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Riassunto Stigma: identità negata di Erving Goffman, Sintesi del corso di Sociologia

Riassunto completo del libro di Erving Goffman, "Stigma: identità negata".

Tipologia: Sintesi del corso

2016/2017
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Caricato il 11/09/2017

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Scarica Riassunto Stigma: identità negata di Erving Goffman e più Sintesi del corso in PDF di Sociologia solo su Docsity! GOFFMAN,​ ​Erving,​ ​​Stigma:​ ​​Notes​ ​on​ ​the​ ​Management​ ​of​ ​Spoiled​ ​Identity​ ​​,​ ​Englewood Cliffs,​ ​Prentice​ ​Hall,​ ​1963 Stigma:​ ​identità​ ​negata Erving Goffman è stato uno scienziato canadese, una delle figure sociologiche più rilevanti dello scorso secolo, grazie soprattutto al “modello teatrale” che propone per analizzare​ ​le​ ​interazioni​ ​sociali​ ​e​ ​interpersonali. Nel 1963 Goffman pubblica il saggio ​Stigma: ​Notes on the Management of Spoiled Identity ​che diventa una delle ricerche sociologiche più significante sul tema dello stigma e​ ​stigmatizzazione. Il concetto di “stigma” risale alla Grecia Antica, per indicare certi segni fisici (solitamente incisi sul corpo) che trasmettono un’informazione sociale precisa sulle persone che li ricevono. Di solito, uno stigma faceva riferimento ad aspetti devianti dell’identità sociale di una persona ed è stato usato sia come mezzo di controllo sociale (nel caso di devianze morali ad esempio) sia come mezzo per escludere certe categorie sociali da vari campi di concorrenza (ad esempio i schiavi). Oggi generalmente si applica alla minorazione e non ai​ ​segni​ ​fisici​ ​di​ ​essa. Goffman inizia il suo saggio affermando che è la società a dividere le persone in vari gruppi sociali stabilendo allo stesso tempo le caratteristiche di queste categorie. In base ai nostri preconcetti, ciascuno di noi crea delle supposizioni nei confronti dell’altro che vengono poi trasformate in aspettative normative. In questo modo prende forma un’identità sociale virtuale (basata sulle richieste “effettuali” fissate da noi sull’altro), mentre l’identità sociale attuale di una persona rappresenta “la categoria a cui possiamo dimostrare che appartiene e gli attributi che è legittimo assegnargli” (Goffman, 1963b; trad.​ ​it.​ ​2003,​ ​p.​ ​12). Quando un attributo oppure una caratteristica porta a profondo discredito diventa uno stigma. A volte un attributo diventa profondamente dispregiativo a seconda del contesto sociale (e in questo modo il linguaggio dei rapporti prevale su quello degli attributi): ad esempio, uno studente non si sente umiliato se va in biblioteca, mentre un galeotto potrebbe​ ​provare​ ​imbarazzo. Erving Goffman individua tre tipi di stigma: le deformazioni fisiche, gli aspetti criticabili del carattere e le differenze di razza o religione. Inoltre, opera una distinzione tra la tipologia della persona “screditata” (quando il simbolo di stigma è visibile a tutti) e quella della persona “screditabile” (quando la fonte di discredito non è immediatamente percepibile. Goffman definisce “normali” quelli che “non si discostano per qualche caratteristica negativa dai comportamenti che, nel caso specifico, ci aspettiamo da loro” (Goffman, 1963b;​ ​trad.​ ​it.​ ​2003,​ ​p.​ ​15). Le persone stigmatizzate solitamente interiorizzano i criteri che la società applica a loro rendendole pienamente consapevoli di ciò che gli altri vedono come le loro mancanze. Tutto ciò può esacerbare il sentimento di vergogna e di inadeguatezza che lo stigmatizzato deve affrontare quotidianamente. Tuttavia, vi sono diversi modi in cui lo stigmatizzato affronta questo rapporto asimmetrico con l’altro. In alcuni casi si cerca di correggere lo stigma, mentre in altri la fonte di discredito viene usata come pretesto per ottenere “vantaggi secondari”. Altri ancora, guardano alla loro minorazione come una possibilità di maturare spiritualmente o psicologicamente . Nei rapporti con gli altri a volte 1 domina l’incertezza, perché lo stigmatizzato non sa mai che cosa pensano veramente di lui. Questo può condurre all’isolamento oppure ad un atteggiamento vacillante tra ostilità provocatoria​ ​o​ ​timorosa​ ​sottomissione. Ci sono due gruppi sociali dove il minorato si sente al riparo dallo sguardo diffidente dei “normali”. Il primo è costituito da coloro che hanno lo stesso stigma e che di norma è organizzato e dispone di una base operativa. I loro rappresentanti cercano di educare l’opinione pubblica per migliorare i modi in cui la persona stigmatizzata viene trattata. Sono soggetti collettivi relativamente stabili e aperti che esigono lealtà e cercano di costruire un forte senso di appartenenza senza di cui si arriverebbe “al disorientamento, fino alla dissoluzione dell’identità del gruppo” (Sciolla, 2010, p. 156). Il secondo gruppo è rappresentato dai “saggi” (un termine coniato dalla comunità omosessuale statunitense), cioè “quelle persone normali che per motivi particolari sono comprensive e partecipi della vita segreta dell’individuo stigmatizzato, persone che in qualche modo sono accettate dal gruppo e ne diventano spesso membri onorari” (Goffman, 1963b; trad. it. 2003, p. 39). Sono “saggi” solitamente chi sono più vicini agli individui stigmatizzati grazie ad esempio al lavoro, come gli infermieri, oppure grazie alla appartenenza alla stessa struttura sociale, come familiari o amici. Goffman nota che questi membri onorari “di una categoria stigmatizzata offrono un modello di <<normalizzazione>>, dimostrando fino a che punto i normali possono arrivare nel trattare le persone stigmatizzate come se queste non lo fossero”​ ​(Goffman,​ ​1963b;​ ​trad.​ ​it.​ ​2003,​ ​p.​ ​41). Il primo capitolo del saggio si conclude con il concetto di “carriera morale”, i cambiamenti nella concezione di sé che si verificano con il passare del tempo. Le due fase iniziali della carriera morale sono: l’interiorizzazione del punto di vista delle persone normali e la consapevolezza del proprio stigma assieme all’apprensione dolorosa delle conseguenze che ne derivano. L’autore analizza quattro modelli di carriera morale. Il primo è rappresentato da coloro che hanno uno stigma fin dalla nascita. Il secondo modello di socializzazione comprende coloro che sono stati tutelati in qualche modo da un gruppo protettivo (famiglia o vicinato) che filtra le informazioni e le interferenze esterne. Quando la protezione del gruppo viene meno o diventa impossibile, l’individuo stigmatizzato farà 1​ ​La​ ​logoterapia​ ​di​ ​Viktor​ ​Frankl​ ​prende​ ​in​ ​considerazione​ ​il​ ​ruolo​ ​catartico​ ​della​ ​sofferenza​ ​umana​ ​nel​ ​dare​ ​un​ ​senso alla​ ​vita:”According​ ​to​ ​logotherapy,​ ​we​ ​can​ ​discover​ ​this​ ​meaning​ ​in​ ​life​ ​in​ ​three​ ​different​ ​ways:​ ​(1)​ ​by​ ​creating​ ​a​ ​work​ ​or doing​ ​a​ ​deed;​ ​(2)​ ​by​ ​experiencing​ ​somethig​ ​or​ ​encountering​ ​someone;​ ​and​ ​(3)​ ​by​ ​the​ ​attitude​ ​we​ ​take​ ​toward unavoiadable​ ​suffering”.​ ​(Frankl,​​ ​Man’s​ ​Search​ ​For​ ​Meaning​,​ ​trad.​ ​inglese​ ​di​ ​Ilse​ ​Lasch,​ ​Rider,​ ​Great​ ​Britain,​ ​2008,​ ​p. 115)​. Nel terzo capitolo, Goffman analizza l’identità sotto un altro aspetto , quello dell’Io, vale a 3 dire “quel senso soggettivo della propria situazione e della propria continuità e carattere che un individuo arriva ad avere come risultato delle varie esperienze sociali” (Goffman, 1963b; trad. it. 2003, p. 133). Rispetto all’identità personale e sociale, l’idea di Io è più legata alla soggettività e riflessione interiore ed è utile per valutare l’atteggiamento dell’individuo nei confronti del suo stigma. L’autore nota che la persona minorata prova una certa ambivalenza di fronte al proprio Io che deriva dalla frattura che esiste tra i requisiti richiesti dalla società e le sue aspettative normative e l’impossibilità di metterli in pratica. Anche nei confronti del gruppo dei simili è possibile che provi la stessa ambivalenza. Da una parte, se approva le norme della società, può trovare ripugnante il comportamento stereotipico di altre persone che condividono lo stesso stigma sicché “non può né identificarsi col suo gruppo, né distaccarsi da esso” (Goffman, 1963b; trad. it. 2003, p. 135). Inoltre, come risposta all’alienazione che risulta dal suo stigma, cercherà di sviluppare certe filosofie di vita e di razionalizzare la sua condizione in diversi modi. Molto spesso, l’individuo stigmatizzato è consigliato di definirsi un essere umano come tutti gli atri, di conservare la sua dignità e non “passare” del tutto. Goffman osserva che è molto probabile che le persone stigmatizzate diventino critici dei rapporti umani riuscendo a cogliere significati ignoti alla maggioranza che si trova invece immersa nel contesto sociale. Inoltre, il dibattito pubblico che la collettività intraprende per comprendere meglio i vari tipi di stigma dà un senso di vulnerabilità e smascheramento alle persone in causa perché le loro ferite più profonde e i loro problemi personali vengono discussi apertamente. Le filosofie di vita e i codici di comportamento che lo stigmatizzato adotta traggono spesso origine dalla militanza del gruppo dei simili. Questi gruppi di rappresentanza sono in prima linea per ottenere riconoscimento sociale e una più larga accettazione da parte della società più vasta. La collettività si aspetta che l’individuo stigmatizzato sia affiliato al gruppo dei simili. Se cerca di distanziarsi da esso, viene guardato come vile o folle . Non 4 è nemmeno raro il caso in cui l’individuo si trova dinnanzi a lealtà di gruppo diverse dove gli​ ​si​ ​richiede​ ​di​ ​rispondere​ ​ad​ ​aspettative​ ​normative​ ​contrastanti.​ ​(Scialla,​ ​2010,​ ​p.​ ​49). Poi, l’autore analizza le dinamiche interiori che lo stigmatizzato sperimenta nei rapporti sociali misti, poiché non è solo affiliato ad un gruppo interno formato da simili, ma si deve allineare anche con un gruppo esterno composto dalle persone “normali”. Nel terzo capitolo l’autore descrive le dinamiche tese che si verificano nell’interazione mista e, partendo dalla prospettiva della società, offre vari consigli per agevolare l’accettazione sociale dello stigmatizzato a cui si chiede di accettare le offerte di aiuto degli altri e di sentirsi al suo agio con la propria diversità. Goffman mette in risalto l’assurdità delle 3​ ​Goffman​ ​riprende​ ​il​ ​concetto​ ​di​ ​identità​ ​dell’Io​ ​da​ ​Erik​ ​Erikson​. 4Ad​ ​esempio,​ ​gli​ ​omosessuali​ ​cristiani​ ​celibi​ ​di​ ​solito​ ​rifiutano​ ​di​ ​identificarsi​ ​con​ ​le​ ​comunità​ ​gay​ ​che​ ​a​ ​loro​ ​volta​ ​li stigmatizzano​ ​mentre​ ​non​ ​possono​ ​essere​ ​“se​ ​stessi”​ ​neanche​ ​all’interno​ ​dei​ ​gruppi​ ​cristiani​ ​spesso​ ​omofobi​ ​o diffidenti. richieste che la società fa valere nei confronti dell’individuo stigmatizzato. Il risultato è una “accettazione fantasma” che si basa su una “normalità fantasma”: “si chiede allo stigmatizzato di comportarsi in modo da far capire che il suo fardello non è pesante, né che il fatto di portarlo lo abbia reso diverso da noi” (Goffman, 1963b; trad. it. 2003, p. 149). Negli ultimi due capitoli, Goffman analizza sinteticamente il concetto di devianza, utile nello studio dello stigma anche perché crea un collegamento con il contesto sociale. Per Goffman, è abbastanza irrilevante cercare di capire quante persone vengono stigmatizzate perché tutti siamo destinati a fare questa esperienza in un modo o in un altro. Piuttosto, è importante individuare i diversi modi in cui lo stigma viene vissuto. Alla luce di ciò, è improprio parlare della persona stigmatizzata come un deviante (al massimo,​ ​dice​ ​Goffman,​ ​si​ ​potrebbe​ ​chiamare​ ​un​ ​“deviante​ ​normale”). L’autore definisce la deviazione come la non adesione alle norme sociali che un gruppo oppure una collettività condivide e la analizza soprattutto in rapporto ai gruppi e alle reti sociali, prendendo in considerazione in modo particolare i devianti sociali che si organizzano in sotto-comunità. Il rapporto tra questi gruppi e la società e spesso conflittuale perché i devianti sociali contestano apertamente i ruoli che vengono assegnati a loro. L’identità collettiva di questi gruppi si sviluppa a volte partendo da un mancato riconoscimento oppure di un misconoscimento da parte della società che, dice Charles Taylor, è una forma di oppressione che va combattuta in quanto dannosa e distorsiva​ ​(Taylor,​ ​Habermas​ ​1994). Per concludere, si potrebbe dire che per Erving Goffman lo stigma è un processo sociale complesso a due e non riguarda tanto individui concreti. Essere stigmatizzato oppure essere normale è solo una questione di prospettiva e di ruoli di interazione, perché una differenza acquisisce rilevanza sociale solo se viene concettualizzata collettivamente dalla società nel suo complesso. Inoltre, la visione sullo stigma come “spogliazione” e come frattura tra l’identità sociale e quella attuale non è solo utile dal punto di vista scientifico, ma anche ha contribuito a umanizzare e addolcire il discorso della​ ​società​ ​su​ ​questi​ ​temi. A parere di chi scrive, il saggio “Stigma” potrebbe essere inteso anche come un appello alla comunità degli scienziati sociali affinché si elabori una teoria più coerente sull’identità. Goffman sottolinea più volte la situazione paradossale dell’individuo stigmatizzato che da un lato “gli si dice che è come chiunque altro, e nel medesimo tempo che non lo è, sebbene non esistano accordi sulla misura in cui debba prevalere questo o quello” (Goffman, 1963b; trad. it. 2003, p. 152) anche se lo stesso autore è scettico​ ​sull’esistenza​ ​di​ ​una​ ​soluzione​ ​“autentica”​ ​o​ ​di​ ​una​ ​vera​ ​identità​ ​da​ ​riscoprire.