Scarica Riassunto previdenza sociale e più Appunti in PDF di Diritto della Previdenza Sociale solo su Docsity! DIRITTO DELLA PREVIDENZA SOCIALE CAPITOLO PRIMO L'EVOLUZIONE DELLA PREVIDENZA SOCIALE 1. Premessa La materia della previdenza sociale e le stesse fonti che la regolano si caratterizzano per una ambiguità che, a volte, ha conseguenze pratiche notevoli nonché riflessi sulla configurazione teorica del nostro sistema previdenziale. Le ragioni di quella ambiguità derivano da ciò che gli obiettivi realizzati dalla tutela previdenziale non sono mai costanti, ma sono stati, e continuano ad essere, ricondotti alla realizzazione di interessi pubblici generale e a solidarietà particolari a carico degli stessi soggetti protetti. Tutte le forme di tutela, nelle quali si articola il nostro sistema previdenziale, sono state istituite subito prima e durante l'ordinamento corporativo e, al momento della loro istituzione, e per effetto delle concezioni che caratterizzavano quell’ordinamento, tali forme costituivano espressione di una solidarietà limitata ai datori di lavoro e ai lavoratori. Ciò imponeva che la tutela previdenziale fosse limitata ai lavoratori subordinati, ma consentiva anche che tale tutela fosse realizzata attraverso rapporti analoghi a quelli propri delle assicurazioni private. Si riteneva che tra contributi e prestazioni previdenziali intercorreva una relazione di corrispettività e ciò poiché l'ammontare della prestazione era rigorosamente proporzionato ai contributi versati, mentre il mancato versamento di questi ultimi escludeva il diritto alle prestazioni. Nell’ottica di una solidarietà limitata a datori e prestatori di lavoro non era avvertita l’esigenza di garantire l’effettività della tutela previdenziale, prescindendo dal gettito contributivo. Per contro, la Costituzione repubblicana considera la tutela previdenziale come espressione di una solidarietà estesa a tutti i cittadini, la cui realizzazione corrisponde alla soddisfazione di un interesse di tutta la collettività. Secondo i principi costituzionali, il titolo per avere diritto alle prestazioni previdenziali risiede soltanto nell'essere cittadini e i livelli di quelle prestazioni, in quanto destinate ad assicurare ai cittadini che siano, o siano stati, anche lavoratori, “mezzi adeguati alle esigenze di vita”, debbono essere determinati soltanto in funzione delle scelte politiche che ispirano il legislatore nella valutazione e nella individuazione delle esigenze di liberazione dal bisogno alle quali occorre dare soddisfazione. L’ambiguità deriva anche dal contrasto tra le concezioni che, durante l’ordinamento corporativo, presiedettero all’istituzione del nostro sistema previdenziale e quelle che, per essere state accolte nella Costituzione, si deve ritenere attualmente lo ispirino. Tale ambiguità ha finito per determinare, specialmente nelle gestioni previdenziali che si caratterizzano per l’erogazione di trattamenti pensionistici e per il Servizio sanitario nazionale, un’alterazione del rapporto tra gettito contributivo e onere della prestazione, alterazione dalla quale è derivata la grave crisi finanziaria del sistema, alla quale, di recente, è stato posto rimedio con una riduzione dei livelli di tutela. 2. Origine della previdenza sociale Le trasformazioni economiche e sociali determinate dalla rivoluzione industriale posero in evidenza anche il problema di quanti si venivano a trovare in condizione di bisogno. Ciò soprattutto perché le nuove strutture economiche e sociali determinate dall’industrializzazione, dal fenomeno dell’inurbamento e dai bassi livelli salariali resero difficile continuare a far ricorso alla tradizionale solidarietà familiare e resero inadeguati gli interventi della beneficienza pubblica e privata. Si aggiunga che l’abolizione delle corporazioni aveva eliminato, anche nei riguardi di chi esercitava i mestieri tradizionali, ogni forma di solidarietà professionale. In questa situazione, l'esigenza di realizzare una tutela dei lavoratori subordinati che si venivano a trovare in condizione di bisogno per il verificarsi di eventi che ne menomavano la capacità lavorativa, fu ben presto avvertita. Il liberalismo ottocentesco, ligio al principio della uguaglianza giuridica formale, considerò con intransigenza i problemi sociali del lavoro. Si riteneva che alla loro soluzione dovessero provvedere direttamente i lavoratori, mettendosi in grado di far fronte, con il risparmio, ai loro futuri bisogni. Il ricorso alla beneficenza pubblica e privata dapprima, e poi all’assistenza pubblica o sociale, veniva considerato una soluzione ultima, eventuale ed occasionale, e destinata a garantire la conservazione dell'ordine pubblico. La prima manifestazione di quella che poi sarà la previdenza sociale fu determinata dalla spontanea iniziativa dei lavoratori interessati. Le società di mutuo soccorso, associazioni volontarie di lavoratori, realizzarono la solidarietà tra agli associati provvedendo, con i loro contributi: ad erogare prestazioni a quanti si fossero trovati in condizione di bisogno a causa di malattia o di infortunio o di invalidità, nonché una pensione agli associati che avessero raggiunto un'età che li rendeva inabili ad un lavoro proficuo e una erogazione una tantum ai familiari degli associati defunti. Lo schema è quello dell'assicurazione anche se c'è l'eliminazione dell'intermediario- assicuratore. Gli associati, in vista del rischio al quale tutti sono esposti, e con lo scopo di eliminare o quanto meno di ridurre determinate situazioni di bisogno, si impegnavano a ripartire tra loro le conseguenze economiche dannose derivanti dal verificarsi dell’evento temuto che avrebbe colpito uno di essi, erogando prestazioni finanziate con i contributi versati da ognuno. In tal modo, ciascuno dei soggetti esposti al rischio ne sopportava le conseguenze, ma limitatamente alla sua quota. Senonché, le mutue di soccorso si rivelarono solo parzialmente idonee a risolvere il problema dell'incerto domani di chi vive del proprio lavoro. Alle mutue si potevano iscrivere soltanto i lavoratori meglio retribuiti, per i quali era possibile sostenere l’onere economico della contribuzione. L'esperienza mutualistica rappresenta una delle prime manifestazioni dell'associazionismo operaio: la loro costituzione può essere messa in relazione a quella del sindacato, ed anzi l'ha preceduta e favorita. È questa anche la ragione per cui il fascismo, sebbene non mancherà di utilizzare lo schema delle mutue a suoi fini e nella logica del corporativismo, ne affrettò la decadenza. 1 L’atteggiamento dello Stato, che si è limitato a favorire la mutualità volontaria, cominciò a modificarsi solo quando l’attenzione dei politici e dell’opinione pubblica fu richiamata dal grave problema degli infortuni sul lavoro, sempre più frequenti con l’intensificarsi dell’industrializzazione. La l. n. 80/1898 rese obbligatoria, per i datori di lavoro, l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, e si è soliti ritenere che essa segni la nascita della previdenza sociale italiana. In realtà, questa legge si limitò a rendere obbligatoria un'assicurazione privata per la responsabilità civile del datore di lavoro. Tuttavia, quell’assicurazione assumeva una dimensione sociale per il solo fatto che non era limitata agli infortuni determinati da colpa del datore di lavoro, ma era estesa anche agli infortuni determinati da caso fortuito, forza maggiore o addirittura da colpa non grave del lavoratore. Pertanto, già per questo, quell’assicurazione si discostava dal tradizionale schema assicurativo della responsabilità per danni. Tale peculiarità venne giustificata con il ricorso al concetto del rischio professionale, cioè ritenendo che il datore di lavoro, così come si avvantaggia del lavoro altrui, debba anche sostenere i rischi che il lavoratore incontra nello svolgimento della sua attività. Questo fu il primo intervento statale a tutela di chi, vivendo del proprio lavoro, si viene a trovare in condizione di bisogno. Nello stesso periodo, con l’istituzione della Cassa nazionale di previdenza sociale per la vecchiaia e l’invalidità degli operai, vennero poste le premesse di una più ampia solidarietà tra i lavoratori, che poi diverrà anch’essa obbligatoria, sia pure in un primo tempo limitatamente ai lavoratori che percepivano retribuzioni di livello modesto. 3. La previdenza sociale nel periodo precorporativo e corporativo Da questo momento l'evoluzione della previdenza sociale è rapida. Si accentua il carattere pubblicistico della tutela previdenziale. Essa, nata volontaria, diventa dapprima obbligatoria, nel senso che la sua piena attuazione, ancorché imposta dalla legge, è condizionata pur sempre all’adempimento degli obblighi posti a carico specialmente del datore di lavoro; diviene, infine, necessaria, nel senso che opera ex lege e prescindendo del tutto da eventuali inadempimenti. La realizzazione della tutela previdenziale viene affidata esclusivamente ad enti pubblici appositamente istituiti. Tuttavia, l’esperienza delle mutue di soccorso e la prima legge sugli infortuni sul lavoro lasciano un segno indelebile. Da un lato, lo strumento dell’assicurazione, continua ad essere usato anche quando l’intervento pubblico avrebbe potuto avvalersi di strumenti diversi. Dall’altro, la tutela resta essenzialmente limitata ai lavoratori subordinati. Trattasi di precise scelte politiche. Invero la realizzazione di quella tutela continua ad essere considerata un compito proprio delle categorie interessate sulle quali soltanto ricade l'onere di finanziarne l'attuazione. Lo Stato si limita a dar vita a nuovi istituti, a dettare con legge la disciplina dei rapporti, ma raramente interviene finanziariamente, e soltanto per favorire ed incoraggiare la solidarietà dei gruppi. L’interesse dei lavoratori è sempre soddisfatto mediante il contemperamento e la reciproca subordinazione degli interessi individuali degli appartenenti alla categoria o mediante la subordinazione, dell'interesse dei datori di lavoro, ai quali viene imposto una parte dell’onere contributivo. È proprio a ragione di ciò che la dottrina del tempo è stata indotta a ritenere che tra l’obbligo degli istituti previdenziali di erogare prestazioni e quella del pagamento dei contributi previdenziali intercorresse una relazione sinallagmatica, riducendo così, tutta la tutela previdenziale entro schemi privatistici. La circostanza che anche i datori di lavoro fossero tenuti a versare i contributi previdenziali trovava sufficiente spiegazione nel principio del rischio professionale, al quale corrispondevano motivazioni di politica legislativa limitate alla logica del rapporto individuale di lavoro. Nonostante queste concezioni, durante il periodo corporativo, il sistema delle assicurazioni sociali venne completato con la previsione della tutela di nuovi rischi. Così all'originaria concezione del rischio professionale che ispirò i primi interventi legislativi, si venne affiancando una concezione più ampia: quella della solidarietà corporativa tra datori e prestatori di lavoro ispirata alla realizzazione dell'interesse pubblico dell'economia nel quale si pretendeva di risolvere autoritativamente il conflitto sociale. Concezione più ampia nel senso che estendendola anche a rischi che non sono connessi con allo svolgimento di un’attività lavorativa, come l’invalidità e le malattie comuni, oppure sono inevitabili, come la morte. Nulla cambia in ordine all’atteggiamento dello Stato di fronte al problema della liberazione dal bisogno. Il compito di realizzare la tutela previdenziale resta attribuito agli stessi interessati, mentre il fine pubblico posto a fondamento delle assicurazioni sociali nell’ordinamento corporativo continua ad avere ad oggetto il mantenimento dell’ordine pubblico, al quale si aggiunge la sanità della razza e la potenza nazionale, ma non certo la liberazione dal bisogno di chi vive del proprio lavoro. 4. L'idea della sicurezza sociale L'evoluzione della previdenza sociale avviene nell'immediato secondo dopoguerra. Essa deve essere posta in relazione con l'affermarsi “dell'idea della sicurezza sociale”. “L'idea della sicurezza sociale” esprime l’esigenza che venga garantita a tutti i cittadini la libertà dal bisogno, in quanto questa libertà è ritenuta condizione indispensabile per l'effettivo godimento dei diritti civili e politici. La libertà dal bisogno non può essere realizzata dai singoli che ne sono titolari, ma deve essere garantita da tutta la collettività organizzata nello Stato della quale essa costituisce un fine da perseguire mediante ricorso ad una solidarietà che è generale in quanto coinvolge tutti i cittadini. Questa concezione si è largamente diffusa, anche a ragione della situazione economica e sociale determinata dalla guerra. 2 L'istituzione del Servizio sanitario nazionale realizza a pieno il precetto costituzionale in base al quale la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e, al tempo stesso, come interesse della collettività (art. 32 Cost.). Il Servizio sanitario nazionale è stato istituito dalla legge 833/1978. Tale Servizio è costituito dal complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi, e delle attività destinate alla promozione, al mantenimento ed al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione, senza distinzioni di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l’eguaglianza dei cittadini, indipendentemente dal fatto che si trovino temporaneamente all’estero. Con l'istituzione del Servizio sanitario nazionale, quella che era la tradizionale tutela previdenziale realizzata con l’assicurazione contro le malattie, ha assunto caratteristiche nuove. Non solo sono state radicalmente modificate l’organizzazione e le strutture attraverso le quali la tutela previdenziale si realizza, ma, per la prima volta, è stata avvertita l’esigenza di una funzione preventiva. Infatti, il meccanismo mutualistico-assicurativo era idoneo a realizzare la tutela di malattia, cioè a provvedere quando quest’ultima si fosse già verificata, ma non poteva essere utilizzato quando si trattava di prevenirla. Il Servizio sanitario nazionale è chiamato a svolgere la funzione di concorrere alla formazione di una moderna coscienza sanitaria. Esso è tenuto a provvedere alla prevenzione, alla diagnosi e alla cura delle malattie fisiche e psichiche, accertamento e alla rimozione dei rischi presenti negli ambienti di lavoro e di vita, alla riabilitazione. 10. Sicurezza sociale e funzioni sociali dello Stato L'attuazione dell'idea della sicurezza sociale trova riscontro in quella complessa attività svolta dallo Stato, che si determina in relazione al fine di realizzare la protezione dei cittadini dal bisogno. Varia è la rilevanza che è stata data a questo fine è stata data e diversi sono i mezzi e gli strumenti attraverso i quali si è cercato di realizzarlo. Dallo strumento della beneficenza pubblica si è giunti all'assistenza e la previdenza sociale tradizionali che tendono a realizzare la libertà dal bisogno di tutti i soggetti presenti sul territorio, anche se non cittadini italiani. L'assistenza e la previdenza sono nate con la stessa motivazione politica: il fine in vista del quale avvennero le prime realizzazioni di tutela dal bisogno è stato quello del mantenimento dell'ordine costituito. I primi interventi di assistenza sociale trovarono la loro giustificazione nel timore che l’indigenza potesse indurre a ribellarsi all’ordine costituito. Nessun rilievo veniva assegnato al soggetto bisognoso. Sulla base di una motivazione politica assai simile era sorta anche la tutela previdenziale. La previdenza sociale dei lavoratori subordinati avvia avuto nel tempo uno sviluppo più intenso e più rapido dell’assistenza sociale ai cittadini; sia per il sorgere immediato e il progressivo sviluppo di una coscienza di classe; sia per il perdurare della preoccupazione di diminuire la tensione determinata dai nuovi rapporti sociali. I principi accolti nella nostra Costituzione assegnano allo Stato anche il fine di realizzare la garanzia del minimo di sostentamento per ogni cittadino, nonché, sia pure con limitazioni, per i cittadini dell’Unione europea, stranieri, profughi, apolidi. L’interesse da soddisfare è ancora l’interesse pubblico, ma questo non ha più ad oggetto soltanto il mantenimento dell’ordine sociale né la potenza economica sociale. La soddisfazione dell’interesse pubblico è direttamente e immediatamente connessa alla soddisfazione dell’interesse del singolo che si trovi in condizioni di bisogno in quanto strumentale all’interesse della collettività a che tutti i cittadini siano in grado di godere dei diritti civili e politici. Ciò spiega perché l’intervento diretto dello Stato deve essere considerato come espressione della solidarietà di tutta la collettività organizzata (art.2 Cost.). 11. Sicurezza, previdenza e assistenza sociale Tuttavia, non tutti questi interventi possono essere ricompresi nell’attuazione dell’idea della sicurezza sociale. Il significato più profondo di quell’idea può essere individuato proprio nel rilievo dato alla persona umana, posto che essa riguardi specificamente l’impegno dello Stato a realizzare un interesse indivisibile della collettività mediante la tutela del singolo. Si può ritenere che l'idea della sicurezza sociale abbia attuazione mediante quegli interventi che, realizzando una solidarietà generale, consistono nell'erogazione di beni e servizi ai cittadini che si trovino in condizione di bisogno. Tali sono gli interventi dello Stato che vanno dalla fornitura di cure gratuite agli indigenti alla predisposizione e alla integrazione di organi e istituti che assicurino ai cittadini, inabili al lavoro e sprovvisti dei mezzi necessari per vivere, il mantenimento e l’assistenza sociale e ai lavoratori mezzi adeguati alle esigenze di vita in caso di infortuni, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. L'assistenza sociale assolveva ad una generica funzione di tutela degli indigenti e costituiva espressione di una solidarietà ambigua e limitata alle disponibilità degli enti erogatori. La previdenza sociale, invece, assolveva alla funzione specifica di tutela dei lavoratori in quanto espressione di una solidarietà imposta esclusivamente ai loro datori di lavoro e, quindi, era limitata sia riguardo ai soggetti protetti che agli eventi previsti. Senonché, i termini nei quali si pone la distinzione tra previdenza e assistenza sociale non sono più idonei a comprenderne l’effettiva portata. Nell’art. 38 Cost. viene mantenuta la distinzione tra cittadini e lavoratori, ma distinguere non significa separare. Peraltro, l’intervento dello Stato alla liberazione dal bisogno corrisponde, oramai, a un interesse di tutta la collettività e, garantendo l’esistenza delle condizioni necessarie all’effettivo godimento dei diritti fondamentali, realizza, al tempo stesso, la tutela della personalità umana. Pertanto si deve ritenere, che quell’intervento riguardi, allo stesso modo tanto i cittadini lavoratori che i cittadini in genere, nonché, a determinate condizioni, i cittadini di Stati appartenenti all’UE e i loro familiari, gli stranieri, i profughi e gli apolidi. 5 In questa prospettiva, la distinzione tra previdenza e assistenza si riduce alla diversità dell’ambito ed all’intensità della tutela, giustificata dal diverso modo in cui l’ordinamento ha valutato le esigenze dei cittadini rispetto a quelle dei lavoratori, e cioè le esigenze di quei cittadini che hanno potuto contribuire con il loro lavoro al benessere della collettività. In questo contesto, significato del tutto diverso assumono le nozioni di previdenza e assistenza sociale, quando vengono utilizzate per distinguere le prestazioni ancora finanziate su base contributiva e quelle finanziate soltanto a carico dello Stato. Le differenze dei metodi di finanziamento non influiscono sulla funzione propria delle varie forme di tutela, mentre derivano da ragioni storiche e contingenti. 12. Il sistema integrato di interventi e servizi sociali Con la l. n. 328/2000 è stato abrogato il sistema assistenziale istituito nel 1890, sostituito da un sistema (detto Sistema integrato di interventi e servizi locali) che attribuisce diritti soggettivi alle persone protette. I principi generali e le finalità di tale legge confermano che la sicurezza sociale, in attuazione dei principi espressi dall’art. 2 e 3 Cost., è destinata ad operare oltre l'ambito tradizionale della previdenza sociale. 13. Assicurazioni sociali e assicurazioni private Il meccanismo assicurativo, ha ormai perso ogni rilevanza giuridica. Quel meccanismo è da ritenere destinato al perseguimento di fini diversi da quelli per cui fu istituito e, cioè, al soddisfacimento diretto ed esclusivo di un pubblico interesse e non più di interessi privati, sia pure di gruppi. Derivata dalle assicurazioni private, essa è venuta assumendo caratteristiche sue proprie fino a che dell’assicurazione non resta che il nome. Si deve ritenere che anche le assicurazioni private assolvono ad una funzione previdenziale, anche se è diverso il mezzo con il quale tale funzione è realizzata, così com’è diverso l’assetto di interessi che ne deriva. Nell'assicurazione privata l'eliminazione del bisogno si realizza attraverso l'assunzione da parte dell'assicuratore dell'obbligo di sopportare le conseguenze economiche dell'evento temuto, dietro il corrispettivo del pagamento del premio da parte della assicurante. Nelle assicurazioni sociali, invece, l'eliminazione delle situazioni di bisogno si realizza con l'organizzazione di un servizio pubblico. La sicurezza sociale, come fine essenziale dello Stato, riguarda i bisogni essenziali. Anzi essa incontra un limite nella sua stessa funzione che è quella di realizzare, mediante il ricorso alla solidarietà generale, un interesse pubblico generale. Al di là di questo limite la liberazione dal bisogno è lasciata alla previdenza privata. 14. Le esigenze di razionalizzazione del sistema della previdenza sociale La crisi finanziaria che affligge il nostro sistema previdenziale è stata determinata da diversi fattori. Da un lato, l’equilibrio finanziario delle gestioni pensionistiche è stato turbato dall'introduzione di miglioramenti delle prestazioni e dall’ampliamento del campo di applicazione della tutela previdenziale senza che fosse prevista una adeguata copertura finanziaria. Dall’altro lato, per i regimi pensionistici, quella crisi è stata determinata anche dalle profonde modificazioni del rapporto esistente tra pensionati e lavoratori in servizio. Il costante aumento della disoccupazione unito alla diminuzione della popolazione in età di lavoro e la frammentarietà della contribuzione dei lavoratori atipici, hanno ridotto inevitabilmente il gettito della contribuzione previdenziale, mentre l’aumento del numero dei pensionati e il costante aumento della speranza di vita, hanno portato a un aumento dei costi determinati dall’erogazione delle pensioni. A ciò si aggiunga che le contribuzioni versate nel tempo si sono rivelate inadeguate a compensare la costante lievitazione dei trattamenti pensionistici. Per il Servizio sanitario nazionale la perdurante assenza di una coerente ed efficace programmazione e la conseguente carenza di coordinamenti, unite alla mancanza di educazione sanitaria e agli sperperi di gestione, hanno determinato costi sempre crescenti ai quali corrisponde una tutela della salute inadeguata e incompleta. A questa situazione si tenta ora di porre rimedio affidando la gestione della tutela della salute alle regioni e alle quali è stato imposto l'autofinanziamento. I problemi posti dalla crisi finanziaria si aggiungono a quelli che devono essere considerati tradizionali. Tra questi ultimi si pone il problema posto dalla disomogeneità dei criteri in base ai quali sono determinati i livelli delle prestazioni e dalle conseguenti disparità delle condizioni e dei requisiti dai quali dipende il sorgere del relativo diritto. Ciò ha determinato profonde differenze di trattamento a seconda della categoria di appartenenza dei soggetti protetti. Al verificarsi del medesimo evento, a seconda del regime applicabile, possono essere erogate prestazioni diverse sia in relazione all’ammontare, sia in relazione alle condizioni richieste per il sorgere del relativo diritto. Una soluzione a questo problema è stata data quando sono stati stabiliti gli stessi requisiti di età e di contribuzione per aver diritto alla pensione di vecchiaia sia per il regime generale che per quelli sostitutivi ed esclusivi, abolendo anche le differenze tra dipendenti pubblici e privati. Un’ulteriore omogeneizzazione è prevista per i requisiti oggettivi e soggettivi di accesso alla pensione di vecchiaia unificata e per i criteri di calcolo dell’ammontare dei trattamenti pensionistici e della contribuzione previdenziale. 15. La razionalizzazione del sistema pensionistico 6 L’esigenza di contenere i disavanzi e di realizzare l’equilibrio finanziario delle gestioni pensionistiche ha ispirato numerosi provvedimenti legislativi emanati nel periodo 1992. Tali provvedimenti hanno introdotto numerosi elementi di razionalizzazione, sia perché hanno avviato una omogeneizzazione delle tutele, sia perché hanno previsto modificazioni dei criteri di calcolo delle prestazioni pensionistiche, per ridurne progressivamente il livello, e più rigorosi requisiti di accesso. Per attenuare gli effetti della riduzione di tutela derivante dalla razionalizzazione, il legislatore ha tentato di favorire il ricorso alla previdenza privata e, quindi, volontaria. L'obiettivo della definitiva stabilizzazione del rapporto tra spesa previdenziale e P.I.L. è stato perseguito a partire dalla l. n. 335/1995 che, ha introdotto modificazioni non solo ai criteri ma anche al sistema di calcolo delle prestazioni pensionistiche. Tale è la reintroduzione del sistema di calcolo delle pensioni che assume come base la contribuzione versata, in luogo delle retribuzioni percepite, non più nell’ultimo periodo dell’attività lavorativa, nell’intero arco di quest’ultima. Senonché, va osservato che la differenza tra la c.d. pensione retributiva e quella contributiva si riduce, nella prima, l'ammontare della pensione è determinato direttamente sulla base delle retribuzioni percepite, mentre, nella seconda, si fa riferimento alla contribuzione previdenziale e all'età di ingresso in pensione. Riferimento che non esclude la rilevanza delle retribuzioni percepite. Quella contribuzione, infatti, è, pur sempre, calcolata e riscossa sulla base delle retribuzioni percepite che mantengono la loro rilevanza determinante, ancorché indiretta. Tuttavia, l’esiguità delle risorse disponibili ha finito per accentuare la tendenza a condizionare l’importo delle prestazioni previdenziali non più al bisogno, ma all’ammontare dei contributi versati; così è anche per le nuove prestazioni per la disoccupazione. La legge che ha delegato il Governo a emanare provvedimenti per riorganizzare la disciplina dell’indennità di disoccupazione ha indicato come criterio direttivo quello di tener conto della “storia contributiva dei lavoratori”. Ciononostante, resta fermo che il sistema pensionistico continua ad essere prevalentemente ispirato al principio della solidarietà. Infatti, sono stati conservati istituti che sarebbero incompatibili con il principio della corrispettività e così è: per l’assegno sociale per i cittadini ultra sessantacinquenni sprovvisti di adeguati mezzi di vita; per il divieto di cumulo tra prestazioni previdenziali ed altri redditi anche previdenziali; per la perequazione automatica; per l’automaticità delle prestazioni pensionistiche. Anche la misura delle pensioni di reversibilità è stata condizionata all’esistenza di un effettivo stato di bisogno. La l. n. 335/1995 ha introdotto una razionalizzazione riconducendo la funzione del sistema pensionistico alla liberazione delle effettive situazioni di bisogno. La l. n. 243/2004 ha introdotto nuovi elementi di razionalizzazione. Con tale provvedimento il legislatore ha delegato il Governo ad emanare norme aventi forza di legge per liberalizzare l’età pensionabile, per eliminare il divieto di cumulo tra pensioni e redditi di lavoro, per rivedere il principio di totalizzazione dei periodi assicurativi estendendone l’applicazione, per sostenere e favorire lo sviluppo delle forme di previdenza complementare. Inoltre la legge n.243/2004 contiene disposizioni che modificano la disciplina della pensione di anzianità. Ciò perché l’onere derivante dall’erogazione delle pensioni di anzianità incide in modo determinante nella formazione del deficit dei bilanci delle gestioni pensionistiche, soprattutto perché quella pensione viene erogata per notevoli periodi di tempo in quanto spettante a soggetti che ancora sono in età relativamente giovane. 16.L’influenza delle fonti sovrannazionali sull’evoluzione del sistema A livello internazionale, vanno ricordate le Convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL). In particolare, la Convenzione n.102/1952 sulla “norma minima di sicurezza sociale”, che prevede un sistema di protezione sociale basato su livelli elementari per rendere tale sistema accessibile anche ai paesi meno sviluppati; la Convenzione n.118/1962 sulla parità di trattamento dei cittadini e degli stranieri in materia di sicurezza sociale. A livello di fonti europee, la materia, sia con riguardo alla previdenza, sia all’assistenza, trova una disciplina unitaria nel Regolamento CEE 1408/1971, concernente l’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, autonomi e ai loro familiari che si spostano all’interno dell’attuale UE. A differenza di quanto avviene per la disciplina del rapporto di lavoro, il diritto europeo non mira, in materia di previdenza e assistenza, a stabilire un quadro comune di riferimento vincolante per tutti gli Stati membri. Esso mira a dettare un sistema di regole di coordinamento tra le legislazioni dei diversi paesi dell’Unione, in modo tale che i lavoratori, autonomi e subordinati, possano liberamente circolare e stabilirsi all’interno dello spazio europeo senza perdere i benefici ai quali avrebbero diritto se rimanessero nello Stato di residenza. I principi base su cui è incentrato l’ordinamento europeo, sono due: a. La territorialità del regime previdenziale per cui il lavoratore è soggetto alla legislazione dello Stato membro dove lavora anche se risiede in un altro Stato o l’impresa legale ha sede in uno Stato diverso; b. La totalizzazione dei periodi assicurativi, per cui devono cumularsi tutti i periodi assicurati presso diverse gestioni nazionali, sia per l’acquisizione e il mantenimento del diritto alle prestazioni, sia per il calcolo delle stesse. Un apporto significativo all’estensione del diritto comunitario sulle vicende previdenziali interne ai singoli Stati membri, è stato fornito anche dalla Corte di Giustizia. Si pensi al riconosciuto primato e inderogabilità del principio di parità di trattamento e divieto di discriminazione in base all’età o in base alla appartenenza di genere nel trattamento pensionistico; al contributo dato all’individuazione del concetto di lavoratore migrante protetto, al processo di inclusione nel regime comunitario di sicurezza sociale delle pensioni erogate dai regimi integrativi o complementari. CAPITOLO SECONDO IL SISTEMA GIURIDICO DELLA PREVIDENZA SOCIALE 17. Sistema giuridico della previdenza sociale e rapporto giuridico previdenziale 7 23. La previdenza sociale come pubblico servizio L'attività degli enti previdenziali è qualificata come un servizio pubblico. A tale conclusione conduce l’esistenza di un complesso di mezzi personali o reali sui quali si impernia la comune destinazione all’erogazione di determinate prestazioni: quelle previdenziali. Inoltre, l'attività degli enti previdenziali è diretta alla realizzazione di interessi che, oltre a essere pubblici, sono individuali. L’erogazione delle prestazioni previdenziali tende al soddisfacimento di bisogni individuali che vengono considerati al tempo stesso come bisogni della collettività, per cui il loro soddisfacimento è posto dallo Stato tra i suoi fini. Gli interessi individuali assumono così rilevanza giuridica solo perché attraverso la loro tutela trova soddisfacimento l’interesse pubblico. Per converso, le prestazioni previdenziali trovano il loro scopo essenzialmente nell'interesse pubblico alla loro erogazione, indipendentemente da ogni interesse patrimoniale degli enti previdenziali e della economicità o meno del servizio. 24. Lo Stato nel sistema giuridico della previdenza sociale Lo Stato interviene nella realizzazione della tutela previdenziale attraverso gli enti previdenziali. L’interesse dei soggetti protetti alla effettiva realizzazione della tutela previdenziale trova soddisfazione innanzitutto nel rapporto che intercorre tra tali soggetti e lo Stato, il quale, ai sensi dell’art. 38 Cost., è tenuto a garantire la realizzazione di quella tutela. Ne deriva che il rapporto intercorrente tra lo Stato e gli enti previdenziali tenuti ad erogare quelle prestazioni si trova in una relazione di strumentalità rispetto al rapporto giuridico previdenziale, in quanto costituisce un mezzo al fine della realizzazione della tutela previdenziale. Infine, il rapporto contributivo, mentre, da un lato, si trova in relazione di strumentalità rispetto al rapporto giuridico previdenziale, dall’altro, alcune volte coincide, ma più spesso deriva, dal rapporto intercorrente tra i soggetti obbligati al pagamento dei contributi previdenziali e lo Stato, unico titolare del potere di imposizione. 25. Gli enti previdenziali come enti strumentali L'attività di un ente pubblico può essere soltanto rilevante per lo Stato; l’ente pubblico può svolgere una sua propria attività e nel contempo deve curare un fine statuale; l’ente pubblico, infine, può essere titolare di un compito che è esclusivamente statuale e perciò la sua attività è posta per intero al servizio dello Stato. Gli enti che si trovano con lo Stato in una relazione corrispondente a quella qui indicata per ultima sono detti enti pubblici strumentali, in quanto, in sostanza, fungono da strumenti per la realizzazione di fini fondamentali dello Stato. La diversità di contenuto del rapporto in cui gli enti pubblici possono venire a trovarsi con lo Stato incide sulla disciplina della loro attività. Quando sussiste soltanto una connessione e non una coincidenza fra gli interessi dello Stato e quelli dell'ente pubblico, quest'ultimo gode di una certa autonomia. Diversamente accade per gli enti strumentali, i quali sono necessariamente vincolati al perseguimento dell'interesse pubblico statuale in vista del quale sono stati istituiti. Lo Stato, se affida agli enti previdenziali il perseguimento di fini che non sono suoi, provvede anche al reperimento dei mezzi che sono necessari al loro raggiungimento. Ciò avviene in due modi: a volte, contribuendo direttamente al loro finanziamento e, sempre, imponendo l'obbligo di contribuire ad alcuni soggetti, individuati sulla base di valutazioni di politica fiscale. Peraltro, il finanziamento a carico dello Stato ha, oramai, raggiunto un livello talmente elevato da ritenere che, senza di esso, la realizzazione della tutela previdenziale sarebbe impossibile. Il carattere della strumentalità non manca neanche per gli enti previdenziali privatizzati. Infatti, la facoltà riconosciuta dalla legge ad alcuni enti pubblici previdenziali di trasformarsi in associazioni o fondazioni è prevalentemente in funzione della privatizzazione della attività di gestione delle loro risorse. Resta, quindi, che, gli enti previdenziali "privatizzati" devono soddisfare, oltre all'interesse individuale degli associati, anche il fine pubblico della tutela previdenziale secondo gli indirizzi dell'art.38 Cost. Seguendo quegli indirizzi e per meglio realizzare quel fine, la legge ha anche previsto che gli enti previdenziali privatizzati possano accorparsi tra loro, ma anche estendere la gestione previdenziale a categorie professionali di nuova istituzione che dovessero risultare prive di una tutela previdenziale pensionistica. 26. L'intervento dello stato al finanziamento degli enti previdenziali L'intervento finanziario dello Stato alla gestione degli enti previdenziali non costituisce un’innovazione. Tale intervento corrisponde a scopi sostanzialmente diversi. Lo Stato, non si limita più a favorire, stimolare e incoraggiare l'attività ai soggetti interessati, ma in attuazione dell'art. 3.2 e dell'art. 38.4 Cost., interviene per rendere effettivo il diritto dei soggetti protetti alle prestazioni previdenziali. L'intervento finanziario dello Stato è stato determinato dalla necessità di provvedere ad esigenze contingenti, come quelle derivanti dalla svalutazione della moneta nel dopoguerra. Successivamente, l'intervento finanziario è stato previsto per la realizzazione della tutela previdenziale dei lavoratori autonomi, nei casi in cui le condizioni economico e sociali di questi ultimi non consentivano di reperire i mezzi necessari attraverso la contribuzione degli stessi soggetti protetti. Per i lavoratori subordinati, invece, l'intervento finanziario dello Stato consente di realizzare un miglioramento della tutela. Più di recente l’intervento dello Stato è apparso destinato a assolvere una funzione diversa e ancora più significativa. Ciò avviene con il finanziamento della Gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali che ha la funzione di erogare una quota, parte delle prensioni dei lavoratori subordinati ed autonomi, 10 l’assegno sociale ai cittadini ultrasessantacinquenni che si trovino in condizioni economiche disagiate, i pensionamenti anticipati, agevolazioni contributive, gli interventi di integrazione salariale straordinaria. Lo Stato è tenuto a realizzare quella tutela intervenendo direttamente e a finanziare gli enti previdenziali. Tant'è che tali enti non solo sono finanziati, ma sono anche stati ammessi al c.d. " tiraggio di tesoreria" onde lo Stato soddisfa direttamente anche alle loro esigenze di cassa, mentre sono tenuti a versare alla tesoreria dello Stato le somme riscosse a titolo di contributi previdenziali. In definitiva il finanziamento dello Stato rappresenta una manifestazione della solidarietà di tutta la collettività verso chi si trova in condizione di bisogno. 27. La gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali L'esigenza di consentire all'INPS il recupero degli importi di contributi dei quali era creditore per legge nei confronti dello Stato e che questi non aveva versato, aveva indotto alla istituzione di una gestione autonoma denominata Fondo sociale. A detta gestione era stata dapprima attribuita la competenza ad erogare la quota parte di ciascuna mensilità di pensione a carico dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, tanto per i lavoratori subordinati che per quelli autonomi. Successivamente venne attribuito al Fondo anche il compito di erogare la pensione sociale ai cittadini ultra sessantacinquenni in disagiate condizioni economiche, attualmente denominato "assegno sociale". A decorrere dal 1° gennaio 1989, è stato soppresso il Fondo sociale, sostituito dalla Gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali. A questa gestione fanno carico non solo le erogazioni delle prestazioni già affidate al soppresso Fondo sociale, ma anche l'integrazione dell'assegno ordinario di invalidità, gli oneri derivanti dalle agevolazioni contributive disposte per legge e quelli dei trattamenti di integrazione salariale straordinaria e dei trattamenti speciali di disoccupazione; gli oneri derivanti dai pensionamenti anticipati, le pensioni delle gestioni dei coltivatori diretti, mezzadri e coloni avente decorrenza anteriore al 1° gennaio 1989. La gestione è finanziata dallo Stato attraverso il trasferimento delle somme stanziate dalle leggi finanziarie; somme che sono di ammontare progressivamente più elevato fino alla totale assunzione degli oneri connessi alle erogazioni previste. Alla gestione sono anche attribuiti i contributi versati dai datori di lavoro per il finanziamento dei trattamenti di integrazione salariale straordinaria e dei trattamenti speciali di disoccupazione. CAPITOLO TERZO IL RAPPORTO CONTRIBUTIVO 28. I contributi previdenziali e i soggetti tenuti al loro pagamento Se lo Stato interviene al finanziamento degli enti previdenziali, tuttavia il reperimento dei mezzi necessari al raggiungimento dei fini istituzionali di quest’ultimi avviene mediante l'imposizione dell'obbligo del pagamento di contributi previdenziali ad alcune categorie di cittadini. Da sempre tenuti al pagamento dei contributi previdenziali sono i datori di lavoro dei soggetti protetti. Accanto a questi, però, anche gli stessi lavoratori subordinati sono tenuti, almeno per alcune forme di previdenza, al pagamento dei contributi previdenziali. In questi casi responsabile dell'adempimento dell'obbligo contributivo, anche per la parte posta a carico del lavoratore, è il datore di lavoro che ha diritto di rivalsa nei confronti del lavoratore, diritto esercitato mediante una trattenuta sulle retribuzioni. Allo stesso modo, per i lavoratori parasubordinati, la contribuzione previdenziale è posta anche a carico dei committenti, mentre per la tutela realizzata a favore dei lavoratori autonomi e dei liberi professionisti, sono gli stessi soggetti protetti che contribuiscono alla sua realizzazione. D’altra parte va osservato come l'onere del pagamento dei contributi previdenziali, quando è imposto a soggetti diversi da quelli protetti, non ricade solo ed esclusivamente sui datori di lavoro. Non sempre ricade sui datori di lavoro dei soggetti protetti, come accade nei casi in cui, pur essendo imposto un contributo per ogni lavoratore dipendente, non tutti i lavoratori hanno diritto alle prestazioni previdenziali, o quando i contributi imposti ad alcuni datori di lavoro sono destinati, per legge, a realizzare la tutela previdenziale o di lavoratori dipendenti da altri imprenditori che esercitano attività diverse oppure di altre categoria di soggetti protetti. Ciò avviene con il c.d. contributo di solidarietà, imposto ai datori di lavoro dell'industria al fine di realizzare un miglioramento della tutela di malattia ai lavoratori dell'agricoltura, con il contributo posto a carico dei datori di lavoro per finanziare l'assistenza di malattia ai pensionati ed avviene con il contributo di solidarietà imposto a gestioni pensionistiche diversa da quella del regime generale gestito dall'INPS per il finanziamento dell'assicurazione generale obbligatoria per la invalidità, vecchiaia e superstiti e per il contributo di solidarietà che i datori di lavoro sono tenuti a versare, senza che ne derivi un arricchimento delle posizioni contributive dei loro dipendenti, sulle somme versate o destinate al finanziamento di forme volontarie di previdenza integrativa o complementare. Vi sono casi, poi, in cui l'obbligo del pagamento dei contributi previdenziali grava su soggetti che non sono datori di lavoro. Così, le società cooperative e le società, anche di fatto, sono tenute al pagamento dei contributi per i loro soci impiegati nei lavori da esse assunti. Nel contratto di somministrazione di lavoro, è prevista una solidarietà tra l’utilizzatore e il somministratore per l’adempimento dell’obbligazione avente ad oggetto i contributi previdenziali. Allo stesso modo, la tutela previdenziale dei lavoratori autonomi e in particolar modo quella dei liberi professionisti, si realizza anche con i contributi posti a carico di soggetti che con i soggetti protetti si venga a trovare in relazione occasionali, cioè dei committenti. Tale è la situazione dei clienti dei liberi professionisti, chiamati dalla legge a concorrere alla loro previdenza. Contributi previdenziali sono posti a carico degli artigiani, dei commercianti e dei coltivatori diretti anche per quei familiari che lavorino abitualmente dell'impresa artigiana o commerciale o nei fondi e per i familiari viventi a carico. In questi casi, tra il 11 soggetto obbligato a al pagamento dei contributi e il beneficiario delle prestazioni previdenziali intercorre un rapporto familiare o un rapporto associativo, sottratto alla disciplina del diritto del lavoro e designato da dottrina come rapporto di lavoro familiare. Dal 1 gennaio 1996 è stata estesa l’area dei soggetti protetti ricomprendendovi i lavoratori parasubordinati che sostengono in parte l’onere dei contributi previdenziali messo a carico, per una quota, dei loro committenti. In particolare, è stata istituita una apposita gestione separata presso l’INPS, alla quale è stata affidata l’estensione dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti nei confronti dei soggetti che esercitano per professione abituale attività di lavoro autonomo, nonché i titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, i lavoratori a progetto e gli incaricati alla vendita a domicilio. Si tratta della quasi totalità delle forme di collaborazione coordinata e continuativa e delle categorie residuali di liberi professionisti, per i quali non è stata prevista una specifica cassa previdenziale. Lo stesso vale per i lavoratori autonomi occasionali. Il d.lgs. n. 81/2015, ha disposto l’abrogazione della disciplina in materia di collaborazione coordinata e continuativa a progetto e della figura dell’associazione in partecipazione in cui l’apporto dell’associato persona fisica consista, in tutto o in parte in una prestazione lavorativa, facendo salvi, in entrambi i casi, fino alla loro cessazione, i contratti in corso. Ha previsto, inoltre, l’applicazione, dal 1° gennaio 2016, della disciplina del lavoro subordinato anche alle collaborazioni che si concretino in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione “siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempo e al luogo di lavoro” (c.d. etero-organizzate). Quanto alle aliquote contributive applicate agli iscritti a tale gestione, per assicurare più elevati livelli di tutela previdenziale, la legge le ha progressivamente innalzate. Con riferimento alla categoria dei soggetti iscritti solo alla gestione separata e non pensionati resta fermo l’obbligo di versare un contributo aggiuntivo a titolo assistenziale, sostanzialmente finalizzato al finanziamento delle prestazioni economiche temporanee erogate dall’INPS, ove ne ricorrano i presupposti. 29. Funzione previdenziale e obiettivi di politica economica Il sistema di finanziamento della previdenza sociale è stato modificato con i provvedimenti legislativi che hanno predisposto la fiscalizzazione degli oneri e sociali e gli sgravi contributivi e per le imprese industriali che utilizzano effettivamente lavoratori nel Mezzogiorno. A questi provvedimenti, se ne sono succeduti numerosi altri. Attualmente, la fiscalizzazione degli oneri sociali è diventata strutturale e cioè definitiva, mentre il regime degli sgravi contributivi per il Mezzogiorno è stato sostituito. Per effetto della fiscalizzazione, i datori di lavoro, e a volte anche lavoratori sono, ed erano, esonerati dall'obbligo del versamento di alcuni o di una parte di alcuni contributi previdenziali, mentre l'onere corrispondente è, ed era, assunto dallo Stato. Si deve escludere che tutti questi provvedimenti concorrano a realizzare la logica della sicurezza sociale. Essi sono esclusivamente destinati al perseguimento di finalità di politica economica e tendono ad incrementare la competitività delle imprese e i livelli occupazionali. Sia il godimento degli sgravi contributivi sia quello dei benefici della fiscalizzazione sono stati condizionati alla c.d. clausola sociale e, cioè, all'erogazione ai dipendenti di un trattamento economico e normativo non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi nazionali del settore. Agli obiettivi di politica economica si è aggiunto quello di garantire ai lavoratori un trattamento economico e normativo adeguato ed è stata perseguita una politica di sostegno all’azione sindacale che, tuttavia, potrebbe costituire una alterazione della libera concorrenza contrastante con le regole dell’Unione Europea. 30. La contribuzione figurativa La contribuzione figurativa può essere riconosciuta, a seconda dei casi, d'ufficio o su domanda dell'interessato. Quando il rapporto di lavoro rimane sospeso per effetto di determinati eventi come la malattia, la disoccupazione, la maternità, l’infortunio, il servizio militare, l’intervento della Cassa integrazione guadagni, lo svolgimento di cariche pubbliche elettive, i congedi e i permessi per maternità e paternità, nonché i permessi per assistenza persona con handicap e nei casi di persecuzione politica o razziale, la legge dispone che quei periodi si considerino come periodi di contribuzione ai fini del diritto alle prestazioni previdenziali e della determinazione della loro misura. In quei casi, la sostituzione del finanziamento pubblico alla contribuzione posta a carico dei datori e dei prestatori di lavoro costituisce una precisa attuazione del principio della solidarietà, in quanto tende ad evitare che i soggetti protetti, a ragione di eventi che ne impediscono lo svolgimento dell’attività lavorativa, subiscano un pregiudizio per quanto attiene al futuro godimento delle prestazioni previdenziali. Sempre allo stesso fine, la legge consente per i non vedenti adibiti alle mansioni di centralinisti telefonici, nonché per i sordomuti e gli invalidi oltre 74%, l'accredito su richiesta dell'interessato di due mesi di contributi figurativi per ogni anno di lavoro effettivo, sino ad un massimo di cinque anni. Il problema è quello di sapere se i mezzi necessari alla realizzazione della tutela previdenziale, una volta che destinata esclusivamente a realizzare un interesse pubblico generale, debbano essere reperiti mediante l'imposizione di contributi esclusivamente ad alcune categorie di cittadini. Quest'ultima è la soluzione realizzata per la gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali, per il Servizio sanitario nazionale e per la gestione dei diversi fondi con finalità assistenziali istituiti presso la Presidenza del 12 La nominativa vigente prima del 1969, considerava retribuzione, ai fini contributivi, tutto ciò che il lavoratore riceve, in danaro o in natura, dal datore di lavoro per compenso dell'opera prestata. La disciplina del 1969, invece, considerava retribuzione, ai fini contributivi, tutto ciò che il lavoratore riceveva dal datore di lavoro, in danaro o natura, in dipendenza del rapporto di lavoro. Pertanto, era assoggettabile a contribuzione previdenziale non solo il corrispettivo in senso oggettivo del lavoro prestato, ma anche il corrispettivo in senso soggettivo. Inoltre, per superare i problemi che erano sorti in merito all’assoggettabilità a contribuzione di alcuni compensi e indennità, la legge prevedeva un’elencazione tassativa dei compensi esclusi dalla retribuzione imponibile. La retribuzione assoggettabile alla contribuzione previdenziale non può essere determinata con criteri che altererebbero la razionalità del sistema in quanto stravolgerebbero le valutazioni accolte dal legislatore in ordine ai “mezzi adeguati alle esigenze di vita” che devono essere garantiti. Di conseguenza, la nozione di retribuzione assoggettabile a contribuzione previdenziale va definita mediante il rinvio all’art.49 del TU delle imposte sul reddito (TUIR) che definisce il reddito da lavoro ai fini del prelievo fisale. Si deve far riferimento a quei redditi di lavoro dipendente “che derivano da rapporti aventi per oggetto la prestazione di lavoro, con qualsiasi qualifica alle dipendenze sotto la direzione di altri” Sono espressamente escluse sia l'indennità di anzianità che l'indennità di cassa, alle quali sono state aggiunte le erogazioni liberali concesse dal datore di lavoro, in occasione di festività o ricorrenze, alle generalità o a categorie di lavoratori; i pasti consumati nelle mense aziendali e le indennità sostitutive, il servizio di trasporto collettivo e le mance percepite dai croupiers delle case da gioco. Inoltre, fino al 31 dicembre 2017, erano escluse le somme corrisposte in occasione della cessazione del rapporto di lavoro al fine di incentivare l'esodo dei lavoratori e le erogazioni retributive previste dalla contrattazione collettiva aziendale per incrementi di produttività, qualità e altri elementi di competitività assunti come indicatori dell’andamento economico dell’impresa e dei suoi risultati. Dal 1° gennaio 2008, le imprese hanno avuto la possibilità di ottenere, presentando apposita domanda, uno sgravio contributivo su quelle stesse somme erogate, nei limiti delle risorse finanziarie stabilite dalla legge. Lo sgravio riguarda la quota di retribuzione imponibile costituita dalle erogazioni previste dai contratti collettivi aziendali e territoriali correlate ad incrementi di produttività, qualità e redditività, innovazione ed efficienza organizzativa, oltre che collegate ai risultati riferiti all’andamento economico o agli utili dell’impresa o a ogni altro elemento rilevante ai fini del miglioramento della competitività aziendale. Restano comprese da retribuzione assoggettabile a contribuzione previdenziale anche le integrazioni delle prestazioni previdenziali economiche che i contratti collettivi pongono a carico dei datori di lavoro in caso di assenza dal lavoro per malattia, infortunio o gravidanza e puerperio. Al concetto di retribuzione pensionabile va sostituito quello di reddito pensionabile, se trattasi di lavoratori autonomi e di liberi professionisti. Per i primi, viene preso in considerazione il reddito medio di un predeterminato periodo di contribuzione; per i secondi la media del reddito professionale di un certo numero di anni. 38. Segue: b) l'interpretazione giurisprudenziale La nozione di retribuzione a fini contributivi, prevista dalla l. n. 153/1969, aveva subito una notevole espansione a causa dell’orientamento seguito dalla giurisprudenza. Quest’ultima aveva finito con il ritenere assoggettabile a contribuzione previdenziale qualsiasi erogazione che, a prescindere dall’accertamento della sua natura e funzione, avvenisse durante il rapporto di lavoro e avesse nell’esistenza di tale rapporto la ragione della sua erogazione. Quella giurisprudenza, però, era stata più volte contraddetta dal legislatore con l’emanazione di numerose disposizioni recanti l’interpretazione autentica dell’art. 12, l. n. 153/1969. Tuttavia, quella giurisprudenza anticipava l’orientamento che sarebbe stato accolto dal legislatore, anche se è diverso il contesto nel quale si era venuta formando, rispetto a quello nel quale sono state introdotte le innovazioni legislative di cui è stato fatto cenno. Infatti, fin quando la l. n. 335/1995 non ha modificato i criteri di calcolo delle pensioni, la retribuzione assoggettabile a contribuzione previdenziale costituiva anche la base di calcolo dell'ammontare delle prestazioni pensionistiche. 39. Segue: c) minimali e massimali di contribuzione e di retribuzione pensionabile Nell'assicurazione generale obbligatoria e nelle gestioni dei quali trova applicazione l'art. 12, l. n. 153/1969, non era previsto alcun limite massimo di retribuzione, oltre il quale viene meno l'l'obbligo contributivo. Tale limite è stato introdotto per tutti lavoratori che iniziano l'attività lavorativa dopo il 1° gennaio ha 1996 e per i lavoratori che optano per la liquidazione della pensione di vecchiaia unificata con il nuovo sistema contributivo. Anche per la retribuzione da assumere a parametro per il calcolo delle pensioni retributive è fissato un massimale (c.d. tetto pensionistico) superato il quale gli importi corrisposti vengono computati in misura decrescente, secondo percentuali stabilite, per legge, in un’apposita tabella. L’applicazione del massimale comporta che tutta la retribuzione percepita oltre il limite annualmente fissato non sia assoggettabile a contribuzione previdenziale e non si tradurrà in pensione. Per contro, è previsto un minimale legale di retribuzione, ai fini del calcolo dei contributi previdenziali dovuti. Il legislatore, al fine di evitare interpretazioni giurisprudenziali ritenute non corrette, ha disposto che, nella determinazione delle voci dirette o indiretta della retribuzione si debba necessariamente tener conto della effettiva volontà delle parti stipulanti i contratti collettivi e gli accordi sindacali aziendali che le prevedono. 15 Un tipo particolare di minimale di retribuzione, ai fini del versamento dei contributi previdenziali, è previsto per i rapporti di lavoro ad orario ridotto. Se il lavoratore dipendente non percepisce compensi fissi o la retribuzione non è determinabile, sono stabiliti, con decreto ministeriale, salari medi convenzionali per il calcolo della contribuzione. 40. L'obbligazione contributiva nei confronti dei lavoratori italiani all'estero La tutela previdenziale dei lavoratori italiani all'estero ha avuto, a lungo, attuazione condizionata dall'esistenza di convenzioni internazionali in materia di sicurezza sociale che estendevano agli stranieri il regime previdenziale dei lavoratori nazionali. Una tutela più intensa, ma limitata all'ambito dei paesi aderenti, si è avuta con l'istituzione della Comunità economica europea. Il principio della libera circolazione della manodopera è stato attuato mediante regolamenti comunitari che tendenzialmente equiparano la posizione dei lavoratori comunitari a quelli residenti e consentono la valutazione dei vari periodo di contribuzione maturati in relazione al lavoro svolto nei vari paesi comunitari. Per i paesi extracomunitari e ove fossero mancate convenzioni internazionali, il lavoratore italiano restava privo di quelle forme di tutela previdenziale che si realizzano mediante l'erogazione di prestazioni sanitarie o di indennità economiche temporanee. Per la tutela pensionistica la legge si limitava a prevedere la possibilità, per i cittadini italiani che avessero prestato lavoro subordinato all'estero, di chiedere il riscatto dei periodi non coperti da assicurazioni sociali riconosciute dalla legislazione italiana. L’unica soluzione rimase a lungo quella di consentire ai datori di lavoro di stipulare convenzioni con gli enti previdenziali, al fine di realizzare una tutela previdenziale analoga a quella che sarebbe stato obbligatoria se il lavoratore avesse lavorato in Italia. L'art. 37, l. n. 833/1978, previde l'emanazione di provvedimenti legislativi idonei a garantire la tutela della salute anche agli italiani che lavorano all'estero. Restava pur sempre il problema della tutela del lavoratore italiano all’estero contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali e per i trattamenti di pensione. La legge n. 398/1987 ha stabilito che i lavoratori italiani all'estero, impiegati in paesi extracomunitari con i quali non siano in vigore accordi di sicurezza sociale, sono obbligatoriamente iscritti alle gestioni previdenziali italiane. Al fine di evitare che le specifiche condizioni dell’impiego all’estero determinino ingiuste conseguenze sul piano della tutela previdenziale, il legislatore ha previsto che la contribuzione previdenziale e la misura delle prestazioni non siano commisurate alla retribuzione effettivamente percepita all'estero, ma ad una retribuzione convenzionale determinata sulla base di un accertamento annuo del valore medio delle retribuzioni sindacali italiane. Ai lavoratori trasferiti in Paesi convenzionati, si applica, al contrario, in linea generale, il principio di territorialità della legislazione applicabile. Pertanto, i lavoratori devono essere assoggettati alla legislazione previdenziale dello Stato contraente dove viene esercitata l’attività lavorativa. Tuttavia, gli accordi e le convenzioni prevedono deroghe di carattere temporaneo al principio di territorialità per effetto delle quali i lavoratori, occupati alle dipendenze di un’impresa avente sede nel territorio di uno dei due Stati contraenti, rimangono soggetti alla legislazione dello Stato in cui ha sede l’impresa. 41. Responsabilità per omessa o irregolare contribuzione previdenziale Quando obbligato al versamento della contribuzione previdenziale è il datore di lavoro, egli è responsabile anche per la quota che la legge pone a carico del lavoratore (art. 2115.2 c.c.). Il datore di lavoro ha diritto di rivalsa nei confronti del lavoratore, diritto che esercita trattenendo il relativo importo sulla retribuzione (art. 2115.2 c.c.). L'omessa o irregolare contribuzione previdenziale può dar luogo ad una responsabilità penale, civile e amministrativa del datore di lavoro nei confronti dell’ente previdenziale creditore dei contributi. Inoltre, nei casi in cui soggetto obbligato è il datore, questi può essere anche civilmente responsabile nei confronti del lavoratore. L'omesso o irregolare versamento dei contributi previdenziali è stato a lungo considerato dalla legge come reato. Infatti, era punito con l'ammenda. Successivamente, però, sono state abolite le sanzioni penali sostituendole con quelle amministrative (c.d. depenalizzazione). Tuttavia, una responsabilità penale a carico del datore inadempiente agli obblighi contributivi permane almeno in un caso. Sono ancora previste sanzioni penali per il datore di lavoro quando l'evasione contributiva è quantitativamente rilevante e a condizione non solo che l'evasione sia determinata dalla omessa o irregolare tenuta delle scritture, ma sia anche qualificata dal dolo specifico. Il d.lgs. 8/2016 è intervenuto a depenalizzare numerose ipotesi di reato in materia di previdenza obbligatoria. Fa salvi soltanto i reati in materia di salute e sicurezza sul lavoro. L’art.3.6, d.lgs. 8/2016, sostituisce l’art. 2, d. l. 463/81983, che puniva, con la reclusione fino a 3 anni e con la multa fino a 1.032€ per i soli omessi versamenti di importo superiore a 10.000€ annui. Se l’importo omesso rimane sotto la predetta soglia, al datore di lavoro si applicherà la sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 50.000€. In ogni caso il datore non è punibile con la sanzione penale e non è assoggettabile alla sanzione amministrativa se versa quanto dovuta entro tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’accertamento della violazione. L’attuale distinzione fra reato e illecito amministrativo riguarda anche i co.co.co. e i lavoratori agricoli. Le sanzioni amministrative possono essere annullate, o ridotte, nei casi in cui il ritardo dell'adempimento del datore di lavoro sia limitato nel tempo. La legge prevede ulteriori sanzioni civili. Sono sanzioni di carattere pecuniario, cioè delle somme c.d. aggiuntive che il datore di lavoro inadempiente agli obblighi contributivi, è tenuto a pagare in aggiunta a quelle originariamente dovute. 16 L’ammontare della somma aggiuntiva varia a seconda che si tratti di mera omissione contributiva (mancato o tardivo pagamento di contributi in presenza di registrazioni e documentazione aziendale regolarmente tenute) o di evasione contributiva (e conseguente ad omessa o infedele registrazione). Nel primo caso, l’ammontare complessivo della sanzione non può superare il 40% dell'ammontare dei contributi omessi; nel secondo caso l'ammontare massimo complessivo delle sanzioni è pari al 60% dell’ammontare dei contributi evasi. La somma aggiuntiva è dovuta nella misura massima del 40% anche nel caso di evasione ove il datore di lavoro denunci spontaneamente, prima della contestazione dell’ente previdenziale ed entro dodici mesi dal momento in cui è sorto l’obbligo, l’inadempimento contributivo e provveda a versare contributi dovuti entro 30 giorni dalla denuncia. Si ritiene che la sanzione della somma aggiuntiva costituisca il risarcimento del danno, liquidato dalla legge in misura diversificata a seconda del ritardo del pagamento e a seconda che l’evasione contributiva derivi, o meno, dalla mancata esecuzione delle registrazioni o denunce obbligatorie o da registrazioni non conformi al vero. Sanzioni amministrative sono previste per la violazione da parte del datore di lavoro degli obblighi accessori che hanno lo scopo di fornire al lavoratore l'indicazione della retribuzione denunciata e assoggettata a contribuzione previdenziale e di fornire agli enti previdenziali gli elementi per accertare l'esistenza dell'obbligo contributivo e l'ammontare dei contributi dovuti e delle retribuzioni individuali. 42.Responsabilità del datore di lavoro nei confronti del lavoratore per omessa o irregolare contribuzione previdenziale Nei limiti in cui non trova compiuta applicazione il principio dell'automaticità delle prestazioni, il datore di lavoro è anche responsabile nei confronti del lavoratore del danno che a questo sia derivato dalla mancata o irregolare contribuzione previdenziale (art. 2116.2 c.c.). Responsabilità che deriva dalla violazione del diritto soggettivo del lavoratore alla posizione contributiva. Questa è configurata dalla giurisprudenza come entità patrimoniale, vale a dire come un bene giuridico produttivo di effetti economici, la cui lesione concretizza un danno certo, attuale e suscettibile di immediato risarcimento. Il diritto al risarcimento dei danni per omessa o irregolare contribuzione è riconosciuto anche superstiti del lavoratore. La giurisprudenza della Corte di Cassazione ritiene che il lavoratore possa far valere le sue ragioni esercitando due azioni. Una prima azione è quella che trova il suo fondamento nell'art. 2116 c.c. e ha ad oggetto il risarcimento dei danni. Azione esperibile nel momento in cui l'ente previdenziale abbia rifiutato le prestazioni o le abbia concesse in misura minore di quella dovuta per effetto del mancato o irregolare versamento dei contributi previdenziali dovuti. Il termine di prescrizione di questa azione è di dieci anni dalla data del provvedimento di rifiuto della pensione o di quello che la determina in misura inferiore di quella dovuta. Una seconda azione è quella che deriva dalla lesione del diritto del lavoratore alla sua posizione contributiva. Azione che non solo sarebbe esperibile sin dal momento in cui si è verificata l'omissione contributiva, ma sarebbe anche imprescrittibile. La legge prevede una liquidazione in forma specifica del danno derivante da omessa o irregolare contribuzione previdenziale. Così, il datore può costituire una rendita vitalizia reversibile pari alla pensione o quota di pensione che spetterebbe riguardo ai contributi omessi anche quando questi siano caduti in prescrizione. La costituzione della rendita avviene con il pagamento all'ente previdenziale di un capitale corrispondente alla riserva matematica necessaria per erogare le prestazioni che sarebbero state dovute e se non si fosse verificata l'omissione contributiva. Ne consegue che il versamento di quel capitale comporta la regolarizzazione della posizione contributiva del lavoratore. Il rapporto di lavoro deve, però, risultare da documentazione di data certa, mentre la durata del rapporto e l’ammontare della retribuzione erogata possono essere provati anche con altri mezzi. Il lavoratore, quando non possa ottenere la costituzione della rendita dal datore di lavoro, può sostituirsi a quest'ultimo, salvo chiedere il diritto al risarcimento del danno al datore che deve essere quantificato in misura corrispondente al capitale versato per costituire la rendita. Infine, la legge prevede che il credito del lavoratore per i danni conseguiti alla omessa o irregolare contribuzione gode della garanzia rappresentata dal privilegio generale sui beni mobili del datore di lavoro. CAPITOLO QUARTO IL RAPPORTO GIURIDICO PREVIDENZIALE 42. Costituzione del rapporto giuridico previdenziale La realizzazione della tutela previdenziale avviene con la costituzione del rapporto giuridico previdenziale, del rapporto, cioè, intercorrente tra gli enti previdenziali e i soggetti protetti ed avente come contenuto il diritto di questi ultimi alle prestazioni previdenziali. L'obbligazione dell'ente previdenziale di erogare le prestazioni non viene ad esistenza fin quando non si verifichino le condizioni previste dalla legge e, cioè, non si verifichino gli eventi dai quali deriva per i soggetti protetti una situazione di bisogno e, ove richiesti, sussistano requisiti di contribuzione e di assicurazione o di età. La fattispecie da cui deriva il diritto alle prestazioni previdenziali è sempre costituita da due elementi che possiamo definire costanti: il fatto che un soggetto viva del proprio lavoro, o abbia vissuto di quello di un familiare, e il fatto che si sia verificato uno degli eventi che la legge reputa generatori di bisogno. Accanto ad essi, altri requisiti sono richiesti. Ciò avviene soprattutto quando non trova piena applicazione il principio dell'automaticità delle prestazioni. In questi casi, la fattispecie si completa solo in presenza di ulteriori elementi: di solito, il versamento di un determinato numero di contributi previdenziali entro un certo periodo di tempo. 17 I lavoratori privi di permesso di soggiorno o con permesso scaduto restano invisibili al sistema delle tutele previdenziali. Nel 2012, tuttavia, è stato previsto che il datore, qualora occupi alle proprie dipendenze lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno, è tenuto al pagamento non solo della retribuzione, ma anche delle somme dovute a fini contributivi e fiscali. A tal fine si presume che il rapporto di lavoro instaurato con il lavoratore straniero privo del permesso di soggiorno abbia avuto una durata di almeno tre mesi, salvo prova contraria fornita dal datore di lavoro o dal lavoratore. 49. Specie e funzione delle prestazioni previdenziali Le prestazioni previdenziali sono determinate dalla legge, in relazione ad ogni singolo evento protetto. Le prestazioni possono essere economiche oppure sanitarie, come accade quando hanno ad oggetto l'assistenza medico - chirurgica, ambulatoriale, il ricovero in case di cura, la somministrazione di medicinali, e la fornitura di apparecchi di protesi e di presidi terapeutici. La loro funzione oltre che quella di soddisfare il bisogno di cure, è anche quella di reintegrare le perdute o menomate energie di lavoro dei soggetti protetti, realizzando così accanto alla soddisfazione dell’interesse privato di questi ultimi, anche quella degli interessi pubblici generali. Poiché gli interessi individuali sono subordinati a quelli pubblici, le prestazioni sanitarie, in molte circostanze, hanno costituito per i soggetti non solo un diritto, ma anche un dovere o un onere. Così, l'infortunato sul lavoro che, senza giustificato motivo, rifiuti di sottoporsi alle cure mediche ritenute necessarie dall'Istituto erogatore ai fini del recupero dell'attitudine al lavoro o non le avesse eseguite, avrebbe perso il diritto all'indennità pecuniarie. Allo stesso modo, l'infortunato sul lavoro il quale, dopo l’eventuale costituzione della rendita per invalidità permanente, si rifiuti di sottoporsi alle cure utili per la restaurazione delle capacità lavorativa, avrebbe subito una riduzione della rendita di inabilità. Diversamente accade per la tutela per l'invalidità, vecchiaia ed i superstiti. Qui, nei casi in cui si fosse potuto evitare o ritardare ad un soggetto protetto di rimanere invalido o si fosse potuto eliminare o ritardare l'invalidità già accertata, mediante opportune cure mediche terminali o chirurgiche o con il ricovero in un idoneo istituto di cura, l'ente previdenziale non può imporre tali cure al soggetto protetto. In caso di rifiuto, non si ha più la soppressione o la riduzione delle prestazioni economiche. Anche le prestazioni pecuniarie non sono erogate solo per la soddisfazione dell’interesse del soggetto protetto. Esse soddisfano al tempo stesso anche l'interesse pubblico generale all'eliminazione di determinate situazioni di bisogno. Spesso, la situazione di bisogno alla quale le prestazioni pecuniarie tendono ad ovviare, deve essere accertata. Le prestazioni pecuniarie non possono essere cedute e sono limitatamente impignorabili, insequestrabili e indisponibili, appunto perché sulla loro destinazione al perseguimento di interesse pubblico non possono prevalere interessi individuali e nemmeno l'interesse del soggetto diretto. Tuttavia è stata, successivamente, dichiarata pignorabile soltanto la quota della pensione destinata ad assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita. 50. Prestazioni previdenziali, retribuzione e reddito lavorativo L’ammontare delle pensioni doveva essere determinato sulla base delle retribuzioni o dei redditi percepiti nell’ultimo periodo di attività lavorativa. Il principio fondamentale che ispira il nostro sistema è che il compito dello Stato, da realizzare attraverso la previdenza sociale, sia quello di garantire a tutti cittadini il minimo essenziale alle esigenze di vita. Il mantenimento del livello di vita raggiunto durante il normale svolgimento dell'attività lavorativa non rientra nei compiti dello Stato, ma tra quelli propri degli individui e dei gruppi. Peraltro, la più recente disciplina legislativa, ispirata dalla necessità di alleviare la crisi finanziaria del sistema previdenziale, ha, dapprima, attenuato notevolmente il rilievo dell’interesse dei lavoratori a conservare, come pensionati, il tenore di vita raggiunto al termine del rapporto di lavoro o dell’attività lavorativa, e successivamente, ha previsto la progressiva sostituzione, come punto di riferimento da utilizzare per la determinazione dell’ammontare dei trattamenti pensionistici, delle ultime retribuzioni o degli ultimi redditi con la contribuzione previdenziale versata durante l’attività lavorativa. Dapprima, la legge aveva disposto, anche al fine di realizzare economie di gestione, il divieto del cumulo della pensione di invalidità e vecchiaia con la retribuzione, suscitando dubbi di legittimità costituzionale nella misura in cui quel divieto avrebbe violato sia il principio della retribuzione sufficiente che il diritto, costituzionalmente garantito, alle prestazioni previdenziali. Successivamente, la legge ha superato questi dubbi e ha tenuto conto dei limiti derivanti dalla funzione stessa della prestazione previdenziale. Essa ha disposto che le quote delle pensioni di vecchiaia e di invalidità, eccedenti i trattamenti minimi, non siano cumulabili che parzialmente. Più di recente, la tendenza è stata inverdita per soddisfare le nuove esigenze poste dal perdurare della crisi finanziaria anche delle gestioni previdenziali. Ed è così che la legge ha vietato il cumulo totale delle pensioni di vecchiaia e di invalidità anche con il reddito di lavoro autonomo. Il legislatore ha dovuto tener conto del fenomeno per cui i pensionati, per sottrarsi al divieto di cumulo, accettavano il lavoro irregolare con conseguente evasione della contribuzione previdenziale. Per eliminare tale fenomeno, il legislatore ha progressivamente revocato il divieto di cumulo tra pensione di vecchiaia e di anzianità e redditi da lavoro autonomo e dipendente. 51. Natura giuridica delle prestazioni previdenziali La configurazione della natura retributiva delle prestazioni previdenziali va respinta con riferimento alle prestazioni sanitarie e all’ipotesi in cui esse siano dovute a soggetti protetti che non sono lavoratori subordinati. 20 Anche se, come avviene per la disoccupazione involontaria, la malattia e l’inabilità temporanea derivante da infortunio sul lavoro, le prestazioni previdenziali si sostituiscono alla retribuzione, ciò non significa che abbiano natura retributiva. Tale natura può essere riconosciuta correttamente soltanto a quelle attribuzioni patrimoniali che siano un corrispettivo dell’attività lavorativa. Lo stesso deve dirsi dell’assegno per il nucleo familiare. Nonostante l’esplicito richiamo alle esigenze della famiglia del lavoratore contenuto nell’art.36 Cost., tale assegno per la funzione cui assolve, per il sistema con cui viene erogato e per il modo con cui vengono reperiti i mezzi necessari alla sua erogazione, presenta caratteristiche diverse dalla retribuzione. Le prestazioni previdenziali non possono essere qualificate come risarcimento del danno. La loro principale funzione è quella di reintegrare le perdute energie di lavoro. Anche nel caso delle prestazioni economiche, la loro funzione è unicamente quella di fronteggiare situazioni di bisogno. Né potrebbe ritenersi che la liberazione dal bisogno corrisponda al risarcimento del danno. Il bisogno eliminato con le prestazioni previdenziali è quello derivante dalla mancanza dei beni essenziali, necessari alla vita del soggetto protetto; mentre il danno che consegue al verificarsi degli eventi, per i quali pure è prevista l’erogazione di tali prestazioni, può riguardare beni che eccedono quelli necessari. 52. Il diritto alle prestazioni previdenziali I soggetti protetti sono titolare di un vero e proprio diritto soggettivo perfetto alle prestazioni previdenziali. La posizione in cui si trovano i soggetti che hanno diritto alle prestazioni previdenziali riceve dall’ordinamento non solo l’ordinaria protezione, consistente nella possibilità di adire il giudice in caso di comportamento illegittimo degli enti previdenziali, ma anche una tutela costituzionale. Deve ritenersi che lo Stato non possa far venir meno il diritto delle prestazioni previdenziali, per cui ove venisse leso l'interesse del singolo a quelle prestazioni, l'ordinamento reagirebbe sia predisponendo una tutela oggettiva, sia attribuendo al singolo il potere di provocare un giudizio incidentale di legittimità costituzionale del provvedimento lesivo del suo interesse. Sotto un ulteriore profilo, si ritiene che alla posizione giuridica attiva del soggetto protetto faccia riscontro, accanto alla posizione giuridica passiva degli enti previdenziali, anche quella dello Stato in quanto questi, in virtù dell’art. 38 Cost., ha l’obbligo di integrare gli istituti da lui predisposti per l’erogazione delle prestazioni. 53. Il rischio professionale Il discorso sulla natura e sulla funzione delle prescrizioni previdenziali è collegato a quello del rischio. La dottrina tradizionale designa come rischio ogni evento al verificarsi del quale sorge il diritto dei soggetti protetti alle prestazioni previdenziali. Tale concezione, da un lato, presuppone l'equiparazione delle assicurazioni sociali a quelle private. Dall’altro essa deve essere posta in relazione al rilievo attribuito al rischio professionale il quale costituì la giustificazione della prima forma di assicurazione sociale, quella contro gli infortuni sul lavoro. Si ritenne, che le conseguenze dell’infortunio sul lavoro, come evento necessariamente connesso all’esercizio di un’attività lavorativa, dovessero essere sostenute da chi trae un vantaggio da quest’ultima e si spiegò, l’obbligo dei datori di lavoro ad assicurare i loro dipendenti anche per gli infortuni dovuti al caso fortuito o dalla forza maggiore, trasformatosi in seguito nell’obbligo di pagare i contributi previdenziali. Senonché, si è continuato a ritenere che il rischio professionale costituisca il fondamento e la giustificazione dell'imposizione dell'obbligazione contributiva posta a carico al datore di lavoro. 54. Il rischio del sistema giuridico della previdenza sociale Se per il rischio deve intendersi il giudizio di possibilità o di probabilità del verificarsi di un evento, deve respingersi come inesatta la comune definizione del rischio come oggetto del rapporto giuridico previdenziale. Il rischio, inteso come giudizio di probabilità del verificarsi di determinati eventi, assume giuridica rilevanza in quanto l'ordinamento, proprio in considerazione del loro verificarsi, ne regola le conseguenze, facendole ricadere su soggetti diversi da quelli che ad esse sono esposti. Nel sistema giuridico della previdenza sociale le conseguenze del verificarsi di determinati eventi, da cui deriva una situazione di bisogno per chi vive del proprio lavoro, vengono, per legge, sopportate dagli enti previdenziali i quali sono obbligati ad erogare, al verificarsi dell'evento, le prestazioni previdenziali. Ciò consente di comprendere perché le prestazioni previdenziali vengano, a volte, erogate, pur se con condizionamenti che tengono conto dell’effettiva esistenza di stati di bisogno, anche per eventi che già si sono verificati, come accade per l’assegno per il nucleo familiare e per le prestazioni economiche dell’assicurazione obbligatoria contro la tubercolosi. In questi casi, non interessa l’esistenza di un rischio in relazione al singolo caso concreto, in quanto il rischio, come previsione di un evento generatore di bisogno, assume rilevanza nella misura in cui la sua considerazione ha indotto il legislatore a predisporre la tutela previdenziale dei soggetti che ad esso sono esposti. Il fatto che i contributi siano proporzionati alla probabilità del verificarsi dell'evento risponde solo all'esigenza di garantire la economicità e l'equilibrio finanziario della gestione, ed assolve anche alla funzione di favorire la prevenzione degli infortuni stessi. 55. Il rischio sociale L'eliminazione delle conseguenze che determinati eventi producono sui lavoratori è realizzata mediante l'erogazione di prestazioni previdenziali, alla quale si provvede sia con il contributo finanziario dello Stato, sia con l’imposizione di contributi che hanno natura d'imposta. Ciò significa che tali conseguenze non vengono trasferite su un altro soggetto o su soggetti diversi 21 da quelli che ad esse sono esposti, ma vengono sostenute da tutta la collettività. Il sistema giuridico della previdenza sociale deve essere considerato come espressione della solidarietà di tutta la collettività organizzata nello Stato. Gli eventi al verificarsi dei quali è prevista l'erogazione di prestazioni presentano una caratteristica costante: si tratta di eventi, per la natura delle cose o per il modo in cui la società è organizzata, normalmente inevitabili che determinano, per chi vive del proprio lavoro, una situazione di bisogno, di solito in conseguenza dell’impossibilità o incapacità di lavorare che ne deriva. Se si volesse fornire una qualificazione di questi eventi che servisse a caratterizzare il rischio che rileva nella previdenza sociale, si potrebbe parlare di rischi sociali. CAPITOLO QUINTO LA TUTELA PER GLI INFORTUNI SUL LAVORO E LE MALATTIE PROFESSIONALI 56. Origine ed evoluzione Una tutela contro gli infortuni sul lavoro fu prevista per la prima volta alla fine del XIX secolo. La l. 80/1898, impose ai datori di lavoro dell’industria l’obbligo di assicurarsi per la responsabilità civile dei danni derivanti dagli infortuni sul lavoro di cui fossero rimasti vittima i loro operai, al fine di garantire questi ultimi contro l’ulteriore rischio dell’insolvenza del datore di lavoro, responsabile dell’infortunio. Si trattava di una vera e propria assicurazione per la responsabilità civile del datore di lavoro; assicurazione che poteva essere stipulata con qualsiasi assicuratore, anche privato. Essa assumeva una dimensione sociale non solo perché obbligatoria, ma soprattutto perché la tutela era estesa anche agli infortuni derivanti dal caso fortuito, forza maggiore o colpa non grave del lavoratore e, cioè, ad infortuni dei quali il datore non sarebbe stato responsabile. Conseguenza più notevole di questa estensione era che il lavoratore infortunato non doveva più provare, per aver diritto alla prestazione, che l’infortunio fosse derivato da colpa del datore di lavoro. Successivamente, la tutela contro gli infortuni sul lavoro venne estesa ai lavoratori dell’agricoltura, e ad essa si affiancò quella contro le malattie professionali. Per la tutela contro gli infortuni ne fu affidata, in esclusiva, la gestione a un ente pubblico, l’attuale Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli infortuni sul Lavoro (INAIL). I tratti pubblicistici vennero accentuati con il T.U. Da un lato, fu introdotto il principio dell’automaticità delle prestazioni, per cui i lavoratori infortunati o affetti da malattia professionali hanno diritto alle prestazioni anche se il datore di lavoro non abbia adempiuto ai suoi obblighi e non abbia versato i contributi dovuti. Dall’altro lato, venne dato più rilievo alle prestazioni sanitarie tendenti a conservare o a recuperare la capacità di lavoro dell’infortunato. Attualmente, la fondamentale disciplina che regola la materia è contenuta nel T.U. approvato con decreto del Presidente della Repubblica n.1124/1965, modificato e integrato dal d.lgs. 38/2000, mentre la tutela sanitaria è regolata dalla l. n. 833/1978, istitutiva del Servizio sanitario nazionale. 57. Il fondamento della tutela Al momento della sua istituzione, il fondamento della tutela contro gli infortuni sul lavoro fu individuato nel principio del rischio professionale. I datori di lavoro che espongono il loro dipendenti al rischio dell’infortunio, in quanto traggono utilità dall’attività lavorativa che essi svolgono nel loro interesse, debbono sopportare anche, con il pagamento di premi, le conseguenze negative del verificarsi di quel rischio. L’opinione che spiega la tutela contro gli infortuni sul lavoro in funzione del rischio professionale è ancora oggi assai diffusa. Essa trova il suo sostegno in peculiari aspetti della disciplina legislativa vigente che costituiscono il residuo della legislazione emanata durante il periodo corporativo. Il ricorso al principio del rischio professionale mentre, sul piano teorico, continua a consentire che questa forma di tutela sia ancora considerata come un’assicurazione dei datori, sul piano pratico, ha fatto sì che la tutela contro gli infortuni sul lavoro rimanesse limitata soltanto ai lavoratori che svolgono attività ritenute pericolose. In realtà, il principio del rischio professionale corrisponde ad una concezione della tutela previdenziale ormai superata dai principi accolti nella Costituzione repubblicana. Questi comportano il riconoscimento di un diritto dei lavoratori a che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, non diversamente dal caso di malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione: tutti eventi considerati generatori di bisogno. Nella prospettiva indicata dai principi costituzionali, il fondamento della tutela previdenziale contro gli infortuni sul lavoro non può essere più individuato nel rischio professionale. Quella tutela è espressione della “solidarietà di tutta la collettività organizzata nello Stato a favore di chi si viene a trovare in situazione di bisogno”. La sua funzione non è più quella di risarcire un danno, ma di “eliminare le situazioni di bisogno” che impediscono l’effettivo e il pieno godimento dei diritti civili e politici. 58. Il significato della tutela per gli infortuni sul lavoro nel sistema della previdenza sociale A differenza di quanto avviene nella tutela per l’invalidità e la vecchiaia e superstiti, nella tutela per gli infortuni sul lavoro trova piena applicazione il principio della automaticità delle prestazione e si prescinde dall’esistenza di requisiti di contribuzione. A differenza di quanto avviene nella tutela contro le malattie, nella tutela per gli infortuni sul lavoro, in caso di inabilità temporanea, le prestazioni vengono erogate per tutta la durata dell’inabilità stessa e non con i limiti temporali che caratterizzano le prestazioni economiche di malattia. 22 La legge, adottando la formula dell’occasione di lavoro, non richiede che il lavoro sia la causa dell’infortunio. Quando ha voluto subordinare il diritto alle prestazioni al verificarsi di un evento determinato dal lavoro on un nesso di causalità diretta, la legge ha adottato la diversa formula “a causa del lavoro”, come avvenuto per le malattie professionali, o “in rapporto causale diretto con finalità di servizio”, come è avvenuto per l’invalidità e la morte dette a “causa di servizio”. “L’occasione di lavoro” si realizza tutte le volte che lo svolgimento di un’attività lavorativa, pur non essendo la causa, costituisca l’occasione dell’infortunio, cioè abbia determinato l’esposizione del soggetto protetto al rischio del suo verificarsi, dando luogo così ad un nesso causale, anche se indiretto, tra evento e lavoro. Da ciò deriva che l’occasione di lavoro può avvenire anche quando l’infortunio derivi dal caso fortuito o da cause estranee al lavoro svolto. Per contro non si può ritenere che l’occasione di lavoro sussista soltanto perché l’infortunio si sia verificato durante o sul luogo del lavoro. L’occasione di lavoro sussiste anche quando il lavoro espone il soggetto protetto a un rischio generico, come è il caso di attività lavorativa che, per le modalità della sua esecuzione, comporti l’esposizione al rischio della strada. Specialmente per quest’ultimo aspetto, un’annotazione può essere fatta con riguardo al modo in cui va intesa l’occasione di lavoro nell’infortunio in agricoltura. È stato osservato come, per le specialissime circostanze di modo, di tempo e di luogo in cui si svolge il lavoro nelle campagne, la sfera della vita privata del soggetto protetto non possa essere nettamente separata da quella delle sue occupazioni professionali, onde dovrebbe considerarsi “avvenuto in occasione di lavoro ogni infortunio connesso anche parzialmente e indirettamente ad attività o contingenze della vita rurale” e, quindi che l’occasione di lavoro nell’infortunio in agricoltura dovrebbe essere presunta, fino a prova contraria. 65. Segue: b) colpa e dolo del soggetto protetto; il rischio elettivo Va precisato come il nesso che deve intercorrere tra il lavoro e l’infortunio non è affatto interrotto dall’eventuale colpa del lavoratore, almeno quando questa si concretizzi nell’imprudenza, nella negligenza o nell’imperizia attinenti all’esecuzione della sua prestazione di lavoro. La legge esclude il diritto alle prestazioni soltanto quando l’infortunio consegue ad un comportamento doloso del soggetto protetto, cioè in caso di autolesionismo, confermando, così, l’equiparazione della colpa del lavoratore al caso fortuito. Tuttavia, quando il comportamento colposo non sia collegato all’esecuzione del lavoro, come avviene quando abbia determinato una situazione di ubriachezza, viene meno, in caso di infortunio, l’occasione di lavoro. Alla stessa conclusione si deve pervenire nel caso in cui il lavoratore abbia posto in essere, di sua iniziativa, comportamenti che, non potendo essere considerati adempimento dell’obbligazione di lavoro, escludono ogni connessione, e anche quella occasionale, tra l’esposizione al rischio e il lavoro. È questo il caso del c.d. rischio elettivo, che non si caratterizza per la rilevanza della colpa del lavoratore, ma per l’interruzione del nesso occasionale che deve intercorrere tra il lavoro e l’infortunio. L’esercizio del diritto di sciopero presenta strette connessioni con il lavoro, avendo in questo la sua ragion d’essere e la sua giustificazione. Ne deriva che, anche per gli infortuni verificatisi in occasione di azioni di lotta sindacale, sussiste l’occasione di lavoro, sebbene siano stati posti in essere comportamenti illeciti penalmente reprimibili, a meno che non ricorra un’ipotesi di rischio elettivo o di dolo del soggetto protetto, in ordine sia al verificarsi dell’infortunio che all’aggravamento della lesione. La tutela contro gli infortuni e le malattie professionali si estende anche ai lavoratori in aspettativa sindacale. 66. Segue: c) occasione di lavoro e infortunio in itinere La nozione di occasione di lavoro consentiva di ritenere indennizzabili alcuni casi di infortunio in itinere, cioè di infortuni che hanno colpito il soggetto protetto durante il percorso seguito per recarsi dall’abitazione al lavoro o viceversa. In mancanza di una disciplina legislativa si riteneva che l’infortunio in itinere fosse indennizzabile soltanto quando poteva essere considerato un infortunio sul lavoro, cioè, si fosse verificato in occasione di lavoro, essendo stato il lavoro ad esporre il soggetto protetto al rischio dell’infortunio sulla strada. Secondo una giurisprudenza risalente, l’infortunio in itinere era ritenuto indennizzabile se il soggetto protetto: fosse rimasto vittima di un infortunio su un cammino che è necessario percorrere perché è l’unico a condurre alla sede del lavoro; avesse dovuto usare speciali mezzi di trasporto apprestati dallo stesso datore di lavoro; avesse dovuto trasportare strumenti di lavoro pesanti ed ingombranti tali da essergli di impaccio nei movimenti e tali da intensificare il rischio di un incidente stradale. In tutti questi casi si riteneva che fosse stato il lavoro a esporre il lavoratore al rischio dell’infortunio. Una più recente giurisprudenza aveva però ritenuto che l’infortunio in itinere fosse indennizzabile anche quando derivi da eventi che soltanto indirettamente sono in occasione del lavoro, essendo determinati dal c.d. rischio della strada. La tutela infortunistica si estende: agli infortuni occorsi durante il percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro; a quelli occorsi durante il normale percorso che collega due luoghi di lavoro se il lavoratore ha più rapporti di lavoro e, qualora il datore di lavoro non abbia predisposto un servizio di mesa aziendale, durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro a quello di consumazione abituale di pasti. Tuttavia, non è indennizzabile l’infortunio occorso in caso di interruzione o deviazione del percorso del tutto indipendenti dal lavoro o non necessitate, cioè non dovute a cause di forza maggiore, ad esigenze essenziali e improrogabili o all’adempimento di obblighi penalmente rilevanti. La Corte costituzionale ha ritenuto che una breve sosta non integra l’ipotesi della “interruzione”, a meno che non alteri le condizioni di rischio per il soggetto protetto. Continua a non essere indennizzabile l’infortunio in itinere quando è utilizzato un mezzo di trasporto privato e questo non è necessitato, cioè quando il lavoratore avrebbe potuto utilizzare il mezzi pubblici. L’infortunio in itinere non è indennizzabile quando risulti cagionato “dall’abuso” di alcolici e di psicofarmaci o dall’uso non terapeutico di stupefacenti ed allucinogeni, nonché quando il conducente sia sprovvisto della prescritta abilitazione di guida. 25 67. Segue: d) la causa violenta e il problema delle concause Il secondo requisito richiesto dalla legge per il sorgere del diritto alle prestazioni previdenziale è che l’infortunio sia derivato da una causa violenta, cioè da una causa efficiente e rapida. La violenza va intesa nel significato comune di energia abnorme o di abnorme intensità; la rapidità nel senso di intensità concentrata in breve spazio di tempo sì da essere cronologicamente determinabile. Va osservato come violenta debba essere la causa della lesione e non la lesione stessa. La violenza e la repentinità della causa devono riguardare il fatto lesivo in sé e non l’azione patogenetica che ne consegue, la quale può essere anche lenta. L’efficienza della causa violenta non esclude la possibilità che la lesione sia dovuta anche a fattori preesistenti o sopravvenuti, detti concause, e che possono incidere tanto sulla lesione che sull’inabilità. Si hanno concause preesistenti di lesione quando a causa di precedenti condizioni morbose, l’infortunio produce lesioni diverse o più gravi rispetto a quelle che dette condizioni avrebbero prodotto di per sé. In questi casi le prestazioni previdenziali sono commisurate alla lesione complessiva effettivamente verificatasi. Si hanno concause preesistenti di inabilità quando l’inabilità derivante dall’infortunio si aggiunge ad una inabilità già esistente, sia di carattere professionale o extraprofessionale. Quando si tratti di concause preesistenti di inabilità di carattere professionale, la legge dispone che si proceda alla liquidazione di una nuova rendita che assommi le due inabilità, tenendo conto del grado di riduzione complessiva dell’attitudine al lavoro causato dalle lesioni determinate dal precedente infortunio e dal nuovo. Quando la precedente inabilità è di carattere extraprofessionale la legge dispone che il grado di riduzione permanente dell’attitudine al lavoro debba essere rapportato non all’attitudine al lavoro normale, ma a quella ridotta per effetto della preesistente inabilità. Le concause sopravvenute di lesioni o di inabilità si hanno quando alla lesione o all’inabilità derivanti da un infortunio si assomma una lesione o un’inabilità ad esso successiva. In questo caso la legge riconosce il diritto del soggetto protetto a chiedere la maggiorazione della rendita di inabilità in caso di peggioramento soltanto ove l’aggravamento sia derivato dall’infortunio. 68. Segue: e) la lesione Il diritto alle prestazioni previdenziali sorge quando dall’infortunio derivi la morte o l’inabilità al lavoro. L’inabilità al lavoro deve essere intesa come “eliminazione o riduzione delle attitudini psicofisiche del soggetto protetto a svolgere attività lavorativa”. Di recente la legge ha esteso la nozione di lesione ricomprendendovi anche le lesioni all’integrità psicofisica del lavoratore, indipendentemente dalla capacità di produzione di reddito, e, quindi, dall’esistenza di una inabilità al lavoro. L’inabilità al lavoro è considerata dalla legge in termini diversi a seconda che si tratti di inabilità temporanea o permanente. Si ha inabilità al lavoro di carattere temporaneo quando le conseguenze dell’infortunio sono sanabili nel tempo e il soggetto può recuperare completamente le sue attitudini di lavoro. In questo caso il diritto alle prestazioni previdenziali sorge solo quando si tratti di una inabilità assoluta che “impedisca totalmente e di fatto all’infortunato di attendere al lavoro”, quindi, quando si tratti di inabilità specifica, cioè riferita al lavoro effettivamente svolto dal soggetto protetto al momento dell’infortunio. Si ha inabilità al lavoro di carattere permanente quando le conseguenze dell’infortunio sono destinate a durare per tutta la vita. Tuttavia il carattere della permanenza non può essere inteso in senso eccessivamente rigoroso, onde deve ritenersi permanente anche l’inabilità che non sia precaria ma che, cioè, sia comunque destinata a durare nel tempo. Pertanto, a differenza di quanto avviene per l’inabilità temporanea, l’inabilità al lavoro permanente deve essere generica e quindi riferita a qualsiasi lavoro proficuo. L’inabilità permanente può essere assoluta, quando tolga completamente le attitudini al lavoro, o parziale. L’inabilità parziale, viene attualmente calcolata sulla base della tabella delle menomazioni di cui al d. m. 12 luglio 2000. Per aver diritto alle prestazioni previdenziali, le attitudini dal lavoro, nel caso di inabilità permanente parziale, devono essere ridotte, tanto per i lavoratori dell’industria che per quelli dell’agricoltura, in misura superiore al 10%. 69. Danno estetico e danno biologico Il c.d. danno estetico, cioè la lesione che consiste in un’alterazione dell’estetica, quando deriva da un infortunio sul lavoro, dà luogo al diritto a prestazioni previdenziali soltanto se incide sulle attitudini al lavoro del soggetto protetto. Infatti, la riduzione della capacità di lavoro, secondo la giurisprudenza, non deve necessariamente essere determinata da una lesione fisica. Ne deriva che anche il danno estetico, quando per la ripugnanza che suscita crei difficoltà ad ottenere un’occupazione o costringa il lavoratore a accettarne qualcuna in condizioni sfavorevole, può dar luogo a prestazioni previdenziali. Più complessa, è la questione della rilevanza, ai fini della tutela previdenziale contro gli infortuni e le malattie professionali, del c.d. danno biologico, cioè del danno alla persona del lavoratore. La Corte Costituzionale aveva affermato la contrarietà ai principi costituzionali delle disposizioni che determinano prestazioni che non tengono conto anche del danno inferto alla salute del lavoratore. 70. La nozione di malattia professionale L’ambito di applicazione della tutela delle malattie professionale è ancora più ristretto di quello degli infortuni sul lavoro. Da un lato, trattasi di tutela accessoria rispetto a quest’ultima, in quanto si estende soltanto agli addetti a lavorazioni comprese tra quelle alle quali si applica la tutela per gli infortuni. 26 Dall’altro, tanto per i lavoratori dell’industria quanto per quelli dell’agricoltura, le malattie professionali davano diritto a prestazioni previdenziali solo in quanto fossero state comprese negli appositi elenchi aventi carattere tassativo e fossero state contratte “nell’esercizio e a causa” delle specifiche lavorazioni, anch’esse tassativamente indicate dalla legge. La giurisprudenza ha sempre ritenuto che la tassatività dell’elenco, se ne esclude l’applicazione analogica, consente un’interpretazione estensiva. Ne consegue che sono da ritenere implicitamente incluse nell’elenco anche le malattie contratte in lavorazioni non previste, ma caratterizzate dall’identità dei contenuti essenziali riscontrabili in queste ultime. Qui, a differenza di quanto accade per l’infortunio, la legge richiede che il lavoro costituisca la causa diretta e determinante della malattia professionale. La tabella è aggiornata periodicamente e, per agevolare l’aggiornamento, è istituito il registro nazionale delle malattie causate dal lavoro o ad esse correlate. La Corte Costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità delle norme che limitavano la tutela delle malattie professionali a quelle indicate tassativamente nelle tabelle. Ne consegue che anche malattie non tabellate danno luogo alla tutela previdenziale a condizione che venga provato che si sono verificate a causa del lavoro prestato da chi ne è stato colpito. Da qui deriva l’attuale sistema c.d. misto, in base al quale alcune malattie, quelle cioè riportate nelle tabelle, danno luogo alla tutela senza che sussiste per il lavoratore l’onere di provare che siano state causate dall’attività lavorativa svolta; altre, quelle non tabellate danno luogo a tutela solo se il lavoratore prova che siano state causate dall’attività di lavoro. Anche al fine di agevolare questa prova, è previsto che nell’elenco di malattie professionali denunciate dai medici che ne riconoscono l’esistenza, siano inserite anche “liste di malattie di probabile e di possibile origine lavorativa, da tenere sotto osservazione” ai fini della revisione delle tabelle delle malattie professionali. Infine, la Corte Costituzionale ha rimosso le limitazioni della tutela che derivano dalla regola secondo la quale le prestazioni erano dovute soltanto quando la malattia professionale si fosse manifestata entro un determinato periodo di tempo dall’abbandono delle lavorazioni considerate morbigene. Resta che, il diritto alle prestazioni previdenziali economiche sorge soltanto quando la riduzione permanente della capacità lavorativa è superiore al 10%. 71. Le prestazioni in genere In caso di infortunio sul lavoro o di malattia professionale, il diritto alle prestazioni sorge indipendentemente dall’adempimento da parte del datore di lavoro dei vari obblighi imposti dalla legge e dall’avvenuto versamento dei contributi previdenziali. In questa forma di tutela trova piena applicazione il principio dell’automaticità delle prestazioni. Le prestazioni sono tanto economiche che sanitarie. Le prestazioni economiche tengono conto del bisogno conseguenze al verificarsi dell’evento protetto, determinandolo, caso per caso, e in relazione al tenore di vita raggiunto durante lo svolgimento dell’attività lavorativa. Le prestazioni economiche erogate in caso di infortunio sul lavoro o malattia professionale non sono cumulabili con pensioni, assegni o indennità di guerra, avendo il soggetto protetto soltanto la facoltà di opzione tra queste e quelle. Inoltre non sono cumulabili con le pensioni di invalidità e di reversibilità e con l’assegno ordinario di invalidità, se erogati dall’INPS in conseguenza dello stesso evento invalidante che da luogo alla rendita a carico dell’INAIL. Per contro, le prestazioni economiche sono cumulabili con altre prestazioni previdenziali. Così la rendita da inabilità permanente è cumulabile con la pensione di invalidità o vecchiaia. Le prestazioni sanitarie, in quanto destinante ad evitare o ridurre le conseguenze dell’infortunio o della malattia professionale, hanno lo scopo principale di garantire il diritto alla salute, ma sono anche funzionalizzate al recupero dell’attitudine al lavoro. 72. Le prestazioni sanitarie La legge di riforma sanitaria ha attribuito al Servizio sanitario nazionale la competenza ad erogare le prestazioni sanitarie ai lavoratori colpiti da infortunio sul lavoro o che abbiano contratto malattia professionale. La legge di riforma sanitaria ha disposto che, con legge regionale, dovrà essere disciplinato il coordinamento fra l’erogazione delle prestazioni e gli interventi che l’INAIL è tenuto a porre in essere in favore degli infortunati. Le prestazioni sanitarie consistono nell’erogazione delle cure mediche e chirurgiche necessarie per tutta la durata dell’inabilità temporanea ed anche dopo la guarigione clinica, in quanto occorrano a recuperare la capacità lavorativa. Tuttavia, anche quando anche quando venga constatata l’impossibilità di tale recupero, cioè quando la lesione si sia definitivamente consolidata, l’INAIL, ove sussistano ragioni meritevoli di considerazione, può chiedere che la erogazione delle prestazioni sanitarie continui in favore del soggetto protetto. La tutela della salute fisica e psichica del lavoratore infortunato o che abbia contratto una malattia professionale, deve avvenire nel rispetto della dignità e della piena libertà del medesimo. Devono ritenersi superate quelle norme che imponevano l’onere di sottoporsi alle cure mediche e chirurgiche che sarebbero state ritenute necessarie durante il periodo dell’inabilità temporanea o, dopo la costituzione della rendita di inabilità, utili per la ristorazione della capacità lavorativa. Ne deriva che in caso di rifiuto del soggetto protetto, anche senza giustificato motivo, di sottoporsi a tali cure, non si ha né la perdita del diritto all’indennità per inabilità temporanea, né la riduzione della rendita alla misura presunta alla quale sarebbe stata ridotta ove si fosse sottoposto alle cure prescritte. 73. Le prestazioni economiche: a) l’indennità giornaliera In caso di inabilità temporanea assoluta il soggetto protetto ha diritto a un’indennità giornaliera con decorrenza dal quatto giorno successivo a quello in cui si è verificato l’infortunio o si è manifestata la malattia professionale e per tutta la durata 27 Prima del decreto del 2015, vigeva l’obbligo, a carico del datore di lavoro, di inviare all’INAIL il certificato medico qualora l’Istituto non lo avesse già ricevuto dall’infortunato, dai presidi di pronto soccorso o dal medico certificatore. Ora è il medico certificatore a dover trasmettere (esclusivamente per via telematica) all’INAIL il certificato di infortunio e di malattia professionale, direttamente o per il tramite della struttura sanitaria competente al rilascio, con conseguente esonero per il datore di lavoro. Pertanto i datori sono tenuti soltanto a indicare nella denuncia/comunicazione il numero di protocollo del certificato medico attestante l’infortunio. Gli infortuni sul lavoro devono, a loro volta, essere denunciati dall’INAIL alle autorità di pubblica sicurezza, se mortali o con prognosi superiore a trenta giorni, e i relativi dati dovranno essere trasmessi anche alle direzioni territoriali del lavoro. Inoltre i datori di lavoro non devono più istituire, tenere e conservare sul luogo di lavoro il c.d. registro dei infortuni. A carico del lavoratore è posto l’obbligo, in caso di malattia professionale, di darne, entro quindici giorni dalla sua manifestazione, comunicazione al datore di lavoro che, a sua volta, deve farne denuncia all’INAIL, sempre in via telematica, nei successivi cinque giorni. CAPITOLO SESTO LA TUTELA PER L’INVALIDITA’, LA VECCHIAIA E I SUPERSTITI 82. Origine ed evoluzione Il primo intervento pubblico volto a realizzare una tutela previdenziale volontaria per la vecchiaia si ebbe con l’istituzione della Cassa nazionale di previdenza. La Cassa, alla quale potevano iscriversi volontariamente i cittadini italiani d’ambo i sessi che svolgessero lavori manuali, era finanziata soprattutto con i contributi degli iscritti, ai quali potevano far ricorso anche una quota di concorso da parte dello Stato, nonché versamenti di terzi. Essa erogava agli iscritti che avessero compiuto 60 o 65 anni di età una rendita vitalizia. Erogava altresì annualità vitalizie agli operai divenuti inabili per infermità, infortuni sul lavoro o vecchiaia, che avessero riversato le relative indennità. La previdenza volontaria si trasformò in obbligatoria solo con l’istituzione della Cassa nazionale per le assicurazioni sociali. Al finanziamento si provvedeva attraverso contributi posti a carico sia dei datori di lavoro che dei prestatori, mentre lo Stato interveniva con un contributo di 100 lire annue per ogni pensione liquidata. La Cassa nazionale per le assicurazioni sociali erogava pensioni, determinate in proporzioni ai contributi versati, in caso di vecchiaia, di invalidità e ai superstiti, nonché prestazioni sanitarie volte a eliminare o attenuare l’invalidità. Il sistema poi venne perfezionato con l. 1827/1935 e con D. l. 636/1939 che portarono a innovazioni. Da un alto, il principio dell’automaticità delle prestazioni è stato introdotto, pur se in modo ancora parziale, anche nella tutela previdenziale per l’invalidità, vecchiaia e superstiti. Dall’altro lato, la tutela per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti ha avuto un’estensione notevole. Essa non riguarda tutti i lavoratori subordinati, compresi gli impiegati che originariamente ne erano esclusi, ma si estende al di là dell’ambito del lavoro subordinato, essendo stata praticamente estesa a quasi tutte le categorie di lavoratori autonomi. E a quanti dal proprio lavoro personale traggono i principali mezzi di sostentamento. 84. L’organizzazione amministrativa: il regime generale e i regimi speciali Per i lavoratori dipendenti da privato o enti pubblici economici, la tutela previdenziale per l’invalidità, vecchiaia e superstiti è, in via di principio, realizzata dal regime generale gestito dall’INPS. Ciò perché, da un lato, l’adozione del regime sostitutivo dei dirigenti di azienda industriali gestito dall’INPDAI (Istituto Nazionale di previdenza dei dirigenti industriali), ha comportato che anche i dirigenti di aziende industriali sono iscritti al regime generale. Dall’altro lato sono stati soppressi anche il regime esclusivo dei pubblici di dipendenti e quello dei lavoratori dello spettacolo. Il regime esclusivo dei dipendenti della pubblica amministrazione è stato soppresso e le sue funzioni sono state attribuite in via esclusiva all’INPS, con conseguente successione di tutti i rapporti attivi e passivi dell’ente soppresso. Restano, alcuni regimi speciali, quali i regimi sostitutivi gestiti dall’INPS che riguardano i telefonici, gli elettrici, gli ex dazieri e il personale di volo dipendente da aziende di navigazione aerea, nonché il regime sostitutivo dei giornalisti professionisti, gestito da un Ente diverso dall’INPS. Altri regimi speciali sono gestiti dall’INPS per i lavoratori autonomi, mediante tre gestioni speciali: quella per i coltivatori diretti, coloni e mezzadri e imprenditori agricoli professionali; quella per gli artigiani e quella per gli esercenti attività commerciale. Dal 1° gennaio 1996 opera anche una quarta gestione (c.d. gestone separata) che amministra l’assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, di una serie di lavoratori autonomi che non svolgono nessuna delle attività rientranti nelle predette tre gestioni speciali, ai lavoratori parasubordinati, agli incaricati alla vendita a domicilio, agli associati in partecipazione. Per i liberi professionisti, la tutela è gestita da enti previdenziali privatizzati, quali sono le cassi di previdenza categoriale. A quelle tradizionali è stato aggiunto l’ente di previdenza assistenza pluricategoriale (E.P.AP.) che gestisce la tutela previdenziale dei professionisti per i quali manchi ancora apposito regime. I liberi professionisti privi di una propria cassa previdenziale hanno l’obbligo di iscriversi alla predetta quarta gestione dell’INPS. Gli enti previdenziali privatizzati godono di autonomia normativa e sono regolati da proprie fonti regolamentari. Sono tenuti ad assicurare l’equilibrio finanziario delle rispettive gestioni, assicurando la solidità dei bilanci, considerate le entrate contributive e la spesa per prestazioni pensionistiche, per un arco temporale di 50 anni. 30 I regimi integrativi realizzano una tutela che si aggiunge a quella del regime generale e rappresentano una forma di mutualità, ancorché di carattere pubblicistico. 85. Ricongiungimento e totalizzazione dei periodi di contribuzione presso regimi diversi. Quando nei regimi speciali, esclusivi o sostitutivi non si verificano i presupposti per il sorgere del diritto a prestazioni previdenziali, la posizione del soggetto protetto viene riconosciuta nel regime generale gestito dall’INPS. È la c.d. procedura di ricongiunzione che prevede il ricongiungimento dei contributi versati nei regimi speciali sostitutivi, senza oneri per gli interessati. L’art. 2 della l. 29/79, disciplina la ricongiunzione dei periodi contributivi risultanti nel regime generale a quelli maturati nei regimi speciali, esclusivi e sostitutivi ai fini del diritto alla liquidazione di una pensione unica. In tale ipotesi la ricongiunzione è per l’interessato a titolo oneroso. La caratteristica della ricongiunzione è che i periodi ricongiunti sono utilizzati come se i contributi versati fossero stati sempre versati nel regime in cui sono stati unificati e danno quindi diritto a pensione in base ai regimi previsti dal regime stesso. Chi non vuole o non è in grado di affrontare gli oneri della ricongiunzione, ha un’altra possibilità per mettere insieme spezzoni contributivi esistenti presso più gestioni previdenziali. Può ricorrere alla c.d. totalizzazione dei periodi assicurativi che è una possibilità abbastanza recente offerta dal sistema previdenziale. La totalizzazione consente al soggetto protetti di utilizzare, in modo proporzionato e previo cumulo, le anzianità contributive maturate presso regimi previdenziali diversi, al fine del raggiungimento dei requisiti contributivi richiesti per il sorgere del diritto a pensione di anzianità, di vecchiaia, di inabilità o ai superstiti, e per ottenere livelli di pensione più elevati. La legge valorizza tutti i contributi versati dal lavoratore nel corso della sua intera vita lavorativa, evitandone la c.d. sterilizzazione o la loro utilizzazione soltanto parziale, ai fini del conseguimento del diritto a pensione. Il diritto a pensione totalizzata sorge a condizione che: il lavoratore non sia titolare di trattamento pensionistico autonomi presso una delle gestioni previdenziali di iscrizione; il lavoratore abbia maturato almeno 20 anni di contribuzione e abbia raggiunto un’età di 65 anni, o abbia maturato un’anzianità contributiva di almeno 40 anni, indipendentemente dall’età; i periodi di contribuzione da cumulare non siano coincidenti e di durata inferiore a tre anni. L’esercizio del diritto alla totalizzazione non comporta oneri per chi lo esercita ed è alternativo rispetto alla facoltà di ricongiunzione. È previsto che, per ottenere la totalizzazione, il lavoratore, o il suo avente causa, debba presentare apposita domanda all’ente previdenziale presso il quale egli, da ultimo, è, o è stato, iscritto. La presentazione della domanda costituisce anche il punto di riferimento per determinare la decorrenza dei trattamenti pensionistici derivanti dalla totalizzazione. Essi vengono erogati dal primo giorno del mese successivo a quello di presentazione dalla domanda. La l. 228/2012 ha previsto un’ulteriore possibilità di mettere insieme la contribuzione frammentata. Il nuovo istituto del cumulo consente ai lavoratori iscritti presso due i più forme di assicurazione obbligatoria per invalidità, vecchiaia e superstiti dei lavoratori dipendenti, autonomi, e degli iscritti alla gestione separata e alle forme sostitutive ed esclusive della medesima, di cumulare tutti i periodi non coincidenti ai fini del conseguimento di un’unica pensione. Tali disposizioni sono finalizzate a consentire ai lavoratori il perfezionamento del diritto al trattamento pensionistico di vecchiaia o dei trattamenti di inabilità e ai superstiti si assicurato deceduto prima di aver acquisito il diritto a pensione. 86. I soggetti protetti La tutela previdenziale realizzata dal regime generale dell’invalidità, vecchiaia e superstiti gestito dall’INPS si estende a tutti coloro che abbiano compiuto l’età di 14 anni e prestino lavoro retributivo alle dipendenze altrui. Quella per l’invalidità, la morte, la vecchiaia è una forma di tutela previdenziale che ha estensione generale, senza alcuna limitazioni. A differenza di quanto avviene per la tutela infortunistica il diritto alle prestazioni previdenziali sia condizionato non solo al verificarsi dell’evento protetto, ma anche dall’esistenza di determinati requisiti contributivi e di assicurazione. L’unica limitazione posta dalla legge per l’accesso alla tutela, ossia quella relativa al compimento dei 14 anni, non costituisce un vero e proprio limite all’estensione della tutela. L’obbligo del datore di lavoro di versare i contributi previdenziali sorge anche nel caso in cui occupi un minore di quattordici anni. La legge dispone che i contributi previdenziali siano dovuti anche per i lavoratori che continuino o inizino a svolgere un’attività lavorativa subordinata e retribuita dopo il compimento dell’età pensionabile. Pertanto, anche chi inizia un’attività lavorativa in tarda età può maturare il diritto a prestazioni previdenziali per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti. 87. Contribuzione figurativa e contribuzione volontaria I requisiti di contribuzione e di assicurazione possono continuare a essere realizzati anche senza non vi sia stato un effettivo versamento dei contributi previdenziali da parte del datore di lavoro. Nei casi in cui il rapporto di lavoro rimane sospeso in quanto il lavoratore si è venuto a trovare nella impossibilità di prestare la sua attività, la legge dispone, in casi tassativi e insuscettibili di applicazione analogica, che vengano accreditati, d’ufficio o su domanda dell’interessato, i c.d. contributi figurativi, il cui ammontare è porto a carico della gestione pensionistica o della gestione erogatrice del trattamento. I periodi coperti da contribuzione figurativa sono: servizio militare; malattia e infortunio; assenza dal lavoro per donazione sangue; congedo per maternità e di paternità; congedo parentale; riposi giornalieri per allattamento; assenze dal lavoro per malattia del bambino; congedo per gravi motivi familiari; permesso retribuito; congedo straordinario. 31 Contributi figurativi vengono accreditati anche durante i periodi di disoccupazione e di ricovero a seguito di tubercolosi, di aspettative per funzioni pubbliche elettive o cariche sindacali, durante i periodi di integrazione salariale, nonché a causa di persecuzione politica o razziale. Una particolare forma di contribuzione figurativa è stata introdotta in favore dei centralinisti non vedenti inclusi in particolari elenchi; successivamente, tale diritto è stato esteso a tutti i lavoratori non vedenti. Una contribuzione figurativa è stata prevista anche in favore dei sordomuti e gli invalidi oltre al 74%, in ragione di due mesi di contributi figurativi per ogni anno di lavoro effettivamente svolto, e fino ad un massimo di 5 anni. I contributi figurativi sostituiscono a tutti li effetti i contributi previdenziali il cui versamento è sospeso in relazione alla sospensione dell’obbligo retributivo. I contributi figurativi sono rilevanti sia ai fini del raggiungimento dei requisiti per il diritto a pensione, sia per la determinazione dell’ammontare di quest’ultima. Nei casi in cui il fallimento o una crisi dell’azienda, determinata da eccezionali calamità naturali accertate con decreto del Ministro del lavoro, diano luogo a omissioni contributive, la legge consente l’accredito dei contributi omessi, ma non prescritti, ponendone l’ammontare a carico della gestione dell’invalidità, vecchiaia e superstiti. Una volta estinto il rapporto, il lavoratore è autorizzato a proseguire volontariamente il versamento dei contributi (contribuzione volontaria) interamente a proprio carico. I contributi volontari sono considerati utili sia ai fini del diritto sia per il calcolo dell’ammontare delle pensioni. La contribuzione volontaria è autorizzata anche se il lavoro è stato intermittente, quando il lavoratore voglia integrare i contributi obbligatori versati con riguardo ai periodi nei quali ha percepito una contribuzione inferiore a quella convenzionale o ha percepito, nell’intervallo tra una prestazione lavorativa e l’altra, l’indennità di disponibilità. 88. Il principio dell’automaticità delle prestazioni La legge ha disposto che il requisito di contribuzione stabilito per il diritto alle prestazioni di vecchiaia, invalidità e superstiti, si intende verificato anche quando i contributi non siano effettivamente versati, ma risultino dovuti nei limiti della prescrizione e che tali periodi di contribuzione siano da considerare utili anche ai fini della determinazione della misura delle pensioni. Ulteriore garanzia è prevista per il caso in cui il datore, che abbia omesso di versare in tutto o in parte i contributi previdenziali oramai prescritti, sia assoggettato a procedure concorsuali. La legge consente, al lavoratore di chiedere che quei contributi siano considerati utili a tutti gli effetti, attribuendo all’istituto previdenziale azione di regresso nei confronti il datore per un importo corrispondente alla liquidazione del danno in forma specifica. Il principio dell’automaticità delle prestazioni non trova applicazione rispetto al lavoro autonomo, anche se la tutela previdenziale di quest’ultimo è sempre più incisiva. La parzialità con cui il principio dell’automaticità delle prestazioni ha travato attuazione sta proprio in ciò che non è assegnata rilevanza a tutti i contributi non versati, ma solo a quelli che non siano prescritti. Questi sono ancora esigibili all’INPS, dato che la nuova disciplina si limita a trasferire, da questi ultimi all’ente il rischio dell’inadempimento del datore. A ulteriore garanzia della tutela dell’interesse del soggetto protetto, la legge impone all’INPS anche l’obbligo di inviare a ogni lavoratore un estratto conto contente l’indicazione della retribuzione denunciata dal datore, consentendo così un controllo costante in ordine all’adempimento di quegli obblighi dai quali dipende la realizzazione dei requisiti di contribuzione e di assicurazione. 89. Le prestazioni pensionistiche in genere. I criteri di calcolo Le prestazioni erogate nel regime generale dell’invalidità, vecchiaia e superstiti sono economiche. Tali prestazioni si caratterizzano per la continuatività della loro erogazioni che cessa con la morte del soggetto protetto e vengono destinate, dalla stessa legge, con il termine specifico di pensioni. Nella tutela per l’invalidità, sono anche previste prestazioni sanitarie la cui disciplina, va coordinata con le disposizioni della legge di riforma sanitaria. Nei casi in cui possa essere ritardato o evitato ad un soggetto protetto di rimanere invalido o possa essere eliminata o attenuata l’invalidità già accertata mediante opportune cure mediche, termali o chirurgiche o con il ricovero in un idoneo istituto di cura, l’INPS non può imporre tali rimedi ed il soggetto protetto è libero di sottoporsi, o no, alle cure relative. In origine l’ammontare della pensione era determinato con il c.d. sistema contributivo, basato sulla commisurazione del trattamento pensionistico ai contributi versati. In seguito fu introdotto il sistema retributivo, che prevedeva la commisurazione della pensione all’anzianità di lavoro e alle ultime retribuzioni. L’ammontare della pensione retributiva era determino in base: da un lato, alla media delle retribuzioni percepite negli ultimi anni di lavoro prestato e, dall’altro lato, all’anzianità di servizio in modo tale che, per quarant’anni di anzianità, spetti l’80% della retribuzione. Dal 1° gennaio 1996, è stato introdotto un nuovo sistema di calcolo delle pensioni, detto contributivo, che tiene conto dei contributi versati con una tecnica, diversa da quella corrispettività propria del modello assicurativo. Il calcolo delle pensioni liquidate con il sistema contributivo ha il suo punto di partenza nell’accantonamento annuale di un ammontare di contributi pari al 33% della retribuzione imponibile. La somma dei singoli importi annuali accantonati, costituisce il montante contributivo individuale. L’importo annuo della pensione si ottiene, moltiplicando il montante contributivo individuale per il coefficiente determinato dalla legge, che varia in funzione dell’età alla quale è stato chiesto il pensionamento (c.d. coefficiente di trasformazione). Il criterio contributivo di calcolo delle pensioni in vigore dal 1° gennaio 1996 non rappresenta, un ritorno, migliorato e corretto, al passato. 32 a. Equità e convergenza intragenerazionale e intergenerazionale, con abbattimento dei privilegi e clausole derogative; b. Flessibilità nell’accesso ai trattamenti pensionistici; c. Incentivi alla prosecuzione della vita lavorativa; d. Adeguamento dei requisiti di accesso alle variazioni della speranza di vita; e. Semplificazione, armonizzazione ed economicità dei profili di funzionamento delle diverse gestioni previdenziali. La novità più importante della riforma è costituita da ciò: le anzianità contributive maturate, a partire dal 1° gennaio 2012, sono calcolate, per tutti i lavoratori, con il sistema di calcolo contributivo, cioè sulla base dei contributi versati, e non più, con il favorevole calcolo retributivo che si basava sulla media delle retribuzioni percepite negli ultimi anni di vita lavorativa. 97. Segue: a) i requisiti per le prestazioni pensionistiche prima del 2012 La previgente tutela previdenziale per la vecchiaia era articolata su tre tipologie di prestazioni previdenziali distinte tra loro anche in ragione dei requisiti di accesso: 1. Pensione di anzianità. Il requisito richiesto per percepire la pensione di anzianità consisteva originariamente nell’avvenuto versamento, per 40 anni, dei contributi previdenziali. 2. Pensione di vecchiaia. Il requisito richiesto per percepire la pensione di vecchiaia era più complesso e legato sostanzialmente all’età anagrafica. Per i lavoratori già iscritti alla data del 31 dicembre 1995, la legge chiedeva il compimento dei 60 anni di età per le donne, e di 65 anni di età per gli uomini, unitamente a un’anzianità contributiva di 20 anni. Per i lavoratori iscritti successivamente al 31 dicembre 1995, la legge chiedeva un’anzianità di contribuzione effettiva di 5 anni. 3. Pensione di vecchiaia anticipata. Dal 1° luglio 2009 era stato introdotto anche il c.d. sistema delle quote, in base al quale il diritto alla pensione si perfezionava al raggiungimento di una quota, risultante dalla somma tra l’età anagrafica minima richiesta e almeno 35 anni di anzianità contributiva. 98. Segue: b) i requisiti per le prestazioni pensionistiche dopo il 2012 Il nuovo e vigente sistema prevede che, a decorrere dal 1° gennaio 2012, e con riferimento esclusivamente a quanti maturano i requisiti a partire dal 1° gennaio 2012, le tre tipologie (pensione di anzianità, di vecchiaia, di vecchiaia anticipata) sono sostituite da due tipologie di prestazioni, denominate pensione di vecchiaia e pensione anticipata. Il diritto alla pensione di vecchiaia è legato all’età pensionabile che non può ora essere determinata una volta e per tutti gli anni futuri. Infatti, per effetto del meccanismo di adeguamento alla speranza di vita, il requisito anagrafico che condiziona il diritto a percepire la pensione potrà subire aumenti nel tempo. Attualmente, l’età pensionabile è la stessa per tutti i lavoratori, con una differenza solo per le lavoratrici subordinate del settore privato (e le lavoratrici autonomo iscritte nella gestione separata) destinata a ridursi progressivamente fino alla completa equiparazione. Al requisito anagrafico va aggiunto quello contributivo: il diritto alla pensione di vecchiaia si consegue al raggiungimento di un’anzianità contributiva di almeno 20 anni. Il diritto alla pensione anticipata, si consegue, a prescindere dall’età, qualora si sia in possesso di una determinata anzianità contributiva che, nel 2012, era per gli uomini, 42 anni e un mese di contribuzione; per le donne, 41 anni e un mesi di contribuzione. Questi requisiti contributivi sono stati gradualmente aumentati di un ulteriore mese per l’anno 2013 e di un ulteriore mese a decorrere dall’anno 2014, a cui devono aggiungersi gli adeguamenti alla speranza di vita. Dal 1° gennaio 2016 al 31 dicembre 2018, per conseguire la pensione anticipata devono risultare accreditati 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne. In alternativa al requisito della sola contribuzione, il trattamento anticipato può essere conseguito mediante una combinazione di anzianità contributiva e di età. I requisiti sono 63 anni e 7 mesi e almeno 20 anni di contribuzione, purché la pensione spettante non risulti inferiore a un determinato importo. Dall’applicazione della nuova disciplina sono esentati i lavoratori che, entro il 31 dicembre 2011, abbiano maturato i requisiti previsti dalla disciplina previgente. Sono anche esentate le lavoratrici, subordinate e autonome, che abbiano maturato un’anzianità contributiva pari o superiore a 35 anni e un’età pari o superiore a 57 anni, se subordinate, e a 58 anni, se autonome (c.d. opzione donna). Vi sono alcune ipotesi eccezionali espressamente previste dalla legge, in cui i nuovi requisiti pensionistici non trovano applicazione. Ad esempio i c.d. salvaguardati o esodati, cioè di coloro che avevano accettato il collocamento in mobilità e l’estinzione del loro rapporto di lavoro, sulla base di accordi sindacali che garantivano un reddito soltanto fino alla maturazione del diritto a pensione. Altre eccezioni sono quelle previste per i lavoratori addetti a mansioni usuranti, i lavoratori usuranti sono quelli per cui è richiesto un impegno psicofisico particolarmente intenso e continuativo, condizionato da fattori che non possono essere pervenuti da misure idonee. Per queste mansioni è previsto un anticipo del limite di età pensionabile. Regole speciali e di maggiore favore sono dettate per i lavoratori addetti a mansioni che comportano esposizione all’amianto; i benefici consistono nel raggiungere prima la pensione e con un importo maggiorato. Restano ferme alcune agevolazioni previdenziali per gli invalidi, con un’invalidità non inferiore all’80%. 99. Domanda e decorrenza della pensione; i prepensionamenti 35 Il diritto a pensione di vecchiaia e a pensione anticipata è condizionato oltre che al compimento dell’età pensionabile, anche alla cessazione del rapporto di lavoro onde, in caso di nuova successiva occupazione, trova eventuale applicazione il divieto di cumulo. Non è così per i lavoratori autonomi, per i quali il diritto alla pensione non è subordinato alla cessazione dell’attività lavorativa. Se i requisiti per aver diritto alla pensione di vecchiaia si realizzano dopo la domanda, ma prima della sua definizione, la pensione è corrisposta con decorrenza dal mese successivo a quello in cui il diritto è stato maturato. Il pagamento delle pensioni avviene in rate mensili. Nel mese di dicembre, oltre alla quota mensile della pensione, viene erogata la tredicesima. Dal 2008 è stata disposta anche la corresponsione, con la mensilità di luglio, di una somma aggiuntiva (la c.d. quattordicesima) a favore dei pensionati meno abbienti e con un’età pari o superiore a 64 anni. È prevista la facoltà di chiedere di continuare a lavorare, con conservazione del regime legale di stabilità del rapporto, fino al settantesimo anno di età, anche nel caso in cui siano stati maturati i requisiti di anzianità anagrafica ed assicurativa previsti dalla legge per l’accesso al trattamento pensionistico. Infatti, il legislatore al fine di incentivare la prosecuzione del rapporto di lavoro e di ritardare il momento di accesso ai trattamenti pensionistici dispone che le disposizioni di cui all’art.18 st. lav., continuino a trovare applicazione fino al conseguimento del predetto limite di età e prevede l’erogazione, se il pensionamento avviene dopo il raggiungimento di quell’età, di trattamenti pensionistici di importo più elevato per effetto dell’applicazione di coefficienti di trasformazione del montante contributivo più favorevoli. Diversa è la situazione per quanto attiene ai prepensionamenti per i quali la legge consente che il diritto alla pensione di vecchiaia maturi con anticipo, purché sussistano determinati requisiti di assicurazione di contribuzione e cessi il rapporto di lavoro. In passato, il legislatore ha consentito i prepensionamenti, soprattutto con misure finalizzate a favorire l’esodo del personale esuberante da aziende o da settori in crisi. Più di recente il legislatore ha mostrato un certo disfavore, slavo prevedere alcune peculiari forme di prepensionamento, che operano piuttosto come misure di ammortizzatore sociale. Si pensi alla fattispecie prevista in favore dei lavoratori interessati dalla riduzione dell’orario di lavoro a seguito di contratto di solidarietà espansivo. In questo caso, i datori di lavoro si pongono l’obiettivo di incrementare gli organici attraverso una riduzione stabile dell’orario di lavoro con riduzione della retribuzione e con la contestuale assunzione a tempo indeterminato di nuovo personale, ricevendo anche una serie di benefici economici. Ai lavoratori delle aziende nelle quali siano stati sottoscritti tali contratti di solidarietà, che abbiano maturato i requisiti minimi per il godimento della pensione di vecchiaia di non più di 24 mesi, vene riconosciuto, a domanda, il trattamento di pensione. Ciò a condizione che accettino di trasformare il proprio rapporto di lavoro in un rapporto a tempo parziale di durata non superiore alla metà di quello svolto prima della riduzione. In questi casi il diritto a pensione è sottoposto a un’ulteriore duplice condizione: la trasformazione del rapporto deve avvenire entro un anno dalla stipula del contratto di solidarietà espansiva ed essere richiamata nell’accordo collettivo. 100. Le prestazioni di invalidità, a) requisiti, domanda, decorrenza La domanda per ottenere le prestazioni di invalidità, costituisce un onere per il soggetto protetto. Ad essa deve essere allegato un certificato medico e ogni altro documento idoneo a provare l’esistenza di uno stato invalidante. Il sorgere del diritto alle prestazioni è condizionato a requisiti contributivi essendo richiesto che l’assicurato possa far valere almeno 5 anni di contribuzione, di qualunque tipo, anche non continuativa, di cui almeno 3 nel quinquennio immediatamente precedente la domanda della prestazione. Tali requisiti devono esistere al momento della presentazione della domanda e a tale momento, deve essersi già verificata l’invalidità. La legge ha stabilito che le prestazioni di invalidità debbano essere ugualmente erogate anche quando i requisiti richiesti per il sorgere del relativo diritto, pur non sussistendo alla data della domanda, risultino posseduti prima della sua definizione o della decisione del successivo ricorso in via amministrativa. 101. Segue: b) l’invalidità pensionabile e la nozione originaria. La nozione di invalidità pensionabile ha subito una profonda evoluzione. La legge condizionava il diritto alla pensione di invalidità alla riduzione della capacità di guadagno, in modo permanente e a causa di infermità o difetto fisico-mentale, a meno di un terzo per gli operai e a meno della metà per gli impiegati. 102. Segue: c) la nuova nozione di invalidità e quella di inabilità pensionabile L a nuova disciplina dettata dalla l.22/1984 preveda due eventi diversi, che davano luogo a prestazioni previdenziali. Da un alto, la legge considera invalido il soggetto protetto “la cui capacità di lavoro, in occupazioni confacenti alle sue attitudini, sia ridotta in modo permanete a causa del difetto fisico o mentale a meno di un terzo”. Si assiste, quindi, al passaggio dalla concezione di “capacità di guadano” alla “capacità di lavoro”. Ma va osservato come la nuova concezione non si riferisce ad una generica riduzione della capacità di lavoro, ma alla riduzione della specifica capacità di lavoro in occupazioni confacenti alle attitudini del soggetto protetto. Pertanto rimane ancora esclusa la possibilità di far ricorso ad un sistema di tabelle che stabiliscano un automatico confronto tra infermità e riduzione lavorativa. Accertamento, tra l’altro, che sarà naturalmente più complesso se avrà ad oggetto un giovane rispetto che ad un anziano. 36 Dall’altro lato, la legge considera inabile il soggetto protetto che “a causa di infermità o difetto fisico o mentale si trovi nell’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa”. 103. L’assegno ordinario di invalidità Invalidità e inabilità costituiscono, nella nuova disciplina, eventi diversi a ragione delle diverse caratteristiche, e danno luogo all’erogazione di prestazioni previdenziali diverse. L’invalido ha diritto ad un assegno, non reversibile ai superstiti. Tale assegno viene erogato per un periodo di 3 anni, ma, se permane lo stato di invalidità, può essere prorogato, su domanda del soggetto protetto, per periodi della stessa durata. Dopo tre riconoscimenti consecutivi, la legge prevede che l’assegno di invalidità “è confermato automaticamente”, cioè assume il carattere di erogazione permanente tipico della pensione, salva la possibilità di una revisione. L’assegno di invalidità è calcolato secondo la disciplina vigente per il regime generale per i lavoratori dipendenti che regola la determinazione dell’ammontare della pensione. Durante il godimento dell’assegno di invalidità, il beneficiario può proseguire, con la residua capacità lavorativa, lo svolgimento di un’attività lavorativa. In tal caso, trova applicazione la disciplina del cumulo fra pensione e redditi da lavoro subordinato, autonomo. Il legislatore dispone che, al compimento dell’età stabilita per il diritto a pensione di vecchiaia, assegno di invalidità si trasformi, a condizione che sussistano i requisiti di assicurazione e di contribuzione, in pensione di vecchiaia. 104. La pensione di inabilità L’inabile invece ha diritto ad una pensione di inabilità, a condizione non solo che cessi del tutto l’attività lavorativa, ma anche che si abbia la cancellazione da qualsiasi elenco o albo professionale e che espressamente rinunzi ai trattamenti di disoccupazione o a ogni altro trattamento previdenziale sostitutivo o integrativo della retribuzione. La pensione di inabilità è incompatibile con i compensi per attività di lavoro autonomo o subordinato, ed è cumulabile con l’eventuale rendita da infortunio sul lavoro o malattia professionale soltanto per la parte eventualmente eccedente l’ammontare di tale rendita. La pensione di inabilità, reversibile ai superstiti, è costituita da una somma pari all’importo dell’assegno di invalidità integrato da una maggiorazione di un importo tale da elevare l’ammontare dell’assegno stesso alla misura che sarebbe spettata ove l’inabilità si fosse verificata al raggiungimento dell’età pensionabile. La prestazione non ha una durata prefissata a differenza di quanto accade con l’assegno ordinario di invalidità che viene rinnovato ogni tre anni. La pensione di inabilità non si trasforma automaticamente in pensione di vecchiaia. Perché ciò avvenga è necessario che il pensionato possa far valere i requisiti di età e contributivi previsti per tale prestazione e presenti apposita domanda all’ente. In ogni caso, per il raggiungimento del requisito contributivo per la prestazione di vecchiaia, nelle ipotesi di trasformazione, non possono essere considerati come contributi figurativi i periodo di godimento della pensione di inabilità. 105. L’assegno mensile per l’assistenza personale e continuativa ai pensionati per inabilità Il titolare di una pensione di inabilità che si trovi nell’impossibilità di compiere gli atti quotidiani della vita senza una assistenza continuativa, ha diritto ad un assegno mensile, non reversibile, denominato assegno mensile per l’assistenza personale e continuativa ai pensionati per inabilità. Tale assegno non è dovuto in caso di ricovero in istituti di cura o di assistenza a carico della P.A. Inoltre, esso non è cumulabile con l’analogo benefico previsto per gli invalidi a seguito di infortunio sul lavoro, ed è ridotto in misura corrispondente all’importo della prestazione stessa. 106. L’assegno privilegiato di invalidità e la pensione privilegiata di inabilità per causa di servizio La l. 222/1984 prevede che l’assegno di invalidità o la pensione di inabilità spettino, anche in assenza dei requisiti di contribuzione o di assicurazione, quando l’invalidità o l’inabilità risultino “in rapporto causale diretto con la finalità di servizio” e a condizione che dallo stesso evento non sia derivato il diritto a rendita nell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, ovvero a trattamenti a carattere continuativo di natura previdenziale o assistenziale a carico dello Stato o di enti pubblici. Il diritto a tali prestazioni privilegiate insorge anche in assenza dei requisiti di assicurazione e di contribuzione, stabiliti per le prestazioni ordinarie di invalidità, di inabilità e per morte. 107. Il rischio precostituito Una questione di grande importanza sociale era stata posta dalla giurisprudenza consolidata che negava il diritto a pensione di invalidità ai soggetti protetti che, già prima dell’inizio di un’attività lavorativa retribuita, sarebbero potuti essere considerati invalidi (c.d. rischio precostituito). A tale conclusione si perveniva in quanto era ritenuto applicabile anche alla tutela previdenziale per l’invalidità l’art. 1895 c.c., il quale prevede la nullità del contratto di assicurazione quando il rischio non è mai esistito o ha cessato di esistere prima della conclusione del contratto. 37 Il datore è anche tenuto, oltre che alla denuncia e al versamento dei contributi dovuti, alla presentazione di denunce individuali dei lavoratori occupati, indicando le retribuzioni corrisposte e gli altri elementi essenziali per l’attuazione delle disposizioni relative al regime generale. 115. Segue: b) il contributo finanziario dello Stato Al finanziamento del regime generale dell’invalidità, vecchiaia e superstiti provvede anche lo Stato. Accanto agli interventi finanziari determinati da motivazioni particolari, va ricordato l’intervento a favore della gestione degli interventi assistenziali alla quale fanno carico, oltre all’assegno sociale spettante ai cittadini ultrasessantacinquenni in disagiate condizioni economiche, anche la quota spettante, in misura uguale per ciascuna mensilità di pensione, a tutti i pensionati di invalidità, vecchiaia o per i superstiti e l’integrazione dell’assegno ordinario di invalidità; gli oneri derivanti dalle agevolazioni contributive disposte per legge; i trattamenti di integrazione salariale straordinaria; i trattamenti speciali di disoccupazione; gli oneri dei pensionamenti anticipati nonché le pensioni dei coltivatori diretti mezzadri e coloni con decorrenza anteriore al 1° gennaio 1989. La gestione è finanziata in modo quasi esclusivo con il contributo dello Stato. Capitolo settimo. La tutela della salute 116. Origine ed evoluzione Nel nostro sistema la tutela previdenziale contro le malattie è stata l’ultima a trovare realizzazione mediante un intervento diretto dallo Stato. Il bisogno di cure mediche continuò ad essere considerato come un bisogno individuale. Alla sua soddisfazione doveva provvedere la solidarietà familiare, la beneficenza pubblica e privata o l’assistenza pubblica. Anche per la tutela contro le malattie non è mancata l’influenza di quelle concezioni di politica sociale che hanno sempre ritardato la situazione. Per tale tutela quell’influenza è stata molto più forte per due ragioni. Da un lato, le concezioni di politica sociale hanno operato congiuntamente alla difficoltà di reperire mezzi finanziari adeguati. L’esigenza di disporre di mezzi adeguati derivava dalla circostanza che la tutela della malattia, da un lato, è una tutela che non può essere graduata, dall’altro, la malattia non è evento differito nel tempo, onde non è possibile dilazionare l’onere delle prestazioni. Al tempo stesso, la difficoltà di reperire i mezzi finanziari necessari derivava da ciò che, secondo le concezioni allora dominanti, non si rinveniva un’adeguata giustificazione in base alla quale i datori di lavoro potessero essere chiamati a sopportare anche una parte degli oneri di una tutela previdenziale che riguardava eventi che non avevano alcuna connessione con il lavoro prestato dai soggetti protetti. Dall’altro lato, quell’influenza è stata più forte perché ha operato congiuntamente alla mancata consapevolezza che non solo una tutela della salute, ma anche una tutela contro le malattie, realizzano in realtà un interesse di tutta la collettività. Così, sono sembrati a lungo sufficienti a realizzare l’interesse pubblico, sia gli interventi assistenziali, sia quelli aventi carattere d’ordine pubblico e limitati a evitare il pericolo di diffusione delle malattie epidemiche. In questo contesto, la prima forma di tutela previdenziale di malattia ad essere istituita fu quella per la tubercolosi, e ciò in quanto quest’ultima venne considerata una malattia sociale. Nella stessa epoca, una tutela previdenziale di malattia venne prevista e realizzata soltanto per alcune categorie di lavoratori, come la gente del mare e dell’aria, o per i lavoratori residenti in determinate regioni. Per la generalità dei lavoratori, il passaggio dall’esperienza delle mutue volontarie a una forma di tutela obbligatoria, organizzata secondo schemi analoghi a quelli delle assicurazioni sociali, si realizzò esclusivamente per effetto della contrattazione collettiva corporativa. Il fatto stesso che tale tutela venne istituita e regolata da contratti collettivi determinò un’estrema frammentarietà e diversità di discipline tra le varie categorie professionali, sia per quanto atteneva all’estensione della tutela che alla sua intensità. È soltanto nel 1943 che le casse mutue sindacali di malattia sono state unificate e assorbite nell’Ente mutualità, il quale diventerà l’INAM (Istituto nazionale per l’assicurazione contro la malattia). Con l’assorbimento delle casse mutue di malattia nell’INAM, non si realizzò l’unificazione organizzativa della tutela della malattia. Infatti, restarono in funzione gli enti e gli istituti ai quali era stata affidata la tutela di singole categorie di lavoratori subordinati e dei dipendenti dello Stato e degli enti pubblici. Furono istituiti nuovi enti tra cui le Casse mutue per i lavoratori autonomi. Tutto ciò ha reso necessaria un’ulteriore evoluzione e la contemporanea istituzione del Servizio sanitario nazionale. 117. Le funzioni del servizio sanitario nazionale Il fondamento della tutela della salute è da ricercare nei principi accolti dall’art. 3.2 e dall’art.38 della Costituzione, ma anche dall’art 32 secondo il quale “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”. La disposizione costituzionale sostituisce il concetto tradizionale di tutela della malattia con quello di tutela della salute da intendersi nella sua globalità, cioè comprensiva non solo della cura, ma anche della prevenzione e della riabilitazione. Si tratta di concetti radicalmente diversi. Mentre la tutela della malattia comportava l’erogazione di prestazioni quando la malattia già si era verificata e, quindi, riguardava esclusivamente i soggetti malati, la tutela della salute prevede che i soggetti 40 protetti siano tutti i cittadini, indipendentemente dal loro attuale stato di salute, ed ha come obiettivo fondamentale, la conservazione e l’accrescimento di quest’ultima. La tutela della salute è stata realizzata mediante l’istituzione del Servizio sanitario nazionale, costituito dal complesso delle aziende sanitarie locali, dei presidi ospedalieri e dei servizi multizonali di prevenzione, ai quali sono affidati la promozione, il mantenimento e il recupero della saluta fisica e psichica “di tutta la popolazione” senza distinzioni di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l’eguaglianza dei cittadini. Con l’istituzione del Servizio Nazionale sanitario, tutti i cittadini beneficiano della tutela della salute anche perché questa è resa obbligatoria nei confronti di ciascuno di essi. Un’ulteriore estensione della tutela della salute consegue alla dichiarazione di illegittima costituzionale della mancata previsione dell’assistenza sanitaria gratuita ai cittadini italiani che si trovano temporaneamente all’estero per motivi diversi dal lavoro e dalla fruizione di borse di studio, e che versano in disagiate condizioni economiche. La generalità delle funzioni sanitarie è conferita alle Regioni. L’essenza di tale decentramento, che rafforza le funzioni delle Regioni in materia di tutela della salute, trova espressione anche nella definizione che la legge dà del Servizio sanitario nazionale come “il complesso delle funzioni e delle attività dei servizi sanitari regionali e degli enti e istituzioni di rilievo nazionale”. L’organizzazione del Servizio sanitario nazionale è esclusivamente pubblicistica e ciò in attuazione dei principi costituzionali (art.32 Cost.) che attribuiscono alla tutela della salute un rilievo che supera quello individuale dei soggetti protetti per assumere un significato e una portata generali e pubblici. 118. L’organizzazione sanitaria La legge affida la realizzazione della tutela della salute al Servizio sanitario nazionale. La struttura del Servizio sanitario nazionale si articolava in unità sanitarie locali, che al momento della loro istituzione non avevano personalità giuridica di diritto pubblico, ma erano dotate di piena autonomia e capacità, ivi compresa quella processuale. Peraltro si dovette constatare che le aspettative che avevano presieduto alla riforma del 1978 erano rimaste insoddisfatte. La ristrutturazione organizzativa del Servizio sanitario nazionale è avvenuta con il d.lgs. 502/1992 e il d.lgs. 517/1993. Il legislatore della riforma ha realizzato la piena autonomia delle aziende sanitarie locali e enti ospedalieri, veri e propri centri di autonomia imprenditoriale, ha previsto che la loro gestione fosse affidata a una sola persona responsabile che vi deve provvedere nel rigoroso rispetto dei principi di economicità ed efficienza. Le aziende sanitarie locali, con ambito di competenza territoriale coincidente con la Provincia, sono, per legge, dotate di personalità giuridica pubblica e sono dotate di autonomia organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica. Organi delle aziende sanitarie locali sono il direttore generale, assistito dal direttore amministrativo e dal direttore sanitario, e il collegio sindacale. Il direttore generale esercita tutti i poteri di gestione, ma ne deve garantire l’equilibrio e la trasparenza. La legge ha restituito autonomia agli ospedali di rilievo nazionale, a quelli di alta specializzazione e a quelli destinati a centri di riferimento per la rete di emergenza. Tali ospedali sono costituiti in aziende ospedaliere. Gli ospedali costituiti in aziende hanno gli stessi organi delle unità sanitarie locali e devono essere gestiti con criteri analoghi. Gli ospedali non costituiti in aziende, conservano la loro natura di presidio delle aziende sanitarie locali. È, infine, prevista l’istituzione, presso ciascuna azienda sanitaria locale, di un dipartimento di prevenzione competente in materia: di igiene degli alimenti; di prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro; di igiene e sanità pubblica. Il legislatore della riforma ha anche predisposto gli strumenti per la realizzazione una più efficace programmazione della tutela della salute e ha attribuito alle Regioni, in via definitiva, ulteriori e importanti compiti e funzioni con riguardo alla sulla gestione finanziaria, in attuazione del principio dell’autofinanziamento previsto dal sistema fiscale di tipo federativo. Il piano sanitario nazionale deve individuare, ogni tre anni, gli obiettivi fondamentali di prevenzione, cura e riabilitazione e le linee generali di indirizzo del Servizio. Deve individuare i livelli essenziali di assistenza da assicurare, in condizioni di uniformità nazionale e nel rispetto degli obiettivi di tutela della salute individuati a livelli internazionali, in coerenza con l’entità del finanziamento. Spetta alle Regioni di definire, con i piani sanitari regionali: i modelli organizzativi dei servizi, in funzione delle specifiche esigenze del territorio e delle risorse effettivamente a disposizione; le linee dell’organizzazione dei servizi e delle attività destinate alla tutela della salute; i criteri di finanziamento e di indirizzo tecnico delle unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere, anche in relazione al controllo di gestione e alla valutazione della qualità delle prestazioni sanitarie. Compete alle Regioni far fronte agli oneri finanziari conseguenti all’erogazione di prestazioni sanitarie, anche aumentando l’imposizione tributaria di loro competenza. In aggiunta allo standard minimo nazionale di assistenza sanitaria, i Comuni possano finanziarie, con risorse proprie, livelli aggiuntivi di assistenza erogati dalle aziende sanitarie locali. Queste possono gestire attività o servizi socio-assistenziali e socio- sanitaria, così realizzando l’integrazione tra Servizio sanitario nazionale e Sistema integrato di interventi e servizi sociali. 119. I soggetti protetti Con il passaggio dalle istituzioni mutualistiche alla nuova organizzazione sanitaria, i soggetti che hanno diritto alla tutela della salute sono stati inizialmente individuati dalla loro iscrizione presso i disciolti enti di malattia. Senonché, la legge istitutiva del Servizio sanitario nazionale ha disposto l’estensione dell’obbligatorietà dell’assicurazione contro le malattie nei confronti di tutti i cittadini indistintamente, in condizioni di uniformità e di uguaglianza. 41 La salute è l’unico diritto che la Costituzione qualifica come fondamentale, quale nucleo fondativo di tutti gli altri diritti costituzionali e presupposto irrinunciabile per la realizzazione della persona umana. Essa è tutelata “non solo cine interesse della collettività ma anche e soprattutto come diritto fondamentale dell’individuo” onde non possono esserci “situazioni prive di tutela, che possano appunto pregiudicare l’attuazione di quel diritto”. Quanto ai cittadini, anche nel caso di cui non fossero stati tenuti all’iscrizione presso uno dei disciolti enti di malattia, sono ora assicurati dal Servizio nazionale sanitario e sono tenuti al pagamento del relativo contributo, anche per i familiari a carico, alla sola condizione che siano soggetti all’obbligo della presentazione della dichiarazione dei redditi ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche. La tutela della salute si estende ai lavoratori italiani all’estero e ai cittadini italiani che si trovino temporaneamente fuori del territorio nazionale per ragioni diverse dal lavoro o dalla fruizione di borse di studio. Per quanto riguarda gli stranieri, il testo unico sull’immigrazione ha modulato la tutela della salute a seconda dell’iscrizione o meno al Servizio sanitario nazionale e della condizione di regolarità della loro presenza sul territorio italiano. Sotto il primo profilo, è previsto l’obbligo di iscrizione al Servizio sanitario nazionale per i lavoratori stranieri e per gli stranieri regolarmente soggiornanti per motivi familiari, per asilo politico, per asilo umanitario, per attesa adozione, per affidamento, per acquisto di cittadinanza. In tal caso è assicurata parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti e doveri rispetto ai cittadini italiani per quanto attiene all’obbligo contributivo, all’assistenza erogata in Italia dal Servizio sanitario nazionale e alla sua validità temporale. Tutte le altre categorie di stranieri sono tenute ad assicurarsi contro il rischio di malattie, stipulando un’apposita polizza con istituto assicurativo, oppure a iscriversi volontariamente al Servizio sanitario nazionale dietro pagamento di un contributo. Qualora lo straniero non sia iscritto a quel servizio, sono erogate le prestazioni sanitarie dietro pagamento delle tariffe determinate dalle Regioni. Se si tratta di stranieri irregolari, si prevede che siano assicurate, nei presidi pubblici accreditati, le cure ambulatorie ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali, continuative, per malattia e infortunio e siano estesi i programmi di medicina preventiva a salvaguardia della salute individuale e collettiva. La legge di riforma sanitaria ha confermato la tesi per cui, nell’intervento previdenziale in favore dei familiari, questi sono titolari del diritto alle relative prestazioni. Queste hanno un significato socialmente più rilevante che non quello desumibile dall’onere dal quale, con la loro erogazione, il lavoratore o il soggetto protetto capofamiglia è sollevato. Tali prestazioni sono destinate a realizzare un interesse proprio dei familiari e corrispondono al principio costituzionale che considera tale tutela un diritto di tutti i cittadini. 120. La nozione di malattia Con la legge di riforma, venne previsto che la tutela della salute sarebbe stata realizzata con interventi di medicina globale. Accanto alle attività di prevenzione, si sarebbero dovute realizzare, l’assistenza medico-generica, specialistica, infermieristica, ospedaliera, farmaceutica e, un’azione sanitaria volta al recupero funzionale e sociale dei soggetti affetti da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali. La malattia resta ancora l’evento al verificarsi del quale le aziende sanitarie locali sono tenute ad erogare le prestazioni sanitarie. Si deve ritenere superata, per quanto riguarda l’obbligo di erogare le prestazioni sanitarie ritenute necessarie, la distinzione delle malattie in malattie comuni, infettive e contagiose, mentali o tubercolari. Per quanto riguarda la tutela della tubercolosi, la legge ha disposto che la relativa gestione resti affidata all’INPS esclusivamente per quanto attiene all’erogazione delle prestazioni economiche. Nonostante l’ampiezza della nozione di malattia, questa non è soltanto ogni alterazione psico-fisica del soggetto protetto. Indipendentemente dall’esistenza di un’effettiva alterazione, resta che il soggetto protetto ha diritto alle prestazioni sanitare e alla visita medica. Ciò perché la visita, con la quale il medico accerta che egli non è affetto da nessuna alterazione, costituisce già una prestazione. Pertanto è da ritenere che l’evento protetto da tale forma di tutela previdenziale sia non tanto la malattia, ma il “bisogno soggettivo di cure mediche”. La legge detta una disciplina specifica per la certificazione di malattia e per il suo tempestivo invio all’INPS e al datore di lavoro, tenuto ad anticipare le prestazioni economiche. L’obbligo della trasmissione del certificato medico non ricade sul lavoratore, ma direttamente sul medico o sulla struttura sanitaria che lo rilascia. Per le visite di controllo dello stato di malattia, queste possono essere effettuate solo attraverso le aziende sanitarie locali e i medici iscritti nelle apposite liste dell’INPS. Le visite fiscali sono limitate temporalmente e il lavoratore malato ha un obbligo di reperibilità domiciliare, autonomamente sanzionato, all’interno delle c.d. fasce di reperibilità. 121. Le prestazioni in genere La legge prevedeva che, in caso di malattia, il disciolto INAM erogasse prestazioni sanitarie e prestazioni economiche, senza dettarne una disciplina organica e completa. Ne deriva che la materia delle prestazioni previdenziali che quell’ente era tenuto a erogare in caso di malattia continuava a essere regolata dai contratti collettivi corporativi che avevano istituito le casse mutue. Poiché quei contratti regolavano l’assistenza di malattia con riferimento alle singole categorie professionali per le quali erano stati stipulati, ne deriva una varietà di discipline con particolare riguardo alle prestazioni economiche. Tale varietà era stata eliminata da alcuni interventi legislativi. Con l’istituzione del Servizio sanitario nazionale è stata superata la varietà di disciplina dell’assistenza sanitaria che è ora erogata a tutti i cittadini in condizione di uniformità e di uguaglianza. 42 129. la tutela contro la tubercolosi: ambito della tutela ed evento protetto Nel caso specifico della tubercolosi, mentre le prestazioni sanitarie sono erogate dal Servizio sanitario nazionale, quelle economiche sono ancora affidate dalla legge all’INPS. Essa ha carattere generale nel senso che riguarda tutti i lavoratori subordinati che si estende anche familiari dei lavoratori, nonché ai coloni, ai mezzadri, al personale che presti comunque opera presso le istituzioni sanitarie, ai maestri elementari e ai direttori didattici. Il finanziamento delle prestazioni economiche avviene mediante l’imposizione di contributi a carico dei datori di lavoro e, per i maestri elementari e i direttori didattici, a carico dello Stato. 130. Segue: a) le prestazioni sanitarie Le prestazioni, sanitarie ed economiche, sono erogate condizioni di risultino versati, almeno per un anno, contributi previdenziali. Quelle prestazioni sono erogare indipendentemente dal versamento o no dei contributi, in attuazione del principio della automaticità delle prestazioni. Le prestazioni sanitarie sono erogate dalle strutture Servizio sanitario nazionale, senza limiti di tempo e fino a quando permanga la necessità di cure per guarigione o stabilizzazione clinica. 131. Segue: b) le prestazioni economiche Le prestazioni economiche per la tubercolosi continuano ad essere erogate dal INPS. La legge dispone che, durante il periodo di ricovero o di cura ambulatoriale, sia corrisposta al lavoratore un’indennità giornaliera detta indennità di ricovero o di cura ambulatoriale. Tale indennità è erogata, per i primi centottanta giorni, con lo stesso ammontare dell’indennità giornaliera dovuta in caso di malattia comune. L'indennità è maggiorata per i familiari a carico di un importo pari a quello dell'assegno per il nucleo familiare. Le prestazioni economiche erogate in caso di tubercolosi hanno la funzione di provvedere alla liberazione dal bisogno derivante dall'impossibilità di lavorare durante il periodo di ricovero o di cura ambulatoriale. La legge dispone che la stessa indennità sia dovuta ai familiari a carico dei soggetti protetti, quando essi siano ricoverati in luogo di cura o ammessi alla cura ambulatoriale. In quest'ultimo caso, la funzione dell'indennità è parzialmente diversa: essa tiene conto del bisogno derivante dal esigenze della cura. Inoltre, a favore dei soggetti protetti che siano stati ricoverati in un luogo di cura, o sottoposti a cura ambulatoriale, per un periodo non inferiore a 60 giorni, la legge prevede l'erogazione di un’indennità post-sanatoriale, cumulabile con la retribuzione. Tale indennità viene erogata per la durata di due anni. La stessa funzione è assolta dall’assegno di cura o di sostentamento. Tale assegno è corrisposto, per un periodo di due anni, rinnovabile di due anni in due anni, ai soggetti protetti e ai loro familiari a carico tutte le volte che la loro capacità di guadagno risulti ridotta di almeno della metà in occupazioni confacenti alle loro attitudini per effetto e in relazione della malattia tubercolare. Per i familiari a carico di età inferiore a 15 anni l'assegno di cura e di sostentamento è concesso a condizione che siano accertate minorazioni che rendano necessario un ulteriore trattamento. L'assegno di cura o di sostentamento non è cumulabile con la normale retribuzione continuativa ed a tempo pieno. Agli assistiti che abbiano usufruito, anche per un solo giorno del mese di dicembre, di prestazioni sanitarie o di prestazioni economiche per tubercolosi , spetta l'assegno natalizio. Infine, la legge ha previsto che tutti cittadini non iscritti alla regime generale gestito dall'INPS, o che non abbiano diritto a prestazioni perché non sono stati maturati i relativi requisiti, se colpiti da tubercolosi e risulti che il loro reddito sia di importo tale da non essere assoggettabile all'imposta sul reddito delle persone fisiche, abbiano diritto a prestazioni economiche a carico del Servizio sanitario nazionale. Tali prestazioni sono erogate con le stesse modalità, per la stessa durata e nella stessa misura di quelle erogate dall’INPS agli assistiti ammessi alla relativa tutela. Capitolo ottavo. LA TUTELA CONTRO LA DISOCCUPAZIONE 132. Quadro normativo generale Vari e complessi sono gli interventi dello Stato e delle Regioni a favore del lavoratore disoccupato. Alcuni di questi interventi consistono nell’erogazione di beni e di servizi e corrispondono direttamente all’attuazione della sicurezza sociale. Altri interventi si caratterizzano per le l'erogazione di prestazioni previdenziali economiche in caso di disoccupazione conseguente alla perdita involontaria del lavoro. Quest'ultimo tipo di intervento, corrisponde alla realizzazione della tutela previdenziale per l'ipotesi di disoccupazione che trova il suo fondamento giuridico già nell’art.38.2 Cost., secondo cui i lavoratori hanno diritto “a mezzi adeguati alle esigenze di vita” anche in caso di disoccupazione involontaria. Il quadro normativo in materia si è arricchito negli ultimi anni. L’ultimo provvedimento è quello previsto dalla legge delega n.183/2014. 45 Si legge tra i principi della delega che il legislatore è chiamato a rimodulare le tutele legandole alla “pregressa storia contributiva del lavoratore”, di modo che ne esca incrementata la “durata massima” del trattamento “per i lavoratori con carriere contributive più rilevanti”. Ciò denota una particolare attenzione agli equilibri finanziari delle gestioni previdenziali e la difficoltà di estendere le tutele per la disoccupazione a chi ne è rimasto privo fino ad oggi. L’universalizzazione delle tutele è anche richiamata nella delega, ma da essa viene fatta derivare esclusivamente l’estensione dell’assicurazione contro la disoccupazione ai lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa. La delega ha trovato attuazione nel d.lgs. 22/2015 che ha individuato lo strumento principale di tutela contro la disoccupazione nella Naspi; il legislatore ha portato a compimento quel processo di razionalizzazione che aveva articolato le tradizionali indennità di disoccupazione in due tipologie di prestazioni: la principale a requisiti pieni (ASpI), e la minore a requisiti ridotti (mini-ASpI), destinata ai lavoratori disoccupati con carriere lavorative discontinue. Per i lavoratori parasubordinati è prevista una misura ad hoc, che ricalca la Naspi, denominata “Indennità di disoccupazione destinata ai lavoratori con rapporto di collaborazione coordinata e continuativa – Dis-Coll” È previsto un assegno di disoccupazione (Asdi) a favore dei lavoratori che, avendo cessato di fruire dell’indennità Naspi, restano privi di occupazione e si trovino in una condizione economica di bisogno. Per contro rimane confermata la risalente Indennità di disoccupazione per i lavoratori agricoli, diversa per gli operai agricoli a tempo indeterminato e per gli operai agricoli a tempo determinato e figure equiparate. Per i primi l’indennità di disoccupazione è erogata per un numero di giorni non superiori a 180 giorni, ed è pari al 30% della retribuzione. Per gli operai agricoli a tempo determinato e figure equiparate, l’indennità di disoccupazione è erogata per il numero di giorni effettivamente lavorati ed è pari al 40% della retribuzione. La gestione di tutte queste forme di tutela previdenziale è affidata alla “gestione prestazione temporanee ai lavoratori dipendenti”, istituita presso l’INPS ed è finanziata con contributi posti a carico dei datori oltre che da un notevole contributo a carico dello Stato. Per il finanziamento della Naspi, oltre alla contribuzione periodica, il datore di lavoro è tenuto a versare anche una somma una tantum, c.d. contributo di licenziamento , a seguito della cessazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato. 133. La nuova prestazione di assicurazione sociale dell’impiego (Naspi): a) i soggetti protetti e i requisiti di accesso Il d.lgs. 22/2015, ha ulteriormente esteso l’ambito soggettivo della tutela contro la disoccupazione, con la Nuova prestazione di assicurazione sociale dell’impiego (Naspi). La tutela è garantita a quasi tutta l’area del lavoro subordinato, con l’eccezione del pubblico impiego, ancorché limitata ai lavoratori a tempo indeterminato. L’indennità continua a non spettare al lavoratore impiegato a part time verticale. Al fine di fruire della prestazione è necessario soddisfare una serie di requisiti. Occorre, da un lato, che sia stato accertato lo stato di disoccupazione, derivante dalla cessazione di un precedente rapporto di lavoro secondo le nuove regole stabilite dal d.lgs. 150/2015 e, dall’altro lato, che il lavoratore disoccupato abbia in forma telematica dichiarato, al portale nazionale delle politiche del lavoro, la propria “immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa” e alla partecipazione alle misure di politica attiva del lavoro concordate con i centri per l’impiego. Occorre, poi, aver maturato almeno 13 settimane di contribuzione calcolate nell’arco di quattro anni e almeno 30 giorni di lavoro effettivo prima dell’inizio della disoccupazione. 134.Segue: b) l’evento L'erogazione delle prestazioni previdenziali è condizionata all'esistenza di una disoccupazione involontaria, cioè di una disoccupazione determinata dal datore e non già dal soggetto protetto, ossia dal lavoratore; quindi deriva dall’estinzione del rapporto di lavoro. È questa la ragione per cui sono esclusi da tale tutela gli inoccupati, cioè quanti sono ancora in cerca di una prima occupazione, nonché i lavoratori che si trovino in una situazione di temporanea inattività senza che il rapporto di lavoro sia cessato, o qualora si dimettano o addivengano ad una risoluzione consensuale del rapporto di lavoro. Il diritto alle prestazioni è stato mantenuto anche al lavoratore che abbia dato le dimissioni per giusta causa a ragione, cioè, di un inadempimento del datore di lavoro che non consente la continuazione anche provvisoria del rapporto di lavoro. A queste condizioni anche le dimissioni comportano per il lavoratore uno stato di disoccupazione involontaria. Il trattamento spetta anche in caso di licenziamento disciplinare a condizione che il lavoratore licenziato accetti l’offerta conciliativa agevolata, non mutando, in questi casi, il titolo della risoluzione del rapporto di lavoro, o il licenziamento, e permanendo l’involontarietà della disoccupazione. 135. Segue: c) la prestazione economica: durata e importo Oggi il legislatore ha stabilito che l’ammontare della Naspi sia determinato sulla base della retribuzione imponibile ai fini della contribuzione previdenziale degli ultimi quattro anni, divise per il numero di settimane di contribuzione moltiplicata per il numero 4,33. Il nuovo regime rapporta la durata della prestazione alla “pregressa storia contributiva” del disoccupato che beneficerà di prestazioni di durata pari alla metà delle settimane di contribuzione accreditate negli ultimi quattro anni, con un massimale fissato in 24 mesi. 46 Il nuovo regime della durata della prestazione finisce per tutelare più a lungo non chi è in stato di maggior bisogno, ma chi ha versato più contributi. Per calcolare la durata, non sono computati i periodi contributivi che abbiano già dato luogo all’erogazione di prestazioni. Il calcolo dell’importo delle prestazioni avviene utilizzando una base imponibile che comprende la tradizionale pluralità di voci della retribuzione che ne determinano l’importo complessivo. La retribuzione parametro produce un indennizzo pari al 75% della stessa, percentuale che si riduce per le retribuzioni superiori ai 1.195€, fermo il massimale mensile di 1.300€. L’importo così calcolato decresce in misura pari al 3% per ogni mese di godimento successivo al terzo. Questo meccanismo spinge, il lavoratore all’attivazione nella ricerca di una nuova occupazione, poiché diventa evidente e tangibile a pochi mesi dall’ottenimento del beneficio che esso degrada progressivamente. È stabilito un limite indiretto alla contribuzione figurativa, riconosciuta per l’intero periodo di fruizione della Naspi. Infatti, la retribuzione su cui è calcolata la contribuzione figurativa non può essere superiore a 1,4 volte all’importo massimo mensile della Naspi. Le quote di retribuzione eccedenti tale importo non danno diritto a contribuzione figurativa, penalizzando così i lavoratori con salario medio-alto che fossero disoccupati. L’indennità, la cui domanda va presentata entro 68 giorni dalla data di cessazione del rapporto di lavoro, decorre dall’ottavo giorno successivo a quella cessazione o dal primo giorno successivo alla domanda. Il lavoratore destinatario dell’indennità può anche richiedere la liquidazione anticipata, in un’unica soluzione, di tutto l’importo non ancora percepito allo scopo di iniziare un’attività lavorativa autonoma o di impresa individuale o per associarsi in cooperativa senza diritto alla contribuzione figurativa e all’assegno per il nucleo familiare. Il beneficiario decade dalla fruizione della Naspi, nei seguenti casi: perdita dello stato di disoccupazione; inizio di un’attività lavorativa subordinata o in forma autonoma senza che sia stato provveduto alle specifiche comunicazioni; raggiungimento dei requisiti per il pensionamento di vecchiaia o anticipato; acquisizione del diritto all’assegno ordinario di invalidità, sempre che il lavoratore non opti per la Naspi; violazione delle regole di condizionalità. 136. L’assegno di disoccupazione: ASDI La legge prevede a favore dei lavoratori che, avendo cessato di fruire dell’indennità Naspi, non solo continuano ad essere disoccupati ma si trovino anche in una condizione economica di bisogno, l’erogazione di un assegno di disoccupazione. La platea dei beneficiari trova un limite nella disponibilità finanziaria essendo a carico della fiscalità generale. Può avvalersi della Aspi chi ha fruito entro il 31 dicembre 2015 della Naspi per l’intera durata massima e che versi ancora in stato di disoccupazione. Occorre, che abbia un’età superiore ai 55 anni senza aver diritto alla pensione o appartenga a un nucleo familiare in cui sia presente un minore di anni 18 e sia in possesso di ISEE non superiore a 5.000€. Per accedere alla nuova prestazione di disoccupazione il richiedente deve inoltrare domanda di erogazione utilizzando apposito form online, pubblicato sul portale dell’INPS. Successivamente il richiedente deve recarsi presso il centro per l’impiego nel cui ambito territoriale è stabilita la propria residenza per la sottoscrizione del c.d. progetto personalizzato, contenente l’impegno a partecipare a corsi di formazione e orientamento e ad accettare proposte di lavoro. I centri per l’impiego hanno il compito di comunicare per via telematica al Ministero del lavoro le informazioni legate al predetto progetto sottoscritto dai beneficiari, oltre a indicare la misura dell’importo della prestazione che aumenta in base al carico familiare del lavoratore. È evidente che il nuovo sussidio non abbia natura universalistica, poiché molto selettivi sono i requisiti e i criteri di accesso: i destinatari possono essere soltanto lavoratori subordinati che abbiano comunque maturato il minimo di versamenti contributivi e di giornate lavoratore che consentano l’accesso alla Naspi, oltre ad avere conservato lo stato di disoccupazione, avere sottoscritto un patto personalizzato di presa in carico da parte del centro per l’impiego, trovarsi in una condizione di bisogno certificata dall’ISEE. 137. L’indennità di disoccupazione per i lavoratori con rapporto di collaborazione coordinata e continuativa (Dis- Coll). Per i lavoratori con rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, iscritti in via esclusiva alla gestione separata dell’INPS, opera indennità di disoccupazione destinata ai lavoratori con rapporto di collaborazione coordinata e continuativa (Dis-Coll). L’indennità è prevista in via sperimentale: inizialmente solo per il 2015, poi prorogata dalla legge di stabilità 2016, mentre per gli anni successivi la sua conferma è condizionata allo stanziamento delle “occorrenti risorse finanziarie”; il che rischia di renderla una misura più occasionale che sperimentale. Quanto alla disciplina della Dis-Coll, essa riproduce quella della Naspi con qualche significativa differenza in pejus relativa sia ai requisiti di accesso che alla durata delle prestazioni. Per acquisire il diritto alla prestazione, il collaboratore “iscritto in via esclusiva alla gestione separata” dell’INPS, deve avere versato almeno tre mesi di contributi nel periodo compreso tra il 1 gennaio dell’anno solare precedente alla effettiva cessazione del rapporto di lavoro, nonché aver maturato un mese di contribuzione nell’anno solare in cui si è verificata la perdita del lavoro. Quest’ultimo requisito può essere sostituito dall’aver lavorato nello stesso periodo per un minimo di un mese, percependo un reddito almeno pari alla metà dell’importo che dà diritto all’accredito di un mese di contribuzione. 47 Quanto ai beneficiari, l’integrazione salariale spetta a tutti i lavoratori subordinati, compresi gli apprendisti con contratto di apprendistato professionalizzante, ad esclusione dei dirigenti e dei lavoratori a domicilio, a condizione che abbiano conseguito un’anzianità effettiva di lavoro, press l’unità produttiva per la quale è richiesto l’intervento, di almeno 90 giorni. La misura del trattamento è pari all’80% della retribuzione globale che spetterebbe per le ore di lavoro non prestate. L’ammontare del trattamento è soggetto ai c.d. massimali, rivalutati annualmente e stabiliti in rapporto alla retribuzione mensile. Le prestazioni della Cassa integrazione guadagni, al pari di tutte le altre prestazioni previdenziali, sono ritenute idonee a garantire i mezzi adeguati di vita. Quelle prestazioni sono, comunque, assoggettate a ritenute fiscali e a ritenute previdenziali, sia pure nella misura ridotta prevista per gli apprendisti. La durata massima complessiva non può superare per ciascuna unità produttiva il limite di 24 mesi in un quinquennio mobile, con la possibilità di arrivare a 36 mesi in caso di stipula di un contratto di solidarietà. Il sistema di finanziamento è misto, basandosi in parte sui contributi ordinari a carico degli imprenditori (come nel caso della gestione ordinaria), o a prevalente carico dei datori di lavoro in parte dei lavoratori e in parte sul finanziamento statale (come nella gestione straordinaria). Per entrambe le gestioni, il datore di lavoro deve versare, per ciascun lavoratore che gode dell’integrazione salariale, un contributo addizionale che connesso all’effettiva utilizzazione del trattamento. Di conseguenza, la contribuzione aumenterà con l’aumentare del periodo di godimento dell’integrazione salariale. I periodi di integrazione salariale consentono di acquisire il diritto all’accredito della contribuzione figurativa, utile ai fini del conseguimento ella pensione anticipata o di vecchiaia. Quanto alle modalità di erogazione dei trattamenti si prevede che il pagamento sia anticipato dall’impresa agli aventi diritto. L’impresa è ammessa a chiedere all’INPS il rimborso o a effettuare il conguaglio tra contributi dovuti e prestazioni corrisposte, entro un termine di decadenza di sei mesi. 143. La disciplina della gestione ordinaria La Cassa integrazione salariale ordinaria si applica generalmente al settore industriale; l’elenco dei destinatari e comprende: a. Imprese industriali manifatturiere, di trasporti, estrattive, di installazione di impianti, produzione e distribuzione dell’energia, acqua e gas; b. Cooperative di produzione e lavoro che svolgono attività similari a quelle degli operai delle imprese industriali; c. Imprese dell’industria boschiva, forestale e del tabacco; d. Cooperative agricole, zootecniche e loro consorzi che esercitano attività di trasformazione, manipolazione e commercializzazione di prodotti agricoli propri, per i soli dipendenti a tempo indeterminato; e. Imprese di noleggio e distribuzione dei film, sviluppo e stampa di pellicola cinematografica; f. Impresa industriali per la frangitura delle olive per conto terzi; g. Imprese produttrici di calcestruzzo preconfezionato; h. Imprese addette agli impianti elettrici e telefonici; i. Imprese di armamento ferroviario; j. Imprese industriali degli enti pubblici, se il capitale non è interamente di proprietà pubblica; k. Imprese industriali e artigiane dell’edilizia e affini; l. Imprese industriali di escavazione e lavorazione di materiali lapidei, con esclusione di quelle che svolgono tale attività di lavorazione in laboratori con strutture e organizzazione distinte. Due sono le cause integrabili: 1. Le situazioni aziendali dovute a eventi transitori e non imputabili all’imprenditore o ai dipendenti, incluse le intemperie stagionali 2. Le situazioni temporanee di mercato. Ambedue sono caratterizzate dalla ragionevole previsione di una ripresa a non lunga scadenza dell’attività produttiva. L’intervento ordinario di integrazione è strutturalmente di durata limitata nel tempo. Il periodo massimo è di 13 settimane consecutive, prorogabile fino a un massimo complessivo di 52 settimane. Quando l’impresa ne ha fruito per 52 settimane consecutive, può essere proposta una nuova domanda a condizione che, nel frattempo, la seconda attività lavorativa sia ripresa per almeno 52 settimane di normale attività lavorativa, salvo che l’intervento sia determinato da eventi non oggettivamente evitabili. Sul piano della procedura, la legge assegna una funzione essenziale alle parti sociali. È previsto: a. L’obbligo del datore di dare preventiva comunicazione alle organizzazioni sindacali b. Un esame congiunto. La procedura ordinaria deve svolgersi entro termini prestabiliti. L’obbligo di comunicazione deve precedere l’attuazione delle sospensioni e deve contenere l’indicazione delle cause di sospensione o di riduzione, l’entità e la durata prevedibile, il numero dei lavoratori interessati. Alla comunicazione può far seguito l’esame congiunto tendente a realizzare la tutela degli interessi dei lavoratori in relazione alla crisi dell’impresa. L’effettivo espletamento della procedura costituisce condizione di procedibilità della domanda di ammissione al trattamento. Ove la sospensione o riduzione di orario sia superiore a sedici ore settimanali si potrà procedere, a richiesta dell’imprenditore o dei rappresentanti dei lavoratori, a un esame congiunto in ordine alla ripresa della normale attività produttiva e ai criteri di distribuzione degli orari di lavoro. La domanda di ammissione all’integrazione salariale va presentata alla sede INPS competente per territorio, indicando la causa della sospensione o riduzione d’orario. 50 Ove dall’omessa o tardiva presentazione della domanda da parte dell’impresa derivi, a danno dei lavoratori, la perdita totale o parziale dell’integrazione salariale, l’impresa sarà tenuta a corrispondere loro una somma pari all’integrazione salariale non percepita. 144. La disciplina della gestione straordinaria Il campo di applicazione della Cassa integrazione salariale straordinaria è stato progressivamente ampliato nel tempo e comprende tutte le aziende industriali che abbiano occupato mediamente 15 dipendenti nel semestre antecedente la richiesta e le aziende commerciali con più di 50 dipendenti. Le causali dell’intervento straordinario riguardano le ipotesi di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa determinata da a. Riorganizzazione aziendale; b. Crisi aziendale, ad esclusione dei casi di cessazione dell’attività produttiva dell’azienda o di un ramo di essa; c. Contratto di solidarietà c.d. difensivo. Con riferimento ai contratti di solidarietà, si tratta di accordi collettivi aziendali aventi la finalità di evitare in tutto o in parte la diminuzione dei livelli occupazionali attraverso una generalizzata riduzione dell’orario di lavoro dei lavoratori occupati nell’impresa. Nell’accordo deve essere quantificata la riduzione dell’orario di lavoro che può essere giornaliera, settimanale o mensile, ma non può superare il 60% dell’orario di lavoro contrattuale dei lavoratori coinvolti. In ogni caso per ciascun lavoratore, la riduzione complessiva dell’orario non può essere superiore al 70% nell’interno periodo per il quale il contratto di solidarietà è stipulato. La durata dell’intervento straordinario di integrazione salariale è variabile in relazione alle diverse cause integrabili. Per la riorganizzazione aziendale, per ciascuna unità produttiva, la durata massima è pari a 24 mesi, anche continuativi, in un quinquennio mobile. Per la crisi aziendale, per ciascuna unità produttiva, il trattamento può avere una durata massima di 12 mesi, anche continuativi. In ambedue i casi, vi è un ulteriore limite: possono essere autorizzate sospensioni soltanto nel limite dell’80% delle ore lavorabili nell’unità produttiva nell’arco di tempo del programma autorizzato. Per la stipulazione di contratti di solidarietà, per ciascuna unità produttiva, il trattamento straordinario di integrazione salariale può avere una durata massima di 24 mesi, anche continuativi, in un quinquennio mobile, ma è possibile giungere sino a 36 mesi in alcuni casi. Quanto alla procedura, per il contratto di solidarietà il legislatore non istituzionalizza alcuna procedura, semplicemente perché l’accesso ai trattamenti è consentito solo in caso di effettiva stipula di un accordo sindacale. Per gli interventi riferiti a crisi e riorganizzazione, la procedura si articola nelle due fasi, sindacale e amministrativa. Nella sindacale, le parti devono espressamente dichiarare, in sede di esame congiunto, che non è possibile stipulare un contratto di solidarietà. La legge non detta una specifica disciplina circa i criteri ai quali il datore di lavoro deve attenersi per la scelta dei lavoratori da sospendere, quindi, da porre in Cassa integrazione guadagni; prevede, però, che siano coerenti con le ragioni per le quali è richiesto l’intervento. Nel programma devono essere indicate le modalità della rotazione tra i lavoratori o le ragioni tecnico-organizzative della mancata adozione di meccanismi di rotazione. La fase amministrativa della procedura di ammissione al trattamento si caratterizza per un doppio livello di verifica dell’ammissibilità della richiesta, a livello periferico e a livello centrale. La concessione del trattamento avviene con decreto del Ministero del lavoro che è adottato entro 90 giorni dalla presentazione della domanda da parte dell’impresa. 145. La Cassa integrazione in deroga La Cassa integrazione straordinaria in deroga può essere richiesta dalle imprese in crisi, indipendentemente dal settore in cui operano e dal numero di lavoratori occupati ed è destinata ad integrare il salario di tutti i loro dipendenti assolvendo alla funzione di garantire l’occupazione in attesa che il miglioramento della situazione economica ne permetta la ripresa. La gestione della Cassa integrazione guadagni in deroga, resta affidata alle Regioni in cui si trova l’unità produttiva che occupa i lavoratori che ne usufruiscono. Le prestazioni della Cassa integrazione in deroga consistono in un’indennità, della quale è stabilito, anno per anno, l’importo massimo e che corrisponde tendenzialmente all’80% della retribuzione, comprensiva dei ratei per mensilità aggiuntive, e che sarebbe spettata per non oltre 40 ore settimanali. L’indennità è erogata dall’INPS, per il tramite del Fondo per l’occupazione e la formazione, me nei limiti delle risorse assegnate. 146. i fondi di solidarietà bilaterale Il d.lgs. 148/2015 riprende la disciplina dei fondi di solidarietà bilaterale, per assicurare forme di sostegno del reddito in favore dei lavoratori che appartengono a settori produttivi esclusi dall’ambito di applicazione della normativa in materia di integrazione salariale ordinaria o straordinaria. Il sistema disegnato dal legislatore si articola su tre pilastri tra loro alternativi: a. I fondi di solidarietà bilaterali; b. I fondi di solidarietà alternativi; c. Il fondo di integrazione salariale 51 Tutti i fondi di solidarietà estendono la tutela integrativa del reddito in costanza di rapporto di lavoro a chi presta la propria attività presso datori di lavoro che occupano mediamente più di cinque dipendenti. I fondi di solidarietà bilaterale, devono assicurare almeno l’erogazione di una prestazione economica, detta assegno ordinario, di importo non inferiore all’integrazione salariale standard e per le stesse causali che giustificherebbero il ricorso alla Cassa integrazione guadagni. La durata della prestazione non può essere inferiore a 13 settimane nel biennio mobile e non superiore a quella prevista nell’ambito della disciplina della Cassa integrazione guadagni. In ogni caso l’assegno ordinario non può complessivamente superare i 24 mesi in un quinquennio mobile, con la possibilità di arrivare a 36 mesi. La misura della contribuzione ordinaria è ripartita tra datore e lavoratore rispettivamente nella misura di 2/3 e 1/3. La contribuzione addizionale, prevista solo in caso di ricorso all’assegno ordinario e a carico del datore. I fondi di solidarietà alternativi sono esclusivamente due: quello del settore artigianato e quello del settore della somministrazione. Il fondo di integrazione salariale, ha un carattere residuale perché riguarda esclusivamente quei datori che operano in settori non coperti né da Cassa integrazione, né dai fondi di solidarietà bilaterale alternativi. Questo fondo assicura due prestazioni: l’assegno ordinario per le causali della gestione ordinario e straordinaria e l’assegno di solidarietà per le riduzioni di orario previste da accordi collettivi aziendali finalizzati ad evitare o ridurre le eccedenze di personale nel corso delle procedure di licenziamento collettivo o al fine di evitare licenziamenti plurimi individuali per giustificato motivo oggettivo. Tutti i fondi bilaterali sono istituiti presso l’INPS e costituiscono gestioni separate; non hanno personalità giuridica e gli oneri di amministrazione sono determinati dai regolamenti dell’Istituto. 147. La condizionalità e le politiche di attivazione Anche qui opera il c.d. meccanismo della condizionalità e il vincolo con le politiche attive, sia pure in misura più attenuata. I lavoratori che beneficiano di integrazione salariale per i quali la sospensione o la riduzione dell’orario di lavoro, nell’arco di 12 mesi, sia superiore al 50% sono convocati dai centri per l’impiego per stipulare patti di servizio personalizzati, il cui contenuto obbligatorio è ridimensionato. Due elementi sono esclusi espressamente: la “definizione degli atti di ricerca attiva che devono essere compiuti e la tempistica degli stessi” e le “modalità con cui la ricerca attiva di lavoro è dimostrata al responsabile delle attività”. L’esclusione deve essere letta in ragione dello scopo principale perseguito dalla legge: mantenere in vita il rapporto di lavoro. A tal fine viene privilegiata la formazione. Per favorire il rapido reimpiego, qualora non sia possibile riprendere l’attività lavorativa, sono previsti una serie di interventi finalizzati a migliorare l’occupabilità dei lavoratori. Innanzitutto, i lavoratori possono essere obbligati a partecipare a iniziative e lavoratori per il rafforzamento delle competenze nella ricerca attiva di lavoro, nonché a quelle di carattere formativo o di riqualificazione. In secondo luogo, è prevista anche la possibilità di essere avviati alle c.d. attività socialmente utili. In caso di comportamenti non attivi da parte dei percettori dei sussidi, opera un sistema sanzionatorio graduale in ragione della prima, seconda o terza ingiustificata assenze agli appuntamenti dei centri per l’impiego, alle attività di orientamento, di formazione, alle iniziative di politiche attive. Confermata la tradizionale regola che sancisce il divieto di svolgere attività di lavoro autonomo o subordinato durante il periodo di integrazione salariale; il lavoratore decade dal diritto qualora non provveda a informare la sede territoriale dell’INPS dell’eventuale svolgimento di un’attività lavorativa. Capitolo nono. LA TUTELA DELLA FAMIGLIA I. L’ASSEGNO PER IL NUCLEO FAMILIARE 148. Origine e funzione Una tutela della famiglia venne prevista, per la prima volta, nel 1934 dalla contrattazione collettiva corporativa ed aveva la funzione di integrare le retribuzioni dei lavoratori con famiglia a carico per compensare gli effetti derivanti sui livelli retributivi dalla diminuzione dell’orario di lavoro. Vennero istituiti gli assegni familiari. La loro natura giuridica e stata a lungo controversa. Alcuni ritenevano che essi avessero ancora natura retributiva, altri affermavano che essi avessero natura previdenziale. È quest'ultima la soluzione che deve essere preferita. Ad essa conduceva la considerazione del sistema con cui si provvedeva al loro finanziamento e alla loro erogazioni, che non è diverso da quello di tutte le altre forme di tutela previdenziale e che realizzava una solidarietà che superava la caratteristica corrispettività retributiva. A partire dal 1° gennaio 1988, l'art. 2 della l.153/1988 ha sostituito gli assegni familiari e le altre prestazioni integrative denominate maggiorazione degli assegni familiari con l'assegno per il nucleo familiare. 149. Ambito di applicazione ed evento protetto. Soggetti protetti sono i prestatori di lavoro subordinato residenti nel territorio italiano, i titolari delle pensioni, i titolari delle prestazioni economiche previdenziali derivanti da lavoro subordinato, i lavoratori assistiti dall'assicurazione contro la 52 Se si tratta di congedo parentale prolungato o di permessi per assistere un bambino portatore di handicap, il richiedente ha diritto a percepire un’indennità corrispondente all’ultima retribuzione. Quell’indennità è anticipata dal datore e posta a conguaglio con i contributi dovuti all’INPS. Il periodo è sempre coperto da contribuzione figurativa ma parziale. 155. Un nuovo congedo per le vittime di violenze di genere Si differenzia dai predetti congedi quello introdotto di recente dall’art.24, d.lgs.80/2015 che risponde non alle esigenze di tutela e promozione della maternità/paternità, ma a quelle di tutela contro le discriminazioni e la violenza di genere. La lavoratrice che sia stata inserita nei percorsi di protezione relativa alla violenza di genere ha diritto di astenersi dal lavoro per motivi connessi al suddetto percorso di protezione per un periodo massimo di tre mesi. L’intero periodo di congedo dà diritto alla lavoratrice subordinata di percepire un’indennità corrispondente all’ultima retribuzione maturata, con riferimento alle voci fisse e continuative. L’indennità è erogata mediante anticipazione del datore di lavoro; questi sarà poi ammesso a detrarre gli importi corrisposi alla lavoratrice dall’ammontare dei contributi previdenziali dovuti all’INPS, attraverso il meccanismo del conguaglio. Nessuna indennità è prevista in favore delle collaborazioni coordinate e continuative. Capitolo decimo. IL SISTEMA DI ASSISTENZA SOCIALE E LE PRESTAZIONI ASSISTENZIALI 156. Il principio di universalità come fondamento della tutela La l. 328/2000 (legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali), è intervenuta dopo un vuoto legislativo di oltre un secolo in cui era mancata una regolamentazione organica dei servi socio-assistenziali. La legge è significativa perché ha attribuito, per la prima volta, diritti soggettivi perfetti ai soggetti protetti e alle loro famiglie. Al tempo stesso questa legge ha segnato il passaggio dalla concezione di utente quale portatore di un bisogno specialistico a quella di persona nella sua totalità costitutiva anche dalle risorse disponibili e dal contesto familiare e territoriale in cui vive. 157. Il sistema di assistenza sociale La l.328/2000, prevendendo un Sistema integrato di interventi e servizi sociali, riprende la definizione di servizi sociali contenuta nel d.lgs. 112/1998, in base al quale per servizi sociali si intendono “tutte le attività relative alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti e a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, nonché quelle assicurate in sede di amministrazione della giustizia”. L’obiettivo è contrastare fenomeni di povertà e di esclusione sociale, valorizzare e sostenere le responsabilità familiari, incentivare misure di sostegno per le persone anziane non autosufficienti e promuovere progetti individuali per le persone disabili. 158.I soggetti protetti: a) cittadini e stranieri La tutela si applica a tutti cittadini italiani e ai cittadini comunitari e ai loro familiari, nonché, a determinate condizioni, agli “extracomunitari, ai profughi e agli apolidi”. Accedono prioritariamente alle prestazioni e ai servizi erogate i soggetti in condizioni di povertà o con limitato reddito, con incapacità parziale o totale di provvedere alle proprie esigenze per inabilità fisiche o psichiche, coloro che sono sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria per cui necessitano di interventi assistenziali o i soggetti con difficoltà di inserimento nella vita lavorativa o sociale. Con riguardo agli extracomunitari, la legge ha, però, variamente condizionato l’accesso alle prestazioni assistenziali al possesso di specifici requisiti. L’art. 41 del Testo Unico sull’immigrazione prevede che soltanto “gli stranieri titolari della carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore a un anno, nonché i minori iscritti nella loro carta di soggiorno o nel loro permesso di soggiorno, sono equiparati ai cittadini italiani ai fini della fruizione delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale, incluse quelle previste per coloro che sono affetti da morbo di Hansen o da tubercolosi, per i sordomuti, per i ciechi civili, per gli invalidi civili e per gli indigenti”. Analogamente, la l.104/1992, in tema di assistenza delle persone in condizione di disabilità, equiparata ai cittadini gli stranieri e gli apolidi, a condizione che siano residenti, domiciliati o aventi stabile dimora nel territorio nazionale. È stata, così, ristretta la platea dei possibili beneficiari delle prestazioni assistenziali: l’accesso a tali prestazioni non era più limitato agli stranieri che siano semplicemente in possesso di un permesso di soggiorno di durata inferiore a un anno, ma ai solo stranieri che abbiano regolarmente soggiornato in Italia per almeno cinque anni. Senonché, questa limitazione ha sollevato profili di illegittimità costituzionale per disparità di trattamento e più volte è stata portata all’attenzione della Corte costituzionale che ha ritenuto irragionevole e illegittimo, subordinare l’attribuzione di prestazioni assistenziali allo status di lungo soggiornante. In quanto finisce per risultare in contrasto con l’art.3 Cost. e con il principio di solidarietà di cui all’art.2 Cost. 159. Segue: b) il requisito del reddito insufficiente Non tutti sono ammessi a godere delle prestazioni assistenziali, ma solo coloro che si trovino in una certa situazione economica, da valutare mediante alcuni indicatori: l’ISE (indicatore della situazione economica) e l’ISEE (indicatore della situazione economica equivalente). 55 L’ISE-ISEE è stato introdotto con lo scopo di permettere una valutazione sintetica delle condizioni economiche delle famiglie, consentendo alle amministrazioni di assegnare servizi e agevolare tariffarie ai richiedenti che presentino determinati requisiti. L’ISE è un parametro che determina la situazione economica nel nucleo familiare e scaturisce dalla somma dei redditi e del 20% del patrimonio mobiliare e immobiliare di tutto il nucleo familiare. L’ISEE scaturisce dal rapporto tra l’ISE e il parametro desunto dalla scala di equivalenza, che varia in base al numero e alla qualità dei componenti del nucleo familiare. I due indicatori vengono calcolati sulla base dei dati indicati nella dichiarazione sostitutiva unica che ha la validità di un anno a decorrere dal rilascio e vale per tutti i componenti del nucleo familiare. Con riferimento ai nuclei familiari che hanno componenti con disabilità, il Consiglio di Stato a annullato parzialmente l’art.4, d.p.c.m. 159/2013, nella parte in cui includeva, tra i trattamenti rilevanti ai fini ISEE, quelli percepiti in ragione di una condizione di disabilità. Questi trattamenti (quali, ad esempio, l’indennità di accompagnamento o le indennità di frequenza) non devono essere rilevati in automatico dagli archivi dell’Istituto previdenziale, né indicati nella dichiarazione sostitutiva unica qualora erogati da amministrazioni pubbliche diverse dall’INPS. 160.L'organizzazione amministrativa del Servizio integrato di interventi e servizi sociali La legge attribuisce allo Stato i compiti di programmazione degli interventi e ripartizione delle risorse, mediante la determinazione dei principi e degli obiettivi della politica sociale, la programmazione della rete di interventi, la determinazione dei criteri per la ripartizione delle risorse del Fondo nazionale per le politiche sociali. Gli interventi, previsti e coordinati a livello centrale, sono gestiti dalle autonomie locali, che possono anche demandare alcune funzioni a soggetti privati accreditati. Alle Regioni spetta la programmazione, il coordinamento e l'indirizzo degli interventi sociali sul territorio, con monitoraggio del livello di attuazione raggiunto nonché di attuare il coordinamento delle prestazioni erogate dal Sistema integrato assistenziale con quelle del Servizio sanitario nazionale. Sia pure con le modalità definite dalle Regioni, le Provincie e i Comuni concorrono alla programmazione degli interventi nel loro ambito territoriale. Alle competenze dello Stato, delle Regioni e degli enti locali, si affiancano quelle affidate ai privati appartenenti al c.d. terzo settore. Trattasi di organismi non lucrativi di utilità sociale (ONLUS), cioè di organismi di cooperazione, delle associazioni, degli enti di promozione sociale, delle fondazioni, degli enti di patronato, delle organizzazioni di volontariato, degli enti riconosciuti delle confessioni religioso. Tutti gli interventi programmati sono resi conoscibili all'utenza mediante la predisposizione della carta dei servizi sociali, destinata a consentirne la più efficace utilizzazione e a semplificare le procedure di accesso. 161. Il sistema di finanziamento delle politiche sociali Al finanziamento del Sistema integrato di interventi e servizi sociali provvede il Fondo nazionale per le politiche sociali, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. La legge prevede che le risorse siano ripartite sulla base dei criteri stabiliti da un apposito regolamento. La legge determina i principi e i criteri direttivi in base ai quali deve essere ispirato il regolamento. L’obiettivo è evitare sovrapposizioni e diseconomie nella gestione delle risorse razionalizzando e armonizzando la distribuzione su tutto il territorio nazionale. Lo Stato ripartisce tra le Regioni le risorse del Fondo. Le Regioni, a loro volta, costituiscono i fondi sociali regionali, nei quali confluiscono i finanziamenti provenienti da quello nazionale e ulteriori risorse da esse autonomamente stanziate, che vengono poi ripartite tra i vari Comuni. Al Fondo nazionale per le politiche sociali possono affluire anche le somme derivate da eventuali donazioni di privati, enti, fondazioni, organizzazioni nazionali o internazionali nonché organismi dell’U.E. Al quel Fondo è oggi affiancato il Fondo per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale, finalizzato ad avviare, su tutto il territorio nazionale, ulteriori misure di contrasto alla povertà. 162. Gli eventi protetti e le prestazioni Gli eventi per i quali sono previste prestazioni hanno riguardato a situazioni caratterizzate dall’inadeguatezza del reddito dei soggetti protetti e dal bisogno o disagio individuale, familiare o sociale, derivanti da difficoltà economiche, sociali o da disabilità. In via esemplificativa, basti ricordare i progetti individuali per le persone disabili, volti alla loro piena integrazione nell’ambito della vita familiare sociale, nonché dal punto di vista della istruzione scolastica, della formazione professionale e del lavoro o le misure per il sostegno domiciliare delle persone anziane non autosufficienti. In questo ambito s’inserisce anche un provvedimento noto come Dopo di noi, che riconosce misure di assistenza, cura e protezione in favore delle persone con disabilità grave, prive di sostegno familiare, in quanto mancanti di entrambi i genitori o poiché gli stessi non sono in grado di fornire l’adeguato sostegno genitoriale. A queste prestazioni se ne affiancano altre di carattere fiscale e tariffario in favore dei nuclei familiari monoparentali, delle coppie di recente formazione con figli, delle famiglie immigrate non ancora inserite nel contesto sociale e lavorativo o che si trovano in momentanee, ma rilevanti, difficoltà economiche. Particolarmente significativi sono quegli interventi che si concretizzano nelle misure attive, dove l’integrazione al reddito è accompagnata da un programma di reinserimento sociale, attraverso la ricerca e l’accettazione di un lavoro o di un percorso formativo, vincolante per accedervi. 56 Si pensi al reddito minimo di inserimento (RMI). È una prestazione economica che assolve a una funzione assistenziale, ma viene erogata soltanto a condizione che sussistano determinati requisiti soggettivi e oggettivi in capo al richiedente e a condizione che il beneficiario partecipi effettivamente a programmi di socializzazione mirati, volti a rimuovere le cause dell’emarginazione sociale. A una funzione analoga risponde il c.d. reddito di ultima istanza che ha sostituito il RMI. È destinato ai nuclei familiari a rischio di esclusione sociale e i cui componenti non beneficiano di altri ammortizzatori sociali. 163. Segue: a) gli interventi urgenti e strutturali per le situazioni di povertà estrema Ulteriori interventi sono previsti in favore delle accertate situazioni di povertà estrema e delle persone senza fissa dimora. A tal fine, le organizzazioni non lucrative possono presentare alle Regioni progetti riguardanti la realizzazione di centri di pronta accoglienza, nonché servizi socio-sanitari, servizi per l'accompagnamento e il reinserimento sociale, con il finanziamento del Fondo nazionale per le politiche sociali. A favore delle fasce deboli della popolazione “in stato di particolare bisogno”, è stata istituita una speciale carta acquisti, per consentire ai cittadini meno abbienti l’acquisto di generi alimentari e il pagamento delle bollette energetiche. La carta acquisti viene concessa ai cittadini italiani di età pari o superiori a 65 anni e ai bambini di età inferiore a 3 anni. In tutti questi casi si è trattato di misure sperimentali, temporanee e settoriali. Più di recente, il legislatore si è preoccupato di predisporre un intervento diretto a contrastare in modo strutturale e più organico l’esclusione sociale, con l’adozione di un Piano nazionale che mira a introdurre un’unica provvidenza, su tutti il territorio, di contrasto alla povertà. Nelle more dell’adozione di tale Piano, è stato attivato un nuovo servizio di Sostegno per l’inclusione attiva (SIA), costituito dall’erogazione di prestazioni economiche e dalla predisposizione di un progetto personalizzato, gestito da una rete integrata che vede il coinvolgimento dei servizi sociali dei Comuni con gli altri servizi del territorio e con i soggetti del terzo settore e le parti sociali. La misura è destinata prioritariamente alle famiglie in condizione di povertà assoluta, composte da minorenni, figli disabili o donne in stato di gravidanza accertata. Il progetto personalizzato è costruito insieme al nucleo familiare sulla base di una valutazione globale delle problematiche e dei bisogni e coinvolge tutti i componenti, instaurando un patto tra servizi sociali e famiglie che implica una reciproca assunzione di responsabilità e di impegni, con relativo apparato sanzionatorio. L’obiettivo è aiutare le famiglie a superare la condizione di povertà e riconquistare gradualmente la necessaria autonomia. Alle politiche nazionali di contrasto alla povertà vanno aggiunte le politiche regionali. La corresponsione della prestazione economica è subordinata al possesso di due principali criteri di selettività: la valutazione della condizione economica, realizzata prevalentemente attraverso l’applicazione dell’ISEE e la residenza nel territorio regionale più o meno protratta nel tempo. La misura economica è sempre inserita in un contratto o patto sociale che ha lo scopo di accompagnare il beneficiario in un percorso di inclusione socio-lavorativa; la sua mancata sottoscrizione o la sua violazione è considerata causa di decadenza dal beneficio economico al pari del mutamento della situazione reddituale o della perdita dello status di disoccupazione. 164. Segue: b) le misure a sostegno delle responsabilità familiari Natura assistenziale hanno anche gli interventi per la valorizzazione e il sostegno delle responsabilità familiari che rientrano tra le politiche legislative volte a contrastare fenomeni di povertà e di esclusione sociale. Fra queste vi è l’assegno ai nuclei familiari numerosi, da tenere distinto dall’assegno per il nucleo familiare. Infatti, mentre l’attribuzione dell’assegno per il nucleo familiare presuppone l’esistenza in capo al soggetto protetto di un rapporto di lavoro subordinato o della titolarità di un trattamento pensionistico, le misure a sostegno delle responsabilità familiari prescindendo dall’esistenza di quei presupposti e hanno riguardo unicamente all’accertata situazione di bisogno. L’assegno di cui trattasi è corrisposto per tredici mensilità ai cittadini italiani residenti in Italia nel cui nucleo familiare siano compresi almeno tre figli minori e le cui condizioni reddituali rientrino in quelle previste dall’ISEE. L’assegno è attribuito dai Comuni, ai quali deve essere presentata la domanda, mentre alla relativa erogazione provvede l’INPS. La medesima ratio è sottesa alla disciplina dell’assegno di maternità. Si tratta di una prestazione economica, posta a carico dell’INPS ed erogata alle madri cittadine italiane residenti in Italia, relativamente ai figli nati successivamente al 1° luglio 1999, per un massimo di cinque mensilità e a condizione che non abbiano diritto ad altro trattamento previdenziale per maternità. A far data dal 1° luglio 2000, l’assegno di maternità spetta anche alle donne extracomunitarie presenti sul territorio italiano, purché in possesso del permesso di soggiorno. Più di recente, per contribuire alle spese per il sostegno familiare ma anche per favorire la natalità, è stato riconosciuto il c.d. bonus bebè, ovvero un assegno per ogni figlio nato o adottato tra il 1° gennaio 2015 e il 31 dicembre 2017, in favore dei cittadini italiani o di uno Stato membro o di Paesi terzi con permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo. Il bonus bebè non concorre alla formazione del reddito complessivo ed è corrisposto mensilmente e per tre anni, su domanda, dall’INPS; decorrere dal mese di nascita o adozione, purché il nucleo familiare di appartenenza del genitore richiedente sia in una condizione economica corrispondente a un determinato valore ISEE. Da ultimo, la legge di stabilità 2016 ha istituito la c.d. carta della famiglia, destinate alle famiglie composte da cittadini italiani o da cittadini stranieri regolarmente residenti nel territorio italiano, con almeno tre figli minori a carico e di durata biennale alla data di emissione. La carta della famiglia consente di avere una serie di sconti sui trasporti pubblici, sulle visite ai musei e ai siti culturali, oltre che su tutti i servizi aderenti all’iniziativa; essa non va confusa con la social card che è una carta acquisti. 165. Le prestazioni assistenziali per l’invalidità civile 57 La libertà di adesione individuale ha assunto particolare rilevanza da quando sono state previste, da un lato, forme di previdenza complementare commerciali, gestite da banche o da imprese di assicurazione, e ne è stato liberalizzato l’accesso, e, dall'altro, per effetto della previsione delle forme pensionistiche individuali che si realizzano mediante la stipulazione dei contratti di assicurazione sulla vita. La previdenza complementare è stata considerata un elemento del mercato finanziario al quale sono prevalentemente destinati i capitali costituiti dagli investimenti individuali ai fondi pensione aperti e dalla massa delle contribuzioni versate da, o per, i lavoratori a favore dei fondi pensione sindacali. In questa situazione, la competizione tra questi ultimi e le forme di previdenza complementare commerciali dovrebbe avvenire sul piano della migliore redditività degli investimenti. 174. La governance delle forme di previdenza complementare Gli organi di amministrazione e controllo dei fondi pensione, se questi sono finanziati anche dal datore di lavoro, hanno composizione paritetica e, se finanziati esclusivamente dai lavoratori, devono consentire la partecipazione delle categorie e raggruppamenti interessati. La legge prevede che il consiglio di amministrazione di ciascuna forma pensionistica complementare nomini un responsabile, che deve svolgere la sua attività in modo autonomo e indipendente. Il responsabile della forma pensionistica complementare ha il compito di: verificare che la gestione della forma pensionistica sia svolta nell'esclusivo interesse degli aderenti e nel rispetto della normativa vigente; inviare agli organi di controllo e di sorveglianza dati e notizie sull'attività complessiva svolta dal fondo; vigilare sul rispetto dei limiti d'investimento, sulle operazioni di conflitto d'interesse e sulle buone pratiche, al fine di garantire la migliore tutela degli iscritti; riportare direttamente agli organi di amministrazione i risultati dell’attività svolta. La legge prevede, per i fondi pensione aperti, l'istituzione di un organismo di sorveglianza, composto da due membri designati dai soggetti che hanno istituito il fondo pensione e scelti tra gli amministratori indipendenti iscritti nell'apposito albo istituito dalla Consob, e da una rappresentante ciascuno, per i lavoratori e per il datore di lavoro, nel caso di iscrizione al fondo pensione di almeno 500 lavoratori appartenenti ad una stessa impresa o gruppo di imprese. L’organismo di sorveglianza rappresenta gli interessi degli iscritti e verifica che l’amministrazione e la gestione complessiva del fondo avvenga nei loro esclusivi interessi. I fondi pensione non possono assumere direttamente funzioni assicurative e devono gestire le loro risorse affidandole a società di intermediazione mobiliare, ad imprese assicurative, a società di gestione del risparmio, agli enti previdenziali. 175. Il regime delle prestazioni La previdenza complementare si realizza prevalentemente con l'erogazione di prestazioni. Le prestazioni erogate dalle forme di previdenza complementare sono determinate nell'atto costitutivo o nello statuto, ma devono essere condizionate all'esistenza dei requisiti minimi, di età e di contribuzione, fissata dalla legge per il regime generale gestito dall’INPS. Ai fini della prestazione pensionistica di vecchiaia, il requisito di età è analogo a quanto prescritto in sede di assicurazione obbligatoria; il requisito di contribuzione deve essere invece pari ad almeno cinque anni. I livelli delle prestazioni sono determinati in base alla tecnica della capitalizzazione, essendo necessario adottare il regime a contribuzione definita. L'adozione di questo regime comporta che i contributi a carico del datore di lavoro e del lavoratore, man mano, sono accreditati su conti individuali unitamente al rendimento prodotto dall’investimento dei relativi importi. Il livello delle pensioni è determinato dal totale dei contributi accreditati su ogni conto individuale e dalla somma dei relativi rendimenti. La legge consente che le prestazioni pensionistiche possano essere erogate sia sotto forma di rendita, sia sotto forma di capitale, fino a un massimo del 50% del montante finale accumulato. Nel caso di cessione dell’attività lavorativa che comporti l’inoccupazione per un periodo superiore a 48 mesi, le pensioni possono essere erogate, su richiesta dell’iscritto, con un anticipo massimo di 5 anni rispetto ai requisiti previsti per l’accesso alle prestazioni nel regime previdenziale obbligatorio di appartenenza. In caso di morte del lavoratore che abbia maturato il diritto alla pensione complementare e ne sia in godimento, gli eredi possono beneficiare in alternativa o della restituzione del montante residuo alla data del decesso oppure dell’erogazione di una rendita calcolata in base al montante residuale. Dal 1° gennaio 2001, è stato revocato, anche per le pensioni erogate dalla previdenza complementare, il divieto di cumulo con redditi di lavoro dipendente, ma resta l’esclusione di forme di perequazione automatica che facciano riferimento alla dinamica retributiva dei dipendenti in servizio. 176. Il finanziamento della previdenza complementare. Anche le modalità ed i criteri del finanziamento devono essere determinati nell'atto costitutivo. Per le forme di previdenza complementare sindacali il finanziamento avviene con l'imposizione al datore di lavoro di un obbligo di contribuzione. Analogo obbligo, ma di solito di misura minore, è posto a carico dei lavoratori iscritti alle forme di previdenza complementare. Non si ritiene più che le somme versate dal datore di lavoro per il finanziamento della previdenza complementare abbiano natura retributiva. Infatti, a quelle somme è attribuita natura di contribuzione previdenziale. Le fonti istitutive possono prevedere che la contribuzione a carico dei lavoratori sia costituita anche dalla destinazione al fondo di alcune voci della retribuzione o dall'accantonamento annuale de trattamento di fine rapporto. 60 Per i lavoratori assunti dopo il 28 aprile 1993 è obbligatoria l’integrale destinazione al fondo pensione dei suddetti accantonamenti. Il conferimento del trattamento di fine rapporto alle forme di previdenza complementare può avvenire con modalità esplicite o tacite. I lavoratori assunti dopo il 1 gennaio 2007, entro sei mesi dall'assunzione, possono scegliere la forma di previdenza complementare alla quale destinare l'interno trattamento di fine rapporto maturato. Se decidono di mantenere il TFR presso il datore, la scelta può essere poi successivamente anche revocata. Il conferimento del trattamento di fine rapporto è tacito quando il lavoratore non esprime alcun tipo di volontà. In questo caso, quel trattamento è destinato alla forma pensionistica complementare prevista da contratti o accordi collettivi, anche territoriali. In presenza di più fondi pensioni sindacali, il trattamento di fine rapporto è trasferito nel fondo nel quale sono iscritti il maggior numero di lavoratori dell'azienda. La legge prevede anche che, nel caso in cui lavoratori decidano di mantenere il trattamento di fine rapporto presso il datore di lavoro, quest'ultimo, quando occupa più di 50 lavoratori, debba automaticamente conferire l'intero accantonamento annuale per il trattamento di fine rapporto al “Fondo per l'erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato dei trattamenti di fine rapporto di cui all'articolo 2120 del codice civile”, anch’esso appositamente istituti presso l’INPS, per conto dello Stato. Pe garantire ai lavoratori una scelta consapevole, il datore di lavoro deve preventivamente fornire loro adeguate informazioni sulle diverse disponibilità. La legge prevede che in caso di conferimento del trattamento di fine rapporto secondo modalità tacite, gli statuti e regolamenti delle forme di previdenza complementare devono prevedere l'investimento delle somme conferite nella linea di investimento a contenuto più prudenziale. L'adesione a una forma di previdenza complementare tramite il conferimento del trattamento di fine rapporto non comporta che quella forma abbia diritto alla contribuzione a carico del lavoratore e del datore i quali possono decidere anche in assenza di accordi collettivi di erogare contributi stabilendone l'importo. Infine, in via sperimentale e per il periodo dal 31 marzo 2015 al 30 giugno 2018, è consentito ai lavoratori che hanno devoluto il TFR alla previdenza complementare di poter ottenere la corresponsione immediata e mensile, direttamente in busta paga, delle quote maturande del TFR, che vanno così a integrare la retribuzione. Si tratta di una facoltà che rappresenta un’ulteriore eccezione alla regola generale, secondo cui il diritto al TFR maturi alla cessazione del rapporto di lavoro. La scelta del lavoratore è libera, ma irrevocabile e, a differenza di quanto accade per il conferimento del TFR alla previdenza complementare, da esercitarsi esplicitamente. Sussistono limiti soggettivi e oggettivi: il lavoratore deve vantare almeno 6 mesi di anzianità lavorativa e la norma non si applica a imprese sottoposte a procedure concorsuali dichiarate in crisi. 177. La tutela degli iscritti alle forme di previdenza complementare. a) il sistema della capitalizzazione e la Commissione di vigilanza sui fondi pensione La legge tutela in vario modo la posizione degli iscritti ai fondi pensione. Prima di tutto impone a quei fondi l'adozione del sistema della capitalizzazione che offre, di per sé, garanzie di conservazione, almeno al valore nominale, degli importi accreditati sui conti individuali. Non offre, però, garanzie sull'entità dei rendimenti e sull'accumulazione, in termini reali, di un capitale sufficiente ad erogare, nel tempo, prestazioni adeguate. Le gestione dei fondi pensioni sono assoggettate alla vigilanza della Commissione di vigilanza sui fondi pensione (COVIP) istituita presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. 178. Segue: b) il trasferimento e il riscatto della posizione previdenziale individuale La legge tende ad evitare che le vicende del rapporto di lavoro, del datore di lavoro e degli stessi fondi pensione, impediscano la soddisfazione dei diritti dei pensionati e delle aspettative dei lavoratori iscritti. Nel caso di perdita dei requisiti di partecipazione al fondo pensione quando non siano stati ancora maturati i requisiti per aver diritto alle prestazioni, il lavoratore può chiedere “trasferimento della posizione” al fondo pensione inerente alla sua nuova attività, o può chiedere il riscatto della sua posizione individuale. Riscatto può essere parziale o totale. Il riscatto parziale è consentito nei casi di “cessazione dell'attività lavorativa” che comporta la disoccupazione per oltre 12 mesi, ma fino a 48 mesi, e di “ricorso da parte del datore di lavoro a procedure di mobilità, cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria”. Il riscatto totale è consentito nei casi di “invalidità permanente che comporti la riduzione della capacità di lavoro a meno di un terzo” e di “cessazione dell'attività lavorativa” che comporti la disoccupazione per oltre 48 mesi. Non è consentito il riscatto totale quando mancano meno di cinque anni alla maturazione della prestazione pensionistica complementare. Ciò perché, in questi casi, il lavoratore può chiedere l'anticipazione di questa prestazione. Nel caso in invece di scioglimento del fondo pensione per vicende riguardanti i soggetti tenuti alla contribuzione, viene applicata la disciplina prevista per il caso che vengano meno i requisiti di contribuzione. Se il datore di lavoro cessa la sua attività o nei suoi confronti si apre una procedura concorsuale, si procede lo scioglimento del fondo. 179. Segue: c) la “portabilità” della posizione previdenziale individuale. La l. 335/1995 aveva consentito il trasferimento ai fondi pensione aperti della posizione individuale maturata presso le forme di previdenza sindacali, dopo cinque anni di iscrizione. La nuova disciplina attenua quei limiti in quanto attribuisce al lavoratore la facoltà, decorsi due anni dalla data di iscrizione a una forma pensionistica sindacale, di trasferire l'intera posizione individuale maturata a un'altra forma pensionistica anche commerciale. 61 Problemi particolari non si pongono per quanto attiene alla facoltà di destinare a forme diverse da quelle sindacali le quote dell’accantonamento annuale per il TFR. Diversamente è da dire per la portabilità delle contribuzioni che la contrattazione collettiva ha posta a carico del datore di lavoro per il finanziamento dei fondi pensione sindacali. Ciò perché il contratto collettivo che istituisce un fondo di previdenza complementare, quando prevede che sia finanziato anche con una contribuzione posta carico del datore di lavoro, esercita la sua fondamentale funzione. Anche in questo caso, il contratto collettivo tende alla soddisfazione dell’interesse collettivo dei suoi destinatari. Interesse collettivo che presiede sia alle forme di previdenza complementare preesistenti, sia alle forme di previdenza complementare gestite con il sistema della capitalizzazione. 180. La disciplina delle forme di previdenza complementare “preesistenti”. Un particolare regime ed un regime transitorio sono previsti per le forme di previdenza integrativa istituite prima delle 15 novembre 1992, dette forme preesistenti e che operano con strutture diverse. A volte, quelle forme sono gestite direttamente dal datore di lavoro e, in tal caso, si parla di fondi interni. Altre volte, la loro gestione è affidata a strutture con soggettività autonoma gestite da rappresentanti del datore e dei prestatori di lavoro. Le forme di previdenza complementare preesistenti conservano le strutture che ad esse erano state date nonché il regime del finanziamento e quello delle prestazioni. Possono continuare a essere gestite con il sistema della ripartizione. Sistema che, comportando il finanziamento delle prestazioni erogate a chi già ha maturato il diritto a pensione con il contributo degli iscritti che ancora lavorano, realizza una vera e propria solidarietà tra generazioni. Tuttavia il sistema ripartizione da scarse garanzie di realizzazione dei diritti dei pensionati e delle aspettative dei lavoratori iscritti in quanto quei diritti e quelle aspettative sono condizionate all'ammontare delle contribuzioni versate da, o per, i lavoratori in servizio. Pertanto la legge ha disposto che, quando si tratti di regimi preesistenti gestite a ripartizione, il diritto alle prestazioni sia condizionato alla maturazione del diritto a pensione nel regime pubblico al quale il lavoratore iscritto. Inoltre, la legge ha anche disposto che l'adeguamento delle pensioni erogate dalle forme di previdenza complementare preesistenti sia regolato dalla disciplina della perequazione automatica vigente nella previdenza pubblica con conseguente esclusione di qualsiasi altro sistema di perequazione. La legge prevede, sempre al fine di dare più adeguate garanzie ai pensionati e agli iscritti, anche la possibilità che i fondi preesistenti, gestite a ripartizione, possano adottare il sistema della capitalizzazione. Facoltà che è stata spesso utilizzata mediante l'istituzione di un nuovo fondo pensione chiuso a favore dei lavoratori iscritti, mentre l’obbligo di erogare le pensioni già maturate continuava a gravare sul fondo preesistente, oramai ad esaurimento, e si trattava di un fondo interno, sul datore. Per garantire una disciplina uniforme per tutti i fondi pensione, la legge ha disposto che le forme di previdenza preesistenti siano tenute definitivamente ad adeguarsi alle nuove disposizioni dettate per le forme di previdenza complementare di nuova istituzione, “secondo i criteri, le modalità e i tempi” stabiliti da apposito decreto ministeriale. Capitolo dodicesimo. LA TUTELA DEI DIRITTI DEI SOGGETTI PROTETTI 181. I procedimenti amministrativi Chi intende conseguire la prestazione previdenziale deve farne anzitutto domanda all’ente competente. Trascorsi 120 giorni dal deposito senza che l’ente si sia pronunciato, la domanda si intende ad ogni effetto respinta. Per ottenere le prestazioni ingiustamente negate dagli enti previdenziali, può essere proposta l’azione davanti al giudice ordinario. La legge, al fine di evitare agli enti previdenziali il giudizio ordinario e di consentire loro l’esercizio dell’autotutela, imponga, a chi intende agire per la soddisfazione del suo diritto alle prestazioni previdenziali, l’onere di esperire un procedimento amministrativo (detto ricorso amministrativo) che è condizione di procedibilità dell’azione giudiziaria. Sono esclusi i provvedimenti emanati all’esito delle procedure sul riconoscimento dei benefici riguardanti l’invalidità e la cecità civile, il sordomutismo, l’handicap e la disabilità ai fini del collocamento obbligatorio al lavoro. In questi casi, il soggetto protetto, per tutelare il suo diritto, deve proporre direttamente azione giudiziaria, entro il termina di decadenza di sei mesi dalla data di comunicazione del provvedimento amministrativo di diniego. Per evitare che il comportamento dell’ente previdenziale possa eccessivamente riguardare la soddisfazione dell’interesse del soggetto protetto, la legge ha disposto il meccanismo del silenzio-rigetto. Pertanto, l’azione giudiziaria è sempre procedibile quando siano “trascorsi inutilmente novanta giorni dalla data della presentazione del ricorso” con riguardo alle impugnazioni proposte dinnanzi al Comitato provinciale dell’INPS. Ad ulteriore garanzia della più immediata soddisfazione possibile degli interessi connessi alla realizzazione della tutela previdenziale, la legge dispone che nei procedimenti amministrativi, non si tenga conto dei vizi, delle preclusioni e delle decadenze verificatesi. I termini per la proposizione del ricorso amministrativo, come i termini concessi agli organi dell’Ente previdenziale per l’adozione dei provvedimenti di loro competenza, non sono termini perentori e il loro mancato rispetto non incide sul diritto alla prestazione previdenziale. Per quanto attiene alle forme di tutela previdenziale gestite dall’INPS, la legge ha realizzato un decentramento a livello provinciale della competenza a decidere sui ricorsi amministrativi concernenti le prestazioni, affidata al comitato provinciale. 62