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riassunto del manuale "Letteratura italiana. Manuale per studi universitari. Da Tasso a fine Ottocento (Vol. 2)" per sostenere la parte istituzionale dell'esame di Storia della letteratura italiana II con Ferro, UCSC
Tipologia: Sintesi del corso
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Nel panorama del mondo letterario italiano il secondo 500 è un periodo caratterizzato da una crisi percepita con crescente urgenza, tanto che per definire questa stagione culturale si è soliti ricorrere all’espressione “autunno del rinascimento”, proprio per segnalare il progressivo tramonto di un mondo. In questo contesto emerge la figura di Tasso -> nella sua produzione letteraria è necessario fare una distinzione tra due fasi tra loro significativamente diverse. Da una prima fase, nella quale tasso pensa a una letteratura che attraverso il velo seducente della finzione coinvolga ed educhi il lettore, si passa ad una seconda in cui persegue con lucidità l’obiettivo di una poesia eloquente. Tasso nasce a Sorrento l’11 marzo 1544. Ben presto è costretto a sperimentare una vita non facile, da un lato a causa di alcuni traumi privati, come la morte della madre, dall’altro per la necessità di dover seguire già in giovane età il padre nei suoi viaggi per le diverse corti italiane (era poeta e cortigiano di professione). Il passaggio tra le corti italiane risulta però essere per Tasso un’occasione per entrare in cotta con ambienti intellettuali di prim’ordine -> diciottenne, inizia a dedicarsi allo studio attento e puntuale del pensiero di Aristotele. Nel 1562 un Tasso appena diciottenne da alle stampe a Venezia il poema cavalleresco Rinaldo : l’opera è incentrata sul racconto della gioventù dell’eroe Rinaldo, un personaggio già presente tra i protagonisti dei romanzi di Boiardo e Ariosto. Tasso da vita a un romanzo di formazione dell’eroe, tanto sul fronte militare quanto su quello sentimentale. Nella lettera che introduce il problema, Tasso viole chiarire i suoi principi di poetica che hanno governato le sue scelte compositive: da un lato dichiara una presa di distanza dalla narrativa di Ariosto e dei suoi imitatori, dall’altra manifesta una prudente adesione a un canone selezionato di modelli antichi. Tasso predilige per il suo poema alcune soluzioni improntare all’epica classica come il racconto di un’unica vicenza narrativa, o la scelta di ridurre al minimo la presenza esplicita del narratore nel tessuto del testo. Riduce il testo in soli 12 canti, sul modello dell’Eneide. Resta invece ancorato alla tradizione cavalleresca il ritratto dell’eroe protagonista, le cui avventure si succedono nel corso del poema in modo quasi meccanico. Quasi negli stessi anni in cui pubblica il Rinaldo, Tasso si dedica alla composizione dei Discorsi dell’arte poetica -> al centro del trattato è ancora la definizione delle regole del nuovo poema epico cavalleresco. La riflessione tassiana si concentra sul difficile tentativo di mediare le forme assunte dal poema moderno e le regole della Poetica aristotelica. Tasso si inserisce in un dibattito animato, che vedeva divisi i sostenitori della piena legittimità delle forme moderne del poema e coloniche invece cercavano di aderire alle norme e ai modelli antichi. Il trattato è articolato in 3 libri, dedicati rispettivamente alle categorie retoriche dell’inventio, della dispositio e dell’elocutio:
Nel 1561 vengono stampati 13 sonetti tassiani, all’interno di una antologia chiamata Rime di diversi poeti toscani , seguiti poi sei anni dico da altri 42 testi, inseriti nelle Rime de gli Accademici Eterei -> sono i primi episodi di una carriera di poeta estremamente prolifica, se si pensa che nel corso della sua esisteste Tasso compone quasi 1700 testi lirici. Alla corte di Ferrara (1565-1579) Concluso il periodo della prima formazione, nel 1565 tasso entra presso la familia di Luigi d’Este, facendo cosi parte del mondo della corte di Ferrara -> la corte diviene vero e proprio luogo ideale del suo mondo letterario. Sono anni contraddistinti da una straordinaria felicità creativa. Proprio per il mondo della corte ferrarese Tasso compone, nel 1573, l’Aminta - favola pastorale. Tasso scrisse l’Amanita proprio pensando a quell’ambiente di corte: la favola è ambientata nei boschi non lontani dalla città di Ferrara. La favola, articolata in 5 atti, narra la storia della giovane Silvia, pronta a difendere con risolutezza la propria verginità, e il pastore Aminta, innamorato e disperato per l’atteggiamento ostile della giovane. Personaggi complementari ai suoi giovani sono Tirsi - consigliere di Aminta, trasparente maschera del Tasso stesso - e Dafne - che diventa la saggia tutrice di Silvia. La trama, che pure ha delle digressioni nelle quali si esalta la figura del duca Alfonso II d’Este, risulta piuttosto lineare, centrata esclusivamente sul racconto dell’amore contrastato tra Aminta e Silvia. La notizia della presunta morte di Silvia, porta Aminta, non in grado si sopportare il dolore, a suicidarsi. Quando Silvia apprende la notizia, si dispera e riconosce il suo errore. Pensa di togliersi la vita. Ma proprio sull’orlo di un finale tragico, si viene a sapere che Aminta si è miracolosamente salvato e silvia allora cede, concludendo la storia in un matrimonio. Gerusalemme Liberata: un cantiere di lunga durata La scrittura della Gerusalemme Liberata impegna Tasso per un periodo molto lungo: le prime nozioni di un lavoro attorno al poema giungono agli anni 1559-1560 (le prime ottave vengono definite Gierusalemme , composte a Venezia). Non molte sono invece le nozioni che possediamo sull’avanzamento dei lavori negli anni successivi. Solo nel 1575 sappiamo che il poema era sostanzialmente compiuto, tanto che Tasso si sottopone alla cosiddetta “revisione romana” -> tasso intendeva dare in lettura a un gruppo di esperti i canti del poema, per avere suggerimenti ed eventuali critiche prima dell’uscita a stampa del poema. Questo risultò essere un momento di stasi, che obbliga tasso a rivedere larghe parti del poema -> documento di grande rilievo di questo momento sono una cinquantina di lettere che tasso scrive ai revisori, note con il titolo di Lettere poetiche e andate poi in stampa nel 1587. Un cosi ampio fronte di critiche non sembro scoraggiare tasso in un primo momento, tuttavia ben presto il cantiere della Liberata venne abbandonato. Fu poi edito per mano di stampatori e di smaliziati amici di tasso, prima in versione parziale e poi integrale tra il 1581 e 1584. Nel 1565 tasso dichiara in una lettera di voler avviare la composizione di un poema epico, ma di essere ancora incerto sulla scelta del soggetto -> la scelta cado sulla prima crociata. Dopo essersi documentato attentamente sulle fonti storiche, tasso decide di porre al centro del poema solo le ultime fasi della crociata, da quando l’esercito cristiano arriva in prossimità di Gerusalemme sino al momento in cui la città viene conquistata dai crociati. Con una esplicita ripresa dei primi versi dell’Eneide, il narratore presenta i protagonisti della vicenda, un esercito mosso dalla fede e guidato da Goffredo di Buglione, e la loro missione: liberare il Santo Sepolcro a Gerusalemme. Ad ostacolare il cammino del capitano e del suo esercito si ergono gli eserciti mussulmani e le forze demoniache.
prime schermaglie militari.
Armadi dimostra di padroneggiare con glaciale sicurezza le armi della seduzione, per convincere i soldati cristiani a volerla seguire, creando scompiglio tra l’esercito. Altra manifestazione del complesso mondo dell’eros della Liberata è il gioco di relazioni che si stabilisce tra il cavaliere cristiano Tancredi e le eroine musulmane Clorinda ed Erminia. Queste figure danno vita nel poema a una sorta di triangolazione imperfetta, grazie alla quale prende forma la rappresentazione di una continua frustrazione del desiderio. Da queste figure esce un’immagine dell’amore segnata dall’incertezza e dal dubbio. La dimensione del “meraviglioso” poi è uno degli elementi indispensabili a un moderno poema epico -> la soluzione di tasso era quella di legare questo aspetto alla religione cristiana e ai fatti considerati credibili. Il meraviglioso viene così ricondotto all’interno della contrapposizione che fonda il poema, il conflitto cioè tra il bene e il male, tra le forze di Dio e quelle dell’Inferno. Le ottave d’esordio del poema attribuiscono un ruolo centrale al capitano dell’esercito Goffredo di Buglione, ricordato nelle cronache storiche come devoto e pio, cui nel poema spetta il compito di disciplinare gli errori morali dei suoi soldati -> assume cosi la forma di una specie di “funzionario di dio”, cui spetta il dovere di ricordare la valenza profondamente religiosa della guerra intrapresa. Su di un piano complementare si colloca la figura di Rinaldo, il secondo necessario per la definitiva conquista di Gerusalemme, che, a differenza di Goffredo, nel corso del poema attraversa le fasi di una sorta di romanzo di formazione per divenire un perfetto cavaliere. Goffredo e Rinaldo diventano cosi gli ideali campioni di un mondo cavalleresco radicalmente ripensato da Tasso. Lo stile Tasso individua nei Discorsi dell’arte poetica come unico stile conveniente alla materia grave dell’epica quello del magnifico. Questa soluzione stilistica è definita da tasso come solenne, e induce a scegliere soluzioni linguistiche e sintattiche non consuete, la cui principale funzione è di spiazzare sistematicamente il lettore. In virtù di ciò, la scelta delle parole che tasso opera nella Liberata privilegia termini rari, che conferiscono al poema uno stile a tratti oscuro. Oltre a questo, contribuisce anche una sintassi indirizzata verso costruzioni che privilegiano i legami di senso rispetto alla esplicita connessione logica -> tasso arriva a definire questo sistema come “parlar disgiunto”. Sul piano delle tecniche narrative -> tasso opera nella Liberata delle scelte mirate a generare un coinvolgimento immersivo del lettore nelle vicende. Il narratore compare raramente e mai nelle zone più rilevanti del testo, ma la sua voce è, al tempo stesso, pervasiva. Si tratta di una voce che partecipa in prima persona ai sentimenti e alle emozioni di tutti i personaggi. La reclusione di Sant’Anna Nella seconda metà degli anni 70, i rapporti di tasso con la corte estense si fanno via via più difficili e tesi, probabilmente a causa delle gelosie e rivalità che animavano quel mondo. Dopo una serie di tentativi di trovare ospitalità in altre corti, nelle quali spera di vedere finalmente riconosciute le sue qualità, tasso, nel marzo 1579, a causa di un’esplosione di rabbia incontenibile, viene fatto rinchiudere dal duca Alfonso II nell’ospedale di Sant’Anna a Ferrara -> questo soggiorno forzato influì in maniera decisiva sulla personalità del poeta. La prigionia di Sant’Anna spinge Tasso a moltiplicare le occasioni di scrittura, tanto con le lettere quanto con rime di carattere encomiastico, ma pur con un impegno sul fronte della dialogistica.
Il genere dialogico -> è inteso da Tasso come una rappresentazione teatralizzata di un conversare mirato a esporre punti di vista dottrinali e intellettuali. All’interno dei dialoghi compare quasi sempre la figura dello stesso Tasso, che si cela dietro la maschera del cosiddetto “Forastiero Napolitano”. Sono proprio questi anni di prigionia in cui vengono date alle stampe un numero molto alto di rime -> si deve pero riconoscere che spesso le rime edite in queste edizioni sono presentate con palesi fraintendimenti, al punto che possono essere attribuiti a Tasso testi che non gli appartenevano. Affianco a ciò -> in questo periodo si registra una produzione quasi frenetica di lirica encomiastica, da Tasso pensata soprattutto come strumento per ingraziarsi i committenti, nella speranza di garantirsi una possibile via d’uscita dalla condizione di prigionia. Nel 1583 inizia anche un progetto di risemantizzazione delle sue rime, progetto abbandonato una volta uscito da Sant’Anna. Gli ultimi anni Solamente nel luglio 1586, per intercessione di Vincenzo Gonzaga principe di Mantova, tasso può finalmente abbandonare la reclusione di Sant’Anna per dirigersi presso la corte gonzaghesca, dove pero rimarrà solo un anno, per ripartire poi alla volta di Roma e Napoli. In questo periodo continua a lavorare alle sue opere, dando alla stampa la Gerusalemme conquistata, nuova versione del suo poema. Muore a Roma il 25 aprile 1595. Quest’ultima parte della vita di Tasso viene comunque segnata da una intensa attività, in nome di una idea di letteratura diversa da quella che animava molte delle opere del periodo precedente a Sant’Anna. Subentra in Tasso una nuova idea in virtù della quale deve essere privilegiata la presentazione del vero -> il poeta deve innanzitutto farsi portavoce di verità filosofiche e teologiche, deve saper includere nella sua stessa scrittura un ampio panorama di letture. Negli anni della composizione della favola pastorale Aminta, Tasso aveva anche iniziato a lavorare a una tragedia, che esce a stampa senza consenso dell’autore nel 1582, nonostante rimasta allo stadio di primo abbozzo, con il titolo tragedia non finita. Gia sul finire del periodo di Sant’Anna però tasso avvia un lavoro di completamente della tragedia, che termina nel 1587, quando ne cura direttamente la pubblicazione, dedicandola a Vincenzo Gonzaga -> il re Torrismondo. Articolata in 5 atti, Tasso adotta un soggetto non usuale: la storia del Nord Europa, coinvolgendo una civiltà lontana e capace di destare stupore e sorpresa. Se il soggetto è ripreso da fonti storiche, decisiva però è l’influenza dei modelli classici, su tutti l’Edipo re di Sofocle. La tragedia pone al centro della vicenda il rapporto tra il re di Svezia Germondo e il suoi amico più stretto Torrismondo, un rapporto che viene complicandosi in ragione dell’amore che Germondo nutre per Alvida, la cui famiglia è da tempo in lotta con quella di Germondo. Per superare la difficoltà, Torrismondo si offre di aiutare l’amico ordendo un inganno: chiede Alvida in sposa, con l’intenzione di cederla all’amico. Il piano sembra funzionare fino a quando i due si trovano in un naufragio e finiscono per innamorarsi -> per cercare di placare la rabbia di Germondo, Torrismondo gli propone in sposa sua sorella Rosmonda, ma questa da il via a una serie di scoperte che fa precipitare la tragedia verso la catastrofe. Si scopre infatti che Rosmonda è in realtà Alvida: l’amore tra questa e Torrismondo è quindi un’incesto -> l’unica via di uscita da questo crimine orrendo rimane solo il suicidio.
Battista Guarini vive la conclusione del rinascimento ferrarese con la fine della signoria degli Este - 1597 - e la rottura della solidarietà nel rapporto fra il principe e il cortigiano. Queste condizioni e la difficoltà di Guarini - personalità puntigliosa e orgogliosa - nel gestire quel rapporto determinano il suoi passaggio fra varie corti che costituiscono il necessario luogo di formazione e destinazione della sua produzione letteraria. Al 1580 risale il suo capolavoro poetico, il Pastor fido , tragicommedia pastorale in 5 atti, viene composto fra Padova e la Guarina, la villa nel Polesine in cui si ritira dopo essere stato licenziato dalla corte estense. Il Pastor fido nasce in competizione con l’Aminta e si pone come sintesi della pastorale scenica ferrarese: ne riprende infatti personaggi e moltissimi luoghi narrativi e spettacolari, rendendo pero ogni dettaglio strettamente necessario all’intreccio, costruito con assoluto rigore geometrico. Il protagonista della vicenda è Mirtillo che, nono stante le ripulse, resta fedele all’amore per Amarilli, offrendo anzi la propria vita in cambio di quella della ninfa, incolpevole ma condannata a morte per adulterio perché, promesso sposa a Silvio, è stata sorpresa con Mirtillo in una grotta. Questi, discendente di Ercole, puo sposare Amarilli, che l’ha amata segretamente ed è discendente di Pan: si compie cosi l’oracolo per cui solo il matrimonio di due discendenti di stirpe divina avrebbe posto fine all’annuale sacrificio di una fanciulla a Diana, imposto dalla dea in riparazione della morte del pastore Aminta causata dall’infedeltà della ninfa Lucrina. D’altra parte Silvio, fanatico devoto di Diana, cederà all’amore costante di Dorina solo dopo averla gravemente ferita con una freccia, ingannato dalla pelle di lupo in cui la ninfa si era in precedenza coperta per trasferirsi da pastore e seguirlo nella sua battuta al cinghiale. I personaggi e la vicenda del Pastor fido sono sottoposti ad un destino provvidenziale che ne indirizza, in modo arcano, le esistenze, rovesciandone sistematicamente piani ed azioni: per esempio la freccia di Silvia che colpisce Dorinda diviene piuttosto il dardo con cui Amore ferisce il pastore. È questo un segno evidenze assieme ad altri che il codice biblico-religioso innerva tutto l’intreccio del dramma. Nel 1593 poi sono pubblicate Le Lettere , che hanno valore modernizzante ma danno anche conto del disincanto con cui Gaurini guarda alla vita di corte. Proprio al genere epistolare, dedica inoltre il dialogo Il Segretario. Con argomentazioni filosofiche vi dimostra che, eliminato ogni ruolo politico, il residuale compito del segretario è ormai solo tecnico. Gli ultimi anni La vita cortigiana ripreme a Firenze - dal 1599 al 1601. Per il granduca Ferdinando I Guarini compone il Trattato della politica libertà , in cui sostiene la superiorità della tirannide nel garantire la libertà politica dei sudditi. Si sposta poi a Urbino e ritorna a Ferrara nel 1605, quando pronuncia l’orazione di sottomissione della città al neo eletto Paolo V. Muore a Venezia nell’ottobre 1612.
Filippo Bruno nasce a Nola nel 1548 in una famiglia di umili condizioni. Nonostante cio intendeva ricevere un’istruzione, e cosi all’età di 27 anni entra a far parte dell’ordine domenicano a Napoli, assumendo il nome di Giordano. Nel 1576 fugge a Roma, dando cosi inizio alla lunga peregrinatio europea che scandisce per intero la sua esistenza e che condiziona in modo profondo anche la sua scrittura. Dopo soggiorni a Tolosa e Ginevra, nel 1581 si sposta a Parigi, dove entra in contatto con gli ambienti della corte. Nella capitale francese stampa le prime opere dedicate all’arte della memoria. Nel 1582 Bruno, ancora a Parigi, scrive il Candelaio , commedia in cui viene alla luce in modo nitido la sua posizione: non un rifiuto della tradizione, quanto una sua rielaborazione creativa. Attraverso i personaggi di Bonifacio, l’innamorato petrarchista, Bartolomeo, lo pseudoalchimista, e il pedante Manfurio, l’obiettivo è quello di mettere sotto una luce ridicola le derive inconcludenti della cultura a lui contemporanea. Trasferitosi a Londra nel 1583, Bruno manda a stampa una serie di opere ancora di matrice esoterica. Sempre a Londra tra il 1584 e 85 pubblica sei dialoghi in volgare -> serie di opere nelle quali emergono, nella forma di dialogo, le idee portanti di un pensiero filosofico ormai giunto alla piena maturità. Il manifesto della filosofia di Bruno è il dialogo in volgare pubblicato nel 1584 a Londra, il De la causa, principio et uno : emerge l’opposizione tra materia/femmina passiva e la forma/maschio attiva. Recuperando questa contrapposizione, Bruno sottolinea al contrario al fecondità: la materia è un principio vitale e attivo, non un “quasi niente” indeterminato che, per giungere a definizione, deve attendere un intervento esterno. La materia rappresenta la fonte generativa della vita: un paradigma teoretico, che Bruno non abbandona mai e che viene nel corso del tempo perfezionato. Il linguaggio è ricco di neologismi, un lessico quindi che assimili quanto più possibile ai contenuti. Nell’ultimo dei dialoghi pubblicati a Londra, il De gli eroici furori , Bruno delinea un altro possibile cammino dell’uomo verso la verità, l’eroico furore: nell’universo infinito all’uomo, dotato di un intelletto finito, è preclusa ogni possibilità di accesso alla verità facendo unicamente affidamento sulla capacità intellettiva. È necessario dunque ricorrere alla forza della volontà, che spinge il soggetto conoscente oltre i suoi limiti, mettendolo nella condizione di raggiungere per un istante l’assoluto nella sua dimensione esplicata. Il dialogo è costruito come commento a una galleria di immagini, accompagnate da componimenti poetici. Dopo un secondo breve soggiorno a Parigini, Bruno si reca in Germania e poi a Praga, dove nel 1588 dedica uno scritto all’imperatore Rodolfo II, preceduto da una lettera dedicatoria in cui illustra la sua concezione di una religione improntata sulla tolleranza. Arriva poi a Helmstedt: risale a questo periodo la composizione della maggior parte delle opere di argomento magico, pubblicate solo alla fine dell’800. Nell’estate del 1590 è a Francoforte, dove consegna alle stampe tre poemi filosofici in latino. Su invito del patrizio veneziano Mocenigo, rientra in Italia e, denunciato dal suo stesso ospite, nel 1592 viene arrestato dall’Inquisizione e processato. Viene arso sul rogo nel 1600. TOMMASO CAMPANELLA Nato in Calabria nel 1568, entrò a 14 anni nell’ordine domenicano. Nel 1588, a Cosenza, dopo la lettura di un testo di Telensio - opera radicalmente antiaristotelica - la sua riflessione cambia profondamente -> adesione alla filosofia telesiana.
L’intero percorso mariniamo - che è sicuramente il percorso poetico più significativo del primo 600 - può essere interpretato ponendo al centro la straordinaria capacità del poeta di rispondere al bisogno di una nuova letteratura, proiettata oltre gli approdi rappresentati dal precedente Tasso, e insieme di realizzarla in opere maestose che diventano subito un modello non aggirabile per i contemporanei. Pochissimo è noto dei primi anni di Martino. Nasce nel 1569, compie studi giuridici senza entusiasmo e sviluppa una passione letteraria contrastata dal padre, una passione che si alimenta con il trasferimento a Napoli. Qui entra in contatto con importanti letterari. Gli esordi poetici del Marino in questo contesto -> il primo testo con qui diventa celebre è Canzone dei baci. Si tratta di una novità misurata di concetti e di linguaggio che caratterizza la prima stagione della poesia maririana. Parallelamente alla formazione letteraria -> Marino viene per due volte condannato al carcere - motivi di reati sessuali e produzione di documenti falsi - ma la seconda condanna riesce ad evitarla e si sposta a Roma. Roma All’arrivo a Roma Marino si guadagna con rapidità la protezione delle famiglie più importanti -> è una scalata che conferma la straordinaria abilità di autoproduzione del Marino. Sono ormai maturi i tempi per l’esordio a stampa: le Rime vengono pubblicate a Venezia nel 1602 e ottengono uno straordinario successo. -> Marino si rivela al pubblico italiano come un autore dall’ingegno vivacissimo. Marino annuncia, proprio a margine delle Rime del 1602, un poema dal titolo Gerusalemme distrutta -> la Distrutta, che doveva raccontare della distruzione di Gerusalemme da parte dell’imperatore Tito nel 70 dc, non vede la luce negli anni successivi, segnale chiaro di un disinteresse dell’autore. Nel 1605 in una lettera all’artista Bernardo Castello annuncia di aver pronti 5 poemetti, tra qui l’Adone e la Strage degl’Innocenti. In quell’anno lascia Roma e si trasferisce a Ravenna, dove rimane per gli anni successivi. L’ambiente cosi pacato lo porta a cercarsi un’altra sistemazione cortigiana più prestigiosa -> approfittando di un matrimonio tra le figlie di Carlo Emauele I di savoia e due principi delle casate d’Este e Gonzaga, Marino compone due testi encomiastici, mettendosi subito in luce presso la corte torinese. Il trasferimento a Torino nel 1609 sembra dunque l’ennesimo riconoscimento di un’eccellenza, ma in realtà nasconde un versante in ombra -> lascia frettolosamente Ravenna poiché inseguito dal tribunale dell’inquisizione che richiede un arresto per aver composto poesie “oscene ed empie”. La protezione di Carlo Emanuele risulta da questo punto di vista una difesa decisiva, ance se Marino non si astiene ancora una volta da una condotta rischiosa: viene imprigionato per 1 anno per aver scritto testi poco riverenti verso il duca. Quando ritorna in libertà, alla metà del 1612, Marino si impegna per pubblicare alcune opere cui ormai lavora da molti anni -> nel 1614 pubblica la terza parte delle sue rime, la Lira , nella quale raccoglie le liriche composte negli anni dopo il 1602 e allo stesso tempo chiude la propria esperienza lirica. E poi pubblica le Dicerie sacre , le quali rappresentano un’innovazione inattesa con la quale marino scende nel campo della prosa sacra. Egli è convinto che le Dicerie sacre “faranno stupire il mondo”, legando insieme una materia sacra e una tecnica inedita. Rappresentano in effetti il capolavoro decisivo del primo Barocco in Italia. Marino ne pubblica 3:
segni delle proprie ferite sul sacro lino
Le Dicerie sono accompagnate da un dossier impressionante di citazioni di testi sacri e di Padri della chiesa, con l’effetto di voler dimostrare la straordinaria cultura sacra del loro autore. Non vengono pero ben accolte dal papa Paolo V, e cosi decide di lasciare l’Italia, fuggendo in francia. L’arrivo alla corte di francia, che era la corte di una regina italiana, Maria de Medici, avviene sotto gli auspici migliori: viene ben accolto a corte e sembra riuscire subito a garantirsi una posizione sicura. Sarà una condizione che il Marino saprà conservarsi anche negli anni seguenti -> prima celebra la regina ne Il tempo , poi celebra le nozze del figlio luigi XIII in un testo intitolato La Francia consolata , che colloca in apertura degli Epitalami , raccolta di testi per nozze stampate nel 1616. Tra il 1619 e 1620 manda in stampa le due grandi raccolte annunciate da molti anni: La Galeria e la Sampogna. La Galeria è una raccolta di 624 testi poetici, ciascuno dedicato a un’opera d’arte. Divisa in due grandi sezioni, pitture e sculture, documenta la passione di Marino per le arti figurative, e la sua intenzione di gareggiare con loro attraverso la parola poetica -> ogni testo infatti, piuttosto che descrivere la singola opera, attiva una sorta di contesa sull’oggetto rappresentato che la parola poetica piega in chiave arguta. La Sampogna, invece, è una raccolta di 12 idilli composti in diverse stagioni e raccolti in un’antologia che Marino cura personalmente. La materia è soprattutto mitologica, con alcuni testi di marca pastorale; vengono riscritti episodi celebri del patrimonio classico. Ma la Sampogna è soprattutto giocata su uno sfoggio di straordinaria tecnica poetica: Marino mette in mostra un’estrema abilità nel gioco dei ritmi. l’Adone, il poema del secolo Quando arriva alla stampa nel 1623, l’Adone è un poema cui Marino sta lavorando ormai da 30 anni. Le prime testimonianze risorgono agli anni napoletani. A quell’altezza pero l’Adone rimane un poemetto, cioè un’opera abbastanza breve distribuita su tre canti, tre tempi per innamoramento, amori e morte. La svolta avviene nel 1614-15, tra gli ultimi mesi italiani e la decisione di passare in Francia. Il poema si incentra sull’amore che lega Venere ad Adone, un giovane di stirpe regale: una favola mitologica dunque. L’elemento decisivo dell’Adone però è rappresentato dall’ampiezza: la storia dei due amanti diventa la base per il poema più lungo della letteratura italiana.
Mercurio, di Venere, osservando dall’alto le meraviglie del mondo
per Adone che viene prima trasformato in pappagallo e poi rapito
caccia. Il poema si chiude con una lunga celebrazione in onore del giovinetto. Sulla storia principale si innestano una serie di episodi che Marino aggiunge progressivamente negli anni, passando da una struttura in tre tempi a una narrazione che accoglie digressioni a racconti secondari (giudizio di Paride, mito di Amore e Psiche, …). Si tratta di una divaricazione rispetto al genere epico -> l’Adone segna la perdita di una narrazione compatta e logicamente coerente. Nell’Adone domina un ideale di classicismo esclusivo, la possibilità di trapiantare e trasfigurare ogni cosa nel terreno della letteratura e di celebrare il trionfo della letteratura stessa.
La stagione della poesia barocca è stata giudicata un’epoca di decadenza, segnata dal n eccesso di sperimentazione che sfociava direttamente nel “cattivo gusto”. Soltanto negli ultimi decenni si è fatta strada una valutazione più approfondita. Gabriello Chiabrera Chiabrera è una figura rilevante nella poesia di primo 600. Nasce a Savona nel 1552 e muore nel 1638, in piena stagione barocca, dopo essere diventato uno degli autori di riferimento del pontificato di Urbano VIII Barberini. Egli attraversa dunque in pieno la transizione che porta al primo Barocco italiano. Nel 1582 fa il suo esordio nel genere epico con Guerre de’ Goti. Negli anni successivi Chiabrera si impegnerà in diversi cantieri epici, con il quale celebrare sia la casata de’ Medici, sia la casata dei Savoia -> questa ed altre prove epiche pervengono però a esiti poco efficaci. La sezione più importante della scrittura di Chiabrera è piuttosto rappresentata dalla lirica, entro cui da un lato riprende i modelli della tradizione classica, dall’altro si mostra capace di una sperimentazione nell’ambito dei metri e dei ritmi. Nel 1591 pubblica le Canzonette , una serie di canzone pindariche che riscuotono un grande successo. Nelle raccolte Maniere di versi toscani , Scherzi , e Canzonette morali - pubblicate negli anni a cavallo tra i due secoli - Chiabrera fa d’altra parte sfoggio di una gamma straordinaria di soluzioni metriche, con una poesia raffinata, tutta giocata sull’abilità poetica. -> la proposta di Chiabrera è caratterizzata da un’infittirsi del tessuto metaforico e da un concettismo che caratterizza la generazione dei poeti del 600. Se primi due secoli trascorrono in una ripetuta risistemazione del corpus poetico, è dopo l’elezione di Urbano VIII, nel 1623, che Chiabrera conosce una stagione di nuova centralità quale modello di un raffinato dialogo con i classici di contro agli eccessi sperimentali dei moderni. Viene chiamato a Roma e segnalato da un omaggio diretto del papa -> gli ultimi anni trascorrono dunque in una posizione di grande rilievo, ed è in questi anni della maturità che scrive una breve e interessantissima autobiografia. Qui si incammina per sentieri inediti, soprattutto sul piano delle forme. Accanto a Marino Se Chiabrera rappresenta un modello di un’altra generazione, intorno a Marino si muove una serie di poeti nuovi che diventeranno protagonisti della prima poesia barocca. Vediamo Tommaso Stigliani, Gasparo Murtola o Ferrante Carli. In loro, comune è la spinta a praticare nuovi moduli e nuovi contenuti, con un ricorso marcato alla metafora. Questo movimento trova supporto anche in alcune accademie -> cosi è per l’accademia dei Gelati a Bologna. Nell’ambito della produzione di idilli, spicca la figura di Claudio Achillini. Autore formatosi a Bologna, nel 1632 pubblica le Poesie : i suoi testi rappresentano un esempio di Barocco pieno e maturo. Un sonetto delle Poesie verrà ripreso nei Promessi Sposi da Manzoni proprio come simbolo degli eccessi barocchi. Accanto a Bologna, importante è anche l’esperienza culturale che matura a Genova, intorno all’eredità di Angelo Grillo.
Tra le opere più importanti vanno ricordate lo Stato rustico di Giovan Vincenzo Imperiali, immenso poema in endecasillabi di materia pastorale e mitologica, che offre un modello stilistico all’Adone di Martino; e la Reina Ester di Ansaldo Cebà, opera che tratta la materia sacra in maniera ibera. A Napoli invece, un centro importante diventa l’Accademia degli Oziosi, divisa tra il modello di Tasso e di Marino. La Napoli degli Oziosi ospita il percorso di Basile, Giovan Battista Mando e Gian Francesco Maia Materdona, che passa da esordi lirici di gusto mariniano a una produzione matura di materia sacra, dopo una conversione spirituale. In questo quadro di accademia, il posto più rilevante è pero occupato dall’Accademia degli Umoristi a Roma: tra gli accademici figurano Guarini, Grillo, Marino, Tassoni e Maffeo Barberini. Attraversa la Roma degli Umoristi anche Alessandro Tassoni, letterato nato a Modena nel 1556. Interviene nella scena della letteratura maggiore con le Considerazioni sopra le rime del Petrarca , le quali mostrano un atteggiamento non riverente verso uno dei testi cardine della tradizione letteraria, dando origine a una polemica, nella quale Tassoni interviene negli anni successivi con una serie di libelli polemici. Lo stesso atteggiamento di critica aperta anima anche la grande raccolta dei Pensieri , che arriva alla stampa nel 1620. Tassoni discute i modelli classici al confronto con i modelli contemporanei. Il nome di Tassoni è pero legato soprattutto alla formazione del genere eroicomico: nel 1622 appare la Secchia rapita , poema che dimostra l’abbandono del genere tradizionale della poesia epica la scelta di sperimentare una forma inedita. La storia racconta dello scontro tra modenesi e bolognesi nel corso dell’opposizione tra guelfi e ghibellini del 300 italiano, ma mescola particolari e vicende senza troppa attenzione al dato storico. Si rivela al termine una operazione letteraria estremamente raffinata: offre una parodia del genere epico, ma allo stesso tempo mette in mostra una tensione sperimentale sul piano dello stile. A partire dalla Secchia, il genere eroicomico diventa un fenomeno che conosce larga diffusione - anche in Europa. La poesia di pieno e tardo 600 e le sistemazioni teoriche Le due esperienze più significative del secolo si sviluppano in Friuli con Ciro di Pers, e in Campania con Giacomo Lubrano. Ciro, nato nel 1599 nel castello di Pers, studia a Bologna entrando in contatto con i modelli di Pireti, di Achillini e poi con la poesia di Testi. Le sue opere sono state pubblicate postume, segno di una distanza dalla scena letteraria ufficiale. E tuttavia la sua poesia attinge un valore esemplare, da un lato nella ricerca metaforica, dall’altro nella curvature di ordine morale impressa alle sue composizioni concettose. Più giovane di una generazione rispetto a Ciro di Pers, Giacomo Lubrano nasce nel 1619. Offre un’esperienza lirica soprattutto a matrice sacra. La sua formazione gesuitica e il cammino all’intento dell’ordine danno occasione alla scrittura di Prediche quaresimali. Realizza anche numerose liriche, caratterizzate da una ricerca della novità di immagini e metafore. Giunge a chiudere la stagione due opere di sistemazione teorica: da un lato Federigo Meninni con il Ritratto del sonetto e della canzone ripercorre la storia della tradizione lirica; dall’altro si colloca il Cannocchiale aristotelico di Emanuele Tesauro. L’opera mira a una teorizzazione della poesia moderna.
Nella città lagunare ha modo di frequentare circoli culturali, e di accostarsi al mondo diplomatico francese. Piu in generale, questo periodo rappresenta per Sarpi un’occasione per sperimentare nuove conoscenze ed allargare i propri orizzonti anche attraverso gli ambienti riformativi. Nel 1606 Venezia riceve dal papa l’interdetto, ossia la proibizione di celebrare le funzioni religiose all’interno del suo territorio. All’attacco, la Serenissima risponde con le tesi pienamente argomentate da Sarpi, che ne difendere scelte. In particolare Sarpi sostiene la dimensione pienamente autonoma e laica dello Stato, contro il quale la scomunica non può avere alcun effetto. Lo sconto tra Venezia e Roma si concluderà con un compromesso nell’aprile 1607. Non stante l’apparente pacificazione, nell’ottobre Sarpi a Venezia subisce un attentato, ordito dalla Curia, al quale riesce a sopravvivere miracolosamente. Le vicende politiche e diplomatiche di quegli anni sono ripercorse nella Historia dell’Interdetto , pubblicata nel 1624 a Ginevra: il contenuto di quest’opera è costituito a consulta, che Sarpi aveva redatto nel ruolo di consultore teologo, e dai testi di natura polemica. l’Historia si rivela molto utile per seguire ‘evoluzione del pensiero sappiano fino gli scritti rivolti a un pubblico più ampio. Alla luce di quanto detto la posizione di Sarpi nei confronti della Chiesa della Controriforma appare chiara e irreversibile. L’opera più significativa è Istoria del Concilio tridentino -> divisa in 8 libri, si propone di ricostruire e analizzare i fatti relativi al concilio di Trento. Nel 1623 Sarpi muore a Venezia, qualche anno dopo la pubblicazione dell’Istoria. Traiano Boccalini Altra figura significativa nell’abito della scrittura politica seicentesca e amico di Sarpi. Nato a Loreto nel 1556, Boccalini vanta un curriculum che abbraccia studi letterari e giuridici. Sul finire del 1585 giunge a Roma, dove gode della protezione di importanti figure della Curia, e da Roma viene inviato in varie città per incarichi governativi -> in tali circostanze fa esperienza diretta anche della politica spagnola. Nello stesso tempo -> la lettura di Tacito stimola ulteriori considerazioni, con conseguente maturazione di un pensiero sempre più avverso alla chiesa e critico verso la verità. Nel 1677 vengono pubblicati postumi i voluminosi Commentarii sopra Cornelio Tacito di Boccalini. Ideati a partire dal 1590 e rimpinguati nel corso degli anni, essi prendono in alassini la realtà contemporanea, utilizzando come pretesto l’opera storica di Tacito. Nel frattempo Boccalini lavora a un’altra opera cui ha messo mano via dal 1605, i Ragguagli di Parnaso: il testo, che conosce una prima circolazione manoscritta tra sodali e protettori, appare potenzialmente pericoloso per il suo contenuto, osteggiato dal potere della Chiesa di Roma. Nel 1612 Boccalini si vede costretto ad abbandonare Roma, sia per dissapori maturare con la Curia, sia probabilmente per le amicizie pericolose - come Sarei - e si trasferisce a venezia. Nella repubblica, Boccalini ha la possibilità di continuare a lavorare ai Ragguagli -> i Ragguagli di Parnaso - portati a termine nel 1612 - sono l’opera maggiore e più impegnativa di Boccalini. L’anno dopo Boccalini muore improvvisamente. Nei Ragguagli, testo in prosa di carattere astici e dalla forte valenza allegorica, Boccalini si immagina di ascendere dal monte Parnaso, presentandosi come corrispondente dei letterati e degli uomini virtuosi di ogni età e di discutere sopra i principali argomenti che riguardano la politica, la storia, la scienza, la letteratura.
-> si tratta di un genere, quello del “viaggio parancano”, diffuso tra la letteratura del 500 e che trova in Boccalini la massima espressione. Torquato Accetto Torquato Accetto è un letterato che si colloca all’interno dell’ambito culturale napoletano della prima metà del 600. Nasce intorno al 1590 a Trani e nel 1612 si sposta ad Andria, dove diventa segretario al servizio dei duchi Carafa. Nel 1618 Accetto risulta essere a Napoli. Le scarne notizie biografiche non consentono di ripercorrere con chiarezza il suo percorso. Per quanto riguarda la produzione poetica -> nel 1621 vede luce una prima edizione di Rime , a cui segue una seconda nel 1626 - nella quale viene rivista la precedente - e una terza nel 1638. -> nelle rime si manifesta un bisogno di ricerca del vero. Una poesia che per molti aspetti prelude alla stesura del trattato Della dissimulazione onesta , il suo lavoro più noto. Questo trattato, edito nel 1641, è un breve trattato che si colloca nel dibattito della “ragion di Stato”: Accetto, che fa esperienza come segretario, affronta la questione relativa al comportamento da tenere in pubblico. Accetto si rivolge a chi è nobile d’animo. La via intrapresa come soluzione consiste in una difesa della libertà, all’insegna di un comportamento segnato dalla prudenza, la “dissimulazione” per l’appunto, diversa dalla simulazione. Dopo la sua pubblicazione, di Accetto non si hanno piu notizie e il suo nome è presto dimenticato. Occorrerà attendere il 1928, quando il Della dissimulazione onesta verrà sopporto, pubblicato e valorizzato da Benedetto Croce.
Proprio il confronto diretto tra scienza e fede procura delle reazioni inevitabili da parte delle gerarchie ecclesiastiche: è a seguito di questa stagione di dibattiti che arriva infatti un pronunciamento deciso della Chiesa in merito alle dottrine copernicane. Ne febbraio 1616 viene promulgato il “salutifero editto”, con il quale si sancisce la condanna della teoria di Copernico che prevede il movimento della terra intorno al sole, proprio in quanto contrastante con la dottrina proposta dalle Scritture -> Galileo viene cosi costretto a mutare direzioni: tutti gli anni successivi saranno cosi all’insegna di una necessaria prudenza, almeno nei pronunciamenti pubblici. A ravviare le discussioni sono le tre comete apparse nei cieli nell’autunno del 1618: osservate con i nuovi strumenti, accendono il confronto e i dibattiti tra le diverse teorie. All’invio del 1619 è il gesuita Orazio Grassi a pubblicare un trattato in latino in cui fornisce del fenomeno una spiegazione in linea con la teoria di Brahe, una teoria che si allontanava dal sistema tolemaico, ma che conservava la posizione centrale e stabile della Terra nei cieli. Galileo decide di non intervenire direttamente, ma di affidare le sue riflessioni a un Discorso sulle comete pubblicato dall’allievo Guiducci. Grassi controbatte nel 1619 con un’opera polemica diretta esplicitamente contro Galileo. Nasce cosi il Saggiatore, che Galileo compone lentamente nel corso del 1620-21, e che assume come destinatario Virginio Cesarini, giovane letterato da poco entrato nel gruppo dei Lincei. Il Saggiatore viene pubblicato nel 1623 e offre una dimostrazione della fiducia galileiana nella possibilità della conoscenza umana. Riprendendo le posizioni di Grassi, e smentendole, in un registro che oscilla tra ironia e caricatura, Galileo trasmette l0entusiasmo di una ricerca che si misura direttamente con la natura, senza la mediazione condizionante degli argomenti di autorità. La stagione successiva al Saggiatore è segnata da un rinnovato ottimismo. Nella primavera del 1624 Galileo viene più volte ricevuto in udienza privata da Urbano VIII, e si consolida in lui la fiducia nell’apertura di una nuova stagione culturale -> è possibile che Galileo abbia sottovalutato le resistenze ancora vive a Roma. Decide comunque di tornare a lavorare al vecchio progetto di un Discorso del flusso e riflusso del mare, con cui prova anche il fenomeno delle maree come prova del moto terrestre, a supporto della validità del sistema copernicano. E tuttavia nel Dialogo cui lavora nella seconda metà degli anni 20 Galileo intende anche fare spazio a molti dei materiali e degli appunti accumulati negli anni -> il passaggio dal Discorso al Dialogo è da questo punto di vista un’innovazione strutturale decisiva: rispetto alla struttura più organica e lineare di un trattato scientifico, il dialogo tra diversi interlocutori consente una mobilità di toni e di voci, un continuo trapasso di argomenti, con la possibilità di digressioni e allontanamenti dall’esposizione principale. L’opera è già pronta nel 1630 e Galileo avvia una serie di contatti per ottenere un’approvazione preventiva che sancisca la correttezza dell’opera sul piano teologico: il Dialogo viene cosi inviato a Niccolò Ricciardi, maestro del Sacro Palazzo -> nel 1631 Galileo deve accettare diverse modifiche al testo. l’opera viene ribattezzata Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo , e presenta dunque un confronto tra i due sistemi di Tolomeo e di Copernico. La stampa del dialogo, con l’approvazione scritta del Ricciardi, avviene nel giungo 1632. L’opera viene dedicata al granduca di Toscana, e l’edizione è aperta da un’immagine che rappresenta i 3 protagonisti, le figure cui Galileo affida lo sviluppo del dialogo:
I dialoghi, articolati in 4 giornate, si svolgono a Venezia e le dinamiche vedono le argomentazioni di Salviati opporsi a quelle di Simplicio, le prime a sostegno del sistema copernicano, le seconde a sostegno di quello tolemaico.