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Riassunto Principi di diritto delle organizzazioni internazionali, Draetta, Dispense di Diritto Internazionale

Riassunto libro Principi di diritto delle organizzazioni internazionali, Draetta, corso Diritto delle organizzazioni internazionali aa 2022-2023

Tipologia: Dispense

2022/2023
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Scarica Riassunto Principi di diritto delle organizzazioni internazionali, Draetta e più Dispense in PDF di Diritto Internazionale solo su Docsity! Principi di diritto delle organizzazioni internazionali CAPITOLO 1 - Le organizzazioni e internazionali e i loro membri 1. La comunità internazionale e le sue norme La comunità internazionale che raggruppa i soggetti di diritto internazionale è fondamentalmente una comunità anorganica, nel senso che non ha apposite strutture o apparati per porre norme a carattere generale, né per assicurarne il rispetto in maniera coercitiva. Di questi compiti si incaricano i membri della comunità internazionale, cioè gli Stati, che detengono il monopolio del potere coercitivo. Tale anorganicità della comunità internazionale è infatti la conseguenza del carattere indipendente e sovrano dei suoi membri, carattere incompatibile con l’assoggettamento a qualsiasi forma di autorità sovraordinata. La dottrina positivista tradizionale riconosceva nelle norme pattizie le uniche norme di diritto internazionale, e nell’autotutela individuale (o legittima difesa) l’unica forma di garanzia dell’attuazione di tali norme; finiva però per negare l’esistenza di un diritto internazionale, in quanto non riusciva a spiegare sulla base di quale norma superiore d’ordine generale le norme pattizie fossero vincolanti. Inoltre, la legittima difesa non può costituire la garanzia di un ordinamento in quanto la sua natura è quella di una sanzione normativa che presuppone, quindi, un ordinamento giuridico. Infatti, la legittima difesa ha l’effetto di rimuovere, in determinate condizioni, l’antigiuridicità di un comportamento, e ciò presuppone quindi l’esistenza di norme che sanciscano tale antigiuridicità. Un’altra ipotesi è che, in alcuni casi di coincidenza di interessi tra le parti stipulanti, la norma pattizia internazionale abbia la forza di svincolarsi dalla volontà di tali parti ed elevarsi al di sopra delle stesse, cosicché queste ne risultano assoggettate. La norma base da cui far derivare la giuridicità di tutte le altre sarebbe quindi pacta sunt servanda (i patti devono essere rispettati) o consuetudo est servanda (la consuetudine va rispettata). In realtà, la norma giuridica non è che la regolamentazione dei rapporti che inevitabilmente si instaurano tra i membri di ogni comunità in quanto societas e trova la sua giustificazione nel fatto sociale: le norme che regolano gli aspetti essenziali della convivenza tra i membri di una qualsiasi societas sono l’espressione della volontà comune di tali membri agenti uti universi. Tale volontà rappresenta gli interessi generali della comunità, e quindi si impone a quella dei singoli membri in quanto portatori di interessi particolari (Ubi societas ibi auctoritas, ubi auctoritas ibi jus -> dove c’è una società c’è autorità, dove c’è autorità c’è la legge); la dialettica del diritto è nell’antitesi tra interesse individuale e interesse collettivo, nonché tra i membri di una comunità che agiscono uti singuli e tra gli stessi membri che agiscono uti universi. Al di sopra degli stati uti singuli vi è l’autorità del corpo sociale costituito dagli stati uti universi, capace di esprimere, senza che sia necessaria l’esistenza di nessun apparato, norme che si impongono agli stati stessi individualmente considerati. Le norme a carattere generale hanno il nome di consuetudini, alle quali alcuni aggiungono i principi. Tali norme sono giuridiche, in quanto provviste dei caratteri della generalità e della obbligatorietà: la vera e ultima sanzione della norma internazionale generale è la reazione del corpo sociale di fronte alla violazione della norma stessa, reazione che assume la caratteristica figura dell’intervento o legittima difesa collettiva (l’art. 51 della Carta ONU definisce come naturale questo diritto). Altre pretese e fallaci garanzie della norma internazionale: 1. Reciprocità (si basa su di un equilibrio meccanico e contingente) 2. Spontanea osservanza (elude il vero problema dell’osservanza anche contro la volontà dei soggetti) 3. Sanzioni mutuate dal diritto interno (norma internazionale diverrebbe una provincia dei vari ordinamenti interni) Il diritto internazionale pattizio ha introdotto una serie di sanzioni di natura secondaria per garantire l’osservanza di tali norme, ad esempio il sistema di sanzioni previsto dall’ordinamento delle NU e da quello dell’UE. Ci sono tuttavia alcune limitazioni alla giuridicità della norma internazionale, dovute sempre alla natura sovrana degli stati e al fatto che la sua attuazione non può essere affidata a organi sovraordinati a questi ultimi. Il limite più importante è il fatto che le norme internazionali sono volte soltanto a regolare gli aspetti essenziali della convivenza tra stati (diritto della coesistenza), come ad esempio la formazione delle norme giuridiche, il rispetto dei trattati, la tutela degli agenti diplomatici o la protezione dell’esercizio da parte degli stati delle attività interne. D’altro canto, le norme internazionali generali non si prestano a dirimere i 1 casi di conflitti di interessi tra stati, né a disciplinare forme di effettiva collaborazione (diritto di cooperazione). Di ciò si occupano invece le norme di origine pattizia, gli accordi, la cui giuridicità si fonda sul principio “pacta sunt servanda” -> la produzione di accordi nella comunità internazionale è l’equivalente della funzione legislativa nelle comunità statali. Attraverso gli accordi gli stati regolano i rapporti, dirimono le controversie e stabiliscono forme di cooperazione. Gli stati possono cooperare agendo direttamente attraverso una condotta comune a tutti gli stati membri dell’accordo, oppure creando degli appositi apparati cui tale condotta comune viene demandata. Tali apparati possono essere organi comuni degli stati stessi, cosicché la volontà che essi manifestano si imputa direttamente a ciascuno degli stati tra i quali gli organi sono comuni. In forme di cooperazione più evolute gli apparati possono anche farsi portatori di un interesse proprio, ed è questo il caso delle organizzazioni internazionali: in questo caso la volontà manifestata dall’apparato in questione si imputa non agli stati ma all’apparato stesso, che diventa quindi un vero e proprio soggetto di diritto internazionale al fianco degli stati. 2. Le varie forme di cooperazione tra stati Gli stati possono cooperare anche al di fuori dell’ambito del diritto internazionale, allorché, nell’ambito del diritto interno di uno di essi istituiscono, ad esempio, un ente (una scuola, una biblioteca) destinato a svolgere attività esclusivamente all’interno di tale ordinamento; esso può essere istituito a volte anche attraverso un trattato internazionale, ma ciò non vale a mutare la natura prettamente interna della struttura. In ambito invece di diritto internazionale, gli stati attribuiscono alle organizzazioni internazionali la titolarità e la gestione dell’interesse comune. Nelle materie oggetto della cooperazione l’apparato in cui consiste l’organizzazione internazionale si sostituisce quindi agli stati stessi (nel caso in cui gli stati ravvisassero come comuni tutti i loro interessi e li affidassero irreversibilmente ad un’organizzazione internazionale il fenomeno da internazionale diverrebbe costituzionale, nascerebbe un organismo federale). Prima ancora di cooperare tra loro gli stati necessitano di stabilire dei contatti reciproci, attraverso: 1) Le ambascerie (carattere permanente dal XV secolo), che si caratterizzano per la loro bilateralità e per la loro generalità. Le norme che regolano le ambascerie sono spesso di natura consuetudinaria. 2) Conferenze internazionali: la prima grande conferenza internazionale fu il congresso di Westfalia del 1648. Attraverso le conferenze gli stati instaurano contatti multilaterali e allo stesso tempo specifici, creando riunioni di organi -> ogni delegato rappresenta il proprio stato ed è tenuto a farne gli interessi. L’atto finale approvato si imputa simultaneamente a ciascuno degli stati partecipanti, ma non è pensabile che tale atto vincoli uno stato non consenziente. Inoltre, l’impegno assunto dai delegati dei vari stati non è mai definitivo, in quanto è sempre necessaria la ratifica secondo i principi costituzionali interni perché questi entrino in vigore (per quanto riguarda i trattati non conclusi in forma semplificata). Il successo di una conferenza deriva dalla convergenza degli interessi particolari di tutti gli stati che vi partecipano. Gli stati, in definitiva, possono: 1) Usare strumenti giuridicamente vincolanti come un trattato 2) Ricorrere a provvedimenti non vincolanti come ad esempio le raccomandazioni 3) Porre in essere strumenti di soft law, quali dichiarazioni, inviti o auspici Sempre più spesso, però, gli stati desiderano spingersi oltre e instaurare tra di loro forme permanenti di cooperazione meno rudimentali in tutte quelle materie in cui appare chiaro che, essendovi un bisogno comune, una condotta comune unitaria è più efficace di una semplice attività occasionalmente concertata e produce migliori risultati. Sono varie le forme di collaborazione che gli stati possono adoperare in caso di condotta comune: 1) Rappresentanza: l’organo dello stato rappresentante svolge i suoi compiti per lo stato rappresentato. Ciò avviene spesso nel campo diplomatico (es. art 23 TFUE prevede che ogni ambasceria di ogni stato membro dell’UE in un paese terzo possa rappresentare gli interessi dei cittadini degli altri stati membri). NB: l’organo dello stato rappresentante non svolge il suo ruolo contemporaneamente per lo stato di appartenenza e per lo stato rappresentato, ma di volta in volta per l’uno o per l’altro. Rapporto di rappresentanza è res inter alios acta (un contratto non può influire su terze parti, è ad efficacia diretta) per i soggetti terzi, per cui serve il loro consenso preventivo. 2 - La compatibilità dei loro fini con quelli dello statuto delle NU - Una dichiarazione di appoggio all’azione delle NU - Il loro carattere rappresentativo e di riconosciuto rilievo internazionale - Uno statuto democratico - L’esistenza di un Segretariato permanente Lo status consultivo implica la possibilità di partecipare, senza diritto di voto, alle riunioni dei vari organi delle NU (eccetto CdS) e l’accesso ai finanziamenti erogati dalle NU. La risoluzione n. 31 del 24 Luglio 1996 parla poi di 3 classi di status consultivo: - Generale (attività delle ONG si esplica nella maggior parte dei settori di competenza del CEeS) - Speciale (ONG dotate di competenze specifiche solo in alcuni settori di attività del CEeS) - Roster (ONG che possono dare un contributo occasionale ai lavori del CEeS) Il mantenimento di tale status è subordinato a un controllo periodico della conformità con i principi; nel caso di esito negativo o insufficiente lo status può essere ritirato o sospeso. La risoluzione 31/1996 si spinge anche a disciplinare la partecipazione delle ONG ai lavori delle conferenze internazionali convocate dalle NU: benché la risoluzione specifichi che tale partecipazione non implica il coinvolgimento delle ONG nei negoziati, nella pratica esse sono associate al processo di formazione delle norme internazionali. Questa partecipazione può assumere gradi diversi di intensità: in alcuni casi tali organizzazioni possono limitarsi a promuovere direttamente l’iniziativa di elaborare un testo normativo, oppure possono associare la propria azione a un’iniziativa proveniente da altri soggetti; alle ONG viene chiesto di collaborare ad un lavoro pre-normativo in qualità di esperti, fornendo informazioni utili, trasmettendo l’esperienza sul campo, ecc. In altri casi, l’intervento delle ONG comporta un contributo diretto alla formulazione di un testo normativo durante i negoziati, e in questo modo esse possono contribuire a creare un certo ambiente d’idee e svolgere un’azione di lobbying, con effetti di ricaduta sull’opinio iuris degli stati. Le ONG possono, inoltre, svolgere un’attività normativa creatrice in settori specifici (es. il testo del trattato sulla messa al bando delle mine antiuomo adottato a Ottawa del 1997 e il progetto proposto da International campaign to ban landmines presentano un alto grado di similitudini). Ancora, le ONG svolgono un'importante funzione di controllo sull’attuazione e l’applicazione delle norme internazionali. Infine, le ONG anche nell’ambito di procedimenti giurisdizionali o arbitrali, nelle vesti di amicus curiae, sono in grado di fornire al giudice internazionale elementi di fatto e di diritto utili per la decisione. In conclusione, le organizzazioni non governative rispondono alla diffusa esigenza di internazionalizzazione della vita dei singoli. L’attività di queste è strettamente coordinata e strumentale alle Organizzazioni Governative rispetto alle quali le prime hanno spesso il vantaggio di poter operare con maggiore flessibilità. L’Assemblea Generale dell'ONU ha esortato tutti gli Stati a facilitare l’ingresso nel proprio territorio delle organizzazioni internazionali operanti nel campo umanitario come Medici Senza Frontiere. Quanto al Comitato internazionale della Croce Rossa, le Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949 di diritto internazionale umanitario ne contemplano le funzioni, al rispetto delle quali gli Stati sono internazionalmente obbligati. 4. Modalità di costituzione delle organizzazioni internazionali. Le organizzazioni internazionali sorgono da un vincolo associativo che si costituisce secondo le regole del diritto internazionale e sono assoggettate, per quanto riguarda i loro rapporti con gli Stati membri, al diritto internazionale. Il trattato è il mezzo normale attraverso cui si costituisce una organizzazione internazionale (include accordi conclusi in forma semplificata e accordi taciti). Visto che alla costituzione di una organizzazione internazionale possono anche partecipare altre organizzazioni, l’intervento degli Stati membri può addirittura ridursi alla semplice ratifica di quello che formalmente appare come l’atto di una organizzazione internazionale, ma sostanzialmente è un vero e proprio trattato internazionale. L’organizzazione internazionale non esiste indipendentemente o autonomamente dai suoi organi, quindi non basta la conclusione dell’accordo perché l’organizzazione venga ad esistenza: tale condizione è necessaria ma non sufficiente. Il principio dell’effettività infatti richiede che la struttura posta in essere dall’accordo inizi in concreto ad operare. Tra la conclusione dell’accordo costitutivo e la venuta in essere di una organizzazione internazionale può trascorrere un lasso di tempo anche notevole (nel caso dell’IMCO occorsero 10 anni ’48-’58). Può darsi anche che l’organizzazione internazionale non venga mai in essere (Comunità Europea di Difesa CED del 1952). Spesso gli stati istituiscono una commissione preparatoria (Preparatory Commission) per gestire 5 questa fase di transizione (come avvenuto prima della nascita delle NU), oppure istituiscono organizzazioni ad interim destinate ad operare prima della venuta in essere della organizzazione definitiva (PICAO provisional international civil aviation organization, dal 6 Giugno 1945 fino al 4 Aprile 1947, quando l’atto istitutivo dell’ICAO entrò in vigore). Il trattato con cui viene costituita un’organizzazione internazionale non è diverso nei suoi effetti da qualsiasi altro trattato (l’ipotesi che il trattato istitutivo dell’UE sia un traités constitution, avente un rango in qualche modo superiore ad altre norme pattizie, rimane priva di fondamento nella pratica) e, quindi, non può che avere efficacia inter partes e ogni efficacia nei confronti di terzi è da escludere (dopo aver assunto personalità giuridica int, l’org potrà intrattenere rapporti con tutti i soggetti di diritto int indipendentemente dalle previsioni del trattato costitutivo). Gli stati conservano sempre, come per tutti gli altri trattati, il potere di modificare i trattati istitutivi delle organizzazioni internazionali di cui sono membri (c.d. procedimento esterno o extra-organico di modifica). Anche quando le clausole statutarie affidano in via concorrente o esclusiva agli organi sociali dell’ente il compito di provvedere all’elaborazione e all’adozione delle nuove norme emendate (c.d. procedimento organico di modifica), ciò si verifica pur sempre perché gli stati membri vi hanno preventivamente consentito. In effetti, gli statuti di molte organizzazioni internazionali prevedono per l’introduzione di modifiche una procedura complessa, ove la volontà dell’ente, espressa in una delibera sociale, si accompagna a dichiarazioni di volontà negoziale da parte dei singoli membri o di una maggioranza di essi. Le organizzazioni internazionali sono enti strumentali a carattere funzionale e di natura ausiliaria rispetto agli stati membri, i quali conservano nei loro confronti il potere costituente. Due eccezioni alla regola: 1) Il trattato istitutivo non può in linea di massima essere oggetto di riserve, data l’esigenza che tutti gli stati membri dell’organizzazione siano vincolati dalle medesime regole. Secondo l’art.20, n.3 della Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati, quando un trattato è un atto costitutivo di una organizzazione internazionale, a meno che esso non preveda diversamente, l’apposizione di una riserva richiede l’accettazione dell’organo competente di questa organizzazione. Le cooperazioni rafforzate che, nell’ambito dell’Unione Europea, consentono l’assunzione di vincoli da parte di alcuni soltanto degli Stati membri, sono un’eccezione. 2) Il trattato istitutivo di una organizzazione internazionale tende a prevalere su tutte le altre norme convenzionali tra gli stati membri nelle materie rientranti nelle competenze attribuite all’organizzazione stessa (espressamente prevista dall’art. 103 della carta delle NU, mentre l’art. 351 TFUE impone agli stati membri dell’UE l’obbligo di ricorrere a tutti i mezzi atti ad eliminare le incompatibilità che dovessero derivare da altri accordi internazionali). All’interno di un trattato istitutivo vanno distinti due ordini di norme, che sono sempre e comunque res inter alios acta: 1) Da una parte ci sono le norme relative alla costituzione stessa dell’organizzazione internazionale, la sua membership e i diritti e doveri degli stati membri tra loro → tali norme costituiscono la c.d. costituzione esterna ed equivalgono a quello che, nel diritto interno, è l’atto costitutivo. 2) Le norme relative alla struttura dell’organizzazione, alla composizione e al funzionamento dei suoi organi, e ai poteri degli stessi costituiscono la c.d. costituzione interna ed equivalgono a quello che in diritto interno è lo statuto sociale → la loro obbligatorietà deriva dal preventivo assenso espresso dagli stati membri nella costituzione esterna. Si dice che le norme della costituzione interna sono derivate rispetto a quelle della costituzione esterna. La costituzione interna può a sua volta prevedere che gli organi delle organizzazioni internazionali emanino atti muniti di una varia rilevanza giuridica. La giuridicità di tali atti riposa su norme della costituzione interna, nei cui confronti essi assumono un carattere derivato. Ci si riferisce, parlando di tali atti, al diritto derivato o secondario delle organizzazioni internazionali, riservando la definizione di diritto primario alle norme dell’atto costitutivo e dello statuto. Il fatto che alla base di un’organizzazione internazionale vi sia un trattato implica che essa viene a esistere o cessa di esistere nello stesso momento rispetto a tutti i soggetti della comunità internazionale. Anche l'estinzione di un’organizzazione internazionale, come la sua venuta in essere, è un puro fatto, non un atto giuridico, com’è confermato dal fatto che non esistono norme giuridiche uniformi concernenti tale estinzione. Un’organizzazione internazionale cessa di esistere quando i suoi organi risultano incapaci, in maniera non temporanea, di esplicare le funzioni loro affidate. L’estinzione può anche essere contemplata dallo stesso atto istitutivo, se gli stati membri avevano già in partenza previsto una durata limitata per l’organizzazione (come è stato il caso della CECA che aveva una durata di 50 anni secondo articolo 97 del 6 Trattato CECA) o se ne prevedono espressamente la liquidazione. La cessazione dell’attività di un'organizzazione internazionale può avvenire anche quando i suoi compiti sono considerati come esauriti dagli Stati membri (IRO sciolta nel 1952 a causa della sostanziale riduzione del problema dei rifugiati in Europa). Oppure la cessazione dell'attività può derivare dal fatto che mutate condizioni politiche rendono gli organi della stessa incapaci di operare, come avvenuto per la società delle Nazioni. L'atto costitutivo può prevedere l'estinzione dell'organizzazione quando la sua membership scende al di sotto di una determinata soglia (5 membri ai sensi dell'articolo 25 dello statuto dell’European Space Agency). L'estinzione dell'organizzazione può anche risultare da una delibera del suo organo assembleare. Può verificarsi, infine, che una nuova organizzazione subentri nello svolgimento dei compiti di una preesistente organizzazione: ad essa corrisponde il trasferimento di alcune delle sue funzioni residue. La successione però non è automatica. 5. La Membership delle organizzazioni internazionali I soggetti che possono divenire membri di un’organizzazione internazionale sono quelli che, secondo il diritto internazionale, sono considerati Stati e quindi dotati di un apparato effettivo e indipendente di governo di una comunità territoriale → in linea di principio non è di ostacolo il fatto che tale Stato non goda del riconoscimento da parte di alcuni stati terzi. Anche i c.d. ministati, secondo la prassi corrente, possono essere membri di organizzazioni internazionali (anche se a causa delle scarse dimensioni hanno difficoltà a esercitare i diritti e adempiere i doveri derivanti da tale appartenenza). Da tempi relativamente recenti, inoltre, alcune organizzazioni internazionali possono partecipare a altre organizzazioni internazionali in quanto esse, nell’esercizio delle loro competenze esterne, pongono in essere forme di collaborazione istituzionalizzata con altri soggetti di diritto internazionale (es: gli accordi di associazione stipulati dall’UE con paesi terzi). Il trasferimento di competenze da parte degli Stati membri all’organizzazione internazionale da essi costituita può rendere inevitabile che sia quest’ultima a partecipare a sua volta a quelle organizzazioni internazionali operanti nelle sfere di competenze così trasferite. Si tratta, in tali casi, di una membership dettata da esigenze di carattere strettamente funzionale (l’art. XI dell’accordo istitutivo della WTO contempla espressamente l’UE come membro originale dell’organizzazione. Inoltre, essendo di competenza dell’UE politiche quali quelle agricola e della pesca, l’UE è divenuta membro della FAO. E’ stato a riguardo necessario modificare preventivamente l’art. II dello statuto della FAO stessa, in modo da consentire l’ammissione, accanto agli stati, di organizzazioni regionali d’integrazione economica). Stati terzi facenti parte di una Organizzazione non sono tenuti ad accettare un’organizzazione internazionale come membro di un’altra organizzazione internazionale di cui facciano già parte alcuni o tutti i membri della prima, potendo preferire trattare esclusivamente con i suoi membri. Anche gli stessi stati membri potrebbero preferire di continuare a partecipare all’organizzazione a titolo individuale, per non perdere il numero di voto. Ciò spiega anche la partecipazione di stati federati (Bielorussia ed Ucraina), e quindi non sovrani, alle NU: tale partecipazione rispondeva semplicemente al desiderio dell’Unione Sovietica di avere un maggior numero di voti in seno all’Assemblea Generale delle NU, desiderio cui gli altri membri fondatori hanno ritenuto di poter aderire, anche per ovviare all’isolamento e alla diffidenza dell’Unione Sovietica al momento della costituzione delle NU. Accanto alla piena membership esistono forme di partecipazione affievolita che comportano in genere limitazioni al diritto di partecipare alla vita associativa e in particolare al diritto di voto: - Osservatori o Cooperatori -> stati terzi interessati alla vita dell’organizzazione, è semplicemente un ospite permanente dell’organizzazione internazionale stessa e partecipa solo occasionalmente ai lavori di uno o più organi dell’org. - Associati -> entità politiche che non possono essere considerate veri e propri stati (come l’OLP) e ONG, con funzioni consultive. Può partecipare alle attività di alcuni soltanto degli organi dell’organizzazione internazionale → da non confondere con gli stati associati nell’ambito dell’UE: gli stati associati dell’UE non partecipano in alcun modo alla vita dell’UE ma instaurano con quest’ultima una collaborazione istituzionalizzata che spesso costituisce a sua volta una forma di organizzazione internazionale Infine, è esclusa la partecipazione di persone fisiche o giuridiche a organizzazioni internazionali. 6. L’acquisto e la perdita della qualità di membro di una organizzazione internazionale Le vicende relative alla membership, ovvero il suo acquisto e la sua perdita, non coincidono con quelle relative alle organizzazioni internazionali se non in occasione di due momenti ben precisi: 7 internazionale (ad esempio, il membro della BANK che cessi di appartenere all’IMF cessa automaticamente, dopo tre mesi, di essere membro della BANK). Il recesso nell’UE La disciplina del recesso dall’UE è regolata dall’articolo 50 TUE, introdotto con il trattato di Lisbona. In precedenza si riteneva che uno Stato membro avrebbe potuto comunque recedere dalla UE con il consenso di tutti gli altri Stati membri, oppure in caso di mutamento fondamentale delle circostanze. Con l’introduzione di questo articolo, invece, il diritto di recesso è riconosciuto espressamente a qualsiasi Stato membro, in qualsiasi momento, senza necessità di addurre motivazioni e senza bisogno di assenso degli altri Stati membri o dell’UE. Le uniche formalità cui l’articolo assoggetta il recesso consistono nel requisito di una notifica al Consiglio europeo, da parte dello Stato recedente, della propria intenzione di uscire dalla UE, cui fa seguito un negoziato tra l'UE e questo Stato, volto a raggiungere un accordo sulle modalità del recesso. Il tutto avviene secondo le modalità previste dall’art. 218 TFUE per i comuni accordi internazionali dell’UE: la decisione richiede la previa approvazione del Parlamento europeo, ed è adottata dal Consiglio deliberando alla maggioranza qualificata, ossia con il voto favorevole di almeno il 72% dei membri del Consiglio partecipanti alla decisione, i quali rappresentino almeno il 65% della popolazione degli Stati membri in questione. L’accordo relativo alle modalità del recesso viene concluso con lo Stato recedente dalla UE e non dai suoi Stati membri. I suoi contenuti vanno definiti “tenendo conto del quadro delle future relazioni” tra l’Unione Europea e lo Stato recedente, che dovranno essere regolate mediante ulteriori accordi una volta che il recesso sia divenuto effettivo. L’articolo 50 considera anche l’ipotesi che l’Unione Europea e lo Stato recedente non riescano a concludere l’accordo di recesso. Esso dispone che i trattati cessino di applicarsi a tale Stato “a decorrere dalla data di entrata in vigore dell’accordo di recesso o, in mancanza di tale accordo, due anni dopo la notifica”. Questo termine è prorogabile. La procedura prevista dall’articolo 50 è stata attivata per la prima volta dal Regno Unito, che a seguito del referendum (Brexit), ha notificato la propria intenzione di recedere dall’UE nel 2017. I negoziati si sono concentrati sulla necessità di salvaguardare i diritti dei cittadini di ciascuna delle due parti soggiornanti nel territorio dell’altra al momento del recesso, sulla liquidazione degli impegni finanziari derivanti dall’appartenenza del Regno Unito all’UE e sulla questione del confine tra Irlanda e Irlanda del Nord. Poi c’è stato il passaggio a una seconda fase del negoziato, cioè definire il quadro delle future relazioni tra l’Unione Europea e il RU. Il recesso formale del UK dall’Unione Europea è avvenuto il 31 gennaio 2020. L’articolo 50 dispone che, se lo Stato che ha receduto dall’Unione Europea chiede di aderirvi nuovamente, si applica la normale procedura di adesione di cui all’articolo 49. 7. Il rapporto sociale: diritti ed obblighi dei membri delle organizzazioni internazionali. L’insieme dei diritti e obblighi reciproci connessi con lo status di membro costituisce il cosiddetto rapporto sociale (o associativo), che fa parte della costituzione esterna dell’organizzazione. I vincoli che legano tra loro i membri di una organizzazione internazionale sono soltanto di natura volontaria. I diritti connessi con lo status sono essenzialmente quelli di partecipare alla vita sociale, di pretendere dagli altri membri il rispetto dei loro obblighi associativi e di usufruire dei servizi eventualmente forniti dall’organizzazione ai suoi membri. La partecipazione alla vita sociale presuppone il diritto a nominare propri rappresentanti negli organi collegiali di Stati, all’interno dei quali essi possiedono il diritto di voto. In linea generale il diritto di voto è uguale per tutti i membri (principio noto come “uno stato un voto”). Vi sono però eccezioni: - Il voto può essere ponderato, nel senso dell’attribuzione al voto di un membro di un peso quantitativamente maggiore rispetto a quello di altri membri. - Il voto può tenere conto dell’impegno economico dei vari membri nell’organizzazione, analogamente a quanto avviene nell’assemblea di una società per azioni (ex. art. XII, sez.5, dell’accordo istitutivo del FMI il quale prevede che ciascun membro, per le votazioni in seno al Consiglio dei Governatori, ha diritto a 250 voti + un voto per ogni parte della sua quota equivalente a centomila diritti speciali di prelievo). - Al voto di alcuni membri può essere attribuito un peso decisivo: è il caso ad esempio del diritto di veto attribuito ai membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle NU. - Il voto può essere affievolito o sospeso in determinate circostanze (es. l’art.19 dello statuto delle NU prevede che un membro delle NU che sia in arretrato nel pagamento dei suoi contributi finanziari non ha voto nell’Assemblea Generale se l’ammontare dei suoi pagamenti arretrati eguagli o superi l’ammontare dei contributi da tale membro dovuti per i due anni interi precedenti.) La prassi applicativa di tali norme non è mai stata improntata alla rigidità, particolarmente nel caso in cui l’inadempimento riguardi i contributi finanziari ed è dovuto a cause al di fuori del controllo del membro in questione (art.19 dello statuto delle NU), oppure è in qualche modo giustificabile perché lo stato inadempiente 10 contestava la legittimità dei contributi (così, esplicitamente, la risoluzione del’1 settembre 1965 dell’Assemblea Generale delle NU). A fronte di sostanziali ritardi nel pagamento dei contributi alle NU da parte della Francia e dei paesi dell’Europa Orientale, l’Assemblea Generale, nel 1964, ha preferito non tenere le sue sessioni piuttosto che negare il diritto di voto agli Stati inadempienti. Il diritto di pretendere dagli altri membri il rispetto degli obblighi sociali gode a volte di sanzioni specifiche dell’ordinamento proprio dell’organizzazione in questione, che quindi sono secondarie rispetto a quelle previste dall’ordinamento internazionale generale. Queste sanzioni possono essere normative, ovvero rimuovono la illiceità del comportamento dello stato offeso quando ciò serve a contrastare la violazione dei suoi obblighi da parte di un altro stato membro, in forma di autodifesa individuale. In generale, il diritto dei trattati, secondo l’art 60 della Convenzione di Vienna 69, legittima gli stati a sollevare l’eccezione di inadempimento rispetto allo stato che abbia violato i suoi obblighi. Altro diritto riguarda la possibilità di usufruire dei servizi che l’organizzazione offre ai suoi membri (la possibilità di ricorso alle risorse dell'FMI o ai prestiti della BANK per i membri di queste organizzazioni). Gli obblighi connessi con lo status di membro, invece, sono: • Cooperare con l’organizzazione stessa in modo da consentirle di realizzare le finalità per le quali è stata costituita e proteggerne le funzioni attraverso la concessione, ad essa e ai suoi agenti, di una serie di immunità e privilegi. • Gli Stati membri sono obbligati a dare attuazione nel proprio ordinamento interno alle norme contenute nei trattati costitutivi delle organizzazioni di cui sono membri e negli atti emanati dagli organi di queste ultime. • Obblighi statutari relativi al finanziamento dell’organizzazione Oltre al principio pacta sunt servanda, che già di per sé obbligherebbe gli stati al rispetto di tali obblighi, è applicabile anche l’art.26 della Convenzione di Vienna 69, secondo cui “ogni trattato in vigore obbliga le parti e deve essere da esse eseguito in buona fede”. Tuttavia, non è raro che gli statuti delle organizzazioni internazionali ribadiscano l’obbligo degli Stati membri di conformarsi alle disposizioni degli statuti stessi e del diritto derivato nonché quello di facilitare l’organizzazione nell’adempimento dei propri compiti e di astenersi da misure che possano compromettere tale adempimento (ex: l’obbligo di leale cooperazione tra l’UE e gli Stati membri all’art.4, n.3, TUE). Alla loro violazione si ricollegano delle sanzioni, quali la possibilità di ricorrere a un organo giurisdizionale interno, che assumono carattere secondario rispetto al sistema sanzionatorio primario derivante dal diritto internazionale generale. Alcune organizzazioni internazionali prevedono sistemi di monitoraggio degli obblighi degli stati membri, affidati agli stati membri stessi (peer review) o agli organi dell’organizzazione (compliance review). Molto spesso è prevista una gradualità delle sanzioni, nel senso di un aggravamento delle stesse se la violazione persiste e si aggrava o in relazione al decorso del tempo senza che lo stato abbia posto rimedio alla violazione stessa. Di fronte ad uno Stato che per ragioni diverse non è in grado di adempiere alcuni degli impegni assunti, l’organizzazione internazionale potrà essere indotta a fornire assistenza o a promuovere incentivi volti al superamento delle difficoltà così da assicurare l’adempimento spontaneo degli obblighi assunti e la cessazione della loro violazione, piuttosto che ricorrere immediatamente al sistema sanzionatorio. Il regime sanzionatorio dell’UE prevede la possibilità di adire la Corte di Giustizia dell’UE da parte degli stati membri oppure, se la violazione riguarda i principi fondanti di cui all’art. 2 TUE, l’art.7 TUE contempla una procedura d’allarme e una procedura ordinaria. Procedura d’allarme (art.7, n.1, TUE): Il Consiglio, deliberando con l’inusuale maggioranza dei quattro quinti dei suoi membri, “può constatare che esiste un evidente rischio di violazione grave da parte di uno stato membro”. La delibera del Consiglio può aver luogo solo su proposta di un terzo degli stati membri, del Parlamento europeo o della Commissione. Essa deve essere precedentemente munita dell’approvazione del Parlamento europeo che delibera, a riguardo, alla duplice maggioranza dei 2/3 dei voti espressi, che rappresentino la maggioranza dei suoi componenti. Non essendo ancora in atto una violazione dell’art.2 TUE, alla constatazione del Consiglio non sono collegate specifiche conseguenze giuridiche. La procedura d’allarme può (non deve) essere propedeutica a quella ordinaria. Procedura ordinaria (art.7, nn. 2-4, TUE): protagonista è il Consiglio europeo, il quale può constatare, con delibera da adottarsi all’unanimità, l’esistenza di una “violazione grave e persistente”. Essa deve essere preceduta da: (a) Una proposta di 1/3 degli stati membri o della Commissione (il potere d’iniziativa, a differenza di sopra, non è nelle mani del Parlamento); (b) 11 (b) L’invito allo Stato in questione a presentare le proprie osservazioni; (c) L’approvazione del Parlamento Europeo con la stessa maggioranza prevista per la procedura d’allarme. Una volta effettuata la constatazione di cui sopra, la parola ritorna dal Consiglio europeo, il quale può (non deve) deliberare alla maggioranza qualificata specificata (consenso di almeno il 72% dei membri del Consiglio partecipanti alla decisione, i quali rappresentino almeno il 65% della popolazione degli Stati membri in questione) di sospendere alcuni dei diritti derivanti allo stato membro in questione. Nel TUE non è prevista l’ipotesi di espulsione di uno Stato membro. 8. Gli obblighi degli stati membri relativi alle immunità e ai privilegi delle organizzazioni internazionali e dei loro agenti; gli accordi di sede. Tra gli obblighi degli Stati membri di un’organizzazione internazionale c’è quello di cooperare con l’organizzazione in modo da consentirle di realizzare le finalità per le quali è stata costituita e di proteggerne le funzioni attraverso la concessione ad essa ed ai suoi agenti di una serie di immunità e privilegi. Questo obbligo di ciascuno degli Stati membri, che è obbligo sia nei confronti degli altri Stati membri che dell’organizzazione, si concreta in appositi accordi i quali specificano la condotta che gli Stati devono seguire, sia allorché si tratta di fissare la sede dell’organizzazione in un territorio e di proteggerne il funzionamento e la libertà di accesso (accordi di sede), che di garantire le organizzazioni ed i loro agenti da indebite ingerenze dello Stato territoriale (accordi sull’immunità ed i privilegi delle organizzazioni). Entrambi gli accordi derivano dal più generale obbligo di cooperazione tra stati e organizzazione. Gli accordi sulle immunità sono conclusi tra gli Stati membri, mentre gli accordi di sede sono conclusi tra l’organizzazione e lo Stato della sede. Eventuali contrasti tra la disciplina contenuta nei due tipi di accordi vanno risolti a favore della disciplina contenuta negli accordi di sede, in quanto lex specialis. Un’organizzazione può decidere di scegliere la sua sede nello Stato ospite che le conceda un accordo di sede più favorevole. I privilegi e le immunità delle organizzazioni internazionali non sarebbero quindi ricollegabili all’eventuale soggettività di diritto internazionale delle organizzazioni ma al semplice obbligo di cooperazione degli Stati membri a favore dell’organizzazione internazionale trattandosi, quindi, di espressione di una necessità funzionale. Non esiste una norma di diritto internazionale generale che imponga a tutti gli Stati, membri e non, di garantire determinate immunità o privilegi alle organizzazioni internazionali, anche se esistono autorevoli opinioni in contrario secondo cui immunità e privilegi sarebbero stati inizialmente concessi alle organizzazioni internazionali sulla base di un’interpretazione estensiva della norma di diritto internazionale generale sulla immunità degli Stati e solo in seguito si sarebbe formata una norma consuetudinaria autonoma. Tuttavia la prassi pare evidenziare come gli Stati terzi garantiscano immunità e privilegi a organizzazioni internazionali di cui non fanno parte solo nei limiti di accordi che decidono liberamente di sottoscrivere. Diverso è invece il discorso per quanto riguarda le immunità e i privilegi degli Stati, i quali sono oggetto di una norma consuetudinaria di diritto internazionale generale volta a tutelarne la sovranità (par in parem non habet iudicium). Se il regime di immunità e privilegi delle organizzazioni internazionali dovesse ricondursi a una norma di diritto internazionale generale, solo le organizzazioni internazionali aventi personalità internazionale ne potrebbero beneficiare. Quando le organizzazioni internazionali sono dei soggetti di diritto internazionale si applicano sempre norme di diritto internazionale generale. In ogni caso, il regime di immunità e privilegi di cui godono le organizzazioni internazionali risulta in concreto dagli specifici accordi stipulati tra gli Stati membri. Tali accordi rispondono tutti a un’esigenza fondamentale, che è quella di garantire che l’organizzazione possa perseguire il suo fine (ovvero l’interesse degli stati membri uti universi) libera dalle ingerenze dello Stato territoriale e degli altri stati membri agenti uti singoli, come pure dall’illecito uso dei poteri dello Stato di appartenenza nei confronti degli agenti dell’organizzazione. Visto che le organizzazioni non dispongono né di un proprio territorio nel quale esercitare la loro attività, né di propri soggetti attraverso i quali esercitarla, esse agiscono nel territorio di uno Stato e si servono di cittadini di uno Stato. È quindi dall’ingerenza dello Stato territoriale che l’organizzazione deve essere protetta. Una norma comune ai vari accordi di sede e alle varie convenzioni sui privilegi e immunità riguarda l’inviolabilità della sede dell’organizzazione internazionale: lo Stato nel cui territorio tale sede è situata deve astenersi da ogni atto che costituisca esercizio del potere d’imperio in relazione a persone o cose che si trovano in tale sede (sono proibiti arresti, perquisizioni, sequestri, confische, espropriazioni, ecc., anche qualora i locali in questione siano di proprietà dello Stato ospite). Lo stato può, ovviamente, porre in essere gli atti suddetti quando l’organizzazione lo abbia autorizzato, rinunciando alla propria immunità. Inoltre, gli 12 La possibilità per una organizzazione internazionale di reperire direttamente risorse finanziarie proprie è indice di un livello di integrazione tra gli Stati membri più avanzato e senz’altro più stabile. I prelievi di questo tipo sono in genere su base volontaria, mentre i casi di prelievi coatti sugli individui da parte di organizzazioni internazionali nella storia si riducono a due: 1) La commissione Europea per il Danubio poteva stabilire ed esigere dei “diritti di navigazione” dagli utenti del fiume. 2) Nell’ambito della CECA, le imprese carbosiderurgiche degli stati membri erano tenute a dichiarare mensilmente il volume della propria attività e l’ammontare del prelievo che sulla base di essa erano tenute a corrispondere in base a decisione della CECA. Possibilità di controlli da parte della CECA e sanzioni per mancata o falsa dichiarazione. Le risorse proprie dell'UE, che non rientrano nella categoria dei prelievi coatti sugli individui, finanziano la maggior parte del bilancio dell’unione e non sono deliberate dai suoi organi ma dagli stati membri: praticamente accordi tra stati. Le risorse proprie sono: - Risorse proprie tradizionali: 1) Prelievi agricoli imposti a carico degli importatori da paesi terzi 2) Dazi doganali derivanti dall’applicazione della tariffa doganale comune. - La risorsa IVA: una percentuale aggiuntiva sull’imponibile IVA degli stati membri, determinato in modo uniforme. - La risorsa PNL: un’aliquota da fissarsi anno per anno sull’importo del prodotto nazionale lordo di ciascuno stato membro, calcolata tenendo conto di tutte le altre risorse. Tutte le risorse proprie sono riscosse dagli organi degli stati membri e versate alla commissione dell’UE, e sono quindi fondamentalmente contributi degli stati membri. I prelievi sugli individui delle altre organizzazioni internazionali hanno tutti il carattere di prelievi volontari. Tali prelievi sono di natura amministrativa e non legislativa, per cui non compromettono le prerogative sovrane degli stati membri, anche se in realtà non prescindono mai da una manifestazione di volontà dell’individuo. Sono costituiti in primis dalle trattenute sul reddito dei funzionari internazionali che sono esenti da imposte statali ma sono sottoposti, in genere, a trattenute da parte dell’organizzazione. Nel caso in cui la funzione dell’organizzazione sia quella di porre a disposizione degli individui un determinato servizio (es. Ufficio Europeo dei Brevetti con sede a Monaco, World Intellectual Property Organization, WIPO, che è una istituzione specializzata delle NU), si richiede il pagamento di determinati “diritti” da parte dei privati. Altro caso in cui il finanziamento delle organizzazioni internazionali si effettua senza intervento discrezionale da parte degli Stati membri, almeno in certa misura, riguarda le entrate di natura contrattuale, ed in particolar modo i prestiti ottenuti sul mercato finanziario ed i mutui concessi a terzi, ivi inclusi gli Stati membri. Rientrano in questa categoria di entrate i proventi derivanti dalla vendita di pubblicazioni, documenti, gadget, ecc. Tutte le altre forme di finanziamento sono invece costituite da contributi degli stati, comportando un minore grado di autonomia dell’organizzazione dagli stati membri. I contributi obbligatori possono essere previsti dall’atto costitutivo o da altri accordi, o anche da decisioni dell’organo assembleare. Gli stati membri hanno un vincolo giuridico che li costringe alla corresponsione puntuale dei contributi concordati. La ripartizione dei contributi può tradursi in un ammontare uguale per tutti, oppure, più spesso, in importi diversi da Stato a Stato. I criteri possono essere: 1) Classi di contribuzione 2) Rapporto di contribuzione/benefici, per quelle organizzazioni che forniscono prestazioni tecniche divisibili (es. ICAO, dove si tiene conto dell’importanza che riveste l’aviazione civile in ciascuno Stato membro) 3) Principio di proporzionalità che tiene conto della capacità contributiva degli Stati, secondo criteri quali la popolazione, la capacità industriale o commerciale o il reddito pro capite dei vari Stati membri. 4) Nel CdE vale il criterio demografico I contributi obbligatori degli Stati sono di solito a fondo perduto. In qualche caso, tuttavia, assumono carattere di contributi in conto capitale, relativamente a quelle organizzazioni che, per poter operare, dispongono di un “capitale proprio” (BANK, IMF, Banca Europea per gli Investimenti, dell’INTELSAT, ecc). Tali organizzazioni gestiscono delle attività che obbediscono alle leggi del mercato e devono pertanto disporre di una base finanziaria solida, che dia ai terzi il necessario affidamento. 15 Infine, le organizzazioni possono finanziarsi anche con contributi volontari degli Stati membri (quando si tratta di finanziare singole attività o operazioni che non si vogliono far gravare sul bilancio ordinario): in questi casi, la dipendenza economica dell’organizzazione dagli Stati membri, o dagli altri enti contribuenti, è massima. Il bilancio delle organizzazioni internazionali Tutte le entrate delle organizzazioni internazionali sono previste e autorizzate in un documento che è il bilancio dell’organizzazione, il quale contempla le spese della stessa, le quali possono essere: a) Amministrative: necessarie al funzionamento dell’organizzazione b) Operative: necessarie allo svolgimento della sua attività. Il principio che informa il bilancio è quello dell’equilibrio tra entrate e spese, ovvero il suo pareggio (esplicita previsione dell’art. 310, n. 1, co. 3, TFUE). Le organizzazioni internazionali infatti, a differenza degli Stati, non possono in linea di principio indebitarsi eccetto che in casi particolari come quando emettono obbligazioni (BANK) o ricevono prestiti dagli Stati membri (IMF). Per il resto i principi di bilancio a cui aspirano le organizzazioni riflettono in buona misura le regole di finanza pubblica degli Stati. L’approvazione del bilancio è un momento molto importante nella vita di un’organizzazione internazionale (nelle NU, l’art. 17.1 dello Statuto attribuisce all’Assemblea Generale la competenza ad approvare il bilancio dell’organizzazione). Bilancio nell’UE: il bilancio viene stabilito congiuntamente dal Parlamento europeo e dal Consiglio secondo una particolare procedura legislativa descritta nell’art. 314 TFUE. La Commissione prepara e sottopone al Parlamento europeo e al Consiglio, entro il 1° settembre, un progetto preliminare di bilancio. Il Consiglio adotta la sua posizione sul progetto di bilancio a maggioranza qualificata e la comunica al Parlamento europeo entro il 1° ottobre. Se entro quarantadue giorni da tale comunicazione il parlamento approva la posizione del Consiglio o non delibera al riguardo (silenzio-assenso), il bilancio si considera definitivamente adottato. Se, entro il termine suddetto, il Parlamento adotta emendamenti, il progetto di bilancio così emendato è trasmesso al Consiglio e alla Commissione (fase di “prima lettura”). A questo punto si apre tra Parlamento europeo e Consiglio la fase della conciliazione. Se il comitato paritetico entro ventuno giorni dalla convocazione non raggiunge un accordo sul progetto comune di bilancio, la Commissione dovrà sottoporre un nuovo progetto di bilancio. Se, invece, il comitato di conciliazione raggiunge un accordo su tale progetto comune, si apre la fase di “seconda lettura”, nel corso del quale Parlamento europeo e Consiglio hanno ulteriori quattordici giorni per approvare il progetto comune rispettivamente a maggioranza dei voti espressi e a maggioranza qualificata. In quest’ultima fase, il bilancio si considera definitivamente adottato se entrambe le istituzioni approvano il progetto comune o non riescono a deliberare, oppure se una delle due istituzioni approva il progetto comune mentre l’altra non riesce a deliberare. Consiglio e Parlamento europeo sono su un piede di assoluta parità, così che il bilancio non può essere adottato senza l’accordo delle due istituzioni. Corte dei conti: “assicura il controllo dei conti” (art.285, co. 1, TFUE). Si tratta di un controllo essenzialmente di legittimità, che può anche diventare di merito, nella misura in cui la Corte deve anche accertare la sana gestione finanziaria. Conclusione: il bilancio delle organizzazioni internazionali deve essere in genere improntato al principio di sana gestione delle finanze e di trasparenza, che comporta l’obbligo per l’organizzazione internazionale di rendere noto il bilancio. CAPITOLO 2 - Struttura e funzionamento delle Organizzazioni Internazionali 10. vari tipi di Organizzazioni Internazionali; le relative funzioni nella loro evoluzione storica Non esistono regole generali di diritto internazionale che riguardino la struttura delle organizzazioni internazionali. A differenza degli stati, che hanno competenze di carattere piuttosto omogeneo, le organizzazioni internazionali svolgono funzioni piuttosto disomogenee essendo enti funzionali per cui anche le loro strutture sono diverse tra loro, per riflettere la molteplicità e la diversità delle funzioni a loro affidate. Il dato strutturale non è quindi fine a se stesso, ma funzionale ai bisogni diversi delle varie organizzazioni, e quindi muta al variare di questi ultimi. A partire dal secolo XIX le esperienze di organizzazioni internazionali consistettero essenzialmente nelle c.d. Unioni Amministrative, con funzioni prevalentemente tecniche, non politiche, ed una membership a vocazione universalistica, nel senso che tendevano a comprendere il maggior numero possibile di stati. Molte di tali Unioni, con gli opportuni cambiamenti, sono sopravvissute fino ai giorni nostri e hanno finito per costituire il sistema delle Istituzioni specializzate, chiamato a cooperare con le NU (artt. 57 e 63 dello statuto delle NU), ma non da considerarsi subordinate alle NU stesse, ad es. FAO, OMS, ICAO, UNESCO, Il Fondo Monetario Internazionale e la Banca internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo (FMI e BANK). Tutte queste organizzazioni sono a carattere monofunzionale. A tali organizzazioni si dà spesso il nome di organizzazioni di cooperazione, per distinguerle da quelle di integrazione. 16 La prima organizzazione polifunzionale fu la Società delle Nazioni (SdN), e fu anche la prima organizzazione a carattere politico e non tecnico dato che si proponeva di promuovere la cooperazione internazionale e di assicurare la stabilità dei rapporti tra Stati, fornendo delle garanzie politiche e territoriali ai suoi membri. Compiti della SdN: (a) Lo sviluppo e il sostegno di un regime di pace e di sicurezza internazionale basato sulla realizzazione progressiva di un disarmo generalizzato e di procedure per la soluzione pacifica delle controversie; (b) La promozione di un sistema di relazioni tra gli Stati membri basato sul rispetto e la certezza del diritto, anche attraverso l’istituzione di una Corte permanente di giustizia internazionale; (c) Lo sviluppo di prime forme di tutela di alcuni diritti dell’individuo, specie per quanto riguarda il lavoro. La sua vocazione era universale sotto due aspetti: sia nel senso che puntava a comprendere il maggior numero di stati possibile, sia per l’estensione delle sue competenze. La SdN prevedeva una struttura istituzionale articolata su 3 organi permanenti: l’Assemblea, il Consiglio e il Segretariato. Carenze di base che ne minarono alla radice le chances di successo furono: • Stati uniti, Unione Sovietica e molti stati europei decisero di restare fuori dall’organizzazione • La SdN venne percepita come espressione del nuovo assetto definito dai vincitori del primo conflitto mondiale. • La regola dell’unanimità nell’adozione delle delibere dei suoi organi non poteva non pregiudicare la realizzazione dei suoi obiettivi. L’estinzione fu formalizzata con una delibera del 18 Aprile 1945 dell'Assemblea della SdN. Il posto della SdN fu preso dalle Nazioni Unite (ONU), il cui statuto (Carta) fu redatto in forma finale alla Conferenza di San Francisco del 25 e 26 aprile 1945 ed entrò in vigore il 24 ottobre 1945, anche se l’ente venne in esistenza solo il 10 gennaio 1946, allorché ebbe luogo la prima riunione dell’Assemblea Generale. L’ONU è un ente multifunzionale a carattere politico e a vocazione universale, nel doppio senso di membership e funzioni, e le sue finalità sono anche più ampie di quelle di cui si era dotata la SdN: (a) Mantenimento della pace e della sicurezza internazionale (b) Sviluppo di relazioni amichevoli tra gli stati volte al rispetto del diritto internazionale e dell’autodeterminazione dei popoli (c) Rafforzamento della pace internazionale (d) Conseguimento della cooperazione tra gli stati nella soluzione dei problemi internazionali di carattere economico, sociale, culturale, sanitario e umanitario (e) Promuovere ed incoraggiare il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali per tutti, senza distinzione di sesso, razza, religione o lingua (f) Promozione di un più elevato tenore di vita, del pieno impiego della manodopera e di condizioni di progresso e sviluppo economico e sociale (artt. 1 e 55 dello statuto delle NU). È talmente ampio il raggio d’azione potenziale delle NU che si è avvertito il bisogno di escludere specificamente dallo stesso le questioni che rientrano essenzialmente nella sfera di giurisdizione interna di uno stato (domestic jurisdiction: art. 2, par.7, dello statuto). Le NU si pongono al centro di un “sistema” e in una posizione di guida rispetto allo stesso, sistema composto dalle istituzioni specializzate (membership universale ma monofunzionali e di natura tecnica) e dalle organizzazioni regionali. Per quanto riguarda queste ultime, nell’ambito stesso dell'ONU c’è una tendenza al decentramento organico (organi come la Commissione economica per l’Europa istituita nel 47 con sede a Ginevra, la Commissione economica e sociale per l’Asia e il Pacifico istituita nel 47 con sede a Bangkok, la Commissione economica per l’America Latina istituita nel 48 con sede a Santiago, la Commissione economica per l’Africa istituita nel 68 con sede ad Addis Abeba e la Commissione economica per l’Asia occidentale istituita nel 73 con sede a Beirut). Un decentramento funzionale attraverso vere e proprie organizzazioni regionali è previsto dagli artt. 52-54 (Capitolo VIII) che disciplinano anche i collegamenti di tali organizzazioni regionali con il consiglio di sicurezza dell'ONU stessa. Queste ultime organizzazioni regionali sono a vocazione universale per quanto riguarda le funzioni (e, quindi, di natura politica) dato che sono volte a mantenere ed assicurare la pace e la sicurezza internazionale in una determinata area geografica, ma non lo sono quanto a membership. Accanto al sistema delle NU si è venuto a sviluppare, sia a livello mondiale che regionale, un processo di integrazione economica che ha dato vita, almeno nell’area europea, alle forme più sofisticate di organizzazioni internazionali e, che a livello mondiale, ha portato prima alla nascita dell’ITO e l’accordo GATT nel 1947, fino alla sua evoluzione nel WTO avvenuta nel 1994, il cui scopo è la liberalizzazione degli scambi di merci e servizi tra gli stati membri in un’ottica di economia di libero mercato. 17 proporzionalità) per evitare una eccessiva espansione delle competenze degli organi dell’UE. In linea generale, il principio di sussidiarietà ha duplice valenza: orizzontale, per quanto riguarda i rapporti tra autorità pubblica e sfera privata, e verticale, per quanto riguarda i rapporti tra i diversi livelli del potere pubblico. Tale principio opera nel senso che, nelle materie che non sono di sua esclusiva competenza, l’Unione interviene soltanto se gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello regionale e locale, ma possono, per via della portata o degli effetti dell’azione in questione, essere conseguiti meglio a livello dell’Unione (art.5, n.3, TUE); di conseguenza, l’intervento dell’UE può avere luogo solo se sussiste la presunzione dell’insufficienza dell’azione degli stati membri a conseguire uno specifico obiettivo e l’intervento dell’UE sia necessario per un migliore conseguimento dello stesso. Spetta all’UE dimostrare l’esistenza di tali condizioni, così che, laddove non riesca a farlo, le prerogative sovrane degli stati membri devono essere rispettate e l’intervento compete a questi ultimi. Nel caso di competenze concorrenti, la regola generale è che l’intervento compete agli stati membri, mentre quello dell’UE è l’eccezione. In questo caso il principio di sussidiarietà è strettamente collegato al principio di prossimità, secondo cui le decisioni sono prese “il più vicino possibile ai cittadini”, come indicato nell’art.1, co. 2, TUE e ribadito nell’art.10, n.3, TUE. Quando l’attuazione degli atti dell’organizzazione internazionale implica un’attività interna di esecuzione o applicazione nei confronti degli individui, gli Stati pongono i propri organi amministrativi o giurisdizionali al servizio dell’organizzazione, implicando che gran parte del diritto dell’UE venga in realtà attuato dagli organi amministrativi degli Stati membri. Alcuni sostengono che, quando ciò avviene, gli organi statali agiscono come organi dell’organizzazione, ma il fenomeno trova la sua giustificazione nella necessaria collaborazione che gli Stati prestano all’organizzazione da essi creata. 4) Casi in cui una organizzazione si avvale degli organi di un’altra organizzazione per realizzare i propri obiettivi. 5) Alcune organizzazioni possono avere degli organi unificati, i quali agiscono alternativamente per l’una o per l’altra delle organizzazioni che li hanno in comune Le OI non hanno il potere di determinare da sé le proprie competenze, al contrario degli stati, ovvero non godono di quella che viene denominata kompetenz-kompetenz (competenza sulla competenza). Le competenze delle OI trovano spesso alcuni limiti in espresse disposizioni dell’atto costitutivo volte ad assicurare che le competenze dell’organizzazione non possano essere interpretate in modo da interferire con l’esercizio da parte degli stati stessi delle competenze loro rimaste: è il limite della domestic jurisdiction: tali clausole valgono ad escludere la competenza delle OI in settori che si intendono riservare esclusivamente alle competenze interne degli stati membri. Una clausola del genere era già presente nel Patto della SdN ed ha trovato la sua formulazione più completa nell’art.2, par.7 della Carta delle NU, che recita: “nessuna disposizione del presente Statuto autorizza le Nazioni Unite a intervenire in questioni che appartengono essenzialmente alla competenza interna di uno stato”. Clausole di salvaguardia: gli stati membri, in deroga a quanto previsto nell’atto costitutivo, possono riappropriarsi di competenze già attribuite alle OI quando entrano in gioco particolari circostanze o specifici interessi nazionali meritevoli di tutela. Tale deroga ha natura temporanea. Es: art.36 TFUE consente agli stati membri dell’UE di derogare alla libera circolazione delle merci e di mantenere restrizioni o divieti per la tutela di alcuni interessi tassativamente indicati nella norma stessa, in caso di: 1) Moralità pubblica 2) Ordine pubblico 3) Pubblica sicurezza 4) Tutela della salute e della vita delle persone e degli animali 5) Protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale 6) Tutela della proprietà industriale e commerciale Es 2: Costituisce una clausola di salvaguardia specifica l’art. XI del GATT, che autorizza gli stati membri a introdurre restrizioni quantitative all’importazione o all’esportazione di prodotti alimentari in presenza di una situazione di penuria o di sofferenza. Competenze dell’UE 3 tipi di competenze: 1. ESCLUSIVE -> nei settori nei quali l’UE ha competenza esclusiva, solo l’UE può adottare atti giuridicamente vincolanti. Non è possibile per gli stati membri riappropriarsi delle competenze in questi settori, anche in caso d’inattività dell’UE, se non attraverso una modifica dei Trattati. 20 Settori esclusivi: 1. Unione doganale 2. Definizione delle regole di concorrenza necessarie al funzionamento del mercato interno 3. Politica monetaria per gli stati membri che hanno adottato l’euro 4. Conservazione delle risorse biologiche del mare 5. Politica commerciale comune (non citata nel art. 3, n.1, TFUE) 6. Conclusione di accordi internazionali quando tale conclusione è prevista in un atto legislativo dell’UE 2. CONCORRENTI -> sia l’Ue sia gli stati membri possono adottare atti giuridicamente vincolanti. Gli stati membri, però, non possono più esercitare le proprie competenze a partire dal momento in cui l’UE abbia esercitato le proprie attraverso la posizione di norme comuni (art.2, n.2, TFUE). L’articolo, inoltre, precisa che gli stati membri possono riappropriarsi delle loro competenze qualora l’UE abbia cessato di esercitare le proprie. Ad ogni modo, gli stati sono sempre tenuti a rispettare l’obbligo di leale cooperazione, nonché il dovere da parte degli stati membri di facilitare l’opera dell’UE e di astenersi da misure che rischiano di compromettere la realizzazione dei suoi obiettivi. Carattere residuale: ricadono tutte quelle competenze attribuite all’UE che non sono esclusive o che non riguardano il sostegno, coordinamento o completamento dell'azione degli stati membri (art. 4, n.1, TFUE). Settori di concorrenza: a) Mercato interno b) Politica sociale c) Coesione economica, sociale e territoriale d) Agricoltura e pesca e) Ambiente f) Protezione dei consumatori g) Trasporti h) Reti transeuropee i) Energia j) Spazio di libertà, sicurezza e giustizia k) Problemi comuni di sicurezza in materia di sanità pubblica 3. SOSTEGNO, COORDINAMENTO o COMPLETAMENTO (artt. Da 2 a 6 TFUE) -> non si sostituisce alla competenza degli stati membri e non può procedere all’armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli stati (art.2, n.5, TFUE). Ai sensi dell’art. 6 TFUE, i settori sono: 1. Tutela e miglioramento della salute umana 2. Industria 3. Cultura 4. Turismo 5. Istruzione, formazione professionale, gioventù, sport 6. Protezione civile 7. Cooperazione amministrativa 12. La struttura delle organizzazioni internazionali in generale e le esigenze che la determinano Gli organi delle organizzazioni internazionali sono i congegni attraverso cui queste ultime esplicano la loro attività e svolgono le loro funzioni. 12.1 inesistenza della separazione dei poteri La struttura di ogni ente deve essere tale da porre, in linea di principio, l’ente stesso in grado di svolgere le sue funzioni e di esercitare i suoi poteri. Nel moderno stato democratico gli organi sono strutturati in ossequio al principio della separazione dei poteri; nelle OI invece, non esiste l’esigenza di redistribuire un potere prima facente capo ad un’autorità centrale. Esiste, invece, l’esigenza opposta, che è quella di creare un momento di autorità in capo alle OI per svolgere le loro funzioni con sufficiente autonomia rispetto agli stati membri uti singuli. Di conseguenza nelle OI si verifica spesso che: (a) Più organi partecipino ad una stessa funzione (ad esempio la funzione normativa) (b) Organi che svolgono la funzione normativa svolgano anche la funzione esecutiva (c) Organi con funzioni giurisdizionali svolgono anche funzioni di consulenza (d) Esistono varie forme di consulenze tra organi, ad esempio un organo che non può deliberare senza aver ricevuto il parere di un altro organo o nel senso che un organo eserciti poteri di controllo (di merito o di legittimità) sull’operato di quell’organo. 21 La struttura delle organizzazioni internazionali è da porre in rapporto al livello di complessità delle loro funzioni, nonché alla composizione della loro membership. Essa risponde all’esigenza di contemperare la rappresentanza degli interessi degli Stati uti universi con il momento particolaristico degli Stati stessi, ovvero con la necessità per questi ultimi, uti singuli, di verificare che l’azione dell’ente comporti il minor sacrificio possibile dei loro interessi particolari e si mantenga nei limiti fissati dall’atto costitutivo e dallo statuto. 12.2 L’organo assembleare Vi è un organo in tutte le OI che è espressione del momento associativo degli stati membri e che li rappresenta tutti: l’organo assembleare, a cui è demandato il compito di determinare la strategia dell’Organizzazione orientando la politica generale, assicurare l’elezione dei membri degli altri organi e gestire le questioni finanziarie. Esso viene generalmente coinvolto nelle decisioni riguardanti la membership dell’OI e le modifiche statutarie. Esso presenta analogie con una conferenza internazionale, ma l’attività dei delegati di una conferenza è imputabile ai rispettivi stati, mentre l’attività di un organo assembleare è imputabile ad un ente diverso dagli stati membri: l’OI di cui l’organo collegiale di stati fa parte. Se, invece, ad esempio, l’organo assembleare è l’unico organo e le sue decisioni sono prese solo all’unanimità, si può dubitare che l’interesse unitario degli stati membri si sia effettivamente oggettivizzato in un’OI. Si sarebbe più probabilmente in presenza di una cooperazione tra stati condotta secondo schemi diplomatici tradizionali. In genere gli stati sono liberi di designare i loro rappresentanti negli organi assembleari. In alcuni casi, invece, lo statuto prevede che debba trattarsi di persone con determinate qualifiche, per esempio ministri (WTO), capi di stato o di governo (UE), governatori delle banche centrali (BANK). Quando la partecipazione è riservata ai soli capi di stato o di governo, ed è quindi una partecipazione apicale, si ricorre spesso al termine summit. L’organo assembleare è, in genere, a funzionamento intermittente, nel senso che si riunisce in sessioni periodiche stabilite a date fisse (sessioni ordinarie) o che si tengono in caso di necessità (sessioni straordinarie). 12.3 La struttura delle organizzazioni internazionali in rapporto alle loro funzioni e alla composizione della loro membership Molte OI di natura tecnica hanno funzioni talmente circoscritte da necessitare solo di due organi: l’organo assembleare e il Segretariato, incaricato del funzionamento materiale dell’organizzazione e i cui compiti comprendono: • Assicurare il contatto tra i membri nei periodi in cui l’organo assembleare non è riunito • Mettere in movimento gli organi principali • Preparare i lavori degli organi rappresentativi e eseguirne le delibere • Svolgere certe funzioni attribuite alla sua esclusiva competenza (es. nelle NU la registrazione dei trattati) Il capo del segretariato è il funzionario di rango più elevato e rappresenta l’interesse unitario degli stati membri. Il capo del segretariato rappresenta l’organizzazione nei suoi rapporti esterni ed è responsabile politicamente nei confronti dell’organo che lo ha eletto. La prassi registra un notevole ampliamento delle dimensioni ed anche dei poteri di tale organo individuale, come, ad esempio, è avvenuto per il Segretario Generale delle NU. Questa struttura bipartita è propria di alcune delle istituzioni specializzate delle NU. Man mano che le funzioni di una OI diventano più complesse, la struttura bipartita viene sostituita da una più sofisticata struttura tripartita. Ai due organi si aggiunge un terzo organo formato da rappresentanti degli stati membri, ma a composizione più ristretta. Infatti, alcune decisioni meno strategiche e più operative non si prestano a essere efficacemente e rapidamente adottate dall’organo assembleare. Questo è il modello organizzativo più diffuso, essendo tipico della maggior parte delle istituzioni specializzate delle NU. L’organo ristretto è in genere nominato dall’Assemblea e può avere composizione ministeriale-diplomatica oppure tecnico-burocratica. Gli stati che vi fanno parte sono scelti sulla base di vari criteri, che si riconducono al grado di importanza degli stati membri o alla loro appartenenza a determinate aree geografiche (es. dei 24 amministratori della BANK, 5 sono i membri maggiori azionisti, mentre gli altri 19 sono eletti da tutti i Governatori). L’organo ristretto si riunisce più frequentemente dell’organo assembleare e talvolta è anche a funzionamento permanente. Se le funzioni delle OI risultano estremamente complesse ci si può dotare di una molteplicità di organi che svolgono i compiti più disparati, assumendo così una struttura multipartita (es. NU, che ad Assemblea 22 non esistono organi giurisdizionali di OI incaricati di giudicare la legittimità degli atti delle organizzazioni stesse. Per quanto riguarda le controversie tra stati, nelle OI organi giurisdizionali che li prevedono la loro giurisdizione non può essere imposta ma deve essere accettata dagli stati membri. I più elaborati sistemi di risoluzione delle controversie tra stati membri si rinvengono nel WTO e nell’UE: - WTO → Dispute Settlement Body (DSU) e l’Appellate Body hanno avuto un considerevole successo a vantaggio del processo di liberalizzazione commerciale - UE → si sono presentati una serie di problemi, dato che le competenze dell’UE sono per la maggior parte competenze interne degli stati membri. Il sistema non avrebbe potuto funzionare se si fosse semplicemente lasciato agli stati il potere di disapplicare gli atti illegittimi e, in secondo luogo, occorreva dare ai singoli il diritto di richiedere direttamente l’annullamento dell’atto illegittimo che li riguardasse individualmente, pena l’allargamento del deficit democratico. Perciò la Corte di Giustizia dell’UE, unico organo con tale funzione nel panorama delle OI, conosce, in base all’art. 263 TFUE dei ricorsi promossi sia da stati membri che da individui volti a far annullare gli atti illegittimi dell’UE. Di estremo rilievo è, a riguardo, la possibilità così introdotta che un individuo possa adire un organo giurisdizionale internazionale. Questa tendenza non è destinata ad arrestarsi: secondo il protocollo n.11, in vigore dal 1998, che ha modificato la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, gli individui sottoposti alla giurisdizione di uno stato membro possono adire direttamente la Corte europea dei diritti dell’uomo per constatare la violazione dei diritti fondamentali tutelati dalla Convenzione stessa, anche se solo dopo avere esauriti i ricorsi interni nel proprio stato di appartenenza. Esigenze particolari determinano anche l’esistenza di organi giurisdizionali che dirimano le controversie tra l’OI e i propri funzionari. L’indipendenza di tali individui e la loro esclusiva lealtà vanno garantiti dai condizionamenti che potrebbero eventualmente derivare dalla sottomissione delle loro controversie di lavoro ai giudici degli stati di appartenenza; il tribunale del Contenzioso amministrativo delle NU, quello dell’ILO e quello della BANK svolgono questa funzione. Quanto alla giurisdizione non contenziosa, la CIG e la Corte di Giustizia dell’UE hanno determinate competenze consultive nonché relative all’interpretazione degli statuti delle rispettive organizzazioni. Nell’esercizio di alcune suddette competenze gli organi giurisdizionali in questione finiscono anche con lo svolgere attività di controllo sia in merito all’attività dell’OI, che in merito all’adempimento da parte degli stati dei loro obblighi statutari. La regola generale, però, è che gli stati membri in ultima analisi risolvono i problemi derivanti dai loro eventuali inadempimenti degli obblighi statutari sulla base dei meccanismi del diritto internazionale generale. 13. Gli individui che compongono gli organi delle organizzazioni internazionali e il loro status Gli organi delle organizzazioni internazionali sono composti di individui, i quali si distinguono in due categorie: 1) Gli agenti degli stati in seno all’OI 2) Gli agenti dell’OI 13.1 Gli agenti degli stati in seno all’Organizzazione Sono rappresentanti dei singoli stati all’interno dell’OI (ad esempio negli organi assembleari) ed hanno il compito di far valere gli interessi di questi nel processo di formazione degli atti dell’OI e nella sua attività. Gli agenti degli stati in seno all’OI sono nominati liberamente dagli stati secondo i criteri che essi determinano, a meno che le norme statutarie prevedano particolari requisiti (art.16, n.2, TUE stabilisce che i rappresentanti degli stati membri nel Consiglio siano a livello ministeriale). In altri casi i delegati devono possedere determinate qualifiche tecniche (OMS). L’accertamento della qualità di un delegato di uno stato in seno ad un organo collegiale di stati è fatto di solito dall’organo stesso attraverso la verifica dei poteri. Gli stati membri hanno inoltre la tendenza, per ragioni di economia, a delegare negli organi collegiali dell’OI gli stessi individui che compongono la loro rappresentanza permanente presso l’OI stessa o presso lo stato in cui questa ha sede. L’agente degli stati agisce in conformità alle istruzioni ricevute dallo stato delegante → se l’agente esprime un voto che non è conforme alle istruzioni suddette, tale non conformità non osta alla validità della delibera. Se anche uno stato abbia, attraverso il proprio rappresentante, votato a favore di un provvedimento dell’organo collegiale, questa circostanza non impedisce allo stato stesso di impugnare l’atto suddetto per un qualsiasi motivo → sottolinea la differenza tra l’atto dell’organo collegiale, che si 25 imputa all’OI anche se è il risultato di una serie di manifestazioni di volontà dei delegati degli stati membri, e l’atto di una riunione di organi o conferenza internazionale, che resta imputabile a ciascuno degli stati rappresentati. 13.2 Gli agenti delle organizzazioni Agenti delle organizzazioni sono tutti quegli individui che agiscono per conto di un’organizzazione, senza rappresentare alcuno degli Stati membri e che sono in posizione di assoluta indipendenza rispetto a essi. Il rapporto che lega tali individui all’organizzazione può essere di duplice natura: ● Funzionari legati all’Oi da un rapporto fiduciario. Si tratta delle persone situate al più alto livello dell’OI, la cui nomina dipende da scelte di tipo politico discrezionale degli stati membri. Data la loro importanza, gli stati membri, anche se sono tenuti ad assicurarne l’indipendenza, sono coinvolti a vario titolo nella loro nomina, sia direttamente (come per i giudici della Corte di Giustizia dell’Unione Europea) che indirettamente, attraverso l’organo assembleare dell’OI (come per il segretario delle NU, che è nominato dall’Assemblea Generale su proposta del Consiglio di Sicurezza). ● Funzionari legati all’OI da un rapporto di impiego permanente ed esclusivo, come avviene per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni interne. Può trattarsi di persone situate al più alto livello, come pure di persone incaricate di lavori meno essenziali, come ad esempio i traduttori. Poiché le OI svolgono un servizio pubblico internazionale, i funzionari svolgono attività di natura pubblica. Non sono invece da considerarsi come agenti i c.d. “salariati”, cioè coloro che svolgono mansioni di carattere eminentemente pratico e non contribuiscono allo svolgimento delle funzioni internazionali dell’OI. Tratto comune a tutti gli agenti delle OI è la loro indipendenza nei confronti degli stati (paragrafo 7 e 12.4). Tale obbligo di lealtà verso l’OI è spesso rafforzato per gli agenti dalla prescrizione di alcune situazioni d’incompatibilità con altre cariche. In generale, gli agenti non possono accettare alcun incarico remunerato da parte di qualsiasi stato membro. Per quanto riguarda i funzionari in particolare, la loro nomina può avvenire sia sulla base di un concorso, che sulla base di nomina diretta da parte dei capi della gerarchia amministrativa dell’organizzazione (es. l’art. 101, n.3, dello statuto delle NU, prescrive di dare debita considerazione all’importanza di reclutare il personale sulla base del criterio geografico più esteso possibile). La cessazione del rapporto di lavoro degli agenti può avvenire per pensionamento, dimissioni, decorrenza del termine o per licenziamento. I diritti dei funzionari internazionali sono stabiliti dal contratto d’impiego e dai regolamenti interni. Quanto ai loro obblighi, oltre a quello di obbedienza al superiore gerarchico, indipendenza dagli stati e rispetto delle eventuali incompatibilità, vi è anche il vincolo di confidenzialità per quanto riguarda i segreti di ufficio. Gli agenti delle OI sono soggetti a una responsabilità politica e a una responsabilità amministrativa. La responsabilità politica implica una valutazione sul merito del loro operato, volta ad accertare, ad esempio, che esso sia in linea con le direttive fondamentali dell’attività dell’OI per gli agenti di grado più elevato. I funzionari, invece, hanno di regola solo una responsabilità amministrativa nei confronti dell’OI, nel senso che a quest’ultima compete la valutazione della loro capacità e della loro condotta dal punto di vista tecnico. L’operato dei funzionari può generare la responsabilità extracontrattuale dell’OI per i danni subiti da terzi (art. 340, co.2, TFUE) e l’OI può, al riguardo, rivalersi sul funzionario stesso (art. 22 dello Statuto del personale dell’UE). Il funzionario la cui persona o i cui beni siano stati lesi da uno Stato membro o da uno Stato terzo ha diritto a un’adeguata protezione, si discute però se l’azione in merito spetti allo stato di appartenenza del funzionario (protezione diplomatica) o all’OI (protezione funzionale). Parte della dottrina ritiene che per i danni arrecati alla persona del funzionario internazionale possa agire soltanto lo stato di appartenenza VS parere consultivo nel caso Bernadotte (11 aprile 1949): la CIG ritenne che il titolare della pretesa risarcitoria per i danni arrecati al funzionario fosse l’OI. CAPITOLO 3 - Soggettività delle organizzazioni internazionali e loro ordinamento interno 14. La soggettività internazionale delle organizzazioni internazionali L’elemento caratterizzante l’organizzazione internazionale è l’istituzionalizzazione della cooperazione tra Stati attraverso la creazione di un complesso di organi. A questi organi è demandata la rappresentanza e la gestione di quell’interesse comune nel cui perseguimento gli Stati membri desiderano farsi sostituire dall’organizzazione da essi creata. Questo interesse comune assume una vita autonoma rispetto alla somma degli interessi degli Stati uti singuli. Sul piano pratico non ha molta rilevanza determinare se un OI abbia o meno la soggettività internazionale: se un’OI ha la qualità di soggetto di diritto internazionale, gli 26 atti che essa porrà in essere nell’esercizio dei suoi poteri saranno atti giuridici internazionali. Se, invece, l’OI è sprovvista di tale qualità, i suoi atti avranno il valore di fatti giuridici internazionali, i quali saranno produttivi di conseguenze giuridiche per i destinatari solo con l’assenso o l’acquiescenza di questi ultimi. Nel caso degli stati membri, l’assenso si intende espresso attraverso la firma del trattato istitutivo dell’OI stessa. Per gli stati terzi, l’atto di una OI che non sia soggetto di diritto internazionale resta imputabile ai singoli stati membri dell’OI. Sia la dottrina che la prassi riconoscono che, dovunque esista un ente dotato di un certo grado di indipendenza ed operante sul piano dei rapporti internazionali, esiste un possibile titolare di diritti e doveri internazionali. In genere possono essere soggetti di diritto internazionale anche enti che, per la natura limitata dei loro interessi internazionali o della loro indipendenza dagli stati, godono di forme tenuissime di soggettività giuridica. Le OI sono strutturate in modo tale da non poter fare ricorso a certe forme di autotutela come la legittima difesa, ma ci sono altri mezzi istituzionali per assicurare la garanzia dei loro diritti. Concludere che le organizzazioni internazionali non possono essere soggetti di diritto internazionale perché non dispongono del potere di esercitare la forza equivarrebbe a negare la personalità internazionale di molti Stati minori e ridurre il diritto internazionale alla legge del più forte. In secondo luogo, non può essere presa in seria considerazione la posizione di chi nega la possibilità per le OI di acquisire personalità giuridica internazionale, in quanto esse sarebbero un mero strumento dell’attività degli stati membri, in capo ai quali rimarrebbe, in definitiva, la responsabilità internazionale per l’operato delle OI stesse quando gli stati possono dar vita ad enti capaci di manifestare una loro volontà autonoma rispetto a quella degli stati stessi e, quindi, le OI possono essere soggetti di diritto internazionale allorché l’attività dei loro organi sia imputabile all’ente e non agli stati membri e allorché tale attività sia disciplinata dal diritto internazionale. Al pari di quanto avviene per gli Stati, la personalità internazionale delle OI non può che essere intesa erga omnes, ovvero nei confronti di tutti i soggetti della comunità internazionale. Ciò significa che la personalità internazionale non può essere attribuita all’organizzazione da una disposizione del suo atto costitutivo o statuto, perché in quel caso avrebbe valore solo inter partes. Ciò non impedisce che alcuni statuti di OI contengano solenni affermazioni della personalità giuridica delle OI stesse (esempio, l’art 47 TUE, relativamente all’UE). Tali affermazioni vanno in genere intese come relative alla personalità di diritto interno, com’è specificato da norme più chiaramente formulate, come l’art. 104 e l’art. 105 dello Statuto delle NU. La personalità giuridica non può neanche basarsi sul riconoscimento da parte di alcuni stati. Anche laddove tale riconoscimento abbia luogo, esso, come avviene per il riconoscimento di Stati, non può che avere mero valore dichiarativo. L’acquisto da parte di una OI della personalità giuridica di diritto internazionale avviene nell’ambito delle norme di diritto internazionale generale e non è in alcun modo ricollegabile al sistema di diritti e obblighi convenzionalmente assunti dagli stati membri attraverso il trattato istitutivo (che per gli stati terzi è res inter alios acta). È alla luce del principio di effettività che può determinarsi se una OI, come anche uno stato, è un soggetto di diritto internazionale. Anche uno stato può essere costituito attraverso un trattato internazionale, ma la sua soggettività internazionale deriverà dall’esercizio in concreto della sua sovranità e non da tale trattato. Gli stati sono soggetti in quanto esercitano la sovranità su un territorio e su determinati cittadini. Tutti gli stati, quindi, sono persone giuridiche di diritto internazionale. La soggettività internazionale delle OI trova, quindi, i suoi confini nelle funzioni che esse esercitano, in quanto enti funzionali e non territoriali. Non tutte le OI sono soggetti di diritto internazionale, ma solo quelle l’attività dei cui organi è a esse imputabile ed è disciplinata dal diritto internazionale. Per converso, quando una OI è soggetto di diritto internazionale, essa lo è su un piede di eguaglianza rispetto agli altri soggetti ed è sottoposta solo alle norme dell’ordinamento internazionale. Essa, ad esempio, partecipa alla formazione delle norme di diritto internazionale di natura consuetudinaria al pari degli stati. Tuttavia, le OI che sono soggetti di diritto internazionale non sono necessariamente sottoposte a tutte le norme di diritto internazionale generale. Alcune di tali norme, a causa della natura funzionale delle OI, non sono applicabili a queste ultime (es. norme consuetudinarie che regolano l’uso del mare). Alcuni sviluppi potrebbero portare all’acquisto da parte di OI della personalità giuridica non più accanto a quella degli stati membri, ma in loro sostituzione. Non ha specifica rilevanza giuridica la circostanza che talune di esse si dotino di simboli della statualità, quali emblemi, bandiere o inni. 15. Le manifestazioni della personalità internazionale delle organizzazioni internazionali Se le organizzazioni internazionali possono essere soggetti di diritto internazionale esse possono entrare in rapporti rilevanti per il diritto internazionale con gli altri soggetti della comunità internazionale. Mentre l’attività degli Stati è principalmente volta al proprio interno e le relazioni internazionali da essi intrattenute 27 membri sul cui territorio è situata la sede dell’UE presso la quale le missioni dei paesi terzi sono accreditate s’impegna a riconoscere a tali missioni le immunità e i privilegi diplomatici d’uso. Dalla soggettività internazionale delle OI dipende anche che esse partecipino a procedimenti di risoluzione delle controversie. Molti accordi di associazione conclusi dall’UE prevedono organi ad hoc per la soluzione di controversie tra l’UE e gli stati associati. Le OI possono anche partecipare, presentando osservazioni, a procedimenti dinanzi la CIG relativi ai trattati di cui sono parte, ciò in virtù dell’emendamento all’art.43 del regolamento della CIG entrato in vigore il 29 settembre 2005. Possono anche compiere una vasta gamma di atti unilaterali rilevanti per il diritto internazionale, quali: 1) La convocazione di conferenze internazionali e la partecipazione alle stesse 2) Atti di riconoscimento di stati e governi 3) Di notifica, protesta o rinuncia sempre, però, nei limiti di quanto necessario per raggiungere le finalità loro affidate dagli stati membri. Per quanto riguarda immunità e privilegi di cui godono le OI, queste non sono riconducibili alla loro eventuale personalità di diritto internazionale; non esiste, nonostante autorevoli pareri contrari, una norma di diritto internazionale che imponga a tutti gli stati, a prescindere dalla loro appartenenza o meno ad un’OI, di riconoscere a quest’ultima determinati privilegi o immunità. Esiste, a carico degli Stati membri, l’obbligo di cooperare con l’organizzazione da essi creata in modo da consentirle di realizzare le finalità per le quali è stata costituita. Si tratta di un obbligo che vincola ogni Stato membro nei confronti degli altri Stati membri e dell’organizzazione e che si concretizza nei vari accordi sulle immunità e privilegi delle organizzazioni internazionali. Quanto agli Stati terzi, la concessione di privilegi e immunità a un’organizzazione avviene solo nei limiti di quanto previsto da accordi internazionali che questi Stati terzi concludono su base volontaria. 16. L’ordinamento interno delle organizzazioni internazionali e la sua natura L’ordinamento interno di un’OI è quel complesso di norme che regola l’assetto giuridico dei rapporti tra i suoi soggetti (stati membri, l’OI stessa, i suoi organi e tutti i destinatari dei suoi atti). L’esistenza di un ordinamento interno delle OI prescinde completamente dalla loro soggettività internazionale: tutte le OI hanno un ordinamento giuridico interno essendo l’OI sempre un soggetto del proprio ordinamento interno anche se non sempre è soggetto di diritto internazionale generale. Gli ordinamenti interni sono ordinamenti di diritto, nella misura in cui le attività che si svolgono all’interno delle OI, ivi comprese quelle delle OI stesse, sono governate da norme giuridiche. Essendo le OI enti derivati, anche i loro ordinamenti interni non sono originari, ma derivati rispetto al diritto internazionale generale → le norme che regolano la vita dell’OI e che attribuiscono rilevanza giuridica ai suoi atti, non si giustificano da sole e cioè semplicemente sulla base della stessa esistenza dell’OI come aggregato sociale; ciò avviene perché la societas statale esprime un ordinamento giuridico che non trae la sua efficacia da norme di nessun altro ordinamento ed è fornito di garanzie sue proprie in quanto ordinamento originario. Le OI invece hanno un proprio ordinamento interno, che regola l’assetto giuridico dei rapporti tra i suoi soggetti e che è fornito spesso di garanzie o sanzioni proprie che però risultano di natura secondaria in quanto il ricorso alle garanzie primarie dell’ordinamento internazionale costituisce sempre l’estremo rimedio. Pur essendo derivato rispetto al diritto internazionale generale, l’ordinamento interno delle OI è distinto, o autonomo rispetto a quest’ultimo, in quanto ha sue proprie fonti, destinatari ed ambito di efficacia. 17. Le fonti dell’ordinamento interno delle organizzazioni internazionali Le fonti dell’ordinamento interno sono essenzialmente di due tipi: le fonti primarie sono l’atto costitutivo e lo statuto, ovvero la costituzione interna ed esterna dell’organizzazione. A queste possono aggiungersi eventuali principi generali comuni agli stati membri. Lo statuto regola la struttura e il funzionamento dell’OI → attribuisce agli organi della stessa il potere di emanare atti giuridici, i quali, traendo la loro efficacia da norme dello statuto, costituiscono fonti secondarie, o derivate. Tra le due fonti esiste un rapporto gerarchico nel senso che, ad esempio, un atto di un’OI non potrebbe essere contrario ad una disposizione del suo statuto, con alcune riserve. 30 17.1 L’atto costitutivo e lo statuto. L’atto costitutivo e lo statuto contengono le norme fondamentali che regolano la vita dell’OI. Essa è un soggetto del suo stesso ordinamento e, quindi, è tenuta a rispettare le norme, di cui quelle fondamentali appunto nel trattato costitutivo. Gli stati membri spesso concedono all’OI da essi creata determinati poteri in relazione all’interpretazione, alla modifica e all’integrazione dell’atto costitutivo e dello statuto. I poteri in tema di interpretazione dello statuto si giustificano con l’opportunità di evitare che questo venga interpretato in modo diverso nei singoli stati membri→ art. 267 TFUE affida alla Corte di Giustizia dell’UE il potere esclusivo di interpretare i trattati istitutivi e costituisce l’espressione più completa di tale tendenza. A prescindere da disposizioni espresse, ogni OI ha il potere implicito di interpretare lo statuto se non altro ai fini di determinare l’ambito della propria competenza e, quindi, l’estensione dei propri poteri. Quanto alla modifica dello statuto, sulla base delle norme di diritto internazionale generale, essa richiederebbe solo l’assenso, espresso attraverso un trattato modificativo, di tutti gli stati membri dell’OI: procedimento esterno o extra-organico utilizzato in molte OI, specie in quelle a carattere regionale o con un limitato numero di stati membri. In OI a vocazione universale per quanto riguarda la membership la prassi è nel senso che alcuni poteri in materia di modifiche dello statuto siano spesso affidati dagli stati all’OI stessa. In genere tali poteri riguardano l’iniziativa della proposta di modifica così che, poi, l’approvazione è lasciata agli stati membri, sia direttamente (procedimento complesso) che attraverso l’organo assembleare (procedimento organico). Specie nelle organizzazioni a carattere tecnico, può verificarsi che l’OI possa approvare essa stessa la modifica attraverso un voto, perfino a maggioranza qualificata, di uno o più dei suoi organi collegiali di stati. Anche quando l’approvazione della modifica è lasciata agli stati stessi può essere necessaria la ratifica da parte di una maggioranza qualificata degli stati, senza che sia necessaria l’unanimità perché la modifica entri in vigore. In questo modo la modifica di uno statuto potrebbe entrare in vigore anche se non tutti gli stati firmatari fossero consenzienti. In tali casi è sempre prevista la possibilità per lo stato dissenziente di recedere dal trattato istitutivo dell’OI. Al di là delle disposizioni espresse, esiste sempre la possibilità per uno stato membro, in base al principio rebus sic stantibus, di recedere da un’OI se vengono apportate modifiche statutarie sostanziali cui non sia consenziente. Per modifiche minori potrebbe anche ritenersi sufficiente il consenso preventivo dato dallo stato con l’approvazione della clausola statutaria attributiva del potere di modifica all’organizzazione (caso ICAO: l’art. 94, lett. B, del cui statuto prevede una forma di recesso che confina con l’espulsione; l’Assemblea, in caso di modifiche importanti, fissa un termine entro il quale lo stato deve procedere alla ratifica; gli stati che non vi procedono entro tale termine cessano di far parte dell’O). Per la modifica dello statuto la procedura è diversa a seconda che le modifiche siano più o meno importanti: la partecipazione dell’OI al processo decisionale è maggiore, in tali casi, per le modifiche meno importanti. Lo statuto delle NU prevede agli artt. 108 e 109 due diverse procedure di modifica; 1) Emendamenti -> si riferiscono a modifiche non suscettibili di mutare l’assetto istituzionale o la filosofia ispiratrice delle NU. La procedura prevede che l’Assemblea adotti la modifica a maggioranza dei due terzi dei suoi membri. 2) Revisioni -> La procedura prevede solo la convocazione di una conferenza generale degli stati membri e, quindi, il processo di approvazione si svolge al di fuori del sistema delle NU. In entrambi i casi comunque è necessaria la ratifica da parte di almeno due terzi degli stati membri, che devono necessariamente includere i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza. Lo statuto del CdE prevede che modifiche meno importanti possano essere approvate dal Consiglio dei ministri e dall’Assemblea Parlamentare (art.41, lett. D) mentre quelle più importanti sono adottate da tali organi, ma sottoposte a ratifica degli stati membri (art.41, lett. C). Modifiche dello statuto possono anche considerarsi quelle relative all’ammissione, al recesso o all’espulsione di un membro, nella misura in cui viene mutata la sfera soggettiva dei destinatari delle norme dell’ordinamento interno dell’OI. Nonostante l’esistenza del principio delle competenze di attribuzione, la prassi operativa di un’OI può evolversi nel senso dell’introduzione, in via di fatto, di vere e proprie modifiche statutarie, spesso mascherate come attività interpretativa. L’acquiescenza degli stati membri al riguardo finisce con il rendere definitiva la modifica. L’art. 48 TUE prevede una procedura di revisione ordinaria e due procedure di revisione semplificate: 1) Procedura ordinaria -> inizia con un progetto di modifica dei Trattati che può essere presentato dal governo di qualsiasi stato membro, dal Parlamento europeo o dalla Commissione al Consiglio, il quale lo trasmette al 31 Consiglio europeo e lo notifica ai Parlamenti nazionali degli stati membri. Il Consiglio europeo, al ricevimento del progetto di modifica, decide a maggioranza semplice sull’opportunità di procedere all’esame delle modifiche proposte previa consultazione del Parlamento europeo e della Commissione. In caso di decisione favorevole del Consiglio europeo, il presidente di quest’ultimo convoca una Convenzione composta di rappresentanti dei parlamenti nazionali, dei capi di stato o di governo dei paesi membri, del Parlamento europeo e della Commissione. Il coinvolgimento della Convenzione consente che, almeno nella fase preparatoria, alla modifica dei trattati contribuiscono soggetti diversi dai governi degli stati membri, in particolare forme di rappresentanza democratica dei cittadini. Il Consiglio europeo non è obbligato a convocare la Convenzione, ma può decidere a maggioranza semplice e previa approvazione del Parlamento europeo di non convocarla “qualora l’entità delle modifiche non lo giustifichi”. La convenzione esamina il progetto di modifica e adotta, secondo la procedura del consenso (senza procedere a voto formale), una raccomandazione rivolta a una conferenza dei rappresentanti dei governi degli stati membri (comunemente indicata come CIG, ossia conferenza intergovernativa) incaricata di stabilire “di comune accordo”, e dunque all’unanimità, le modifiche da apportare eventualmente ai trattati. La fase deliberativa della procedura stessa si svolge secondo gli schemi classici della cooperazione diplomatica tra stati sovrani e al di fuori del contesto dell’UE. 2) Procedure semplificate -> non contemplano né la convocazione di una Convenzione, né la convocazione di una CG; il Consiglio europeo, in cui sono presenti i capi di stato o di governo degli stati membri, svolge un ruolo preminente. a) Art.48, n.6, TUE, può solo riguardare le norme della Parte Terza del TFUE relative alle politiche e alle azioni interne dell’UE: tale procedura non può essere adoperata per estendere le competenze attribuite all’UE dai Trattati. Le modifiche sono adottate su proposta del governo di un qualsiasi stato membro, del Parlamento europeo o della Commissione, dal Consiglio europeo che delibera all’unanimità, previa consultazione del Parlamento europeo, e della Commissione. La decisione del Consiglio europeo, però, può entrare in vigore solo “previa approvazione degli stati membri conformemente alle rispettive norme costituzionali”. b) Art.48, n.7, TUE, prevede due casi distinti: a) Il primo caso riguarda la possibilità di sostituire il requisito dell’unanimità con quello della maggioranza qualificata per quanto concerne le decisioni che il Consiglio può prendere sulla base del TFUE e del solo Titolo V del TUE relativo all’azione esterna dell’UE e, in particolare, alla politica estera e di sicurezza comune (ad esclusione delle decisioni che abbiano implicazioni militari o che rientrino nel settore della difesa). b) Laddove il TFUE prevede che il Consiglio adotti atti legislativi secondo una procedura legislativa speciale, di sostituire tale procedura con la procedura legislativa ordinaria. In entrambi questi casi, la relativa modifica può essere adottata dal Consiglio europeo di sua iniziativa con decisione presa all’unanimità, ma è necessaria la previa approvazione (non soltanto la consultazione) del Parlamento europeo. Inoltre, al requisito della approvazione o della ratifica da parte degli stati membri è sostituito un intervento dei parlamenti nazionali: il Consiglio europeo non può adottarla se anche uno solo dei Parlamenti nazionali notifichi entro sei mesi la propria opposizione. Il silenzio dei Parlamenti nazionali entro il termine di sei mesi consente invece al Consiglio europeo l’adozione della modifica, che entrerà in vigore senza necessità di un’ulteriore ratifica. In definitiva le semplificazioni introdotte consistono nel fatto che la Convenzione non viene convocata e che una decisione del Consiglio europeo sostituisce la firma del trattato di modifica da parte dei membri della CIG, dato che nemmeno quest’ultima viene convocata. Sul piano pratico permane il requisito dell’unanimità di tutti gli stati membri, così come permane la necessità di un’approvazione all’interno di tutti gli stati membri → pertanto, il Consiglio europeo potrebbe apparire, in occasione di queste modifiche, come una sorta di conferenza intergovernativa. Per quanto riguarda l’Integrazione dello statuto e dei poteri attribuiti alle OI, non esistono ancora regole generali di diritto internazionale relativamente alla struttura e al funzionamento delle OI, normalmente rinvenibili nello statuto delle varie OI. Non sempre questo può contenere tutte le regole di dettaglio necessarie, fondamentalmente per due motivi: 1) Ciò implicherebbe uno statuto molto complesso e, quindi, un lungo negoziato tra gli stati membri all’atto della costituzione 2) La necessità di certe regole di dettaglio emerge in un secondo momento, a seguito delle effettive esigenze dell’OI, che si palesano dopo un primo periodo di svolgimento della sua attività. È, quindi, molto frequente che lo statuto di un’OI necessiti di integrazione e a tale compito dovrebbero provvedere gli stati membri, secondo le norme di diritto internazionale generale. Ma, analogamente a 32 complessi), alla sfera dei destinatari (atti a portata generale e atti a portata individuale), atti vincolanti e non vincolanti. Gli Atti aventi natura vincolante devono considerarsi più l’eccezione che la regola, salvo nel caso di alcune OI, come l’UE, che rappresentano un avanzato stadio d’integrazione tra gli stati membri. In genere vengono preferiti atti che pregiudichino nella misura minore possibile le prerogative sovrane degli stati membri. (Es. NU: atti vincolanti sono quelli dell’Assemblea Generale ex art.17 della Carta, il quale le conferisce il potere di ripartire tra gli stati membri le spese dell’OI). Gli atti di natura vincolante possono avere, a carico degli stati membri, sia un effetto, per così dire, reale, che obbligatorio. Nel primo caso non v’è bisogno di alcun provvedimento dello stato perché l’atto possa dispiegare i suoi effetti. Nel secondo caso l’emanazione dell’atto da parte dell’OI comporta l’obbligo per gli stati membri di adottare i necessari procedimenti interni di esecuzione e attuazione, a seconda delle rispettive norme costituzionali. Se gli stati non adempiono a questo obbligo incorrono in una responsabilità internazionale. In alcuni casi, si consente che un singolo stato membro manifesti il suo dissenso, risultando così l’atto non obbligatorio per tale stato → c.d. opting out, prevista in OI a prevalente carattere tecnico. Qualora gli atti siano direttamente vincolanti per gli individui, senza bisogno che lo Stato emani di volta in volta un atto di esecuzione, ciò si verifica perché gli Stati vi hanno consentito, dando esecuzione a trattati congegnati in modo da prevedere tale applicabilità diretta e introducendo in tal modo al proprio interno un meccanismo di adattamento automatico del diritto interno agli atti dell’organizzazione internazionale. Ciò avviene con i regolamenti e le decisioni previste nel sistema dell’UE. I primi sono provvedimenti a portata generale, obbligatori in tutti loro elementi e direttamente applicabili negli Stati membri. Le seconde sono atti ugualmente obbligatori, ma diretti a singoli Stati o individui. Gli atti vincolanti possono avere un contenuto dettagliato tale da non necessitare di norme di attuazione interne e, quindi, di configurarsi come self-executing, oppure possono avere un contenuto programmatico, tale che l’obbligo dello stato comprenda necessariamente l’emanazione di opportune misure di attuazione. Tra gli atti self-executing rientrano i regolamenti dell’UE soprattutto quando essi impongono obblighi di non facere come, ad esempio, un obbligo di non discriminazione. Altri obblighi della stessa categoria sono quelli il cui contenuto è precisato per rinvio ad altre norme. Gli atti programmatici sono ugualmente vincolanti per lo stato, solo che richiedono, perché lo stato possa rispettare il suo obbligo, l’emanazione di una serie più o meno complessa di disposizioni di attuazione. Le OI ricorrono spesso a tali atti perché essi lasciano un maggior margine di discrezionalità agli stati membri per lo meno quanto alla determinazione delle misure di attuazione, concretando un minor sacrificio della sua sovranità. Nel sistema UE atti di questo tipo si chiamano direttive e l’opinione corrente è che atti di questo tipo siano, al contrario dei regolamenti, atti parzialmente vincolanti, in quanto il vincolo riguarderebbe il fine e non i mezzi per raggiungerlo→ anche se consolidato come modo di vedere non può essere considerato corretto, in quanto sarebbe errato ritenere la direttiva vincolante per alcuni elementi e non per altri. La prassi dell’UE ha finito con l’introdurre la figura delle c.d. direttive dettagliate, le quali si distinguono con difficoltà dai regolamenti. A volte gli atti vincolanti assumono il nome di decisioni o risoluzioni. Le prime sono spesso usate per provvedimenti vincolanti di organi individuali o aventi destinatari individuali. Il termine “risoluzione” è generico, in quanto caratterizza piuttosto la delibera di un organo collegiale che la natura del suo contenuto, il quale potrebbe anche non essere vincolante. 17.6. Gli atti non vincolanti: le raccomandazioni in particolare. Gli atti non vincolanti sono i più frequenti tra gli atti delle OI. La vincolatività non esaurisce la gamma degli effetti giuridici che un determinato atto può avere. Esistono anche atti di OI del tutto sprovvisti di rilevanza giuridica, come ad esempio una presa di posizione su un problema di attualità o un invito a una personalità per una visita. Tra gli atti non vincolanti vale la pena citare: - Pareri: possono essere a volte rivolti non a un organo della stessa O, ma anche all’esterno, per esempio a un’altra OI. È Il caso della CIG, i cui pareri possono essere richiesti anche dagli Istituti Specializzati (art.96, n.2, dello Statuto delle NU). - Raccomandazione: è l’atto più adoperato dalle OI e al tempo stesso quello che presenta più aspetti problematici. I destinatari delle raccomandazioni sono in genere gli stati membri o alcuni di essi. Il problema sorge quanto alla determinazione della sua rilevanza giuridica. 3 esempi di rilevanza giuridica di raccomandazione “simil-vincolante”: • Alcuni stati possono assumersi, con un accordo esplicito, l’impegno di rispettare una raccomandazione, già emessa o da emettersi. È quanto successo in occasione del Trattato di Pace 35 con l’Italia del 1947 il quale disponeva, qualora URSS FRA GB e USA non si fossero accordati in merito alla sorte delle ex-colonie italiane in Africa, che tali stati avrebbero accettato come vincolante la raccomandazione dell’Assemblea generale delle NU in merito. • In altri casi, l’accordo preventivo o successivo degli stati riguarda non il contenuto della raccomandazione, ma certe procedure da seguire in relazione ad essa. Ad esempio lo statuto dell’ILO (art.19) dispone l’obbligo per gli stati membri di sottoporre per l’adozione ai rispettivi organi interni competenti le raccomandazioni emesse dalla conferenza generale dell’ILO senza, ovviamente, che tali organi abbiano l’obbligo di adottare le raccomandazioni stesse. • Analogamente gli accordi tra le NU e le varie istituzioni specializzate prevedono l’obbligo per queste ultime di sottoporre ai loro organi competenti tutte le raccomandazioni loro rivolte dall’Assemblea Generale o dal Consiglio di Sicurezza delle NU. In tutti questi casi ovviamente, non è la raccomandazione di per sé che produce effetti obbligatori, ma l’accordo tra gli stati in materia e la raccomandazione resta un atto non vincolante. Alcuni hanno cercato di attribuirle una qualche limitata vincolatività: si è per esempio sostenuto che la raccomandazione fosse vincolante almeno per gli stati che avessero votato a favore della stessa in seno agli organi che l’hanno emanata, o che potessero considerarsi vincolanti le raccomandazioni che confermino gli obiettivi dell’OI concordati dagli stati membri a livello del trattato costitutivo. Quanto al primo rilievo, se uno stato vota a favore di una raccomandazione esso sa di approvare un provvedimento non vincolante: non può quindi da tale voto farsi derivare in capo allo stato obblighi che non intendeva assumersi. Inoltre, una cosa è la manifestazione di voto, imputabile allo stato, altra cosa è l’atto collegiale che ne risulta, il quale si imputa all’OI. Quanto al secondo rilievo, è troppo generale per avere un qualche effetto pratico. È chiaro che le raccomandazioni emesse dagli organi di un’OI sono in genere in linea con gli obiettivi di quest’ultima come concordati dagli stati membri, tanto è vero che la maggioranza delle raccomandazioni finiscono con l’essere rispettate. Ma il problema resta quello di vedere se nello specifico caso un determinato stato è tenuto a rispettare una determinata raccomandazione. La risposta a riguardo non può che essere negativa. Altro aspetto importante è l’obbligo dei destinatari di una raccomandazione di tollerare l’ingerenza dell’OI nei loro affari interni e il c.d. effetto di liceità, per cui il comportamento di chi si conforma ad una raccomandazione non può mai costituire una violazione del diritto internazionale. Sotto il primo profilo, gli obblighi che gli stati membri assumono possono anche essere di pati (sopportare, tollerare). A questo proposito l’ingerenza da parte di un soggetto della comunità internazionale negli affari interni di un altro soggetto costituisce un illecito sul piano del diritto internazionale. Da essa (la raccomandazione) deriva l’obbligo per i destinatari (obbligo di pati) di tollerare l’ingerenza nei propri affari interni. Sotto il secondo profilo, la raccomandazione di una OI può suggerire comportamenti i quali, senza la raccomandazione, sarebbero illeciti. Altra rilevanza giuridica, quindi, è quella di rendere lecite le misure di attuazione della stessa. Valore morale e politico delle raccomandazioni -> Specialmente i giuristi anglo-americani insistono sulla forza morale delle raccomandazioni, secondo le tradizioni di common law che attribuisce, com’è noto, una certa rilevanza giuridica ai precetti morali nell’ambito del diritto. Quanto alla forza politica delle raccomandazioni, essa risulta nella circostanza che, al momento di votarla, gli stati sono costretti a prendere posizione su questioni spesso delicate, con tutte le conseguenze che ciò comporta sul piano appunto politico. 17.7 gli atti di soft law Tra gli atti privi di conseguenze giuridiche i più ricorrenti sono le dichiarazioni, specie quelle dell’Assemblea Generale delle NU (es. Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo del 1948). Con una dichiarazione l’organo che la emana afferma il valore di certi principi e indica ai destinatari la condotta da adottare per conformarsi ai principi stessi. Accanto alle dichiarazioni la prassi riscontra una moltitudine di altri atti privi di specifiche conseguenze giuridiche: inviti, voti, auspici, appelli, esortazioni, ecc. In relazione a tali atti la dottrina ha coniato l’espressione soft law, per indicare una sorta di diritto affievolito, o di juris in stadio nascendi e ciò nel tentativo di non regolare tout court gli atti in questione nell’area del non-diritto. Tali forme di vita pre-giuridica o meta-giuridica non possono essere ignorate e, pur nella sua vaghezza, l’espressione soft law ha avuto successo perché cattura questa fase di transizione tra il mondo del non-diritto e quello del diritto, preparano la formazione di norme di diritto vere e proprie. Parte della dottrina parla anche di top law, ovvero di diritto presidenziale o di vertice, riferendosi a quelle dichiarazioni 36 che promanano da conferenze o riunioni periodiche al più alto livello (capi di stato o di governo) come ad esempio le riunioni del G-7. 18. I rapporti tra l’ordinamento delle organizzazioni internazionali e gli ordinamenti degli stati membri; l’ordinamento italiano in particolare. Quale efficacia hanno all’interno degli stati membri le norme statutarie dell’organizzazione e gli atti emanati dai suoi organi. La dottrina era tradizionalmente divisa tra: - Monisti: supremazia del diritto internazionale sul diritto interno. - Dualisti: assoluta originarietà e indipendenza dei due ordinamenti. Dal secondo dopoguerra è nata una nuova impostazione, quella realista, secondo cui la norma di diritto internazionale è superiore allo stato (come aggregato sociale, non in senso dell’ordinamento giuridico), in quanto essa è espressione degli interessi generali della comunità internazionale. Perciò spetta allo stato il compito di adattarsi al diritto internazionale. Il procedimento per cui l’ordinamento interno si adatta al diritto internazionale è un procedimento costituzionale. In molti stati l’adattamento del diritto interno al diritto internazionale, sia generale che pattizio, è automatico, anche nel caso di diritto secondario delle organizzazioni. Se queste ultime sono self-executive, infatti, si possono applicare come tali all’interno degli ordinamenti degli stati senza bisogno di disposizioni di attuazione. In caso contrario, lo stato è tenuto a immettere le necessarie misure di attuazione nel proprio ordinamento, altrimenti lo stato incorre in responsabilità internazionale. Inoltre, se una norma viene immessa nell’ordinamento interno degli stati tramite norma costituzionale, avrà essa stessa rango costituzionale e prevarrà sulle norme interne di rango inferiore, nonché su quelle precedenti dello stesso rango per il principio di Jus posterior. Per quanto riguarda l’ordinamento italiano, nella prassi il procedimento più usato per adattare l’ordinamento italiano al diritto internazionale pattizio è l’ordine di esecuzione. Per le norme di diritto internazionale generale, ma non per i trattati, l’art.10 Cost. prevede l’adattamento automatico. (“L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”). In virtù di tale disposizione, le norme di diritto internazionale a carattere generale (soprattutto le consuetudini), sono immesse automaticamente nel nostro ordinamento senza bisogno di uno specifico atto interno e godono di rango costituzionale per quanto riguarda i loro rapporti con le altre norme interne (dato che la loro immissione nell’ordinamento italiano è prevista da una norma costituzionale) e non possono, per tal motivo, essere sottoposte ad alcun controllo di legittimità costituzionale. Per i trattati, invece, si usa generalmente l’ordine di esecuzione. Tuttavia, l’Art. 117 Cost. introdotto con una legge costituzionale nel 2001 recita che “la potestà legislativa è esercitata dallo stato e dalle regioni nel rispetto della costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”. L’art.1, co.1, della legge La Loggia del 2003, recante disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento italiano alla suddetta legge costituzionale, precisa che “costituiscono vincoli alla potestà legislativa ai sensi dell’art 117 quelli derivanti dalle norme di diritto internazionale generale (art.10 cost), accordi di legittima limitazione della sovranità (art.11 cost), ordinamento comunitario e trattati internazionali.” L’art. 117 mostra che le leggi dello stato e delle regioni non possono essere contrastanti con gli accordi internazionali. Nel 2007, la Corte Costituzionale ha precisato che, anche se non possono essere introdotti automaticamente nell’ordinamento a livello costituzionale e senza ordine di esecuzione (come avviene invece per le consuetudini), agli accordi internazionali viene attribuito un rango superiore a quello della legge ordinaria, ma inferiore alla costituzione: una norma interposta, intermedia tra la costituzione e la legge ordinaria: quest’ultima non può contrastare la norma di un trattato, sia che sia anteriore che successiva all’immissione del trattato nell’ordinamento. Diversa è la situazione per il trattato istitutivo delle Nazioni Unite, per cui fu nel 1947 inserito nella costituzione l’Art. 11, che recita: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà di altri popoli e come mezzo di soluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.” In questo modo si attribuisce rango costituzionale alla carta e si legittimano le limitazioni di sovranità che essa comporta, sottraendola a ogni possibile sindacato di costituzionalità e al pericolo di conflitto con leggi ordinarie 37