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Riassunto Storia del Cristianesimo l'età antica (I-VII) Emanuela Prinzivalli, Sintesi del corso di Storia

Riassunto Storia del Cristianesimo l'età antica (I-VII) Emanuela Prinzivalli Capitoli 1-7

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica Riassunto Storia del Cristianesimo l'età antica (I-VII) Emanuela Prinzivalli e più Sintesi del corso in PDF di Storia solo su Docsity! Riassunti Storia del cristianesimo 1° capitolo LE FONTI Alcuni pensavano a Gesù come un inviato per la salvezza da parte del Dio d’Israele. La sua morte scandalizzò molto, fu dunque raccontata in modo che corrispondesse alle profezie delle Scritture e dunque alla volontà di Dio. Vi sono anche altre memorie trasmesse sotto forma di breve unità: un miracolo, una controversia, un detto o una parabola che regolavano le missioni di cristianizzazione sai la vita di gruppo, come per esempio nelle lettere d Paolo. Si cominciò anche a scrivere narrazioni sull’attività di Gesù, la più antica fu composta nel 70. Questo scritto fu attribuito a Marco e comincia con la frase “Inizio del Vangelo di Gesù Cristo” dove vangelo significa annuncio di Gesù. Altre due opere simili, anonime ma vengo trasmesse come scritte da Matteo e Luca, sono state composte più tardi: la 1° negli anni 80 invece la 2° negli anni 90 e come fonte si pensa che abbiano usato Marco. Questi 3 vangeli vengono chiamati “sinottici” perché si possono disporre in modo da “vederli insieme” perché hanno la stessa struttura. Sottratto il materiale proveniente da Marco, rimane un cospicuo numero di detti di Gesù e Giovanni Battista in entrambi i vangeli. Matteo e luca, dunque, hanno attinto da un’altra fonte scritta, è la cosiddetta “teoria delle 2 fonti”. Quindi la convergenza tra Marco e la fonte Q (quelle fonte in tedesco) è utile per risalire a Gesù. Esistono altri vangeli come quello d Giovanni di Zebedeo, discepolo di Gesù, che lo compose circa introno al 100; il vangelo secondo Tommaso che raccoglie 114 detti di Gesù, ci è giunto in lingua copta ritrovata nel 1945 a Nag Hammadi; il Vangelo secondo Pietro che racconta la passione, la morte e la resurrezione e infine il vangelo secondo gli Ebrei meno utile per la ricostruzione del “Gesù storico”. NASCITA E INFANZIA Paolo afferma che Gesù fosse “nato da donna, nato sotto la Legge” (Gal 4,4) quindi era un ebreo. Né Marco né Q parlano della nascita, ma ve ne trattano Luca e Matteo. La nascita a Betlemme è un’invenzione giustificata dal fatto che si pensava che lì, patria del re Davide, sarebbe dovuto nascere il messia. La discendenza dal re Davide è testimoniata in scritti come nella “lettera ai Romani” di Paolo del 56 quindi alcuni ritengono questo luogo di nascita come verisimile. I nomi dei parenti possono essere considerati storici e in Mc 6.3 appaiono 4 fratelli di nome Giacomo, Joses, Giuda e Simone. Sono menzionate anche delle sorelle che erano almeno due. Per giustificare il teologumeno della perpetua verginità di Maria i fratelli di Gesù furono considerai come figli di primo letto di Giuseppe ma questa ipotesi non regge. Mc 6,3 definisce Gesù come “tekton” usato per chi faceva lavori in pietra e legno. Mt 13,55 riprese questo passo definendolo come “figlio del tekton”. GESÙ IL GALILEO Marco afferma che “da Nazareth di Galilea” Gesù andò a farsi battezzare da Giovanni nel Giordano e spesso lo designa come Nazarenos. Matteo lo qualifica di Nazaraios, mentre Luca usa entrambe le forme. Giovanni usa solo Nazoraios. Q non menziona nulla a riguardo. Matteo e Luca ritengono Nazareth come luogo dal quale Gesù ha cominciato. Mentre Marco e Giovanni presuppongono che sia il luogo dove sia nato Gesù. Nazareth non è menzionata né nella Bibbia ebraica né nelle fonti giudaiche. Dopo il distacco dalla famiglia, i vangeli sinottici registrano solo una visita a Nazareth e gli abitanti erano diffidenti nei confronti di Gesù, dunque non poteva compere nessun prodigio. Gesù è stato attivo soprattutto nei villaggi della Galilea. Marco, seguito da Matteo e Luca, divide l’attività di Gesù in due fasi: la 1° in Galilea, la 2° a Gerusalemme, verso i giorni id Pasqua durante i quali Gesù fu arrestato e condannato a morte. Giovanni fa agire Gesù in Galilea ma cita 3 Pasque a Gerusalemme. Città frequentata da Gesù in Galilea fu Cafarnao dove abitava Pietro. LA CRONOLOGIA DI GESÙ Secondo Luca 2,1-2, Gesù nasce sotto l’imperatore Augusto. Sia Luca sia Matteo situano la nascita di Gesù sotto Erode il Grande. Se si considera questa datazione esatta, allora la nascita di Gesù va collocata poco prima del 4 a.C. Dunque possiamo affermare che Gesù sia morto tra 27 e il 34 (Pilato fu in carica dal 26 al 36). I angeli sinottici concordano sul fatto che Gesù sia morto la vigilia del sabato, i sinottici, tuttavia, affermano sia morto il venerdì 15 Nisan mentre Giovanni il venerdì 14 Nisan. La cronologia giovannea appare preferibile: il 14 Nisan cade di venerdì negli anni 30 e 33 quindi è probabile che Gesù sia morto il 14 Nisan dell’anno 30. GIOVANNI IL BATTISTA Battesimo veniva considerato come segno di un cambiamento di vita e della richiesta del perdono dei peccati. Giovanni annunciò l’imminenza della venuta del giudizio di Dio sul popolo di Israele, e Giovanni con il battesimo offriva una possibilità di salvezza. I testi hanno provato a spiegare con numerosi scritti il motivo del battesimo di Gesù. Il vangelo secondo Giovanni presuppone che Gesù, insieme ai suoi discepoli, abbia ricevuto il battesimo prima che il Battista venisse imprigionato. Sia Marco che Q hanno determinato l’inizio dell’attività di Gesù con la fine di quella di Giovanni. Nell’universo culturale di Gesù si pensava che il mondo fosse popolato da entità spirituali invisibili che avevano poteri superiori e conoscenze inaccessibili agli umani rivelate a questi ultimi tramite forme di comunicazione come la visione. Gesù, durante il suo battesimo, ebbe una visione inerente la sua “vera” condizione. Un’altra esperienza visionaria è in Lc 10,18 dove Gesù rivela di aver visto Satana cadere dal cielo come una folgore”. GESÙ, CARISMATICO ITINERANTE Gesù è un carismatico, ossia considera la sua autorità come un dono concesso da un’istanza superiore e sue “prove” sono le prestazioni riconosciute come attestazione di un potere spirituale riconosciute dai suoi adepti. Gesù non contesta le istanze di autorità del giudaismo in terra d’Israele, ma è probabile che abbi discusso con i farisei circa alcune interpretazioni della Legge. Gesù era itinerante, si distaccò dalla famiglia, abbandonò la sua casa e tutti i suoi beni. Questo comportamento veniva stigmatizzato dalla società, dunque quella di Gesù è un’autostigmatizzazione volontaria. Distaccarsi dai beni vuol dire rinunciare a quel sistema di difesa dell’onore della famiglia, che spesso comprendeva anche l’uso della violenza per rimediare ad un torto. Gesù, infatti, richiedeva di non esercitare alcuna sopraffazione, di non uccidere o adirarsi, riconciliarsi anziché trovare giustizia e di accettare di subire violenza. A chi obbiettava che l’amore di Dio verso tutti è incompatibile con tutti i mali e violenze che accadevano, Gesù spiegava che la risposta sta nella scelta di vita. Bisogna, infatti, avere una fiducia totale nell’amore di Dio, che può essere sperimentato sollo nella rinuncia a tutti gli strumenti di autodifesa. I DISCEPOLI DI GESÙ Il termine “Figlio dell’uomo” è frequente nei vangeli canonici, è raro negli scritti protocristiani e in tutto quello che ci rimane di Q è il solo titolo a lui applicato. In ebraico e in aramaico denotava sia l’essere umano generale ma anche un determinato essere umano. Il titolo di messia deriva da masiah in ebraico e da cristos n greco che vogliono dire unto. Essi designano una persona che ha ricevuto un’unzione rituale come un re o un sacerdote. Durante il tempo di Gesù il termine viene assegnato a che svolge un ruolo nella salvezza; a Qumran si aspettavano due messia uno sacerdotale e l’altro regale. A Cesarea di Filippo, Pietro identifica Gesù come Cristo ma Gesù lo mette a tacere. Perché il titolo poteva essere assegnato solamente dopo la passione e la morte. CONFLITTO E MORTE L’ arresto e la morte di Gesù non vanno valutati separatamente dai conflitti verificatisi durante il suo ultimo soggiorno a Gerusalemme. La tradizione colloca la morte di Gesù dopo l’episodio della Purificazione del Tempio. Si usa definirla come una purificazione poiché si protestò contro il commercio e il guadagno. Tuttavia, era normale per un ebreo. All’inizio della stessa notte, ci fu una cena. I 4 resoconti di questo evento (Mc, Mt, Lc e Paolo). Secondo i tre sinottici si tratta della cena pasquale quindi si tiene la sera del giorno 14 Nisan e Gesù muore il 15. In Giovanni Gesù muore il pomeriggio del 14 Nisan, prima della cena pasquale. È certo, dunque, che Gesù morì verso Pasqua e questo fatto influenzò la comprensione della sua morte. La cena no presenta i caratteri in una cena pasquale. Ormai conscio del proprio destino, Gesù ha voluto consumare un pasto solenne nel quale ha benedetto vino e pane. Giovanni non racconta ciò e collega a cena alla lavanda dei piedi dei discepoli, rituale nel quale si dimostrava l’amore reciproco, ma non è detto che Giovanni ignori l’eucarestia. Quella notte, Gesù, con alcuni suoi discepoli, si recò nell’orto dei Getsemani. Giuda indicò il luogo dove si trovava il profeta, fatto accertato da alcune fonti storicamente attendibili, ma non si il motivo di questo suo tradimento. Gesù fu condotto a casa del sacerdote e qui accusato di bestemmia fu condannato a morte. La mattina seguente, il Cristo sarebbe stato trasferito al pretorio di Piato ed egli lo condannò alla crocefissione dopo il sommario processo dell’aristocrazia sacerdotale di Gerusalemme. Gesù subì una pena disonorante applicata soprattutto agli schiavi ed inflitta principalmente dai romani come in Israele dove, con l’assedio di Gerusalemme nel 70, furono crocefissi numerose persone. I cadaveri venivano lasciati per molto sulla croce e quindi i corpi diventavano cibo per uccelli e poi abbandonati in fosse comuni. Alcune famiglie riuscirono però a seppellire i corpi dei propri parenti, infatti secondo Destro e Pesce le autorità giudaiche autorizzarono a seppellire Gesù. La notizia dell’assenza del corpo nella tomba non compare sino al Vangelo secondo Marco benché i discepoli di Gesù abbiano sostenuto immediatamente che Dio lo avesse resuscitato. 2° capitolo DAGLI EBREI SEGUACI DI GESU' ALL'ANTAGONISMO FRA CRISTIANI ED EBREI IL PROBLEMA DELLA TRANSIZIONE La transizione che va dal giudaismo al cristianesimo è un fenomeno abbastanza difficile da analizzare. Il modello più usato per spiegare questo fenomeno è quello della “separazione delle vie”. L'evento storico che causa questa separazione, secondo alcuni studiosi, è la terza guerra giudaica (132-135) scatenata da Bar Kokhba. Boyarin adotta un altro modello, quello ondulatorio. Egli sostiene che il cristianesimo avrebbe avuto origine da scelte di elementi identitari e dalla loro aggregazione e diffusione fino a creare una componente autonoma dal giudaismo. questo processo si concluse nel IV secolo. quindi si tratta di un processo lungo e complesso al termine del quali nascono il giudaismo rabbinico e il cristianesimo. I PRIMI SVILUPPI DEL MOVIMENTO DI GESU' DOPO LA MORTE VIOLENTA DEL CAPO CARISMATICO. Il movimento di Gesù si è sviluppato in ambiente giudaico. Gesù svolse le sue missioni principalmente nei villaggi rurali della Galilea rivolgendosi agli ebrei. In Mt 10,6; 15,24 si afferma che la buona novella deve essere annunciata solo alle pecore disperse della casa di Israele. Ai gentili verrà annunciata la salvezza solamente dopo la resurrezione di Gesù. Dopo la morte del suo capo, il movimento si ricompattò e riuscì a continuare la causa di Gesù: l'annuncio del regno di Dio. È probabile che i Dodici (al posto di Giuda fu eletto Mattia) ritornarono in Galilea. Della loro attività abbiamo scarse notizie ed è qui che va collocata l'azione dei predicatori itineranti. La resurrezione contribuì a far sì che numerosi seguaci continuassero a credere che la causa di Gesù godesse dell'approvazione divina. Nacque la convinzione che Dio fosse intervenuto per rendergli giustizia non abbandonandolo alla morte ma elevandolo ad una nuova condizione, in attesa che Gesù ritornasse per inaugura quel regno divino annunciato. Dei primi sviluppi del movimento di Gesù abbiamo poche informazione che ricaviamo dagli Atti degli Apostoli, ma i dati da questa fonte, attribuita a Luca, devono essere usati cautamente poiché incentra tutti gli eventi a Gerusalemme senza menzionare la Galilea ed inoltre tende a smorzare i conflitti all'interno del gruppo di Gesù. Il gruppo di Gesù, infatti, nel periodo successivo alla morte del suo capo non conobbe una convivenza pacifica ma ci furono tensioni soprattutto riguardanti il problema della successione alla guida del movimento quella dell'accoglienza dei gentili. LA SUCCESSIONE ALLA GUIDA DEL MOVIMENTO Nella competizione ebbero grande importanza le apparizioni del Risorto che conferivano un grande vantaggio a chiunque le avesse avute. Nacquero due gruppi che aspiravano ad essere gli eredi di Gesù: il primo che faceva riferimento a Cefa (Pietro) e ai Dodici, invece il secondo faceva capo a Giacomo, fratello di Gesù. Ovviamente le donne non entravano in questa dinamica. La competizione ha lasciato qualche traccia negli scritti protocristiani. I vangeli canonici parlano poco dei familiari di Gesù e se lo fanno, tentano di metterli in cattiva luce quindi essi si richiamavano a Petro e i Dodici. per molto si affermarono i primi, ma per brevi lassi di tempo anche Giacomo prevalse. L'ACCOGLIENZA DEI GENTILI ALL'INTERNO DEL MOVIMENTO DI GESU' Il processo di ripensamento della figura Gesù costituisce l'avvio della cristologia, termine con il quale si identifica la riflessione di fede su Gesù. Il personaggio si vede assegnato un ruolo salvifico non più destinato al mondo del giudaismo ma all'intera umanità. A causa dello scarso numero di fonti non possiamo riuscire a determinare come sia nata l'idea della missione ai gentili. Ancora una volta ci serviamo degli Atti degli Apostoli, in At 6, infatti, distinguendo nella primitiva comunità di Gerusalemme due gruppi: gli ebrei e gli ellenisti. Ad un certo punto fra i due nacquero delle tensioni che avrebbero prima portato ad una separazione come l'istituzione dei Sette responsabili degli ellenisti e i Dodici responsabili degli ebrei. Gli ellenisti rappresentavano un gruppo differente quindi fu percepito come estraneo. A seguito di una persecuzione, gli ellenisti furono cacciati da Gerusalemme. Con il loro allontanamento, il messaggio di Gesù lascia la Giudea e raggiunge la Samaria, quindi le genti. Luca fa legittimare questa missione da Pietro che autorizza a battezzare il centurione Cornelio e la sua famiglia. Città importante di questa missione fu Antiochia. Capoluogo della provincia di Siria e Cilicia, era un importante centro economico e amministrativo ed era densamente popolata. Luca ci racconta che in questa città i discepoli di Gesù furono per la prima volta chiamati cristiani, non si tratta, tuttavia, di un'autodesignazione ma fu attribuito dalle autorità romane. Anche il termine cristianesimo verrà coniato da un autore antiocheno, Ignazio di Antiochia, nel II secolo. • Ad Antiochia viveva una comunità giudaica. Diversamente dalla comunità di Gerusalemme, questa intratteneva fitti rapporti con gli altri abitanti, si parla infatti di ebrei simpatizzanti del cristianesimo i quali erano attratti dal loro monoteismo, rituali religiosi e per i suoi ideali etici. Le modalità di adesione al giudaismo erano varie. Vi erano i “timorati di Dio”, i quali erano dei semplici simpatizzanti che apprezzavano gli ideali etici e la fede monoteista; i proseliti che accettavano pienamente l'adesione al giudaismo e dunque anche la circoncisione e l'osservanza della Legge. Il movimento di Gesù era missionario. Ci furono numerosi dibattiti sull'accettazione dei gentili all'interno del movimento per esempio se essi dovessero prima aderire al giudaismo o la circoncisione. Una figura importante di Antiochia era Barnaba che portò in questa città Paolo, il quale continuò, come Barnaba, ad annunciare la salvezza alle genti. La prassi degli evangelizzatori di Antiochia era quella di accogliere i gentili tramite il battesimo e non la circoncisione. Questo metodo creò tensioni all'interno del movimento soprattutto con la comunità di Gerusalemme di Giacomo. Questa prassi non poteva essere accolta da quest'ultimi in quanto, in un movimento formato per lo più da ebrei, la non circoncisione era considerata un elemento impuro. Con il passare del tempo il conflitto si acuì, quindi fu necessario un dialogo fra le due comunità. Vi sono due racconti inerenti questo episodio, uno di Paolo (Gal 2) e di Luca (At 15): • In At 15 si trattano due diversi ma entrambi relativi alla missione ai gentili: quell'opportunità della circoncisione per i convertiti alla fede in Gesù provenienti dalle genti e quello delle norme di purità da osservare per convivere con i giudei • In Gal 2 differenzia i due temi trattando il problema della circoncisione con un incontro a Gerusalemme che ebbe con Giacomo e Cefa. Scriverà del secondo problema riferendosi ad una controversia che ebbe ad Antiochia con Pietro (l'incidente di Antiochia Gal 2 11-14). Nonostante i conflitti, si giunse ad una soluzione. Un compromesso che prevedeva il riconoscimento, da parte della comunità di Gerusalemme, del divieto di circoncisione alle genti proprio della missione antiochena. In compenso Paolo e Barnaba riconoscevano la legittimità della missione petrina che imponeva l'obbligo dell'osservanza della Legge. Paolo va oltre la questione della circoncisione, infatti in Gal 2 afferma di sentirsi esonerato dai vincoli della Legge sia i pagani convertiti sia i Giudei credenti in Gesù. Giacomo e i suoi, invece, imponevano l'obbligo di osservare la Legge e non ammettevano una comunione dei pasti con coloro che fossero impuri. L'incidente di Antiochia riguarda questo punto. Pietro prima dell'arrivo dei rappresentanti di Giacomo, mangia in compagnia di alcuni gentili non circoncisi, poi fa marcia indietro e trascinando dalla sua parte Barnaba, dunque Paolo sarà lasciato da solo. Per l'Apostolo, nella nuova ekklesia ogni distinzione è superata e la fede di Cristo assicura la salvezza a tutti. Quindi i convertiti di origine gentili dovevano essere accolti tutti senza alcuna restrizione. assiste ad una differenziazione dei gentili rispetto al giudaismo e soprattutto con l’emergente giudaismo rabbinico. Questo processo si svolge su più piani: uno politico amministrativo e sul piano culturale. L’elemento che c0ontribuì maggiormente a distinguere i Giudei dai cristiani, fu l’istituzione del fiscus Iudaicus, il quale sostituiva la tassa che tutti gli ebrei pagavano al Tempio di Gerusalemme dopo la distruzione nel 70. Affinché la tassa fosse riscossa, i romani dovettero censire i Giudei, dunque tramite questa iscrizione Roma poté distinguere gli ebrei da altri gruppi etnici e religiosi soprattutto dai gentili credenti in Gesù i quali si rifiutavano di professare la religione civile dell’Impero romano ma a differenza dei Giudei, essi non godevano di alcun privilegio. Il fattore di differenziazione culturale è rappresentato dalla riflessione sulla loro servendosi di precetti filosofici greci, si ricorse in particolare alla filosofia stoica e platonica. I seguaci di Gesù si servirono soprattutto dell’allegoria, ossia un processo interpretativo che permetteva di intendere cose diverse da quelle scritte cogliendo significati più nuovi e profondi. La grande diffusione che il messaggio di Gesù ebbe fra i gentili e rifiuto che ebbe tra la maggioranza degli ebrei, creò perplessità. Molti intellettuali riflessero su ciò per esempio Giustino con la sua opera “Dialogo con Trifone” dove ci si interroga sul valore normativo della Legge mosaica che i cristiani non osservano più. La discussione vuole dimostrare come la Legge mosaica abbia una valenza provvisoria e che la sua funzione si sia esaurita con l’avvento di Gesù. Giustino conclude affermando che il popolo di Israele è stato sostituito dal popolo cristiano, il quale ora rappresenta il verus Israel. Questi temi saranno spesso ripetuti negli scritti adversus Iudaeos. Nei confronti del mondo pagano i cristiani si pongono come un tertium genus distinti dai Giudei e dai culti politeistici dell’Impero. Nonostante esistevano queste distinzioni, tra i Giudei e cristiani vi erano contatti. Capitava, infatti che fra bancari romani, come lo era Callisto, vi fossero clienti ebrei o i numerosi cristiani che frequentavano ancore le sinagoghe nonostante le numerose prediche di Giovani di Crisostomo. LA SVOLTA COSTANTINIANA Con Costantino ci fu un cambio di situazione. Dopo i falliti tentativi dei suoi predecessori di restaurare l’Impero in crisi, egli decise di offrire tolleranza e pace ai cristiani se essi avessero appoggiato la causa dell’Impero. Nacque così quell’alleanza fra Impero e Chiesa che perdurò per tutto il medioevo. Anche la condizione dei Giudei mutò profondamente, infatti Costantino promulgò decreti volti a danneggiare gli ebrei per assecondare i cristiani sottomettendo così la loro religione alla fede cristiana. Dal 324, come attesta il “Codice Teodosiano”, Costantino si interessa a legiferare in ambito giudaico per esempio si proibisce la lapidazione dell’ebreo apostata o la circoncisione forzata degli schiavi. Vi è un cambio di situazione anche per i cristiani di origine cristiana, infatti secondo Girolamo, dal quale venivano chiamati nazorei o nazareni, essi occupavano una posizione scomoda per il fatto che continuino ad osservare le pratiche giudaiche nonostante credino in Cristo. L’alleanza fra Impero e Chiesa con il passar del tempo si consoliderà sempre di più, nel 380 con l’editto Cunctos populos di Tessalonica fa del cristianesimo, nel suo forma cattolica, l’unica religione dell’Impero. 3 ° CAPITOLO LE MOLTLIPICI STRADE DEL VANGELO (I-II SECOLO) E IL CONSOLIDAMENTO ORTODOSSO DEL III SECOLO CRISTIOANESIMO E CRISTIANESIMI Sin dalle origini all’interno del cristianesimo vi è un pluralismo, quindi si parla di “cristianesimi” e non di “cristianesimo”. La distruzione del Tempio nel 70 e il crescente numero di seguaci di origine gentile contribuirono a diversificare e rendere difficile la convivenza dei sostenitori. La posizione paolina, per il quale l’unica salvezza è in Gesù, essendo la Legge inefficace e superata, fu quella che ebbe grande successo sul piano dell’evangelizzazione perché non imponeva ai pagani obblighi. Nonostante ciò, Paolo fu alla lungo una figura biasimata dai Giudei. Un’epistola, successivamente attribuita a Barnaba, rappresenta un atto di accusa contro Israele. Nella lettera non compaiono i termini “giudeo” è cristiano”, Barnaba sostiene che l’interpretazione della Torah è stato un tradimento, istigato da un angelo malvagio, della volontà di Dio. Di questa lettera non se ne conosce la provenienza, tuttavia è probabile che sia di origine egiziana e la sua reazione contro le pratiche giudaiche, considerate da Barnaba pericolose, è giustificato dall’insurrezione giudaica che si ebbe in Egitto tra 115-117.L’evangelizzazione in Egitto dovette essere precoce, esso ha una matrice giudaica e le scarse informazioni che abbiamo sulle sue prime fasi può spiegarsi con la rivolta del 115-117. LE VIE DELL’EVANGELIZZAZIONE Dopo la cacciata dei Sette da Gerusalemme, il cristianesimo giunse in Samaria, Siria ed Antiochia. Anche a Roma giunse rapidamente ad opera di Giudei, che tornati affascinati da un pellegrinaggio Gerusalemme, diffusero il cristianesimo nell’Urbe. Il cristianesimo romano, quindi, è intriso di cultura giudaica. Ciò ci è confermato anche da un autore anonimo del IV secolo, il cosiddetto Ambrosiaster, e confermato anche nella prima lettera di Clemente ai Corinzi considerato il primo scritto cristiano. Dalle sette lettere autentiche di Paolo (Romani, 1 e 2 Corinzi, Galati, Filippesi, 1 Tessalonicesi, Filemone) e dagli Atti degli Apostoli ricaviamo informazioni sugli spostamenti di Paolo e circa la sua evangelizzazione. Inizialmente Paolo si muove in un’area limitata dal porto di Antiochia, Seleucia, a Cipro, in seguito espande il suo raggio d’azione. L’azione missionaria di Paolo verrà interrotta dalla cattura a Gerusalemme. Essendosi dichiarato cittadino romano passa due anni in custodia a Cesarea e appellatosi a Cesare viene trasferito a Roma, dove predicherà. Si parla anche di un successivo viaggio in Spagna, come affermato nella Prima Lettera di Clemente, Frammento di Muratori) ma gli storici non le danno credibilità. Oltre alle sette lettere autentiche, fanno parte del Nuovo Testamento anche altre 5 lettere pseudoepigrafe e sono; Colossesi ed Efesini e le cosiddette pastorali (due Timoteo e una a Tito). Sono pseudoepigrafe anche le lettere “cattoliche”, anche loro presenti nel Nuovo Testamento. La seconda lettere a Timoteo presenta una frase sconfortante dove si afferma che tutti in Asia hanno abbandonato Paolo. La convivenza fra missionari non è sempre semplice, per esempio Paolo considera inaffidabile l parente di Barnaba. La predicazione paolina, a differenza di quella di Gesù, si sviluppa nei centri urbani. Il motivo sta nell’efficiente e capillare rete viaria dell’Impero. Il cristianesimo, infatti, si diffuse anche grazie ai mercanti, come Priscilla e Aquila che Paolo incontra a Corinto nel 52. Fra gli evangelizzatori possiamo trovare anche i soldati. Grazie a loro il cristianesimo arrivò a toccare città ai confini nordici dell’Impero come Colonia e Treviri. Vi furono atti di evangelizzazione in India ad opera di Bartolomeo e Tommaso, che annunciò il messaggio anche ai Parti. Pietro si diresse nelle stesse regioni in cui fu Paolo, quindi la Cappadocia, il Ponto e poi Roma dove egli trovò la morte. L’ORGANIZZAZIONE INTERNA DELLE CHIESE Ogni movimento si organizza al suo interno. Tramite i Vangeli, sappiamo che Gesù necessitava di risorse economiche messe a disposizione dal gruppo. Dopo la morte di Gesù, il movimento si divise in diverse forme che ebbero diverse modalità missionarie. Durante la prima fase di evangelizzazione, ci si rivolgeva prima alle comunità giudaiche. Non raggiungendo, tuttavia, il consenso unanime, i seguaci si riunivano fuori della sinagoga e ciò provocò distanziamento e separazione. Gli adepti del movimento continuavano la propria vita nelle loro case o nelle case del padrone, e avevano occasione di riunirsi in stanze messe a disposizione da persone che potevano farlo per pregare o spezzare il pane. Negli Atti ma anche in Paolo, il termine usato per identificare le riunioni dei fedeli era “ekklesia” (raccolta, assemblea). Il termine è quasi assente nei Vangeli, comparendo solo due volte in Matteo. Il significato di ekklesia è equivalente a quello di sinagoghe usato per indicare l’adunanza di preghiera ebraica. Entrambe le parole vengono usate dai Settanta per indicare la riunione degli Israeliti, quindi i Giudei fedeli in Gesù scelsero ekklesia per distinguersi. In una stessa città vi potevano essere differenti cristianesimi, per esempio a Corinto oltre a Paolo c’erano Pietro ed Apollo. Paolo non utilizza termini per identificare dei ruoli all’interno dell’ekklesia ma in Fil 1,1 parla di episcopi e diaconi e lui stesso si definisce diakonos. Paolo fa una gradazione delle autorità: per primi ci sono gli apostoli, poi i profeti, dopo i maestri ed in fine fa un elenco dei vari doni spirituali dei quali l’ultimo è la glossolalia. Nel II secolo ci sono comunità rette da soli profeti come attestato dall’Ascensione di Isaia. La Didachè forse siriana mostra che all’autorità dei profeti e dei maestri si sta sostituendo quella degli episcopi e dei diaconi che debbono essere eletti. La Didachè comandava di accogliere il profeta a spese del gruppo (13,1) mentre il semplice correligionario doveva lavorare. Questo importante scritto si esprime anche in materia elettorale, consigliando di nominare solo persone provate e non desiderose di arricchirsi. Un interrogativo di importanza cruciale era se presbiteri dovessero mantenere la carica sino alla morte. La prima lettera di Clemente ai Corinzi si schiera dalla parte dei presbiteri deposti, affermando che furono gli apostoli a designare i presbiteri e che per evitare contese aggiunsero che alla morte essi sarebbero stati sostituiti da altre persone, elette ed approvate da un’assemblea. Nelle prime decadi del II secolo, in alcune chiese di Asia e Siria, l’organizzazione basata sul collegio di episcopi/presbiteri lascerà posto ad un solo episcopo sovraordinato a sua volta ai diaconi. Si parla, quindi, di “monoepiscopato”. La prima attestazione del passaggio allo schema verticale con il vescovo a capo del collegio dei presbiteri e i diaconi in subordine, si trova nelle lettere di Ignazio di Antiochia. Policarpo vescovo di Smirne, nella lettera scritta ai Filippesi, si sente come primus inter pares. In molti accusarono la “teologia del Logos” di negare l’unicità di Dio. La reazione fu la nascita di una corrente monarchiana che si divise in due: la prima adozionista (si sosteneva che Gesù era solo che un uomo adottato da Dio; mentre la seconda sostenne che Cristo e Dio sono la stessa cosa quindi è Dio che ha patito sulla croce. Origene di Alessandria risulte esser polemico contro quest’ultima corrente monarchiana. Egli concepisce la generazione dal Padre come eterno e continua poiché non c’è un momento dove il Padre è senza Figlio superando così la dottrina del doppio Logos. Origine afferma anche l’individualità eterna del Figlio, la sua sussistenza (ipostasi). Egli concepisce lo spirito santo come un’ipostasi e l’unione delle tre ipostasi non è concepita come un’unione di sostanza ma come unione di amore e volontà che in Dio è immutabile. I CRISTIANI DI ROMA E CARTAGINE FRA II E III SECOLO La Chiesa di Roma acquisisce subito qualche membri molto influenti nel senato e all’interno della famiglia imperiale. La continua immigrazione faceva sì che convivessero all’interno della città numerosi gruppi cristiani e nel corso del II secolo aprirono delle scuole. All’inizio del II secolo già esisteva un primato d’onore della chiesa romana, infatti molte persone come Paolo o Ignazio mostrano grande ammirazione per essa. Anche se la Ciesa di Roma non fu fondata da Pietro e Paolo, molto personaggi influenti fecero sì che questo mito si affermasse. Per esempio Ireneo da Lione, stabilendo che la chiesa fosse stata costruita da Pietro e Paolo, esortava alla convivenza pacifica. Gli studiosi affermano che con il vescovo Vittore si afferma il carattere monarchico della chiesa romana. Ciò lo si può delineare dalla sua decisone di volere uniformare il calendario pasquale a Roma dove la comunità asiatica celebrava la Pasqua secondo l’uso quartodecimano (14 di Nisan) mentre l’altra comunità la celebrava la domenica successiva al plenilunio di primavera. Allora, Vittore invitò gli esponenti delle chiese asiatiche a riunirsi in un concilio affinché essi potessero abbandonare la loro usanza ma essi, rappresentati da Policrate di Efeso, non fecero marcia indietro. Il vescovo romano, dunque, volle scomunicarli ma Ireneo ripudiò questo comportamento citando l’esempio di Aniceto di Roma e Policarpo di Smirne i quali pur non trovando un accordo sulla Pasqua rimasero in comunione reciproca. In molti affermano che l’ostilità verso l’usanza quartodecimana era spiegata dal diffondersi cii una Nuova Profezia detta montanista che la accettava. Il montanismo nacque in Frigia fra 151 e 171 e si diffuse in Asia Minore e in Africa. Essi credevano nella discesa dello Spirito Santo che avrebbe ricolmato di sé i fedeli. Questo movimento attirava molti sospetti a causa del ruolo importante che occupavano le donne profetesse, per il rigore ascetico e l’esortazione all’autodenuncia come cristiani. Inoltre essi non consideravano chiuso il canone del Nuovo Testamento. Uno dei vescovi più importanti del II secolo fu Callisto. Egli fu riscattato da delle miniere sarde, insieme ad altri cristiani, per intercessione della concubina dell’imperatore Commodo, Marcia. Protetto da Vittore organizzò il primo cimitero di proprietà ecclesiastica dove poveri e ricchi venivano seppelliti senza alcuna distinzione (catacombe di San Callisto). Diventato vescovo egli propose una visione della Chiesa più indulgente in campo penitenziale e lontana da elaborazioni raffinate in teologia. Vittore riteneva che la Chiesa dovesse indurre a penitenza i peccatori e non espellerli, decisione che l’autore dell’Elenchos (avverso a Callisto) non condividerà. Callisto, inoltre, permette il matrimonio di donne altolocate con schiavi o uomini di rango inferiore, bastava che essi fossero cristiani. Callisto propone anche una soluzione teologica circa la Teologia del Logos. Egli, infatti, affermò che il Logos e il Padre sono un’unica cosa perché lo spirito è indiviso. Alcuni decenni dopo emerge a Roma Novaziano, altro vescovo che si pone contro la linea prevalente della sua Chiesa. Egli intrattiene un rapporto epistolare con Cipriano di Cartagine. Cipriano era di famiglia altolocata e svolgeva la ed era un avvocato. Aderì in età matura al cristianesimo e subito dopo, nel 249, fu fatto vescovo. Nel 250 egli si trovò a dover risolvere il problema dei lapsi, cristiani che per paura avevano ceduto al decreto di Decio. Cipriano rimanda ad un concilio la decisione di poter riammettere i lapsi che si terranno nel 251 e 252. Si decise, dunque, che coloro che si erano pentiti e disposti a sopportare una pena durissima potevano essere riconciliati in punto di morte, mentre i libellatici, ossia coloro che avevano comprato il libellus, senza sacrificare incorrevano in una pena più mite. Inoltre i chierici caduti dovevano essere ridotti allo stato laicale e fare penitenza come tali. IL CONSOLIDAMENTO DELL’ORGANIZZAZIONE EPISCOPALE Fra il 180 e il 260 la maggior parte delle chiese aveva una propria identità d fede e un vescovo. I loro capi spesso si scambiavano lettere per stabilire linee comuni in una stessa regione. Frammenti di questi scambi epistolari sono contenuti nella Storia ecclesiastica di Eusebio. Altro modo per prendere decisioni condivise o risolvere conflitti erano i concili. Nella Lettera agli Ebrei (3-8) si afferma che l’unico sacerdote è Gesù Cristo. Nel 1140 con il decreto di Graziano sarà sancita la divisione dei cristiani in duo genera: il clero e i laici. Cipriano era un vescovo molto influente e in molto si appellavano a lui. La Chiesa roana aveva dato un’altra interpretazione del verso Mt 16,18 affermando che il diretto successore di Pietro fosse il vescovo di Roma. Cipriano fu contro questi pronunciamenti. Egli si schierò contro Roma, quando ella accettò di reintegrare due vescovi spagnoli apostati durante la persecuzione di Decio. Cipriano, dunque, convocò un sinodo nel 254 per confermare la deposizione dei vescovi. In un'altra occasione il vescovo si oppose alla chiesa romana per quanto riguarda il battesimo (Roma non voleva ribattezzare gli eretici, Cartagine si). Cipriano ebbe l’appoggio di tutti i vescovi africani e si sarebbe arrivati ad una rottura se non fosse sopraggiunta prima la morte di Stefano (257) e dopo quella di Cipriano (258). 4° CAPITOLO LA BIBBIA AL CENTRO: LA FORMAZIONE DEL CANONE E LO SVILUPPO DELL’ESEGESI ORALITÀ E SCRITTURA La religione cristiana ha prodotto libri sacri e letteratura diversamente dalle altre religioni mediterranee. Nel giudaismo, grazie alla presenza della Scrittura, si impartiva ai bambini almeno l’educazione a livello elementare. Con la diffusione del cristianesimo nel mediterraneo le cose andarono diversamente, infatti il tasso di alfabetizzazione non superava quello medio del mondo greco-romano che era circa il 10% e l’educazione rimaneva ancora una prerogativa delle classi sociali più agiate. Le scritture erano molte importanti quindi i cristiani analfabeti avevano vari di accedervene, tramite le omelie, la catechesi o con il passaparola. All’interno del cristianesimo non ci fu mai un’opposizione tra tradizione orale e scritta, Matteo e Luca avevano a disposizione una fonte scritta che raccoglieva i detti di Gesù (la fonte Q) e i vangeli canonici che portano a supporto degli episodi della sua vita (Testimonia). Qualcosa era già stata scritta in aramaico, tuttavia per far sì che gli scritti si diffondessero si doveva optare per la traduzione in lingua greca. Nell’antichità greco-romana il materiale su cui si scriveva era il papiro, la pergamena si afferma nel IV secolo. La forma del libro era il rotolo, infatti biblia vuol dire rotolo. Quando tre uomini e tre donne di Scili si presentarono dinanzi al proconsole Saturnino a Cartagine, portavano con sé una capsa , un contenitore per i cilindri dicendo che fossero libri et epistulae Pauli viri iusti. Tuttavia, già a partire dal II secolo i cristiani sembrano preferire ai rotoli i codici, cioè il libro a fogli. Probabilmente il motivo di questa scelta era perché vi era un libro, importante, che fu trasmesso su codice. Quando si studiano i testi biblici, si deve sapere che tra il periodo della composizione e le prime testimonianze manoscritte, passa una gran lasso di tempo. Il termine “Logos” usato nel prologo di Giovanni, non viene ripetuto da nessun’altra parte, dunque viene da pensare che sia stato aggiunto più tardi. Il 21° capitolo di Giovanni, l’ultimo, è un’aggiunta alla precedente chiusa. La trascrizione delle scritture cristiani fu allestita in modo più rude rispetto a quelle ebraiche, infatti era lusso potersi permettere i giusti mezzi per scrivere un libro. Origene, grazie al patron Ambrosio, poté usufruire di tachigrafi e calligrafi per il concepimento della sua opera. Egli scrisse gli Hexapla, sei colonne parallele scritte sulle due facciate di un codice, allineava l’ebraico in lettere ebree, l’ebraico traslitterato in greco e le traduzioni greche di Aquila, Simmaco, Settanta e Teodozione. Origene, inoltre allestì una biblioteca a Cesarea. LA FORMAZIONE DEL CANONE QUESTIONI METODOLOGICHE Si dovrebbe parlare di canoni, infatti ogni cristianesimo presentava un corpus di scritti differenti. I primi discepoli di Gesù non ebbero scritti cristiani, essi ereditarono da giudei un corpus di scritti sacri (la Scrittura di Israele che poi sarà chiamata dai cristiani Antico Testamento). IL VANGELO E GLI APOSTOLI NELLE LETTERE DI PAOLO Anche se al tempo di Paolo non si poteva parlare di un canone, gli dimostra di possedere una conoscenza canonica in relazione a ciò che chiama “vangelo”. La verità di Gesù si trasmette tramite una struttura evangelico-apostolica. In questo sistema ci sono le Scritture di Israele, le parole di Gesù, la Cena del Signore, le formule di fede e le sue stesse lettere. Sono esistiti vari modi di essere cristiani e ciascuno di essi si è presentato come il vero portatore del vangelo. LE TRADIZIONI DI GESÙ: DALL’ORALITÀ ALLA SCRITTURA La raccolta e la trascrizione dei fatti delle parole di Gesù incomincerà solo dopo la sua resurrezione, però vi sono due eccezione. All’inizio del Vangelo di Luca, l’autore esplicita il suo intento di comporre un’opera che contenga “gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi”. Qualche decennio più tardi Papia di Hierapolis scrisse un’opera in 5 libri, l’Esposizione degli oracoli del Signore, nella quale trascrisse le parole e infatti di Gesù da lui selezionati. Egli ammise di preferire le tradizioni trasmesse per via della viva voce rispetto alle opere scritte. L’EREDITÀ APOSTOLICA PER SCRITTO E COMME SCRITTURA: LA SECONDA LETTERA DI PIETRO Nella seconda lettera di Pietro, l’autore vuole confermare ai destinatari la fede da loro professata in relazione ad una seconda venuta di Cristo. Tratta della sintonia chi vi è deuterocanonico, salvo Ester. Sussiste una terza categoria: gli altri libri che possono essere etti dai catecumeni per il loro carattere edificante, essi appaiono nella Chiesa greca intorno al IV secolo. • Girolamo presenta un canone uguale all’ebraico, Agostino invece presenta un elenco di quarantaquattro libri con i deuterocanonici ed indicando i profeti minori. L’ESEGESI SCRITTURISTICA QUESTIONI INTRODUTTIVE I cristiani inizialmente utilizzarono le Scritture di Israele che furono usate sino a metà del II secolo. Bisogna sottolineare che a gran parte delle correnti cristiane non vollero essere una religione del libro, affermavano, infatti, che la comprensione di Cristo e la salvezza sono incarnate nelle Scritture però erano anche anteriori a questa. LE PRIME INTERPRETAZIONI I cristiani selezionarono passi delle Scritture, Testimonia, inerenti un tema per provare che le profezie si erano compiute in Gesù. Poco a poco tutta la Scrittura fu ripensata, per Polo essa conteneva la promessa del vangelo e conferma gli eventi della vita di Gesù. In Gal 4,24 Paolo usa il participio allegoroumena (detto in allegoria) per spiegare che le due donne di Abramo, Agar e Sara, significano le due alleanze: Agar quella degli schiavi (i Giudei) e Sara quei dei liberi (i cristiani). Siccome Paolo usa allegoria come sinonimo di typos questo tipo di allegoria è chiamata allegoria tipologica. Il metodo allegorico avrà sempre più importanza nel mondo cristiano, il giudeo Filone ricava, allegoricamente, che l’unione di Abramo e Sara rappresenta l’unione dell’intelligenza e della virtù; gli animali proibiti indicano i vizi da evitare. L’ESEGESI DEI VALENTINIANI E LA RISPOSTA DEGLI ECCLESIASTICI I valentiniani furono i rimi a tentare un’esegesi delle Scritture. I valentiniani sostenevano che in esse si possono trovare elementi pneumatici, psichici e materiali corrispondenti alle tre nature che erano derivate dal peccato. I valentiniani usavano l’allegoria platonica perché facevano riferimento al mondo divino del Pleroma. L’esegesi valentiniana influenzerà molto autori come Tertulliano ed Ireneo. L’IINTERPRETAZIONE DELLA SCRITTURA IN AMBITO ALESSANDRINO Clemente scrisse le Ipotiposi, andate perdute, in esse presenta le interpretazioni sintetiche di tutte le Scritture e le considera come voce del Logos divino. Clemente, nel suo schema interpretativo, fonde l’esegesi allegorico-tipologica con l’allegoria di tipo morale. Origene amplia l’attività esegetica a tutti i libri delle Scritture. questo lavoro assume tre diverse forme: Negli scoli Origene raccoglie spiegazioni di passi scelti da un libro specifico; le omelie furono predicate a Cesarea dopo che fu fatto presbitero ed abbracciano un pubblico vario; i commentari rappresentano l’aspetto scolastico dell’esegesi origeniana. Origene intende l’esegesi come un esercizio spirituale per il quale si ha bisogno di grazia. Si serve soprattutto dell’allegoria non tipologica. Come prima cosa bisogna svelare il senso letterale del testo. Il vero compito dell’esegeta consiste nel senso o sensi spirituali del passo. Egli definisce tre livelli: letterale, morale e spirituale. LE TRADIZIONI PATRISTICHE Le tradizioni patristiche affermano l’unicità di Dio e negano la differenza di natura degli uomini. La tradizione che fiorì prima di tutti fu quella asiatica. Si diffuse a Roma con Giustino, ad Antiochia con Teofilo, a Lione con Ireneo, in Asia con Melitone e Ippolito e in Africa con Tertulliano. L’uomo, composto di spirito, anima e corpo, si definisce soprattutto in relazione con quest’ultimo. Lo spirito, elemento divino, viene riversato da Dio nell’uomo per farlo partecipe della sua gloria. La tradizione alessandrina fu quella che si diffuse di più. Si fuse con la tradizione platonica ma ciò non tolse che ci furono contrasti. Clemente, come Filone, distingue due creazioni dell’uomo: quella a immagine di Dio, ossia a immagine del Logos e quella dal fango e la terra, ossia del corpo marcato sessualmente. Origene userà ciò per opporsi agli gnostici che accettavano la distinzione di natura degli uomini. Si afferma invece l’unicità della natura degli esseri umani creati da un Dio unico, buono e giusto. Il male è l’assenza di bene prodotta dagli esiti del libero arbitrio. 5° CAPITOLO ALLA PERIFERIA DELL’IMPERO ROMANO E OLTRE: I CARATTERI COMUNI DEI CRISITIANESIMI ORIENTALI (II-IV) I TRATTI COMUNI Il cristianesimo si è diffuso sia in Oriente che in Africa settentrionale. SIRIA E MESOPOTAMIA L’EVANGELIZZAZIONE DI SIRIA E MESOPOTAMIA L’area geografica dei cristiani che si esprimono in lingua aramaica e in siriaco, si estende dalle province di Syria prima e della Syria secunda ma soprattutto in Mesopotamia. Si tratta di due realtà culturalmente diverse, infatti, la Siria è erede di una ricca tradizione ellenistica; il territorio mesopotamico presenta una civiltà meno urbanizzata e più resistente alla cultura greco-romana, qui prevalgono le lingue iraniche e semitiche. Tra I e III secolo in Mesopotamia si svolgono continui conflitti tra persiani e romani. Solamente con la vittoria dei Parti e la sconfitta di Giuliano l’apostata nel 362 a Nisibi, il territorio mesopotamico e l’Osroene, che aveva conosciuto un periodo di indipendenza, ritornano entro i confini del Persia. Eusebio di Cesarea tratta del cristianesimo dell’Osroene sin dal primo libro della Storia ecclesiastica, quando riporta la leggenda della conversione al cristianesimo della casa regnante di Edessa tramite re Abgar per opera di un discepolo di Gesù. Inoltre, svela alcuni fatti cristiani che si svolgono nella regione come il suo ruolo all’interno della controversia pasquale della fine del II secolo. Ci sono varie ipotesi inerenti la nascita del cristianesimo in questa regione, tuttavia due sembrano essere le più accreditate: 1) la città di Antiochia predomina sugli ambienti di Edessa ellenizzandoli; 2) una missione palestinese o gerosolimitana che giunse nell’Osroene e soprattutto l’Adiabene dove è molto influente l’ebraismo. Per quanto riguarda la lingua, il siriaco appare per la prima volta non in prodotti letterari cristiani o ebraici ma nei mosaici o epigrafi funerarie dell’élite non cristiana che dominò ad Edessa. LA LETTERATURA CRISTIANA Primo scritto fondamentale è la traduzione dell’Antico Testamento databile tra I e III secolo. Essa è stata compiuta partendo dal modello ebraico e non dalla traduzione dei Settanta. Attribuibile a Taziano, l’iniziativa d scrivere il Diatessaron, scritto che rappresenta un’armonia evangelica (Matteo, Luca, Marco e Giovanni), non è chiare se esso sia stato scritto in greco o siriaco. Venivano eliminato le genealogie di Gesù per sottolineare la provenienza direttamente da Dio. Opposta era invece la traduzione dei vangeli separati che insisteva sulle genealogie di Gesù. MAESTRI E PROFETI L’encratismo non è solo un tratto delle opere di Taziano. Lo si può riscontrare anche in Tommaso: egli incarna l’esempio del vero credente. Un altro esempio di cristologia alta è rappresentata dalle Odi di Salomone di difficile datazione. Bardaisan (Bardesane) è considerato, insieme all’autore delle Odi di Salomone, il fondatore della poesia in lingua siriaca. La sua personalità non è prossima a quella della Grande Chiesa, nemmeno allo gnosticismo. Egli si discosta anche dall’encratismo di Tommaso e polemizza contro il marcionismo in quanto non accetta la contrapposizione fra il Dio dell’Antico Testamento e il Dio “straniero” padre di Gesù. Nella parte opposta delle opzioni teologiche si collocano i Giudei credenti in Gesù rappresentati sia in Osroene sia nella Mesopotamia orientale e meridionale. Il manicheismo ha contribuito al rafforzamento della Grande Chiesa grazie al modo radicale con cui ha posto il problema del dualismo, dl male e dell’etica. Nasce nella Mesopotamia sasanide ma Mani, invia anche lettere di ad Edessa. GLII SVILUPPI DELLA CHIESA Il Chronicum Edessenum presenta un documento dove testimonia la presenza di una ciesa nella città di Edessa. Non si riesce a comprendere se si tratti di una casa-chiesa o se esistesse una comunità cristiana riunita attorno ad un vescovo. La vera e propri chiesa episcopale fu fatta costruire dal vescovo Qona nel IV secolo. Il mono episcopato, dunque, ha avuto sempre più importanza a partire dal III secolo in Osroene ed ha esercitato un’importante influenza su Nisibi e sulla Mesopotamia. All’inizio del IV secolo nella Persia Sasanide sono presenti forme di mono episcopato e anche di centralizzazione religiosa che si impernano sulla città capitale Seleucia- Ctesifonte e si fondano su di un vescovo, Papa. La forma del mono episcopato monarchico deve esser penetrato tramite la via di Edessa, ma non solo. Infatti si hanno prove di deportazione persiane al tempo dell’imperatore Valeriano. Egli stesso, infatti, fu deportato assieme a un grande massa di antiocheni e anche cristiani. Proprio all’interno di questo Impero, contemporaneamente all’era costantiniana, si sviluppa una persecuzione anticristiana che dura decenni. Le Esposizioni di Afraate che ne forniscono una testimonianza. L’EGITTO E LA NASCITA DEL COPTO LE FONTI L’Egitto è il luogo più significativo per quanto riguarda la fusione di varie etnie quella egiziana con quella alle quali poi si aggiungerà quella romana. I primi gruppi cristiani in Alessandria si esprimevano in greco più in là egli acquisiranno anche l’elemento linguistico egiziano. I pagani erano capaci di esprimersi entrambe le costiere erano già entrate in contatto con le chiese occidentali Il primo vescovo georgiano fu Giovanni ordinato da Alessandro di Costantinopoli. Per qualche secolo i cristiani dell’Iberia ebbero come sede di riferimento quella di Antiochia. Le prime traduzioni di testi biblici furono riviste su testi greci, le altre furono fatte in Terrasanta. L’ETIOPIA LA CONVERSIONE DELLA CASA REGNANTE Il regno di Axum era distante dall’Egitto, nonostante ciò l’ellenismo penetrò anche in questa zona remota. I documenti per inquadrare la storia ecclesiastica dell’Etiopia sono la Storia ecclesiastica di Rufino e l’altra è la lettera nella quale l’imperatore Costanzo esorta i re di Axum di inviare il vescovo Frumenzio ad Alessandria per provare che la sua vocazione sia veritiera in quanto la sua ordinazione è stata effettuata da Atanasio, uomo riprovevole all’imperatore. Rufino colloca l’arrivo del cristianesimo al tempo di Costantino. Secondo lo storico due giovani siriaci, Frumenzio ed Edesio, furono fatti schiavi e consegnati al re di Axum. Essi guadagnarono fiducia presso il re e alla sua morte Frumenzio divenne consigliere della regina reggente. Egli si adoperò a cercare dei commercianti romani cristiani in Etiopia e commise loro la costruzione di opere. Edesio tornò a Tiro, Frumenzio tornò ad Alessandria dove fu ordinato vescovo di Axum da Atanasio nomina che Costanzo considera illegale. Tali racconti trovano riscontri nella numismatica, infatti al posto delle solite insegne religiose, compare una croce. LE TRADUZIONI IN ETIOPICO Dopo la conversione della casa regnante, si incominciò a tradurre le opere bibliche dal greco all’etiopico. Si pensa che il corpus aksumita possa comprendere testi come la Bibbia tradotta tra IV e V secolo, apocrifi come il libro di Enoch o L’Ascensione di Isaia, il Pastore di Erma, e testi patristici come il Fisiologo, l’Ancorato. PARTE SECONDA: CRISTIANESIMO, SOCIETÀ, ISTITUZIONI 6° CAPITOLO IL CRISTIANESIMO E LA SOCIETÀ DELMONDO GRECO- ROMANO FRA I E III SECOLO I RAPPORTI DEI CRISTIANI CON LA SOCIETÀ: LO SGUARDO DEGLI ALTRI I concetti cardine che i scristiani stavano sviluppando appartenevano ai Giudei. Quest’ultimi appartenevano ad un gruppo molto antico e assai noto, dunque a essi furono concessi dei privilegi come lo status di religio licita, concessione che ai cristiani fu negata. I rapporti tra cristiani e pagani si svilupparono secondo alcuni livelli: • Rumores circolanti tra il popolino, ossia accuse riguardo i cristiani basate su preconcetti e sul sentito dire • Attacchi da parte degli intellettuali sempre più coscienti delle dinamiche e dei rituali all’interno del cristianesimo • Provvedimenti giudiziari da parti di imperatori o magistrati con incarichi di governo Questi livelli sono interconnessi fra loro, infatti capitava che spesso un magistrato era costretto ad intervenire in seguito a dei rumores del popolo. LE AUTORITÀ E I CRISTIANI L’Impero romano era un insieme di provincie. In ogni provincia vie era un governante che rappresentava Roma. Si pone il problema di stabilire se le autorità romane fossero in grado di distinguere i Giudei dai cristiani. Le fonti attestano che il processo si svolse in maniere graduale, per esempio negli Atti degli Apostoli, le autorità romane distinguevano i cristiani da Giudei nel momento in cui siamo nella sinagoga e questi ultimi stanno importunando i cristiani. Non dobbiamo completamente fidarci di Luca in quanto era suo interesse far apparire i seguaci di Gesù in luce favorevole. Un particolare negli Atti ci conduce al principato di Claudio intorno al 49. Siamo al 18,2 e Paolo incontrò a Corinto due Giudei Aquila e Priscilla. I due erano stati allontanati da Roma in seguito ad un provvedimento che allontanava tutti i Giudei da Roma. Troviamo conferma anche in uno scritto di Svetonio dove si dice:” Claudio espulse da Roma i Giudei i quali erano continuamente in tumulto a causa di Cresto” (Claud. 25). Il testo pone due problemi: 1) Cresto è il nome proprio di un personaggio oppure è grafia errata per Cristo? 2) In cosa consisteva il provvedimento di Claudio? Quanti Giudei furono espulsi? Sull’evento disponiamo anche di una testimonianza di Cassio Dione (60,66), il quale afferma che, poiché a Roma risiedevano molti Giudei, era impossibile espellerli dalla città senza creare disordini pubblici, dunque ciò che Svetonio vuol comunicare è che Claudio decise di espellere i Giudei che tumultuavano a causa di Cre(i)sto. Un’altra fonte che attesta la capacità dei romani di distinguere i cristiani ci è fornita da Tacito, il quale afferma che Nerone, nel 64, punì i cristiani responsabili dell’incendio. L’aver individuato senza fatica il capro espiatorio, vuol dire che i seguaci di Gesù non erano ben visti dal popolo e l’ínstitum Neronianum va intesso come un’associazione tra l’essere cristiano e accuse riprovevoli. Il Padre Nostro quando invocava l’avvento del regno di Dio, alle orecchie di un estraneo poteva significare che ci si auspicava il crollo delle presenti strutture politiche. Le persecuzioni che si ebbero sotto Domiziano furono caratterizzate da interventi di singole autorità le quali recepirono i rumores popolari. Anche a Roma si ebbero momenti difficili come testimonia la Prima lettera di Clemente ai Corinzi. Fu spesso rivolta l’accusa di ateismo ai cristiani (rinnegare gli della patria) e di costituire una novità in fatto di religione. L’età degli Antonini fu per i cristiani un’era di formazione e trasformazione. Vi fu una maggiore presa di coscienza da parte dell’autorità del movimento e dell’amministrazione della giustizia. Un esempio ci è offerto da Plinio il Giovane che, governatore della Bitinia, si trovò coinvolto nel processo contro i cristiani. Essendo nuovo a questa materia scrisse all’imperatore affermando che non sapeva se procedere per età o per gravità del crimine o se perseguitarli per la sola ragione che essi si chiamassero cristiani. Plinio aggiunge che egli fino ad ora aveva adottato un criterio secondo tramite il quale colpiva coloro che continuavano ad essere cristiani o che si rifiutavano di apostatare. La lettera di Plinio ci fornisce informazioni sui cristiani affermando che essi si riunivano ai primi bagliori dell’alba cantando lodi a Cristo e con un sacramentum si impegnavano a non commettere furti e adulteri, poi si riunivano per celebrare un pasto comune. Il governatore inoltre segnalava la presenza sempre più preponderante nelle città e nei villaggi della superstitio. Traiano rispose lodando il lavoro svolto da Plinio, aggiungeva inoltre di non dar corso ad accuse anonime e di non creare martiri m indure all’apostasia. In Asia il proconsole Serenio Graniano, spinto dal popolo scrisse all’imperatore Adriano che inviò una sua risposta ma che giunse al successore di Serenio. L’Imperatore consigliava di non dare peso ad accuse anonime ma di procedere in caso di accuse circostanziali aggiungeva di giudicare i cristiani in base ai crimini di cui si erano macchiati. Eusebio di Cesarea ci trasmette una lettera di Antonino Pio rimaneggiata in senso filo cristiano. Di questa, tuttavia, possiamo individuare un nucleo autentico nel quale si accusa da un lato i cristiani di ateismo e di causar sciagure e dall’altro lato si consiglia di risolvere i problemi di disordine pubblico e di non dare peso a denunce anonime. Era urgente definire una norma contro cristiana urgenza data dal carattere sempre più violento dei pagani nei confronti dei cristiani. Nell’età di Marco Aurelio ci fu la rivolta di Avidio Cassio che fu duramente repressa. Le Pestilenze i soprusi e le morti erano interpretati dai cristiani come segni della venuta della nuova Gerusalemme prodromo della caduta di Babilonia\Roma. Questi erano i seguaci della nuova profezia poi denominati montanisti. Il senato era prevalentemente pagano ed era favorevole ad intervenire in termini di repressione nei confronti della supestitio. Marco Aurelio era d’accordo con il senato, il figlio, Commodo, no. Egli mostrava benevolenza nei confronti dei cristiani anche grazie alla concubina Marcia come afferma Cassio Dione e l’autore dell’Elenchos. Gli anni della dinastia dei Severi saranno favorevoli ai cristiani in quanto i severi mostreranno benevolenza nei confronti dei cristiani. Ciò è testimoniato da fonti come la Historia Augusta. La fonte attesta di un divieto, da parte di Settimio Severo, di far proselitismo nei confronti de Giudei e cristiani. Vi saranno degli atti persecutori ma questi saranno indetti dai governatori senza il consenso dell’Imperatore. Nell’età di Caracalla fu compost il smarrito de ufficio proconsulis nel quale erano raccolte le norme in riferimento ai cristiani. Con Alessandro, ultimo dei Severi, abbiamo un’apertura verso il cristianesimo tanto che l’Imperatore voleva erigere un tempio in onore di Gesù. Con Massimino il Trace ci fu un’epurazione dei cristiani a corte. Non si può parlare di persecuzione n quanto non fu emanata alcuna ordinanza e i fenomeni che si registrarono nella Tracia, nel Ponto e nella Cappadocia furono motivati da esigenze locali. Dal III secolo si avrà un’altalena di atteggiamenti diversi, lo si vedrà con Filippo l’Arabo e Decio ma anche con Valeriano e Gallieno. Secondo Eusebio, Filippo era un cristiano penitente. Decio indisse una persecuzione generale. Misura era in sintonia con il senato ma anche con i morbi che affliggevano Roma. Fu prescritto di sacrificare gli dei e al termine del sacrificio veniva rilasciato un libello. Il primo ad indire una persecuzione contro i cristiani fu Valeriano che promulgò due editti uno nel 257 e l’altro nel 258. Egli inviò lettere ai governatori che erano incarati di sequestrare i beni dei cristiani e di giustiziare vescovi, presbiteri e diaconi. Riguardo ai cristiani che avevano incarichi nell’Impero dovevano perdere i loro beni e in mancanza di apostasia dovevano essere uccisi. Questa persecuzione fallì in quanto Valeriano perse contro il re persiano Shapur I e fu suo prigioniero sino alla morte. solamente ad una bestia proveniente dal mare e che scatena guerra fra i santi, essa è l’Impero romano. L’Apocalisse fu anche il principale fondamento per il millenarismo. Apprensioni per il presente e il futuro venivano trascritte in numerose produzioni cristiane dando significato ai drammi della contemporaneità. CRISTIANESIMI ANTICHI E PAIDEIA CLASSICA: TRA APOLOGETICA E MEDIAZIONE CULTURALE L’apologetica consiste nell’organizzare un discorso per far sì che le proprie idee prevalgano su quelle di un’altra persona CARATTERE E VOLTI DELL’APOLOGEICA CRISTIANA Le opere apologetiche fiorirono in Asia nel II secolo mentre in età severiana l’Africa fu la culla delle opere apologetiche. L’apologetica pre costantiniana cercò di affermare la libertà di culto e di dimostrarne la bontà; quella post costantiniana si concentrò nel confutare i culti pagani e sollecitò provvedimenti per tentare di far scomparire tale culto. Il più completo apologeta giudeo fu Flavo Giuseppe. Come gli apologeti giudei, anche quelli cristiani pensavano che dietro al culto pagano si nascondesse l’opera di demoni ma vi era una differenza fra l’accezione giudea di demone e quella cristiana. Infatti i primi consideravano il demone come un servo della divinità mentre i cristiani lo consideravano come soggetti dalla natura malvagia. Gli apologisti cristiani sentenziarono soprattutto contro l’assurdità e l’immoralità dei miti tradizionali, contro la prassi sacrificale pagana e condannarono l’apoteosi di Imperatori, che post mortem, vengono assimilati alla sfera del divino. Siccome i cristiani erano accusati di essere una novità allora agganciarono la loro storia a quella di Israele, inoltre si risolveva la controversia con i giudei in quanto la Chiesa si innalza al ruolo di un nuovo Israele. ORIGINALITÀ E LIMITI DELL’APOLOGETICA CRISTIANA Purtroppo lo studio dell’apologetica presenta un limite costituito dalla presenza di una sola voce del dibattito, quella cristiana poiché quella pagana è scomparsa. 7° CAPITOLO DA PERSEGUITATI A FAVORITI, DA FAVORITI A PERSEGUITORI IL CRISTIAESIMO NELL’IMPERO ROMANO FRA IV E V SECOLO. L’ULTIMO SCONTRO. LA TETRARCHIA E L’ERA DEI MARTIRI Diocleziano frantumò le provincie, accrebbe il loro numero e le accorpò in diocesi per consentire una più capillare gestione, questa mappa sarebbe poi stata riusata dalla Chiesa per una più efficacie penetrazione missionaria. L’imperatore si ergeva come mediatore tra la sfera divina e quella umana ed era proiezione in terra della prima. Diocleziano Cloro e Massimiano abdicarono escludendo Massenzio e Costantino. Nel 38 con il Convegno di Carnuntum Licinio si impose come augusto e Costantino come suo Cesare. Per quanto riguarda gli spetti religiosi, regnava un misto fra conservatorismo e innovazione. Infatti si tentava di rinvigorire i culti tradizionali e si attribuiva un ruolo sacrala al dominus. Nel 303 a Nicomedia, Diocleziano promulgò il primo editto anticristiano che era stato preceduto da una serie di epurazioni nell’esercito. Nel 302 era stato esso un editto contro il culto di Mani considerato nemico per due aspetti: il primo perché esso era considerato una novità il secondo perché questo culto proveniva dalla Persia, storico nemico di Roma. Fu incisivo anche il ruolo svolto da intellettuali come Hierocle Sossiano il quale scrisse un trattato anticristiano incentrato su due punti: le contraddizioni e l’inconsistenza della Bibbia e il paragone tra Gesù e Apollo di Tiana in base al quale la figura del primo veniva minimizzata. L’editto di Diocleziano fu pubblicato nel giorno dei Terminalia (23 febbraio) del 303e prevedeva la consegna delle Scritture, perdita dei diritti giuridici chiusura dei locali d culto. Poi fu promulgato un nuovo editto che prevedeva la carcerazione e uccisione dei ministri di culto ameno che essi non avessero fatto sacrifici in occasione dei vicennalia. Più grave fu il 4° provvedimento che giunse nel 304 che prevedeva a qualsiasi cristiano il sacrificio agli dei pagani, pena la morte. Galerio impose sacrifici ed in caso contrario oltre alla morte aggiunse la deportazione nelle miniere. Nel 311 si ammalò e poco prima di morire chiese di redimere un testo nel quale egli fece scrivere che tentò di portare i cristiani ad bonam mentem ma fallì ed aggiunse che essi non potevano venerare il loro dio. Massimino Daia nel 306 e 308 promulgò due editti atti ad indurre all’apostasia i cristiani. Questi editti furono messi fuori legge solamente grazie a Costantino e Licinio con la legge “perfettissima” ricordata da Eusebio che alcuni identificarono con l’editto di Milano (313). Massimino Daia riorganizzò il culto creando sacerdozi e costruendo templi, un’azione simile sarà tentata tra il 361-363 da Giuliano l’Apostata. L’incubo di Massimino Daia terminò definitivamente nel 313 quando fu sconfitto da Licinio e sepolto Tarso. Tra le conseguenze di queste persecuzioni ricordiamo la nascita del culto dei martiri e lo scisma donatista. COSTANTINO IL RIVOLUZIONARIO PONTE MILVIO E LA LEGISLAZIONE FILOCRISTIANA Con l’espressione svolta costantiniana si indica quel complesso di atteggiamenti che sancirono il passaggio dai culti tradizionali alla Chiesa detta “cattolica”. Come fonti di rilievo circa questo evento importante possediamo numerosi scritti da parte cristiana (Eusebio) e pagana (Giuliano), iscrizioni, come quella campeggiante sul Colosseo, l’editto di Spello e le emissioni monetali. Nel 305 Costantino e Massenzio erano stati esclusi dall’assetto tetrarchico, quindi le forse in Britannia e Gallia acclamarono Costantino come dominus e lo stesso fecero le milizie in Africa e in Italia con Massenzio. Dunque ci fu uno scontro che si concluse a Ponte Milvio nel 312 che vide come vincitore Costantino e la sua conseguente coronazione come dominus dell’Occidente. Le varie fonti testimoniano una devozione nei confronti della divinità Apollo-Helios. Nel tempio di Gand in Gallia, egli aveva avuto la visione di questa divinità insieme alla Vittoria che gli promise la vittoria e trenta anni di regno. Un altro panegirico parla della battaglia di Ponte Milvio attribuendo la vittoria ad ud una mens divina. Successivamente Lattanzio parla del sogno dell’imperatore alla vigilia dello scontro. Egli fu invitato a raffigurare una chi (X) con la sommità piegata. Nella Vita di Costantino si afferma che durante il tramonto della vigilia tutto l’esercito ebbe una visione. L’anno successivo, nel 313, l’imperatore si incontrò con il suo collega, Licinio, a Milano per trattare dei nuovi equilibri di potere e fu legittimato, alla pari degli altri culti, il cristianesimo. Concesse favori alla Chiesa. In materia legislativa, egli nel 315 abrogò l’usanza di marchiare il volto dei condannati perché esso era immagine di Dio, nel 321 fu promulgata la “legge domenicale”, cioè il mostrare rispetto per la solennità del giorno, dedicato ad opere pie, nel 321 fu emanata manumissio in ecclesia ossia la possibilità riservata ai cristiani di emancipare gli schiavi, la possibilità di asciare in eredità beni alla chiesa, nel 323 fu imposto il castigo a coloro che avevano costretto un cristiano ad assistere a culti pagani. Per quanto riguarda la politica edilizia, egli ondò, sul suolo della vecchia Bisanzio, Costantinopoli. Eresse basiliche a Roma (basilica di San Giovanni in Laterano) e in Palestina (Chiesa del Santo Sepolcro e Complesso degli Ulivi). COSTANTINO EPISKOPOS TON EKTOS ALLE PRESE CON LA CRISI DONATISTA Costantino si proclamò garante della pace religiosa. Per questo motivo fu coinvolto negli scismi che coinvolsero tutte le diocesi della sua età e ben oltre: ad Alessandria la controversia ariana e in Africa la questione donatista. In Africa molti cristiani cedettero e consegnarono le Scritture durante la persecuzione dioclezianea. costoro furono considerati dei traditores. Nel 312 fu eletto vescovo Ceciliano una delle persone che gli impose le mani fu Felice di Abthugnos, un trditor. Contro Ceciliano si formò una fronda. Costantino giunsero delle lettere che parlavano di Ceciliano, egli dunque convocò un concilio nel 313, presieduto da Milziade vescovo di Roma, che si espresse a favore di Ceciliano. I donatisti protestarono e dunque fu riunito, di nuovo, nel 314 un concilio ad Arles presieduto da vescovi galli e non dal neo-eletto vescovo romano, Silvestro. La condanna nei confronti dei donatisti fu rinnovata. Costantino attuò vare azioni repressive nei confronti dei donatisti che cessarono solamente nel 321. Questi fatti contribuirono a rendere la chiesa donatisti l’unica ispirata al culto dei martiri. LA CRISI ARIANA, COSTANTINO E IL PRIMO CONCILIO ECUMENICO. Ad Alessandria scoppiò una grave controversia che prese il nome da Ario. La teologia del logos si era sviluppata ad opera di Origine. Si affermò l’esistenza tre “ipostasi”, cioè tre sussistenze di Dio Padre, del Figlio Logos e dello Spirito Santo. Nella seconda metà del III secolo, il vescovo Dionigi lottò per sradicare l’opposta teoria proveniente dalla Libia, quella sabelliana. Alcune sue affermazioni non furono apprezzate come per esempio il fatto che egli chiamasse il Figlio poiema (fattura) ritenendolo quasi estraneo al Padre e non considerandolo dunque homoousios (della stessa sostanza). I suoi avversari si rivolsero al vescovo di Roma Sisto II ma la risposta venne dal suo successore Dionigi che contesto la dottrina del vescovo alessandrino. ipostasi” in Dio distinguendo la sostanza comune dalle ipostasi indicanti la sussistenza comune. La questione dello Spirito Santo fu sollevata nel 360 dai pneumatomachi chiamati poi macedoniani che negavano la divinità dello Spirito Santo. Nel Simbolo niceno-costantinopolitano sii aggiunge la durata eterna del regno del Figlio introdotta nel 341 contro una formula di Marcello di Ancira nemico della dottrina delle tre ipostasi da lui ritenuta politeista. Il simbolo bel 381 non presenta alla fine gli anatematismi del niceno. Ha invece quattro canoni: il primo contiene la conferma del Simbolo niceno e la condanna di tutte le eresie legate a quella ariana; il più importante per gli anni successivi, sarà il terzo che rende Costantinopoli la città più importante dopo Roma. IL CREPUSCOLO DEGLI DEI Il cristianesimo era più diffuso in Oriente che in Occidente. Nella Roma del vescovo Damaso (366-384) fu attivo Ambrosiaster il quale raccolse delle questiones su temi biblici insieme alle loro rispettive risposte per insegnarli al clero cittadino. La Rom del IV secolo stava cambiando a sua facies edilizia infatti venivano costruite Chiese ed altri luoghi inerenti il cristianesimo. I templi pagani rimanevano in piedi. AGOSTINO, LA CITTÀ DI DIO E LA DOTTRINA DELLA GRAZIA In Africa la controversia sulla cristianizzazione tornò nel 40 con il Sacco di Roma. Queste persone collegavano la sciagura all’abbandono degli antichi dei. Agostino, nel suo De civitate Dei parlava dell’accusa secondo la quale il declino dell’Impero dipendesse dall’abbandono degli antichi dei. Egli non si limitava a parlare solamente del 410 ma fece un affresco della storia umana sottolineando che lutti, misfatti e sciagure erano accadute anche nel periodo in cui vigeva il paganesimo. Agostino ci interessa anche per la sua dottrina della grazia e per a sua visione antropologica. Il pensiero cristiano ortodosso attribuiva la salvezza del singolo alla cooperazione fra la grazia di Dio e il libero arbitrio dell’uomo. Agostino, invece, assegna la salvezza totalmente alla grazia di Dio perché l’uomo merita solo la condanna dopo il peccato d’Adamo in quanto il libero arbitrio conduce verso il male. La dottrina di Agostino si oppose a quella di Pelagio la quale valorizzava al massimo il libero arbitrio in quanto la natura umana, essendo creata da Dio, è naturalmente buona e considera il peccato come un prodotto accidentale. Inoltre i bambini nascono innocenti ed il battesimo serve per santificarli e non per lavarli di un peccato. Pelagio fu definitivamente condannato nel 418. 8° CAPITOLO IL CONSOLIDAMENTO DEGLI EPISCOPATI NELLE GRANDI CITTÀ CRISTIANE LA CHIESA COME ISTITUZIONE E LE ISTITUZIONI DELLE CHIESE L’ordinamento delle chiese era stato formato dalla tradizione e dalle decisioni sinodali. In questo periodo avvenivano cambiamenti fondamentali, ma i dirigenti si mostravano sospettosi verso le innovazioni. L’accusa di innovazione era un’accusa molto pesante e per difendersi si trovavano all’interno della Bibbia. Per assegnare una posizione di privilegio alla propria chiesa spesso si ricorreva ad esaminare il passato che spesso veniva manipolato. Prime fra tutte troviamo Roma che per giustificare la sua posizione si richiamava al fondatore Pietro e vantava la presenza delle reliquie anche di Paolo. Tra IV e V secolo i vescovi alessandrini riuscirono a far di Marco evangelista il fondatore della loro Chiesa. Nonostante a chiesa di Cipro vantasse la presenza di Barnaba, Paolo e Marco non riuscì ad ottenere l’autocefalia. Alla fine del IV secolo il processo di creazione dei vescovati era quasi terminato nonostante l’imperatore Zenone avesse emesso un decreto che stabiliva che ogni città doveva avere un vescovo. Infatti circa il 10% delle città non aveva un vescovo ed in altre un vescovo reggeva più città. Inoltre lo status ecclesiastico nei villaggi, nei saltus e nei castra era ancora da definire alcuni possedevano dei vescovi altri avevano vescovi minori chiamati chorepiskopoi. Non sempre i confini dei vescovati coincidevano con quelli civici, dunque spesso accadevano liti perché un vescovo trattava alcune località come appartenenti al suo vescovato anche se esse non lo erano. Nel 400 si contavano circa 2000 vescovati in tutto l’Impero. Un vescovo, un presbitero o un diacono veniva ordinato per svolgere le funzioni in una determinata comunità e non poteva trasferirsi, tuttavia questo principio non sempre veniva rispettato. I moralisti ecclesiastici vedevano nei trasferimenti una manifestazione di philarchia (amore per il potere). Spesso vescovi si trasferivano per recarsi in sedi che donavano loro più prestigio e maggiori beni materiali. Per esempio Eusebio inizialmente fu vescovo di Berytos, nel 318 circa si trasferì a Nicomedia e nel 339 divenne vescovo di Costantinopoli. Vi erano, tuttavia, vescovi come Socrate Scolastico che ammettevano il trasferimento solo se fatto per il bene della Chiesa. Nel IV secolo si costruirono in tutto l’Impero strutture sovraordinate ai vescovati: le metropoli. Esse spesso coincidevano con i capoluoghi delle province. I metropoliti acquistavano poteri di sorveglianza ed intervento mentre i vescovati perdevano sempre più importanza. Le strutture superiori alle metropoli nacquero prima del concilio di Nicea ed erano: Roma, Alessandria, Antiochia, più in là diventeranno dei patriarcati anche Costantinopoli e Gerusalemme. Il patriarca era colui che era a capo di queste chiese. Questo termine apparve nei documenti del concilio di Costantinopoli del 381 ed aveva un valore onorifico. I luoghi in cui si prendevano decisioni erano i sinodi. Dopo il concilio di Nicea (325) si decise di organizzarli due volte l’anno. Le assemblee dei vescovi corrispondevano al bisogno di risolvere una questione ed erano convocate dal metropolita. Alcuni sinodi (o concili) furono classificati come ecumenici (Nicea 325 e Costantinopoli 381). I sinodi no sempre furono accettati universalmente per esempio quello di Efeso (431) non fu accettato dai cristiani dell’Impero persiano che si richiamavano alla tradizione di Nestorio: il secondo nel 449 rimase valido solo nelle chiese monofisite e quello di Calcedonia che fu accettato in Occidente e nelle chiese orientali definite ortodosse. Le decisioni dei sinodi più importante venivano poi confermate dall’Imperatore che faceva in modo che fossero rispettate. UN VIAGGIO ATTRAVERSO IL MONDO ECCLESIASTICO DELL’IMPERO ROMANO ALESSANDRIA E L’EGITTO Alessandria era una delle più importanti chiese d’Egitto. Il suo vescovo controllava le due province libiche, tutto l’Egitto e più di 100 vescovati. I vescovi alessandrini impedirono il nascere delle metropoli. In Egitto nacque il monachesimo. Qui furono scritte anche le principali opere di dottrina ascetica ispirate ad Origine. Nonostante ciò all’interno del monachesimo in molti si opposero a questo teologo. Uno dei maggiori oppositori Epifanio di Salamina che insieme a Girolamo attaccarono Giovanni vescovo di Gerusalemme e origeniano. Ci furono sinodi che condannavano le dottrine origeniane e per questo molti monaci origeniani scapparono per trovare riparo a Costantinopoli presso Giovanni Crisostomo. LA DIOCESI AMMINISTRATIVA D’ORIENTE E LA SUA CAPITALE ANTIOCHIA. Il concilio di Nicea attribuisce ad Antiochia la presbeia ma non precisa entro quali limiti. La presbeia nel 325 non era atro che una superiorità di onore più tardi il patriarca acquisirà anche un potere di intervento. Nella controversia riguardante l’arianesimo, Antiochia ebbe un ruolo di rilevanza. A causa dello scisma Antiochia non poté allargare la sua sfera di influenza. Anche le controversie successive contribuirono ad indebolire la città. Nonostante ciò l chiesa antiochena era potente e lo possiamo vincere da un documento appartenente al genere taktika chiamata Notitia Antiochena. Fu redatto nel 570 ma parte delle provengono da anni precedenti. Vi sono contenuti i nomi di coloro che occupavano le determinate cariche nel territorio antiocheno. LA PALESTINA PRIMA: IL RUOLO DI GERUSALEMME E DI CESAREA MARITTIMA Alla fine del III il vescovo di Gerusalemme aveva un ruolo secondario, dipendeva dalla città Cesarea di Palestina, questo legame rimase immutato sino al V secolo. Durante il concilio Nicea u decretato che la chiesa di Gerusalemme non poteva esser trattata come una semplice chiese ma ciò non cambiò il legame di dipendenza dalla metropoli. Un grande aiuto all’emancipazione di Gerusalemme fu dato da Costantino che costruì numerosi edifici incrementando così il flusso pellegrino. Il vescovo Giovanni tentò di rendere indipendente la su Chiesa ma Girolamo si oppose. Il progetto fu continuato da Giovenale ma ad egli non si oppose solamente il patriarca di Antiochia ma anche quelli alessandrino e romano, nonostante ciò Giovenale ottenne il patriarcato durante il concilio di Calcedonia nel 451. L‘ASIA MINORE In asia minore regna un periodo di benessere. L’urbanizzazione e la diffusione della lingua greca continuano. Molte delle chiese risalivano alle prime generazioni di cristiani. I pagani occupavano solo delle nicchie. COSTANTINOPOLI, LA SECONDA ROMA Prima di Costantino, la chiesa di Bisanzio aveva un ruolo secondario. Essa dipendeva dalla metropoli Eraclea Tracia. Costantino decise sin dall’inizio di attribuirle il rango di nuovo Roma ma il lavoro più importante lo fece il figlio Costanzo II che edificò numero chiese e accumulò reliquie. In quel periodo Costantinopoli non era la sede dell’imperatore, essa lo diventerà con Arcadio (395). In numerosi aspiravano al soglio vescovile di Costantinopoli, il primo Gregorio di Nazianzo. La situazione cambiò dopo il concilio di Costantinopoli. Infatti il vescovo ariano fu cacciato. Egli tentò di tornare ricorrendo all’esercito ma gli intrighi del vescovo alessandrino lo fecero dimettere. Fu scelto come nuovo vescovo Nettario. Nel concilio del 381 l’imperatore approvò un canone (il canone 3) che attribuiva il primato d’onore al vescovo costantinopolitano dopo quello di Roma. La chiesa romano e il suo vescovo, Damaso, convocarono un concilio n segno di protesta in quanto il rango di una chiesa doveva essere determinato dal passato e non da una decisione politica. UN FENOMENO RELIGIOSO DEFINIZIONE Il monachesimo è un fenomeno religioso nato all’inizio del IV secolo. Il termine monachos appare per la prima volta nel 324 nei papiri egiziani e fa riferimento ad un tipo di vita solitaria. Egli cancella ogni tentazione (chiamati “pensieri”) per conseguire la semplicità interiore. L’elemento che contraddistingue questo tipo di vita ascetica da altre tipologie simili è che il monaco sceglie il distacco dalla società, voglia di ritirarsi. Nel periodo d’isolamento il monaco ricerca una quietudine per una preghiera priva di ogni distrazione che gli permetta una visione tersa del mondo celeste. I MODELLI Le figure che i monaci prendevano come modello erano i profeti Elia, Eliseo e Giovanni Battista. GLLI ANTECEDENTI Si è tentato di collegare il monachesimo a fenomeni simili nel passato. Uno di questi è il fenomeno dei Terapeuti, i quali erano un gruppo di asceti che rinunciavano ai propri beni e si riunivano fuori città. Un altro è quello dei reclusi consacrati al dio Serapide. Altri hanno ipotizzato che il movimento dei monaci risalisse ai cristiani scappati nel deserto in seguito alla persecuzione di Decio. Altri hanno pensato che monaci siano gli eredi dei martiri. L’EGITTO IERACA E ANTONIO L’Egitto è stato sempre considerato la culla del monachesimo. La nascita di questo fenomeno non è ben definito. Ieraca di Leopoli era un asceta molto severo. Era a capo di una comunità urbana formata da uomini e donne ossessionati dall’esigenza della purificazione. Questo movimento fu condannato e ridotto a fenomeno marginale. Questo movimento può essere considerato come una sorta di proto monachesimo. Spesso si fa risalire le origini del monachesimo nell’esperienza eremitica di Antonio. La parola eremitismo delinea una tipologia di vita praticata nella solitudine in un deserto. Antonio nacque nel III secolo da una famiglia cristiana egiziana. Apprese le tecniche di purificazione, egli decide di distaccarsi completamente dalla città. La Vita di Antonio fu scritto poco dopo la sua morte da Atanasio di Alessandria interpretando il monachesimo come il frutto migliore del cristianesimo. La teologia di Antonio, che si può ricavare dalle sue Lettere, sembra influenzata da Origene. NITRIA, CELLE, SCETE Negli stessi anni, nel Sud di Alessandria, nascono tre insediamenti monastici: Nitria, Celle e Scete. Ai primi due è connesso il personaggio di Ammonio Nitriota mentre il terzo è stato avviato da Macario Egizio. Di lui oggi resta una Lettera ai figli incentrata su due obbiettivi connessi alla purificazione e della contemplazione. Si delinea la questione del rapporto tra la grazia e libera iniziativa del solitario nello sforzo ascetico, in u avvicinamento regolato da Dio, presente per sostenere ed assente per mettere alla prova. Il monachesimo che si afferma nei tre centri monastici ci è noto grazie ad una fonte più tarda, gli Apoftegmi dei Padri un insieme di raccolte che contiene detti, fatti e descrivono la vita dei cosiddetti Padri del deserto. Il regime monastico è basato sulla solitudine del lavoro e le celebrazioni liturgiche. IL MONACHESIMO CENOBITICO Nell’Alto Egitto si sviluppa una forma di monachesimo differente e gerarchico. Si forma qui la koinonia (comunità) ideata da Pacomio. Il termine indica una famiglia monastica che riunisce diversi monasteri all’interno di un unico sistema. Le principali fonti a cui facciamo riferimento sono: la Vita di Pacomio, la Lettera di Ammone, il corpus delle regole, delle Lettere, Catechesi e atri Insegnamenti di Pacomio stesso. Escludendo le Lettere tutte le altre fonti risalgono alla metà del IV secolo. Pacomio nacque da una famiglia pagana di Sne (Latopoli). Conobbe il cristianesimo in una caserma di Tebe. Tornato in libertà, Pacomio si stabilisce a Chenoboscia dove riceve il battesimo. Grazie ad una visione di un monaco si trasferisce a Tabennisi dove fonda una comunità. Nell’arco degli i monasteri si moltiplicarono unendosi con gli altri già esistenti. Alla morte del santo si contavano nove monasteri maschili e due femminili. Per la prima volta i confini della comunità sono delimitati da dei muri esterni, i monaci indossano un abito riconoscibile e le attività sono organizzate secondo una regola comune. Il moltiplicarsi dei monasteri fa sì che Pacomio si trovi in lizza con alcuni vescovi, i quali essendo a conoscenza delle visioni di Pacomio lo accusano di stregoneria. Un monachesimo simile a quello di Pacomio è quello di Shenute. I Canoni di Shenute costituiscono un’altra fonte preziosa per il monachesimo egiziano. DIARI DI VIAGGIO ED EVAGRIO Il monachesimo egiziano riscuote gran successo nel IV secolo tanto da attirare numerose persone. Tutto ciò grazie anche agli scritti, primo fra tutti è La vita di Antonio. Contribuiscono ad un rapido diffondersi delle notizie inerente il monachesimo anche i diari dei pellegrini. I più famosi sono l’anonima Storia dei monaci d’Egitto e Storia Lausiaca. Atro grande viaggiatore fu Evagrio Pontico che lasciò Costantinopoli per recarsi in Egitto. Egli fu il primo ad organizzare in maniera concreta la dottrina ascetica monastica. Nelle sue opere vi sono presenti due temi ricorrenti: quello dell’ascesa del monaco verso la perfezione (percorso che avviene in tappe: acquisizione di una condizione di impassibilità dell’anima, scrutamento e comprensione delle Scritture fino a raggiungere una maturazione tale da poter impartire questo metodo su altri) e quello della lotta alle tentazioni ispirate dai demoni. Una delle strategie utilizzate per opporsi alle tentazioni è quello di opporre ad ogni tentazione un passo biblico. DOPO CALCEDONIA Il periodo che segue il concilio di Calcedonia (451) vede un’istituzionalizzazione del monachesimo. Infatti si tenta prendere il controllo di questo nuovo fenomeno e si tenta di porgli dei limiti. Il monastero diventa centro vitale della liturgia con un proprio clero, infatti in questi secoli (V-VII) si crea il modello del vescovo-monaco. Un’altra questione che si pose fu la posizione che i monaci adottarono inerente la nuova dottrina cristologica all’indomani del concilio. Si apre una spaccatura fra calcedonesi e monofisiti. Roccaforte dei primi fu il monastero della Metanoia a Canopo mentre roccaforte dei secondi fu il monastero dell’Ennaton ove si distinse la figura di Longino. L’ASIA MINORE APOTATTICI E ASCETISMO FAMILIARE Le origini del monachesimo in Anatolia non sono note. Alcune fonti del IV secolo parlano degli apotattici (rinuncianti). Un movimento che rifiutavano il matrimonio e il consumo del vino. EUSTAZIO DI SEBASTE Le prime testimonianze che provano l’esistenza di un movimento ascetico in Anatolia si possono trovare nei canoni e nella lettera sinodale del concilio di Gangre (343) ove fu condannato Eustazio di Sebaste e i suoi discepoli. Il suo movimento affonderebbe le sue radici da una parte nella filosofia neoplatonica e dall’altro nei Figli del Patto. Gli eustaziani, organizzati in “fraternità”, si caratterizzarono in particolare per lo zelo con cui rinunciavano alle ricchezze, alla carne ed ai legami istituzionale e familiari. Sono mantenuti dia doni degli aderenti e le donne hanno un gran ruolo all’interno del movimento. Essi contestano la Chiesa e si riuniscono in sette. Si consideravano gli unici a possedere un’“intelligenza perfetta” delle Scritture. BASILIO DI CESAREA Basilio fu vescovo d Cesarea e difensore della dottrina trinitaria. Si ritirò a vita ascetica presso una proprietà familiare a Neocesarea. La casa divenne un monastero ed altri si unirono a lui. Di Basilio ci è stato trasmesso un corpus che contiene: il piccolo Ascetico, il grande Ascetico e le Regole morali. Quest’ultime, articolate in forma di domande e risposte, rappresentano le regole di una comunità monastica articolata in sezioni autonome. L’ingresso in comunità era sancito da un noviziato dalla presa dei voti di povertà e castità. Ci si distacca dai legami familiari per formarne dei nuovi in comunità. I MESSALIANI Chiamati anche euchiti, i messaliani rappresentano un importante movimento asceti ma dai contorni poco definiti. Nascono in Mesopotamia nel IV secolo creati da Adelfio e poi si diffusero n Siria e in Asia Minore. Essi entrarono ben presto in conflitto con la Chiesa. La loro dottrina ruotava attorno alla continua necessità di preghiera unico strumento per fermare il demone ereditato dal Adamo. Essi rifiutavano il lavoro. La loro condanna fu ufficializzata nel concilio di Efeso (431). ALTRI MONACHESIMO DELL’AREA Troviamo movimenti ascetici anche a Costantinopoli come quello avviato nel IV secolo da Macedonio considerato l’iniziatore dei pneumatomachi. Egli ricevette una cattiva accoglienza nella città quindi decise di ripiegare a Gomon dove sorse il monastero degli acemiti. Un altro monastero importante fu quello di Rufiniane, fondato da Ipazio nel 400. I suoi insegnamenti sottolinearono l’impossibilità di poter conciliare la vita mondana con quella divina. LA PALESTINA E IL SINAI LA DIFFUSIONE DEL MONACHESIMO IN OCCIDENTE Il monachesimo dopo Gallia e Italia si diffuse rapidamente anche in Nord Europa. Nel V secolo il monachesimo si diffuse in Bretagna, Scozia e Irlanda grazie anche l’invio di monaci missionari da parte di Gregorio Magno nel 596. Il monachesimo irlandese influenzerà anche l’Europa continentale grazie alla figura di Colombano. Ad egli sono attribuiti scritti come la Regula monachorum e una Regula coenobiaris, contenete le pene previste per le mancanze dei monaci e per i laici contenute però nel Paenitentiale. Il monachesimo fatica ad attecchire in Spagna a causa degli effetti di Priscilliano. In Italia un nuovo impulso alla vita monastica è dato da Benedetto da Norcia. Proveniente da una nobile famigli umbra divenne prima eremita a Subiaco e poi a Montecassino dove fondò un cenobio regolato dalla sua Regula del 530. In essa sono presenti l’insistente avversione contro i monaci itineranti affermando come unica forma la stabilitas loci e da un lato si parla dell’organizzazione del monastero che è incentrata su tre pilastri: la preghiera, il lavoro e la lectio divina. Altri monasteri importanti nella penisola italiana sono il monastero del Vivarium in Calabria fondato da Casssiodoro nel 550 importante per il grande ruolo di diffusione letteraria che ebbe. 10° capitolo I CONCILI DI EFESO E CALCEDONIA: LA CRISI RELIGIOSA IN ORIENTE E LA FORMZIONE DI CHIESE NAZIONALI CARATTERISTICHE DEL PERIODO E PREMESSE DELLA CRISI La controversa cristologica del 428 aveva premesse lontane nel passato. Nel concilio di Antiochia del 268si fronteggiarono due scuole di pensiero: quella alessandrina definita logos/sarx (carne) secondo la quale l’ipostasi divina del Logos si unisce alla carne umana divenendo con essa una sola cosa, il soggetto in Cristo è il Logos; quella antiochena è chiamata logos/anthropos insiste sulla completezza dell’uomo Gesù e sull’incontaminazione della divinità del Logos il quale non sostituisce nessuna facoltà umana. Il soggetto Cristo è dato dell’unione dell’uomo (corpo, anima ed intelletto) con la divinità (il Logos). I soggetti sono due: uno umano e l’altro divino. La crisi ebbe una premessa più recente nella cristologia di Apollinare di Laodicea. Egli era un teologo, antiariano e dunque esaltava la divinità del Logos e provò porre una fine a questa controversia tramite una soluzione. Per Apollinare solo tramite una stretta connessione tra Logos e carne poteva garantire la salvezza dell’uomo (vedi appunti pag.310 in alto). A questa soluzione avevano reagito Diodoro di Tarso e Teodoro di Mopsuestia. IL CONCILIO DI EFESO (431) E L’UNIONE DEL 433 La tensione che vi era fra Alessandria da una e parte e Antiochia e Costantinopoli dall’altra scoppiò quando Nestorio, monaco antiocheno, fu ordinato vescovo della Nuova Roma. L’occasione per sferrare un attacco conto Nestorio fu offerta ad Alessandria quando il neo-vescovo definì Maria non Theotokos (Madre di Dio) ma Christotokos (madre di Cristo). Cirillo, avendo l’appoggio del papa, fece condannare Nestorio in absentia per il suo divisismo cristologico. Nel frattempo il vescovo alessandrino, pressando l’imperatore, fece sì che fosse organizzato un concilio ad Efeso nel 431 nel quale fu condannato ed esiliato fino alla morte Nestorio. Cirillo negli anni a seguire tento di ricucire i rapporti con vescovi vicini a Nestorio arrivando così ad un compromesso tra cristologia alessandrina e antiochena nel 433 che si sgretolerà dopo la sua morte (444). SECONDO CONCILIO DI EFESO (449) E CONCILIO DI CALCEDONIA (451) l’occasione per un nuovo conflitto fu offerta dall’accusa lanciata da alcuni vescovi orientali contro il monaco costantinopolitano Eutiche il quale credeva in una sola natura di Cristo (monofisismo) secondo il dettato letterale del simbolo di Nicea. Egli ottenne una convocazione presso il secondo concilio di Efeso nel 449 chiamato in seguito Latrocinium da papa Leone. Il papa, in vista di questo concilio, aveva inviato al vescovo di Costantinopoli una dichiarazione cristologica che si chiamava Tomus ad Flavianum: due nature unite in un solo oggetto. Durante il concilio, Discoro, forte dell’appoggio imperiale e di Giovenale vescovo di Gerusalemme, fece in modo che Eutiche ottenesse il riconoscimento della sua teoria e che il Tomus di Leone non venisse preso in considerazione scomunicando così anche numerosi vescovi di tendenza antiochena e anche Flaviano di Costantinopoli. Tutto ciò fu di breve durata perché l’imperatore, Teodosio II, morì per una caduta da cavallo senza lasciare eredi. Pulcheria, la sorella, fu costretta a sposare un anziano senatore, Marciano. Entrambi cambiarono la politica religiosa. Il Concilio di Calcedonia del 451, voluto dal neo- imperatore, condannò Eutiche, sconfessò gli atti del concilio del 449, esiliò Dioscoro e reintegrò i vescovi deposti nel 449. Inoltre si spiegò ciò poteva considerarsi implicito nel Simbolo di Nicea. (vedi paragrafo pag.315) LA CRISI DOPO CALCEDONIA: PALESTINA, SIRIA ED EGITTO FINO ALL’ENOTICO DELL’IMPERATORE ZENONE Le decisioni del concilio suscitarono violente reazioni in Palestina e in Egitto. L’Imperatore si trovò a costretto a reprimere violentemente queste ribellioni in quanto doveva pur sempre mantenere l’ordine pubblico e far rispettare delle decisioni prese ad un concilio. Giovenale non poté tornare presso la sua sede, a Gerusalemme, in quanto visto il suo voltafaccia nei confronti di Dioscoro, molti monaci e vescovi si rivoltarono contro di lui ed eleggendo un nuovo vescovo, Teodosio. Nel 453 Giovenale riuscì a tornare a Gerusalemme ma solamente con l’appoggio delle truppe. La situazione in Palestina rimase instabile per decenni a causa anche dell’azione dei monaci anticalcedonesi. Anche ad Antiochia, patria della cristologia delle due nature, si ebbero dei sconvolgimenti facendo sì che la città divenne uno degli epicentri dell’anticalcedonismo. Qui agì Pietro il Fullone sostenendo gli anticalcedonesi. Ad Edessa il contrasto si manifestava in forma sempre più acuta. Gli anticalcedonesi si rivoltarono contro la scuola teologica locale costringendo l’imperato Zenone a chiuderla. In Egitto, quattro vescovi, che avevano abbandonato Dioscoro, consacrarono vescovo Proterio. Ciò provocò gravi disordini. La reazione imperiale a questo disordine non si fece attendere. L’imperatore, Leone, nel 457 lanciò una consultazione presso tutto l’episcopato dell’Impero chiedendo un giudizio sul concilio di Calcedonia e un parere riguardo l’elezione di Timoteo Eluro a vescovo di Alessandria. La maggior parte dei vescovi dichiarò valido il concilio e l’illegittimità dell’ordinazione di Timoteo. Il nuovo imperatore, Basilisco, che usurpò il trono a Leone, condannò il concilio del 451 ed il Tomus di Leone. Questo documento, pur essendo approvato dagli anticalcedonesi, provocò reazioni soprattutto da parte del vescovo costantinopolitano Acacio e del papa, così l’imperatore dovette ritirarlo. Nel477 Zenone riconquistò il potere con la volontà di imporre il concilio di Calcedonia. Dunque, nel 482, l’imperatore, per suggerimento di Acacio, emanò l’Enotikon (documento d’unione) indirizzato soprattutto alla chiesa egiziana. Questo documento evitava di trattare il tema delle due nature di Cristo e la validità del concilio di Calcedonia, creando un grande consenso. Il suo scopo era condannare i due estremi (Nestorio ed Eutiche), ritenere positivo il valore dei concili di Nicea, Costantinopoli ed Efeso e considerare validi gli anatematismi di Cirillo di Alessandria. REAZIONE ALL’ENOTICO E MOMENTANEA SUPREMAZIA ANTICALCEDONESE IN ORIENTE L’Enotico scontentò sia i calcedonesi sia i difisiti orientali e la loro ala estrema (gli anticalcedonesi). L’enotico era stato concepito anche con lo scopo di far raffreddare e interrompere i rapporti tra il papato e la sede di Costantinopoli. In Antiochia e Siria, l’Enotico fu accolto positivamente grazie all’attività di Pietro il Fullone e per questo motivo egli fu reinstallato sul seggio di Antiochia e dopo la sua morte (490) i suoi successori si mostrarono più vicini alle decisioni di Calcedonia. Dopo la morte di Zenone (491), ad Alessandria furono eletti vescovi anticalcedonesi con l’assenso dell’Imperatore Atanasio. Uno degli eventi più importanti fu l’elezione di Severo a vescovo di Antiochia. Egli volle chiarire la situazione esaminando gli scritti di Cirillo come le Epistole a Succenso per cercare qualche errore di termine. Alla fine del lavoro, Severo riuscì a mantenere una via media fra l’“in due nature” calcedonese e l’estremismo monofisita. Sviluppando così la dialettica di Cirillo in maniera più lucida si evinse che si doveva intendere l’incarnazione del Logos come un “divenire senza cambiamento” di Dio Logos. Dio diviene uomo senza cambiamento perché egli esiste eternamente in maniera piena. RIFLESSI ORIENTALI DELLA CRISI E L’EVOLUZIONE DELLA CHIESA IN PERSIA Anche le zone al di là dei confini orientale e meridionale subirono l’impatto della crisi calcedonese. In Persia andava affermandosi una cristologia basata sulle due nature secondo la prospettiva di Teodoro di Mopsuestia. Solo a metà del IV secolo cominciarono a comparire i primi dissensi tra le cristianità caucasiche circa il concilio di Calcedonia. Ci fu una divisione fra la Chiesa armena (anticalcedonese) e la Chiesa georgiana. Sulla questione armena si pronunciò anche Filosseno di Mabbug grande pensatore monofisita. Egli propose una nuova teoria: Cristo è Dio Logos (un’unica natura) che esiste in due forme a) come Dio per natura b) come uomo per miracolo; i credenti esistono in due modalità a) come uomini per natura b) come figli di Dio per miracolo. Cristo si pone sullo stesso piano della fede in quanto uomo. Nel V secolo si tentò di creare una chiesa persiana indipendente, questa volontà non era data solamente dell’organizzazione e dalla liturgia diverse ma anche dalla sua esegesi e dalla sua cultura teologica. LA POLITICA DELL’IMPERATORE GIUSTINO (518-527): DECLINO DEL FRONTE ANTICALCEDONESE E LACERAZIONI AL SUO INTERNO Costantinopoli, dove risiedeva l’imperatore che aveva potere religioso. Poco dopo l’editto Cunctos populos la sede di Roma prese sempre più potenza arrivando anche ad utilizzare elementi legislativi propri dell’imperatore come lettere normative o le decretali. A metà del V secolo Leone, oltre a salvare la città di Roma, elabora una tesi, definita petrina, dove afferma la diretta discendenza dei vescovi di Roma direttamente da Pietro. Dichiara inoltre che solo il pontefice può conferire i poteri giurisdizionali ai vescovi. Leone non dovette contrastare manicheismo, pelagianesimo e priscillianesimo, in compenso si oppose alla pretesa di indipendenza delle chiese provenzali avanzata dal vescovo di Arles, Ilario. In Oriente leone rivendicò un magistero dottrinale, espose lettere come il Tomus ad Flavianum, ignorato al concilio, e scrisse lettere all’imperatore Teodosio II inerenti la superiorità della Chiesa romana. Tuttavia al concilio fu umiliato. Con il nuovo imperatore Roma si riavvicinò a Costantinopoli, fu accettato il Tomus ad Flavinum, ma rimaneva la controversia primaziale. E proprio a causa di questa questione che nel 482 Acacio consigliò, Zenone di promulgare l’Enotikon, testo che sembrava rinnegare il concilio di Calcedonia. Nel 484 il testo divenne fede ufficia dell’Impero bizantino scontentando così il papa Felice III. Il papa, dunque, scomunicò Acacio ed in una lettera, che si pensa che a scriverla fu il successore Gelasio, il papa afferma che l‘imperatore è “figlio della Chiesa e non un vescovo” e che “gli imperatori cristiani devono sottomettersi alle autorità ecclesiastiche”. Inizia così lo scisma acaciano. Gelasio rafforzò il potere ecclesiastico in Italia e Gallia, rifiutava i tentativi di riconciliazione con Costantinopoli e ribadì il primato della Chiesa romana e portò all’estremo le tesi petrine definendo il papa come beati Petri vicarius. Gelasio sviluppò la tesi della distinzione/subordinazione. Affermò che ci sono due principi dai quali questo mondo è retto l’autorità sacra del pontefice e il potere regale. Il primo è il più importate in quanto i vescovi devono rispondere davanti a Dio anche dell’operato dei sovrani. Il secondo deve sottomettersi e non comandare sul potere spirituale. Durante questo pontificato Teodorico, dopo aver sconfitto Odoacre, divenne re d’Italia. Con l’avallo dell’imperatore nel 493. Fu un ammiratore della civilitas Romana. Egli attuò una politica di tolleranza religiosa anche nei confronti dei giudei. Simmaco era leader dei difensori di Calcedonia e della primazia di Roma e anti monofisita. Nel corso del suo pontificato furono elaborati numerosi falsi i cosiddetti Apocrifi simmachiani (fra cui il Constitutum Constantini) per avvalorare le tesi di Simmaco. IL IV SECOLO: IL DIALOGO IMPOSSIBILE, LA FRATTURA CON L’ORIENTE, L’OPERATO DI GREGORIO MAGNO La situazione cambiò quando salì al trono il filo-niceno Giustino I e al salì al soglio pontificio Ormisda più conciliante dei precedenti pontefici. Così nel 519 si pose fine allo scisma acaciano. Ormisda gestì la controversia conto l’affare teopachista. La questione era partita dalla tesi di un gruppo di monaci sciti espressa nel Libellus fidei di Massenzio, loro capo. Si affermava che Cristo avesse sofferto sulla croce come Dio. La tesi non fu riconosciuta a Costantinopoli perché considerata anticalcedonese, quindi si diressero dal papa che però si dimostrò indeciso. Solo nel 521 una lettera di Giustiniano diretta all’imperatore Giustino I giudicò inutile e chiuse la questione teopachista. Giustiniano, anche lui filo-niceno, si oppose all’arianesimo in Oriente. Il re Teodorico reagì contro l’imperatore. Dunque il re ostrogoto mandò a Costantinopoli il papa Giovanni I per mediare a favore degli ariani perseguitati in Oriente, ma questo tentativo fallì e quando egli mise piede sulla penisola italiana fu fatto prigioniero e morì di stenti. La dignità pontificia fu del tutto mortificata con papa Virgilio durante gli anni della guerra goto-bizantina. Egli fu costretto a soggiornare a Bisanzio e gli fu imposta la condanna dei Tre Capitoli. Con il distaccamento da Roma delle Chiese di Milano ed Aquileia, la chiesa ravennate prese sempre più potere fin quando nel 666 ottenne l’indipendenza dall’imperatore con l’arcivescovo Mauro. Nel 590 fu creato papa Gregorio Magno. Roma era distrutta, in preda a malattie e carestie ed era in possesso del papa. FRANCHI E VESCOVI GALLO-ROMANI In Gallia si compattarono vecchie e nuove forme di potere. Qui vescovi gallo-romani e capi Franchi, si allearono. I Franchi si convertirono al cristianesimo di confessione nicena tre il 482 e 498 quando il loro re, Clodoveo, si convertì. Questa alleanza tra potere regio e Chiesa ripropose il modello costantiniano: Clodoveo convocò numerosi concili tra cui quello di Orléans nel 511. L’episcopato gallo-romano finì con l’entrare in conflitto con Roma per ottenere l’indipendenza che si voleva ottenere dai tempi di Ilario. Gli esponenti più importanti di questo episcopato furono: Sidonio Apollinare, Avito e Fausto di Riez. Il vicariato di Arles terminò nel 586 con la morte di Sapaudo. VISIGOTI E VESCOVI IBERICO-ROMANI Il cristianesimo niceno in Spagna era minacciato dal priscillianesimo, dai barbari e dai pagani. La regione fu travolta dai Vandali nel 409 fin quando nel 429 approdarono in africa conquistandola. Le difficoltà erano numerose tanto che i sinodi neanche si potevano riunire. L’invasione dei Visigoti non fu tragica come quella vandala. Solamente Eurico, di fede ariana, applicò leggi anticattoliche. La disfatta che i Visigoti subirono a Vouillé nel 507 cambiò la situazione. Toledo divenne la sede metropolitica per i niceni. Divenne capitale con re Leovigildo e re Recaredo si convertì al cattolicesimo niceno nel 587. All’interno della Chiesa vi erano forze disgreganti come dimostra il riaccendersi di alcuni focolai contro i priscilliani i quali poi furono condannati nel concilio di Braga (561). I MONACI IN INGHILTERRA E IRLANDA In Britannia la vera conversione si ha con la missione di papa Gregorio nel 596. La Britannia non era del tutto pagana, le invasioni degli Angli, Sassoni e Juti avevano comportato la scomparsa del cristianesimo nella parte orientale e meridionale. La missione di Gregorio era partita alla volta della corte del re del Kent, Ethelbert. La sua moglie, Berta, era franca e di religione cristiana e praticava la sua religione. Il 25 dicembre del 598 re Ethelbert e 10.000 inglesi si convertirono al cristianesimo. Anche altri re segurino l’esempio del re del Kent come Edwin di Northumbria che aveva sposato la cattolica Aethelburg, sorella di Ethelbert. Nel 664 nel concilio di Whitby si decise che la Chiesa di Northumbria accogliesse la liturgia romana. Gregorio Magno sconsigliava la distruzione di templi pagani o la cancellazione delle feste perché esse potevano essere riutilizzate in chiave cristiana per una graduale conversione. In Irlanda la prima missione si ebbe nel V secolo ad opera di Palladio, inviato da papa Celestino e di Patrizio un monaco britannico-romano. L’Irlanda conobbe un cristianesimo radicato su riti celtici e lingua gaelica. La cristianizzazione viaggiava attraverso i monasteri che erano già molti quando i missionari giunsero sull’isola. Da qui partì Colombano che fondo monasteri (Luxeuil e Bobbio) ed influì il cristianesimo continentale. I BALCANI Nel V secolo tutte e diocesi della penisola balcanica erano amministrate da Costantinopoli, dal punto di vista ecclesiologico erano legate a Roma, eccetto la diocesi Thracia. Con l’insediamento degli slavi, gli asseti precedenti furono sconvolti. Fra i popoli vi era una distanza linguistica e culturale considerevole. Le invasioni degli slavi (Bulgari, Slavi, Turco tartari e Avari) hanno trasformato il territorio. L’iter di osmosi culturale fu “a scatti”. Gli Slavi determinarono la scomparsa della civiltà romana e di molte sedi episcopali. In molti tentarono di evangelizzare i popoli slavi. Riuscirono in questa missione i bizantini con Cirillo e Metodio e gli Occidentale durante il periodo carolingio. L’AFRICA FUORI DAL CIRCUITO EUROPEO Le province africane presentavano una situazione diversificata. Nel 411 il concilio di Cartagine (411) mise fine allo scisma donatista. L’Africa risentiva ancora di questo scisma quando nel 429 i Vandali invasero l’Africa, la Sicilia, la Sardegna, Corsica e isole Baleari. Presa Cartagine, i nuovi padroni compirono persecuzioni nei confronti dei cristiani e imposero l’arianesimo obbligando la conversione nel 484 con un editto. Nel 523 re Hilderico permise la libertà di culto. 12° CAPITOLO L’UTOPIA GIUSTINIANEA E GLI SVILUPPI FINO AL VII SECOLO UN PROGRAMMA AMBIZIOSO Con l’avvento di Giustiniano nel 527 si inaugura una nuova era. Egli si sente destinato a distinguersi fra tutti i sovrani. Egli si caratterizza per la sua volontà di riconquista e per la sua opera legislativa. L’UTOPIA GIUSTIANIANEA (527-602) ALLA PROVA DEI FATTI: UNA ROMANITÀ CRISITIANA RINNOVATA? L’imperatore ebbe il suo trionfo sgominando la ribellione di Nika (532). Grazie alla rifondazione della basilica, Giustiniano dimostra compiutamente che a lui è stata affidata la missione divina di portare a perfezione ciò che Salomone aveva immaginato. Giustiniano è il primo imperatore che si dichiara pholocristos. Egli vuole essere rappresentante di Dio in terra. Il sovrano è peculiare a Dio in quanto egli governa senza che nessun’altro gli faccia da sovrintendente. Egli decise di mettere al primo posto la cura della dottrina cristiana. Egli decise di combattere le religioni diverse dal cristianesimo ciò lo dimostra il fatto che egli brandì la pena di morte solamente contro i manichei che dopo il battesimo osassero tornare alle loro pratiche. Poco dopo il 545-546 una terza ed ultima ondata si abbatte su i pagani di tutto l’Impero e fa chiudere i templi ai confini. Riguardo il giudaismo, Giustiniano decide di riconoscere il culto. Egli decise di imporre alle sinagoghe l’utilizzo della traduzione dei Settanta invece del testo ebraico in quanto è probabile che essi siano più predisposti alla conversione. Riguardo i Samaritani, Giustiniano s f più duro eliminando nel 528 qualsiasi luogo di culto. Ci fu una ribellione nel 529, che condusse ad una sanguinosa ribellione. In molti