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Riassunto "Tecnologie per l'educazione" di C. Rivoltella, G. Rossi, Schemi e mappe concettuali di Didattica Pedagogica

Riassunto fatto per l'esame di Innovazione didattica e tecnologie educative di E. Pacetti (sfp, unibo)

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2021/2022

In vendita dal 19/01/2023

Michela_1999
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Scarica Riassunto "Tecnologie per l'educazione" di C. Rivoltella, G. Rossi e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Didattica Pedagogica solo su Docsity! TECNOLOGIE PER L’EDUCAZIONE Rivoltella, Rossi INTRODUZIONE. TECNOLOGIE E DIDATTICA NELLA SOCIETÀ INFORMAZIONALE. UNA CORNICE CONCETTUALE UMANO E TECNOLOGIE OGGI 1. LA SOCIETÀ INFORMAZIONALE INTERNET nasce negli anni ’80 del secolo scorso come applicazione di informatica sociale di larga diffusione (dopo che era nata negli anni ’60 nei laboratori dell’ARPA come tecnologia militare). Sua caratteristica è lo sganciamento rispetto allo spazio e al tempo. Internet rappresenta l’esito ultimo di un percorso di evoluzione della tecnologia in Occidente che era iniziato con l’invenzione della scrittura e che consiste nell’emancipare la comunicazione dalla necessità di avvenire in un determinato luogo. Infatti, prima della scrittura si poteva comunicare solo condividendo tra emittente e ricevente lo stesso luogo nello stesso tempo. Ciò limitava la comunicazione. Dal punto di vista antropologico, il dispositivo che viene portato in gioco è la possibilità di una vita sullo schermo che si libera dal peso del corpo. Internet sgancia la comunicazione dallo spazio e la rende accessibile dappertutto e in ogni momento. Tuttavia, al contrario di quanto si era previsto, lo sviluppo della tecnologia non è stato segnato da una separazione sempre più marcata tra mondi (reale e virtuale), quanto piuttosto da una progressiva interpenetrazione delle due dimensioni. Come dice Floridi (2017), non siamo più noi a essere online (o offline), ma i media a essere ONLIFE. Ovvero, la tecnologia digitale cessa di essere uno strumento attraverso cui si entra in un mondo digitale separato da quello fisico, e diventa invece una dimensione naturale della nostra vita. È ancora una vita potenziata, ma non perché basata sull’abbandono del corpo, ma perché la tecnologia è diventata una dimensione del corpo. 2. UN NUOVO RAPPORTO TRA CULTURA E NATURA Il dibattito degli ultimi decenni ha azzerato la separazione tra mente e corpo, tra natura e cultura. Guardando la Terra è difficile cogliere un confine tra natura e cultura, ma anche trovare territori che non siano il prodotto di leggi naturali e dell’intervento umano. Anche gli artefatti sono una prodotto della natura e della cultura: infatti sono prodotti dagli umani tenendo conto delle leggi naturali. La ricorsività tra natura e cultura apre a nuove strade. Occorre esplorare un nuovo umanesimo digitale, che potrebbe essere visto anche con le lenti del post-antropocentrico. La tecnologia è il luogo di tale divenire, una soglia per altri possibili mondi per un soggetto che traccia connessioni trasversali. La nozione chiave non è la separatezza, ma la trasversalità delle relazioni. POST-ANTROPOCENTRISMO → considera centrale la triangolazione tra mondi diversi, autonomi e allo stesso tempo connessi, ciascuno con una propria logica. La trasversalità riguarda non solo la relazione tra umano, animale e tecnologico, ma anche la reazione “tra linee e forze materiali e simboliche, concrete e discorsive” (Braidotti, 2014), che caratterizzano le macchine moderne. Tale complessità produce SISTEMI AUTO-POIETICI, ovvero sistemi che ridefiniscono continuamente se stessi e si sostengono e riproducono dal proprio interno. Guattari (2007) parla di auto-poiesi come collegamento qualitativo tra la materia organica e gli artefatti tecnologici e macchinici. Essa si traduce in una radicale ridefinizione delle macchine, ora considerate come dotate di una propria intelligenza, di una propria temporalità, con proprie forme di alterità non solo rispetto agli umani, ma anche tra loro stesse. La trasversalità è prodotta dal dialogo tra le componenti materiali, le informazioni e i linguaggi tra il corpo meccanico (hardware) e il contenuto numerico (software) che trasformano l’artefatto attuale da mediatore – tra umano e ambiente – ad altro con cui l’umano dialoga. Oggi la relazione tra umano e ambiente avviene quasi totalmente attraverso l’interfaccia della macchina digitale. Grazie allo schermo si percepisce e si modifica l’ambiente. A volte lo schermo è esso stesso l’ambiente. Conoscenza e azione: Il digitale propone la ricorsività tra conoscenza e azione in forme nuove. Qui l’azione incorpora l’elaborazione, ovvero diviene processo che organizza i concetti e produce e modifica modelli mentre agisce sul mondo. Da un punto di vista etico l’impatto è drammatico. Se infatti l’azione opera in un mondo “esterno” e autonomo, se l’azione co-crea il mondo, viene meno un riferimento esterno in base a cui valutare. Pertanto, il problema dell’auto-poiesi diviene l’auto- referenzialità. Un parametro alternativo per la validazione potrebbe essere la sostenibilità come possibilità di far interagire le motivazioni valoriali con i vincoli del sistema, come fattibilità, come visione sistemica e situata. Così la validazione avviene in itinere e si focalizza sul processo, sostituendo quella sul prodotto, che deve essere coerente con l’idea progettuale. 3. AGGREGAZIONE E MULTIMODALITÀ La prima pagina di un quotidiano dell‘800 presentava due articoli da leggere dalla prima all’ultima riga. Nel ‘900 la prima pagina non cambia in modo sostanziale: sono presenti alcuni articoli, spesso meno di cinque, accompagnati da immagini o disegni, e gli articoli continuano in pagine successive. Negli ultimi quindici anni la prima pagina cambia profondamente: contiene spesso oltre venti input e ogni input è un riquadro, un oggetto grafico-testuale caratterizzato da un titolo, un sottotitolo, poche righe di testo e spesso un’immagine. Il lettore delle pagine pre 2000 doveva decostruire il testo per ricostruire il senso; la connessione e coesione del testo lo guidavano nella ricostruzione del significato dell’articolo. Oggi il lettore si confronta con i riquadri, si muove velocemente con lo sguardo da un’icona all’altra, legge i titoli e i sottotitoli, lo sguardo si muove su percorsi circolari o spiraliformi che coprono velocemente e ricorsivamente la pagina. Il lettore diviene agente attivo nella costruzione della rete tra i frammenti e, quindi, del senso, e differenti lettori producono una differente rete e un differente significato. Se precedentemente la lettura era per singolo articolo, ora l’interpretazione richiede una visione “trasversale”. L’iper-testualizzazione non è presente solo nei giornali. Le pagine dei manuali scolastici sono in modo analogo costituite da piccoli blocchi e da immagini. Contemporaneamente si modificano gli esercizi proposti i quali, oltre alla scrittura, richiedono di effettuare operazioni senso-motorie: connettere e spostare riquadri, inserire linee e frecce, produrre mappe e tabelle. La MULTIMODALITÀ non riguarda solo la presenza di più linguaggi, nel qual caso si parlerebbe di multimedialità, ma l’interazione di multipli processi (modi) ovvero di multiple tipologie di azione. L’aggregazione va vista come operazione topologica sui comunicati e realizza/simula un processo senso-motorio. o il secondo assunto è il presupposto umanista in base al quale la tecnologia rappresenta una minaccia ai valori della cultura occidentale. Esso è sostenuto da due idee: la prima è quella antiscientista, che vede nella tecnologia l’esito estremo della ragione strumentale che dispone di tutto senza più limiti, la seconda è quella neoidealista, che vede nella tecnologia la minaccia di un riduzionismo che finirebbe per negare lo spazio dell’uomo in favore della macchina. Il criticismo antiscientista prende corpo in una difesa della scuola dalla tecnologia: tenerla fuori significa salvaguardare la capacità di pensare degli studenti e i valori della cultura alta. 3. la terza posizione, che di recente si è aggiunta alle prime due, è quella di chi interpreta in senso critico gli elementi che la Evidence Based Education porta contro una correlazione positiva tra tecnologia e miglioramento degli apprendimenti. Il ragionamento è molto semplice: dato che non è possibile dimostrare che le tecnologie a scuola migliorano gli apprendimenti, se ne conclude che è meglio non introdurre tecnologia a scuola. La posizione degli autori di questo libro a riguardo non è né ottimista né critica, è una posizione che fa propri i punti di vista dei cultural studies e dell’approccio socio-tecnologico. Il dibattito attuale sull’efficacia didattica delle tecnologie è ampio e non trova accordo tra i ricercatori. Gli esiti diversi derivano da come si pone la domanda di ricerca. Finché la domanda di ricerca è: “La presenza della tecnologia X garantisce il raggiungimento degli obiettivi rispetto al non X quando tutto il resto rimane uguale?” e i risultati saranno esaminati come se la tecnologia non interagisse con competenze, obiettivi e finalità, e come se le operazioni cognitive rimanessero le stesse, la risposta più accurata alla domanda sarà sempre e inutilmente “dipende”. Ha senso chiedersi se la presenza di un PC per ogni studente migliori gli apprendimenti senza analizzare anche come sono utilizzati? Il limite di molti studi è proprio che analizzano solo (o principalmente) la presenza o l’assenza di strumenti tecnologici, tenendo “il modello educativo” fuori da una visione sistemica. Un APPROCCIO SOCIO-TECNOLOGICO analizza il sistema emergente dalle interazioni tra strutture sociali e organizzative, persone e strumenti. Questa diversa posizione produce anche un cambiamento nelle metodologie utilizzate in quanto il sistema che emerge è dinamico e propone nuove esigenze formative che richiedono nuovi dispositivi e nuovi modelli per la ricerca e la sperimentazione. Qual è il rapporto della tecnologia con la didattica? Sono diverse? Convergono? Ad oggi ci troviamo in una terza fase del rapporto tra tecnologia e didattica: - la PRIMA FASE è quella della PEDAGOGIA CLASSICA, che fino agli anni ’70 del secolo scorso fu all’insegna della subalternità dei media e delle tecnologie rispetto alla pedagogia. - nel corso degli anni ‘80/’90 questa posizione ha lasciato progressivamente spazio a una SECONDA FASE in cui a media e tecnologie viene sempre più riconosciuta una loro specificità. Così essi si emancipano dalla pedagogia, ma anche dalla didattica, e danno vita a una neo- scienza dell’educazione: la TECNOLOGIA DELL’EDUCAZIONE. Il risultato è la separazione tra una didattica che non fa uso di tecnologia e una didattica che invece la prevede. - oggi siamo nella TERZA FASE . Se lo sviluppo dei media li rende indistinguibili dalla nostra vita e dalle nostre relazioni con le cose e con le persone, è difficile pensare a una situazione didattica che ne rimanga priva. Oggi non si può pensare a una didattica senza tecnologia, ma nemmeno ad un uso della tecnologia emancipato dalla didattica e dalla pedagogia. 1. LA DIDATTICA AL TEMPO DEL DIGITALE 1.1 LA CULTURA DIGITALE La prima finalità di questo capitolo è indagare quali siano le caratteristiche della cultura digitale e come la presenza delle tecnologie digitali sia un prodotto del clima socio-culturale e, allo stesso tempo, ne favorisca lo sviluppo. La seconda finalità è quella di analizzare come tale cultura si concretizzi nel mondo dell’educazione. Alcune tra le principali caratteristiche di un ARTEFATTO DIGITALE sono: - l’aggregazione nel singolo artefatto di componenti differenti e autonome : gli artefatti digitali sono aggregazione di componenti. Essi presentano funzioni e modalità altre rispetto a quelle dei singoli componenti, i quali mantengono una loro autonomia. L’artefatto può essere osservato con una visione analitica, che descrive i singoli componenti, e una olistica, che invece coglie il funzionamento del sistema. - la connessione degli artefatti in reti : il singolo nodo, il frammento, mantiene una sua autonomia e specificità, anche se spesso la sua esistenza non avrebbe senso senza la rete. - il morphing : ovvero la possibilità di modificare il livello di zoom o la granularità dei concetti. Si pensi a Google Maps e alla possibilità di passare dalla visione di un singolo edificio o di una piazza a quella dell’intero globo. AGGREGAZIONE, CONNESSIONE e MORPHING producono quella che Floridi chiama INFOSFERA, una realtà in cui lo scambio di dati digitali crea un ambiente dove l’informazione è non solo il nucleo fondante, ma anche il valore aggiunto. Il digitale è centrale in quanto l’infosfera è resa possibile proprio dalla presenza di una rete che dialoga con un solo linguaggio che connette oggetti, linguaggi e persone. Il “reale” diviene un’ibridazione tra il mondo percepito con i sensi e quello prodotto dai dati. I dati non sono la descrizione del mondo, ma sono parte del mondo, lo costituiscono. Gli elementi precedenti attraversano oggetti, media e relazioni, e determinano la CULTURA DIGITALE. La cultura digitale non si respira solo in presenza di artefatti digitali. Infatti, i comportamenti o i modi di pensare degli umani riflettono oggi la cultura digitale anche quando non sono fisicamente a contatto con artefatti digitali. Il MONDO DIGITALE è costituito dall’interazione di tre elementi: SOCIETÀ, CULTURA e TECNOLOGIE. Non sono traiettorie autonome, ma tre facce della stessa medaglia. Questi elementi sono influenzati dal rapporto circolare e ibrido tra natura e cultura. Infatti la tecnologia ha dei componenti naturali, che fanno resistenza in quanto impongono i loro vincoli, ma è anche un prodotto antropico. Dire che società, cultura e tecnologie sono tre facce della stessa medaglia significa vedere la tecnologia come oggetto ambiguo che è sia il prodotto degli umani, sia dell’ambiente che li circonda. 1.2 IL FRAMMENTO E IL LAYOUT Aggregazione, connessione e morphing hanno in comune due elementi: il frammento e il layout. Precedentemente si è detto come ogni macchina digitale, dal cellulare al robot, sia complessa e sia caratterizzata dalla presenza di molte componenti e di una rete informazionale. Si pensi alla prima pagina di un quotidiano, ai talkshow televisivi, ai musei. Nella prima pagina del quotidiano, nel talkshow e nel museo vi sono frammenti auto-consistenti e un layout che li aggrega. I FRAMMENTI sono espressione della complessità e non sono tra loro riducibili: ogni personaggio dei talkshow, ogni notizia del giornale e ogni opera in un museo ha una sua identità e una sua specificità. Impossibile trovare una logica unificante e una meta-narrazione che li connetta. Ogni frammento è complesso, leggibile con logiche multiple. I frammenti sono tra loro distanti, ma non differenti, il che permette comunque una comparabilità. Infatti i distanti nella cultura sono connessi da relazioni topologiche che li collegano senza determinarne l’omologazione. Se nella cultura orale è il contesto a dare senso, se nel testo sono connessione e coesione a sorreggere la struttura interna, nell’infosfera sono le relazioni topologiche e le analogie a suggerire un senso. Senso che non è dato a priori, ma solo suggerito e poi prodotto dal singolo lettore mentre naviga nella rete globale. Il LAYOUT non è solo un organizzatore che supporta la conoscenza, ma è azione: nel web 2.0 si naviga, si sceglie, si scrive. Il soggetto interagisce con il layout. L’azione permette di semplificare la complessità del pensiero. Colville parla di SEMPLESSITÀ che descrive come “una fusione di un’ampia complessità del pensiero con la necessaria semplicità dell’azione”. La stessa centralità dell’azione si ritrova nella MULTIMODALITÀ di Kress. Al centro del discorso l’autore pone i modi, non i media. I modi veicolano un messaggio e, contemporaneamente, un’attività, suggeriscono azioni e quindi richiedono una partecipazione attiva del soggetto. Se la medialità mette l’accento sui linguaggi e sugli artefatti, i modi connettono l’artefatto all’uso sociale, propongono modalità operative, superano la rappresentazione come visione separata del reale e si collocano in uno scenario tridimensionale di cui fanno parte, oltre all’artefatto, l’agire del soggetto e il contesto sociale. 1.3 PENSARE IN FORMATO CORPOREO Da sempre il pensiero ha dato forma a concetti astratti, i quali potevano venire poi rappresentati fisicamente con parole, disegni, schemi e grafici. Tale processo si amplia nel digitale. Molte app permettono di operare su frammenti concettuali: avvicinarli, spostarli, assemblarli, connetterli, taggarli, ricercarli, inserirli in forme o blocchi. Le azioni con cui operare su tali frammenti sono spesso topologiche ovvero senso-motorie. Ampi sono i consensi sul ruolo dei processi senso- motori nella formulazione e manipolazione dei pensieri astratti. Quando il compito cognitivo è molto complesso o l’elaborazione è nella fase iniziale, si utilizza il formato corporeo. Poi, quando i processi sono stati compresi e acquisiti, essi divengono “oggetti” mentali incorporati, e possono venir manipolati con operazioni senso-motorie simulate mentalmente. Ad oggi vari ricercatori sottolineano il ruolo del corpo anche per la formulazione dei pensieri astratti. Il digitale generalizza e rende sempre più diffuso il processo del pensare in formato corporeo in quanto crea uno spazio cognitivo in cui i concetti sono visualizzati. Essi divengono oggetti che è possibile modificare nello schermo con processi senso-motori. Il digitale, pertanto, opera in due direzioni: - dà corpo ai concetti astratti; - costruisce uno spazio cognitivo in cui i concetti astratti prendono forma e possono essere manipolati attraverso attività senso-motorie. 1.4 IL FRAMMENTO, IL LAYOUT, LA DIDATTICA Il frammento, che caratterizza il digitale ed è presente nella cultura attuale, a volte viene visto come un problema e come l’origine di molti limiti del contesto attuale, quali il disorientamento e l’ansia. Si crede, però, che la sua presenza non possa essere rimossa, se non rinunciando al mondo tecnologie. Gli interpreti delle “scuole nuove” si spendono per avvicinare i contenuti didattici ai contesti di vita, anche con oggetti capaci di favorire le attività di manipolazione, la sperimentazione, il lavoro di gruppo. Gli oggetti diventano funzionali alla libera e creativa esplorazione da parte del bambino. In quegli anni Maria Montessori progetta materiali didattici strutturati e autocorrettivi per l’educazione sensoriale, mentre Célestine Freinet porta la tipografia in classe. Si riconosce cioè l’importanza degli strumenti quali dispositivi da conoscere e attraverso i quali esplorare e fare esperienza attiva del mondo. 2.4 MEDIA, COMPUTER, RETI Dal XX secolo la diffusione delle tecnologie nella didattica può essere suddivisa in 3 principali periodi: 1. QUELLO DEI MEDIA (dal termine della Seconda guerra mondiale): il primo periodo è caratterizzato dalla disponibilità di media (radio, giradischi, mangianastri, proiettori, TV) che, coerentemente con le idee pedagogiche allora preminenti, assumono il compito di arricchire la comunicazione didattica, prevalentemente unidirezionale (lezione frontale) e alfabetica (verbale e testuale). La disponibilità della radio e della televisione consente in questi anni le prime esperienze di formazione a distanza (es. “Non è mai troppo tardi”, programma condotto dal maestro Manzi dal 1960 al 1968 sul primo canale RAI). 2. QUELLO DEI COMPUTER (a partire dagli anni ’70): il secondo periodo prende avvio con la comparsa dei primi computer a fine anni ’70. L’informatica, coi suoi sviluppi, si impone come rivoluzione culturale e la scuola viene investita di nuovi compiti di alfabetizzazione. Tuttavia, le prime applicazioni dei computer possono essere viste in continuità con quelle dei media, ovvero come mezzi per insegnare. Solo con l’affermarsi delle idee cognitiviste e costruttiviste vengono visti come mezzi per l’organizzazione personale della conoscenza. 3. QUELLO DELLE RETI (dalla fine degli anni ’90): Il terzo periodo, a partire dalla fine del XX secolo, è contrassegnato dall’avvento delle reti. I computer non sono più solo macchine isolate, ma strumenti in grado di accedere alle informazioni disponibili nel mondo e, allo stesso tempo, di consentire processi di co-costruzione e condivisione delle conoscenze tra persone. È possibile riscontrare un progressivo spostamento di interesse dall’allestimento dei contenuti da insegnare all’allestimento di situazioni capaci di promuovere l’apprendimento. Questi tre momenti si intrecciano a tre principali orientamenti di indirizzo teorico della didattica che si sviluppano grossomodo negli stessi anni: comportamentismo, cognitivismo e costruttivismo. Il COMPORTAMENTISMO fornisce, come contributo, quello di un rigoroso lavoro di organizzazione e analisi dei contenuti da insegnare: per ottenere risultati è necessario focalizzare bene gli obiettivi, scomporli in sotto unità, e quindi progettare percorsi graduali, ovvero a complessità crescente, attraverso i quali condurre gli allievi. È una visione che legittima lo sviluppo di marchingegni capaci di sostenere le sequenze di esercizi necessari per costruire gi apprendimenti più complessi (le cosiddette macchine per insegnare). Il COGNITIVISMO si afferma dalla fine degli anni ’60 in risposta all’impossibilità di indagare la mente umana sostenuta del comportamentismo. Ispirandosi alle ricerche delle scienze dell’informazione sulle memoria e i processi di elaborazione dei computer, suggerisce modelli per studiare le strutture e i processi di funzionamento della mente umana. La didattica acquisisce nuovi costrutti come memoria di lavoro e a lungo termine, meta-cognizione, schemi cognitivi, anticipatori e numerosi altri, che incoraggiano lo sviluppo di nuovi metodi per facilitare l’apprendimento. I dispositivi tecnologici, in questo periodo, vedono una stagione di grandi e rapidi sviluppi. I computer diventano sempre più potenti e il cognitivismo orienta l’impiego di queste risorse in modi diversi. In continuità con le macchine per insegnare si assiste a una stagione di nuovi sviluppi sul fronte dei contenuti destinati all’auto-apprendimento. L’industria editoriale rende disponibili CDROM interattivi sui contenuti più disparati: enciclopedie, corsi di lingue, di storia, di filosofia, e si fa strada una diversa modalità di intendere l’uso delle tecnologie, ovvero quella interessata a sostenere l’apprendimento, aiutando ad organizzare le idee e a favorire la concettualizzazione (es. con software per costruire mappe concettuali, reti semantiche e database). Il COSTRUTTIVISMO si impone dalla fine degli anni ’80 come evoluzione del cognitivismo, sviluppando l’idea che ogni nuova conoscenza è legata a quanto già conosciuto. Questo processo, proprio perché personale, porta i costruttivisti ad assumere la prospettiva del soggetto che apprende. Per il costruttivismo insegnare non è trasferire nozioni, ma creare condizioni affinché si realizzino processi unici e irripetibili di costruzione attiva e significativa delle conoscenze. Di conseguenza le tecnologie vengono viste come mezzi per imparare autonomamente o in gruppo e non quali media per esercitare un controllo o trasferire informazioni. Nei primi anni ’90 questo si concretizza con l‘uso dei computer per costruire ipertesti e app multimediali da parte degli studenti. In seguito, con l’avvento delle reti e di internet, si insiste sulla comunicazione tra pari. Le tecnologie diventano veri e propri ambienti (virtuali) per la costruzione attiva, partecipativa e collaborativa delle conoscenze. Con internet il modello esce dalle classi e diventa globale. L’interazione tra persone accomunate da uno scopo, anche se estranee e lontane geograficamente, viene vista come una forma di intelligenza collettiva capace di espandere i limiti individuali tanto da suggerire l’idea di un nuovo paradigma per l’apprendimento, il connettivismo. All’inizio del XXI secolo si discute molto sulle potenzialità dell’apprendimento online, l’e-learning, e diventa sempre più evidente il fatto che le tecnologie stiano inevitabilmente trasformando sia le pratiche di insegnamento in aula sia quelle di studio. CONCLUSIONI La ricerca sulle tecnologie si è più volte imbattuta sul quesito della rilevanza intrinseca del mezzo. Le ricerche empiriche che sono state realizzate in questi anni mostrano che se si affronta la questione provando a isolare il mezzo per vedere quale sia il suo impatto sugli apprendimenti non si ottengono risultati utili, viceversa quando gli strumenti sono considerati assieme agli approcci pedagogici emergono interessanti opportunità. In questa prospettiva, la storia delle tecnologie educative può essere vista come una costante ricerca di equilibrio e di risposte appropriate all’evoluzione dei contesti, delle risorse, delle persone nelle diverse stagioni e situazioni. 3. TECNOLOGIE PER LA PROGETTAZIONE DIDATTICA E LA GESTIONE DELL’AULA 3.1 INTRODUZIONE La complessità dell’azione didattica nell’aula attuale richiede una progettazione esplicita e articolata vista la maggiore ampiezza e frammentarietà dei saperi, la sempre più ampia scelta e disponibilità di mediatori di linguaggi, le diversità sociali, culturali e di conoscenze. La presenza pervasiva delle nuove tecnologie, inoltre, ha spostato l’attenzione da una relazione diretta docente-discente a una triangolare in cui il terzo polo è costituito da ambienti e artefatti digitali. 3.2 LE TECNOLOGIE A SUPPORTO DELLA PROGETTAZIONE DEL DOCENTE Nell’ambito della progettazione didattica le prime realizzazioni di dispositivi autoriali digitali incominciano negli anni ’90, sotto la spinta della diffusione di percorsi di formazione online. Più nello specifico ADL propose SCORM, utile a guidare la progettazione di oggetti didattici riutilizzabili, tracciabili e catalogabili. Limite di SCORM è stato quello di richiedere molte indicazioni tecnologiche, che rendevano oneroso il lavoro del progettista. Per rispondere a tale limite, a inizio 2000, l’IMS definì l’IMS LD (Learning Design), in grado di supportare il docente nella realizzazione di percorsi didattici, ma che, diversamente da SCORM, lo guidava anche sul piano pedagogico. Anch’esso si rivelò, però, praticabile solo per percorsi complessi, immutabili (max. poche modifiche) per anni e destinati a molti studenti, in quanto l’impegno temporale richiesto per la progettazione era elevato. 3.2.1 La seconda fase Dal nuovo millennio è emersa una nuova attenzione alla progettazione didattica supportata da app digitali. Si è diffusa la visione che il miglioramento dell’insegnamento e dell’apprendimento passi attraverso lo sviluppo di framework descrittivi dei processi e dell’azione didattica. In particolare i vari autori condividono l’idea che la tecnologia supporti la riflessione sulla progettazione di percorsi didattici e la formazione di comunità e di repositori di Learning Design (LD). Per descrivere il LD è spesso utilizzata l’analogia con gli spartiti musicali. Se lo spartito è dato dalla successione delle note, nel LD si ha la successione di attività didattiche. Il Learning Design Support Enviroment, progettato dal gruppo di ricerca di Laurillard, ad esempio, è un supporto digitale all’organizzazione delle attività didattiche del docente attraverso una scansione delle azioni con cui l’autrice propone una strategia interattiva tra docenti e studenti. La possibilità di descrivere il proprio progetto permette al docente in fase di progettazione di distanziarsi e dialogare con il proprio artefatto per attivare quei processi di simulazione dell’azione, di anticipazione, di previsione, con cui testare il processo stesso. 3.2.2 Gli aggregatori multimediali Lo sviluppo di spazi web nei quali poter organizzare, gestire e condividere materiali didattici ha portato allo sviluppo di ambienti nei quali aggregare materiali per poi condividerli in classe. La funzione di un artefatto progettuale è sia quella di supportare il docente nell’elaborazione del percorso, raccogliendo e organizzando tutto ciò che egli utilizzerà a lezione, sia quella di orientare gli studenti, fornendo loro una visione organica del percorso didattico e dei materiali da utilizzare. 3.2.3 La reificazione della progettazione L’ ARTEFATTO DIGITALE assolve, contemporaneamente, alla funzione di CONTENITORE FLESSIBILE e a quella di AMBIENTE RETICOLARE . L’aggregatore può essere utilizzato in classe per organizzare i materiali di studio da sottoporre agli studenti, dare le consegne, gestire le restituzioni, archiviare i prodotti delle attività didattiche e i documenti di valutazione. Si tratta di un organizzatore grafico flessibile che può essere sempre modificato. La sua dimensione reticolare espande la progettazione del docente sia verso contenuti “esterni”, presenti nel contesto sociale di riferimento o in rete, sia in termini di correlazione tra punti di vista diversi. Inoltre, la dimensione reticolare favorisce l’inclusività grazie alla possibilità di personalizzare i percorsi. L’artefatto permette una visione multiprospettica e la possibilità di condividere i propri prodotti estende la possibilità di conoscenza - consentire lo sviluppo di attività che risultino chiare, ben focalizzate e stimolanti; - mettere in condizione gli studenti di acquisire ed esercitare specifiche abilità; - supportare attività finalizzate allo sviluppo del linguaggio; - usare canali mediali differenziati in ragione delle diverse attività volte all’apprendimento. Nel caso poi di studenti con difficoltà emotive e/o di disturbi del comportamento, con l’ausilio delle risorse tecnologiche è possibile: - proporre attività in cui i discenti non si sentano intimiditi o sotto giudizio nel compiere azioni e/o commettere errori durante il percorso di apprendimento; - creare situazioni di successo, ossia proporre attività che, attraverso il computer, facilitino gli studenti nel raggiungimento di risultati altrimenti impensabili a causa del loro disagio; - offrire l’opportunità di sentirsi responsabile del proprio percorso di apprendimento; - assegnare agli studenti compiti differenziati. 4.3.3 Patologie che impediscono la normale frequenza scolastica Ci sono gravi patologie croniche che costringono gli studenti a lunghe assenze da scuola. Si tratta di numeri importanti tanto da spingere il Miur a istituire, nel 2003, il servizio di Istruzione Domiciliare (ID), che nasce proprio con l’obiettivo di consentire agli studenti costretti a importanti degenze al di fuori di un istituto di cura (dove agisce il servizio di Scuola in Ospedale) di partecipare al percorso di studi, grazie alla presenza, per alcune ore la settimana, di docenti presso la propria abitazione. Tuttavia, l’ID non prevede anche il mantenimento del contatto tra la classe di provenienza e lo studente costretto a casa (homebound). L’assenza o la riduzione di relazioni sociali può essere fonte di ulteriore malessere psicologico per lo studente che non può frequentare. Ai fini di una completa inclusione degli studenti homebound nel triennio 2013-2016 è stato lanciato il progetto TRIS (Tecnologie di Rete e Inclusione Socio-educativa), condotto operativamente dall’Istituto Tecnologie Didattiche (ITD) del CNR di Genova. Finalità del progetto è stata ideare e mettere a punto un modello eco-sistemico centrato sul concetto di CLASSE IBRIDA INCLUSIVA. Le classi ibride si sviluppano negli spazi ibridi, ossia spazi dinamici prodotti dalla costante connessione delle persone alla rete Internet attraverso i propri dispositivi mobili (o fissi). Questo consente di realizzare classi ibride in cui le dimensioni spaziali dell’aula e quelle del domicilio, nonché quelle temporali in cui si sviluppa l’attività didattica e di studio, vengono sublimate dalla dimensione digitale, estendendosi così ben oltre gli spazi e i tempi convenzionali. Obiettivo dell’aula ibrida inclusiva è fare in modo che lo studente non fruisca passivamente le lezioni da casa ma si senta come se stesse in classe e, parimenti, la classe lo percepisca “presente” come uno qualsiasi degli altri compagni. Ma quali tecnologie occorrono per realizzare una classe ibrida inclusiva? Nella Figura 4.2 è riportata l’architettura base sperimentata in TRIS per l’ibridazione dello spazio d’aula con quello domiciliare. Nella Tabella 4.2 si possono trovare alcuni esempi d’uso della strumentazione riportata in Figura. 4.4 LE SITUAZIONI SPECIALI COME CROGIOLO D’INNOVAZIONE La didattica speciale da sempre ha rappresentato uno straordinario crogiolo d’innovazione. In altre parole, stimolando la ricerca di soluzioni basate sull’uso di risorse tecnologiche per affrontare il problema dell’inclusione socio-educativa, viene implicitamente favorita una più generale e profonda riflessione su come utilizzare analoghi strumenti e metodi per innovare e migliorare qualitativamente anche la didattica cosiddetta “normale”. CONCLUSIONI Indubbiamente provoca sempre forte perplessità, all’interno di un consiglio di classe, la proposta di una riprogrammazione anche parziale delle attività didattiche in modo da coinvolgere uno studente svantaggiato nella normale frequenza scolastica, tanto più se ciò implica l’introduzione/intrusione di tecnologie. Tali ritrosie spesso vengono sopite se si riesce a far leggere in positivo la situazione ai docenti, cioè facendo comprendere loro che tale situazione può diventare l’occasione per acquisire conoscenze e competenze sull’uso didattico delle tecnologie, da riversare poi su tutta la classe (e più in generale sulla propria scuola) anche per altre finalità e in tempi successivi. Non solo quindi per far fronte a una situazione d’emergenza, ma anche per innovare e potenziare il processo di insegnamento-apprendimento nei confronti dell’intera classe/scuola. 5. VALUTAZIONE, FEEDBACK, TECNOLOGIE 5.1 INTRODUZIONE Un vasto ventaglio di tecnologie può essere utilizzato per sistematizzare e migliorare la gestione dell’intero ciclo della valutazione, dalla presentazione dei lavori alla registrazione delle valutazioni, passando attraverso l’attribuzione dei voti o dei giudizi e l’erogazione di feedback agli studenti. 5.2 VALUTAZIONE E TECNOLOGIE La tecnologia può essere utilizzata per automatizzare il processo di preparazione, erogazione e misurazione di una prova strutturata. Esistono software che supportano la costruzione di prove e aiutano nella visualizzazione dei dati raccolti, dando così al docente la possibilità di ripensare il proprio lavoro e di comprendere se siano necessari interventi di recupero o potenziamento. Dal punto di vista dello studente, il lato positivo di queste forme di accertamento è rappresentato dal feedback immediato fornito dall’applicazione in base alla risposta data. Un ulteriore beneficio è rappresentato dalla possibilità di trattare statisticamente i dati raccolti: - a livello macro si può verificare se i risultati raggiunti dalla classe si collochino in modo conforme o meno a una distribuzione normale delle frequenze. - a livello micro si può studiare all’interno del test quali domande siano risultate troppo facili e quali troppo difficili, per capire come modificare il test o che temi approfondire. In ogni caso, rispetto all’uso della tecnologia nell’ambito della valutazione formativa, se da un lato nessuna tecnologia è di per se stessa formativa, dall’altro quasi ogni tecnologia può essere utilizzata in modo formativo, se vengono messe in atto le condizioni corrette. Alcuni esempi: 5.6 OPEN BADGE Le tecnologie stanno modificando le modalità con cui raccogliere e condividere la documentazione relativa al proprio percorso grazie agli Open Badge. Un badge è una sorta di “distintivo virtuale” che precisa chi ha assegnato un riconoscimento, in cosa consiste e i criteri utilizzati per l’assegnazione. Gli Open Badge possono essere usati per supportare l’apprendimento e la valutazione: ad esempio, raccogliere badge lo rende simile a un gioco a punti dove completare le sfide significa ricevere attestati di competenza e questo può risultare molto motivante per un alunno. CONCLUSIONI L’uso delle tecnologie può portare al cambiamento nelle pratiche di valutazione introducendo nuove attività e modalità di erogazione dei compiti e realizzando un’esperienza di valutazione più significativa per gli studenti e per i docenti. 6. DOCUMENTARE PER CREARE NUOVI SIGNIFICATI: I MUSEI VIRTUALI 6.1 PATRIMONI IN AMBIENTI DIGITALI. CONTESTO DI RIFERIMENTO I MUSEI VIRTUALI sono strumenti per ricostruire e ricollocare gli oggetti culturali in uno spazio sociale condiviso. Gli ambienti digitali, nello specifico i musei virtuali, giocano un ruolo essenziale nella relazione tra visitatore/comunità, patrimonio/tecnologie. Jenkins parla di “culture partecipative” che si definiscono nello spazio aperto della rete grazie agli strumenti web e social networking con l’obiettivo di favorire l’espressione artistica, l’impegno civico e il senso di appartenenza. Per quel che concerne lo sviluppo culturale del digital heritage, le innovazioni più significative non si riferiscono solamente alla possibilità di accedere facilmente ai patrimoni, ma anche di ideare ambienti creativi da parte dei visitatori (community, istituzioni, imprese, scuole). 6.2 MUSEI VIRTUALI: LINEE DI SVILUPPO Un museo virtuale può essere definito come un’entità digitale per la comunicazione e valorizzazione di beni culturali accessibile al pubblico. Gli elementi che caratterizzano i musei virtuali riguardano: - LA MULTIMEDIALITÀ: comunicazione attraverso diversi codici espressivi (immagini, testi, suoni); - LA MULTIMODALITÀ: possibilità di agire e strutturare in modo personalizzato vari percorsi; - LA CONNETTIVITÀ: parte di un sistema di rete che favorisce l’accesso a una o più realtà museali, a differenti artefatti e ad un’ampia community. La diffusione sempre più ampia dei musei virtuali ha portato alla distinzione di due principali tipologie: i musei reali su digitale e i musei digitali per l’allestimento di oggetti reali e/o virtuali. 6.3 MUSEI REALI SU DIGITALE I MUSEI REALI SU DIGITALE sono trasposizioni e/o ampliamenti in digitale delle più importanti collezioni del museo reale. Consentono l’esplorazione degli oggetti, l’approfondimento tramite l’accesso a differenti contenuti informativi e la creazione di gallerie personali da condividere sui social network. Un esempio è il Museo del Prado. Alcuni musei reali su digitale consentono di visitare monumenti che, essendo andati distrutti, sono stati ricostruiti virtualmente (es. tomba di Nebamun). Questa tipologia di musei si pone come: - ANTICIPATORE : luoghi di preparazione alla visita che si effettuerà a seguire nel museo reale; - CONSOLIDATORE : strumenti per approfondire una visita già effettuata nel museo reale; - DILATATORE : possibilità di rielaborare nuovi contenuti e sviluppare percorsi didattici originali. 6.4 MUSEI DIGITALI PER L’ALLESTIMENTO DI OGGETTI REALI E/O VIRTUALI I MUSEI DIGITALI PER L’ALLESTIMENTO DI OGGETTI REALI O VIRTUALI sono svincolati a istituzioni museali fisiche e possono presentarsi come contenitori di oggetti tangibili o costruiti digitalmente. Un esempio è il MUVA (Museo Virtual de Artes) El Pais, dedicato all’arte uruguaiana e sudamericana. Rientrano in questa seconda tipologia di musei anche le mostre a carattere tematico allestite in spazi digitali (CMS o pagine web), che solitamente aggregano materiali di una o più istituzioni culturali (testi, documenti, immagini, audiovideo, audio, mappe). 6.5 MOdE, MUSEO DIGITALE CON OGGETTI REALI Il MOdE, Museo Officina dell’Educazione, realizzato nel 2008 dal Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università di Bologna, è uno spazio digitale e multimodale in cui è possibile navigare e visualizzare contenuti e materiali allestiti in sale e atelier virtuali. 6.6 MUSEI VIRTUALI COME BANCHE DATI DI NARRAZIONI La forma più originale di narrazione non è quella lineare, ma quella algoritmica. La BANCA DATI può essere definita come una raccolta strutturata di dati, organizzata in base a categorie e modelli logici diversi, così da consentire una gestione efficace ed efficiente delle informazioni in essa contenute. Le banche dati rispondono a un’esigenza cognitiva e sociale, resa sempre più evidente dalla rete. Infatti le neuroscienze confermano come l’uomo strutturi l’esperienza e i dati da essa derivanti in categorie. Un’altra tendenza dell’uomo è quella di raccontare. Queste due tendenze nell’era digitale tendono a convergere grazie all’apporto delle banche dati che possono trasformarsi in forme originali di narrazione non lineari. Le banche dati rappresentano una nuova forma di narrazione. 6.7 MUSEI VIRTUALI COME INTERFACCE DI PARTECIPAZIONE La presenza digitale dell’istituzione museale sui social network crea una convergenza di tempo e strumenti, oltre che di sinergie comuni e opportunità di co-costruzione. A questo riguardo risultano significativi gli spazi personali che alcuni importanti musei reali su digitale come il Prado e il Rijksmuseum offrono al visitatore. In queste aree l’utente può sia raccogliere le immagini delle opere che gli suscitano maggiore interesse, sia creare gallerie/album all’interno di sequenze che ritiene significative. In questo ambito si inserisce anche la Sala Bianca del MOdE, che propone uno spazio di rielaborazione di contenuti dove i visitatori sono sollecitati a creare nuovi artefatti i quali fungono da mediatori iconici e simbolici per dare concretezza all’esperienza di visita nel museo. Gli artefatti prodotti nelle sale bianche sono strutturati secondo due tipologie: - l’artefatto semplice rappresenta un vero e proprio oggetto museale; - l’artefatto complesso rappresenta un insieme di oggetti relativi a un tema. 7. MEDIAMORFOSI DELL’E-LEARNING 7.1 MEDIAMORFOSI DELL’E-LEARNING Non è possibile dare una definizione univoca al fenomeno dell’e-learning. La sua complessità sta proprio nel comprendere come, all’interno del triangolo didattico insegnante-allievo-contenuto, si inserisca un quarto elemento, un media, che trasforma profondamente tali relazioni. 7.2 AGLI INIZI ERA LA FAD La PRIMA ETÀ DELL’E-LEARNING coincide con la FORMAZIONE A DISTANZA (FAD). In questo periodo storico la domanda di istruzione da parte di un segmento adulto subisce una profonda crescita. Tra i fattori di stampo storico-sociale che spingono la FAD troviamo: - necessità di rivedere i contenuti scolastici a causa dei cambiamenti della società industriale; - incremento dell’obbligo scolastico; - nuove forma di analfabetismo (es. quello informatico); - competenze professionali non più stabili nel mutato scenario lavorativo; - necessità di comprendere il cambiamento culturale in corso. Il sistema formativo a distanza risponde alla necessità di specializzare e diversificare l’offerta per tenere in considerazione utenti con esigenze e situazioni diversificate dallo studente “standard”. Storicamente si tende a far coincidere la FAD di PRIMA GENERAZIONE con i corsi per corrispondenza sviluppatisi tra il 1830 e il 1960. Si apre una SECONDA GENERAZIONE quando nasce, nel 1969, la Open University, un’università a distanza con lo scopo di offrire opportunità educative ad adulti che intendono o possono studiare solo costruendosi spazi e tempi non convenzionali. A metà anni ’80, mediante l’uso di collegamenti via cavo o via satellite, si riesce a ristabilire il contatto “face to face” (TERZA GENERAZIONE ). Si ripristina così la comunicazione bilaterale docente-studente che consente di uscire da forme classiche di autoapprendimento. Unici due svantaggi di questo sistema sono l’alto costo dei sistemi di videoconferenza e la difficoltà di monitorare i progressi degli alunni. 7.3 POI VENNERO LE PIATTAFORME Rileggendo la terza fase della FAD, troviamo in essa già alcuni elementi che confermano la prospettiva continuista: i rapidi cambiamenti tecnologici degli anni ’90 hanno amplificato la velocità del processo didattico e hanno apportato un cambiamento sui sistemi a esso connessi. In particolare hanno avviato tre rivoluzioni: l’interattività, la rivoluzione cognitiva e la gestione di sistemi educativi. Questi tre elementi hanno diretta conseguenza sulla concettualizzazione dell’e- learning in questa SECONDA ETÀ DELL’E-LEARNING. Qui l’interattività non consiste tanto nel tipo di supporto, ma su come funzioni e spazi virtuali possano essere esplorati a partire dalle decisioni personali del fruitore. Si arriva a parlare di EDUCAZIONE MULTIMEDIALE. La novità è che il percorso non - setting dedicati alla trasmissione della conoscenza per l’erogazione di materiali multimediali (learning object, materiali testuali, video) - setting dedicati al lavoro asincrono (strumenti wiki o applicativi cloud based) - setting dedicati al lavoro sincrono (webconference e videoconferenze) - setting dedicati agli apprendimento informali online (comunità di apprendimento informali) - setting dedicati alla formazione sul campo con device mobili (just-in-time, microlearning, AR) Lo SCHEMA ADEMA raccoglie le tipologie di ambienti rispetto alle situazioni didattiche prevalenti: - DELIVERING: tool dedicati a strategie prevalentemente trasmissive, più o meno interattive, dove il feedback dei discenti è legato sostanzialmente a procedure automatizzate; - EMODERATING: strumenti orientati verso l’attivismo, basati sulla valorizzazione della comunicazione e sull’azione dell’insegnante che segue e modera l’agire dei discenti; - SITUATED: strumenti volti a costruire mondi da esplorare con diversi livelli di fedeltà rispetto a quelle autentiche a cui si riferiscono per poter agevolare gli apprendimenti. Oltre a esse ogni ambiente online, più o meno strutturato, deve prevedere altre sezioni quali: - ADMINISTRATION : strumenti per l’organizzazione e la preparazione dei percorsi formativi; - GESTIONE DEGLI UTENTI : strumenti per definire le possibilità di azione per ciascun utente; - MONITORING : strumenti orientati al tracciamento delle attività svolte e della navigazione; - ASSESSMENT : strumenti per misurare il raggiungimento degli obiettivi formativi e didattici. 8.3.3 Setting immersivi I SETTING IMMERSIVI coinvolgono il discente in uno scenario che richiede un’elevata attenzione contemporaneamente ad almeno due sensi del soggetto (generalmente vista e udito). Rispetto alle altre tipologie, gli ambienti immersivi permettono di simulare scenari e luoghi dove è possibile interagire con elementi dell’ambiente stesso o con altri discenti. Slater & Wilbur (1997) hanno proposto due categorie: PRESENZA, con cui si intende il livello di consapevolezza che il soggetto ha di essere in un ambiente virtuale e IMMERSIVITÀ, ovvero la capacità di un ambiente di essere: - inclusive : livello di esclusione dal mondo fisico (quanto i sensi percepiscano il mondo reale); - extensive : numero di sensi coinvolti (vista, udito, ecc.); - surrouinding : estensione del campo visivo (360°, panoramico, campo ristretto, ecc.); - vivid: risoluzione e fedeltà della riproduzione dell’ambiente. Tra le tecnologie immersive vi è CAVE (Cave Automatic Virtual Enviroment), costruiti attraverso l’uso di più videoproiettori che permettono di visualizzare su tutti i muri della stanza un ambiente. Esistono anche percorsi didattici basati sulla REALTÀ VIRTUALE (VR), nei quali attraverso un visore il discente è immerso in uno spazio generato da un computer (es. Google Expeditions, una libreria di field trip virtuali dedicata ai luoghi più belli e importanti del mondo). La REALTÀ AUMENTATA (AR), a differenza della VR, non copre l’intero campo visivo, ma sovrappone a esso immagini digitali, come se ci fosse un foglio lucido interattivo sovrapposto a ciò che stiamo guardando. Nonostante gli enormi passi in avanti, l’attuale sviluppo delle tecnologie presenta problematiche che derivano da un disallineamento sensoriale determinato da due fattori: il primo riguarda i limiti della tecnologia attuale che non permette di percepire pienamente alcune sensazioni (come la temperatura o il tocco delle diverse tipologie di materiali), il secondo è il fatto che le emozioni suscitate dalla realtà virtuale non sono le medesime, ma sono “altre” rispetto a quelle prodotte da una relazione non aumentata. Questo disallineamento determina che gli usi didattici dell’AR e della VR non dipendano prevalentemente dalla fedeltà della simulazione, quanto dalla possibilità di: - adottare diversi punti di vista soggettivi per comprendere le caratteristiche di un oggetto o la natura di un concetto (es. lo studio di un organo del corpo umano); - fare esperienze compiendo azioni su una base di opzioni che non sarebbe possibile proporre nelle condizioni presenziali (es. un’attività sulla sicurezza ambientata in un ufficio in fiamme); - aumentare le condizioni di autenticità di un compito (es. visualizzare alcuni funghi rari in una fase esplorativa in RV per poter essere in grado di riconoscerli sul campo). 8.4 SISTEMI ADATTIVI E AMBIENTI PER LA DIDATTICA AUTOMATICA Se le prime macchine per insegnare sono state progettate negli anni ’50 da Skinner, oggi le ricerche legate allo sviluppo dell’intelligenza artificiale favorirebbero l’implementazione di sistemi adattivi complessi, cioè in grado di cambiare gli output in seguito all’esperienza dello studente. I sistemi recenti spesso puntano a realizzare forme di tutoring simulate dal computer. Ad oggi, i sistemi più interessanti sono quelli che utilizzano tecniche di Data Mining in Education per: - agevolare i processi di analisi e visualizzazione dei dati mettendo in evidenza i più rilevanti; - fornire feedback specifici per i formatori riguardo i risultati degli studenti; - fornire suggerimenti per gli studenti riguardo la possibilità di personalizzare i percorsi; - presentare previsioni delle performance degli studenti sulla base dei risultati; - identificare modelli di comportamento degli studenti; - prevedere eventuali problematiche legate ai percorsi degli studenti; - fornire suggerimenti sulla creazione dei gruppi o crearli automaticamente; - fornire social network analysis per comprendere le relazioni tra gli studenti; - suggerire ai docenti mappe concettuali sulla base dei contenuti trattati nei corsi; - automatizzare la costruzione dei corsi e dei percorsi. CONCLUSIONI. LA CATEGORIZZAZIONE DEGLI AMBIENTI Una categorizzazione degli ambienti costruiti almeno in parte attraverso tecnologie digitali può essere realizzata considerando tre dimensioni: 1. NATURA DELL'AMBIENTE, che può essere costruita come combinazione degli stati presenza o rete, a loro volta integrati in processi blended, transmediali o di realtà aumentata; 2. IMMERSIVITÀ DELL'AMBIENTE: considerata secondo livelli di aderenza dell’ambiente e degli strumenti presenti in esso a quelle di una realtà autentica che permette di situare i processi; 3. TEMPO DELL'AZIONE DIDATTICA: considerato secondo le possibilità che l'ambiente possa configurare setting sincroni e/o asincroni. Le tre dimensioni non possono essere concettualizzate come fattori inscindibili, ma piuttosto come assi che si intersecano e concorrono a co-costruire processi formativi sempre più articolati. 9. MEDIA EDUCATION 9.1 COMUNICAZIONE ED EDUCAZIONE. UNA STORIA LUNGA La storia della comunicazione umana risponde a due principali logiche: 1. LOGICA BUROCRATICA → per Weber con burocrazia si intende la possibilità di mettere ordine (istanza organizzativa). Nel caso della comunicazione, e nello specifico della comparsa dei sistemi di scrittura, quest’istanza burocratica va cercata nel tentativo dell’uomo di dotarsi di qualcosa che gli consentisse di sostenere (o di sostituire) la memoria. 2. LOGICA EDUCATIVA → scrivere significa tracciare segni su una superficie. Attraverso questo gesto, le informazioni vengono fissate in modo da essere rese disponibili in futuro, senza aggravio di lavoro per la memoria psichica. Prima dell’introduzione dei sistemi di scrittura, la trasmissione culturale avveniva per MODELLAMENTO (si impara a cacciare osservando gli adulti che cacciano) e, in un secondo tempo, attraverso la COMUNICAZIONE ORALE . Quando questo insieme di elementi è diventato troppo ampio per essere tramandato oralmente, è stata introdotta la scrittura. Essa, come l’oralità in precedenza, svolge una funzione essenziale nella costruzione della tradizione. La comunicazione è educazione. In questa prospettiva, si può dire che la MEDIA EDUCATION, ovvero il chiedersi a quali condizioni si possa fare un uso corretto dei sistemi di comunicazione, nasca con la comunicazione stessa. 9.2 LA QUESTIONE DELLO SGUARDO Uno scatto, sia nella storia della comunicazione che nella riflessione sui suoi risvolti educativi, si ha nel ‘900, periodo in cui si diffondono alcuni mezzi di comunicazione come la radio, il cinema e la televisione. Sono due le ragioni che spiegano questo fatto: - la prima ragione è che la radio e il cinema sono i primi media veramente di massa. Essi non hanno bisogno che il destinatario abbia particolari competenze: non occorre saper leggere e scrivere per ascoltare la radio o per vedere un film. Questa caratteristica spiega l’interesse dei totalitarismi novecenteschi (es. del fascismo e del nazismo). - la seconda ragione va invece cercata nella nuova centralità dello sguardo che il cinema e la televisione producono. La cultura occidentale, dall’avvento della scrittura in poi, sviluppa un orientamento visivo. Un orientamento che spiega anche un certo modo di comprendere la conoscenza tipico dell’Occidente: si conosce qualcosa quando la si è vista. Così, quando il cinema e la televisione sollecitano fortemente lo sguardo, la percezione di una potenziale pericolosità educativa delle loro immagini è quasi automatica: cinema e televisione espongono allo sguardo dello spettatore i corpi e le cose, mostrando quello che si ritiene si possa vedere e anche quello che si ritiene non si possa vedere. - la Peer Education trova nell’analisi di video o nel film making (tecniche classiche di Media Education) un’ottima occasione di intervento preventivo; - la Peer Education è efficace per affrontare temi mediaeducativi in età evolutiva. 3. ANZIANI → si parla sia di classici interventi di alfabetizzazione tecnologica volti a garantire un accesso ai servizi, sia dello sviluppo del pensiero critico per difendersi da truffe online. 10. ANALISI DEI CONSUMI 10.1 DI COSA PARLIAMO QUANDO PARLIAMO DI CONSUMI MEDIALI Con CONSUMI MEDIALI si fa riferimento a una componente del sistema industriale dei media di massa che si è andata definendo nel corso del ‘900. Nel secolo scorso infatti, grazie allo sviluppo delle tecnologie della comunicazione, l'apparato produttivo ha offerto una mole crescente di prodotti comunicativi (libri, giornali, film, dischi, programmi radiofonici e televisivi ecc.) e di apparecchi di ricezione e riproduzione (radio, televisori, giradischi, computer, lettori MP3 ecc.). A tale offerta crescente ha risposto una massa di individui che consumava questi prodotti. Man mano che si consolidava il sistema industriale dei media, si sono sviluppati di pari passo diversi approcci di ricerca volti alla conoscenza dei suoi consumatori in un'ottica orientata al marketing. D'altra parte, la conoscenza dei consumi risponde anche logiche “esterne” al sistema industriale dei media. È il caso della ricerca scientifica che si è interrogata sugli effetti, le funzioni, gli usi, i significati individuali e sociali delle pratiche di consumo mediale realizzate dai diversi pubblici. In questo capitolo si farà riferimento soprattutto a questa seconda logica e, in particolare, alla tradizione di ricerca offerta dalla sociologia dei media. In questa tradizione la nozione di CONSUMO deriva dalla sfera economica, dove indica la fruizione e la consunzione dei beni materiali e delle merci. Lo studioso Silverstone ne parla come di “un'attività, individuale e collettiva, private e pubblica, che dipende dalla distruzione delle merci per produrre significato” . Nel caso della comunicazione parlare di consumo è innanzitutto un'operazione metaforica, anche se la distruzione materiale del supporto di un prodotto mediale come conseguenza della sua fruizione non è esclusa, esattamente come la consunzione di un abito è conseguenza del suo uso. È il tempo del fruitore a essere consumato. Ed è solo in questa consumazione che il senso potenziale di una tecnologia mediale si trasforma in significati sociali da spendere nella vita quotidiana. In questa prospettiva il consumo dei media perde ogni connotazione passiva individuale e si rivela un processo sociale complesso. 10.2 MEDIA EDUCATION E ANALISI DEI CONSUMI L'ANALISI DEI CONSUMI è stata assunta come componente teorica e metodologica tanto nella ricerca educativa sui media, quanto dalla ricerca in Media Education. Prima di suggerire oggetti e metodi, è bene evidenziarne i diversi livelli che possono essere intesi come gli obiettivi formativi dell'analisi: - PRIMO LIVELLO : consente il passaggio dal destinatario implicito, iscritto progettualmente nella logica testuale, alla descrizione del destinatario reale, concreto e contestualizzato, individuale o collettivo, che quella logica testuale è chiamato a incarnare e attuare, o che da quella logica è più o meno capace di prendere le distanze in modo critico. - SECONDO LIVELLO : è una componente della decostruzione del sistema mediale (es. contribuisce all’emersione delle forze che articolano la domanda, all'esito delle strategie di marketing capace di produrre e dare forma al pubblico di un determinato prodotto ecc.). - TERZO LIVELLO : rivela una pertinenza ancora maggiore rispetto agli obiettivi media educativi. Qui lo sguardo analitico è invitato a posarsi sulle abitudini, sui gesti, sulle pratiche quotidiane dei soggetti coinvolti nell'intervento formativo. I primi due livelli aumentano la comprensione circa il funzionamento della macchina mediale nel suo complesso, il terzo livello consente ai destinatari dell'intervento di Media Education di pensarsi come pubblico e di acquisire così più consapevolezza circa le proprie pratiche di consumo mediale. 10.3 OGGETTI E METODI Oggetti e metodi sono strettamente connessi dal momento che oggetti diversi richiedono metodi di rilevazione differenti e specifici, e il metodo adottato contribuisce a istituire teoricamente il proprio oggetto e a dargli una particolare forma, interpretandolo in un modo particolare. Per tali ragioni, la seguente rassegna di oggetti e metodi funge da esempio e non ha alcuna pretesa di esaustività. 10.3.1 Rilevazione statistica Uno degli strumenti più diffusi di analisi dei consumi mediali e la RILEVAZIONE STATISTICA. Si tratta di uno strumento quantitativo finalizzato a misurare un determinato fenomeno in un certo lasso di tempo, spesso in modo longitudinale, cioè sulla base di rilevazioni periodiche in grado di restituirne l'andamento. Le fonti del dato possono essere diverse, ma generalmente hanno natura istituzionale e sono difficilmente replicabili da soggetti non istituzionali. È il caso, per esempio, delle statistiche culturali messe a disposizione dall'Istat che, anno dopo anno, fotografano l'andamento dei consumi di intrattenimento e cultura nel nostro Paese. Le statistiche dei consumi mediali e culturali interpretano il consumo stesso come una serie di comportamenti individuali, sconnessi tra di loro, riconducibili ad alcuni indicatori oggettivi misurabili (es. numero di biglietti venduti, numero di ore passate davanti a un apparecchio, penetrazione di una tecnologia nelle case). 10.3.2 Rilevazioni audiometriche Le RILEVAZIONI AUDIOMETRICHE si caratterizzano per il proposito di misurare l'ascolto secondo un approccio che è stato definito positivista, ispirato cioè al modello teorico per il quale la realtà è osservabile, descrivibile e quantificabile in maniera neutra e oggettiva. Storicamente, l'esempio più evidente è dato dal sistema di rilevazione del pubblico televisivo italiano, l'Auditel: nato a metà degli anni ‘80, è volto a misurare il numero di contatti e descrivere il più chiaramente possibile il pubblico dal punto di vista delle variabili socio-demografiche, delle scelte di visione e degli orientamenti di consumo. Lo stesso approccio è stato poi applicato ad altri media: la radio (Audiradio), la stampa quotidiana e periodica (Audipress) e, più recentemente, Internet (Audiweb). Di norma le rivelazioni audiometriche si basano su un campione rappresentativo della popolazione, un panel di soggetti che viene parzialmente rinnovato in modo periodico. 10.3.3 Survey Le SURVEY sono indagini a carattere quantitativo che usano, di norma, lo strumento del questionario somministrato a un campione rappresentativo della popolazione. Il principale vantaggio delle survey applicate alla ricerca sui consumi mediali è che esse non si limitano a rilevare le dichiarazioni degli utenti circa i propri consumi e a incrociare questi ultimi con una serie di variabili socio-demografiche (come fanno, per esempio, le rilevazioni audiometriche, che ci dicono “chi” consuma “cosa” e “in che misura”). Il questionario costituisce un insieme ordinato di domande esplicitamente formulate, ciascuna delle quali genera uno o più variabili della ricerca e grazie a queste variabili consente di verificare diverse ipotesi interpretative riguardo ai fenomeni di consumo. 10.3.4 Intervista L'INTERVISTA è uno strumento di indagine a carattere qualitativo. Mentre questionario si basa sulla procedura standardizzata domanda-risposta, l'intervista assume un taglio più narrativo e un andamento più naturalmente discorsivo. Il fine è la comprensione di una realtà sociale vissuta e valutata in prima persona dai soggetti che vi sono coinvolti. Il campione è di norma molto contenuto e non ha alcuna pretesa di rappresentare l'universo di tutti gli individui, ma di fare emergere il maggior numero di elementi significativi. L'intervista può essere semi-strutturata (l'intervistatore segue una traccia che riporta gli argomenti da affrontare) o non strutturata (l'intervistatore propone uno stimolo iniziale generale e lascia che l'informatore sviluppi liberamente il proprio discorso). 10.3.5 Focus group Il FOCUS GROUP condivide con le interviste in profondità un approccio qualitativo e discorsivo ma lo interpreta in un frame più ampio rispetto alla relazione, di norma, tra intervistatore e informatore. A rispondere alle sollecitazioni è qui un piccolo gruppo, compreso tra i 4 e gli 8 individui. Non si tratta di aumentare il numero dei rispondenti, quanto di introdurre una dimensione sociale grazie all'interazione tra di essi. Nata come uno strumento del marketing negli anni ‘40, il focus group ha acquisito un posto di rilievo nella ricerca sull’audience per via di questa sensibilità alla componente sociale e condivisa dei consumi mediali. Il focus group riproduce in una situazione controllata le dinamiche di discussione che accompagnano naturalmente le pratiche di consumo mediale. 10.3.6 Etnografia (e autoetnografia) L’ETNOGRAFIA si basa sull’intuizione che i processi attivi di consumo e di interpretazione dei media avvengono nei contesti naturali della vita quotidiana dei loro fruitori e che dunque sia necessario osservare da vicino tali processi. In tale prospettiva nell'etnografia del consumo i vantaggi sono legati alla possibilità per il ricercatore di accedere direttamente alla scena sociale in cui si giocano i processi che intende studiare, senza riprodurli in modo artificiale, ma osservandoli in prima persona mentre si realizzano sotto i suoi occhi (osservazione partecipante). Questo accesso del ricercatore al mondo del ricercato è, almeno in prima istanza, altrettanto artificiale di una a caso si chiamano mondi, offrono esplorazioni e interazioni aperte da parte dell'utente avatar, le opportunità per il contesto educativo possono essere molteplici. Esistono due tipologie di mondi ampiamente utilizzati nel contesto scolastico: 1. MINECRAFT (a livello internazionale): esso ha avuto sin dal suo esordio nel 2009 un'enorme successo soprattutto fra i più piccoli grazie alla semplice grafica a blocchi simili ai LEGO e all’intuitività dei processi di interazione con l'ambiente (costruzione). Nel 2016 è stata sviluppata anche una versione Education (MinecraftEdu), che offre la possibilità al docente di disporre di una piattaforma dove gestire l'ambiente in base alle esigenze dei propri alunni e degli obiettivi didattici. La caratteristica che sembra attrarre maggiormente i giocatori è la possibilità di agire nel mondo, di costruire oggetti, anche dinamici. 2. EDMONDO (a livello nazionale): è stato sviluppato per iniziativa di INDIRE nell'ambito di un progetto più ampio dedicato alla didattica immersiva. La caratteristica che distingue edMondo da altri mondi virtuali sociali è la specificità dell'utenza a cui è indirizzato, ossia esclusivamente docenti e studenti. Al suo interno le attività di simulazione attraverso il role playing diventano particolarmente accattivanti grazie alla possibilità di manipolazione dell'ambiente (costruzione di ambientazioni) e dell’avatar (travestimenti). 12. PROGETTAZIONE DI PERCORSI DI MEDIA EDUCATION 12.1 MEDIA EDUCATION E NEW MEDIA EDUCATION Media studies New Media studies Gli effetti della tecnologia sono socialmente determinati La natura della società è tecnologicamente determinata Pubblico attivo Utenti interattivi Interpretazione Esperienza Spettatori Immersione Rappresentazione Simulazione Media centralizzati Media ubiquitari Consumatori Partecipante/co-creatore Lavoro Gioco Il concetto di Media Education si è evoluto parallelamente allo sviluppo dei media stessi e, di conseguenza, sono cambiati anche il concetto e le modalità di progettazione. Dovey e Kennedy hanno provato a sottolineare i termini maggiormente legati ai Media studies e quelli derivati dai New Media studies. Il risultato è contenuto nella tabella seguente: Nella colonna a sinistra, i termini riportati restituiscono l'immagine di un fruitore che sta di fronte a un oggetto mediale: un film, un video, un pezzo musicale ecc. Le parole a destra, invece, elaborano un'immagine formata da tanti elementi che interagiscono fra loro. Non c'è più uno spettatore bensì un utente immerso in un contesto e che, soprattutto, agisce e fa qualcosa. Da una percezione di distacco, si passa a un'evidente partecipazione. 12.1.1 La Media Education nella vita quotidiana Da un punto di vista storico, la Media Education era più facilmente riconoscibile quando anche i media erano degli oggetti distinti dagli altri: la radio, la tv, il cinema. In seguito i media hanno cominciato a diffondersi, a ibridarsi con le diverse tecnologie. Nel 2005 è nato YouTube. Progressivamente sono nate app che permettono di agire quotidianamente con i media, non solo di fruirli. Di conseguenza, i media sono diventati quasi invisibili. La Media Education di oggi deve insinuarsi in questa quotidianità mediale inconsapevole e restituirle significato. Prima i fotografi erano una categoria molto specialistica, ora tutti siamo fotografi. I registi cinematografici erano coloro che creavano illusioni e rappresentazioni mediali, ora tutti possono essere registi di scene di vita quotidiana. Questo sviluppo apparentemente incontrollabile è dovuto a un fenomeno chiamato CONVERGENZA DEI MEDIA. In parole più semplici significa che, fino agli anni ‘80, i media erano diversi, si basavano su tecnologie differenti e non dialogavano facilmente fra loro. Il cinema era al cinema e, per vedere un film, dovevi andare in una sala cinematografica. La radio era la radio e, per sentire una trasmissione radiofonica, l'unica soluzione era avere una radiolina. Attraverso la progressiva digitalizzazione degli strumenti tecnologici, iniziata dagli anni ‘90 in poi, i media ora parlano lo stesso linguaggio e si basano sulla medesima tecnologia, dialogano facilmente fra loro fino a condensarsi in uno strumento che tutti conosciamo bene: lo smartphone. 12.2 IL NUOVO SIGNIFICATO DI PROGETTAZIONE PER LA MEDIA EDUCATION Sulla base delle riflessioni precedenti, che volto assume la progettazione nei percorsi di Media Education? I poli su cui basare la propria azione progettuale sono due. Da un lato ci sono i media e le loro caratteristiche. Rivoltella (2017) indica le principali caratteristiche dei nuovi media: - i media sono diventati sociali (MEDIA SOCIALI); - si possono indossare (INDOSSABILITÀ); - vengono sempre con noi (MOBILITÀ); - rappresentano e declinano il nostro rapporto con la società (CITTADINANZA DIGITALE); - la loro azione si snoda in molti ambienti e contesti (FRA SCUOLA E TERRITORIO). Dall'altro lato c’è il termine Education. Progettare un percorso di educazione mediale significa far emergere la relazione che intercorre fra le persone e i media. Se ci focalizziamo sull'ambiente scuola, ideare delle azioni centrate sui media e sulla loro valenza educativa denota alcune caratteristiche: - è necessario essere consapevoli che una relazione implicita con i media esiste; - l'alunno deve diventare progressivamente consapevole di tale relazione; - in questa relazione possono essere individuati diversi aspetti relativi all'educazione: o ASPETTI COGNITIVI : come imparo, come gestisco le informazioni, come le utilizzo ecc. o ASPETTI SOCIALI : come mi relaziono con gli altri, quali reti costruisco ecc. o ASPETTI ETICI : come considero gli altri, come si sviluppano i miei valori ecc. o ASPETTI ESTETICI : come percepisco le immagini, come si evolve l'idea di bellezza ecc. o ASPETTI NARRATIVI : che linguaggio utilizzo, come racconto le mie esperienze ecc. o ASPETTI CULTURALI : come si evolve l'idea di scuola, di sapere, di disciplina ecc. - i media incidono sul rapporto fra gli alunni e i saperi che intersecano le diverse discipline. È inoltre necessario distinguere quali azioni caratterizzano le tecnologie dell'istruzione e quali la Media Education. Le prime, le TECNOLOGIE DELL'ISTRUZIONE, sono orientate maggiormente al ruolo che gli strumenti tecnologici hanno nei processi di apprendimento. Gli esempi sono molteplici: il coding, le app per valutare (es. Kahoot), il registro elettronico, le risorse informative digitali, ecc. Il PNSD (Piano Nazionale Scuola Digitale) tende maggiormente a questi obiettivi. La MEDIA EDUCATION, invece, si concentra e sottolinea gli aspetti culturali, sociali e di cittadinanza. Il suo focus è centrato sui linguaggi, sulle conseguenze economiche e sociali dei media, sull'idea di società che si evolve insieme ai media, sulle percezioni che intercorrono fra le culture. Il documento istituzionale di riferimento per la Media Education in Italia è il sillabo per l'Educazione Civica Digitale (Miur, 2018). 12.2.1 Progettare percorsi di Media Education: fra insegnante ed educatore CHI progetta i percorsi di Media Education? Il media educator è un ibrido fra un'insegnante e un educatore. Infatti, da un lato un'insegnante non può limitarsi a pensare alle discipline in quanto la Media Education esce, in modo quasi spontaneo, dall'aula per toccare questioni relative ad aspetti multidisciplinari concernenti contesti differenziati come la cultura, la politica, la comunicazione. Dall'altro lato, un educatore non focalizzare la propria attenzione solo su aspetti trasversali come le competenze sociali o emozionali, in quanto le attività di Media Education impattano anche sui saperi disciplinari. Il ruolo del conduttore, insegnante o educatore, è quello di far emergere le peculiarità dei contesti e condurre i partecipanti a leggere profondamente e costruire consapevolmente il mondo dei media. 12.2.2 Progettare percorsi di Media Education: fra discipline e trasversalità COME si progetta un percorso di Media Education? La Media Education si sviluppa in contesti diversificati. Non ha senso, dunque, opporre gli aspetti disciplinari a quelli trasversali. Vanno perseguiti entrambi. Negli anni ‘80 e ‘90 del secolo scorso, il periodo iniziale dello sviluppo della Media Education, l'attenzione era maggiormente rivolta ad aspetti continui alle discipline. I progetti di Media Education venivano concentrati su attività rivolte all'educazione alla salute, all'educazione alimentare, all'educazione alla cittadinanza. I progetti erano molto belli ma correvano un rischio: quello di essere considerati “accessori”. Oggi invece è importante fare in modo che i progetti di Media Education affrontino la sfida delle discipline e contemporaneamente facciano emergere le competenze digitali, il pensiero critico e tutti gli aspetti che formano il terreno fertile per crescere cittadini consapevoli. 12.2.3 Progettare percorsi di Media Education: fra conoscenze e competenze COSA contiene un progetto di Media Education? Gli oggetti di un percorso di Media Education sono potenzialmente infiniti. Innanzitutto, ci sono aspetti molto specifici, legati direttamente ai media e alle loro caratteristiche. Questi aspetti presentano un rischio: essere considerati come settoriali, adatti solo per alcune discipline. Se, da un punto di vista meramente tecnico, queste osservazioni possono avere senso (“per svolgere Toccare diversi linguaggi, ragionare in maniera integrata, è una delle implicazioni più importanti quando portiamo la Media Education in classe. 13.3 LA DIMENSIONE METODOLOGICA DIMENSIONE METODOLOGICA Si possono insegnare i media? La risposta è probabilmente sì, ma non solo a parole. Si può fare pratica, fare media e pensare ai media. Questo significa entrare in classe con una postura capace di mettere insieme i fili del fare (la tecnica) e del pensare (la riflessione), avendo in mente un obiettivo da raggiungere e uno scopo che fa da cornice. È utile, a questo punto, riprendere le tre attenzioni che Masterman proponeva come peculiarità della Media Education: - l'accento posto sulla comprensione del sistema dei media e sui processi; - l'incoraggiamento dato alle attività pratiche; - la promozione del pensiero autonomo. Le ATTIVITÀ PRATICHE sono funzionali alle restanti attenzioni: funzionano bene per capire il senso del processo del sistema nel suo complesso e facilitano la libertà e il pensiero divergente (o quantomeno personale) che nella lezione frontale rischiano di essere inibiti. Lavorare insieme ai compagni, guidati dall'insegnante, implica la revisione del CONCETTO DI SPAZIO. Lo spazio, in quanto terzo educatore, svolge infatti un ruolo decisivo nella relazione educativa e didattica. Uno degli aspetti che viene affrontato nel corso dei laboratori di Media Education è proprio la necessità di rimodulare lo spazio fisico. Quando la Media Education entra in classe, la classe diventa laboratorio e si organizza in maniera funzionale al momento di lavoro proposto: - IN FORMA CLASSICA O FRONTALE : quando l'insegnante fornisce le coordinate di lavoro; - IN FORMA CIRCOLARE : nel caso di un brainstorming o del confronto tra punti di vista incrociati; - A ISOLE : nel lavoro di piccolo gruppo o per guardare un video su cui fare analisi insieme; - IN MODALITÀ PALCOSCENICO : quando si valutano i prodotti dei compagni che vengono esposti. L'arredamento leggero e mobile rende molto più agevole questa funzione. 13.4 LA DIMENSIONE TECNOLOGICA DIMENSIONE TECNOLOGICA Cosa serve per fare Media Education in classe? Possiamo immaginare almeno tre scenari: 1. logica della dotazione tecnica “in school” : prevede un investimento da parte dell'istituzione. In questi anni abbiamo assistito a molti piani economici, bandi regionali e nazionali che hanno portato a scuola una dotazione tecnica importante, spesso non fornita di un tassello altrettanto decisivo: l'accompagnamento tecnico e metodologico. Se, da un lato, la dotazione scolastica consente di non preoccuparsi del recupero dei dispositivi, dall’altro non sempre si tratta di infrastrutture performanti o di dispositivi aggiornati e, soprattutto, si è spesso vincolati alla disponibilità dei device per tutti. È il caso delle aule informatiche, le quali vanno tuttavia prenotate rendendo meno routinario l'accesso ai device. 2. Il secondo scenario è quello del BYOD , che prevede che gli studenti portino il proprio dispositivo a scuola e che lo usino in chiave didattica nel corso delle lezioni. I VANTAGGI del BYOD sono sintetizzabili in una manciata di punti: riduzione dei costi di investimento, maggiore cura da parte dei soggetti interessati, minori costi di aggiornamento, familiarità con i dispositivi (proprio perché personali) e una maggiore flessibilità organizzativa. Gli ASPETTI PROBLEMATICI sono invece raccolti attorno ad alcune dimensioni: la definizione di policy d'uso, la compatibilità delle app, la disuguaglianza tra studenti con possibilità di acquisto diverse, la connettività, la resistenza di molti genitori. Non dimentichiamo anche la questione della DISTRIBUZIONE DEI DISPOSITIVI : ONE-TO-ONE quando il lavoro sul materiale multimediale fornito è di tipo individuale; UN DISPOSITIVO PER GRUPPO se l'attività è collaborativa; UN DISPOSITIVO PER RUOLO se i ragazzi vengono divisi sulla base delle competenze e delle funzioni (es. posso allestire la classe in maniera blended o mista: un tablet per la costruzione di una mappa di lavoro, carta e penna per la scrittura dello storyboard, uno smartphone per la ripresa dei video, un computer per montare le sequenze ecc.). 3. La terza opzione è la Media Education carta e matita. È il caso di percorsi attraverso i quali si vuole promuovere consapevolezza critica sulle logiche dei social media sotto i 14 anni, età limite per l'accesso. Come molti studi ci suggeriscono, non possiamo eludere la questione dei media fino al compimento dei 14 anni. La scelta di affrontare sin da subito il tema del rispetto, così come quello del linguaggio delle immagini, può fare la differenza. 14. SOCIAL TEACHERS, SOCIAL FAMILIES: LE TECNOLOGIE NELLE COMUNITÀ DI DOCENTI E NEL RAPPORTO CON LE FAMIGLIE 14.2 COMPETENZE DIGITALI NELLA SOCIETÀ DELLA CONOSCENZA Le trasformazioni del web negli ultimi 20 anni hanno ampliato le possibilità di comunicazione, interazione, condivisione e collaborazione tra i suoi utenti senza vincoli di luogo e di tempo. Il terzo millennio è visto come la culla della SOCIETÀ DELLA CONOSCENZA , una società in cui la conoscenza pervade ogni ambito di vita diventando fondamentale. Vivere nella società della conoscenza significa avere a che fare con identità, relazioni, modi di comunicare e di apprendere, luoghi e contesti del tutto diversi da quelli che caratterizzavano le epoche precedenti. Lo stesso concetto di apprendimento acquisisce nuovi significati: il LIFELONG LEARNING , termine ampiamente diffuso a livello internazionale, definisce la necessità di promuovere l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita. E sono appunto i nuovi strumenti digitali ad ampliare le opportunità di apprendimento continuo e di partecipazione civica e a dover essere considerati una risorsa per l’innovazione e lo sviluppo. Questa connessione tra lifelong learning e tecnologie, tuttavia, non è automatica: infatti, le tecnologie da sole non garantiscono sviluppo e apprendimento continuo, così come non garantiscono la qualità della didattica, della comunicazione e della condivisione. È sempre necessaria una formazione. 14.3 ESSERE GENITORI E INSEGNANTI SOCIAL In Italia l’utilizzo delle tecnologie è in costante crescita. Esse vengono utilizzate anche in famiglia, delineando comportamenti e consumi molto diversi a seconda di età, status socio-familiare e capitale culturale: il Rapporto CIRF 2017 (Centro Internazionale Studi Famiglia) sulle Relazioni familiari nell’era delle reti digitali (2017) ha evidenziato che i social media vengono utilizzati anche per mantenere i legami familiari. Solo nel 53% delle famiglie le tecnologie diventano argomento di conversazione tra genitori e figli e questa stessa percentuale afferma di aver dato al figlio alcune regole sul consumo di tecnologie, mentre il 56% non ha protocolli familiari condivisi a riguardo; vi è anche un 27% di genitori che non parla mai del consumo dei media in casa e un 37% che non si preoccupa di ciò che i figli pubblicano online. Il Rapporto CIRF evidenzia scarse capacità critiche e competenze digitali delle famiglie italiane, anche se c’è una maggiore propensione a comunicare nei social e nei gruppi online o a ricercare informazioni. Per quanto riguarda gli insegnanti, l’utilizzo dei social media rimane una questione critica della loro professionalità. Se da un lato è in aumento l’utilizzo delle tecnologie in ambito scolastico nella comunicazione con le famiglie, grazie all’introduzione obbligatoria del registro elettronico, dall’altro questa comunicazione spesso si limita a contesti digitali ufficiali (formali). Al contrario, nei contesti digitali non ufficiali i docenti preferiscono evitare la comunicazione con le famiglie sia per mancanza di controllo, sia perché questi ambienti vengono utilizzati dai genitori in maniera superficiale e gli insegnanti preferiscono così mantenere distinto il loro essere social nel privato rispetto al pubblico. Si evidenzia, quindi, che anche gli insegnanti hanno scarsa consapevolezza non solo delle opportunità date dai social media rispetto alla comunicazione con le famiglie e con i propri alunni, ma anche delle potenzialità di partecipazione attiva e di coinvolgimento reciproco negli ambienti digitali formali e non formali. 14.3.1 Comunicare, collaborare, condividere Acquisire competenze digitali è possibile a patto di sperimentare la cittadinanza digitale nelle sue varie espressioni, sentendosi parte di una comunità. Le competenze da sviluppare sono sei: 1. INTERAZIONE attraverso tecnologie digitali (scegliendo le tecnologie più adeguate al contesto); 2. CONDIVISIONE attraverso tecnologie digitali (di dati, informazioni e contenuti); 3. IMPEGNO NELLA CITTADINANZA attraverso tecnologie digitali; 4. COLLABORAZIONE attraverso tecnologie digitali (es. wiki); 5. NETIQUETTE (capacità di comportarsi correttamente negli ambienti digitali); 6. GESTIONE DELL’IDENTITÀ DIGITALE (dei propri dati sensibili e della reputazione). Immaginiamo la scuola per quel che è: un organismo vivente, composto da un soffio vitale, un corpo, un cervello, gambe e braccia. Un recente saggio (Cianciotta, Paganini, 2016), nell’introdurre il concetto di classe intelligente, disaggrega il concetto di classe (e di conseguenza di aula) rilanciando il valore di una nuova idea di scuola in cui, “aprendo” le porte delle aule, si intravede un ruolo diverso per l’organizzazione della scuola intera. Nel saggio si legge: “La smartness o l’intelligenza della classe dipende da molti fattori, quello tecnologico e quello architettonico, quello didattico e quello pedagogico. Dipende anche dalla capacità di introdurre esperienze del mondo reale, o meglio di far sì che lo spazio scolastico sia un ambito di formazione del mondo reale” Nel disegnare la smart school e il concetto di classe aperta, non solo si interviene su un nuovo rapporto tra studente e docente, ma su un’organizzazione diversa della scuola stessa. Si delinea così un nuovo modello di scuola: 15.2 IL CORPO: L’ORGANIZZAZIONE TRA DOCUMENTI E GESTIONE Si possono visitare tante scuole, ma è la conformità burocratica il fenomeno che più colpisce. Un po’ di capacità di astrazione dalla quotidianità e di prospettiva può servire a orientarsi nella molteplicità di aspetti da considerare per innovare l’organizzazione finalizzata alla tecnologia. Eccone alcuni: - RAPPORTO TRA TACITO ED ESPLICITO: sono i due livelli dietro cui si nasconde l’idea di scuola e che influiscono sulle intenzioni di innovazione. Ci sono pratiche che una scuola si porta dietro da anni ma non riesce a esplicitare, sia in positivo sia in negativo. Ci sono valori non dichiarati che sono più forti di quelli espressi. Ci sono procedure che resistono a ogni circolare (“s’è sempre fatto così”). L’antidoto? Scrivere ed esplicitare, anche le criticità. - SFASAMENTO DEI DOCUMENTI RISPETTO ALLE PRATICHE: i documenti non rispettano sempre la realtà. - DISPERSIONE E FRANTUMAZIONE DELLE RISORSE: conoscere i meccanismi, gli orari di servizio e i finanziamenti con i loro tempi è sicuramente determinante per prendere decisioni. - PENSARE IL CURRICOLO: si dà troppo per scontato che il curricolo altro non sia che l’adattamento delle indicazioni ministeriali. Tuttavia pensare il curricolo scolastico, che caratterizza poi le scelte della scuola, è una leva straordinaria per portare tutto a sistema. - APERTURA E RUOLO DEGLI ESTERNI: una tendenza oggi diffusa è il ricorso agli esperti esterni. Può una scuola essere più famosa per le attività proposte da un esterno che per la sua vocazione? La lettera maiuscola in “scuola aperta” dovrebbe essere la S e non la A, la scuola dovrebbe dialogare con il territorio accogliendo tra le mura percorsi e attività coerenti con essa. DALLA SCUOLA DELL'AUTOREFERENZIALITÀ dove ci sono tre livelli: 1. il preside che presiede; 2. i vari organismi collegiali (più “organismi di parola”, cioè di dibattito, che organizzativi o gestionali); 3. il docente nella sua classe. ALLA SCUOLA DELL'ACCOUNTABILITY dove ci sono tre livelli: 1. il dirigente che dirige, cioè indirizza, ha visione di sistema; 2. lo staff, variamente articolato in gruppi, mirati non al progetto ma alla funzionalità che integra l’esperienza didattica; 3. ogni docente nelle classi che iniziano ad aprirsi in progettualità orizzontali (pari classe) o verticali (classi aperte). Apertura alla comunità scolastica significa osmosi tra i tre livelli, perché, per esempio, un progetto di digitalizzazione della scuola dovrebbe partire dalla visione globale del dirigente, essere sviluppato dal team digitale, rispondere alle esigenze non di una sola classe ma della possibilità di interazione tra le classi. 15.3 IL CERVELLO: DALLA SMART SCHOOL ALLA SMART ORGANIZATION È necessario assumere una visione organica, sistemica, dell’istituzione scolastica, superando la separazione organizzazione/didattica. L’intervento del dirigente può collocarsi in questo ambito, in quanto il dirigente è colui che definisce ciò che è importante. Separare aula da scuola, didattica da organizzazione, risponde a un modello preciso di scuola. Disegna un’organizzazione disintegrata, parcellizzata, in cui all’interno della classe può avvenire anche un forte coinvolgimento professionale ma, chiusa la porta dell’aula, non vi sono relazioni con il resto e il contesto. All’opposto, per un’organizzazione che supporta gli apprendimenti, il termine distintivo è l’ APERTURA : lavorare a classi aperte, insistere sulla verticalità, utilizzare spazi comuni, metodologie comuni, strumenti comuni, in modo da confrontarsi continuamente sugli obiettivi comuni della scuola. Il PTOF e i gruppi che agiscono coerentemente con esso dovrebbero introdurre elementi di trasparenza, costruire percorsi coerenti, tradurre in applicazioni reali le sfide degli apprendimenti, porre attenzione agli esiti, ma anche ai processi, ai dati ma anche al clima. Una scuola autentica è un’organizzazione intera che è trasparente, dichiara quel che è; costruisce e realizza curricola coerenti, in verticale tra gli ordini e in orizzontale tra le classi; si pone delle finalità e dei compiti di realtà, legati al contesto in cui agisce; è attenta all’analisi degli esiti, ma anche alla costruzione del clima. 15.4 GAMBE E BRACCIA: GLI STRUMENTI OPERATIVI E LA STRADA Negli studi classici sullo sviluppo organizzativo applicato all’istruzione, il riferimento più comune è alla scuola come organizzazione a “LEGAMI DEBOLI”, grazie all’indeterminatezza, alla molteplicità di attori e agli spazi di autodeterminazione in essa presenti. Ciò si confronta, però, nella scuola italiana, con un livello di “LEGAMI FORTI” quotidiani, razionali, con profondi legami lineari e di dipendenza causa-effetto. È evidente che, allora, i modelli di didattica innovativa e la loro adozione debbano tener conto di entrambe le spinte e le resistenze, quelle legate a scelte sistemiche e quelle più legate a scelte individuali. La scuola oggi è essa stessa complessità circondata da complessità, con un fattore che non gioca a favore del cambiamento: il tempo. Un punto, però, è imprescindibile, ed è quello legato alla stesura del PTOF: l’idea di scuola che si vuole realizzare, a misura della comunità scolastica (docenti, studenti, famiglia), con un piede nella sua tradizione, ma a dimensione di futuro. Ecco, quindi, gli aspetti su cui costruire l’idea: 1. CONGRUITÀ SCIENTIFICA, ORGANIZZATIVA E STRUTTURALE DELL’IDEA DI SCUOLA: l’adozione di nuovi modelli per tutti è un percorso culturale per cui l’innovazione o il cambiamento viene inteso come scelta progettuale che determina sia il livello dei legami forti (classe, aula, orario, disciplina) che quello dei legami deboli (autodeterminazione dei singoli e delle didattiche). 2. LEADERSHIP EDUCATIVA: un passaggio determinante è sicuramente la riorganizzazione per competenze, vale a dire specificare i ruoli di ogni organismo, valorizzare le competenze dei singoli, passare all’idea di commissione a quella di gruppo di lavoro. 3. RIORGANIZZAZIONE DEGLI AMBIENTI FISICI DELL’ISTITUTO SCOLASTICO: svincolare l’aula dalla classe significa permettere la realizzazione di aule disciplinari in cui i docenti possano personalizzare lo spazio di insegnamento e trasformare le aule normali in un vero e proprio laboratorio scientifico, musicale, informatico, umanistico, linguistico. 4. RIORGANIZZAZIONE DEL TEMPO-SCUOLA: significa creare un’organizzazione dei tempi di insegnamento/apprendimento coerente con l’idea di scuola (es. discipline compattate in determinati tempi dell’anno scolastico; uso flessibile del tempo scuola; strutturazione della giornata in base alla rotazione degli studenti nelle aule laboratoriali). 5. INNOVAZIONE DIDATTICO-METODOLOGICA: per una scuola che decide di accostarsi a un’idea attiva, laboratoriale dell’apprendimento, tutta la comunità professionale dovrebbe avvicinarsi a modelli di collaborazione, costruzione, didattica attiva, laboratoriale coerenti con una destrutturazione di spazi, tempi e contenuti del sapere. 6. INNOVAZIONE CURRICOLARE: una delle vie più agevoli per il cambiamento passa attraverso la costruzione di percorsi curricolari di potenziamento, rinforzo e modellamento delle competenze; in coerenza, poi, con le tecnologie digitali adottate, va integrata la realizzazione di un curricolo digitale in cui a ogni età corrisponda l’applicazione o il dispositivo adatto. 7. UTILIZZO DI CONTENUTI DIDATTICI DIGITALI: nell’epoca del digitale come contenuto e trasmissione, diventa determinante per un’istituzione come la scuola, che è nella sua natura culturale, riflettere sul passaggio dal sapere ai saperi, dal formato-libro ai formati- libro-digitale, in una chiave di integrazione delle risorse, di autoproduzione e di selezione dei contenuti. 8. TIPOLOGIA O CARATTERISTICHE GENERALI DEGLI STRUMENTI: per la realizzazione della progettualità assume un ruolo centrale la scelta della tipologia di adozione dei dispositivi tecnologici, finalizzati alla classe, all’individuo, agli spazi e alle attività di apprendimento; scelta dei sistemi operativi, degli applicativi; scelte dell’architettura di sistema per gestire i flussi di dati, le informazioni, i contenuti digitali; scelte di connessione, con filo o senza, mappa degli accessi alla rete, utilizzo di repository di materiali, di registro elettronico, di funzioni di seamless, sincronizzazione. Importante anche la policy di dotazione individuale. Le sperimentazioni di BYOD probabilmente saranno al formula più semplice per permettere l’accesso generalizzato a contenuti e servizi, con un occhio al dovere costituzionale di ridurre le distanze e fornire opportunità attraverso dotazioni della scuola in comodato d’uso. 9. STRUMENTI DI VALUTAZIONE DELLA QUALITÀ DELLA DIDATTICA E DEI SUOI RISULTATI E STRUMENTI DI ANALISI DEI PROCESSI E DI RENDICONTAZIONE SOCIALE: l’idea di scuola va sottoposta a un ciclo performativo che va dal PTOF, al RAV, ai risultati INVALSI, ai risultati di eventuali prove parallele, a eventuali monitoraggi interni, al PdM e che ogni anno passa attraverso la rendicontazione contabile e il programma annuale. L’idea di scuola porta una impostazione organizzativa e finanziaria che anticipa e rende conseguenziale la creazione di un modello di autovalutazione della qualità dell’istruzione che contempli le scelte didattiche e tecnologiche. 10. STRUMENTI E MODALITÀ DI COMUNICAZIONE SCUOLA-FAMIGLIA: alla filosofia della trasparenza e della comunicazione va sostituito un approccio legato alla rendicontazione sociale, per cui, salvo ciò che appartiene a sfere di protezione individuale, tutto è pubblico e per tutti. Non più solo strumenti di vetrina o pubblicazione dei voti, ma veri aggregatori di opportunità e di risorse. 11. INIZIATIVE DI FORMAZIONE PER IL PERSONALE DELLA SCUOLA: l’idea di scuola può sostanziarsi solo con una formazione continua che si nutra delle formazioni ambito del Piano Nazionale della Formazione, e che preveda per ogni scuola la creazione di un Piano annuale delle attività. audiovisivi come cinema e televisione. Tuttavia, secondo Buckingham (2006), la ML può essere vista in due modi: - OTTICA FUNZIONALE: agli individui si dà “una cassetta degli attrezzi” con all’interno un “pacchetto” di conoscenze e abilità in grado di far comprendere e utilizzare i media; - OTTICA CRITICA: alla capacità di uso consapevole e interpretazione dei media si affianca una comprensione più profonda legata ad aspetti sociali, culturali ed economici (riflessione critica e analisi). Lo sviluppo di tali capacità è il frutto di un complesso processo di insegnamento e apprendimento centrato sui media (se ne occupa la Media Education). Oggi l’attenzione della ML è sempre più rivolta alle nuove forme di comunicazione mediale. A tal proposito, Livingstone (2003) ha proposto di definirla come “l’abilità di accedere, analizzare, valutare e creare messaggi in una varietà di contesti”, definendo come segue tali abilità: - ACCESSO : riguarda la disponibilità di media/tecnologie e la capacità degli individui di aggiornare costantemente le dotazioni di cui si avvalgono. - ANALISI : la comprensione della stampa e dei media audiovisuali dipende da un ampio spettro di capacità di tipo analitico tra cui la comprensione delle categorie, delle tecnologie, dei linguaggi, delle rappresentazioni e dell’audience dei media. - VALUTAZIONE : la componente valutativa implica da un lato dimensioni politico-ideologiche difficili da affrontare, dall’altro solleva quesiti relativi alle finalità della valutazione: la ML deve promuovere un approccio democratico e plurale alle rappresentazioni online o deve operare una distinzione più tradizionale tra buona e cattiva informazione/comunicazione? - CREAZIONE DEL CONTENUTO : benché non tutte le definizioni di ML comprendono la produzione mediale, c’è ormai ampia convergenza sul fatto che gli individui conseguano una maggiore e più profonda comprensione dei media se hanno esperienza diretta di produzione di contenuti. Internet offre inedite opportunità sotto questo profilo. 16.3 LE COMPETENZE DIGITALI: MODELLI E DEFINIZIONI L’espressione DIGITAL LITERACY è più recente rispetto alle literacy considerate nel paragrafo precedente. Calvani, Ranieri e Fini (2010) hanno proposto la seguente definizione: “LA COMPETENZA DIGITALE CONSISTE NEL SAPER ESPLORARE E AFFRONTARE IN MODO FLESSIBILE SITUAZIONI TECNOLOGICHE NUOVE, NEL SAPER ANALIZZARE, SELEZIONARE E VALUTARE CRITICAMENTE DATI E INFORMAZIONI, NEL SAPERSI AVVALERE DEL POTENZIALE DELLE TECNOLOGIE PER LA RAPPRESENTAZIONE E SOLUZIONE DI PROBLEMI E PER LA COSTRUZIONE CONDIVISA E COLLABORATIVA DELLA CONOSCENZA, MANTENENDO LA CONSAPEVOLEZZA DELLE RESPONSABILITÀ PERSONALI, DEL CONFINE TRA SÉ E GLI ALTRI E DEL RISPETTO DEI DIRITTI/DOVERI RECIPROCI”. In questa definizione sono ravvisabili tre fondamentali dimensioni: 1. DIMENSIONE TECNOLOGICA: include abilità e conoscenze di base per garantire accesso e uso delle tecnologie, oltre che le capacità di natura metacognitiva definibili come il saper valutare il potenziale delle tecnologie per la soluzione di problemi simili a quelli della vita reale. 2. DIMENSIONE COGNITIVA: comprende la capacità di leggere, selezionare, interpretare e valutare dati, costruire modelli astratti e valutare informazioni considerando la loro pertinenza, l’affidabilità e i contesti di produzione e uso della conoscenza. 3. DIMENSIONE ETICA: riguarda la capacità di tutelare se stessi e la propria privacy, di comportarsi in modo adeguato e nel rispetto degli altri e include, inoltre, la consapevolezza dei divari sociali legati allo sviluppo delle tecnologie. Più recentemente è stato sviluppato il DIGCOMP, un quadro di riferimento per la competenza digitale che approfondisce le indicazioni delle Raccomandazioni. Esso individua 21 competenze riconducibili a cinque aree principali: - Area di competenza 1, INFORMATION LITERACY . Quest’area riguarda tutte le conoscenze e abilità relative alla ricerca, selezione, valutazione, memorizzazione e recupero delle informazioni. - Area di competenza 2, COMUNICAZIONE E COLLABORAZIONE. Quest’area riguarda la capacità di interagire in modo responsabile con le tecnologie, di condividere contenuti e di collaborare. - Area di competenza 3, CREAZIONE DI CONTENUTO DIGITALE . Quest’area riguarda la capacità di creare e modificare contenuti digitali in modo creativo e nel rispetto del diritto d’autore. - Area di competenza 4, SICUREZZA . Quest’area riguarda tutte le conoscenze e abilità necessarie per mettere in sicurezza i propri dispositivi, per proteggere i propri dati personali, per tutelare il benessere fisico e psicologico e, infine, per proteggere l’ambiente. - Area di competenza 5, PROBLEM SOLVING . Quest’area riguarda le capacità utili per affrontare problemi tecnologici, individuare soluzioni innovative con le tecnologie, aggiornare le proprie competenze digitali. NOTA BENE: il modello DIGCOMP, a differenza del modello sviluppato da Calvani, Fini e Ranieri (2010), non include gli aspetti etico-sociali legati al digitale. 16.4 COMPETENZE DIGITALI, FORMAZIONE, CITTADINANZA Se l’esperienza d’uso dei media digitali comporta lo sviluppo di una familiarità con i dispositivi elettronici più o meno spinta, la competenza digitale nella sua accezione più avanzata di “saggezza digitale” non si sviluppa spontaneamente. Jenkins e colleghi (2006) indicano TRE GAP che le istituzioni educative devono colmare delineando e attuando pratiche e politiche mirate: - GAP PARTECIPATIVO: l’accesso iniquo alle opportunità, esperienze, competenze e conoscenze necessarie per preparare i giovani alla piena partecipazione alla società del futuro; - PROBLEMA DELLA TRASPARENZA: le sfide che i giovani devono affrontare per acquisire chiara consapevolezza del modo in cui i media influenzano le loro percezioni del mondo; - SFIDE ETICHE: legate all’esigenza di preparare i giovani ai nuovi standard etici che dovrebbero configurare le loro pratiche come produttori di media all’interno di comunità online. In termini didattici, si tratta di allestire situazioni di insegnamento/apprendimento in grado di coniugare o alternare azione e riflessione, produzione e analisi, creatività e attenzione critica, esperienza e analisi metacognitiva. La formazione riguarda non solo gli studenti, futuri cittadini, ma anche gli insegnanti. Una strada da seguire è quella della MEDIA EDUCATION, la quale si propone di realizzare la progressiva emancipazione dei soggetti per la piena cittadinanza. 17 DALL’EDUTAINMENT ALLA GAMIFICATION 17.1 PERVASIVITÀ DEL GIOCO Il gioco accompagna da sempre le attività umane. Nella cultura occidentale è però a partire dal ‘700 che la riflessione sul gioco inizia ad acquisire un peso particolare. E tale riflessione, nello svilupparsi nei secoli successivi, si è incentrata su due aspetti: il primo è legato alla comprensione di che cosa sia il gioco, il secondo ambisce a comprendere non solo il gioco in sé ma anche le sue relazioni con altri ambiti umani. La classica definizione di gioco offerta da HUIZINGA costituisce un punto di partenza per delineare lo sviluppo di entrambi gli aspetti: “IL GIOCO È UN’AZIONE, O UN’OCCUPAZIONE VOLONTARIA, COMPIUTA ENTRO CERTI LIMITI DEFINITI DI TEMPO E SPAZIO, SECONDO UNA REGOLA VOLONTARIAMENTE ASSUNTA, E CHE TUTTAVIA IMPEGNA IN MANIERA ASSOLUTA, CHE HA FINE IN SE STESSA; ACCOMPAGNATA DA UN SENSO DI TENSIONE E DI GIOIA, E DALLA COSCIENZA DI “ESSERE DIVERSI” DALLA “VITA ORDINARIA”. In altre parole secondo lo studioso il gioco e le attività a esso legate sono caratterizzate dall’essere frutto di una scelta libera, che si svolge in un tempo e in uno spazio appositi, diversi dalla vita ordinaria. Nel primo aspetto, il tentativo di circoscrivere l’ambito del gioco si scontra con l’individuazione di una serie di ulteriori tratti caratteristici del gioco (es. competizione, travestimento, dimensione mediale del gioco, attenzione all’età infantile ecc.) Tralasciando la segnalazione di altre dimensioni del gioco, si giunge alla presa d’atto dell’impossibilità di una definizione rigida e puntuale del gioco. Per quanto riguarda il secondo aspetto, la riflessione porta, paradossalmente, a una conferma e a una smentita della tesi di Huizinga. Da un lato, l’idea di Huizinga che lo sviluppo della civiltà e della società sia intrinsecamente legato alla dimensione ludica trova conferme; dall’altro, distinguere tra vita ordinaria/lavoro e mondo del gioco sta diventando un’operazione sempre più ardua. Non si tratta solo della diffusione dei videogiochi, ma di una crescente centralità delle informazioni gestite da tecnologie digitali dove approcci ludici sono sempre più presenti. In tal senso è stata sottolineata l’importanza di quelle che sono ormai chiamate COMPETENZE LUDICHE (gaming literacy) da intendere come modalità innovativa e transdisciplinare per affrontare i