore sia nella premessa minore Il primo modo della prima figura è correntemente chiamato Barbara, dove la vocale “a”, compare tre volte (premessa maggiore, premessa minore, conclusione) corrisponde alla proposizione universale affermativa. Negli Analitici primi Aristotele discute schemi di argomenti validi senza occuparsi della verità o della falsità delle premesse con cui possiamo riempirli. Negli Analitici secondi prende in esame la dimostrazione: il sillogismo usato nelle scienze, egli considera anche la verità delle premesse di un sillogismo. Qui Aristotele definisce requisiti che una scienza deve avere affinché sia rigorosa. Una dimostrazione deve avere anche un oggetto unitario e delimitato, un ambito su cui conduce le sue dimostrazioni. In modo affine a Platone, le dimostrazioni riguardano essenze universale e definibili, ma ovviamente per Aristotele simili essenze non sono idee separate dal mondo. Nella dimostrazione scientifica le premesse degli argomenti dimostrativi devono essere vere, immediate, più note di esplicativa rispetto alla conclusione. I principi di una dimostrazione scientifica devono essere provvisti di un'evidenza primaria = proposizioni non dimostrate a partire da altre, ma accettate come primitive, indimostrabili = assiomi Solo conoscendo preliminarmente gli assiomi possiamo conoscere i teoremi che sono dedotti da essi Non tutte le dimostrazioni scientifiche devono però avere soltanto assiomi come premesse. Le dimostrazioni devono poter essere riportate, in ultima analisi, agli assiomi ovvero alle premesse prime dimostrate che sono alla base di una scienza e che sono il presupposto di ogni dimostrazione. Definizioni e assiomi sono dunque i principi e le fondamentali sulle quali si costruiscono le dimostrazioni una scienza. Aristotele spiega perché si debbono ammettere degli assiomi non dimostrati in una scienza rigorosa. Presupponiamo infatti che questi assiomi non esistano: non si avrebbe un punto da partire poiché se tutto dovesse essere dimostrato a partire da qualcos'altro potremmo procedere all’infinito. Ogni principio presupporrebbe sempre proposizioni anteriori da cui dovrebbe essere dimostrato. Ma Aristotele ritiene che l'infinito non sia inconoscibile e dunque vada respinto al di fuori di una scienza: procedere all'infinito non è un opzione accettabile bisogna perciò trovare un punto d'arresto, che nella scienza è dato dagli assiomi. Aristotele distingue due tipi di assiomi: • quelli propri di ciascuna disciplina • quelle comuni a tutte, che sono discussi nella filosofia primi, tra i principi comuni vi è il principio di non contraddizione che esamineremo nella Metafisica La concezione della scienza come un insieme di dimostrazioni necessarie condotte a partire da assiomi e definizioni lascia aperti alcuni problemi: Vi è innanzitutto un problema di coerenza interna alle opere di Aristotele. Negli scritti biologici non troviamo sillogismi necessari, ma trattazioni discorsive, nelle quali si fa ricorso osservazioni tratte dall’esperienza. Insomma, Aristotele stabilisce dei requisiti per una scienza rigorosa ma non li applica a fatto quando gli stesso scrive di una scienza. Si può supporre che il tipo di scienza rigorosa utilizza teorizzato negli Analitici secondi non sia il metodo con cui uno scienziato procede nella realtà. Si tratta di una concezione idealizzata della scienza. La scienza assiomatica è un modo per sistematizzare e consolidare una conoscenza già acquistata e avere una piena comprensione razionale. Ma non è il metodo per condurre concretamente la ricerca scientifica. C'è però un altro problema. Se la scienza rigorosa è un insieme di deduzioni condotti a partire da definizioni e assiomi universali e necessari, è lecito chiedersi come si arriva a conoscere gli assiomi le definizioni. Gli assiomi devono essere conosciuti in modo certo. Aristotele tratta anche gli argomenti induttivi: se nelle deduzioni partiamo dal presupposto universale deriviamo le conseguenze che dipendono da esse, nell'induzione (epagoghè)arriviamo a cogliere proposizioni universali partendo da casi particolari. Aristotele considera l'induzione positivamente, ma è impossibile arrivare a conoscere proposizioni universali e necessarie mediante le induzioni. L'induzione non può mai essere completa: non possiamo mai osservare tutti gli infiniti casi che servirebbero a ricavare con certezza, mediante l'induzione, una proposizione universale. Aristotele sembra conoscere bene questa difficoltà e alla fine degli Analitici secondi teorizza un altro modo di conoscenza a cui si salva il nome di intelletto o intellezione (nous). Esattamente come Platone, Aristotele ammette al vertice della scienza un tipo di apprensione intellettuale e non discorsiva ma immediata: una specie di evidenza primitiva indiscutibile, non dimostrabile, mediante la quale conosciamo i principi della scienza, senza bisogno di un'altra giustificazione. sia gli organismi viventi capaci di crescere, riprodursi ed esercitare funzioni ancor più elevate sia gli elementi più semplici e prive di vita come acqua, aria, terra e fuoco. I principi del movimento. Il movimento si genera a partire da contrari, questi contrari consistono in privazione e forma. Il movimento indica il passaggio dalla privazione di qualcosa (che si può acquisire) al suo contrario ossia la forma, che è quel “qualcosa di definito” di cui si era privi. (esempio l'alterazione mediante cui oggetto si riscalda implica il passaggio dalla privazione del calore al suo possesso). Lo stesso vale per il moto locale (esempio mi reco a Londra il mio moto di traslazione implica che io passi dalla privazione dell'essere a Londra al possesso di questa condizione). La privazione non è un semplice “non essere” piuttosto è la mancanza di qualcosa che oggetto può acquisire. Privazione e forma non sono però i soli principi del movimento. Perché si passi dalla privazione al possesso della forma occorre infatti che vi sia qualcosa e subisce il cambiamento che permane attraverso di esso, solo così si ha un cambiamento continuo. Nel cambiamento è dunque necessario che vi sia qualcosa di permanente. La funzione di soggetto o sostrato del movimento è svolta dalla materia. Aristotele identifica la materia non tanto attraverso specifiche proprietà materiali ma attraverso la funzione che svolge nelle cose. In ogni cosa la materia è l'elemento che determina la possibilità di cambiare (per esempio in una statua la materia è il materiale di cui è composta come legno o bronzo grazie al quale essa può alterarsi, scolorire, rompersi e ecc.) Per definire il movimento Aristotele fa ricorso a una coppia di concetti: • la potenza o potenzialità indica la capacità di cambiare • l’atto o attualità indica la meta del cambiamento Date queste premesse, possiamo dire che il movimento è ciò che sta tra la privazione e la forma: è il passaggio che conduce l'oggetto impotenza dalla condizione “non A” alla condizione “A”. Per questo Aristotele definisce il movimento atto incompleto ovvero il processo attraverso cui l'oggetto passa dalla potenza all'atto, arrivando a quella meta. L'atto completo infatti il termine del cambiamento, lo scopo a cui è diretto. Il passaggio dalla potenza all'atto presuppone l'esistenza di qualcosa già in atto, da cui trae origine il processo in questione. Il movimento è sempre diretta verso un fine. Se non ci fosse il fine non ci sarebbe neanche il movimento. Il movimento si verifica sempre durante il tempo e implica una durata. Aristotele definisce il tempo come misura il numero del movimento: è dunque un aspetto del movimento e indica che si tratta di un processo ordinato, con un anteriore e con un posteriore. L'anteriore il posteriore nel movimento sono definiti dalla distanza rispetto al suo punto di arrivo ovvero il conseguimento del fine. Non ha senso chiedersi che cosa sia il tempo indipendentemente dal movimento. Aristotele enuclea le cause del movimento. Come per la materia, anche per comprendere il concetto di causa formulato da Aristotele e necessario allontanarsi dalla nostra idea usuale del termine secondo cui la causa e ciò che è, mediante la sua presenza, produce un effetto per accostarsi, a quello che talora gli interpreti hanno definito come “spiegazione” o “ragione esplicativa”. La causa per Aristotele non è ciò che produce qualcosa, bensì ciò che lo spiega, fornendo la risposta alla domanda sul suo “perché”. Una conoscenza vera e propria si ha quando, oltre a sapere qualcosa esiste, noi conosciamo anche il perché, vale a dire le cause che forniscono una spiegazione adeguata della cosa in questione. Ti sto individua più tipi di cause, distinguendole in questo modo: • Causa materiale: ciò di cui la cosa è fatta, che persiste nella cosa con un soggetto del cambiamento • Causa formale: ciò che quella cosa è propriamente, la sua essenza • Causa motrice: ciò che costituisce l'origine del movimento in questione • Causa finale: lo scopo verso cui è rivolto il processo in questione Prendendo in esempio la statua, la sua causa materiale è il marmo, quella formale è la forma che lo scultore intende produrre e che il marmo presenta al termine del processo, la causa motrice è lo scultore e la causa finale è lo scopo per cui la statua è stata costruita. Nei prodotti della tecnica ciascuna della 4 cause corrisponde a cose diverse. Nel caso delle realtà naturali, la forma assolve più funzioni causali ed è tanto causa formale quanto causa finale. La forma è associata alla causa motrice poiché la generazione presuppone due genitori che hanno la stessa forma specifica dell’organismo in questione (in particolare il padre per Aristotele ha il compito di trasmettere la forma, la madre fornisce la materia). Nella natura tutto ha uno scopo. Questa concezione finalistica (o teologica) deve confrontarsi con un’obiezione fondamentale: poiché l’analisi della cause introdurrebbe a pensare che tutto in natura, obbedisca a della regole ed eserciti una precisa funzione, ne risulterebbe che la natura possieda una regolarità perfetta. Aristotele è ben cosciente che le cose non stanno così. (esempio la generazione di animali non è sempre perfetta, alcuni esseri umani nascono con 6 dita, nei viventi alcune parti del corpo non sembrano assolvere alcuna precisa funzione, per Aristotele è il caso della milza). Non tutto ha luogo secondo cause ma vi sono eventi che sembrano doversi ricondurre al caso. Aristotele sa che la regolarità della natura non è assoluta, ma vale per lo più; rispetto ad essa vi possono essere eccezioni che hanno valore marginale. Diversamente dalla concezione platonica, secondo cui l’ordine della natura dipende dall’azione di un dio provvidenze (demiurgo), in Aristotele la finalità della natura è interna, non è risultato di un segno provvidenziale divino, ma coincide con la struttura del mondo. Non si esclude pero l’esistenza di un dio. La Fisica si conclude proprio con la prova dell’esistenza di un primo principio immateriale. Si tratta di un principio ben diverso dal demiurgo di Platone. Il dio aristotelico è un principio primo e immobile di tutto il movimento: la sua funzione non è dare ordine ma assicurare l’origine del movimento nel cosmo. L’origine del moto si collega in un principio immobile: se esso si muovesse, passando dalla potenza all’atto, avrebbe a sua volta bisogno di un principio superiore (bisogna trovare un termine ultimo nella catena del movimento, necessariamente immobile). Il cosmo • La percezione e la locomozione, funzioni comuni a tutti gli animali. A questa corrisponde l'anima percettiva • Il pensiero, la funzione propria dell'uomo. A questa corrisponde l'anima intellettuale L'anima più complessa ingloba in sé le funzioni di quella più semplice. L'anima è sempre un principio unitario, anche se la sua complessità può essere maggiore o minore. Nel trattato Sull'anima Aristotele dedica alla percezione è una lunga e interessante analisi. Egli cerca di enucleare due aspetti nei processi in questione: - quello fisico, corporeo, - quello formale, immateriale. (esempio, quando io vedo un colore come il rosso succede qualcosa nel mio occhio, sia un cambiamento fisico. Questo cambiamento è un requisito indispensabile: se non ci fosse non ci sarebbe neppure la percezione). Percepire non è solo un processo corporeo.. Non basta colorarsi di rosso per percepire il colore rosso. Perché questo accada, occorre che al cambiamento corporeo si associa anche un cambiamento formale, ossia un processo in base a cui l'anima percettiva esercita la sua funzione e riceve in sé la forma dell'oggetto percepito, senza tuttavia accogliere la materia corrispondente. La percezione si identifica così con un processo psicofisico, non è n’è solo corporea né solo mentale. L'azione del pensare presuppone sempre immagini desunte dalla percezione: senza immagini non ci sarebbe pensiero. Egli non si limita a dire che il pensiero ho bisogno di immagini desunte dalla sensazione, sia nel caso del pensiero che nella percezione l'anima accoglienza è una forma. Oltre a ricevere le forme sensibili, l'anima può anche conservarlo in sé e associarle, combinarle mediante la facoltà dell’immaginazione (phantasìa). Immaginazione non consente di creare dal nulla una percezione non c'è, ma permette di conservare in sé e per così dire di “manipolare” le percezioni (la stessa memoria è associata all'immaginazione). Le immagini percepite sono composte da qualità sensoriali: l'immagine di un cavallo è un insieme di colori organizzati secondo una certa figura. Qui entra in gioco l'anima intellettuale, il cui compito è astrarre dalle immagini percepite una forma di tipo diverso, più generale rispetto alla forma sensibile. Si tratta della forma intelligibile, che costituisce l'oggetto del nostro pensiero, e in base a cui identifichiamo con la certa figura colorata con un cavallo, ossia una precisa specie animale che può essere definita. Pensare qualcosa significa precisamente astrarre la forma intelligibile a partire da qualcosa di percepito. Dunque nel pensiero, esattamente come nella percezione, l’anima riceve in sé una forma. Nella fattispecie, il nostro intelletto riceve in sé la forma dell'oggetto pensato. Aristotele applica il pensiero gli stessi principi che ha individuato per spiegare il movimento. L'oggetto conosciuto non basta a spiegare la trasformazione che conduce il nostro intelletto dall'ignoranza alla conoscenza: perché questa trasformazione abbia luogo, occorre ammettere l'esistenza di un intelletto che già conosca in atto. In questa distinzione aristotelica si definisce: intelletto passivo l'intelletto che passa dall'ignoranza alla conoscenza, intelletto agente l'intelletto che è già in atto, garantendo così la possibilità del passaggio nell'intelletto passivo Aristotele caratterizza l'intelletto attivo come “immortale ed eterno”. Può darsi che Aristotele vede nell'intelletto attivo l'aspetto immortale ed eterna dell'anima di ciascuno. Ma è anche possibile che l'intelletto attivo sia un principio unico per tutte le anime individuali e si identifica con il motore divino, cioè il principio primo di ogni cambiamento. Pag. 388 In filosofia, metafisica indica l'indagine sui principi che sono alla base della realtà e sul modo in cui essa è costituita. Talora il termine usato come sinonimo di “ontologia” ovvero “indagine sull’essere”. Il termine metafisica non compare mai negli scritti aristotelici. Con ogni probabilità la parola fu usata nel titolo del trattato da chi ne allestì l'edizione, per indicare o che esso si occupasse di argomenti superiori a quella della fisica oppure più banalmente, che sui libri erano collocati dopo i libri di fisica. Aristotele non definisce mai “metafisica” l’indagine che conduce in quest'opera, la chiama invece “sapienza”, “filosofia” o per meglio dire “filosofia prima”, “scienza dell'essere in quanto essere”. Egli definisce la scienza che sta discutendo come la scienza cercata: è chiaro che per lui questa scienza è la più importante di tutte occupa il posto più alto nella scala del nostro conoscenze. La Metafisica comincia la frase “Tutti gli uomini aspirano per natura alla conoscenza: Aristotele enuncia il principio generale che la conoscenza è un desiderio connaturato agli uomini, che dipende dalla loro stessa natura. Per Aristotele la forma degli uomini, ossia la loro anima, comprende il pensiero come funzione caratteristica: è il pensiero che distingue l'uomo da ogni altra specie animale e ne costituisce l'identità propria. Noi siamo uomini precisamente in quanto siamo per natura capaci di conoscere e tendiamo alla realizzazione di questa capacità naturale. La scienza teorizzata nella Metafisica è dunque il perfetto completamento della nostra natura, perché la è conoscenza più alta di tutte. Aristotele delinea quali sono i gradi o i livelli in cui si articola il conoscere, dai più bassi al più alto ossia la sapienza. I livelli più bassi e legati alla percezione comuni agli uomini e agli altri animali sono: percezione, memoria, esperienza. Non siamo in grado soltanto di percepire ma anche di conservare e di manipolare le nostre percezioni, riportandole alla memoria e associandole tra loro. Questa facoltà prescinde da una conoscenza razionale, tanto che Aristotele la ritiene propria degli animali sprovvisti di ragione. Attraverso l'esperienza, per esempio, sappiamo che alcune sostanze naturali aiutano a cicatrizzare le ferite. Non lo sappiamo in virtù di una conoscenza della chimica della medicina, ma solo perché abbiamo visto che se me le sostanze sortiscono un effetto benefico e siamo in grado di ripeterne l’impiego. L’uso della ragione diventa necessario quando, superata la semplice esperienza, abbiamo a che fare con forme di conoscenza proprie esclusivamente dell'uomo che riguardano le cause di ciò che osserviamo: le tecniche, le scienze teoretiche, la sapienza. nella loro interezza), ha un'essenza e una natura specifica, studiate da scienze precise. La filosofia è situata un livello ancora più alto di generalità: non considera nel singolo oggetto nella sua natura specifica, ma gli aspetti più universali che fanno di quell'oggetto una realtà esistente e conoscibile. Essa dunque prende in esame ciascun ente non in quanto è una certa cosa ma in quanto semplicemente è: ciò vuol dire che la filosofia considera ogni oggetto che esiste e che possiamo conoscere mettendo in luce la sua struttura più generale, quella in base a cui esso è una realtà esistente e conoscibile. Possibile definire l'essere in molti modi. Nel sesto libro della Metafisica si individua quattro significati secondo cui “ogni cosa che è” esiste e può essere conosciuta: • Le categorie • L’accidente • La potenza e l’atto • Il vero e il falso L’accidente e il vero e falso sono esclusi dalla ricerca: - di ciò che accidentale non può esservi scienza (“accidente” sembra infatti indicare ciò che accade senza regolarità o generalità. - Vero e falso non sono tanto pretesa delle cose ma del nostro pensiero riguardo alle cose. Restano dunque le categorie (sostanza, quantità, relazione, essere in un luogo, essere in un tempo, essere una posizione, avere, agire, patire) e la coppia potenza e atto. L'ente sarà dunque una sostanza o una qualità o una quantità ecc., e sarà ciascuno di queste cose o in potenza o in atto. L'essere non è un concetto univoco, non è un genere unico o una natura che possiamo definire e studiare secondo i criteri stabiliti negli analitici secondi. Egli specifica tuttavia che i suoi molteplici significati non sono del tutto equivoci, ossia diversi e senza relazione tra di loro. Esiste un significato fondamentale a cui tutti gli altri si riferiscono, e alcuni interpreti parlano a questo proposito di unità focale: i significati dell'essere sono riferiti a uno solo. Il significato basilare il presupposto da tutti gli altri e la sostanza, la prima categoria. La sostanza fa da centro per l'indagine su “ciò che è in quanto è”. Questo non vuol dire affatto che tutto sia sostanza, bensì che in qualunque aspetto della realtà troveremo sempre una sostanza o qualcosa che si riferisce a una sostanza. In questo modo la priorità della sostanza assume un preciso significato metafisico che ora viene pienamente esplicitato: essa non è il solo soggetto a cui tutto il resto appartiene, ma il significato fondamentale dell'essere e garantisce l'unicità della scienza che lo considera cioè la filosofia prima. Per Aristotele ogni scienza ha un oggetto e degli assiomi propri, ma vi sono anche principi generali che ogni conoscenza deve soddisfare (discussi nella Metafisica). A occuparsene deve essere la filosofia prima, poiché essi sono alla base di ogni discorso sugli enti. Si ascrivono ad Aristotele tre principi: • Principio di identità: stabilisce l'identità di ogni cosa con se stessa (A è identico ad A) • Principio di non contraddizione: stabilisce l'impossibilità che un enunciato e la sua negazione siano entrambi vero (un oggetto non può essere insieme caldo e freddo nello stesso tempo secondo lo stesso aspetto). • Principio del terzo escluso: stabilisce dati due enunciati contraddittori, uno di essi debba essere vero e uno falso (tra gli enunciati “questo oggetto è caldo” e “questo oggetto non è caldo”, uno deve essere vero e l'altro falso) Nel libro quarto della Metafisica si menziona esplicitamente solo un principio, chiamato “il principio più saldo di tutti”: La denominazione principio di non contraddizione è posteriore. Non sono date più formulazioni, delle quali la principale recita: è impossibile che la stessa cosa insieme inserisca e non inserisca alla medesima cosa e secondo il medesimo rispetto. Questo principio sta alla base di ogni dimostrazione e quindi non può essere usato per dimostrare se stesso. Aristotele vuole tuttavia provare a coloro che pretendono di contestarlo che il principio non può essere negato. Posso affermare che “Mario è giovane” che “Mario è vecchio” riferendomi a due momenti della vita di Mario, ma non posso affermare che “Mario giovane e Mario è vecchio” allo stesso tempo e secondo lo stesso aspetto. O meglio potrei fermarlo ma tale discorso sarà insensato, oltre che falso. Analogamente, non posso pronunciare una parola (“albero”) pretendendo che questa parola significa insieme se stessa e la sua negazione (“albero” e “non albero”). Qualcosa di simile, secondo Aristotele, hanno cercato di fare Eraclito e i suoi seguaci, secondo i quali non esistono oggetti nel mondo e non è possibile delimitare nessuna unità di significato stabile che corrisponda alle nostre parole. L’unica maniera di sostenere una simile posizione è, però, quella di rinunciare al linguaggio, questo significa rinunciare alla propria ragione. Se invece accetterà di discutere, o soltanto di dire qualcosa, anche il filosofo eracliteo non potrà evitare di pronunciare, pretendendo di essere capito, un discorso provvisto di significato definito. Ma in tal modo, “il principio più saldo” sarà inevitabilmente all’opera. Questo principio è alla base non solo dei nostri giudizi veri sul mondo, ma di qualsiasi parola o giudizio che possiamo influenzare o pronunciare. Senza di esso, il mondo sarebbe insensato, oltre che falso, e non ci sarebbe alcun pensiero. Perché il mondo e i nostri pensieri su di esso abbiano un senso, occorre avere significati definiti. Ma questo, per Aristotele, presuppone necessariamente che ci siano sostanze o essenze determinate. Nella Metafisica Aristotele dedica alla sostanza una discussione molto estesa che occupa ben tre libri (VII, VIII, IX) ed è quasi un trattato a sé stante. Sono i enumerati quattro significati della sostanza (ousìa) e cioè: • essenza (ti en éinai) • universale • generale • soggetto L’espressione ti en éinai è propria della ricerca condotta nella Metafisica. La sua traduzione letterale è “che cosa era essere”. È il principio essenziale dell'identità di una cosa, spiega che cosa sia propriamente l'oggetto in questione, è una nozione affine a quella di ti estì ma sottolinea la necessità di determinare che cosa voglia dire “essere” per ciascuna cosa. Tutti gli individui di una stessa specie hanno la stessa essenza, ossia lo stesso principio di identità, che è l'oggetto della definizione scientifica. Dio è pura e perfetta attività. Esso non è la causa formale di nulla, ma esemplifica nel modo più perfetto i caratteri propri di ogni organismo vivente. Pag. 412 Le scienze pratiche (etica e politica) Le scienze produttive (poetica e retorica) sono tradizioni che riguardano gli uomini, la loro educazione, la loro vita individuale o associata. In nessuna di queste discipline c'è il rigore della matematica della filosofia prima. La materia di cui si occupano e per definizione imprecisa, soggetta a variazioni. Proprio queste discipline ci permettono di comprendere a pieno la concezione aristotelica dell'uomo e della vita. Il rapporto tra etica e politica è molto stretto: sono entrambe scienze pratiche e Aristotele sembra considerare l'etica come una parte della politica. Egli non vuole suggerire la tesi secondo cui la morale dell'individuo sarebbe del tutto subordinata alla comunità cui appartiene. Aristotele si basa sulla tradizionale concezione antica secondo cui il vero politico è capace di rendere virtuosi i cittadini e dunque deve possedere competenze etico-morali. Non vi è quindi alcuna opposizione tra etica e politica. Simili analisi sono presenti anche nella Retorica e nella Poetica. La Retorica si identifica con la tecnica di produrre argomenti persuasivi. Ma per produrli e necessario conoscere il destinatario (l'uditorio), le sue emozioni, di circostanze in cui simili discorsi saranno pronunciati. Per questo la Retorica non è uno scritto simile agli Analitici: Aristotele non sta illustrando lo strumento formale ma una tecnica che ha nella città il suo punto di applicazione. Lo stesso vale per la Poetica che fornisce alcuni celebri analisi sulla poesia tragica ed illustra il ruolo nell'educazione morale dei cittadini. Etica è un ambito importante in Aristotele, le dedica ben due opere: l’Etica Eudemia e l’Etica Nicomachea Per Platone la morale è il centro di tutta la filosofia e la stessa dottrina delle idee a una chiara finalità etica di conseguenza non avrebbe alcun senso separare l'etica e la filosofia teoretica. Aristotele distingue accuratamente l'etica della conoscenza speculativa: infatti la conoscenza dell'etica è intrinsecamente rivolta alla condotta pratica e non è una scienza fine a se stessa. Il suo scopo non è la conoscenza ma l’azione. L’etica studia le azioni degli uomini e la formazione del loro carattere. L'oggetto di cui si occupa è fluttuante, privo di stabilità: nel mondo delle azioni umane non c'è la precisione che si richiede all'oggetto di una scienza vera e propria. Nell'etica sarà dunque necessario adottare un metodo diverso rispetto alle scienze teoretiche. Aristotele delimita l'ambito della filosofia pratica, che risulta separato dalle scienze più rigorose, sottolineando il suo carattere fallibile. Sia in Aristotele sia in Platone il “concetto di bene” è presente. Aristotele ogni processo è orientato verso un fine e il bene è lo scopo ultimo verso cui sono orientate le azioni morali. Il problema è capire che cosa si intende per bene. La dottrina platonica identifica il bene con l'Idea suprema questa è criticato da Aristotele, secondo il quale un simile bene trascende e del tutto separato dalla vita umana, tanto da non poter assolvere alla sua funzione. La definizione del bene da cui parte Aristotele è quella condivisa dagli uomini, il fine ultimo delle azioni pratiche è la felicità (eudaimonia). Assume un carattere relativo alla nostra vita ovvero la buona riuscita, il vivere bene in funzione del quale regoliamo la condotta pratica. La felicità è più o meno una forma di vita prospera e un agire con successo. Il punto è stabilire quale sia il fine autentico, come si debba intendere correttamente la felicità. A questo proposito Aristotele introduce il concetto di virtù, l'eccellenza nello svolgere la funzione che ci caratterizza nel modo più autentico. Poiché la natura umana è definita in base all'anima razionale, la felicità consisterà nell'esercizio eccellente della ragione. L'uomo virtuoso sarà colui che realizza nel modo più compiuto la sua razionalità, e questa compiuta realizzazione è il fine che permette di definire “felice” una vita. Il suo realismo lo induce solo a sottolineare la necessità di un certo benessere materiale, al fine di esercitare le proprie capacità ed essere compiutamente virtuosi. Il distacco com Platone è evidente, per quest'ultimo la virtù è del tutto sufficiente a se stesso e il possesso delle ricchezze ha una forte connotazione negativa. L’uomo aristotelico non è totalmente ed esclusivamente razionale: l'anima possiede infatti una funzione desiderata e partecipa alla ragione, almeno nella misura in cui si può obbedirle. La virtù non riguarda solo la pura conoscenza ma anche le emozioni, in quanto esse sono regolate in modo razionale. Le virtù della parte desiderativa dell'anima sono chiamate virtù etiche virtù dal carattere (ethos). La virtù etica = uno stato o condizione durevole che coincide con la vita di mezzo tra due eccessi. Tra le virtù etiche la principale è la giustizia, rispetto alla quale Aristotele distingue due accezioni: Nel suo significato generale, la giustizia coincide con la virtù ed è identificata con ciò che è conforme alla legge. L'uomo virtuoso sarà colui che si comporta come un buon cittadino, rispettando le leggi. La seconda accezione della giustizia è associata a una precisa virtù del carattere e si divide a sua volta in due tipi: la giustizia distributiva e la giustizia correttiva. • La giustizia distributiva guarda la distribuzione di onori, ricchezza e di tutto ciò che può essere diviso tra cittadini: implica una distribuzione dei beni in relazione al valore di ciascuno. • La giustizia correttiva ristabilisce l'uguaglianza tra persone quando una ha fatto torto all'altra. All’inizio dell’Etica Nicomachea si distinguono tre tipi di vita: • vita dedicata al piacere • vita dedicata alla politica • vita dedicata alla conoscenza Aristotele valuta positivamente il piacere, nega assolutamente il valore di una vita rivolta solo al potere fisico ma è disposto a concedere che gli svaghi che procurano piacere siano desiderabili e possono essere considerati come fine delle nostre azioni. Una vita felice deve includere il piacere e per questo Aristotele contesta la posizione di coloro che vedono il piacere come cattivo per natura. Il piacere non può essere il fine ultimo a cui tentiamo: i divertimenti non saranno assenti da una vita felice, ma svolgeranno pur sempre un ruolo secondario subordinato un'attività più importante. Per Aristotele il piacere un'attività completa in sé stessa e non un processo o movimento, in quanto non è uno sviluppo ne è rivolto verso un fine esterno. Il piacere un'attività che accompagna altre attività e le porta per così dire a compimento. Aristotele sostiene che la vita dedicata alla conoscenza è la più felice di tutte. Il termine che usa questo proposito è theorìa, “contemplazione”, e indica l'attività di qualcuno che ha già acquisito la sapienza teoretica; la vita di chi ha una piena comprensione dei principi che regolano il mondo e può vivere nell'esercizio di quella comprensione. Si tratta della vita dello scienziato e del filosofo, che Aristotele non esita a paragonare alla vita di Dio. Dio pensa senza interruzione senza fine; di questa condizione, il filosofo gode per un periodo limitato, rendendo sia almeno in quanto simile a Dio. Noi siamo simili a Dio nell'esercizio della conoscenza. L'ideale di vita che chiude l'Etica di Aristotele è spesso parso in conflitto con quello che egli afferma nel resto dell’opera. Dopo aver tanto investito sulle virtù etiche e l’azione pratica, chiude l'opera rivendicando la superiorità di una vita completamente dedicata alla pura conoscenza. Aristotele ritiene che la vita associata non sia il risultato di una convenzione stabilita tra gli uomini, ma rispecchi la loro natura. È molto nota la frase di Aristotele secondo cui l'uomo è un animale politico e dunque per natura si associa ai suoi simili. La natura coincide con i comportamenti e le istituzioni che regolano la vita associata. Per questa ragione, egli pone alla base del vivere in comune la famiglia, secondo la sua esperienza di uomo greco del VI secolo. Per “famiglia” o meglio ancora “dimensione domestica” deve intendersi infatti la prima forma di aggregazione, fondata sull'istinto naturale a procreare e a proseguire la specie. Essa è composta dal capofamiglia (maschio adulto, libero) che esercita per natura la sua potestà sugli altri componenti, ossia una donna, i figli e gli schiavi. La dimensione domestica è la prima elementare forma di comunità destinata alla sussistenza e alla sopravvivenza, in cui dunque sono soddisfatti i bisogni quotidiani, inclusa la sicurezza economica. Aristotele limita rigidamente la piena autorità agli uomini adulti, arrivando addirittura a sostenere che gli schiavi siano tali per loro natura. Afferma che esiste una differenza tra quanti sono stati resi schiavi con la violenza e gli schiavi naturali, per i quali tale condizione risulterebbe persino un bene: essi sarebbero nati schiavi in quanto mancano della facoltà di deliberare non potrebbero essere moralmente virtuosi. Donne schiavi sono estromessi dalla forma di associazione più complessa, ossia la Polis. Alla Polis appartengono in senso vero e proprio solo i cittadini maschi adulti, i quali sono provvisti di razionalità politica ed esercitano a turno il comando. La Polis esiste per natura e questa è forse la tesi centrale della sua filosofia politica. In questo Aristotele vicino a Platone distante da quelle correnti di pensiero per le quali la comunità politica nasce da un semplice patto e non ho fondamento naturale. È dunque per un processo naturale che le famiglie si riuniscono in villaggi, i villaggi formano una città, che il loro scopo naturale. L'analisi aristotelica delle forme di governo o costituzioni, distingue tre coppie di costituzioni a seconda del numero dei governanti; in ciascuna coppia sono presenti una costituzione buona e la corrispondente degenerazione: il criterio per distinguerle è il fatto che i governanti agiscono a beneficio della comunità hanno il proprio interesse. Le seguenti forme costituzionali sono: • governo di uno: monarchia, degenera nella tirannide • governo di pochi: l'aristocrazia, degenera nell’oligarchia • governo di molti: la politèia, degenera nella democrazia In condizioni normali, la costituzione migliore il governo di molti nella sua forma sana, la politeia. In essa tutti cittadini liberi e adulti hanno titolo per governare del garantito ricambio tra governanti e governati. Tuttavia, le cariche sono di fatto detenuti dei migliori, che per posizione sociale e doti personali occupano un rango più elevato. La miglior forma di governo è quella controllata dalla numerosa classe media, che si configura come il giusto mezzo tra gli estremi dell'oligarchia della democrazia. Questo te le riprende la concezione della giustizia distributiva. Egli considera gli argomenti favorevoli e contrari alle diverse forme di governo fondandosi proprio sull'applicazione della giustizia distributiva. Ciascuno ammette che la giustizia impone di trattare persone uguali in modo uguale, e persone uguali in modo non uguale, ma non c'è accordo sul criterio in base al quale considerare gli individui come egualmente meritevoli. Come Platone, Aristotele teorizza una forma di governo perfetta, ma essa è del tutto diversa quella del maestro. La miglior forma di governo teorizzata da Aristotele è quella in cui ogni cittadino possegga la virtù morale e sia in grado di realizzarla nella pratica. Ogni cittadino raggiungerà una vita di virtù e completa felicità. In una simile comunità politica tutti cittadini parteciperebbero all'amministrazione della città e possederebbero proprietà private. Inoltre, vi sarebbe un sistema comune di educazione per tutti i cittadini, poiché essi condividerebbero lo stesso scopo. Retorica e poetica sono conoscenze poietiche (produttive) volte a realizzare prodotti autonomi, svincolati dall'azione che li ha fatti lasciare. A ciascuna di esse Aristotele dedica un trattato. La Retorica è probabilmente uno scritto giovanile, composto almeno in parte durante il periodo trascorso presso l’Accademia. Retorica e la tecnica volta a produrre argomenti persuasivi. Se la retorica mira alla persuasione, il suo effetto è prodotto mediante tre fattori, Le dimostrazioni dovevano aderire a una serie di requisiti formali, tali strutture potevano essere semplificate ma non violate, alcuni esempi sono: - l’uso di alcune parole per segnare i momenti della dimostrazione; - l’uso di specifici tempi e modi verbali, in particolare l'imperativo; - l'uso dell'articolo per designare gli oggetti geometrici coinvolti nella dimostrazione. Questi caratteri garantiscono la generalità della dimostrazione. Una dimostrazione geometrica infatti adeguata solo se è universalmente valida, l'uso di tali formulazioni garantisce che gli oggetti matematici discussi siano di per sé generali e non esempi particolari. L'importanza di Euclide dipende dunque soprattutto dal fatto che egli stabilì i requisiti formali della dimostrazione. Non mancarono dibattiti riguardo gli Elementi di Euclide. Il primo a metterli in discussione dal punto di vista formale fu il siracusano Archimede autore di opere di argomento geometrico, astronomico e meccanico. Utilizzò le opere di Euclide, ma apri nuove vie metodologiche. Nelle sue lettere prefattorie (accompagnavano e introducevano i trattati) propone osservazioni che possono essere definite meta-matematiche: non si limitava a sviluppare le dimostrazioni matematiche, ma riflette sulla natura stessa degli oggetti matematici; rivela una sua posizione fortemente realista. Gli oggetti matematici si “presentano” al matematico e hanno vere proprietà “naturali”. Questo punto di vista si unisce a una tendenza apparentemente diversa volta a “manipolare” e a “decostruire” le figure. Nella lettera prefatoria al Metodo, enuncia la formulazione di un nuovo approccio alla geometria: la dimostrazione rimane un momento fondamentale, ma il matematico può preliminariamente intuire alcuni lasciandone la dimostrazione a una seconda fase. Un altro caso importante è quello di Apollonio di Perge attivo ad Alessandria. L'opera più importante è un trattato di otto libri sulle Coniche, che doveva rappresentare una risposta a un trattato sullo stesso argomento scritto da Euclide. Nella lettera prefattoria al primo libro Apollonio sostiene di aver superato le Coniche di Euclide. Questi esempi mostrano che all'eccezionale statura di Euclide seguono figure di incredibile spessore tecnico, che danno vita non semplice ripetizione, ma a un intenso dibattito. La grande tradizione geometrica greca discende soprattutto dalla riflessione critica sui metodi e sulle forme della dimostrazione. Neanche la storia dell’aritmetica può essere appiattita sugli elementi. Prima di Euclide era già stato sviluppato, un modello che unificava aritmetica e geometria: l’aritmogeometria. In esso i numeri sono pensati come aggregati di unità che acquisiscono una certa configurazione geometrica in base ai fattori che producono. Euclide accantonò le basi aritmogeometriche di questo modello e rielaborò la nozione di numero geometrico. L’aritmogeometria sopravvisse durante l'età ellenistica per poi ricomparire nel più celebre manuale di aritmetica della nostra era ovvero l'Introduzione all'aritmetica del platonico Nicomaco di Gerasa. A partire dal presupposto aritmogeometrico, Nicomaco illustra una serie di norme attraverso le quali si possono produrre alcuni tipi di numeri o verificare le relazioni tra le loro differenti tipologie. Nell'Introduzione sono presenti elementi Euclide ma essa incentrata sul modello aritmogeometrico non segue la forma dimostrativa degli Elementi. Diofanto sviluppò in modo decisivo la teoria dei numeri: fu autore di un’Aritmetica in 12 libri e di un trattato Sui numeri poligonali (che è stato definito dallo studioso Fabio Acerbi “il testo più stupefacente di tutto il corpus greco”). Partendo dalla teoria euclidea dei numeri piani, Diofanto portò il calcolo avete estrema di complessità tecnica. Nel IV secolo a.C. lo scienziato Eudosso di Cnico, attivo nell'Accademia di Platone, propose una nuova descrizione del cosmo il cosiddetto modello due sfere: il cosmo ha come centro la terra sferica, ed è chiuso dalla sfera delle stelle fisse. Si costituì un nuovo oggetto di indagine, il moto delle stelle e dei pianeti. Queste ricerche avevano come scopo quello di “salvare i fenomeni”: si dovevano produrre modelli geometrici che spiegassero in moti planetari, che apparivano irregolari, come l'effetto di una serie di movimenti circolari uniformi. La necessità di salvare i fenomeni era dettata da due elementi: - il pregiudizio fisico per cui i corpi celesti si muovono in modo circolare uniforme - i fenomeni secondo cui i pianeti paiono muoversi in modo irregolare. Apparente irregolarità del moto planetario il nome di anomalia: appare infatti che dalla Terra, centro dell'universo, i pianeti compiano una deviazione rispetto alla traiettoria circolare, producendo un movimento ad “8” disteso orizzontalmente (ippopede). La complessa soluzione di Eudosso scomponeva il moto di ciascun pianeta grazie un sistema di sfere omocentriche con assi e diverse inclinazioni. Il risultato finale era una complessa interazione tra rotazione: studiata in modo tale che il pianeta riproducesse i movimenti che compiva osservandolo dalla Terra. Il movimento di Eudosso fu ripreso e corretto da Aristotele che comunque ne preserva l’impianto omocentrico. Lo studio geometrico del cosmo come sfera caratterizzò l'astronomia del quarto e del III secolo a.C.benché gli astri fossero oggetti reali, l'astronomia di questo periodo consisteva soprattutto in un calcolo geometrico: puntava la rappresentazione geometrica del moto planetario. In questo senso va inquadrata l'attività di Aristarco di Samo noto per aver elaborato un modello eliocentrico. Nel suo cosmo il centro è occupato, non dalla Terra, ma dal Sole. Aristarco è stato per questo celebrato come un precursore della scienza moderna. Tra il III e il II secolo a.C. affiorò una seconda anomalia secondo cui i pianeti paiono violare la regolarità del moto circolare allontanandosi e avvicinandosi rispetto alla Terra. Il modello di Eudosso non poteva spiegare questa anomalia, perché le sfere avevano tutte lo stesso centro. Per questa ragione gli astronomi elaborarono due modelli che avrebbero avuto un ruolo fondamentale in tutta l'astronomia successiva: l'eccentrico e l’epiciclo: -Secondo il modello dell’eccentrico A, un pianeta P si muove in un moto uniforme su un'orbita circolare ß. Quest'orbita non ha come centro la terra, e quindi il pianeta sembrerà avvicinarsi e allontanarsi da essa. Erofilo e Erasistrato furono degli scienziati del corpo umano: la loro ricerca era perseguita con un rigoroso metodo razionale. Si disinteressarono sostanzialmente dalla pratica medica. Il loro tipo di medicina generò qualche insoddisfazione e si sviluppò una scuola medica rivale, scuola empirica, che svalutava la ricerca anatomica e si concentrava invece sulla terapia delle malattie basata sull’osservazione dei sintomi. Le vicende delle scuole mediche continuarono per secoli e raggiunsero spesso autentiche vette di riflessione metodologica sull'uso della ragione e dell'esperienza nella conoscenza medica. Nel II secolo d.C., Galeno tentò una grandiosa sintesi fra le diverse scuole, fondata su un uso esteso e originale di metodi filosofici al fine di conciliare ragione ed esperienza. Pag. 26 Epicuro Nato nel 341 a.C. a Samo, cominciò a insegnare in centri periferici del mondo greco dove raccolse una cerchie di discepoli e amici devoti. Si trasferì ad Atene e qui nel 306 a.C. fondò la sua scuola, in un giardino acquistato per una somma piuttosto modesta. Il giardino di Epicuro era una scuola aperta a tutti, anche a donne e schiavi, fatto del tutto eccezionale nel mondo antico. Scuole fondate da Platone e Aristotele erano raffinati circoli intellettuali che raccoglievano i migliori ingegni della Grecia, strettamente collegati all'ambiente politico. Il giardino era invece una comunità raccolta intorno alla figura carismatica, Epicuro, che era considerato come una guida spirituale. Epicuro era riservato una specie di culto della personalità, celebrata nei versi dedicati a lui dal poeta epicureo latino Lucrezio. Lettera a Meneceo si trova una famosa esortazione filosofica. Il messaggio di Epicuro è rivolto a tutti. Non c'è nessuna selezione delle nature filosofiche (come affermava invece Platone). Solo la filosofia permette di essere felici e per questo motivo tutti, senza alcuna distinzione, sono invitati a coltivarla. Epicuro si compiaceva di dire che la sua filosofia era poco raffinata, lontana dalle sofisticherie delle altre scuole.egli si difendeva un autodidatta. Dei suoi scritti ci sono rimasti, grazie alle Vite dei filosofi di Diogene Laerzio, tre compendi in forma di lettere: - uno dedicato alla fisica (Lettera a Erodoto) - uno alla spiegazione dei fenomeni celesti (Lettera a Pitocle) - uno alla morale (Lettera a Meneceo) Diogene Laerzio ha trasmesso anche una raccolta di Sentenze di argomento perlopiù morale. Simili scritti avevano una finalità ben precisa: in quanto brevi erano destinati a essere memorizzati da discepoli. La filosofia dei Epicuro doveva diventare una guida nella vita di ogni giorno. Epicuro fu anche autore di opere lunghe tecniche come lo scritto Sulla natura che comprendeva 37 libri. Per Epicuro una filosofia come pure esercizio teoretico non avrebbe avuto nessun senso: egli definisce vano quel discorso filosofico da cui non è stata guarita nessuna sofferenza umana. Il suo atomismo è un messaggio di liberazione dalla sofferenza attraverso la filosofia. Per questo egli riteneva indispensabile che il suo pensiero potesse essere imparato e memorizzato anche da chi non poteva accedere alle opere più complesse. Le scuole ellenistiche ripresero la tripartizione che già vi era presso la scuola di Platone che riteneva che la filosofia fosse divisa in tre grandi parti: la logica, la fisica e l’etica. Epicuro criticava i logici e riteneva che le loro dottrine fossero uno sterile esercizio verbale. Non vi è una vera e propria logica nella filosofia di Epicuro, ma vi è un'interessante dottrina della conoscenza esposta in un'opera intitolata Canone ed è per l'appunto denominata canonica. Nel Canone egli cercava di individuare ciò che giustificava la vera conoscenza, un canone, una specie di parametro o unità di misura in base a cui si può essere sicuri di quello che si conosce. Questo è il criterio di verità, un tema costante in tutto il pensiero ellenistico. Epicuro ammetteva tre criteri: - le sensazioni o percezioni - le prolessi - le passioni Il principale criterio è la sensazione. Egli sostiene che tutte le sensazioni siano vere: sono false non le percezioni, ma le opinioni che abbiamo sul loro contenuto. (la tesi è assai strana, per Platone Aristotele la sensazione offre una conoscenza solo parziale della realtà, destinata essere corretta addirittura smentita dall’intelletto). La percezione è causata dai simulacri (eìdola) che sono sottilissime immagini le quali continuamente si staccano dagli oggetti. I simulacri sono costituiti da atomi e in origine hanno la stessa conformazione anatomica degli oggetti da cui si distaccano. La sensazione registra l'urto dei simulacri con gli organi di senso. Nel loro tragitto i simulacri si possono modificare anche notevolmente, ma ciò non rende la sensazione è falsa: attraverso di essa noi registriamo il modo in cui simulacri ci raggiungono in questa registrazione non c'è nulla di falso. La sensazione garanzia di un contatto immediato è sempre vero con la realtà. La prolessi (prolépsi, “pre-comprensione”) è una specie di concetto generale che permette di classificare i dati che si ricevono dalla percezione anticipandone il contenuto (una funzione simile era quella dei concetti universali in Platone e Aristotele, ma Epicuro trasforma profondamente questa dottrina, perché la prolessi è riportata una sensazione del semplicemente risultato di percezioni depositate nella memoria). Epicuro indica nelle passioni principali i criteri da seguire. Si tratta in questo caso di piacere e dolore, che egli ritiene criteri fondamentali per decidere ciò che va seguito e ciò che va evitato nell’azione. Al centro della riflessione di Epicuro vi è la fisica. La fisica non è una disciplina fine a se stessa perché il suo studio è rivolto a lei etica. Il cosmo di Epicuro tutto è fatto di atomi. Anche l'anima è fatta di atomi ed è un corpo sottile e diffuso per tutto l'organismo; l'anima destinata a disgregarsi insieme al corpo e quando muore il corpo, anche esso cessa di esistere. Il materialismo di Epicuro è molto più netto rispetto alla posizione di Aristotele, che vedeva pur sempre nell'intelletto agente una sostanza immortale, separata e divina. Il tutto è composto da infiniti atomi che si muovono in un universo infinito e formano infiniti cosmi. Il nostro cosmo non gode di nessuna condizione privilegiata rispetto agli altri. Il mondo è infinito, l'uomo non ha nessun posto privilegiato e gli dei non intervengono con un disegno finalistico. Epicuro fin dall'antichità è stato ritenuto ateo. Tuttavia egli ritiene che gli dei esistono e che noi ne abbiamo una conoscenza attraverso i simulacri che ci raggiungono. Gli dei di Epicuro non intervengono nelle vicende del mondo, sono aggregati atomici particolarissimi che, in virtù della loro costituzione, non si disgregano né muoiono. Si trovano negli spazi tra un cosmo e un altro (intermundia). Gli dei sono sereni, imperturbabili, non governano il mondo e non puniscono le colpe dei malvagi = non ha senso parlare della loro collera o benevolenza. A loro spetta riverenza come modelli di saggezza morale e in questo sta il senso della religiosità di Epicuro. Per Epicuro il fine della filosofia è raggiungere la felicità. La Lettera Meneceo spiega cos'è la felicità: coincide con la liberazione dal dolore e dal turbamento. Si è felici nella misura in cui si segue il criterio dato dalle passioni basilari: fuggire il dolore, seguire il piacere. La felicità non è, come in Platone e Aristotele, realizzare le facoltà più complesse dopo una lunga formazione intellettuale, ma seguire l'impulso più elementare, che si rivela nel modo più chiaro già nei bambini: il piacere. Il piacere per Epicuro si distingue in vari tipi. Per la maggior parte, i piaceri causano turbamento, essi sono dunque falsi che provocano soltanto dolore. I veri desideri da soddisfare sono chiamati da Epicuro naturali e necessari, quelli che liberano dai dolori del corpo. Il piacere epicureo è una specie di tranquillo sentimento della propria esistenza, la piena consapevolezza di essere liberi dalla sofferenza. La felicità è assenza di dolore (aponia) nel corpo e assenza di turbamento nell’anima (atarassia). Il piacere è una condizione stabile (“piacere catastematico”) e perfettamente compiuta in se stessa: una volta raggiunto, non può essere accresciuto. I principi della fisica epicurea liberano l'uomo dalle paure più forti che tormentano la vita: gli dei e la morte. La filosofia di Epicuro insegna che gli dei sono imperturbabili, non si occupano delle vicende umane. Non si deve tenere la morte, perché la fisica dimostra che essa non è nulla se non la dissoluzione del composto atomico. Osserva e non si deve temere il dolore, perché se dura a lungo non è forte. Il piacere è facile da raggiungere, poiché se è autentico esso si identifica con la semplice sottrazione dal dolore. Chi vivrà in questo modo vivrà «come un Dio tra gli uomini« la sua vita semplice imperturbabile non sarà il nulla inferiore a quella degli essere beati. Nella filosofia di Epicuro non si trova posto l'impegno politico: la comunità del giardino non aspirava all'impegno pubblico, ma una vita imperturbabile nella cerchia degli amici da qui il motto “Vivi nascosto”. Pag. 35 La scuola stoica fu fondata pochi anni dopo il Giardino, intorno al 300 a.C. dal filosofo Zenone di Cizio. Stoà vuol dire portico: la scuola era situata in un portico dipinto nei pressi dell'agorà di Atene. La Stoà non era un circolo di discepoli riuniti intorno a un maestro carismatico. Gli storici non furono mai chiamati i filosofi “zenoniani” e, dopo Zenone, altri due capiscuola diedero una decisiva impronta allo stoicismo: l'allievo di Zenone, Cleante, e il terzo scolara Crisippo di Soli uno dei più grandi logici di tutti i tempi. Lo stoicismo fu una delle scuole più influenti e longeve del mondo antico, durò per secoli come corrente filosofica, tanto che vi aderì l'imperatore Marco Aurelio. Tanti saranno i filosofi, gli scrittori e i politici che si richiameranno ai principi del pensiero stoico. Gli stoici si riallacciano a un pensatore arcaico quale Eraclito. Da egli ereditano alcuni concetti fondamentali: quello di logos che per gli stoici si identifica con la divinità che regola ogni cosa dall'interno e il concetto di fuoco che identificano con il principio divino. La filosofia storica e quella epicurea sono speculari, uguali e contrarie, condividono alcuni presupposti generali ma li sviluppano in modo diverso. Come la filosofia epicurea, quella stoica è materialistica o corporalistica: tutto ciò che esiste è un corpo, inclusa la divinità. Tuttavia, l'universo degli storici è una totalità organizzata e coesa per opera di un principio divino che si trova all'interno di ogni cosa e regola tutto in modo finalistico. Non vi sono atomi, ma elementi mescolati che si uniscono e si separano secondo dei cicli cosmici. All'etica del piacere degli epicurei si sostituisce un'etica fondata sul rigore, che individua nella virtù la condizione necessaria e sufficiente della felicità. Diversamente dagli epicurei, predicano l'importanza dell'impegno morale, che impone a ciascuno il compimento dei propri doveri. Come gli epicurei ritenevano la filosofia avesse tre parti: logica, fisica ed etica; ma gli stoici ne mettevano in evidenza il legame strettissimo. (Paragonavano la filosofia a un uovo: la logica è il guscio che protegge l'insieme, la fisica è l'albume mentre l'etica è il tuorlo). La saggezza era definita come “scienza delle cose divine ed umane”: “scienza” indicava una condizione perfettamente sicura, infallibile, che implica un'assoluta padronanza dell'oggetto su cui verte il sapere. La filosofia non è dunque un “amore del sapere” ma una scienza perfetta che ci permette di acquisire la virtù, la migliore condizione di cui è capace l’uomo. Alla base di tutto c'è il logos, la ragione divina che regola l'universo dall’interno.