Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Riassunto manuale "Sociologia dei new media", Renato Stella, Appunti di Sociologia Dei Media

Riassunto chiaro e coinciso del manuale Sociologia dei new Media, con Renato Stella ecc. Manuale in esame con Prof. Roberta Bracciale (unipi)

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 27/08/2022

vittoria-sabatini
vittoria-sabatini 🇮🇹

4.5

(27)

36 documenti

1 / 62

Toggle sidebar

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto manuale "Sociologia dei new media", Renato Stella e più Appunti in PDF di Sociologia Dei Media solo su Docsity! SOCIOLOGIA DEI NEW MEDIA I “nuovi media” sono davvero nuovi? Le innovazioni tecnologiche che definiscono la novità dei nuovi media non sono così recenti → il primo sito web "ufficiale" è nato il 6 aprile del 1991 al CERN di Ginevra, ma le originali applicazioni di Internet sono ancora precedenti, dato che già nel 1969 ARPANET collega quattro campus statunitensi. - Dal 1986 alla rete di ARPANET, grazie all’Ateneo di Pisa, si connettono anche alcune università italiane. Il web per una trentina d'anni il suo prototipo è a disposizione solo di pochi utilizzatori che lavorano all'interno delle università e che sono appassionati di computer e nuove tecnologie. - I new media diventano invece tali a partire dal momento in cui la loro diffusione raggiunge dimensioni di massa → intorno al 2000 → boom straordinario di connessioni di risorse commerciali disponibili. Lo stesso accade in parallelo ad altri supporti → il telefonino, il tablet, i pc portatili, gli smartphone, destinati in tempi recenti a integrarsi e convergere tra di loro sino a diventare un unico grande medium. . McLuhan (1990) → ogni nuovo mezzo di comunicazione tende a riassumere in sé molte delle funzioni assolte dai media precedenti. Così è accaduto per esempio con la televisione, che ha assorbito la radio, il teatro, il cinema. Internet fa molto di più (è telefono, radio, televisione, cinema, ecc.) tuttavia questo non è ancora sufficiente per dire che i nuovi media sostituiscono interamente i vecchi. Soprattutto se immaginiamo che la sostituzione comporti la scomparsa degli uni a vantaggio degli altri. Sulla continuità tra vecchi e nuovi media → tre questioni: 1. Quella che riguarda i "supporti" (la carta invece del file elettronico, il CD invece dell’MP3) 2. Quello che tocca “l’organizzazione dei linguaggi e dei contenuti” (i testi, le immagini o il multitasking) 3. Quella che concerne gli "accessi" e la "produzione" (abilità nel cercare risorse e informazioni; chi crea i contenuti dei siti, dei blog e come). → tre prospettive diverse attraverso le quali si può guardare alla "novità" dei new media, tenendo distinte funzioni e conseguenze di ciascuno. Esse si producono insieme, si condizionano vicendevolmente ma non è detto che al progredire dell'una corrisponda il parallelo progredire delle altre con la stessa velocità. Il fatto che i computer (i supporti) esistono e che si consentono una serie di operazioni tecniche, non vuol dire che tutti coloro che li utilizzano sappiano connettersi e navigare allo stesso modo o nel modo più adeguato, è invece più probabile il contrario, cioè che settori di popolazione, non siano in grado di adoperare al meglio i nuovi media o in alcuni casi di venirne in possesso. Supporti, organizzazione dei linguaggi, accessi e produzione spesso riprendono stili e modalità dei "vecchi media", un po' perché i nuovi media ne sono la continuazione, un po' perché è il modo con il quale tradizionalmente si risponde alle sfide che vengono dalle innovazioni → si utilizza quanto si conosce allo scopo di far fronte a ciò che 1 appare inedito. Una più stretta collaborazione tra mezzi pubblici era cominciata negli anni 70 con la radio, avrà poi il suo massimo sviluppo con la "neo televisione” a partire dagli anni 80. Al di là delle innovazioni tecnologiche, i nuovi media funzionano in un certo modo anche perché sono esistiti i media vecchi che hanno aperto la strada a un sempre maggior coinvolgimento di pubblici e consumatori nell'elaborazione dei propri contenuti, con gradi di libertà diversi e con esiti diversi. Nel web si possono salvare persone in difficoltà avviando fitte relazioni solidali che si traducono nella raccolta fondi e nella mobilitazione collettiva, o si possono istigare altre persone al suicidio attraverso il cyberbullismo; si possono tenere informazioni di prima mano da fonti altrimenti non raggiungibili (WikiLeaks = organizzazione internazionale dedita alla raccolta e la pubblicizzazione di documenti coperti da segreto provenienti da ogni parte del mondo. L'obiettivo è di denunciare comportamenti immorali o criminali da parte di istituzioni che così non possono più contare sulla protezione di dispositivi di archiviazione dei dati che si sono dimostrati in più occasioni vulnerabili) o si può essere spiati capillarmente da potenti antenne che ascoltano le nostre conversazioni o leggono le nostre e-mail (come nello scandalo internazionale denominato datagate = nel 2013 scoppia uno scandalo internazionale relativo alla rete di intercettazioni di conversazioni telefoniche ed e-mail messo in opera dall'agenzia statunitense NSA. → l'obiettivo dichiarato dell'operazione di spionaggio era quello di prevenire azioni terroristiche, ma la polemica sorge quando si scopre che ad essere spiati erano anche i capi di governo e personalità dei paesi alleati agli USA). La “novità” dei nuovi media si traduce in un affiancamento e a volte in una convergenza con i media tradizionali. Per esempio, la versione digitale del quotidiano USA “New York Times” dal 2011 è parzialmente a pagamento mentre il numero degli accessi online ha già superato gli abbonati del giornale cartaceo quindi l'essere in rete può allargarne ulteriormente le capacità espressive, arricchendolo di testimonianze sonore o video, di documenti originali, di feedback dei lettori che sarebbe impossibile utilizzare nell'edizione cartacea. Va da sé che per mettere insieme un giornale la dimensione comunicativa classica non può essere superata a vantaggio di un quotidiano del popolo scritto dai lettori stessi, che poi passano sia la professionalità, sia le procedure standard necessarie a elaborare le notizie. Tutto ciò è possibile solo a patto che l'attestato coordini le diverse funzioni consentite dal web. I media dis-intermediano la comunicazione → il ruolo che prima era attribuito a terze persone che facevano da filtro, quindi interpretavano un pensiero e poi lo trasmettevano, ora hanno preso in parte loro potere quindi tutti hanno preso la parola. La novità tecnica costituita dall'accesso e dalla forma di lettura non trascina con sé necessariamente una parallela novità delle routine creative, per cui chiunque può "democraticamente" partecipare alla produzione di qualsiasi contenuto senza più distinzione tra competenze ed esperienze. . il dilettantismo, in queste materie, è più pericoloso della manipolazione scientifica delle notizie (il news management: è un’applicazione di marketing dei media informativi, esso ha l’obiettivo di condizionare il lavoro del giornalista suggerendo immagini o interpretazioni di fatti in modo che risultino favorevoli all'uno o all'altro attore sociale che se ne fa promotore) perché è basato proprio sulla buona fede di lettori che si fanno giornalisti. Uno degli aspetti che più colpisce nell'uso del web è la facilità → pensate le riprese con 2 della definizione di "cultura di massa". Per i primi, ovvero gli integrati, essa era una risorsa positiva che collaborava a ripartire tra molti ciò che in passato era solo di pochi; per i secondi, gli apocalittici, si trattava di uno strumento con cui pochi continuavano a ingannare grandi gruppi di individui procurando loro"adattamenti" cinematografici di classici del teatro e della letteratura, "arrangiamenti popolari" di musica colta con lo scopo di offrire a tutti il senso di essere all'altezza dei consumi legittimi". Tale dibattito si ripropone oggi, ci sono andrologi, che affermano che l'utilizzo di pornografia in rete da parte di giovani e adulti ha raggiunto livelli pericolosi per il loro equilibrio psicologico e sessuale. Alcuni studiosi lamentano che l'uso eccessivo di nuovi media sia in grado di cambiare funzioni e aree del cervello con effetti a lungo termine fino ad oggi incalcolabili. . Lo stile di vita degli hikikomori è caratterizzato dal fatto che le ore notturne sono spesso dedicate a comportamenti tipici della cultura popolare giapponese, come la passione per il mondo manga e la sostituzione dei rapporti sociali diretti con quelli mediati via Internet. Quest'ultimo aspetto si configura spesso come una contraddizione in termini → la persona rifiuta rapporti personali esclusivamente fisici, mentre con la mediazione della rete può addirittura passare la maggior parte del suo tempo intrattenendo relazioni sociali di vario tipo. Tuttavia, solamente il 10% degli hikikomori naviga su Internet, mentre il resto impiega il tempo leggendo libri, girovagando all'interno della propria stanza o semplicemente oziando, incapace di cercare lavoro e frequentare la scuola. In ogni caso la mancanza di contatto sociale e la prolungata solitudine hanno effetti profondi che gradualmente possono portare alla perdita di competenze sociali e delle abilità cognitive. . Con “cultura digitale” si intende l'insieme delle trasformazioni che riguardano sia l'agire collettivo (il modo con cui organizzazioni e istituzioni incorporano le nuove tecnologie e si adattano), sia l'agire individuale (attraverso il mutare delle relazioni tra persone reso possibile dei nuovi media o anche, dal connubio essere umano-macchina, che si fa sempre più stringente interconnesso). Concomitanti al mutare delle forme con cui si comunica e si archiviano da attivi sono trasformazioni economiche e politiche di straordinaria rilevanza. In ambito politico segnaliamo il venir meno della contrapposizione tra est e ovest europeo (fine della guerra fredda) con la nascita di un veloce processo di globalizzazione a cui i new media non sono estranei. Vi è poi un importante cambiamento dal punto di vista industriale produttivo. Il sistema economico tende a spostare il proprio centro della produzione materiale a quella di beni immateriali legati a servizi. Questo tipo di produzione viene favorito, con differenti "bolle speculative" che si sono succedute nel tempo, dell'ingresso sulla scena dei new media, che hanno ampiamente sostenuto gli sviluppi rendendoli più semplici e convenienti. Nella società in cui viviamo la conoscenza e l'informazione assumono un ruolo di primo piano non solo per la vita quotidiana di milioni di individui ma per le possibilità di sviluppo e per l'integrazione di interi sistemi politico-economici, che procedono integrandosi e discutendo l'un l'altro in maniera sempre più larga e inevitabile. Il termine "cultura digitale" non comprende solo l'acquisizione individuale di capacità pratiche → ma nell'ambito delle trasformazioni che 5 investono differenti sfere dei sistemi sociali acquista un peso significato molto più ampio. Stiamo parlando di un insieme di esperienze, conoscenze, contenuti e relazioni simboliche molto complesse, che inaugurano un intero mondo di azioni di significati. Si tratta di una cultura perché trasmissibile, accumulabile, capace di auto-trasformarsi e adattarsi in ragione di esigenze tecnico o sociali. Essa poi possiede connotati collettivi → funziona per un piccolo gruppo, ma anche per grandi comunità che si estendono normalmente. La cultura digitale si sovrappone e si integra con i linguaggi che assorbe e fa propri, diventando esso stesso linguaggio; possiamo comunicare quasi con chiunque sulla terra avendo due competenze → conoscere una lingua franca come l'inglese, sapere in che modo si confeziona e si spedisce una mail. È una cultura digitale anche l'aspettativa di poter inviare un messaggio, di intendersi una risposta, di aver insomma l'impressione che quasi tutto il mondo sia disponibile sotto le dita attraverso la tastiera del computer. “Avere l’impressione”, “apparire”, “sembrare” è l’ambivalenza della rete che è sempre in agguato e occorre non farci ingannare dalle sue sirene. Dovremmo infatti parlare non di cultura ma di culture → possiamo dire che non solo il web contiene tutte le ideologie, le religioni, i punti di vista che si esprimono con i media tradizionali, ma a ciò si aggiunge un elemento ulteriore, costituito dalla specificità dei new media e dalla loro capacità di far esprimere coloro che li usano. Aveva ragione McLuhan a constatare che ciascun medium contiene i precedenti, che ogni medium ha fatto gli altri media, ma aveva ragione anche nell'insistere col sostenere che a ogni innovazione tecnologica il quadro di riferimento cambia. In questa prospettiva le culture digitali assumono un'identità maggiormente precisa. . Manovich (2002) sostiene che l'interazione uomo-computer non è tra un essere umano e una macchina, ma tra un essere umano e una "cultura codificata in forma digitale"→ ci si mette insomma in relazione con costrutti culturali elaborati per essere veicolati attraverso il computer ed è a quelli che mi abituo, con essi parlo e mi confronto. La mia “faccia” su Facebook, ciò che creo per presentarmi nel mondo del web seguendo il linguaggio e lo stile di Facebook, si adatta, a sua volta, alle possibilità concesse dalla piattaforma e dalla programmazione. Tuttavia il processo è abbastanza ampio ed elaborato da favorire importanti cambiamenti. Su di me è innanzitutto → cambia il modo di rapportarmi ad altri dentro e fuori dal web, il vocabolario che uso diviene più stringato, mentre posso avvertire come parte sempre meno rinunciabile della comunicazione il ricorso a immagini. Su Facebook poi nascono un modo e linguistiche ostili di presentazione che si diffondono velocemente. Alla fine di adottare questi modi saranno molti utenti a cambiare la piattaforma. La cultura digitale di un hacker, intesa come abilità tecniche, volontà politica di andare oltre le protezioni, i controlli del web che vengono elusi o "craccati", non è quella di un impiegato; allo stesso modo la cultura digitale di un ragazzo o una ragazza di 18 anni non è quella di persone più anziane. Acculturarsi ai new media pensiamo voglia dire almeno due cose: 1. Comprendere quali meccanismi sociali, economici e politici la loro presenza condiziona e modifica 2. Quali posizioni, risorse ed esperienze pratiche consente di ottenere e utilizzare individualmente. La nostra relazione col web è indissolubilmente costitutiva e sempre in progress → 6 cresciamo con lui imparandolo e lui si impara modificandosi velocemente nel tempo. La cultura digitale, dal punto di vista soggettivo, nella rete serve → a districarsi, a mettere ordine nei propri percorsi di navigazione attraverso una maggiore o minore consapevolezza degli elementi che la compongono, delle trappole dei trabocchetti che spesso tende, delle fonti di informazione che non sono sempre affidabili solo perché compaiono per primi in Google, del modo in cui se ne può avere accesso essere esclusi. Diviene importante cominciare a comprenderne la potenzialità entro due direttrici: quella personale e quella collettiva. Sonia Livingstone sostiene che i new media possono essere compresi solo scomponendoli nelle loro tre dimensioni costitutive, vale a dire: - Gli artefatti o dispositivi: utilizzati per comunicare e trasmettere significato - Le attività e le pratiche: in cui gli individui comunicano e condividono le informazioni - L'organizzazione sociale o le forme organizzative che si sviluppano intorno ai dispositivi e alle pratiche. I new media sono frutto dell'interazione tra queste tre componenti → bisogna avere un computer portatore di innovazione tecnologica, serve saperlo usare secondo le sue funzioni e le proprie necessità, occorre far parte di un contesto sociale che rende accessibile il primo, promuova le seconde, condivida poi la gestione e la diffusione dei contenuti, in tal modo vengono prodotti. È questa l'idea di "cultura codificata" → il medium porta con sé anche i propri usi e i contesti in cui può operare. CAP 2. MODELLI E TEORIE DELLA COMUNICAZIONE MEDIATA Ciò che ha sviluppato l'interesse delle scienze sociali è l'introduzione dei programmi per la "comunicazione mediata dal computer" (CMC), come la posta elettronica e il lavoro collaborativo supportato dal computer. Questi hanno spostato l'ambito delle ricerche da un modello comunicativo basato sul rapporto "uomo macchina", a uno basato sul concetto di "interazione", che coinvolge più individui in relazione tra loro grazie alla mediazione del computer. → nel primo caso c'è un operatore che inserisce dati in un computer, esegue i calcoli, agisce in base al feedback che riceve dal programma che sta utilizzando e quindi il processo comunicativo si limita a considerare ciò che avviene tra lui e la macchina. Nel secondo caso invece l'utente comunica con altri utenti, per esempio scrivendo una mail attraverso il computer, ed è questo che si intende con CMC. La comunicazione mediata dal computer è stata distinte in: . Sincrona → si fa riferimento ai programmi che mettono in relazione gli utenti in modo immediato, nello stesso momento, come avviene per esempio nella conversazione telefonica o faccia a faccia. Con la mediazione del computer, la comunicazione è sincrona grazie a strumenti come la chat, la videoconferenza, gli instant messaging, i giochi di ruolo. . Asincrona → avviene attraverso sistemi come la posta elettronica, in cui non c'è simultaneità nella comunicazione tra emittente e destinatario, il processo comunicativo differisce nei tempi di invio risposta e può rivolgersi a un interlocutore alla volta -uno a uno- oppure a una moltitudine -uno a molti, molti a molti-. Altri esempi sono i sistemi di messaggistica come i newsgroup e i forum, le mailing list, i blog, i social network. 7 interazioni di conseguenza. Per esempio, nella CMC possono controllare le impressioni molto meglio di quanto non si faccia in presenza, sia il tempo di scegliere quali parole usare e quali elementi di sé raccontare e nascondere. . Secondo Goffman, durante l'interazione gli individui sono costantemente impegnati a mostrare una faccia → un insieme di elementi che compongono il ruolo che stanno svolgendo in quel momento, coerente con la situazione in cui sono immersi. Però ci possono essere degli elementi che vengono lasciati trasparire - given off - E non riescono a controllare, come l'arrossire o i tic e quindi mettono in pericolo la faccia allestita fino a quel momento. Ne deriva un'impressione spesso idealizzata dell'interlocutore → la CMC è considerata lontana da qualsiasi ipotesi di spersonalizzazione e anzi diventa una forma di comunicazione vera e propria. Gli anni 90 sanciscono un salto definitivo negli studi dedicati alla CMC, che nel 1991 viene inventato il World Wild web I personal computer si diffondono sempre più nelle case e Internet di fatto comincia a coincidere progressivamente con il web → è in questo periodo in effetti che l'online comincia essere percepito come un luogo in cui gli individui si incontrano e interagiscono quotidianamente. . Howard Rheingold aprì il dibattito sul fatto che la CMC non era più soltanto un'esperienza limitata a contesti ristretti, ma cominciava a diventare un'esperienza "quotidiana" pervasiva per molti utenti. Internet divenne un ambito di ricerca molto frequentato da giovani ricercatori, che ne approfondirono i principali aspetti → l’uso dei nickname, le interazioni affettive nei MUD, la costruzione dell'identità, le dinamiche di gruppo virtuali, negoziazione delle norme, e così via. Si era abbandonato definitivamente il paradigma degli effetti della CMC e ci si concentrava sulle caratteristiche di un ambiente di interazione sempre più pervasivo, dinamico e anche promettente dal punto di vista degli sviluppi futuri. In Italia tra le prime ricerche su Internet vanno nominate quelle di Luca Giuliano e di Antonio Roversi. il primo pubblicato nel 1997, un lavoro sui MUD italiani, in cui rifletteva sulla relazione tra identità, gioco e mondo online. Giuliano anticipava quello che sarebbe diventato un leitmotiv degli Internet studies → cioè la continuità online-offline. Il sociologo sottolineava la consapevolezza dei giocatori di ruolo online nella gestione delle loro identità. Antonio Roversi nel 2001 pubblicava la sua ricerca sulle chat online italiane, la domanda di ricerca era "perché vi sono delle persone che invece di uscire a cena, andare a ballare, fare una passeggiata, guardare la televisione, passano mesi talvolta anni, a chiacchierare ogni giorno con persone fisicamente assenti e talvolta sconosciute, utilizzando solo la tastiera dello schermo del computer?". È evidente in questa premessa il clima d'opinione dell'epoca intorno i temi legati alla CMC: quell “invece di” assegnava implicitamente un valore più alto alle attività offline elencate di seguito e, in effetti, in quegli anni le chat online, i giochi di ruolo online, i sistemi di messaggistica erano percepiti come un rifugio per "disadattati" sociali. 10 .Sherry Turkle nel 1995 ha affrontato in modo sistematico e approfondito la grande tematica della costruzione dell'identità online. Ci sono almeno due macro temi affrontati da Turkle in questo lavoro: 1. L'intelligenza artificiale e la relazione con i computer 2. Le dinamiche di costruzione per l'identità dell’altro. La cultura informatica si impara fin da piccoli → i bambini sono estremamente abili nel discriminare ciò che ci si può aspettare da una macchina e ciò che invece è "vivo". → confine tra persone e computer è intatto. Turkle conclude che la cultura informatica accetta il fatto che le macchine possono essere intelligenti, addirittura in modo simile a quello umano, ma che comunque rimangono diverse poiché sono biologicamente inanimate. I MUD, nella lettura di Turkle, rappresentano un enorme fucina identitaria → l'anonimato consente di esprimere disagi, dubbi, problemi che difficilmente si sviscererebbero faccia a faccia, si può provare a essere altro, si possono sfogare tensioni, emozioni represse, si possono esprimere parti inesplorate del proprio Self. → così la comunicazione online è un'esperienza postmoderna in cui il sé è moltiplicato oltre ogni limite. L'online ha una grandissima potenzialità → può diventare una moratoria psicosociale (Erikson sosteneva che gli adolescenti hanno a disposizione un periodo di prova in cui sperimentare, testare le proprie abilità, cercare altre definizioni identitarie, prima di entrare definitivamente nei ruoli adulti) → un momento cioè in cui l'individuo mette alla prova nuove modalità identitarie senza troppe conseguenze per la sua vita offline. L’opera di Turkle è stata annoverata, insieme a Rheingold e altri, tra gli internet enthusiasts → coloro che guardavano la rete con ottimismo. . metà degli anni 90 c'erano molte preoccupazioni sugli effetti più o meno gravi della CMC (dall’addiction, la dipendenza, la confusione tra online e offline, cioè a non saper più distinguere tra reale e virtuale). Turkle sottolinea sicuramente gli aspetti favorevoli che gli individui trovano nelle loro interazioni online, senza però dimenticare gli aspetti più problematici. Il lavoro di Turkle è diventato la pietra di paragone per tutte le ricerche che sono venute dopo → il suo principale merito è stato quello di porre la questione dell'identità in rete come un'esperienza quotidiana di molte persone, su cui bisognava interrogarsi in modo sistematico. In tempi recenti (2011), Turkle ha pubblicato un altro lavoro, Alone Together (Insieme ma soli), che però per risonanza non ha avuto lo stesso impatto del precedente. Turkle fu considerato un entusiasta della rete. Questo atteggiamento è completamente abbandonato negli ultimi suoi lavori, i cui temi affrontano la riflessione sull'intelligenza artificiale, la relazione tra persone e computer e la costruzione dell'identità. Ma soprattutto, in insieme ma soli, ciò che la preoccupa è come la tecnologia stia cambiando gli individui. Oggi il web 2.0 è ubiquo, mobile, pervasivo. Fino agli inizi degli anni 2000, e quindi per il primo decennio di esistenza del World Wide web, l'utente aveva un'esperienza cosiddetta "statica" della navigazione online, 11 perché si limitava a consultare le home page grazie ai motori di ricerca e navigare tra gli ipertesti con il browser. Dopo il 2004 si inizia a parlare di web 2.0 le cui caratteristiche principali sono appunto l'interazione, la partecipazione e la modificazione da parte dell'utente. Grazie alla diffusione delle tecnologie portatili, l'interazione digitale è costante e questo limita, fino a impedirle, le nostre capacità di riflessione su noi stessi Il tipo di comunicazione che sperimentiamo è la connessione → mandiamo messaggi digitali di cui attendiamo una risposta e non importa se questa viene scritta mentre il nostro interlocutore sta facendo qualcos'altro. Allora, dice Turkle → ciò che perdiamo è l'attenzione del nostro interlocutore nei nostri confronti e viceversa → e siccome è attraverso la conversazione, l'interazione diretta con l'altro, che impariamo a riflettere su noi stessi e a comprenderci, le nuove tecnologie mobili ci connettono ma non ci permettono di presentare attenzione all'altro e di conoscerci. Del resto non è che poiché siamo cresciuti con la rete, ciò significa che anche la rete sia cresciuta. La tecnologia non è maturata, la cultura "connessa" è molto giovane, secondo l'autrice e per questo è giunto il tempo di operare alcuni aggiustamenti. Di fatto questi ultimi verranno dai giovani, che già oggi reclamano una maggiore tutela della privacy e un'attenzione più profonda. Le sue conclusioni allora sono “cautiously optimistic”, però solo se cominceremo a pretendere di più delle tecnologie. . Manuel Castells sociologo catalano naturalizzato statunitense che, con la sua imponente trilogia The Information Are: Economy, Society and Culture (2002-2003) ha posto importanti basi per lo studio dei processi di trasformazione sociale che stanno cambiando il nostro mondo. Nel primo dei tre volumi, Castells descrive lo sviluppo e le conseguenze di tre processi nati tra la fine degli anni 60 e i primi anni 70 del secolo scorso → la rivoluzione tecnologica delle ICT (information and communication technologies) la crisi sia del capitalismo tradizionale, sia dello statalismo comunista, la nascita di nuovi momenti popolari. La combinazione dei tre processi ha generato una nuova struttura sociale, una nuova economia e una nuova cultura. Ciò che unisce i tre processi è la “logica di rete” → il potere è diffuso in reti globali di informazioni, immagini, flussi finanziari e potere che circolano e mutano in continuazione, entro confini smaterializzati. La network society è una società che si trasforma in un’organizzazione a rete, flessibile, che sa adattarsi con maggiore facilità alle nuove circostanze grazie all’infrastruttura tecnologica su cui è basata. Le tecnologie informatiche ed elettroniche rendono le reti più efficienti nel coordinare le attività simultanee e nel decentrare quelle che non sono in grado di svolgere. Per Castells, le reti costituiscono la nuova "morfologia sociale", delle nostre società → la contemporaneità è costituita intorno a "flussi" e a un "tempo senza tempo", grazie le tecnologie digitali che rendono possibile una comunicazione in tempo reale o in forma asincrona, slegata dalle tradizionali cronologie e da quel tempo biologico che caratterizza gli spazi materiali e fisici. L'economia, il capitalismo, il lavoro, ma anche lo Stato, la cultura, le città sono sempre più “informazionali”→ il termine indica l'attributo di una specifica forma di organizzazione sociale in cui lo sviluppo, l'elaborazione, la trasmissione delle informazioni diventano fonti basilari di produttività e potere grazie a nuove condizioni tecnologiche verso questo 12 5. The law of the limits to attention on the web Le reti si caratterizzano per una tendenza dialettica, quella dell'estensione e contemporaneamente della riduzione di scala. Questo si traduce in fenomeni di concentrazione e frammentazione per i quali si assiste sia a una nuova coesione sociale che alla diffusione di innumerevoli Sab culture. Nel settore dei media Internet è dominata da poche grandi comapgnie, ma allo stesso tempo è possibile trovare infinite piccole fonti mediali; 6. The power of law: È collegata alla precedente, che si rispecchia nella cosiddetta “Googlearchy”: quelle fonti che risultano già in testa alla lista dei risultati sul motore di ricerca diventeranno ancora più popolari, questo causa concentrazione e disuguaglianza tra le fonti; 7. Trend amplifiers: tutti i cambiamenti analizzati osservati danno l'idea della portata evolutiva e non rivoluzionaria. I nuovi media sono quindi dei trend amplifiers, ovvero intensificano le tendenze già presenti, rinforzano le relazioni sociali esistenti nella società coeva, essi non cambieranno le basi delle società sviluppate. Il capitalismo ne sarà in qualche modo rinvigorito in una forma più accelerata, flessibile e socialmente dura. Van Dijk usa spesso un esempio (non si può essere né ottimisti né pessimisti) → conclusione → la network individualization. È un ossimoro, perché gli ambienti di vita e di lavoro diventano progressivamente più piccoli mentre allo stesso tempo la varietà della divisione del lavoro, delle comunicazioni interpersonali e dei mass media si amplifica → in questa costante dielettrica sta la chiave dell'interpretazione di Van Dijk della network society. . Henry Jenkis e la cultura convergente ha conquistato un ruolo di primo piano nella riflessione sulla cultura digitale contemporanea, per vent'anni è stato non solo uno studioso ma anche un appassionato partecipante di comunità di fan. I fan → sono sempre stati i "pionieri delle nuove tecnologie". Siccome non si accontentano, si appropriano dei contenuti, li fanno vivere in altre forme di produzione culturale che possono andare dalle fanzine (magazine autoprodotti dai fan), I film materiali, i meeting e molto altro. Non solo, la fandom non è che il risultato" dell'equilibrio tra fascinazione e frustrazione → se il contenuto mediatico non c'avesse affascinato, non ci saremmo lasciati coinvolgere; nel contempo se non ci avesse frustrati a qualche livello, non avremmo avuto lo stimolo per riscriverlo o rifarlo”. Questo implica che è mutata la visibilità della fan culture → oggi la rete amplifica documenti prodotti dal basso delle fan culture. Tra i vari casi che studia → quello della saga di Star Wars, il primo episodio risale al 1977, da loro i fan hanno creato di tutto. Si crea in tal modo una dinamica in cui le 15 opere dei fan non possono più essere considerate solo come "derivate dai materiali dei media mainstream, ma devono essere percepite come a loro volta aperte all’appropriazione e alla rielaborazione da parte dei media". Le grandi aziende hanno bisogno dei fan per diffondere e ramificare il successo dei loro prodotti. Jenkis riflette sulla relazione tra: - Convergenza mediatica: si intende il flusso dei contenuti su più piattaforme, la cooperazione tra più settori dell'industria dei media e il migrare del pubblico alla ricerca continua di nuove esperienze di intrattenimento. È un processo di cambiamento culturale che investe tutto il sistema dei media e tutta la società. - Cultura partecipativa: si riferisce all'emergere di nuovi ruoli per produttori e consumatori, i quali interagiscono tra loro e creano nuovi prodotti culturali, è da rimarcare che la cultura partecipativa che Jenkis descrive non è per nulla pacifica ma spesso è pervaso da contrasti tra i produttori mainstream, refrattari ai cambiamenti, e i consumatori che devono attivarsi per operare le loro riappropriazioni culturali andando a confliggere con le industrie. → Dal connubio di queste due emergenze emerge il concetto di "cultura convergente”. Si osserva che le idee della cultura si diffondono dall'alto verso il basso, vengono prodotte su larga scala dei media e poi vengono riappropriate nei diversi pubblici e al contempo vengono rivolte verso l'esterno attraverso l'elaborazione culturale. La cultura convergente è quindi sia una dinamica discendente, guidata dalle corporation, sia ascendente, guidata dai consumatori. A questo punto è chiaro che la cultura convergente è un vero e proprio cambiamento antropologico → riguarda i nostri rapporti con i media e con la cultura popolare ma soprattutto può avere conseguenze su come impariamo, lavoriamo, e partecipiamo al processo politico. .Barry Wellman uno dei primi sociologi che si è interessato a Internet soprattutto per ciò che concerne il rapporto tra questo medium e la vita quotidiana. L'autore si è concentrato sull'utilizzo del web da parte degli utenti per ciò che riguarda le relazioni interpersonali, i mutamenti delle dinamiche di interazione umana, le connessioni tra Internet e il capitale sociale. Una questione che diviene sempre più importante se contestualizzata in un ambiente quotidiano influenzato da Internet e in cui, sottolinea Wellman: - Lo scambio immediato di grosse quantità di dati è facilitato (larghezza di banda + ampia) - La connessione con le reti amicali, familiari, lavorative è potenzialmente continua - L'interazione è più ricca poiché vi è una maggiore personalizzazione dei contenuti dei messaggi 16 - La comunicazione è sganciata in misura maggiore dal luogo grazie ai sistemi wireless - La connettività diventa sempre più globalizzata I numerosi studi si sono rivelati utili nel momento in cui si sono affermati i Social Network Site. Nel 2010 Wellman descrive la rete sociale come "un insieme di nodi socialmente rilevanti e che sono connessi tra di loro da uno o più rapporti". Analizzare un network significa definire quali sono i nodi da includere nello studio che si intende fare e ciò si traduce in un'altra problematica che riguarda la natura stessa di Internet. Wellman definisce alcuni principi guida per ciò che concerne la Social Network Analysis: • Gli analisti delle reti sociali devono stare attenti alle relazioni tra i singoli nodi piuttosto che gli attributi di questi • Quando gli studiosi usano un approccio analitico della network analysis non devono trattare le reti come gruppi mutuamente esclusivi, ma ricordarsi che queste tendono a intersecarsi tra loro; • Non bisogna dimenticare che i differenti nodi, all'interno della rete, hanno diverso peso per le relazioni che intessono con gli altri componenti del network; • La natura delle relazioni tra due nodi dipende anche dalla relazione che ognuno dei due ha con le altre reti. Ciò che Wellman costituisce è un importante punto di partenza per quanto riguarda la messa in discussione del divario tra reale e virtuale. Per superare questa dicotomia Wellman propone di porre molta attenzione nelle relazioni che si costituiscono a partire dagli ambienti digitali, non contrapponendole con quelle che si formano negli incontri faccia a faccia. Tra le due vi è un rapporto che vede le relazioni nate all'interno della rete come incrementali rispetto a quelle nate fuori da Internet. I rapporti sociali che si sviluppano sono il frutto dell'intersezione di molte reti e delle influenze tra i loro differenti nodi. . È il caso dei Social Network Site, ciascuno degli utenti iscritti fa parte della rete in quanto individuo che la popola e mantiene in vita il network condividendo contenuti, commentando i post degli altri utenti e così via. In Internet gli individui possono far parte di differenti network scegliendo autonomamente a quali di queste reti appartenere in base ai loro interessi. I cambiamenti sociali e tecnologici consentono ai soggetti un ulteriore mezzo per creare rapporti che vanno ad integrarsi con la vita quotidiana. La Rete è una piattaforma grazie alla quale questo modello raggiunge la sua massima espressione. Sviluppa → concetto di networked individualism in internet gli individui possono fare parte di differenti network scegliendo autonomamente a quali di queste reti appartenere in base ai loro interessi. → la rete 17 Google, Amazon, Facebook La mancanza di questa consapevolezza genera l'ingenuità della rete, ovvero lo sguardo tecno centrico che avoca a Internet la soluzione di tutti problemi. . 2007 Geert Lovink critica in modo serrato le logiche delle grandi corporation che sfruttano la credenza degli utenti sulla gratuità dei contenuti per impossessarsi dei loro dati. Nel suo lavoro del 2012 approfondisce i temi che aveva affrontato in precedenza, soffermandosi sull'uso razionale del web e sul concetto di saturazione delle informazioni. I motori di ricerca, i social media producono contenuti costantemente, e altrettanto costantemente gli utenti aggiornano i loro profili. In questa "nuvola di informazioni" si osserva anche che gli utenti sono sempre meno interessati a conservare offline tutta questa mole di dati. Lovink propone allora la teoria della "psicopatologia dell'information overload" → secondo cui gli individui sono costantemente pressati dalla macchina affinché pubblichino contenuti personali, li condividono con altri che fanno lo stesso, in una sorta di leggera narcosi della condizione di rete. → Lovink propone anche la costituzione di organized network in opposizione ai social media che si basano su legami deboli, cioè su reti poco dense di significato sociale che servono solo alle corporation per impossessarsi di dati personali. Gli organized network sono invece formati da individui che si organizzano intorno a uno scopo comune, stabiliscono legami forti tra soggetti dispersi. Il net criticism di Lovink allora non si propone in termini negativi, ma anzi ambisce attraverso la riflessione teorica a sviluppare concetti alternativi implementabili in forme agoniste rispetto alle corporation. Gli aspetti tecnici ed economici, spesso considerati come scatole nere inconoscibili dagli studiosi della cultura digitale, sono espressione dell'ideologia neoliberista e non possono essere sottovalutati → gli algoritmi che fanno funzionare i social media favoriscono una connessione di legami sociali deboli; le criptovalute, come i Bitcoin, lungi dall'essere strumento di emancipazione da sistemi capitalisti di credito, sono nelle mani delle Élite tecnologiche che le sfruttano per fare soldi facili senza alcuna possibilità di critica antisistema. .CAP 3 - FORME E LINGUAGGI DEI NUOVI MEDIA In principio fu il digitale L’informatica si basa sul codice binario e converte in bit (binary digit) le informazioni che vuole elaborare. Quando si parla di passaggio dall'analogico al digitale si intende quindi il processo attraverso il quale l'informazione viene "digitalizzata" → trasformata cioè in un linguaggio numerico binario. La TV del digitale terrestre era "analogica" → per sintonizzare un canale bisognava cercare la frequenza e anche se non era perfetta si poteva intuire qualcosa attraverso la nebbia elettronica; oggi con il digitale terrestre il segnale è discreto, il canale si vede o 20 non si vede. . In senso stretto, la digitalizzazione significa la codifica delle informazioni in formato digitale → cioè numerico binario; in senso più ampio rappresenta il passaggio che ha caratterizzato gli ultimi decenni, che ha visto l'utilizzo sempre maggiore delle scienze informatiche e delle sue tecnologie. ( I primi computer sono stati i mainframe) . La digitalizzazione è stata possibile anche grazie alla "miniaturizzazione" e cioè alla costante riduzione delle dimensioni dei calcolatori elettronici in seguito all'utilizzo dei nuovi materiali e all'innovazione tecnologica, fattori che hanno consentito di modificare il modo in cui gli individui fruiscono le informazioni. .Un altro elemento che si aggiunge è quello della compressione delle informazioni. La codifica digitale consente di comprimere i dati in modo da occupare poca memoria ed essere "più leggeri" negli scambi tra supporti (es. mp3). È chiaro che questa riduzione compromette in parte la qualità del dato digitale ma nella maggior parte dei casi non si tratta di qualcosa di percepibile dai sensi umani. . L'altra caratteristica della digitalizzazione è l'aumento delle prestazioni, solitamente espresso dalla Legge di Moore. Gordon Moore, cofondatore di Intel, enunciò la legge nel 1965, si intendeva che i computer avrebbero aumentato la loro capacità di calcolo costantemente grazie allo sviluppo di processori sempre più potenti, sempre più piccoli. Questo è stato vero fino ad ora, ma secondo alcuni limiti fisici che riguardano il numero possibile di transistor presenti su un chip, stanno inevitabilmente frenando il continuo aumento delle prestazioni. Oggi si parla di nano chip, che hanno dimensioni infinitesimali e il cui limite è dato dallo spazio occupato dagli atomi che lo compongono. La digitalizzazione dei contenuti influenza anche il modo in cui i contenuti vengono prodotti, veicolati, distribuiti. Mindware → strumenti della mente - de Kerckhove Per internet ciò che è analogico semplicemente non esiste. Ibridazione e convergenza Quando si parla del fenomeno della "convergenza multimediale" → si intende la fusione dei contenuti (video,audio), supporti(computer, TV), e distribuzione (come i contenuti arrivano al supporto). Parleremo indifferentemente di convergenza o ibridazione, anche se per alcuni sono due termini distinti, perché il primo è più ampio e il secondo più specifico e fa riferimento agli aspetti puramente tecnici che si fondono nei diversi media. Facciamo esperienza della convergenza ogni giorno→ quando consultiamo una mappa del nostro smartphone, non lo stiamo trattando solo come un telefono. La convergenza è un fenomeno evidente, quotidiano e molto sfaccettato. L'idea della convergenza tra i media è stata largamente utilizzata da Ithiel de Sola Pool → il quale agli inizi degli anni 80 ha analizzato il sistema dei media di allora, sotto vari aspetti. . Pool sostiene che a partire dal XIX secolo i media sono stati raggruppati e divisi in tre aree: 21 1. I vettori→ le reti per il trasporto delle comunicazioni 2. L’editoria→ riguardava la produzione dei contenuti 3. Il broadcasting → comprende le reti radio televisive. Sta a indicare la modalità di irradiazione del segnale, che viene da un'emittente verso un indistinto pubblico, cioè quella che viene anche comunemente detta comunicazione da uno a molti. Ogniqualvolta appariva un nuovo medium, questo veniva inserito per analogia all'interno di una delle tre aree, di cui di conseguenza assumeva le caratteristiche giuridiche sociali. → Il sistema tripartito però è stato messo in crisi nel XXI secolo dall'avvento di molti nuovi media che si sono posizionati a cavallo fra le tre aree. Per esempio, quando negli USA durante gli anni 70 si diffuse la TV via cavo, il legislatore si trovò a decidere se si trattasse di un vettore, per analogia con le altre reti, o di broadcasting, per analogia con il sistema radiotelevisivo. → Si trattava cioè di definire se gli introiti sarebbero arrivati dal pagamento di una tariffa per il trasporto del messaggio oppure dalla pubblicità e dagli abbonamenti. Si decise per la seconda ipotesi→ si ritenne che in tal modo lo sviluppo della tecnologia sarebbe stato più rapido. Con la digitalizzazione queste decisioni sono diventate sempre più difficili e lasciate alla deregulation, che sostituisce la decisione legislativa con l'azione del mercato→ oggi i media condividono lo stesso linguaggio, si mescolano tra loro ed erodono la "tradizionale corrispondenza biunivoca" con le diverse forme di comunicazione. Nello specifico, secondo Bettini (2001), la convergenza multimediale vede la sua realizzazione nella digitalizzazione pervasiva e nella combinazione di due sistemi prima separati → cioè l'industria dei media tradizionali e il settore delle telecomunicazioni, che si articola su tre livelli: 1. La produzione dei media → si tratta della convergenza di attività e metodi gestionali differenti nelle imprese multimediali. I nuovi media si collocano in un punto cruciale, perché sono sempre più pervasivi e disseminati rispetto ai classici broadcaster, che possono così sia conservare posizioni e mercati esistenti, sia sfruttarne di nuovi. 2. Le tecnologie → i canali non sono più, come diceva Pool, l'elemento distintivo tra i diversi media. Per quanto riguarda lo smartphone è emblematico per la convergenza → in un unico supporto confluiscono telefonia, computer, Internet, televisione, registrazione, ecc. 3. I contenuti simbolici→ la convergenza in tal senso riguarda la crasi dei linguaggi simbolici utilizzati dei vari media che si perdono tra loro, che significa non solo il modo in cui vengono confezionati i contenuti, i codici utilizzati, ma anche la forma che viene loro data. (es. reality show, pur essendo prodotti eminentemente televisivi, sono preparati per essere trasversali rispetto a diversi canali : web, editoria, frequenze dedicate del digitale terrestre). È chiaro che la convergenza multimediale investe tutto il sistema dei media, andando anche a ridefinire la relazione vecchi media-nuovi media. .È grazie a Henry Jenkins che la riflessione si è ampliata fino a comprendere la dimensione più propriamente simbolica e sociale, cioè quella culturale. 22 - il principio di "metamorfosi"→ la continua rinegoziazione di ogni elemento della rete ipertestuale da parte di tutti gli attori coinvolti - “ l'organizzazione frattale”→ per cui un modo può essere costituito a sua volta da una rete e così via; - l’ “esteriorità” → ovvero la mancanza di un'unità organica e quindi la sua variabilità dipendente da un esterno indeterminato; - la "topologia"→ negli ipertesti, tutto funziona secondo il principio di prossimità e vicinanza; la "mancanza di centro", o meglio la continua mobilità di diversi centri. Intelligenza collettiva Grazie a queste caratteristiche dell'ipertesto diventa per Lévy il punto di partenza nello sviluppo della sua teoria di "intelligenza collettiva". Quest'ultima viene definita come "un'intelligenza distribuita ovunque, continuamente valorizzata, coordinata in tempo reale, che porta a una mobilitazione effettiva delle competenze"; nella rete, l'individuo è solo un cervello che entra in contatto con altri cervelli, con cui comunica, nel senso che mette in comunione saperi e pensieri. L'intelligenza collettiva è tale perché aumenta la conoscenza a disposizione di un pubblico sempre più vasto, ma soprattutto perché queste conoscenze sono condivise, negoziate, reinterpretate, coordinate; non c'è fissità, ma nemmeno disordine. Intelligenza connettiva Derrik de Kerckhove teorizza invece l'intelligenza connettiva → insiste sulla continuità tra menti, macchine, tra computer e cervelli, che messi in connessione funzionano in modo sempre più simbiotici. Nella rete, mente e computer diventano reciprocamente ancora più intelligenti. L'intelligenza connettiva è dunque una nuova condizione cognitiva di condivisione di risorse e scambio tra menti e macchine, in cui progressivamente si perderà la distinzione tra le une e le altre a favore di un continuo miglioramento reciproco. Interattività Interattiva è quella tecnologia che interagisce con noi, che ci permette di fare delle cose, che risponde attivamente e immediatamente ai nostri input, sollecitazioni; che cambia in relazione a esse. Quasi tutti i media digitali interagiscono con noi, secondo la definizione di Jensen, l’attività è "la misura della potenziale facoltà dei media di lasciare che l'utente eserciti un'influenza sul contenuto e sulla forma della comunicazione mediata". Quasi tutti i media digitali interagiscono con noi → sempre di più → internet delle cose → smart object In tal senso, i media sono posizionabili su tre livelli di interattività: 1. Alla base si trova l'interattività "selettiva"→ che definisce la facoltà dell'utente di scegliere un contenuto. 2. Al secondo livello troviamo l'interattività “conversazionale” → riferita alla possibilità dell'utente di produrre e inserire informazioni. 3. Infine l'interattività "registrativa"→ che riguarda la capacità del sistema di adattarsi alle informazioni inserite dell’utente. 25 Si va quindi da un'interattività di base, come quella della consultazione di un DVD, ad un livello successivo in cui l'utente può intervenire attivamente, come sul web, fino a un massimo rappresentato dall'intelligenza artificiale (software Al “AlphaGo”). L'interattività è un concetto che è stato ampiamente analizzato soprattutto nell'ambito degli studi sulla realtà virtuale sui videogiochi. In tal contesto, elementi principali di un medium interattivo sono: - La velocità→ si intende il tempo di risposta del sistema all'input dell'utente, la cui massima realizzazione è l'alterazione in tempo reale, immediata, dell'ambiente e mediato da parte dell'azione dell’utente; - La "gamma"→ fa riferimento al numero di elementi dell'ambiente mediato che l'utente può manipolare. - Il "controllo"→ modo in cui le azioni umane sono connesse alle azioni nell'ambiente mediato. Esso può essere un controllo "arbitrario", in cui la relazione tra un comando e la sua esecuzione è frutto di una scelta; oppure può essere un controllo "naturale", per cui se uso il controller con una chitarra si terrà un determinato suono durante il videogioco. A uno sguardo più ampio, l'interattività mette al centro l'utente, che non è più solo tale, ma diventa parte attiva del processo comunicativo, sia in termini partecipativi ma anche in termini produttivi. La personalizzazione basta pensare al primo vero dispositivo personale: il walkman (primo dispositivo portatile che ha consentito di ascoltare la musica ovunque). Esso ha stravolto la fruizione della musica → è diventata personale e mobile, e ha iniziato a creare quella bolla in cui verranno inseriti più avanti gli utenti della telefonia mobile. Gli elementi principali che definiscono il processo di personalizzazione sono: 1. Personalizzazione dei contenuti → l'utente seleziona materiali preesistenti→ si costruisce un prodotto su misura. Alle scelte dell'utente, che seguono una logica pull (il processo per il quale qualcosa è prodotto in seguito una richiesta dell'utente, quindi l'azione conseguente a una domanda), si aggiungono anche i suggerimenti del sistema elaborati sulla base del profilo dell'utente stesso grazie al cookie e log file, che invece sia con una logica push (si intende invece quando la domanda è anticipata dal sistema che propone senza che tu tanto abbia chiesto nulla). Il risultato è un'offerta altamente ritagliata - taylored - sull’utente; 2. Personalizzazione di tempo e spazio→ i consumi mediali non sono più vincolati ai tempi di produzione e distribuzione, né agli spazi in cui sono collocati i supporti e le tecnologie tradizionalmente previste per la fruizione mediale. Le tecnologie streaming e on demand permettono al fruitore di vedere quello che vuole quando vuole. L'idea di "perdere" qualcosa in TV si svuota di senso. Elementi principali sono costituiti dall'offerta a disposizione dell'utente e dei sistemi tecnologici che gli permettono di fruire i contenuti in modo svincolato da tempo e spazio. Quest'ultimo fenomeno è reso possibile dai "media nomadi" → cioè quei dispositivi portatili wireless che ci permettono di essere collegati ovunque ci troviamo. Stiamo progressivamente giungendo alla realizzazione del "computer ubiquo" per cui ogni oggetto nella nostra vita quotidiana diventerà smart; 3. Personalizzazione della produzione → si tratta della diffusione di pratiche di 26 consumo e produzione mediale parallele a quelle delle industrie culturali. Ci sono almeno due aspetti differenti da considerare. In primo luogo, la manipolazione dei prodotti mediali, che si traduce nella combinazione di elementi offerti e che spinge alla propria azione vera e propria. È il caso del file sharing e delle pratiche di download più o meno legali. Le tecnologie peer to peer hanno permesso la condivisione di file tra utenti, senza passare per alcun server. In secondo luogo, le interfacce grafiche interattive, la portabilità delle tecnologie, l'abbassamento dei prezzi e la diffusione di software progettati in base allo user centered design hanno reso la tecnologia più facile da usare e alla portata di chiunque. Anche qui ci sono due aspetti da tenere presenti, da un lato si assiste sempre di più alla produzione mediale e culturale da parte di soggetti esterni o marginali rispetto alle industrie culturali, che poi ne vengono assorbiti. .Dall'altro,la diffusione degli smartphone ha evidenziato la funzione di prosumer degli utenti. Prosumer Con prosumer si intende il fenomeno per il quale chiunque sia dotato di un dispositivo digitale di foto o video registrazione diventa un potenziale produttore di contenuti media. (Si pensi a siti come YouReporter in cui vengono pubblicati video di cronaca girati da normali utenti) → qui si va oltre la dicotomia professionista-dilettante, nel senso che i video non sono giudicati per la loro qualità estetica ma per la veridicità di ciò che riprendono. → Qualunque evento diventa documentabile da parte di chiunque abbia un cellulare in tasca, spesso molto prima che arrivino gli operatori professionali. Dalla crossmedialità al web collaborativo . L'avanzata del web 2.0, del web sociale che sollecita la partecipazione dell'utente, la personalizzazione dei contenuti, amplia l'idea di convergenza multimediale, che viene sempre più definita come “crossmedialità”→ potremmo definirla come la convergenza 2.0. In tal senso i contenuti vengono prodotti ovunque e poi diffusi trasversalmente su svariate piattaforme web. La crossmedialità veicola ancor più l'idea della globalità dei contenuti disseminati attraverso il web e non solo. Il sistema dei media oggi è crossmediale nel senso che fonde tutti i media e tutti i contenuti attraverso il web, sempre più in tempo reale. Al centro del sistema c'è l’utente. YouTube (broadcat yourself) è centrale nella riflessione sui prosumer, perché permette a chiunque di caricare i video di quasi qualsiasi tipo, ma soprattutto uno dei protagonisti della crossmedialità, dal momento che fornisce una piattaforma facilmente utilizzabile rappresenta un immenso repertorio a cui attingono anche i media tradizionali. I protagonisti della crossmedialità sono sempre gli utenti, i quali diventano il fulcro di qualsiasi nuova proposta online, nel senso che sono chiamati sempre più a contribuire. .Lo user generated content è la chiave di molte piattaforme che fornisce video in alta qualità, vi è poi anche tutto il mondo legato alla fotografia. Ci sono svariate forme di partecipazione → da un lato c'è il web social, con Facebook, LinkedIn; dall'altro il "web collaborativo”. Il web collaborativo fa ancora qualcosa in più → offre agli utenti continue possibilità 27 3. Libertà di ridistribuire copie in modo da aiutare il prossimo 4. Libertà di migliorare il programma e distribuirne pubblicamente i miglioramenti apportati, in modo tale che tutta la comunità ne tragga beneficio. Il prerequisito per realizzare queste libertà è che il codice sorgente sia aperto → cioè che il file scritto dal programmatore che ha realizzato il software sia reso accessibile a tutti. Stallman e la sua fondazione promuovonpo invece il progetto Gnu → piattaforma software libera, al cui interno si celebra il free software più celebre → Linux (concorrente di windows) → non significa che sia privo di tutele della proprietà intellettuale La free software fundation ha elaborato una licenza Gnu/Gpl → per proteggere l’autore e il prodotto da chiusure del codice o privatizzazioni. La Gpl è diventata la base di altri tipi di → Licenze copyleft* sono quattro clausole che indicano i principi a cui attenersi per usufruire di un'opera e dalla loro combinazione derivano sei tipi di licenza. Le quattro clausole sono: 1. Attribuzione (By) 2. Non commerciale (Nc) 3. Non opere derivate (Nd) 4. Condividi allo stesso modo (share a like - Sa). Su Linux si basa anche lo sviluppo di Android, sistema operativo per dispositivi mobili di proprietà di Google→ si tratta di un software open source che, come dice la parola stessa, il codice aperto, ma in senso diverso rispetto al free software. Se quest'ultimo è retto da motivazioni di tipo sociale anche politico, l'open source si basa in modo quasi antitetico sulla volontà di sfruttare commercialmente le potenzialità di un software condiviso, che viene migliorato da una comunità di esperti che in virtù della sua gratuità può far diventare concorrenziale un dispositivo rispetto a uno con software proprietario. Oggi sebbene free software e open source siano praticamente la stessa cosa in termini tecnici, chiusa l'una o l'altra espressione deve fare i conti con significati simbolici estremamente differenti→ da un lato c'è la rivendicazione di "un sistema di valori alternativi ed alcuni valori corretti del capitalismo→ condivisione piuttosto che segretezza, libertà piuttosto che profitto”. Dall'altro lo sfruttamento commerciale del codice aperto non si inserisce nell'industria del software approfittando dei vantaggi dati dalla progettazione condivisa. Il software libero e l'open source sono elementi inscindibili dei nuovi media oggi. Si basano sulla collaborazione tra utenti e sulla loro partecipazione. Dai software, ai servizi, all'accesso, la questione della propensione degli utenti a pagare o meno è un elemento sempre più centrale nella riflessione e nella diffusione dei nuovi media. CAP 4 - MEDIA DIGITALI TRA IDENTITA’, INTERAZIONI E GESTIONE DEL SELF Identità e nuovi media Oggi siamo circondati da tecnologie della comunicazione, investiamo le molte energie in pratiche che cambiano la nostra posizione all'interno del paradigma comunicativo→ ciascuno non è più solo oggetto della comunicazione altrui (TV, giornali, radio), bensì soggetto di questa. Un mutamento sempre più alla portata di tutti e che trova una 30 chiara espressione non solo nei cosiddetti early adopters→ cioè coloro i quali utilizzano le nuove tecnologie prima che queste diventino molto diffuse. La svolta descritta coinvolge la vita sociale e va a reinterpretare la relazione tra la comunicazione interpersonale e quella di massa. A fianco di quest'ultima nascono nuove occasioni di comunicazione e connessione che assumono cambiamenti sia sul versante quantitativo sia su quello qualitativo. Alla base di tutto c'è la propensione dell'attore sociale a "farsi media"→ a diventare soggetto della comunicazione anche grazie all'interiorizzazione delle logiche e dei linguaggi mediali. Il linguaggio dei mezzi di comunicazione viene fatto proprio ibridando con quello della vita quotidiana, grazie alle occasioni che i media digitali mettono oggi a disposizione. Da un lato c'è l'appropriazione del dispositivo mediale e dall'altro un lavoro allo stesso tempo riflessivo e di interiorizzazione dal punto di vista del lettore/spettatore. Le scienze sociali spiegano che l'identità di ciascuno si trova in un rapporto dialettico continuo con la società. Oggi i suoi confini si allargano, ma l'identità rimane pur sempre al centro del rapporto tra me e le altre persone. Da sempre i media hanno avuto un ruolo rilevante nelle dinamiche identitarie, fornendo spesso la possibilità di entrare in contatto, ad esempio attraverso i romanzi e i serial televisivi, con sfere esperienziali e modelli di riferimento non direttamente accessibili nella vita quotidiana. Media digitali e identità . Continuamente, durante il corso della vita, ciascuno di noi si interroga sulla propria identità attraverso differenti livelli di consapevolezza. In questo percorso, le domande che ogni individuo si pone assumono essenzialmente due forme che vanno a toccare rispettivamente: 1. Identità personale→ riguarda il desiderio costitutivo del soggetto di considerarsi un'individualità diversa da tutte le altre e pone le sue fondamenta sulla propria storia e sulla corporeità; 2. L’identità sociale→ concerne le dimensioni intersoggettive e condivise dell'identità, contemplando l'esperienza in quanto azione situata all'interno dei ruoli delle relazioni in cui ogni individuo è immerso. La Vita è un'istanza relazionale e passa da tutti quegli strumenti che permettono, anche in forma mediata, le relazioni, media digitali compresi. I media digitali sono strumenti importanti in cui e con cui i differenti attori costruiscono e mettono alla prova la propria identità. Le piattaforme sociali e i nuovi media offrono ciascuno nuovi modi di rappresentarsi e riarticolano le dimensioni pubbliche e private ridefinendo i confini. Costruire la propria "faccia" (Goffman) significa oggi curare anche la presentazione del sé che viene fatta mediante i nuovi media. Aprire un profilo su una determinata piattaforma, scegliere una foto degna di presentarci, iscriversi a un particolare gruppo, postare notizie o commenti politici, linkare canzoni e così via, sono tutte azioni che fanno parte della selezione delle nostre caratteristiche per consegnare una facciata pubblica della nostra identità. Tutto ciò viene calibrato anche in base alla piattaforma, perché, come dice Goffman, ogni situazione prevede specifici comportamenti anche in relazione ai pubblici di riferimento. Goffman → ciascuno di noi incarna differenti ruoli nella vita di tutti i giorni - necessità di self molteplici e compositi → difficile perchè i pubblici di riferimento potrebbero 31 sovrapporsi .L'avvento del web sociale crea un importante spartiacque all'interno dell'analisi del rapporto tra identità e media digitali. Nel primo periodo di analisi dei media digitali spesso è stata tracciata una netta linea di demarcazione tra il mondo online e quello offline. Frequentemente i due universi sono stati descritti come separati e aventi qualità del tutto differenti → una divisione che vedeva una vita parallela, quella online, in cui potevano venire sospese regole di comportamento valide offline. . Per alcuni autori lo spazio "virtuale" è concepito come un miglioramento di quello "reale" → un luogo privo di materialità e disembodied, in cui vi è un iper-realizzazione del reale, una zona ricca di libertà e isolata dalla realtà esteriore, dov'è possibile la sospensione del suo fisico. Per altri il "virtuale" è non autentico, una brutta copia del reale. In questo caso il rischio maggiore sarebbe rappresentato dal pericolo di inquinamento della vita reale da parte del mondo virtuale, dalla perdita del sé e dalla possibilità che nascono forme di dipendenza. In passato nell'analisi si sono soffermati maggiormente sulla presentazione del sé online, visto come qualcosa che si separava dall'identità personale per inserirsi in una serie di pratiche, come l'abbellimento virtuale, il multitasking identitario (avere più profili con identità differenti), o il gender swapping, fondate sull'equazione corpo=identità; equazione che nei digital media e nella comunicazione mediata in generale risulta poco credibile. È stato dimostrato come la vita "virtuale" in Internet non sia mai decontestualizzata o disincarnata. Questi studi sono ormai d’accordo sul fatto che lo spazio digitale è materialmente reale, socialmente regolato e discorsivamente costruito. Gli spazi fisici e quelli digitali vanno pertanto a fondersi in un continuum che perde l'accessione reale/virtuale, online/offline per definirsi in toto semplicemente come esperienza interazione, che sia essa mediata o meno. → Se in passato il gioco dell'identità consisteva nel fingersi qualcuno diverso da noi, oggi il continuo confronto con gli altri utenti, la valutazione dei feedback che riceviamo, il riconoscimento che otteniamo attraverso quello che mostriamo in rete, fanno parte di un processo che si allontana dalla finzione per avvicinarsi invece il continuo dialogo tra identità personale sociale che avviene nella vita quotidiana. Soprattutto nei social media, dove l'anonimato va a sfumare verso un riconoscimento diffuso rispetto a un numero di connessioni molto ampio, l'interazione mediata dal computer diventa quindi pura interazione. Gli identity playground (Reid, 1996) si trasformano spesso da territori in cui giocare l'identità in spazi dove metterla alla prova, per formarla, modificarla anche rispetto agli altri. I media sociali possono aumentare l'accesso alla prima intimità, ma la performance identitaria che ciascun soggetto compie all'interno degli spazi digitali è messa in atto con forti intenti di desiderabilità sociale (utilizzato per descrivere quell'effetto di disturbo che può essere presente in una ricerca quando un soggetto che risponde a un'indagine dà risposte che possono essere considerate più accettabili socialmente) che portano strategie di costruzione della facciata e di riflessività ben specifiche. Il raccontarsi attraverso i nuovi media trascende pertanto la semantica del vero e del falso, del reale e del virtuale, che perdono la loro valenza analitica nell'epoca del web 32 . Con virtual togetherness Bakardjieva vuole superare le accessioni normative che sorreggono l'idea di comunità → la socialità online infatti può assumere altre forme oltre a quella comunitaria. Secondo l'autrice bisogna trascendere il dualismo che contrappone la socialità in rete con quella "reale", poiché la seconda non sarebbe il contrario della prima. La vera distinzione sta tra un uso del web che prevede l'interazione con gli altri e il consumo in modo isolato di beni e di servizi che la rete mette a disposizione. Nella virtual togetherness il sociologo in questione distingue diverse tipologie di relazione sociale digitale, che si muovono all'interno del continuum formato tra il modo del consumo e il modo della comunità. - Il primo modello è quello rappresentato dall’infosumer (chi usa i media digitali semplicemente per cercare informazioni). L'utente di questo tipo non partecipa alla vita sociale svolta dagli altri membri, si comporta quasi sempre da lurker (è un utente che ha scritto una mailing list o che frequenta forum, blog e così via, legge con attenzione i messaggi, ma non ne scrive o ne invia mai di propri). - Il secondo tipo è quello dell’instrumental relations. Internet rimane pur sempre una fonte di informazione, ma c'è un maggiore interesse a interagire con gli altri membri della comunità di riferimento. Lo scopo è quello di raccogliere informazioni ritenute utili e importanti. Questi soggetti, una volta risolto il problema informativo, non interagiscono più con la comunità di riferimento, tali soggetti non utilizzano la rete solo per informarsi ma stabiliscono in questi ultimi una forma di relazione. - Successivamente troviamo l’utente definito chatter → colui che ha uno stile interazionale in cui la socievolezza non ha confini. In questo caso il web è utile per incontrare persone e instaurare interazioni che si basano su esperienze personali ed emozioni. - Infine il modello comunitario (communitarian) vede l'uso della rete come una fonte di sostegno sociale. Quest'ultimo è offerto da una comunità che permette ai singoli di identificarsi con essa ed elaborare un sentimento di appartenenza. . Un'altra prospettiva interessante rispetto alla socialità digitale è quella descritta da danah boyd (2008)→ che definisce gli utenti dei media digitali e in particolar modo dei social media come pubblici connessi (networked publics). Boyd si domanda se è corretto parlare di comunità quando si prendono in considerazione i media digitali, poiché non sempre i membri che appartengono a reti costruite mediante i media digitali si conoscono direttamente e, spesso, gli interessi o i comportamenti condivisi sono limitati. Lui afferma che nella rete oggi c'è una crescente disponibilità di User Generated Content (UGC), assumono quattro specifiche caratteristiche: 1. Persistenza→ ciò che si esprime online è automaticamente registrato e archiviato; 2. Replica abilità→ i contenuti possono essere facilmente duplicati; 3. Scalabilità→ la visibilità potenziale dei contenuti nei pubblici connessi è molto grande; 4. Ricerca abilità→ nei pubblici connessi si può avere accesso ai contenuti mediante un sistema di ricerca. 35 Sul piano delle relazioni, i pubblici connessi sono sicuramente meno densi e vincolanti rispetto alle comunità tradizionalmente intese. Mentre le comunità tendono a durare nel tempo e a conservare gli stessi membri, creando dei legami profondi, uscirne può risultare difficoltoso → per i pubblici connessi è differente. Essi possono risultare molto più fluidi e transitori, pensiamo ad esempio al pubblico che si forma su Twitter attorno ad un hashtag*. Dinamiche della socialità in rete Le proprietà descritte in precedenza, danno vita, secondo danah boyd a tre dinamiche proprie della socialità in rete: 1) Per prima cosa le audience sono invisibili→ cioè non tutti i pubblici sono visibili quando un utente crea i suoi contributi online e, allo stesso modo, i pubblici non sono sempre compresenti. 2) In seconda istanza danah boyd fa emergere la mancanza di confini spaziali, sociali e temporali, che rendono complicato mantenere distinti i contesti sociali. È il caso delle foto che postiamo su Facebook senza ricordarci che il nostro datore di lavoro è il nostro "amico su Facebook”. 3) C'è una certa opacità dei confini tra pubblico e privato, che perdono la loro specificità in favore di una nuova maniera di intendere questi due spazi non più così distinti. I social media Tra le novità più interessanti apparse nel panorama mediale troviamo quel sotto insieme dei media digitali solitamente definito il web 2.0 (termine coniato nel 2005 da O’ Reilly; ancora non c'è un comune accordo su cosa possa essere definito tale ma ci sono alcuni concetti chiave che sono → l'architettura della partecipazione, il coinvolgimento di un numero più alto possibile di utenti e intelligenza collettiva, cioè un comportamento collettivo frutto dell'aggregazione di intelligenze di vari individui, gruppi sociali permessa dalle tecnologie) o web partecipativo. Con il termine social media si sottolinea perlopiù la componente comunicativa delle nuove piattaforme, enfatizzando il loro ruolo nella mediazione piuttosto che quello di tecnologie informatiche dedite alla mera gestione delle informazioni. A questa caratteristica si somma l'orientamento dei media digitali e la partecipazione degli utenti, cosa che rende intercambiabile il termine social media con altri quali web 2.0, web sociale, web partecipativo e così via. Il web offre altri servizi tra i quali: 1. I blog* che sono tra le più "antiche" piattaforme pensate per comunicare per essere utilizzate da un pubblico ampio e diffuso, e tra le prime ad aver implementato alcune tecnologie che poi sarebbero state riprese in tutti gli altri servizi web 2.0, come ad esempio i feed RSS* (I primi tipi di feed, cioè flussi di informazioni formattato in modo da essere interoperabili e interscambiabili fra diverse applicazioni e piattaforme. Solitamente vengono utilizzati per fornire agli utenti una serie di contenuti che sono aggiornati frequentemente). Il termine blog deriva dalla contrazione della combinazione tra i termini web e log → web-log cioè diario in rete, divenuto poi we-blog e infine blog. Sono siti Internet i cui contenuti sono gestiti dall'utente sono formati da post, cioè contenuti che vengono organizzati all'interno della pagina web in ordine cronologico, i lettori di 36 questo sito possono commentare differenti post aprendo piccoli dibattiti simili a quelli che si possono avere in un forum o in un newsgroup e che vengono definiti thread. Blood (2002) distingue differenti tipi di blog e cioè: - Log-style: una sorta di breve diario che trova spazio nella rete e in cui viene raccontata la propria vita quotidiana; - Filter-style: un blog che si concentra principalmente sul mondo esterno e fornisce ai differenti lettori svariati link che danno a chi naviga la possibilità di approfondire vari temi. Spesso contiene numerosi articoli provenienti da giornali online o altre piattaforme informative, va a porre la propria attenzione soprattutto su problematiche sociali (blog informativi); - Notebook-style: È una sorta di mix tra le due precedenti, esso si identifica maggiormente con gli interessi del blogger che lo gestisce, ha uno stile più narrativo e tratta solitamente di un tema specifico. Ci sono anche altri modi di catalogare un blog seguendo differenti caratteristiche, secondo la lettura di autori come Bar-Ilan (2005)→ I contenuti, i formati, gli autori e gli scopi. I contenuti fanno riferimento al tema centrale del blog, perciò quello che riguarda i formati si riferisce alle tipologie descritte da Blood e che sono state illustrate precedentemente. I blog poi possono essere catalogati in base al fatto che i post che si contengono siano scritti da un singolo autore o da più autori. Infine un altro parametro utile è quello rappresentato dagli scopi e dai potenziali pubblici → ci sono blog che si rivolgono ad amici e familiari e altri che invece sono dedicati a specifici utenti o differenti segmenti della popolazione di Internet. I blog definiscono il ruolo dei soggetti all'interno di un panorama comunicativo più complesso e fluido, in cui ciascuno può divenire emittente e non è relegato semplicemente al ruolo di destinatario dei messaggi. 2. I Social Network Sites (SNS), definiti da boyd ed Ellison (2007) come servizi web che hanno una natura e una nomenclatura che possono variare da sito a sito che permettono agli individui di creare un profilo pubblico semi pubblico con un sistema che ha i propri vincoli; costruire una lista di altri utenti con cui si possono condividere le connessioni; guardare e scorrere la propria lista di contatti e le loro azioni attraverso la piattaforma. Ad esempio Facebook* ci permette di creare un profilo personale rispettando però schemi prestabiliti → tutte le bacheche hanno una struttura simile, possono caricare foto, video, audio, ma lo possono fare considerando i vincoli e le indicazioni date dal fornitore del servizio. Si può identificare nel 2000 l'anno in cui ha iniziato l'espansione di queste piattaforme, che sono penetrate sempre di più nella vita di ciascun utilizzatore della rete fino a coinvolgere gran parte della popolazione mondiale connessa. Ci sono svariati Social Network Site, questi si distinguono l'uno dall'altro per gli scopi e le modalità offerte agli utenti, i quali organizzano i diversi gruppi di cui fanno parte con i differenti social media → la rete lavorativa con LinkedIn, quella amicale e familiare con Facebook. Le varie piattaforme si contraddistinguono per la loro architettura interna, per i 37 quanto sia fondamentale per la costruzione della propria identità personale. Privacy Se osserviamo il tema della privacy all'interno dei social media in prima istanza possiamo notare un'importante fenditura in quella che è la dimensione privata. Riportare in rete numerose informazioni sul proprio conto rende l'esposizione pubblica di ciò che normalmente è considerato privato, qualcosa che fa rivalutare il rapporto tra due dimensioni che spesso in passato sono rimaste separate, ma che già con i media elettronici avevano iniziato a confondersi. Il mutato rapporto tra pubblico e privato solleva due ordini di problemi → da una parte quelli connessi all'uso dei nostri dati da parte delle grandi aziende, il cosiddetto "dossieraggio digitale”, dall'altra l'accesso da parte di singoli alle informazioni private. Le tecnologie informatiche possono incrementare le minacce per la privacy a causa della mancata percezione spaziale dei confini dei differenti pubblici, per la persistenza delle informazioni e la facilità con la quale si può accedervi. In realtà però bisogna affiancare a questo l'utilizzo relazionale e identitario che i soggetti fanno dei social media. Esso può portare a quello che Barnes (2006) chiamò il paradosso della privacy → secondo cui gli adolescenti all'interno dei social media tendono a dare maggiori informazioni su di sé per aumentare l’intimità dei rapporti sociali, ma al contempo vorrebbero avere un controllo maggiore sui dati che inseriscono in queste piattaforme. Descriversi e dare molte informazioni su se stessi può voler dire esporsi maggiormente, ma al contempo mostrarsi in modo più efficace quindi farsi conoscere di più e gestire al meglio il selfbranding personale. La gestione della privacy quindi fa emergere un più ampio livello di discussione, che è quello basato sulla rappresentazione del sé, con il doppio legame che da una parte tende a tenere celate le informazioni personali e dall'altra deve fare i conti con la voglia di condividere con altri aspetti soggettivi intimi. Come ricorda Sonia Livingstone (2008), la privacy diventa, soprattutto per i giovani, un processo continuo in cui scegliere cosa nascondere e cosa rivelare. Tutto questo ci porta a rivedere i confini tra pubblico e privato, all'interno dei new media, più sfumati. Il mutamento di fondo si connette con una certa sovrapposizione dei contesti sociali e dei pubblici all'interno degli ambienti digitali. Con i social media tutto viene ridefinito → le variabili spazio-temporali, così come le modalità comunicative vanno a rimodulare all'interno di un panorama in cui le rigidità di questo tipo di divisione svaniscono. Di conseguenza anche il senso di controllo della divisione tra pubblico e privato si modifica, mettendo in discussione, da una parte gli spazi di ribalta e retroscena, e dall'altra i pubblici di riferimento. Si entra in quella che Boccia Artieri (2009) definisce intimità digitale → "uno spazio in cui si possono vivere forti condivisioni emotive senza che siano un preludio alla capacità di dare vita a relazioni profonde. È uno Stato nuovo di sperimentazione della relazione, in cui si produce un vicinato digitale senza necessità di profondità relazionale. È uno stato di difficile gestione emotiva e affettiva che rende complesso pensare oggi se stessi in chiave relazionale nell'equilibrio fra ambienti quotidiani reali e ambienti quotidiani digitali". C'è quindi una tensione continua tra pratiche di esibizioni e forme di intimità, tensione che si traduce in un intreccio perenne tra spazio online e offline, all'interno di un frame complessivo che trova nella realtà le sue pratiche, le sue rappresentazioni e le sue conseguenze. 40 CAP 5. I NUOVI MEDIA TRA DISUGUAGLIANZE E COMPETENZE I media digitali : chi è dentro e chi è fuori Tecnologie della comunicazione e informazione→ sempre più interconnesse e networked (voto elettronico). Nelle prime teorizzazioni sul ruolo dei media digitali e soprattutto di internet, si prospettavano grandi potenzialità di sviluppo. Alcuni autori come Ithiel de Sola Pool nel 1983, le ribattezzarono infatti technologies of freedom→ per la possibilità di accedere a una società dell’informazione globale e priva di barriere spaziali, capace di annullare i tradizionali vincoli al perseguimento di interessi e obiettivi dell’individuo, che poteva così essere finalmente libero. Dibattito tra i molti cyber-utopisti* (potenzialità democratizzanti e anti totalitarie del web 2.0 e dei social network) e i pochi cyber-scettici→ ostacolo per i primi: mancanza di accesso alla rete. Essere fuori o dentro la nuova rivoluzione digitale riguardava, banalmente, la possibilità o meno di connettersi alle opportunità del ciberspazio, condizione sine qua non per fruire delle sue immense risorse. Digital Divide In questo momento che nasce e si sviluppa la discussione sul “digital divide” → divario esistente tra coloro che hanno accesso alle nuove tecnologie informative e della comunicazione e coloro che non hanno tali opportunità. Internet è “potenzialmente” disponibile per ogni individuo in ogni angolo del globo ma, praticamente, continua a essere evidente l’esistenza di un divario tra continenti, tra nazioni, tra aree geografiche e contesti urbani → quindi laddove lo sviluppo delle reti e delle infrastrutture di distribuzione non riescono a supportare la tecnologia esistente e raggiungere effettivamente chiunque. Un divario che riguarda le disponibilità di spesa di ciascun nucleo familiare, che può più o meno disporre delle risorse, prima di tutto economiche, per acquistare dispositivi e servizi con cui fruire dei contenuti della rete. Castells : “l’accesso da solo non risolve il problema, ma è un prerequisito per superare la disuguaglianza in un società le cui funzioni e i gruppi sociali dominanti sono sempre più organizzati intorno a Internet”. I dati sul global digital divide offrono l’occasione di ragionare sulle dimensioni dell’esclusione dalle reti digitali di intere aree geografiche. I parametri utilizzati sono due: 1. La “dimensione” di Internet→ ovvero il numero totale assoluto degli utenti di un determinato Paese; 2. La “penetrazione” (o distribuzione) di Internet→ cioè il tasso di accesso di Internet all’interno di un dato paese o area geografica, calcolato come percentuale degli utenti della rete sul totale della popolazione. In termini di grandezze numeriche, cioè di dimensione, il continente asiatico è il bacino più grande di utenza di Internet con più di due miliardi di fruitori, seguito dal continente americano, poco sopra l’Europa. Al vertice opposto della graduatoria troviamo l’Africa, il Medio Oriente e l’Oceania. Questi dati però rappresentano l’aspetto visibile ma, tutto 41 sommato, meno significativo del fenomeno in oggetto. Per comprendere meglio come si distribuiscono gli utenti di Internet dobbiamo rapportare il loro numero assoluto con la popolazione totale delle differenti regioni. Evidentemente ogni Paese o realtà nazionale riflette fattori abbastanza singolari e ciascuno potrebbe essere considerato, a suo modo, un caso di studio. Le connessioni cellulari, allora, possono parzialmente risolvere il gap esistente tra Paesi ricchi e Paesi poveri, là dove la disuguaglianza riguarda una disparità di risorse tecnologiche. Digital divide in Italia In Italia più di uno su due ha accesso alla rete, ben al di sopra della media mondiale, mentre presenta un numero di contratti di telefonia mobile doppi rispetto alla media mondiale. Dal digital divide alle disuguaglianze digitali Il digital divide è entrato nel lessico degli studiosi a partire dal rapporto del 1999 Falling through the Net: Defining the Digital Divide, della NTIA→ è diventato popolare quando alcuni uomini politici americani, come Al Gore e Bill Clinton, iniziarono ad usarlo nei loro discorsi ufficiali. Alle origini, si trattò di un termine emerso inizialmente come un fenomeno circoscritto alla realtà statunitense e usato per distinguere atteggiamenti euforici o pessimistici nei confronti delle tecnologie. Un fenomeno multiforme rispetto al quale c’è da chiedersi quale sia il metodo migliore per “aggredirlo”. L’impossibilità a usare Internet rappresenti una fonte di disuguaglianza sociale, non solo individuale, può arrivare a investire lo sviluppo di intere nazioni o aree geografiche. L’utopismo insito nell’idea di una “società delle reti”, in cui si sarebbero annullati i meccanismi di disuguaglianza tipici della modernità, si lega all’attribuzione dei media della possibilità di produrre un innalzamento dei livelli d’integrazione sociale, grazie alla capacità di diffondere in maniera capillare a chiunque e ovunque quelle informazioni pubbliche che possono divenire “opportunità”. Alla base di quest’idea vi è quel paradigma→ che vede i media intervenire e modificare le differenze di sapere derivanti dalle disuguaglianze di istruzione e posizione sociale di cui gli individui dispongono. È l’approccio di quegli intellettuali che, come Shils e Bell* (approccio integrato: l’allargamento degli accessi e delle risorse grazie ai nuovi media della comunicazione è visto come un arricchimento per le classi inferiori → possono ridurre la distanza che le separa dalle élite) negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, Umberto Eco definiva integrati e che, in maniera diametralmente opposta ai teorici “apocalittici”, ribadivano la vocazione democratizzante delle società di massa e sollecitavano a una valutazione positiva del ruolo sociale dei media nel costruire occasioni di pubblico confronto su idee e contenuti finalmente disponibili a tutti, in contrapposizione alla gran parte del dibattito che insisteva sugli effetti negativi dell’industria culturale sugli individui e sui sistemi sociali→ il conformismo, l’atomizzazione e l’alienazione, l’esteso controllo sociale ecc. La problematica dell’accessibilità è diventata subito centrale prima nelle riflessioni e poi nelle politiche, un obiettivo era centrato sulla riduzione di quel gap che intercorre tra chi possiede e chi non possiede la possibilità di accesso alle tecnologie. Le prime direzioni assunte dal dibattito sul divario digitale si muovevano attorno alla classificazione, 42 L’espressione bricoleur high tech propone un modo diverso di osservare i processi di appropriazione delle nuove tecnologie della comunicazione. I giovani sono in grado di sfruttare tutte le potenzialità dei media elettronici e di combinarle non solo tra loro, ma anche con quelle dei vecchi media. I giovani bricoleur sono tali perché dimostrano di conoscere i significati simbolici delle tecnologie che utilizzano, nel senso che sanno scegliere nel loro equipaggiamento il mezzo più adatto per veicolare un determinato messaggio in quel preciso momento, in un processo di bricolage aperto, flessibile e quindi estremamente adattabile ai mutamenti che si susseguono sia in termini strumentali che simbolici. 3. Il genere: può rappresentare una fonte di disuguaglianza. Una situazione di salda presenza sulla rete da parte delle donne che ha visto annullare quello che per molto tempo è stato un vero e proprio digital gender divide. Verificando, in particolare, i dati relativi ai consumi giovanili, si può ritenere la collocazione nelle classi di età come più influente nel determinare divari nell’accesso alla rete rispetto al genere. Nel caso delle generazioni più giovani il divario di genere sparisce, per ricomparire in maniera marcata nelle fasce d’età successive. 4. L’istruzione: l’accesso ai nuovi media è strettamente correlato ai fattori culturali e, più in particolare, ai livelli di scolarizzazione, come nel caso della variabile di genere, non vi sono in realtà differenze significative per ciò che concerne i diversi livelli culturali posseduti tra le nuove generazioni. Se ci limitiamo alla distinzione tra haves e have-nots, la variabile culturale pare non essere tra le più rilevanti. Diverso se ci si sposta verso gli usi, più o meno elaborati che della rete si possono fare. Nei Paesi occidentali in particolare il dibattito da tempo si è spostato sulle differenze di banda e la velocità di downloading; sui sistemi di connessione fissa o di rete Wifi; sull’autonomia d’uso degli strumenti e le sue possibili differenziazioni. Ancora più specificatamente, a essere oggetto di riflessione sono le forme di utilizzo dei media digitali. È ciò che Hargittai (2002) chiama second-level digital divide → più l’accesso a internet si diffonde, maggiore rilevanza assume il tipo di capacità che si ha di sfruttare le potenzialità informative, relazionali o partecipative a disposizione. Una capacità che dipende dalle risorse economiche, culturali e sociali possedute. In questo senso, i nuovi problemi da affrontare sono le effettive competenze e abilità sia tecniche, riferite cioè a quelle necessarie alla gestione del dispositivo tecnico e della navigazione, ma anche alla capacità di ricerca e selezione delle informazioni, di comprensione critica e non passa dai contenuti, di gestione delle nuove opportunità di relazione online, amicale o professionale che sia. Se intendiamo mantenere valida la nozione di digital divide, è da intendersi come un continuum di diversi livelli di disuguaglianze nell’accesso, nell’utilizzo e nei benefici tratti dai nuovi media, che varia tra i due ipotetici poli della totale mancanza di accesso e di utilizzo appropriato ed efficace delle tecnologie. Se, originariamente, la chiave di lettura più frequentemente utilizzata per analizzare il rapporto tra le nuove tecnologie della comunicazione e i sistemi sociali ha avuto a che fare con il cosiddetto “determinismo tecnologico” → ovvero con l’idea che sia la tecnologia a stimolare, orientare o accelerare il mutamento sociale, le più recenti riflessioni mitigano questo approccio, insistendo sulla necessità di contestualizzare il 45 discorso stesso sulle innovazioni tecnologiche e la loro diffusione e di considerare la relazione stessa non come unidirezionale ma come un legame di interdipendenza. Le premesse sono: 1. Le forme assunte dalle tecnologie e i loro usi sociali sono il prodotto dell’attività umana e riflettono le idee e gli interessi di chi le ha progettate e su di loro ha investito. 2. Progettisti e utenti ripensano, riadattano e modificano continuamente la tecnologia in ragione delle necessità contingenti. Dai suoi albori, internet ha allargato il proprio bacino d’utenza arrivando a coinvolgere classi di individui che ne hanno stimolato il cambiamento. 3. Le tecnologie si inseriscono nelle pratiche sociali esistenti, adattandosi e modellandosi alle esigenze individuali. I processi di adozione di una nuova tecnologia paiono seguire un preciso percorso di diffusione che viene influenzato da opinion leader ed entra in un network di relazioni cruciale per la velocità di diffusione. La forma tipica, a S, della curva di diffusione, segnala come all’invio del processo poche persone, le più “innovatrici”, adottano la nuova tecnologia, vi è poi un’accelerazione improvvisa fino a quando in un certo contesto sociale, la metà circa degli individui adotta l’innovazione, per crescere poi con sempre minor ritmo fino a raggiungere il punto di saturazione. Per spiegare l’evoluzione del divario digitale e della diseguale diffusione in particolare di Internet, vengono tradizionalmente presentate due ipotesi: - “Normalizzazione” → ritiene naturale l’esistenza, nel primo periodo, di un divario nel possesso delle tecnologie che andrà via via normalizzandosi sino ad esaurirsi. L’ipotesi della normalizzazione considera i nuovi media come strumenti in grado di contribuire alla risoluzione delle disuguaglianze sociali esistenti → con una combinazione di libero mercato e contributi provenienti dalle istituzioni governative, il digital divide potrà essere superato grazie, per esempio, alla riduzione dei costi e all’introduzione di interfacce e dispositivi tecnologicamente più semplici e user friendly, che ne garantiscono la diffusione. Quest’ottica è chiaramente figlia della scuola liberista, che crede nel potere del libero mercato e nella libertà d’impresa come portatori di una sorta di miracolosa inerzia per cui, quando prospera il mercato, ne beneficia anche il resto della società; - “Stratificazione” → considera che le disuguaglianze create dai nuovi media si sommino a quelle già esistenti, rinforzandosi vicendevolmente. Ritiene che il divario d’accesso si inserisca in una struttura sociale già caratterizzata da disuguaglianze in termini di capitali economici, sociali e culturali posseduti dagli individui e dai gruppi, e che le tecnologie accentuano tali preesistenti disuguaglianze. Dopo la fase di saturazione, continua a mantenere attive le distinzioni fra i gruppi coinvolti. I ritardatari non avranno mai la possibilità di colmare il gap iniziale, mantenendo costante il divario di partenza, in qualche caso aumentandolo. Secondo questa visione la diffusione della tecnologia si andrà a intrecciare con una realtà sociale già ineguale e caratterizzata da ampi livelli di disuguaglianza che difficilmente si auto-livelleranno. I due modelli si distinguono principalmente nella previsione della diffusione tra la popolazione delle tecnologie per la comunicazione. Alcuni autori per avvalorare l’ipotesi della stratificazione della disuguaglianza, propongono un’interessante distinzione tra: 46 “prodotto”: l’acquisto di una tecnologia come prodotto (tv, radio) richiede un importante ma unico investimento iniziale di risorse “servizio”: l’adozione di un servizio (internet, lo smartphone) richiede invece il pagamento di un canone o di una tariffa a consumo, ripetuta nel tempo per poter usufruire del servizio stesso. Sono due differenti tipi di investimento. Approccio che si pone sulla scia di alcune tradizionali teorizzazioni → Effetti di lungo periodo sui cosiddetti “scarti di conoscenza” ( i knowledge gap) sono una teoria nota, secondo la quale a parità di motivazioni, gli status socio economici e culturali, il livello di istruzione, le abilità comunicative, le informazioni già possedute e i tipi di media di cui si dispone influiscono sulle capacità e soprattutto sulla velocità di acquisizione delle informazioni. Sono un insieme di fattori rispetto ai quali i media permettono di migliorare la propria posizione cognitiva di partenza o, al contrario, di peggiorarla rispetto quindi a una forbice sociale che, lungi dal restringersi si riproduce o si allarga ulteriormente. Si tratta di un circolo virtuoso/vizioso che privilegia chi già occupa posizioni elevate nella struttura socio-economica e culturale e penalizza gli altri, la realizzazione di quell’ “effetto San Matteo” che sottolinea come i vantaggi iniziali garantiscono ulteriori privilegi, secondo la logica del rich get richer → chi ha maggiore familiarità e dimestichezza con le tecnologie, avrà le opportunità che la rete offre, grazie a una più consapevole e articolata capacità d’uso e di ricerca. Chiamata anche teoria del vantaggio cumulativo formulata da Merton, riprende un versetto del Vangelo di San Matteo → divario sempre + ampio tra chi ha di più e chi ha di meno. Sono i vantaggi iniziali a cumularsi e amplificarsi, come una palla di neve fatta rotolare su una superficie scoscesa. I divari nell’uso di Internet Definire il digital divide nei termini di un continuum di disuguaglianze nell’accesso, nell’utilizzo e nei benefici che gli attori traggono dall’uso delle tecnologie della comunicazione e dell’informazione significa che ci si deve concentrare sulla seconda dimensione principale del divario digitale, quella relativa alle forme di utilizzo dei media digitali e, più specificatamente, la “frequenza”* d’uso, le modalità d’uso e le attività svolte. Vi è un’evidente influenza delle variabili socio-culturali e demografiche nell’indirizzare gli utilizzi delle risorse online. Tendenzialmente, a un più alto livello di capitale culturale e d’istruzione posseduto corrisponde un più ampio e variegato uso della rete e più basse frequenze di utilizzo della stessa ai soli fini di svago. Le fonti primarie di disuguaglianza sono quelle socio demografiche, culturali e d’istruzione, tant’è che, se l’intento è combatterle, favorendo un processo di piena inclusione nelle società dell’informazione, non è sul piano esclusivamente infrastrutturale che ci si deve porre, bensì su quello delle “competenze”. Competenze e literacy Come ci ricorda Van Dijk (2005), oltre alle più banali “competenze operazionabili” basilari, necessarie per adoperare i dispositivi tecnologici e software più comuni, occorre una ben più complessa e articolata capacità di gestione della ricchezza/sovrabbondanza informativa e relazionale presente in rete → “competenze informazionali”, e le “competenze strategiche” che indicano la capacità di usare le tecnologie della comunicazione più opportune in ragione degli specifici fini che intendiamo perseguire. Anche per quanto riguarda i giovani “bricoleur”, coloro che hanno maggiore familiarità con i nuovi media, vi è un problema di deficit delle cosiddette 47 La “cittadinanza digitale” diventa allora quell’insieme di opportunità, offerte alle nuove tecnologie, per rivitalizzare la relazione tra istituzioni e cittadini, così che questi ultimi siano sempre più inclusi nella vita politica e vi partecipino con continuità, condividendo la responsabilità delle scelte e della gestione della cosa pubblica. Come ci ricorda Pittèri (2007) i nuovi media possono delineare scenari di radicalità che poco hanno a che fare con i processi democratici→ determinare nuove concentrazioni di poteri e conoscenza, anziché la loro diffusione; imporre nuovi sistemi di controllo, piuttosto che favorire le libertà personali e civili; stimolare tendenze populiste e plebiscitarie, invece che scoraggiarle. Anche sul piano del dibattito politico, la rete ha i suoi limiti. Il problema, nell’analisi del ruolo che i new media ricoprono nei processi politici, sta nel non farsi abbagliare da quella nota di “mitizzazione” della democrazia elettronica che, tende a far prevalere l’idea che Internet costituisca un mondo di uguali, in cui vige la libertà di espressione, svincolato dalle appartenenze, siano esse ideologiche, culturali e geografiche. Esperienze del free software e open source → dimostrano che è possibile dar vita a esperimenti di egualitarismo informatico. Il web è anche pesantemente colonizzato dalle grandi company multinazionali; è presidiato da stringenti leggi a garanzia dei copyright, è connotato da forme e strumenti di controllo inattivi della privacy dell’utente. A ciò dobbiamo sommare almeno altre due dimensioni, che concorrono all’apertura democratica dei sistemi politici e amministrativi: - Da un lato la propensione all’introduzione e all’adozione dei nuovi media da parte delle élite politiche al fine di incentivare la partecipazione dei cittadini ai processi politici e decisionali è troppo spesso più “formale” che sostanziale; l’offerta di opportunità di partecipazione digitale è generalmente scarsa e più che a ragioni di tipo culturale, risponde a logiche economiche di revisione della spesa pubblica e quindi orientata al risparmio e al taglio di risorse, piuttosto che a un investimento su reti, professionalità e competenze che portino allo sviluppo reale di nuove possibilità di interazione con i cittadini; - La questione tocca poi la capacità dei cittadini stessi di incrementare i propri livelli di partecipazione ai processi politici e decisionali. Se è diffusa la consapevolezza che i new media possono condurre alla risoluzione di alcuni problemi e la tendenza all’uso di Internet è aumentata, di contro solo una minoranza di persone accede effettivamente alle risorse online di partecipazione→ individui fortemente scolarizzati, di estrazione sociale medio-alta, già normalmente utilizzatori della rete. La sfera pubblica digitale Molta della politica contemporanea assomiglia a un “prodotto da vendere” entro un mercato in cui l’elettore appare più come una sorta di cliente che deve scegliere una “marca” che non come un cittadino. La comunicazione politica attuale è denominata dalle “personalità”, che spesso vengono costruite addirittura su misura. Per una tendenza, tipicamente televisiva di aprire la comunicazione verso la vita privata anche rispetto ai rappresentati politici ci si interroga di meno sulle qualità che possiedono per ricoprire adeguatamente il ruolo per cui si sono candidati; di contro vi è maggior desiderio di conoscere la loro vita privata, sentire che anche il politico è una persona coinvolta, almeno all’apparenza, nei vizi e nelle virtù che accomunano tutti. In occasione dell’elezione del sindaco di una città, della città di un ministro ecc.., i media 50 si occupano di fornire notizie di vario genere sulla vita privata, sui suoi gusti o preferenze, in ogni campo. Questa tendenza alla “vetrinizzazione” che vede i media trasformarsi in un vero e proprio palcoscenico sul quale esibire la propria privacy. Si tratta di un esito di un percorso lungo, le tappe fondamentali sono: 1. Scoperta della stampa→ come fattore di autonomizzazione della produzione e diffusione culturale, che ha portato alla riproducibilità pressoché illimitata dei prodotti culturali; 2. l’avvento delle sfere pubbliche statali→ nelle nascenti società di massa ottocentesche, caratterizzate dalla crescente inclusione nei processi di cittadinanza e partecipazione, grazie all’incremento del tempo libero e filtrate da un’arena mediatica sempre più pervasiva; 3. La trasformazione della politica→ sviluppo del leaderismo democratico e affermazione del populismo mediatico. Il ruolo della rete web 2.0 è il punto d’avvio di un processo di mediatizzazione* (a un primo livello si intende introduzione di tecnologie dell’informazione, poi come un complesso insieme di effetti derivanti dalla progressiva diffusione dei nuovi media→ trasforma il pianeta in villaggio globale → chiunque da qualsiasi parte può comunicare) delle relazioni sociali che ha in comune proprio l’apporto determinante delle tecnologie della comunicazione nel modificare e riorganizzare ambiti e settori della vita privata e di quella collettiva. Habernas (1971) aveva definito l’idea stessa di “sfera pubblica”→ cioè di un luogo in cui si forma l’opinione pubblica attraverso la discussione di temi di interesse pubblico tra privati individui, per negoziare assieme le regole di vita comune, è da porre in stretta relazione alla comunicazione e alla sua evoluzione mediale. I new media danno modo a un numero sempre maggiore di individui e gruppi di partecipare direttamente alla produzione di saperi, informazioni e conoscenze, aumentando il grado di “pluralismo” delle società contemporanee. Come osservato da Dahlgren (2005), la sfera pubblica in rete, “cyber-trasformata”, può essere guidata dagli interessi di gruppi e utenti, che assolvono in forma nuova quella funzione di sorveglianza democratica che tradizionalmente riguarda la stampa e le strutture professionali legate ai gruppi di potere economico o politico, prendendo la parole in prima persona nel dibattito pubblico. In questo senso, la sfera pubblica tradizionale si caratterizza per dei processi di intermediazione* (insieme di strumenti che regolano la circolazione delle informazioni, opinioni, interessi) tra pubblico e conoscenza, socialmente accettati, messi ora in discussione dai nuovi media, che hanno posto i cittadini nelle condizioni di avere immediato e diretto accesso, ma hanno anche messo a disposizione degli individui vie e luoghi di interazione, discussione e formazione delle opinioni che sono indipendenti dal sistema dei mass media tradizionali. Questo processo di "disintermediazione" concerne i modi di produrre e distribuire le informazioni. Il citizen journalism che vede la partecipazione attiva dei lettori dà la possibilità di pubblicare notizie e commenti, rendendoli accessibili ad altri utenti, senza bisogno di essere professionisti dell’informazione e senza avere accesso alle testate giornalistiche. Soprattutto emergono altri canali e diversi criteri di selezione delle notizie in grado di discutere il ruolo di gatekeeping (riguarda l’insieme dei meccanismi e criteri, più o 51 meno consapevoli e standardizzati, grazie ai quali un evento viene filtrato ( keeping) o meno attraverso dei cancelli (gate) e diventa notizia), ma distribuito anche tra gli utenti, che possono valutare e pubblicare notizie e informazioni secondo parametri differenti. La rilevanza di un evento può emergere dalla rilevanza che la rete dà a un qualche caso particolare, è in questo modo che emergono notizie e contenuti che sono rilevanti per il dibattito pubblico, ma che nascono al di fuori dei processi controllati dai classici canali della comunicazione di massa, in una sorta di passaggio dalla democrazia dei partiti alla “democrazia del pubblico”, in cui prevale la costruzione di un legame diretto, sia politico sia comunicativo, tra leadership e cittadini. Il web tende a polarizzare il dibattito entro aree di discussione circoscritte creando quei rischi di “cyber-balcanizzazione” che, come ricorda Paccagnella (2004), vedono le comunità della rete selezionare i propri membri, verificando preventivamente la condivisione di opinioni e interesse. L’effetto è la costruzione di circuiti autoreferenziali dove ciascuno cerca solo le informazioni che corrispondono al proprio pensiero e interagisce solo con chi la pensa come lui. È attraverso la reciproca conoscenza, acquisita tramite i contatti e le interazioni con chi la pensa diversamente da me, che sono in grado di collocare le divergenze sulle questioni politiche entro una discussione democratica. Al contrario, la chiusura rispetto a chi la pensa diversamente mi porta alla non accettazione del mio avversario politico, che trasformo in un “nemico” da demoralizzare. I nuovi media paiono in ogni caso garantire ai cittadini “inclusività” e “universalità”→ significa dover porre l’attenzione sia sulle modalità di partecipazione, sia discutere della necessità, per il corpo politico, di relazionarsi e comunicare con i cittadini in maniera differente. La partecipazione politica in rete La rete è una delle modalità correnti di espressione della società civile e può contribuire alle funzioni di vigilanza, monitoraggio e controllo nei confronti del potere, “dal basso”. Come ricorda Bennett (2003, 2008), il modo più ovvio, ma anche banale, di considerare la relazione tra new media e politica è il ritenere le nuove tecnologie solo come strumenti di informazione o di organizzazione della mobilitazione politica. Sono la “cultura politica” e l’idea stessa di democrazia a venire trasformati dalle nuove possibilità del comunicare. Se, fino agli inizi degli anni 80, predominava la dimensione pubblica, caratterizzata da forme partecipative nei movimenti, ora in tutti i Paesi ricchi dell’Occidente pare emergere con maggiore rilevanza quella “privata”, centrata sui valori dell’autoaffermazione e sul consumo. Il coinvolgimento stesso dell’individuo alla vita pubblica pare orientarsi in base alle promesse di raggiungimento di fini privati, personali, con lo sradicamento della base identitaria legata alla classe o al gruppo di appartenenza. Alle forme di partecipazione si affiancano quelle “non convenzionali”, che non si iscrivono all’interno di una cornice istituzionale e possono essere isolate e estemporanee. Includono il prendere parte a una manifestazione attraverso diverse modalità (sit-in, flash mob), contattare o apparire nei media per esprimere le proprie opinioni in merito a questioni, partecipare a forum o gruppi di discussione in internet, firmare o accogliere firme, boicottare alcuni prodotti per ragioni politiche, etiche o ambientali, ecc.. Una partecipazione di una voice*(quando qualcosa non va, andarcene → exit; provare a cambiare le cose → voice) privatizzata, alimentata da quelle forme di comunicazione personalizzate che vedono gli elettori diventare attivi, critici e alla ricerca di un modo per farsi sentire e protestare. 52 non alle scelte in merito alle politiche da adottare ma a eleggere gli organi rappresentativi, prevedono un momento “consultivo” → in cui la scelta si esprime tramite un voto. Le soluzioni a supporto dell’e-vote → il voto elettronico utilizzabile nei processi elettorali istituzionali (elezioni e referendum), vanno dall’ informatizzazione degli uffici elettorali al conteggio automatizzato delle preferenze, all’espressione del voto tramite postazione remota, attraverso un computer. Rispetto al voto online, le tecnologie utilizzabili possono essere meno affidabili dal punto di vista della tutela della privacy ma consentire, con più efficacia, l’espressione del diritto alla partecipazione. Lo spazio dei movimenti Il concetto di movimento sociale ben si presta a rappresentare le domande di partecipazione politica diffuse nell'“età dell’informazione”. I movimenti sociali sono forme di azione collettiva condotte per la difesa di specifici diritti da parte di categorie sociali, culturali, etniche e sessuali che mirano al cambiamento della società contemporanea, concentrandosi, in particolare modo, su interessi post-materialistici*, (enfasi sul senso di appartenenza, autorealizzazione) di natura intellettuale o estetica, e su temi di tipo culturale e simbolico, riguardanti gli stili di vita e le identità. Le caratteristiche fondamentali di un movimento sociale contemporaneo sono: 1. L’abilità di sviluppare “interpretazioni e visioni della realtà alternativa a quelle dominanti”, che alimentano identificazioni collettive e il tentativo di produrre o resistere ai cambiamenti. 2. L’uso della “protesta come mezzo di pressione” sulle istituzioni. Ciò che contraddistingue il movimento sociale è l’azione conflittuale diretta, rivolta contro le autorità politiche, specifici codici culturali o altri gruppi. Le forme di protesta “non violente” sono rivolte all’opinione pubblica prima che ai rappresentanti. 3. I movimenti sociali sono “reti informali” che collegano una pluralità di individui e gruppi, più o meno strutturati da un punto di vista organizzativo. A ogni tipo di società corrisponde un modello di movimento sociale, come illustrato da Berzano e Cepernich (2003) → i movimenti sociali delle società post-industriali differiscono dai movimenti sociali tradizionali sia per le “forme” e le modalità di protesta, sia per gli “obiettivi” e i “soggetti” coinvolti. I movimenti sono più orientati al soddisfacimento di bisogni di tipo espressivo, come l’autorganizzazione nella sfera privata, l’espansione della libertà di opinione, l’interesse per la salvaguardia della natura ecc. Una delle caratteristiche principali riguarda i modi di azione, che sono di tipo “espressivo-simbolico”, più che strumentale. Fanno parte di un processo che è soprattutto “identitario” → mirante cioè alla contestazione dei valori, delle norme e dei rapporti sociali esistenti e alla loro sostituzione. Le nuove tecnologie offrono minori costi di gestione delle dinamiche organizzative, favorendo una partecipazione occasionale e mediata che coinvolge i sostenitori in attività brevi, specifiche e mirate. I media digitali non sono sostitutivi delle forme tradizionali di attivismo, ma sono efficaci nel far viaggiare rapidamente le informazioni utili per la mobilitazione stessa→ sono solo un insieme di strumenti alternativi rispetto ad altre forme di comunicazione e interazione, ma un vero motore di promozione dell’organizzazione e dell’azione. 55 Si parla di “consumerismo politico” in merito all’orientamento attivo del consumatore a scegliere prodotti e produttori in base alla varietà di considerazioni etiche e politiche, è uno dei modi in cui intervenire per cambiare quelle pratiche istituzionali ritenute accettabili. La logica sottostante a molte campagne è quella del naming and shaming (nominare e svergognare) che mira a rendere l’opinione pubblica consapevole di casi particolarmente evidenti di violazioni di diritti umani attraverso la diffusione di informazioni dettagliate su di essi e spesso chiedendo di punire le imprese coinvolte boicottando i loro prodotti. Forme digitali della guerriglia semiologica attuata a partire dagli anni Cinquanta, i cultural jamming (sabotaggi culturali) vedono la decostruzione del messaggio prodotto dai media e la sua collocazione in un contesto semantico diverso da quello consueto → il significato originario ne esce profondamente mutato, spesso capovolto. Le azioni più comuni sono il parodiare gli annunci pubblicitari e deturpare i cartelloni pubblicitari. Gli effetti della rete non si misurano sul solo terreno dell’inclusione e della partecipazione, dal basso dei cittadini, bensì possono essere compresi solo entro il più ampio quadro delle trasformazioni complessive della “comunicazione politica”. Norris distingue tre fasi dello sviluppo storico della comunicazione politica: 1) Tra la metà dell’800 e la metà del 900 vengono definite “premoderne” → si sviluppano a livello locale e si basano su forme di comunicazione interpersonale, faccia a faccia e porta a porta, i comizi, le manifestazioni. L’uso degli strumenti informativi è limitato; 2) Nelle campagne “moderne”, tra gli anni 60 e la fine degli anni 80, le campagne si estendono su scala nazionale→ per esempio la tv; 3) Dagli anni 90, il processo di modernizzazione produce cambiamenti nel sistema dei media, negli intermediari politici e nell’elettorato, le campagne postmoderne si caratterizzano per la proliferazione degli strumenti, dei canali e dei formati della comunicazione politica. → in questo momento cresce l’importanza degli spin doctor (consulenti professionali) anche nelle fasi routinarie dell’attività politica e di governo→ le campagne sono sempre più “permanenti” nel senso che è sempre più labile il confine tra attività “di campagna e di governo”. Nel modello di Norris, le campagne post moderne ripresentano elementi tipici della prima fase delle campagne elettorali, quali il recupero del contributo del militante e un’organizzazione aperta al contributo diretto dei cittadini e che lascia spazio e libertà di elaborazione “locale” alle proposte comunicative. Per stabilizzare i comportamenti di voto, la politica ricorre a strumenti e metodi coi quali costruire relazioni basate sulla reputazione e sulla fiducia, conquistando gli elettori di opinione e gli indecisi, ma non tradendo la fedeltà degli elettori di appartenenza. La comunicazione vede l’utilizzo contemporaneo di più media, ma per finalità specifiche e differenti. Le campagne moderne si misurano sulle capacità di produrre azioni comunicative per un pubblico che ha una maggiore capacità di rintracciare, appropriarsi, produrre e 56 condividere messaggi di tipo politico, chi comunica deve affrontare la sfida dei blog e dei social media e la loro “energia vitale” correndo il rischio di vedere promossa o deteriorata la propria reputazione, dibattuti o scartati i propri messaggi, rafforzata o sconfitta la propria proposta. Green e Gerber (2004) rimarcano come a risultare efficace in una campagna elettorale sono soprattutto i contatti personali e non mediati → tuttavia lo sono se derivano da interazioni spontanee tra cittadini, più che da una pianificazione decisa da un’organizzazione politica. . CAP 7 :STUDIARE INTERNET E “CON” INTERNET La vera novità però risiede soprattutto nel ruolo che internet ricopre all’interno del panorama metodologico, assumendo la duplicità che vede il web come un nuovo oggetto di studio per le scienze sociali e come uno strumento in grado di supportare la ricerca. Gli studi sulla comunicazione tra il XX e il XXI secolo si sono scontrati sulla ricerca di un nuovo linguaggio per la descrizione del potere dei media che si allontanasse da quello degli effetti. Tale cambiamento ha portato a una ridefinizione degli approcci e dei paradigmi che aiutasse a comprendere non solo la relazione con il mezzo, ma anche l’incorporazione dei media nella vita quotidiana. Prendendo spunto dalle indicazioni di Wellman (2007) e Tosoni (2001) proviamo a tracciare una sorta di timeline che descriva i mutamenti all’interno del panorama degli Internet Studies: 1. La “prima fase” → quella che va dagli anni 70 ai primi anni 90, in quel periodo il panorama tecnologico era notevolmente differente. Non solo l’esistenza di giganteschi mainframe sostituiti ora da computer sempre più piccoli, ma anche la struttura stessa della rete che era sicuramente poco user friendly e basata meramente sulla gestualità, per via di una larghezza di banda ancora scarsa che non permetteva l’invio di immagini e video. C’è da aggiungere che i computer non erano ancora presenti nelle case, ma erano relegati nelle grandi aziende, nei centri di ricerca e nelle università. Questo periodo d’interesse è rappresentato da studi di taglio psicologico e socio-psicologico, che hanno interpretato internet come un canale capace di avere effetti sull’interazione umana e sui comportamenti degli utenti. Il fatto che la comunicazione mediata da computer non permetta un’interazione coinvolgente come quella face-to-face porterebbe a una distorsione comunicativa, che ricadrebbe sui comportamenti degli utenti portandoli a isolarsi e a non rispettare le regole della società. In questa prima fase l’obiettivo degli studi era di prevedere gli effetti dei nuovi mezzi di comunicazione. A livello metodologico le ricerche si sono concentrate quasi esclusivamente sull’ approccio empirico sperimentale. 2. La “seconda fase” → interessa tutti gli anni 90→ progressiva penetrazione delle tecnologie telematiche, questa caratteristica principale considera la rete in quanto “luogo” → identificandola spesso con il termine cyberspazio→ uno spazio capace di contenere o ospitare pratiche e culture proprie di internet. L’approccio etnografico di questa fase è la risultante dell’ibridazione tra metodi d’indagine derivanti dalle analisi giornalistiche e quelli di matrice sociologica e 57 Il focus group → tecnica di raccolta del materiale empirico che si basa su un piccolo gruppo di persone, composto solitamente da 6-8 partecipanti. Questi, supportati da uno o più moderatori, parlano tra loro affrontando uno specifico argomento inerente all’oggetto della ricerca. I vantaggi legati alla possibilità di coinvolgere più persone che hanno un’esperienza diretta rispetto al tema di ricerca, permette un’interazione tra i partecipanti che può rivelarsi produttiva, fornendo approfondimenti utili a favorire la comprensione delle tematiche prese in considerazione. Altro vantaggio è che il ricercatore crea uno spazio d’interazione di gruppo e di socialità. Uno dei limiti invece è il fatto che spesso è difficile riunire i partecipanti. I focus group online offrono due vantaggi: 1. Convenienza → permettono di ottenere la presenza di partecipanti anche molto lontani territorialmente e molto impegnati professionalmente, e, in alcuni casi, incrementano la velocità con cui i progetti possono essere completati. 2. Sul piano dell’“interazione” si producono idee in misura assai maggiore rispetto all’intervista singola. I focus group possono essere: - In una sessione “sincrona” i partecipanti prendono parte alla discussione nello stesso momento dalle loro postazioni. In questo caso possono essere utilizzate chat room o altre modalità di chat Messenger; - La sessione “asincrona” non prevede necessariamente la contemporaneità della partecipazione→ si basa su piattaforme come i forum o l’email; il vantaggio è la maggiore libertà. Tuttavia l’autonomia può tradursi in una partecipazione sporadica e frammentaria che produce un’interazione discontinua. Un’altra grande potenzialità è l’opportunità di mostrare materiale di supporto. I focus group permettono di ridurre il fenomeno della desiderabilità sociale. L’utilizzo dei focus group online comporta: 1. Ogni soggetto non è costretto a spostarsi dalla propria casa, l’allestimento interesserà il computer di chi parteciperà. Questo prevede una “minima conoscenza informatica”; 2. I contributi, saranno sacrificati dal fatto che spesso gli “interventi” saranno brevi; 3. La “gestione dell’interazione” da parte del moderatore, infatti è più complicato controllare un focus Group online. Il focus group online e focus group tradizionali non sempre risultano equivalenti. La prima tecnica è vantaggiosa soprattutto nel momento in cui la compresenza fisica potrebbe mettere a disagio i partecipanti. Etnografia web-based → è un termine che raccoglie sotto di sé tecniche di ricerca e oggetti di analisi differenti. Se vogliamo semplificare il vasto mondo delle ricerche sulla rete che hanno una matrice etnografica, possiamo sistematizzare i differenti approcci in base alla definizione del campo di ricerca distinguendo tra i lavori che s’interessano di fenomeni sociali: - Esclusivamente all’interno della rete; - Nella rete e fuori da essa; 60 - Esclusivamente fuori dal web. Queste distinzioni si rifanno a due modalità di declinare gli interrogativi di ricerca e gli oggetti di analisi che ne discendono. Da una parte, Internet è visto come qualcosa da studiare in quanto “cultura a sè” → l’attenzione andrà posta pertanto esclusivamente su ciò che la rete è in grado di mostrarci quasi fosse una realtà isolata. Dall’altra, il web è invece inteso come un “artefatto culturale” che viene prodotto socialmente → in tal caso l’interesse andrà a focalizzarsi su tutte quelle pratiche e quegli elementi che non possono essere limitati solo all’online. 1. Nel primo tra i casi (soggetti che interagiscono esclusivamente in rete), l’etnografo ha “solo contatti online” con il gruppo che intende studiare. Per esempio la Massive Multiplayer Online Role Playing Game (MMORPG)→ cioè quei giochi in cui ogni soggetto, attraverso un avatar, può “vivere” all’interno di un mondo virtuale creato ad hoc. 2. È rappresentato da situazioni in cui i contatti tra gli utenti avvengono sia mediante la CMC sia faccia a faccia, in questo caso è necessario definire il campo di studi per includere entrambe le interazioni. 3. Il campo di ricerca è rappresentato esclusivamente dal mondo offline, sono studi che vanno a concentrarsi principalmente su ciò che accade “attorno” agli artefatti tecnologici. Per l’etnografo è fondamentale la definizione del campo di ricerca. La costruzione del campo è quindi un’attività che viene fatta un passo alla volta, valutando le risorse che si hanno a disposizione e le caratteristiche stesse del fenomeno del gruppo da studiare. Determinare in modo aprioristico un campo potrebbe essere molto rischioso per la bontà della ricerca. . L’etnografia classica prevede tre modalità di osservazione→ celata, semi-celata o palese. In essere l’etnografo può rivelare la propria presenza e il suo ruolo al gruppo che sta osservando, solo a parte di esso o ancora, nascondere i suoi intenti di ricerca. Fare etnografia rimanendo dietro a uno schermo porta con sé modi differenti di concepire e praticare questi tipi di osservazione. - Nell’osservazione celata il web può supportare l’etnografo permettendogli di studiare le interazioni che hanno luogo nella piattaforma che sta analizzando; - Nell’osservazione palese, si impone al ricercatore una navigazione rispetto all’accesso al campo e alla permanenza all’interno dello stesso. L’etnografo per fare una buona ricerca deve entrare nel campo e interagire con i membri del gruppo seguendo le regole che chi fa parte di quell’ambiente ha stabilito. Quello dei dataset definiti Big Data è uno dei cambiamenti più grossi nel panorama della conoscenza e della ricerca sociale. Rispetto ai Big Data, quello che ci interessa comprendere è in che modo essi possono modificare il panorama della ricerca sociologica, oggi sono disponibili enormi database utili ai lavoratori di ricerca. I big data hanno essenzialmente 3 caratteristiche che vengono indicate con le 3 V: 1. Volume: grosse quantità di database non gestibili con database tradizionali; 2. Velocità: i dati affluiscono e devono essere processati molto velocemente o in tempo reale; 3. Varietà: sono dati che hanno una natura eterogenea. API → è uno degli strumenti che possono supportare la ricerca, sono siti come 61 YouTube, Amazon, flickr, ecc. mettono a disposizione set di comandi che possono essere utilizzati da un utente o da un software per richiamare i dati che sono memorizzati nei database dei vari siti o delle aziende che li gestiscono. I big data portano con sé potenzialità, Manovich (2011) e Boyd e Crawford citano alcune criticità che chi si occupa di ricerca sociologica può tralasciare. Piuttosto bisogna stare attenti allo strumento che voglio maneggiare: - Un “mutamento di tipo epistemologico" ed etico → modificando gli strumenti nelle scienze sociali si cambia anche tutta la teoria sociologica che corre parallela a essi. Questo significa che il ricercatore sociale deve porsi alcune questioni di cui può disporre, ma anche e soprattutto cosa questo mutamento significhi per la conoscenza, la ricerca e il modo di interpretare la realtà. - I dati sono sempre dipendenti dal “contesto”. - Un’altra questione che fa sempre riferimento al contesto riguarda il fatto che dobbiamo anche pensare che non in tutto il pianeta chiunque possa esprimersi, seppur avendo a disposizione internet in modo libero. Per esempio in paesi come l’Iran, la Cina in cui c’è la censura e il controllo. Dobbiamo sempre ricordarci da dove vengono i dati, per leggerli criticamente. - Un’altro aspetto è che non sempre “più grande” vuol dire migliore. Non è detto che i big data riescano sempre a trovare la soluzione “alla scelta tra l’estensione e la profondità” dei dati. I dati che ci restituisce una ricerca che si poggia sui big data e quelli che risulta da una ricerca di materie etnografiche sono essenzialmente differenti e mostrano cose sempre paragonabili. - Inerente al divide → riguarda due aspetti che si rifanno, da una parte, all’accesso stesso ai dataset e, dall’altra la capacità di estrapolazione e analisi dei dati. Infatti solo le importanti aziende come google e Facebook hanno realmente accesso a grandi aggregati di dati. - Etica → il fatto che i dati siano maggiormente accessibili non deve infatti distogliere il ricercatore sociale dall’aspetto etico della ricerca. Quando si lavora con una mole molto grande di dati è inimmaginabile chiedere il consenso a tutti, ma ciò non toglie che ci siano dei ragionamenti da affrontare in merito alla questione di quanto etico sia fare studi a partire da certi dati. 62