Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Riassunto Manuale Storia Amministrazione italiana, Sintesi del corso di Storia Delle Istituzioni Politiche

Riassunto discorsivo del manuale Storia dell'amministrazione Italiana di Stefano Sepe

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 12/09/2022

ludodicle
ludodicle 🇮🇹

4

(8)

6 documenti

1 / 30

Toggle sidebar

Questa pagina non è visibile nell’anteprima

Non perderti parti importanti!

bg1
Storia dell’amministrazione italiana (1861-2017)
Stefano Sepe
Capitolo 1: per una storia sociale dell’amministrazione: i problemi di lunga durata
1.1
Per quanto concerne la storia dell’amministrazione riandare alla genesi della società attuale
diventa ineludibile se si considera che le istituzioni pubbliche sono state il fulcro della vita dei
popoli fin dall’epoca dell’incivilimento della razza umana
In epoca e più recenti è opinione comune che l’eredità napoleonica continua ad essere uno degli
elementi di forza della Francia, l’organizzazione amministrativa è stata sempre uno dei pilastri
delle società ordinate. L’inefficienza dell’amministrazioni si è sempre rivelato uno dei fattori
primari del decadimento dei sistemi sociali. Non si riusciranno a capire gli sviluppi e le
trasformazioni della società italiana senza tener conto delle vicende che hanno riguardato le
amministrazioni pubbliche. Attraverso l’amministrazione il cittadino ha un contatto quotidiano con
lo Stato. Conoscere le amministrazioni è indispensabile per il buon governo.
1.2
Esiste una storia dell’amministrazione distinta in modo peculiare dalla storia politico
costituzionale? Se tale presupposto è fondato come mai l’amministrazione non ha trovato poeti e
storici che dessero il giusto rilievo alla storia dell’amministrazione?
Il primo quesito a natura retorica. L’azione dell’apparati ha una sua specificità non riconducibile
alle vicende politico istituzionali o a quello economico sociali con le quali ovviamente si intreccia
mantenendo però una precisa autonomia logica e funzionale. Alla seconda domanda è ardua
fornire risposte univoche o conclusive. L’esigenza di mettere al centro della riflessione storica le
amministrazioni pubbliche era stata sottolineata con acutezza da Roberto Ruffilli. Gli apparati
amministrativi sono elemento di mediazione tra i soggetti politici e gli interessi presenti fuori e
dentro l’amministrazione. Nel caso italiano l’elemento dal quale prendere le mosse è la crescente
intersezione tra pubbliche amministrazioni e vita quotidiana dei singoli componenti della
collettività. Vittorio Emanuele Orlando sottolineò che l’allargamento delle funzioni statali era una
specie di fatalità che i volenti conduce e nolenti trascina. La pubblica amministrazione non è più
configurabile come potere esecutivo meramente essendo chiaro il ruolo delle burocrazie
pubbliche e la loro capacità di contrattare le scelte con gli altri attori dell’agire sociale. Gli studi
condotti in special modo negli Stati Uniti hanno portato al superamento del modello ideale tipico
Webber Jano mettendo in rilievo la funzione specifica svolta dagli apparati amministrativi. Nelle
democrazie contemporanee il circuito decisionale si discosta sempre più largamente dal
paradigma teorico che immaginava l’attività dell’amministrazione incasellata in un’ordinata
sequenza logica di divisione dei ruoli. Occorre adoperare un modello di interpretazione della realtà
politico istituzionale che tenga conto di categorie logiche quali il potere di scambio la dinamica
degli interessi la forza delle parti in gioco. La razionalità delle scelte pubbliche non è +1 postulato.
L’analisi dei mutamenti avvenuti nel tempo serve accogliere le fasi di svolta affettiva e a
distinguere in modo più chiaro i processi di fondo dai cambiamenti di natura effimera. La storia
amministrativa non può offrire risposta a tali problemi. Può però contribuire a far luce sulla loro
origine e su soluzioni possibili. L’Italia giunta all’unificazione nazionale non poteva contare su
un’identità nazionale costruita nei secoli dunque in queste condizioni l’azione
dell’amministrazione servì a supplire alle carenze delle istituzioni rappresentative e a rafforzare un
tessuto sociale estremamente debole la storia degli apparati amministrati e quindi intrecciata con
pf3
pf4
pf5
pf8
pf9
pfa
pfd
pfe
pff
pf12
pf13
pf14
pf15
pf16
pf17
pf18
pf19
pf1a
pf1b
pf1c
pf1d
pf1e

Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto Manuale Storia Amministrazione italiana e più Sintesi del corso in PDF di Storia Delle Istituzioni Politiche solo su Docsity!

Storia dell’amministrazione italiana (1861-2017)

Stefano Sepe

Capitolo 1: per una storia sociale dell’amministrazione: i problemi di lunga durata

Per quanto concerne la storia dell’amministrazione riandare alla genesi della società attuale diventa ineludibile se si considera che le istituzioni pubbliche sono state il fulcro della vita dei popoli fin dall’epoca dell’incivilimento della razza umana In epoca e più recenti è opinione comune che l’eredità napoleonica continua ad essere uno degli elementi di forza della Francia, l’organizzazione amministrativa è stata sempre uno dei pilastri delle società ordinate. L’inefficienza dell’amministrazioni si è sempre rivelato uno dei fattori primari del decadimento dei sistemi sociali. Non si riusciranno a capire gli sviluppi e le trasformazioni della società italiana senza tener conto delle vicende che hanno riguardato le amministrazioni pubbliche. Attraverso l’amministrazione il cittadino ha un contatto quotidiano con lo Stato. Conoscere le amministrazioni è indispensabile per il buon governo.

Esiste una storia dell’amministrazione distinta in modo peculiare dalla storia politico costituzionale? Se tale presupposto è fondato come mai l’amministrazione non ha trovato poeti e storici che dessero il giusto rilievo alla storia dell’amministrazione? Il primo quesito a natura retorica. L’azione dell’apparati ha una sua specificità non riconducibile alle vicende politico istituzionali o a quello economico sociali con le quali ovviamente si intreccia mantenendo però una precisa autonomia logica e funzionale. Alla seconda domanda è ardua fornire risposte univoche o conclusive. L’esigenza di mettere al centro della riflessione storica le amministrazioni pubbliche era stata sottolineata con acutezza da Roberto Ruffilli. Gli apparati amministrativi sono elemento di mediazione tra i soggetti politici e gli interessi presenti fuori e dentro l’amministrazione. Nel caso italiano l’elemento dal quale prendere le mosse è la crescente intersezione tra pubbliche amministrazioni e vita quotidiana dei singoli componenti della collettività. Vittorio Emanuele Orlando sottolineò che l’allargamento delle funzioni statali era una specie di fatalità che i volenti conduce e nolenti trascina. La pubblica amministrazione non è più configurabile come potere esecutivo meramente essendo chiaro il ruolo delle burocrazie pubbliche e la loro capacità di contrattare le scelte con gli altri attori dell’agire sociale. Gli studi condotti in special modo negli Stati Uniti hanno portato al superamento del modello ideale tipico Webber Jano mettendo in rilievo la funzione specifica svolta dagli apparati amministrativi. Nelle democrazie contemporanee il circuito decisionale si discosta sempre più largamente dal paradigma teorico che immaginava l’attività dell’amministrazione incasellata in un’ordinata sequenza logica di divisione dei ruoli. Occorre adoperare un modello di interpretazione della realtà politico istituzionale che tenga conto di categorie logiche quali il potere di scambio la dinamica degli interessi la forza delle parti in gioco. La razionalità delle scelte pubbliche non è +1 postulato. L’analisi dei mutamenti avvenuti nel tempo serve accogliere le fasi di svolta affettiva e a distinguere in modo più chiaro i processi di fondo dai cambiamenti di natura effimera. La storia amministrativa non può offrire risposta a tali problemi. Può però contribuire a far luce sulla loro origine e su soluzioni possibili. L’Italia giunta all’unificazione nazionale non poteva contare su un’identità nazionale costruita nei secoli dunque in queste condizioni l’azione dell’amministrazione servì a supplire alle carenze delle istituzioni rappresentative e a rafforzare un tessuto sociale estremamente debole la storia degli apparati amministrati e quindi intrecciata con

le vicende complessive della società. L’amministrazione pubblica italiana si connota per un caratteristico processo di sedimentazione in ragione del quale al di creare di una funzione non si risponde sopprimendo un apparato divenuto inutile ma buon anno Elena accanto un altro con caratteristiche straordinarie. In Italia un secondo elemento della sta degli apparati di amministrazione è costituito dai rapporti tra ceto politico e burocrazia. Il particolare processo che ha condotto alla progressiva separazione tra politici e funzionari è un elemento ricco di implicazioni e tale da offrire interessanti chiavi di lettura alle vicende degli apparati pubblici. La svolta definitiva si verificò nel secondo dopo guerra nel momento in cui in Italia si affermò la supremazia sempre più forte del sistema dei partiti. Collegata a questo tema è la vicenda della proliferazione degli enti pubblici processo che ha cambiato il volto dell’amministrazione pubblica in Italia e del quale occorre ancora cogliere tutte le implicazioni. La storia delle amministrazioni parallele è un passaggio ineludibile per capire il ruolo avuto dallo Stato nel governo dell’economia e di settori chiave quali la previdenza e la protezione sociale l’altro grande capitolo sul quale occorre fare luce è quello degli impiegati.

Nell’arco dell’intera storia unitaria l’esito complessivo è una sorta di paradosso in ragione del quale l’inesauribile dibattito sull’esigenza di modificare il sistema amministrativo si è autoalimentato generando dibattiti sulle mancate riforme e sull’urgenza dei provvedimenti. Gli elementi peculiari delle politiche di riforma dell’amministrazione nella storia unitaria sono sostanzialmente quattro: il continuo reiterarsi delle proposte riformatrici, la quasi totale assenza di dibattito parlamentare, la costante dipendenza dal riassetto amministrativo, le trasformazioni prodotte nell’amministrazione da provvedimenti a prima vista di scarso rilievo. Alla difficoltà di varare disegni di riforma complessiva i governi hanno regolarmente risposto mediante approvazione di una consistente parte della legislazione amministrativa. Anche nel periodo repubblicano l’esecutivo il ricorso più volte allo strumento della legge delega per tentare di riformare l’amministrazione tanto nel 1954 quanto nel 1968 furono varate norme di delega che prospettavano profondi cambiamenti ma di fatto e provvedimenti più significativi riguardarono gli impiegati. Soltanto negli ultimi decenni i governi hanno utilizzato i poteri conferiti dalle camere per approvare norme delegate che hanno introdotto modifiche profonde nel sistema pubblico. Nella gran parte dei casi le riforme amministrative sono naufragate per l’impossibilità di conciliare la necessità di razionalizzazione degli apparati con le esigenze del personale. L’ambizioso progetto di riforma del 1868 presentato da Carlo Cadorna fu vanificato dalla sorda resistenza opposta da un gruppo di burocrati sorte analoga tocco alla legge 1080 del 1921 che prevedeva la semplificazione dei servizi da realizzare mediante una drastica riduzione del personale. Nel periodo repubblicano il tentativo di riordinamento previsto dalla legge 249 del 1968 e 775 del 1970 si impantanò a causa delle numerosissime obiezioni avanzate da molti ministeri. Il benessere generale era lo schermo entro il quale le scelte parlamentari venivano assunte. Nel 1921 fu proprio la commissione parlamentare di inchiesta sull’ordinamento delle amministrazioni dello Stato a porre con forza l’accento sul carattere politico del problema amministrativo. Giovanni Cassis affermò che il tema della riforma dell’amministrazione aveva una valenza politica in ragione delle sue connessioni con le funzioni dello Stato e con la sua ingerenza nella vita dei cittadini. Risultò perdente l’indicazione di ribaltare l’ottica di intervento ponendo al centro il riordinamento delle funzioni. Nel dibattito parlamentare emerse la tradizionale contrapposizione tra ipotesi di riforma generale e di provvedimenti tesi a riordinare i punti deboli del sistema amministrativo. Nel periodo repubblicano le dinamiche più complesse del sistema politico e la forza dei soggetti non istituzionali hanno modificato il quadro di riferimento. Ne è risultata indebolita la stessa capacità progettuale di modernizzare l’amministrazione per la moltiplicazione dei potenziali soggetti

funzione pubblica. Dal 1984 l’ufficio assunto il rango di dipartimento della presidenza del Consiglio dei Ministri divenendo luogo di governo della contrattazione collettiva per il pubblico impiego. Esso deve sia governare il personale sia promuovere l’azione di riordinamento degli apparati pubblici anche attraverso una continua attività di monitoraggio sul funzionamento delle amministrazioni. Negli anni 90 si è avuta un’inversione di tendenza allorché l’incisive leggi di riforma furono causa ed effetto di una più attiva azione di impulso e indirizzo da parte del Dipartimento della funzione pubblica.

Il punto critico del rapporto tra politici e burocrati venne individuato nel 1881 da Marco Minghetti il quale optava per la tradizione europea della stabilità degli impieghi pubblici. Nelle vicende evolutive del sistema politico istituzionale italiano la teoria della separazione tra politica e amministrazione è stata prevalente contribuendo a rafforzare la mitologia della distinzione senza peraltro scalfire più di tanto la pratica della commistione tra un terreno all’altro. Particolarmente indicativa la vicenda dei segretari generali dei ministeri. Nella lettera delle norme dettate dalla legge Cavour del 1853 i segretari generali erano il fulcro dell’apparato amministrativo. Inoltre il fatto di essere scelti con un rigido criterio di appartenenza politica è dimostrato in modo incontrovertibile da una circostanza allorché cade la destra storica i segretari generali furono sostituiti in tutti i ministeri nell’arco di meno di due mesi. Furono le condizioni nelle quali il paese arrivò all’unificazione nazionale a favorire la commissione costante tra ruolo politico e responsabilità amministrative.sia nel periodo della destra storica sia dopo l’avvento della sinistra i governi dovettero assicurare la presenza dello Stato attraverso le burocrazie pubbliche le quali ebbero in numerose parti del paese un ruolo di supplenza rispetto al ceto politico. Non casualmente l’insistita polemica contro l’ingerenza politica nell’amministrazione ebbe il suo acme proprio nella fase storica nella quale il fenomeno dell’osmosi ebbe caratteri maggiormente rilevanti. L’osmosi tra carriere politiche e amministrative fu il riflesso non soltanto della ristrettezza dell’Elite dirigenti ma anche della loro gracilità. In tali condizioni margini di autonomia dell’alta burocrazia rispetto alla politica dovettero risultare sempre piuttosto ristretti poiché i governi si trovarono nella necessità di dover contare sempre su funzionari assolutamente fidati. A riguardo basta pensare alla nomina dei prefetti politici. Fenomeno che non si esaurì nella fase risorgimentale ma che si protrasse per decenni. I momenti di cesura nel rapporto tra alta burocrazia e corpo politico non sono facili da cogliere con precisione ma nell’insieme alle vicende dei rapporti tra amministrazione politica sono state sostanzialmente dominato dal pendolo integrazione separazione. Nei primi decenni unitari il tratto distintivo fu quello dell’integrazione dall’inizio somigliò quattro identificazione tra luna e l’altra dopo tale fase si possono individuare almeno due momenti nei quali si verificarono i cambiamenti significativi il primo può essere collocato tra l’età crispina e quella Giolittiana l’altro nel secondo dopo guerra. Nel 1888 con due provvedimenti normativi a distanza di un mese venne istituita la figura dei sottosegretari di Stato con funzione di viceministri e contestualmente abolita la figura del segretario generale dei ministeri istituita dalla legge Cavour del 1853. La scelta segnalò l’inizio dello scollamento tra ceto politico e alta burocrazia. Crebbero di importanza i direttori generali e il loro rapporto con i ministri si fece più stretto contemporaneamente l’alta burocrazia andò assumendo una maggiore autonomia. Segnale della rottura dei vecchi equilibri l’amministrazione politica fu la richiesta di una costituente amministrativa per porre argine a un ordinamento amministrativo autoritario e verticistico. La proposta non ebbe sbocco.al contrario peso rilevante nel modificare l’azione degli apparati amministrativi fu l’istituzione della quarta sezione del Consiglio di Stato. All’inizio del XX secolo il processo di autonomizzazione della burocrazia dalla

politica si accentuò sul piano normativo. Nel 1908 gli impiegati civili dello Stato ottennero la prima legge generale sui sistemi di accesso e di carriera. Con lo statuto del 1908 si sancì un sistema di garanzie atto a scongiurare gli arbitri dei ministri nei confronti degli impiegati.a modificare il quadro contribuì la scelta di Giolitti di responsabilizzare la burocrazia chiamandolo a dare un contributo più incisivo all’azione dei poteri pubblici. In tale periodo i funzionari pubblici tanto negli apparati statali quanto nelle amministrazioni locali giocarono un ruolo molto attivo nell’allargamento delle gestioni pubbliche. Particolarmente significativo fu il peso degli alti burocrati negli organismi consultivi che possono essere considerati i prototipi delle autorità indipendenti. Durante il periodo fascista i connotati del rapporto tra burocrazia e politica si modificarono in modo marginale: nonostante tutto la separazione non scomparve. La capacità della burocrazia pubblica di guidare la macchina burocratica mantenendo margini autonomia rispetto al ceto politico si conferma nel quadro costituzionale delineatosi dopo il 1925.elemento determinante fu la permanenza di funzionari entrato in carriera nell’anteguerra.lo stesso Mussolini preferì non deprimere il ruolo dei funzionari dello Stato proprio per tenere a bada l’invadenza dei gerarchi locali. Esemplare a riguardo la circolare del gennaio 1927 con la quale il duce confermava che gli organismi locali di partito dovevano sottostare alle direttive del prefetto. Con la Repubblica il paradigma della neutralità politica dell’amministrazione divenne uno dei principi fondanti. L’esperienza della dittatura spinse protagonisti del dibattito alla costituente a cercare in maniera spasmodica rimedi in grado di proteggere l’amministrazione dall’ingerenza politica. Con la nascita dello Stato democratico il rapporto tra politica e amministrazione si andò a modificare in maniera tale da produrre un’integrazione anomala nella quale il ruolo assunto dei partiti determinò il drastico ridimensionamento dell’azione di mediazione svolta nei periodi precedenti dagli apparati burocratici. Il ruolo attivo degli alti funzionari si andò progressivamente attenuando. In questo quadro i percorsi di carriera dell’alta dirigenza sono avvenuti prevalentemente in base all’appartenenza partitica e ciò ha prodotto strutture profonde. Nel periodo repubblicano i politici sono sovente sostituiti completamente dirigenti gestendo direttamente la macchina amministrativa. I politici che amministravano facevano da pendandt i funzionari preoccupati quasi esclusivamente di garantirsi la progressione economica e di carriera. A partire dall’inizio degli anni 90 si produsse una nuova inversione. Prima nella legge delle autonomie locali e successivamente nella riforma del 1992 del pubblico impiego bene sancito sul piano normativo il principio della separazione tra poteri di indirizzo e controllo e le responsabilità gestionali.più di recente con norme del 1998 e con una legge del giugno 2002 è stato introdotto un meccanismo fiduciario forte per la posizione di vertice dell’apparato statale. Esso era simile allo spoils system statunitense.

Nel 1859 i dipendenti civili dell’amministrazione gli Stati della penisola erano 62.786. Fino alla fine dell’ottocento il personale statale si accrebbe in misura alquanto modesta, le cifre mostrano che a un iniziale ridimensionamento degli addetti era seguito un lento processo di crescita che ebbe il suo picco nella seconda metà degli anni 80 tale andamento fu il prodotto di due fenomeni di natura assai diversa. In parte fu originato dall’esigenza di provvedere alla domanda sociale di presenza dello Stato. Nell’ultimo decennio del XIX secolo si verificò una significativa inversione di tendenza con una riduzione di addetti in quasi tutti i ministeri. La cospicua flessione ebbe luogo in concomitanza con le riforme Crispine che avevano posto sulle spalle degli uffici statali un non indifferente aggravio di compiti. Il primo vero incremento del numero degli addetti si ebbe nel secondo decennio del secolo. Nel 1910 il personale dipendente dei ministeri aveva raggiunto le 146.764 unità tre anni più tardi aveva raggiunto le 160.000. Nel 1923 il numero complessivo dei dipendenti ministeriali ascendeva a 314.943 unità, nell’arco di 10 anni sarà quasi raddoppiato. Le

vincolo di continuità con il ministro. L’amministrazione locale era strettamente controllata dal centro, in forza dell’uniformità dell’esercizio delle funzioni amministrative sul territorio. Gli uffici periferici dipendevano dal prefetto, funzionario statale che rappresentava il governo nella provincia. Tutti gli atti degli enti locali erano sottoposti al controllo di legittimità e di merito del ministero dell’interno. Il modello amministrativo nell’Italia post risorgimentale scaturì dalla mediazione tra istanze liberista in campo economico il controllo dei processi di assestamento del giovane Stato unitario. Il coinvolgimento delle classi dirigenti locali era assolutamente indispensabile per garantire la tenuta del nuovo Stato e ridurre il rischio di spinte separatiste. In questo complesso miscuglio di vocazioni liberali indirizzi centralizzati e liberismo economico e di supporto alle forze imprenditoriali si aprirono gli spazi di manovra degli apparati burocratici: la loro capacità di mediazione fu correlata alla forza del tessuto sociale. Nell’ottica dei ceti sociali emergenti l’amministrazione doveva svolgere la sua azione in maniera funzionale al dominio e alla legittimazione della borghesia. Nell’arco temporale che va dalle leggi del 1859 ai tentativi di riforma del biennio 1868 e 1869 si compirono scelte cruciali su almeno tre versanti: il definitivo consolidarsi del modello ministeriale, il definirsi di un rapporto centro periferia, lo stabilirsi tra ceto politico e burocrazia di un intreccio non classificabile soltanto come ingerenza della politica nell’amministrazione.

Il 5 maggio 1852 Cavour ministro delle finanze nel governo d’Azeglio presentò al parlamento subalpino un progetto con il quale si stabiliva un nuovo assetto per gli apparati centrali dello Stato e riordinava il sistema dei controlli per dare all’amministrazione un assetto coerente con il profilo costituzionale assunto dalla monarchia sabauda. Fino ad allora la struttura del governo ispirato al sistema amministrativo francese faceva perno sulla distinzione di responsabilità dei primi segretari di Stato. Il parlamento subalpino approvò un testo con il quale si ponevano le basi della nuova strutturazione dell’amministrazione centrale. Il titolo primo della legge si componeva di soli due articoli, nel primo comma dell’articolo uno veniva sancito il principio della direzione unica degli affari di ogni amministrazione. Sempre in base all’articolo uno è la data facoltà al governo di stabilire le attribuzioni e l’organizzazione dei ministeri non che lo status giuridico economico del personale. Il punto cardine della riforma Cavouriana era l’abolizione delle aziende che fino a quel momento erano state la parte operativa dell’amministrazione. Le loro competenze furono assorbite dai ministeri ministri, da quel momento divennero responsabili sia dell’attività economica che di quella morale delle amministrazioni. La scelta di accentrare nelle mani del ministro la responsabilità degli apparati discendeva dalla necessità di collegare questi ultimi al governo e al parlamento del quale il governo era espressione. Si trattava di un adeguamento alla nuova realtà costituzionale nella quale occorreva stabilire in modo organico il circuito decisionale politico. Il modello che ne risultò affidava ai componenti del governo la responsabilità dell’amministrazione dello Stato. Il regolamento provvede all’assetto degli uffici ministeriali dei partiti in divisioni talvolta raggruppate in direzioni generali. La facoltà di provvedere all’organizzazione dell’amministrazione statale aveva conferito al sovrano e quindi al governo da lui nominato fu messa in discussione per la prima volta nel 1860 in occasione del dibattito per l’istituzione del ministero di agricoltura industria commercio. La questione richiamo l’attenzione sulla possibilità di attribuire al parlamento la potestà di determinare numero e attribuzioni ministeri. Un decennio più tardi il problema si ripropose durante il governo Depretis e anche in quella circostanza prevalse l’opinione che spettasse al potere esecutivo presiedere all’organizzazione degli apparati amministrativi. Nel 1861 i ministeri del nuovo Stato erano nove di

cui otto ereditati dal regno di Sardegna: esteri, interno, finanze, grazia, giustizia a fare ecclesiastici, pubblica istruzione, Lavori Pubblici, guerra, marina e uno agricoltura, industria e commercio di nuova istituzione. Nel 1869 l’istituzione della ragioneria generale della ragioneria centrale dei ministeri completò il processo di assestamento dell’organizzazione del ministero. Per le sue caratteristiche indubbio valore ebbe il ministero dei Lavori Pubblici. Di analogo ausilio si giova il ministero di agricoltura industria commercio che divenne attraverso la direzione generale della statistica un centro di elaborazione dati sulle condizioni del paese. Nell’opera di organizzazione della società un ruolo fondamentale fu ricoperto dal ministero della pubblica istruzione. Il cuore dell’amministrazione era rappresentato dei ministeri mentre le prefetture costituirono un fondamentale riferimento periferico del governo. Le due figure chiave dell’organizzazione ministeriale erano il segretario generale e il segretario particolare del ministro. Dal momento che i ministri dovevano adempiere tanto alla direzione politica quanto alla gestione amministrativa si rese necessaria la presenza di una figura investita di suprema autorità sopra gli uffici: la funzione fu affidata ai segretari generali. Nel tempo il loro declino si andò manifestando di pari passo a rafforzarsi della figura del segretario particolare del ministro. Nel modello di amministrazione voluto da Cavour ebbero un ruolo specifico le articolazioni industrialisti dei ministeri, alcune vere proprie aziende produttive o di servizio inserite nell’ambito di poche amministrazioni centrali. Una realtà importante era costituita dalla gestione del ramo industriale del sale e dei tabacchi. L’istituzione della regia suscitò un dibattito molto acceso al punto che all’atto dell’approvazione della legge Giovanni Lanza presidente della camera votò contro il progetto e si dimise dalla carica  affidata alla direzione generale delle gabelle del ministero delle finanze

Vari furono i tentativi di modificare il modello ministeriale entrato in vigore il 1853 ma nessuno riuscì a scalfire il modello unico imposto dalla legge Cavour poiché la sostanziale stabilità dell’intero sistema fossi curata dalla legge di unificazione amministrativa del 1865. Tra il 1866 e il 1870 Ricasoli Cadorna e Lanza presentare un’articolata i disegni di riforma altrettanto fecero sella Minghetti Cantelli Nicotera e Depretis ma ugualmente senza successo. Nell’ottobre 1866 Ricasoli compì il primo importante tentativo di modificare il modello amministrativo ed evitare il regno di Sardegna. In seguito all’emanazione del decreto fu compiuto tra il novembre 1866 il successivo febbraio un riordinamento di quasi tutti i ministeri. Il decreto Ricasoli non ebbe però seguito. Restava sul tappeto l’esigenza di rendere più funzionale e meno accentrata l’azione dell’amministrazione pubblica. Il tentativo di spostare il pendolo dell’azione di governo fu compiuto da Cadorna pochi mesi dopo. Tale progetto si incentrava sul rapporto tra amministrazione centrale e periferica con il fine di creare una grande prefettura. In sede di discussione parlamentare all’originario progetto di Cadorna fu affiancato un disegno di legge del ministro delle finanze Guglielmo CAMBRAY- DIGNY che proponeva l’istituzione delle intendenza di finanza nonché della ragioneria generale dello Stato delle ragionerie centrali dei ministeri. Solo questa parte divenne legge. Ulteriore obiettivo del progetto era la risoluzione del delicato rapporto tra politica e amministrazione. In merito il progetto Cadorna propugnava la sostituzione della figura del segretario generale con quella del sovrintendente generale. La proposta mirava a rafforzare le strutture burocratiche nei confronti degli uffici di gabinetto mediante l’istituzione di uffici speciali per la trattazione degli affari pubblici. Il modello amministrativo concepito per il piccolo Stato sabaudo rimase inalterato nonostante dall’impianto organizzativo fosse di difficile applicazione nella realtà profondamente diversa e variegata dello Stato unitario. 2.5 al momento dell’unità la questione politica di maggiore importanza era quella della forma di Stato da far assumere al regno rispetto alla varietà ordinamentale degli Stati preunitarie e ai rischi

L’istituto prefettizio fu uno dei pilastri della costruzione dello stato unitario affermandosi come una prestigiosa Elite amministrativa radicata nel cuore della tradizione risorgimentale. Per tutto il periodo liberale la forza del corpo prefettizio le tette principalmente in tre fattori: l’estrema ampiezza delle competenze nell’ordinamento amministrativo, il ruolo di perno dell’organizzazione periferica statale, la ristrettezza del suffragio. A ciò si aggiungeva il fattore di natura politica derivante dall’unione personale tra presidente del consiglio e ministro dell’interno. Tutti questi elementi contrassegnarono una lunga fase della storia unitaria modificandosi in modo sostenibile soltanto nella seconda metà del 900. I prefetti erano rappresentanti del governo nella provincia al vertice dell’organo esecutivo dell’amministrazione. Una doppia veste che conferiva loro il duplice compito di organi del governo rispetto alla popolazione e organi di quelle rispetto al governo. La centralità del ruolo prefettizio derivava dal carattere di funzionario politico che doveva rispondere all’esecutivo del suo operato e agire in conformità alle sue direttive. I prefetti furono la vera burocrazia unificatrice del regno unitario ponendosi come il punto di riferimento più accreditato presso le Elite borghesi locali. Nel complesso secondo Luigi Zini i prefetti furono dei defensor civitatis. Il collegamento stretto che si venne a creare tra Elite borghesi e prefetti emerge da una circolare del luglio 1868. Nell’immediato periodo post unitario sui prefetti grado a praticamente per intero la responsabilità della politica governativa nelle province. Prefetti si rilevarono un essenziale punto di incontro tra le Elite locali e il governo riuscendo in molti casi essere dei veri e propri suscitatori di energie nelle provincie dove venivano assegnati. Inoltre la ristrettezza del centraggio consentiva un controllo effettivo delle elezioni. Mentre il peso politico dei prefetti rimase per lungo tempo molto forte in sede locale molto più rapidamente andò sfumando il loro ruolo di coordinatore dell’amministrazione periferica dello Stato. La perdita di quota del prefetto derivava in primo luogo dal sistema amministrativo per i ministeri. Il coordinamento prefettizio utile sul terreno politico si rivela molto più fragile sul piano amministrativo.  centralismo imperfetto I passaggi da una provincia all’altra erano un presupposto della carriera prefettizia. I tempi medi di permanenza in una provincia erano molto alti prefetti rimanevano in una sede mediamente per poco più di due anni. Nel sud la permanenza era più breve. Capitolo 3: la sinistra al potere: la stabilizzazione del sistema amministrativo

Il 18 marzo 1876 il deputato Giovanni battista Morana presentò una mozione su una questione procedurale riguardante la tassa sul macinato. Il presidente del consiglio Marco Minghetti non avendo ottenuto il voto di fiducia nel parlamento rassegnò le dimissioni: la crisi di governo apri la strada all’avvento della sinistra che rimase al potere per circa vent’anni. Nei ministeri crebbe il numero delle direzioni generali, gli uffici di gabinetto divennero sempre più influenti giungendo esautorare l’amministrazione attiva dalla trattazione degli affari più importanti di conseguenza inizia ad attenuarsi il peso dei segretari generali fino a rendere quasi naturale la richiesta di abolizione. Una significativa modifica fu apportato da Crispi con l’istituzione dei sottosegretari di Stato. La riforma crispina banche venisse dopo anni di dibattiti sulla necessità di modificare la rigidità del sistema introdotto nel 1853 e di mitigare l’accentramento tese a rafforzare il governo. Fu emanata una serie di legge riguardanti la pubblica sicurezza la sanità la beneficenza pubblica l’ordinamento locale. Il disegno riformatore fu completato dall’istituzione della quarta sezione del Consiglio di Stato. La nuova normativa non difettava di organicità giungendo a configurare un diverso assetto della pubblica amministrazione e contribuendo a tenere saldo un ordinamento che si andava modificando in maniera più rapida rispetto al primo ventennio unitario. Negli ultimi due decenni del secolo 19º nell’attività burocratica si determinò un continuum che conferì all’amministrazione un ruolo di mediazione e stabilizzazione sociale

progressivamente crescente. Nel frattempo era avvenuto il primo ricambio generazionale. La questione degli impiegati fu ripresa da Depretis Crispi e Nicotera Pelloux e Zanardelli ma solo all’inizio del nuovo secolo con la nascita delle prime organizzazioni sindacali arrivarono i tentativi di concedere agli impiegati una legge che ne definisse lo status giuridico.

Tra gli anni 80 e la fine del secolo scorso dopo la fase dell’assestamento fu avviato un generale riordino sugli apparati statali e il primo passo fu l’abolizione dei segretari generali dei ministeri e l’istituzione dei sottosegretari di Stato. Con la legge 5195 Crispi ottenne che venisse rafforzato il principio che conferiva all’esecutivo la titolarità di potere di istituire o sopprimere ministeri. Il provvedimento si inseriva in un organico disegno di rafforzamento del ruolo del governo nei confronti dell’amministrazione e trova il suo completamento in altri provvedimenti relativi alle strutture centrali e all’organizzazione amministrativa periferica. Il versante su cui Crispi incentrò la sua azione fu il rafforzamento del ministero dell’interno. Della questione sarà interessato ancora prima di assumere la presidenza del consiglio provvedendo a strutturare l’interno i quattro direzioni generali ma furono le leggi amministrative del triennio 1888 1890 a configurare un ruolo più incisivo di questo apparato nella guida e l’amministrazione e dei fenomeni sociali. Il forte collegamento tra le nuove funzioni di controllo e l’attività del ministero conferirono a quest’ultimo una centralità che Coronò il progetto di rafforzamento dell’esecutivo. Un altro passo in tale direzione fu l’istituzione del ministero del tesoro (r.d. 26 dicembre 1877 n.4219). La creazione del ministero aveva la finalità di assicurare una maggiore coordinamento alla politica di spesa dei vari ministeri e una più puntuale capacità di controllo e indirizzo da parte del presidente del consiglio. Di rilevante impatto fu la creazione nel 1889 del ministero delle poste e telegrafi in luogo della vecchia azienda dipendente dal ministero dei Lavori Pubblici. All’istituzione del ministero contribuirono tanto la crescente mole del servizio quanto la spinta di una burocrazia tecnica in stretto contatto con gli interessi dei grandi gruppi industriali. La nascita del ministero portò alla ribalta sin dalla sua costituzione la necessità di individuare nuovi moduli organizzativi che rappresentassero un’alternativa agli assetti tradizionali del modello cavouriano consentendo alla parte industria dell’amministrazione avere regole maggiormente coerenti con i compiti da svolgere.

L’ordinamento dell’amministrazione locale fissato nella legge di unificazione amministrativa del 1865 venne modificato con legge 30 dicembre 1888 numero 3865 e con il TU 10 febbraio 1889 numero 5921 in ragione dei quali fu introdotta l’elezione dei sindaci dei comuni maggiori e dei presidenti delle deputazioni provinciali. Nel contempo iniziarono a modificarsi anche i rapporti centro periferia nell’amministrazione statale. In quel periodo quattro dei nove ministeri possedevano uffici periferici: interno finanze Lavori Pubblici agricoltura e commercio. Sul piano formale i compiti di coordinamento continuavano ad essere riservati al prefetto. Ma di fatto con l’istituzione del provveditorato agli studi e con la creazione dell’intendenza di finanza cominciano ad attenuarsi. In tal modo si rafforzò il controllo finanziario sugli enti locali mediante interventi sulla contabilità locale e sui vincoli di spesa che andavano ad aggiungersi alle competenze del prefetto in materia di finanza locale. Di conseguenza si verificò un parziale ridimensionamento del ruolo di mediazione del prefetto

Nel 1883 alla scadenza della convenzione per la gestione del monopolio del sale dei tabacchi la regia cointeressata venne assorbita nella direzione delle gabelle. All’inizio degli anni 90 inizia ad

decennio alcune leggi speciali tese a rimuovere i ritardi di sviluppo nelle parti per i reati del paese. La legge per la Basilicata è bel obiettivo di contribuire allo sviluppo dell’economia agricola attraverso l’istituzione della cassa provinciale di credito agrario che aveva sede a Potenza.analoga scelta fu compiuta con la legge 8 luglio 1904 numero 351 per il Risorgimento economico della città di Napoli.

L’allargamento delle funzioni pubbliche fu l’elemento principale che connota l’azione dell’amministrazione statale, a tale ampliamento della sfera pubblica consiglio naturalità di modelli e una maggiore diversificazione delle strutture organizzative L’azione del governo produsse sensibili mutamenti sotto il profilo tanto della costituzione materiale quanto dell’evoluzione del sistema amministrativo. Non vi furono però riforme che toccarono la figura tipica, i ministeri. L’assunzione di nuove funzioni sociali da parte della pubblica amministrazione non determinò trasformazioni all’interno della struttura e le dita dal periodo Crispino ma diede luogo all’adozione di soluzioni organizzative differenti. In tale ambito è vero ruolo peculiare il proliferare di uffici speciali e ispettivi. I ministeri salirono a 12 con l’istituzione del ministero delle colonie a seguito della colonizzazione della Libia. Crebbero soprattutto le dimensioni dei singoli ministeri. Giolitti e preferì modificare la prassi nell’azione degli apparati ministeriali piuttosto che progettare i cambiamenti che avrebbero potuto generare resistenza e controspinte. L’azione dell’amministrazione statale si modificò in maniera rilevante soprattutto nei conflitti di lavoro e nel settore della politica sociale. Il ministero dell’interno costituì il perno dell’azione statale. Sulla base degli indirizzi imposti da Giolitti la legge Crispi delle di riforma delle opere pie riuscì a dispiegare i propri effetti. Di fatto la questione del controllo fu uno dei segmenti ai quali lo statista piemontese dedicò maggiore attenzione. Giolitti tentò di orientare l’enorme disponibilità finanziaria delle istituzioni di beneficenza per la tutela delle classi disagiate sapendo di doversi scontrare con interessi molto forti. Al centro vi era la delicatissima questione alla quale diede testimonianza l’onorevole de Martino il quale sostenne che le opere pie erano amministrate da potentissimi elementi politici. Il perno dell’attività di controllo sulle istituzioni caritative erano le prefetture. L’età Giolitti A.N.A. fu la stagione d’oro dei prefetti dei quali veniva esaltata la figura di responsabile di gran parte dei servizi amministrativi e quella di rappresentante del governo. In generale l’azione dei prefetti testimonia la capacità di molti di fare da tramite tra le esigenze delle comunità locali e gli indirizzi politici del governo.

Elemento di maggiore incidenza del periodo fu la sperimentazione di nuove modalità di esercizio delle funzioni pubbliche attraverso l’ampliamento degli organismi di natura consultiva in grado di operare un raccordo tra Stato e società civile I consigli superiori nelle varie branche dell’amministrazione e il loro proliferare segnalò la legittimazione della rappresentanza degli interessi I consigli superiori esistevano da tempo in alcuni ministeri ma con sfere di competenza molto limitate composti da poche persone scelte dal ministro e se avevano funzione dei consiglieri del principe La rappresentanza degli interessi piuttosto contestata all’inizio divenne l’elemento caratterizzante i consigli superiori di età Giolittiana

In quest’opera un ruolo di primaria importanza venne svolta dall’ufficio governativo del lavoro che compì una ragguardevole serie di indagini sugli scioperi sulle condizioni di lavoro in fabbrica di donne e fanciulli sulla vita condotta dagli emigrati all’estero fornendo preziose informazioni e dati statistici per elaborazione legislazione a favore dei lavoratori. Non meno importanti furono le trasformazioni sull’esercizio di funzioni economiche. La nascita dell’azienda di stato delle ferrovie costituì l’avvio dell’ingerenza dello stato nell’economia e rappresentò la prima rottura del sistema covouriano

Nel primo decennio del secolo il tradizionale centralismo cominciò a perdere il suo carattere granitico in coincidenza con le trasformazioni in atto nell’economia e nella società.il periodo in esame fu caratterizzato dal susseguirsi di correzione del testo unico dell’ordinamento locale negli anni 1908 1911 1915. Giovanni Giolitti conferì all’azione di governo nei confronti delle amministrazioni locali una specifica forma di paternalismo amministrativo. La nascita dell’associazione nazionale dei comuni d’Italia fondata a Parma nel 1901 dopo circa un ventennio di tentativi tra sindaci di molti capoluoghi del centro e del Nord fu l’altro elemento caratterizzante la vivacità delle amministrazioni locali all’inizio del 900. L’iniziativa venne inizialmente molto osteggiato dal ministero dell’interno. A dispetto delle resistenze nei decenni successivi l’Anci sarebbe diventato un soggetto ineliminabile dei rapporti tra Stato e amministrazioni locali. La tendenza alla valorizzazione dell’attività di sviluppo dell’economia emerse anche nella riforma delle camere di commercio.

Fino allo scoppio della prima guerra mondiale il numero degli addetti negli apparati statali non fece registrare particolari impennate. Il conflitto mondiale impose un massiccio intervento dello Stato in settori più disparati della vita sociale provocando un aumento rilevante dei dipendenti. La tradizionale prevalenza di personale di origine settentrionale fece luogo a una progressiva crescita della presenza meridionale. Nei ministeri tecnici il numero di divisioni estrazioni quasi triplicato per corrispondere alle esigenze dettate dall’espansione di alcuni servizi e dal progresso tecnologico  governo amministrativo Venuta meno l’osmosi tra ceto politico e vertici dell’amministrazione cominciò a emergere la figura del burocrate regista che in ragione della sua formazione eminentemente giuridica divenne il depositario di elaborazione della struttura formale del potere dello Stato. In quegli anni si andò affermando un’amministrazione legislatrice  identificazione tra cultura amministrativa e giuridica. La burocrazia del primo decennio del secolo diventò protagonista dell’evoluzione della crescita della nazione riuscendo a svolgere una funzione di mediazione tra società e istituzioni.

L’impatto con la guerra determinò una svolta repentina nel cammino che l’amministrazione statale aveva percorso nel decennio Giolittiano. Sotto l’incalzare delle vicende belliche e l’espansione dell’intervento statale non soltanto non si arresta Ma tese a divenire ancora più decisa. La mobilitazione civile provocò profondi mutamenti nell’organizzazione dello Stato. Rispetto alla lunga stabilità all’ordinamento ministeriale del periodo Giolitti ano si ebbero sostanziali modifiche negli apparati centrali. Il 18 giugno 1917 fu istituito il ministero per le armi e munizioni che era stato fino ad allora un sottosegretariato della guerra. Analoga fu la sorte del sottosegretariato per le approvvigionamenti e consumi alimentari che fu trasformato in ministero il 22 maggio 1918. Il riflesso più significativo delle modifiche avvenute durante la guerra fu l’introduzione dei criteri tecnici di gestione in alcuni segmenti dell’amministrazione e il conseguente emergere di una

ridisegno l’amministrazione statale dandole una pesante impronta gerarchica. La riorganizzazione venne attuata nel 1923 mediante l’adozione di circa 3000 regi decreti. Uno dei punti nodali della svolta fu la riforma dei ministeri finanziari. Il rafforzamento del ministero delle finanze fu completato con l’istituzione del provveditorato generale dello Stato e la contestuale soppressione degli economati dei singoli ministeri. La centralizzazione del controllo sulle procedure di spesa portò allo spostamento del baricentro dal ministero dell’interno a quello della finanza tesoro. Da quel momento la ragioneria generale dello Stato divenne il fulcro dell’amministrazione statale. I regi decreti varati diedero un diverso assetto all’amministrazione contrassegnato dalla rigidità dei sistemi di controllo, dal predominio della burocrazia della cifra e dal sostanziale arretramento dell’attività di natura imprenditoriale.

Tra la metà degli anni 20 e la metà degli anni 30 il fascismo impresse un differente indirizzo alle politiche sull’amministrazione ispirate a una visione tradizionale nella quale aveva fatto spicco il rigore contabile e la centralità dei controlli. In quel decennio a partire dalla crisi conseguente al delitto Matteotti il fascismo diede piena veste alla sua vocazione autoritaria e inaugurò una fase di espansione dell’intervento pubblico anche come risposta alla crisi economica e sociale. La stretta autoritaria del regime compì un primo deciso passo con la legge 24 dicembre 1925 numero 2263. Gli anni 30 del 900 costituirono in tutti i paesi occidentali lo spartiacque del ruolo delle istituzioni pubbliche nel governo dell’economia e della società. La grande depressione modificò radicalmente i parametri tragici e le politiche di governo delle società. La seconda fase del fascismo fu caratterizzata da una marcata pubblicizzazione degli interessi in ragione della quale si estese a dismisura il perimetro dell’intervento pubblico in economia e delle politiche sociali. All’accentuato formalismo sulla cultura giuridica di matrice orlandiano fece da contrappunto l’emergere di proposte di innovazione legata alla visione del Taylorismo della scrivania.

L’assetto totalitario assunto dal fascismo nella seconda metà degli anni 20 portò a un processo di centralizzazione di funzioni che ebbe nella presidenza del consiglio il suo cardine principale. L’obiettivo di un rafforzamento della struttura servente il presidente del consiglio era stata ripetutamente sostenuta in età liberale. Un piccolo ufficio denominato segreteria della presidenza del consiglio era stato istituito nel 1887 e regolato nel 1901 Per dare alla segreteria la possibilità di svolgere molteplici compiti di cura degli affari del presidente del consiglio si adottò l’espediente di destinarvi un numero consistente di impiegati in posizione di comando e istituire un ufficio legislativo per esame di leggi e decreti 1924  gabinetto della presidenza Dopo la legge del dicembre 1925 furono poste alle dipendenze della presidenza all’Istituto centrale di statistica, il capo di Stato maggiore generale, l’Istituto luce, nonché i tre più importanti corpi consultivi dello Stato. Intorno alla figura del capo di governo si concentrarono in tal modo funzioni di direzione amministrativa, compiti di responsabilità politica e attività di vigilanza e tutela. Numerosissimi furono i provvedimenti di riorganizzazione degli apparati centrali dello Stato. Esemplare il ridisegno dei ministeri economici che fu oggetto di uno dei tentativi più ampi e travagliati del primo decennio del fascismo. Il governo dopo aver soppresso nell’aprile 1923 il Ministero del Lavoro e della previdenza sociale abolì anche quello dell’agricoltura unendo in un unico dicastero I servizi dell’industria dell’agricoltura e del lavoro. Nel contempo nel ministero dell’istruzione pubblica furono accorpate tra il 1928 il 1929 le competenze del ministero

dell’economia nazionale in materia di istruzione tecnica e professionale e quella del Ministro della marina in materia di distruzione nautica. L’allargamento delle funzioni riguardò anche il settore dell’educazione extra scolastica. Nel 1929 fu incardinata nel ministero della pubblica istruzione l’opera nazionale balilla la cui guida fu affidata a un sottosegretario per l’educazione fisica e giovanile. Approdò ad esiti diversi la centralizzazione dei servizi amministrativi riguardanti le comunicazioni. Il ministero omonimo ereditò i compiti del ministero delle poste e dei telegrafi nonché del commissariato della marina mercantile e dell’amministrazione delle ferrovie. Nel dicembre 1922 l’assetto del ministero venne radicalmente modificato attraverso l’istituzione di tre direzioni generali operanti per competenza territoriale. Il continuo e caotico processo di riorganizzazione ebbe sviluppi ulteriori nei successivi decenni. 1932  le competenze riguardanti i culti vennero trasferite dal ministero di Grazia e giustizia il ministro dell’interno, nel giugno del 1935 fu istituito il ministero per la stampa e propaganda, due anni più tardi quello della cultura popolare, nel 1937 il ministero delle colonie, nel novembre successivo il sottosegretariato per gli scambi e le valute venne elevato al rango di ministero. Particolarmente rilevante fu la scelta di istituire nel luglio 1926 un ministero delle corporazioni nel quale Mussolini assunse il portafoglio. Nonostante la forte intenzionalità politica il progetto del regime non è bello esito sperato di creare un compiuto sistema corporativo e l’azione del ministero non si dimostrò in grado di incidere sui gangli vitali della vita produttiva.

Nel corso degli anni 30 la morfologia del sistema amministrativo italiano subì un cambiamento. La seconda fase del fascismo è simboleggiata dalla sostituzione al ministero delle finanze di Alberto De Stefani con Giuseppe Volpi di Misurata. Mentre l’amministrazione centrale dello Stato rimase strutturata secondo modelli organizzativi tradizionali nel vasto universo delle altre amministrazioni si ebbero cambiamenti molto profondi. I nuovi modelli organizzativi furono l’ossatura necessaria allo svolgimento delle nuove funzioni pubbliche. Per dare strumenti adeguati al massiccio interventismo negli anni 30 il fascismo si avvalse sia dell’ente pubblico sia di modelli privatistici per lo svolgimento di funzioni di pubblico servizio. L’espansione degli enti pubblici in crescita già durante gli anni 20 assunse proporzioni vertiginose nei settori più disparati concentrandosi prevalentemente in tre settori cruciali: assistenziale e previdenziale, tutela degli interessi partitici e dei gruppi professionali, attività imprenditoriale pubblica. La proliferazione di tale modello si sviluppò in campo previdenziale assistenziale con la trasformazione delle preesistenti casse nazionali nei due principali enti pubblici previdenziali del regime INFAIL e INFPS. La tendenza a una connessione ancora più stretta fra fascismo e Stato si manifestò anche nella scelta di dare veste di ente pubblico a strutture partitiche e para partitiche. Medesimo indirizzo si ebbe nella decisione del regime di dare forma pubblica a istituzioni esponenziali di interessi privati. Anche le camere di commercio divennero formalmente enti pubblici con un decreto dell’8 maggio 1924. La riforma rafforzava il potere ministeriale attraverso l’assimilazione dei controlli sulle camere a quelli sugli enti territoriali. La riforma fu solo un passaggio: il 18 aprile del 1926 le camere di commercio vennero soppresse e sostituite dai consigli provinciali dell’economia. Nel 1931 fu creato l’Istituto mobiliare italiano con un decreto Reggio del 23 gennaio 1933 vide la luce e l’Istituto per la ricostruzione industriale. IRI  emblema architettura istituzionale fascista, 1937 prima grande holding pubblica Altro anello di processo di pubblicizzazione riguardò il settore strategico del credito. Nel 1936 la legge bancaria attribuì alla Banca d’Italia più ampi poteri di vigilanza e di autorizzazione nei confronti degli istituti di credito.

presentare al governo proposte per il perfezionamento dei metodi di lavoro e di controllo nelle amministrazioni dello Stato. Gli obiettivi erano numerosi: semplificare l’organizzazione amministrativa, assicurare maggiore speditezza, ottenere la riduzione del numero degli uffici. Nel marzo 1929 il comitato presentò al duce le proposte su quattro temi principali: la scelta del personale, la sua utilizzazione, l’organizzazione amministrativa, i controlli. Le conclusioni del comitato furono respinte in blocco alla prima lettura da Mussolini il quale si mostrò molto preoccupato paventando che esse potessero far diminuire l’assorbimento nell’impieghi di Stato dei diplomati e dei laureati del mezzogiorno. Mussolini ordinò la distruzione del libro giallo arancione che le conteneva. Ancora una volta il problema del personale si ergeva come un macigno sulla strada del cambiamento. Capitolo 6: repubblica, costituzione, amministrazione: lentissimo il cambiamento

In meno di cinque anni vi fu la più profonda trasformazione politica istituzionale della storia del paese: la caduta del regime fascista il 25 luglio del 43, la lotta partigiana fino alla liberazione nazionale il 25 aprile 1945, la nascita della Repubblica con il referendum istituzionale del 2 giugno 1946, all’emanazione della costituzione il 1 gennaio 1948. Il risolta a favore della Repubblica la questione istituzionale si inaugurò la stagione della costituente e del consolidamento delle nuove regole istituzionali e politiche. La carta costituzionale delineava limpidamente per i poteri pubblici responsabilità e compiti molto maggiori rispetto al passato. In quegli anni dalla morte della patria l’8 settembre 1943 e la dignitari in conquistata con la lotta di liberazione nazionale si apre uno scenario di potenziali trasformazioni che venne sostenuto da un’idea nuova di diritti. Fu quella la spinta che accompagnò il lavoro dei costituenti mirato alla creazione di un raccordo diretto tra il riconoscimento formale di un diritto e condizioni che ne rendessero effettivo l’esercizio. All’interno di questo straordinario progetto politico e civile proprio la parte la carta costituzionale riguardante le amministrazioni pubbliche non risulto adeguata alla sostanza profondamente democratica dei principi della costituzione repubblicana. Le norme sulla pubblica amministrazione inserite nella costituzione e rappresentarono un’occasione perduta per avviare una reale rifondazione dello Stato. La vera frattura tra fascismo e post fascismo fu sancita dal crescente peso assunto dai partiti politici interpreti privilegiati della mediazione sociale. Come durante la grande guerra anche in occasione del secondo conflitto mondiale nacquero nell’amministrazione e strutture legate alle particolari esigenze di stampo bellico.nel febbraio del 1943 era sorto il ministero della produzione bellica, nel 1944 erano stati istituiti l’alto commissariato per l’alimentazione e il ministero per l’Italia occupata. Immediatamente dopo la fine del conflitto il 21 giugno del 1945 furono istituiti il ministero per la ricostruzione e quello per l’assistenza post bellica. Parallelamente ai fenomeni di organizzazione temporanea determinati dalle esigenze della guerra e della ricostruzione si ebbe lo spezzettamento delle funzioni alcuni grandi ministeri e la scomposizione degli apparati più apertamente di regime.

Gli anni 1944 1947 furono contrassegnati da una fortissima spinta propositivo e dal sovrapporsi di ipotesi progettuali anche di ampio respiro collegati al dibattito che si svolse all’assemblea costituente. Di tale fervore progettuale diede descrizione uno dei protagonisti del dibattito politico istituzionale Arturo Carlo Jemolo. A tanta ricchezza di proposte non corrispose un altrettanto significativa innovazione amministrativa. L’esigenza di riformare l’amministrazione pubblica non era una novità, come in passato la guerra aveva acuito l’urgenza di porre rimedio alle disfunzioni dell’amministrazione. Così crollato il regime si ripropose la questione dell’assetto della pubblica

amministrazione.l’11 ottobre 1944 Ivano e Bonomi istituì una commissione di studio. La finalità consisteva nell’eliminazione di ogni retaggio fascista dalla legislazione e nell’elaborazione di un organico piano di riforma amministrativa. La commissione affrontò quattro temi: la legge generale sulla pubblica amministrazione, l’organizzazione amministrativa dello Stato, l’organizzazione amministrativa degli enti pubblici, la giustizia amministrativa. Dopo aver delineato il quadro della riforma la relazione finale si soffermo sull’analisi dei difetti dell’amministrazione. Nel complesso la commissione non giunse a elaborare modelli alternativi rispetto a quelli esistenti formulando proposte che indicavano più correttivi che innovazioni. L’attenzione a tematiche connesse alla disciplina costituzionale sulle pubbliche amministrazioni fini per togliere spazio al tema dell’organizzazione degli apparati centrali e alla possibilità di mettere in discussione tradizionale il modello ministeriale. Le norme costituzionali sull’ordinamento dell’amministrazione evitare il persistere di un’ottica tipicamente ottocentesca cui seguì un insieme di principi a sfondo rigidamente garantisti. Nella costituzione si fissarono due diverse concezioni della pubblica amministrazione: una come apparato imparziale l’altra come apparato servente del governo. In seno all’assemblea costituente ebbe Pecorelli rilievo il dibattito sul destino dell’istituto prefettizio. a riguardo furono numerose le voci che ne chiesero l’abolizione di tenenti prefetti espressione del centralismo. Nel dibattito in assemblea a favore dei prefetti si levò autorevole la voce di Francesco saverio Nitti il quale ricordo che essi rappresentavano la stabilità e che lo Stato non poteva fare a meno di funzionari seri e preparati  senza prefetti nessun ordine. L’assenza nella carta costituzionale di un riferimento al prefetto fu conseguenza di un compromesso tra i costituenti.

La costituzione repubblicana recepito una nozione tradizionale delle amministrazioni pubbliche nonostante la rilevanza già assunta dai fenomeni di pluralizzazione delle strutture e delle funzioni. Mancò un approccio coerente con le profonde novità introdotte dalla costituzione. Non vi furono riforme complessive e emersero soltanto alcuni settoriali esperienze innovative nella forma delle amministrazioni di missione. In altri casi l’abbandono delle soluzioni adottate dal regime non condusse all’introduzione di nuovi strumenti bensì a recupero di vecchie istituzioni prefasciste. Fu il caso delle camere di commercio che nel 1944 risorsero dalle ceneri dei consigli provinciali dell’economia riesumando la precedente natura di enti pubblici con una diversa organizzazione e con un più penetrante controllo da parte del Ministro dell’industria e dei relativi uffici provinciali. Soppressa l’EIAR, al suo posto nel 1944 venne creata la Rai. Giuridicamente il nuovo ente assunse la forma di società concessionaria privata nella forma pubblica nella proprietà. Assai più articolati furono gli interventi sull’organizzazione degli apparati centrali. Tra le scelte operate un’interessante novità fu rappresentata dall’istituzione nel 1944 del ministero del bilancio nato con l’intento di controllare tesoro finanze servendosi del nuovo apparato come cabina di regia in grado di coordinare la politica economica e finanziaria del governo. L’evoluzione dell’organizzazione dei ministeri fu contrassegnata da un progressivo processo di segmentazione di funzioni ma al quale non furono affatto estranee valutazioni di natura politica. Nella seconda metà degli anni 50 la nascita del ministero della partecipazione statale, di quello della sanità nonché del turismo e spettacolo segnalo la tendenza a parcellizzare l’organizzazione ministeriale. Il ministero delle partecipazioni statali ereditava competenze fino allora dislocate in diverse amministrazioni. Fu il primo apparato statale centrale organizzato in base all’omogeneità delle funzioni in due servizi con contingente massimo di impiegati fissato per legge. Di diversa natura le ragioni che portarono alla nascita del ministero della sanità che ti do i compiti dell’alto commissariato per l’igiene e la sanità pubblica nonché residue competenze dell’interno di altri dicasteri. Ancor più singolare la scelta che portò alla nascita del ministero del turismo e dello