Scarica Riassunto sintetico e discorsivo "Media, New Media Postmedia" e più Sintesi del corso in PDF di Storia dell'arte contemporanea solo su Docsity! DOMENICO QUARANTA- MEDIA, NEW MEDIA, POSTMEDIA QUESTIONE TERMINOLOGICA 16 ottobre alla Tate Modern di Londra esposizione di Eliasson che ama lavorare a stretto contatto con specialisti di diversi ambiti disciplinari. L’uso del computer è contemplato in molti dei suoi progetti. Tuttavia, il suo lavoro non è stato citato nel volume New Media Art di Tribe e Jana. Il New Media Art è il prodotto di un processo di selezione terminologica che porta incertezze e ha difficile affermazione. L’espressione Digital Art, ad esempio, restringe il campo ai media digitali e può far riferimento a massimo agli anni ’60; mentre l’espressione Media Art, particolarmente in voga nella letteratura accademica di area tedesca, lo estende a tutti i media. La New Media Art sembra il processo evolutivo darwiniano che resiste, nel corso del tempo molti termini sono diventati sinonimi nonostante la loro differenza. GENERE O MOVIMENTO Tutte queste denominazioni, come New Media Art, insistono sul mezzo usato per fare arte, il che dovrebbe bastare a farci ritenere la New Media Art un genere, piuttosto che un movimento; Christiane Paul dice il minimo comune denominatore che definisce la New Media Art è il fatto di essere computazionale e basata su algoritmi. La New Media Art è processuale, collaborativa e perfomrnativa, Treena e Tribe dicono che la New Media Art sia stata uno dei pochi movimenti artistici storicamente significativi della fine del Ventesimo secolo, con internet molti artisti hanno iniziato a sperimentare come non succedeva prima. I LIMITI CRONOLOGICI Vi è la difficolta a dare un limite e un inizio cronologico alla new media art, Tribe e Treena parlano di anni ‘90, ma in realtà si potrebbe estendere alle nuove avanguardie degli anni 60 con le sperimentazioni di Nam Jun Paik o con la mostra Cybernetic serendipidy (ICA di Londra del 1968) o addirittura alle prime avanguardie con Man Ray. COSA SIGNIFICA “NEW MEDIA” Steve Dietz in un saggio del 2000 diceva che nel secolo dei media, ognuno di essi è stato, a un certo punto della sua storia, “nuovo”, e ognuno di essi è irrimediabilmente invecchiato, ogni nuovo medium, nel momento in cui si presenta sulla scena, è a suo modo rivoluzionario, introducendo possibilità comunicative ed espressive prima inesistenti e costringendo spesso le discipline tradizionali a ripensare se stesse e la propria funzione. Verso la metà degli anni Novanta l’espressione “New Media” comincia a essere utilizzata da grandi realtà editoriali per differenziare le nuove divisioni, appena aperte, che producono CDROM interattivi e siti Web, da quelle che lavorano su piattaforme relativamente più tradizionali, come i giornali, la radio, la televisione. È allora che l’espressione “New Media” passa da un senso generico (ogni nuovo medium) a un senso più specifico, strettamente connesso ai media digitale. Secondo Manovich, i “nuovi media” nascono come categoria concettuale quando il computer comincia a essere utilizzato non solo per la produzione, ma anche per l’archiviazione e la distribuzione di contenuti. I New Media sarebbero dunque il prodotto dell’incontro di due tecnologie nate negli stessi anni: i mass media e l’elaborazione dei dati. Ma Manovich si spinge anche oltre, arrivando a sostenere che i nuovi media, e non l’arte, siano i veri eredi della rivoluzione iniziata dalle avanguardie. COSA SIGNIFICA “MEDIUM” Vi è una distinzione fra medium artistico - Greenberg e Krauss - e medium come mezzo di comunicazione - McLuhan. Per Greenberg nell’arte significa che ogni arte utilizza un suo mezzo e bisogna concentrarsi sulle qualità di quel mezzo, ad esempio, la pittura è la piattezza, il pigmento e la forma del supporto. Ma è riduzionistico, dall’altra parte, il concetto di medium che Marshall McLuhan introduce negli stessi anni è relativo a “ogni estensione di noi stessi”, famoso è la frase “il medium è il messaggio”, il “messaggio” di un medium o di una tecnologia è nel mutamento di proporzioni, di ritmo e di schemi che introduce nei rapporti umani”. Quando Nam June Paik distorce il segnale televisivo o JODI rimescola una pagina web non si limitano a lavorare sulle caratteristiche costitutive del mezzo: stanno interferendo con un mezzo di comunicazione per mostrarcene la convenzionalità e il potere. L’equivoco è evidente. DEFINIZIONE DI MEDIUM La New Media Art si definisce in rapporto ai media che utilizza, e di cui fa emergere le implicazioni sociali, politiche e culturali. Nel corso degli anni si sono divisi i detrattori con i sostenitori della new media art: • DETRATTORI: dagli anni Sessanta in poi, saremmo entrati in una fase “postmediale”, in cui l’arte non si concentra più sullo specifico di un medium ma adotta un atteggiamento aperto e nomade, questo rende obsoleta la volontà di concentrarsi su un mezzo. È significativo che, oggi, essa sia rinnegata anche da chi ha contribuito, in passato, alla sua affermazione. Questo approccio ha influito anche sulla fortuna dell’espressione “Video Art”. • SOSTENITORI dicono che le nuove tecnologie abbiano un impatto significativo sulla pratica artistica, e che l’arte debba indagare queste possibilità. New Media Art non ha nulla a che fare con l’arte contemporanea. Gli artisti di New Media Art sono stati spesso ghettizzati perché hanno relegato la loro arte solo ad un fatto di mezzo tecnologico e non contenutistico, anche alcuni scritti di alcuni curatori sono distonici, ad esempio Sarah Cook e Beryl Graham hanno scritto “L’arte fatta usando le tecnologie elettroniche e che dispiega, in ogni combinazione, uno o più di questi tre comportamenti: interattività, connettività e computabilità.” Rivelatorie sono però le brevi specifiche che seguono, in cui le autrici sentono la necessità di escludere “opere che abbiano la scienza e la tecnologia come tema, ma che non facciano uso delle tecnologie elettroniche” e di includere, viceversa, “lavori che rivelino questi comportamenti, ma che appartengano al territorio più ampio dell’arte contemporanea”. Questi strani distinguo stonano perché, alla luce della definizione che li precede, sembrerebbero del tutto superflui. Tuttavia, vengono introdotti. Perché? Sembrerebbe che Graham e Cook stiano lottando contro un senso comune che include nella definizione di New Media Art alcune opere e ne esclude certe altre in virtù di un criterio differente da quello dei linguaggi utilizzati e dei comportamenti manifestati. LA NEW MEDIA ART E’ UN MONDO A PARTE L’espressione New Media Art: ▪ identifica, quindi, un “mondo dell’arte” totalmente autonomo, e indipendente sia dal mondo dell’arte contemporanea, sia da ogni altro “mondo dell’arte”. ▪ Non indica l’arte che utilizza le tecnologie digitali come medium artistico; ▪ Non è un genere artistico né una categoria estetica; ▪ Non descrive un movimento né un’avanguardia. Piuttosto, l’espressione New Media Art descrive l’arte che viene prodotta, discussa, criticata, consumata all’interno di uno specifico “mondo dell’arte”, che chiameremo “Mondo della New Media Art”. Molti critici: • Lovink si sono chiesti il perché di questa arte viene ghettizzata e al posto di essere inglobata nel mondo dell’arte è caduta nell’abisso. • Manovich invece parla di due contesti socioculturali diversi e sin dal 1997 aveva proposto per essi due nomi significativi di Duchamp Land e Turing Land (Duchamp padre dell’arte contemporanea e Turing padre del computer) per distinguere i mondi dell’arte al mondo computazionale; • Ippolito avanza la tesi secondo cui alcuni dei fatti “artistici” più significativi degli ultimi anni siano avvenuti fuori dal mondo dell’arte e spesso a opera di attori che non si considerano, in prima istanza, artisti, ma ricercatori, scienziati, attivisti. Per questo, se vogliamo che il termine “arte” abbia ancora un significato, dobbiamo riconsiderarne la definizione e dobbiamo rinunciare al lascito duchampiano secondo cui l’arte è ciò che accade nel mondo dell’arte. MONDI DELL’ARTE Becker parte dal presupposto per cui un’opera d’arte è il prodotto di un sistema sociale in cui l’artista è solo uno degli attori. Perché un’opera esista, non è sufficiente che un individuo abbia un’idea e la realizzi, entra in gioco un complesso sistema chiamato “mondo dell’arte” cui influenza radicalmente la natura dell’opera d’arte. Ogni “mondo dell’arte”, quindi, si basa su una precisa divisione del lavoro, all’interno della quale l’artista gioca un ruolo molto particolare. L’artista è la persona con quel dono particolare che gli permette di creare un’opera d’arte; ma l’atto creativo dell’artista avviene all’interno di un “sistema cooperativo”, per lo più rispettando certi standard che il sistema è in grado di gestire e certe convenzioni condivise tanto dai produttori, quanto dai consumatori di un’opera d’arte. Il mancato rispetto di questi standard e di queste convenzioni non rende l’opera impossibile, ma ne complica l’esistenza: l’artista deve cercare canali di distribuzione non convenzionali, investitori coraggiosi, un pubblico aperto. L’avvento, negli anni ’60 e ‘70, di linguaggi che sfidano gli standard e le convenzioni dei rispettivi “mondi dell’arte” spingono artisti visivi, scrittori, scenografi, musicisti, coreografi, registi a una scelta di libertà che li relega in una nicchia. Per sostenere e sviluppare la propria attività, questi operatori danno vita, tra gli anni ’60 e gli anni’90, a nuovi sistemi di creazione, distribuzione, critica e a nuovi programmi educativi. Tutto ciò trasforma gradualmente la nostra nicchia in un mondo dell’arte autonomo, il mondo della New Media Art, che inevitabilmente introduce proprie convenzioni e propri standard. Tuttavia, la linearità di questa storia viene messa in discussione dalla metà degli anni ’90, quando i media digitali, confinati per trent’anni nelle università e nei centri di ricerca, sviluppano i presupposti per una diffusione di massa, influenzando ogni livello della produzione artistica e dando vita a nuove forme, come la Net Art. sovietico, si apre una nuova stagione. In Russia si assiste ad istituzionalizzazione dell’arte contemporanea, anche con lo zampino di Soros. La New Media Art ha puntato molto sulla sua “utilità sociale” e sul contributo allo sviluppo creativo dei New Media, confermando la confusione ereditata dal passato, tra lo sviluppo del medium e il suo utilizzo artistico, e tra “New Media” e “New Media Art”. accompagnato da un rapporto ambiguo e conflittuale con l’arte contemporanea. L’utilità sociale della New Media Art si contrappone alla non utilità dell’arte contemporanea, il fatto che la New Media Art volesse inserirsi come sottocategoria dell’arte ha sacrificato delle sue peculiarità. Allo ZKM le due realtà vivono “separati in casa” con delle istituzioni separate, come il Media Museum e il Museum of Contemporary art. Lo ZKM diverrà il tempio di installazioni sofisticate e perfette ovviamente malviste, ma allo stesso modo ha creato una museificazione della New Media Art. In OLANDA nasce l’ISEA. In GERMANIA nasce l’Institute of new media all’interno dell’accademia di belle arti. In UK nasce il FACT a oggi la più importante istituzione di New Media. Nell’Est europeo fino ai primi 90 non esiste un’istituzione per la New Media Art, con Open Society Institute e& Soros Foundation Network nascono diverse istituzioni ma alcuni centri si staccano per evitare di essere governative e non hanno vita facile. La tecnologia in est europeo fino a quel momento serviva solo per uso militare, e l’embargo aveva bloccato tecnologie proveniente dall’occidente; tuttavia, il fiorente networking presente fa fiorire nuove realtà. Nel 99 la mostra itinerante _net condition di ZKM raggiunge anche gli USA; dopo la caduta di Soros in Russia la Media Art non ha vita facile, soprattutto per l’esistenza di ricchi che vogliono l’arte elitaria. Agli inizi del decennio sono pochi gli artisti che usano reti domestiche per fare arte; infatti, per quanto riguarda la New Media Art esistono grandi installazioni interattive, realtà virtuali tutte costose, esempi i progetti di SHAW, eduardo KAc, Studio Azzurro. Con la nascita del World Wide Web molti artisti iniziano ad usare il PC domestico per fare arte e tutti provengono da realtà non scientifiche. Fare arte con il computer non richiede più una formazione tecnologica, l’accesso ai laboratori di ricerca, la collaborazione con ingegneri e professionisti. Chiunque può farlo e non necessariamente per fare un’arte che trovi il computer il suo unico mezzo di fruizione. Così se da un lato il computer entra nello studio di qualsiasi artista, dall’altro esso può essere utilizzato da chiunque voglia sfruttare le straordinarie potenzialità comunicative estetiche e narrative messe a disposizione dalla Rete. La Net Art nasce in questo modo: è ironica e sovversiva e gioca ai limiti del senso; guarda alle avanguardie w alle neoavanguardie; pratica il plastiche, il collage, il gioco linguistico e riflette su uno stadio di produzione culturale che ha annullato ogni differenza tra copia e originale. L’origine della Net Art si colloca tra il 1995 e 1997. La X edizione di Documenta del 97 prevede una sezione dedicata ad essa. Pare che il fermento sia tutto europeo, ma dove sono gli USA? Qui la tecnologia è così rapida che viene subito assimilata cosa che non accade in Europa che viene processata e analizzata, in più negli USA, è il mercato che traina il mondo dell’arte. Tuttavia, alla fine degli anni 90 nascono anche qui università riservate ai New Media, e ci sono piccoli fermenti anche dal punto di vista artistico che hanno vita breve con il crollo della New Economy. Quindi la New Media Art da un lato percorre il sentiero dell’integrazione con l’arte contemporanea e del suo mercato e dall’altro guarderà l’Europa tendando di sviluppare un modello di sussistenza alternativo che consenta di mantenere la propria specificità. DUE MONDI A CONFRONTO ARTE CONTEMPORANEA: L’IDEA DELL’ARTE Marcel Duchamp pone un nuovo paradigma dell’arte che tutto può essere arte a patto che abbia una ragione di esistere. Secondo Bonami per capire l’arte bisogna avere una mente aperta e l’opera d’arte non deve avere una buona tecnica ma deve avere una buona idea e originale. Ma chi dice cosa è originale o no? E chi dice che è una buona idea? Cosa comporta avere una buona idea? Bonami si può permettere di definire arte qualcosa perché ha dietro di sè un sistema dell’arte che lo appoggia. Quaranta usa Bonami come esempio per arrivare al concetto dell’aura, se prima l’aura definiva l’opera, nell’epoca della riproducibilità tecnica l’aura non è più connaturata all’opera e il processo di conferimento di questa aura, segue una serie di meccanismi. L’arte è tale perché qualcuno la rende tale, perché esiste un mondo dietro e viene fatto l’esempio di Damien Hirst che ha dietro un pubblicitario, un imprenditore, un sistema museale che lo rende uno degli artisti più potenti del mondo, ma perché Damien Hirst è tale? Perché le sue opere fanno tanta presa? La debolezza di riconoscere un’opera d’arte prima che il sistema dell’arte ne attribuisca un valore dipende dal fatto che si è associata l’arte al suo contesto. Ma cosa rende tale l’arte aldilà del valore economico? Secondo Perniola la risposta sta nell’ombra dell’arte, una sagoma meno luminosa dove si rintana tutta la parte misteriosa e inquietante dell’arte. Cioè che sembra uscire da queste definizioni deboli è l’idea che l’arte possa riesca a focalizzare un problema, oggettivarlo e sottoporlo ad analisi. Da qui discende il pregiudizio dell’arte che ha come limite un media e dell’arte intesa come “SOLO ARTE”. Secondo Krauss il superamento dell’indagine della specificità mediale sarebbe avvenuto intorno agli anni 70, secondo lei viviamo in un periodo in cui bisogna reinventare il medium; seconda K. È nell’obsolescenza che un medium uò essere riscattato e reinventato da un artista in una fase postmediale: non per esportarne le potenzialità creative ed estetiche ma per indagarlo come “oggetto teorico dell’arte”. ARTE CONTEMPORANEA- LA FIGURA DELL’ARTISTA In Reminder un romanzo di Tom Mc Carthy il protagonista dopo un incidente perde la memoria ma riceve un ingente somma di denaro, grazie a essi può ricostruire la sua vita, reinterpretando la realtà, creando un appartamento che ricorda, crepe sui muri, ingaggiando attori che facciano da persone presenti nella sua vita precedente. Uno gli chiede se si sente un artista e lui risponde “Non sono mai stato bravo in arte quando andavo a scuola”. Questo ci dice molto sullo status dell’artista. Non serve aver fatto scuole, bisogna avere visionarietà non produrre oggetti ma progetti e avere tanti soldi per poter coinvolgere anche altre figure e spendere anni della vita a proseguire su un’idea. Queste caratteristiche risiedono in artisti come Olafur Eliasson o Mathew Barney. Inoltre, il genio artista deve essere anche un ottimo imprenditore, vedi Cattelan, Hirst, Koons. Escludendo questi potenti artisti alcune cose sfumano ma diverse restano come quella della fedeltà ad un’idea. L’artista è libero, può nascondere la sua identità dietro altre, può delegare opere ad artigiani e la figura dell’individuo si sfuma in una collettività. ARTE CONTEMPORANEA: I CONFINI Alessandro Dal Lago e Serena Giordano dicono che se un oggetto è a destinazione d’uso e serve a qualcosa non è arte. L’arte è fine a se stessa e non ha nessuna utilità. Secondo i due autori gli oggetti a destinazione d’uso che siano design o moda, possono essere anche belli ma hanno uno stigma che è quello del lavoro subordinato. Questa visione dell’arte che è chiusa all’interno di una torre d’avorio è piuttosto anacronistica ormai. Tutti i mondi, che siano quelli di design moda ecc…, si rifanno ad altri mondi, soprattutto a quelli dell’arte e questi artefatti possono essere apprezzati solo conoscendo le regole del gioco di quei mondi. Inoltre, il mondo dell’arte quello più sperimentale si rivela ospitale per altre forme di ricerca. Le pareti del mondo dell’arte contemporanea sono più permeabili, se questo è rigido in alcune fasi della storia, in altri periodi il mondo dell’arte contemporaneo permette la contaminazione (ad esempio dopo la caduta del muro). E l’arte per sopravvivere deve reinventarsi e intrecciarsi. Questo processo genera due dinamiche, uno di appropriazione che porta artisti a confrontarsi con altri media, ora importando linguaggi nel mondo dell’arte, o slittando se stessi verso altri mondi, e uno di convergenza, che spinge figure ibride ad interagire con il mondo dell’arte. Esempio Barney che porta il suo lavoro alla mostra del cinema di Venezia; artisti che hanno girato produzioni hollywoodiane, o hanno vinto oscar con sceneggiature per film, o collaborazioni con il mondo della moda. Oppure registi come Jhon Waters, O Cunningham che entrano nel mondo dell’arte. ARTE CONTEMPORANEA: IL VALORE L’attribuzione del valore è gestita da un complesso sistema che comprende critica, musei, istituzioni, premi mostre, e mercato (che è l’anello mancante della New Media Art). Il mercato dell’arte gioca un ruolo di primo piano nel valore, da quando nel corso dell’800, l’arte visiva ha reciso i legami con la classe nobiliare, entrando in istituzioni private, e si rivolge alla borghesia colta. Alla fine degli anni 80 in seguito ad eventi come la globalizzazione, l’aids, la nuova situazione geopolitica fa emergere una nuova fase dell’arte. Nuove piattaforme, nuove esposizioni, nuovi mercati. I musei diventano essi stessi arte con un loro valore spesso più alto del contenuto stesso, le istituzioni private condizionano in maniera crescente questo sistema. Aumentano fiere dell’arte e manifestazioni e si può assistere ad una forma di potere piramidale. Al livello più basso l’arte ambita come capitale sociale, fattore di prestigio e riconoscimento, poi al secondo livello l’arte con un valore finanziario ossia investimento economico, al terzo le aziende che concepiscono l’arte come brand e al vertice, i collezionisti privati che cercano nell’arte una soddisfazione culturale. Sono questi che muovono il tutto, questi rendono pubbliche le loro collezioni, fanno donazioni e aprono anche fondazioni a loro nome. In questo modo dal punto di vista economico si crea un paradosso, questa microeconomia sembra sfuggire al capitalismo, ma allo stesso modo sembra seguire le regole del capitalismo. Inoltre, si crea un sistema di core business, produzione di oggetti rari che solo i più ricchi possono permettersi. Negli ultimi decenni con la nascita della riproduzione tecnica, l’arte ha fatto capo ad alcuni compromessi. Così vediamo foto e video a tirature limitate, o oggetti digitali trasformati in pitture. Quanto agli artisti sono quelli più poveri in questo sistema, a parte piccole parti che riescono a sfondare nel mondo dell’arte. Secondo Staulbrass il mercato dell’arte è un enclave arcaica e protetta. NEW MEDIA ART- L’IDEA DELL’ARTE La New Media Art offre agli artisti che desiderano sperimentare con la tecnologia la possibilità di farlo aldilà delle influenze dell’arte contemporanea, condizionato dalla sua economia e dal pregiudizio che la media art dia più senso al mezzo che al contenuto. Alcuni dicono che l’arte contemporanea vede male la new media art perché non concepisce il rapporto dell’arte con scienza e tecnologia, come Stocker che è il direttore di Ars Elettronica - la rivoluzione tecnologica porta a ripensare l’assetto dell’arte, l’arte è un luogo dove testare il futuro e la media art permette di mettere in contatto artisti con ingegneri. L’obiettivo polemico di Stocker è l’arte contemporanea, che quando si rivolge a un medium lo farebbe per “trasferire nella Media Art strategie artistiche e scemi di comportamento tradizionali”. Al contrario, la Media Art farebbe uso consapevole del mezzo che uso. Stocker sta delimitando il territorio, contro la tradizionale porosità del mondo dell’arte contemporanea e il lavoro di chi considera la New Media Art un aspetto di quest’ultima. Questa concezione fa convivere però due aspetti in contrasto fra di loro, la ricerca sul mezzo, che ha aspetti affini al media design e la ricerca industriale, e l’uso dei media a scopo sociale e politico; la prima però privilegia sulla seconda. Geert Lovink in un testo descrive l’edizione 2006 del festival ISEA facendo una lista di lavori di new media art che sembrano più giochi e intrattenimenti che qualcosa di più strutturato e legato all’arte e contenuto, per questo motivo l’arte contemporanea vede male la new media art. NEW MEDIA ARTS: L’ARTISTA Wands descrive l’artista della New Media Art come qualcuno di interessato alla tecnologia e ha una buona dose di esperienza nel campo. Di solito è un programmatore, quindi abituato con pratiche collettive, vede l’arte in termini di ricerca e sperimentazioni, ama il rischio e si allontana dalle pratiche accettate dall’establishment dell’arte contemporanea. La New Media Art, in questi termini, sembra aver superato la concezione romantica dell’artista genio e si ritorna alla concezione leonardiana di artista scienziato. Un’area peculiare a questa è quella dell’hacking etico, vi è propensione alla collaborazione, scarso interesse nel profitto e propensione alla condivisione della ricerca. Nel 2003 il gruppo Net Art Epidemic, al festival di Ars elettronica, ha creato un programma che visto come codice offuscato e appariva come calligramma, ma eseguito mandava e-mail ad hacker invitandoli a partecipare con il nome della curatrice Christiane Paul. Le risposte imbarazzate a volte e a volte entusiaste mostrano un binomio presente nel mondo hacker. Questo ritratto dell’artista New Media per quanto astratto appare così lontano dalla tipologia di artista coltivato nell’arte contemporanea da indurre a pensare che la differenza tra i due mondi dipenda, prima ancora che da ragioni storiche, da ragioni antropologiche. Esempio emblematico è quello di Reas, artista americano il cui lavoro consiste nel “definire processi e tradurli in immagini”, colui che ha creato processing, che è sia programmatore ma anche artista e professore. Se le sue pubblicazioni come professore sono a tirature ristretta i suoi programmi sono aperti a tutti. NEW MEDIA ART: I CONFINI Il mondo della New Media Art si regge su un’economia che non prevede, nel suo sistema di distribuzione, un mercato dell’arte. un mercato basato sulla circolazione della circolazione di un pezzo unico, o limitato, a un numero ridtto di esemplari, richiede feticci, oggetti la cui sopravvivenza nel tempo può essere garantita, la cui riproducibilità può essere limitata e il cui valore economico può essere molto più alto di quello dei materiali utilizzati per realizzarlo. Viene meno il feticcio economico ma il valore culturale resta. L’opera di new media art non è più basata su un oggetto o artefatto che deve essere venduto, viene meno il senso del mercato e l’opera può essere immateriale e perde anche il concetto dell’aura. L’opera di New media art è un ibrido. Se nell’arte contemporanea esistono casi in cui un’opera sfocia in altre discipline, le opere di new media art sono caratterista da un continuo sfociare tra varie zone. La prima arriva in rari casi a nobilitare alcune zone, la seconda lo fa per natura. L’unico lascia passare richiesto alla new media art è che si faccia un uso creativo della tecnologia. Nella New media art possiamo ritrovare esempi di game design, o prodotti sperimentali musicali che non trovano mercato nell’industria. NEW MEDIA ART: IL VALORE I lavori di New Media art possono comunque entrare all’interno di musei e fondazioni. All’artista viene pagato il lavoro svolto per un luogo, e anche alloggio e vitto. Le fruizioni di opere sono spesse a pagamento. Come anche per l’arte contemporanea, l’artista fa altri lavori per sostenersi, di solito che hanno a che fare con il mondo artistico; quindi, ci sono professori di accademie di belle arti, o curatori ecc... Alcuni hanno reso i loro lavori accettabili al mondo dell’arte contemporanea, quindi stampe, sculture ecc…, altri si sono intrufolati in sistemi di distribuzioni come game design, moda ecc.. INTERNET, UN NUOVO CONTESTO DELL’ARTE Con l’arrivo del World Wide Web si è trasformato il panorama delle arti non solo di quelle tecnologiche. L’evoluzione della società in società dell’informazione ha inciso sul ruolo sociale dell’arte, sono mutati i sistemi di distribuzione, rapporto tra opera e pubblico, le regole di internet valgono molto per il mondo dell’arte, dove le informazioni corrono a velocità della luce. L’avvento di Internet ha sconvolto la divisione del mondo dell’arte contemporanea con il mondo della new media art, si è prearato a diventare il “mondo dell’arte” di una nuova pratica artistica “nativa”, prodotta, distribuita e discussa all’interno della Rete stessa. la Net Art. Uno degli esponenti principali della net art è il duo Jodi, che nel 95 creano un sito jodi.org: strano sito in cui si approda navigando online. L’homepage cambia senza preavviso, mano amano che vengono aggiunti nuovi lavori. Uno dei primi consiste in uno sfondo nero su cui lampeggia un flusso continuo di caratteri verdi, che fanno vita a un testo ineleggibile fatto di basse, parantesi, segni di interpunzione e simboli matematici e numerici. La prima impressione è che qualcosa non vada nel sito, errori di programmazioni nel codice. In realtà poi ci si imbatte in un disegno, in caratteri ASCII, di una bomba, accompagnato da altri grafici. Con questa opera gli artisti si servono dei media non per mostrare la techne ma per portare una critica e ribaltare il media, una critica al pensiero editoriale colonialista. In questo modo utilizza il linguaggio sia dell’arte contemporanea e della new media art e vengono sovvertiti. Infatti, la Net art si basa sul contenuto ma non produce oggetti vendibili, non si serve di un mercato Il terzo errore è un errore di selezione, con proposte culturali deboli. Inoltre, il Mediascape si svolge in unisolamento in cui l’intreccio di interessi che si costruisce tra museo e sponsor tecnologico non appare sostenuto da altri settori del mondo dell’arte. Diversamente si muove la Postmasters Gallery di New York, fondata nell’East Village nel ‘84, poi spostata a Soho nel ‘89 e a Chelsea nel 98. A Soho presenta due interessanti collettive curate da Benavich: • Can u digit? - presenta 40 lavori di artisti attivi nella Silicon Valley • Password: Ferdydurke – si concentra sulla smaterializzazione dell’immagine. Nel ‘97 segue MacClassic - nostalgia nei confronti di feticci quali Mac – il curatore fa usare diversi Mac a diversi artisti e chiede di creare qualcosa, la macchina non è solo supporto ma parte dell’opera. Le tre mostre evidenziano quindi, l’esigenza di esplorazione di un territorio di divulgazione dei temi introdotti dalle nuove tecnologie. Fondamentale nel ‘97 è la sezione Net Art di Documenta X curata da David e Lumuniere, è stata l’edizione della coscienza politica, critica, delle riprese delle istanze della neoavanguardia dei ’60 e il rifiuto alla domesticazione dell’arte. Più che una mostra era una grande manifestazione, con workshop, dibattiti, conferenze e una sezione dedicata alla Net Art con opere e un sito. Il sito è stato fondamentale, era un nuovo modo di fruire la mostra, inoltre oltre a calendario di eventi, presentata importanti documenti critici e su artisti. Alcune installazioni erano anche dislocate come Makrolab o Metronet, invece vi era una parte che ha creato accesi dibattiti tra i net artisti che raccoglieva opere presenti sul web sottoforma di installazione. Oltre questo si creavano associazioni fra artisti perché le opere erano tutte unite. Un altro tentativo di mostra della New Media art che ponesse di più l’accento sul contenuto che sulla tecnologia veniva proposta da dalla curatrice Graham proponendo, prima alla Laing Art Gallery di Newcastle e poi alla Barbican Art Gallery di Londra, la mostra Serious Games: Art Interaction Technology, non una mostra sulle tecnologie ma sull’interazioni, interazioni intese fra persone che espongono in mostra. Questi buoni lavori hanno un aspetto ludico sì ma si interrogano su questioni serie. Negli anni ’90 questi eventi non sono più isolati ma appaiono come la punta di una piramide in costruzione. Nel 1993, presso la School of Visual Arts di New York nasce, per iniziativa di Bruce Wands, il New York Digital Salon, esposizione annuale di “arte digitale”. Inizialmente si basa su computer graphic e ci vogliono anni per svecchiarlo ma il fulcro è l’ingresso della New Media Art in ambito accademico. Nascono inoltre diverse iniziative no profit legate alla rete, come The thing nata come BBS nel 91 e creata da Sthele, del 95 ADA WEB come piattaforma di progetti online, o Rhizome fondata a Berlino da Mark Tribe. Alcune istituzioni iniziano ad assumere curatori specializzati in New Media Art come Steve Dietz per la Walker Art Center di Minneapolis. Nel 98 cura Beyond Interface: Net Art and Art on the Net (1998), una collettiva online nata come contributo a “Museum & The Web”, una conferenza che dal 1997 si tiene annualmente a Toronto (Canada). Beyond Interface intende mostrare a un pubblico di professionisti museali che esiste una pratica artistica in Rete, e sollevare alcune domande relative al modo in cui i musei possono avere a che fare con questa nuova forma d’arte. THE NEXT BIG THING (1999-2001) Con la nascita del web, il mondo dell’arte contemporaneo si trova un po’ arretrato con la sua resistenza nel farsi inglobare nel mondo digitale. In questo periodo la new media art cerca e continua a farsi strada sempre circondato da critiche attraverso istituzioni. Importante è l’apertura di altre sedi dello ZKM e la mostra Net_condition, coordinata da Peter Weibel che si avvale di numerosi curatori, fra cui Shaw. La mostra è dislocata nei vari luoghi aperti dallo ZKM: Barcellona, Tokyo, Spagna, Austria… ma il nucleo centrale è Karlsruhe (dove espongono 70 artisti), fra i curatori vi è anche Weil (che due anni dopo cura 010101: Art in technology times.) Il tema della mostra è come gli artisti vedono la tecnologia e la società e come queste si influenzano a vicenda. Non è una mostra di Net Art ma vuole mostrare come le condizioni sociali hanno creato la rete. Buona parte della mostra è dedicata ad installazioni che dedicano una parte alla dimensione della rete, da ricordare l’ipertrofica struttura H|U|M|B|O|T| (1999–2004) che è un progetto collaborativo con il tema del viaggio in tutte le sue sfaccettature, che coinvolge non solo artisti ma anche hacker, e si presenta come un’installazione babelica che raccoglie mappe, computer, lampade archivi ecc.. In una sala chiamata Lounge ci si può connettere da una serie di postazioni vintage da cui si può navigare, chattare e seguire le conferenze degli artisti. Alcuni lavori sono mostrati su computer connessi in Rete, altri proiettati. La parte che fa scalpore e flop e il Net Browser creato da Jeffrey Shaw: l’installazione mostra una sorta di “navigatore fisico”; uno schermo piatto fissato al muro dei binari e controllato dallo spettatore attraverso una tastiera wireless; spostando a dx o sx il visitatore può collegarsi ai siti selezionati. Da esso il visitatore poteva accedere alla rete, ma oltre al fatto che tutti i siti di net art erano mischiati fra loro e sembravano ricondursi ad un solo artista, la struttura snaturava l’atto del navigare facendolo diventare una barzelletta, per questo motivo JODI rifiutarono di partecipare alla mostra e Vuk Cosic lasciò davanti la porta dello zkm dei fiori funerari. Nel 2000 Steve Dietz invece in Art Entertainment Network fa installare un monolito con uno schermo e si potevano vedere i siti girando il monolite. Le mostre di New Media Art in questo periodo godono di fondi di grandi aziende Hi-tech come Nokia, Apple. Questi eventi confermano ulteriormente come, a cavallo del millennio, si stia sviluppando una congiuntura favorevole per la New Media Art, in cui l’ansia dell’istituzione museale di svecchiarsi, sostenuta dalla volontà del settore hi-tech di rafforzare la propria immagine, dà vita a una rete di nuove figure curatoriali, che operano a sostegno della ricerca con le nuove tecnologie all’interno delle istituzioni museali, o si muovono come freelance tra l’una e l’altra. Nel biennio 1999-2001 sono diverse le mostre di New Media Art, fra le più importanti quella citata prima curata da Weil 010101: Art in technologic times. Che non è una mostra di New Media Art, ma un evento dedicato all’impatto delle nuove tecnologie sulla nostra vita quotidiana, così evita di cadere nell’errore di ghettizzare la New Media Art al solo mezzo, tuttavia l’allestimento sembra confermare che la New Media Art si concentri sul mezzo. La mostra presenta una sezione online. La sezione nasce per ospitare i progetti in Rete della mostra, che non saranno esposti nella sede fisica del museo. Evidentemente, Weil ha preso atto del fallimento del Net.Art Browser, l’interfaccia che garantiva l’accesso ai progetti online di Net_Condition. Altre due mostre dello stesso periodo sono Bitstream e Data Dynamics, la prima una panoramica sulle nuove tecnologie sia come mezzo ma anche come strumento e racchiude diverse opere collettive e a seconda invece presenta solo 5 installazioni curate da Paul con l’obbiettivo di restituire alle opere in rete uno spazio fisico. Alcuni nascono già come installazioni o sculture, altri - come Apartment 2001 , di Marek Walczak e Martin Wattenberg) sono accessibili in Rete e vengono tradotti in forma di installazione per lo spazio museale; alcuni preesistono alla mostra, altri vengono commissionati appositamente. Non mancano ovviamente le critiche dal mondo dell’arte contemporanea, alla mostra Bitstream, Barbara Pollack stronca la mostra definendola una “stravaganza digitale priva di ironia” che si limita a dimostrare che, “come chiunque, gli artisti usano i computer”. Inoltre, avanza critiche come l’assenza della dimensione umana, in qualsiasi forma; la predilezione per i linguaggi astratti, l’esclusione quasi totale di artiste donne, che rafforza lo stereotipo secondo cui la tecnologia attrarrebbe soprattutto i giovani maschi. GLI ANNI DEL RIPIEGAMENTO (2002-2010) L’interesse dei musei si stava allentando. Le ragioni sono molteplici: • Venir meno dei finanziamenti “interessati”; • Resistenze del mercato dell’arte; • Dubbi della critica sull’opportunità di una definizione basata sul medium. Dato il boom di mostre in ambito digitale svoltesi nell’anno 2001, sembrava che l’atto della “consumazione” nella danza di Boho fosse arrivato, ma in realtà non è stato così. Infatti, gli anni dopo molte istituzioni a stampo New Media Art hanno chiuso e alcune figure principali come Dietz sono state licenziate. Tuttavia, le mostre che seguono dal 2002 al 2010 sembrano seguire 3 modelli: ▪ Il primo riprende il modello delle vecchie grandi mostre che si focalizzano sul medium. Il tema, quando esiste, è puramente accessorio, vengono presentati lavori che non hanno nessuna cosa in comune l’una dall’altra se non l’etichetta del digitale, questo ovviamente porta ancora di più a ghettizzare la new media art. ▪ La New Media Art fa la sua comparsa, a piccole dosi, in mostre tematiche di arte contemporanea, ad esempio mostre panoramiche su ricerche astratte che includono anche lavori di JODI. ▪ Modello adottato dalla maggior parte delle mostre realizzate dal 2002 al 2010. In questo caso, la New Media Art si presenta sulla ribalta dell’arte contemporanea attraverso eventi di media grandezza, ben curati e concettualmente solidi. La sede di solito sono gallerie private o piccole istituzioni, inoltre non vi è l’esaltazione del medium ma si indaga su aspetti chiave della nostra era attuale, come la sorveglianza, la privacy ecc… UNA FORMA SPECIFICA DI CONTEMPORANEITA’ I 3 modelli sopraelencati evidenziano delle criticità: in positivo, la possibilità di inserire la New Media Art all’interno di altri sistemi discorsivi, non necessariamente connessi alla tecnologia o al digitale; resistenza del mondo dell’arte contemporanea a una questione chiave attuale e cioè l’avvento delle società delle informazioni e le sue ovvie conseguenze su identità e società, spesso dovuta ad una scarsa consapevolezza dei curatori. Il mondo dell’arte necessità di figure preparate a questo, un esempio è Broekmann, già direttore di Transmediale che inaugura ad Amsterdam la mostra Deep Screen, che riunisce opere che, aldilà del mezzo utilizzato, si interrogano sulla società delle informazioni, quindi a video, lavori di net art si accostano anche sculture o dipinti. Un’altra valida curatrice è Arns. Nella sua pratica seleziona lavori culturalmente forti e discute con gli artisti quale possa essere il modo migliore per portare nello spazio espositivo la sua energia. Evita, anche quando si tratta di lavori di net art la tecnologia, ad esempio in una mostra che parla di irational.org, la famosa comunità di attivista e artisti britannici di net art, si fa un uso ridottissimo del computer e si affiancano loghi, video, proiezioni, documenti. Quaranta cita un suo lavoro curatoriale Holy Fire. Art of the Digital Age per art Brussels. Nella mostra si dovevano pescare opere di Net Art in collezioni e gallerie private, questo è comune per mostre di arte contemporanea ma non è scontato in mostre di new media art. Al pubblico dimostrava che la new media art era collezionabile dato che molti artisti della new media art scelgono per la presentazione forme stabili. MERCATO E COLLEZIONISMO Sollevare la questione del rapporto tra mercato e New Media Art equivale a entrare in un deposito di petardi con un fiammifero acceso. La “feticizzazione finanziaria dell’arte” ha un ruolo centrale nel mondo dell’arte contemporanea, e l’avvento di un collezionismo che sostiene una determinata tendenza, linguaggio o movimento è, ancora oggi, uno dei momenti fondamentali della danza Boho. Il mondo della New Media Art intuisce che, se il mercato dell’arte riuscirà a mettere le mani sulla sua pratica, potrebbe vincere laddove quindici anni di mostre museali hanno fallito, favorendo l’assorbimento della New Media Art nell’alveo dell’arte contemporanea. Se i musei hanno tentato più volte di cavalcare l’onda dell’arte digitale, è altrettanto vero che gli altri settori chiave del mondo dell’arte contemporanea hanno proceduto a un ritmo molto più lento. Ed è stata proprio questa lentezza di critica, curatori, gallerie e collezionisti a far fallire, finora, qualsiasi tentativo di conferire, nell’arte contemporanea, legittimità alla ricerca sui nuovi media. La Postmasters gallery di New York è stata la prima a mostrare interesse nel mondo della New Media Art, e nel 2001 vende un lavoro digitale di Utterback e Achituv (Text Rain, 2000) per quindicimila dollari. Negli anni successivi molti saranno artisti net art e post internet a collaborare con la galleria fra questi i Mattes, etoy.corporation, Natalie Jeremijenko. Sempre nel 2001 si parla su forbes dei lavori digitali di Simon venduti ad un fisico, e inoltre anche lo stilista Max Mara si interessa al suo lavoro e li mostra nella sua fondazione. Interessante è la Bitform gallery, dove il suo fondatore Sacks vede nella new media art una buona opportunità di mercato. Un facoltoso uomo della Corea del Sud finanzia la galleria dopo aver visto le opere di Rozin (specchi interattivi) e averne comprato qualcuno. Oltre ai lavori di Rozin, la bitform nell’arco di 3 anni riesce a vendere 50 lavori interamente in rete di Napier. Un altro progetto di Sacks è SOftware Art Space dove cerca di vendere software d’arte (con meno successo). Oggi sono diverse gallerie private che fanno massicci investimenti nel campo ma questo è grazie anche ai piccoli atti coraggiosi di investimenti fatti nei primi 2000 che hanno fallito numerose volte. Esempi la Walker museum che ha prima investito su lavori come quelli di Eva e Franco Mattes e poi dal licenziamento di Dietz, i lavori vivono solo online. Purtroppo, tra le varie tipologie di estimatori che la New Media Art ha avuto, i collezionisti sono sempre merce rara. Tra le varie motivazioni tre sono sempre presenti: la natura effimera, performativa e time- based della New Media Art; la difficoltà di conservarla, a causa del suo affidarsi a tecnologie e linguaggi a rapida obsolescenza; e la sua duplicabilità, che minaccerebbe l’unicità dell’oggetto artistico. Ciò però sono solo scuse dato che anche altri lavori tradizionali sono soggetti a questi problemi, ad esempio i neon di Flavin. Il fatto è che chi colleziona opere d’arte, museo o privato che sia, non si lascia influenzare da queste difficoltà, a meno che non sia convinto dello scarso valore culturale o finanziario dell’opera in oggetto. Dopo l’esempio di Steve Dietz che viene licenziato il caso più clamoroso di finanziamenti interrotti è il Guggenheim che nel 2001 vuole portare avanti una sezione dedicata alla net art. Purtroppo solo due progetti vedono la luce e dopo solo un anno, dopo che anche Ippolito si licenzia (curatore della sezione) il progetto cade nel baratro. Maggiore coraggio hanno dimostrato alcune situazioni più piccole e marginali, come la MEIAC di Spagna che ha acquistato opere di Lialina, Cosic, Shulgin, 01.org. Sempre in Spagna stiamo assistendo anche alla costruzione di alcune interessanti collezioni corporative, come quelle connesse al premio Arco Beep, che va a arricchire la collezione di BEEP, uno dei principali rivenditori di tecnologie informatiche sul territorio spagnolo. Qualcosa ora sta cambiando e un esempio è anche l’acquisto nel 2009 del Withney museum di Super Mario Cloud opera di Arcangel: il lavoro consiste in una cartuccia modificata di Super Mario, in cui le componenti ludiche sono state eliminate per visualizzare soltanto il cielo azzurro e le nuvole bianche che scorrono orizzontalmente. Al museo non interessava più entrare in possesso, genericamente, di un’opera di New Media Art, ma di quella particolare opera di quel particolare artista, ritenuto in grado di riflettere, meglio di altri, un aspetto specifico della contemporaneità. Per quanto riguarda i collezionisti privati molti preferiscono mantenere l’anonimato ma nell’ultimo periodo diversi sono coloro che comprano opere di new media art, di solito questi sono neoquarantenni, che hanno vissuto buona parte della vita con nuove tecnologie e immaginano un futuro economico roseo investendo su queste opere. A conti fatti, pare proprio che la fase della “consumazione” stia finalmente per arrivare. LA PROSPETTIVA POSTMEDIALE IL BREVIARIO DEL CURATORE Critici e curatori devono assumersi buona parte della responsabilità della scarsa reputazione che l’arte già nota come New Media Art ha nel mondo dell’arte contemporanea. La critica specializzata ha compiuto l’errore di voler imporre al mondo dell’arte contemporanea i criteri di valore per cui un lavoro viene apprezzato nel mondo della New Media Art, e di sviluppare un discorso “settoriale” (quando non “settario”), cercando di presentare come un fenomeno unitario una realtà assolutamente eterogenea. D’altro canto, la critica d’arte contemporanea si è rivelata incapace, con poche eccezioni, di superare il gap tecnologico e di affrontare questi lavori con i propri strumenti critici.