Scarica riassunto unione europea e più Sintesi del corso in PDF di Diritto dell'Unione Europea solo su Docsity! 1 DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA CAPITOLO 1 L’Europa comunitaria e la sua evoluzione 1. Origine delle comunità europee: la Dichiarazione Shuman e la CECA La prima tappa del processo di integrazione a livello europeo nasce nel momento immediatamente successivo alla fine del secondo conflitto mondiale mediante cooperazioni intergovernative: tale forma di collaborazione prevede il mantenimento della sovranità in capo ad ogni Stato partecipante, per cui gli organi delle organizzazioni (cooperazioni a livello militare per garantire la difesa collettiva: UEO istituita con Trattato di Bruxelles 1948 e NATO con Trattato di Washington 1949; collaborazioni a livello economico per gestire i fondi del Piano Marshall: OECE e OECD; Consiglio d’Europa tra 10 Stati dell’UE che promuoverà la CEDU) sono costituiti da membri che agivano come rappresentanti degli Stati membri, le decisioni erano prese all’unanimità, ogni membro aveva diritto di veto e gli atti adottati erano raccomandazioni non vincolanti. Il modello comunitario nasce invece con l’istituzione della CECA (comunità europea del carbone e dell’acciaio), su proposta del ministro degli esteri francese Schuman, che chiese di porre la produzione dell’acciaio e del carbone sotto una comune Alta Autorità. Principalmente furono due le ragioni che spinsero gli Stati membri verso la creazione di questa comunità: eliminazione dell’inimicizia tra Francia e Germania, che sovente si erano scontrate per i giacimenti di carbone e acciaio nelle regioni di Saar e Ruhr creazione per la prima volta di un’organizzazione internazionale in cui gli Stati avrebbero ceduto parte della loro sovranità (sebbene in un settore delimitato) La “proposta Schuman” fu accolta da Francia, Germania, Italia, Belgio, Olanda e Lussemburgo: il trattato fu firmato a Parigi il 18 aprile 1951 ed entrò in vigore il 25 luglio 1952. La CECA fu alla base di nuove comunità come la CEE (comunità economica europea) e la EURATOM (comunità europea energia atomica). La CECA era composta da vari organi: Alta Autorità: organo a cui venivano attribuite le competenze necessarie per la realizzazione degli obiettivi del trattato: condivideva, insieme al Consiglio speciale dei Ministri, il potere esecutivo. L’organo era composto da 9 membri in carica per sei anni: essi erano completamente indipendenti dagli Stati di appartenenza. Consiglio speciale dei Ministri: composto dai ministri degli esteri dei singoli Stati membri: dotato di poteri consultivi ed esecutivi Assemblea comune: formata dai rappresentanti dei popoli degli Stati membri, venne in seguito chiamato Parlamento europeo. Secondo il trattato le elezioni dovevano essere a suffragio universale diretto, ma inizialmente furono i Parlamenti degli Stati ad eleggere i rappresentanti. Corte di giustizia: composta inizialmente da 7 giudici e due avvocati generali nominati di comune accordo dai governi degli Stati membri: la loro carica era di sei anni ed era rinnovabile. La corte di giustizia aveva potere giurisdizionale sulle controversie tra Stati e tra Stati e istituzioni. 2 La CECA si è estinta il 23 luglio 2002 dopo 50 anni: le sue funzioni e il suo bilancio sono Stati trasferiti alla Comunità europea. 2. Trattato istitutivo della CEE e dell’EURATOM Dopo il successo della CECA gli Stati decisero di provare una collaborazione militare: si istituì la CED (comunità europea di difesa) che però non entrò mai in vigore per il mancato appoggio della Francia, che non era disposta a cedere la sovranità in un settore delicato come la difesa del territorio. Nonostante questo fallimento gli Stati membri della CECA siglarono, con i Trattati di Roma l’istituzione della CEE (comunità economica europea) e dell’EURATOM (comunità europea energia atomica): la firma arrivò a Roma nel 1957 e i trattati entrarono in vigore il 1° gennaio 1958. L’obiettivo della CEE era quello di creare un mercato comune che comprendesse ogni settore nell’area comunitaria: viene perseguita un’unione sul piano economico con l’abolizione di qualunqua dazio interno e la libera circolazione di merci e servizi tra gli Stati membri e la creazione di una tariffa doganale comune nei confronti degli Stati terzi. CEE ed EURATOM erano composte da: Assemblea: composto dai rappresentanti dei popoli degli Stati membri (ora si chiama Parlamento): non si creò una nuova assemblea, ma si ampliarono le competenze dell’assemblea della CECA Consiglio: formato da rappresentanti di ciascuno Stato membro. La funzione era quella di coordinamento delle politiche economiche generali e di potere decisionale che rese il consiglio l’organo legislativo della comunità Commissione: inizialmente era composta da nove membri scelti dall’accordo tra gli Stati. I commissari dovevano operare in piena indipendenza dagli Stati di appartenenza e rifiutare qualsiasi tipo di istruzione dai rispettivi governi. Corte di giustizia: organo giurisdizionale, il compito era quello di garantire la corretta applicazione del trattato. Anche in questo caso gli Stati membri si limitarono ad ampliare le competenze della corte di giustizia della CECA senza creare una corte ad hoc. L’obiettivo dell’EURATOM era quello di creare un ente dotato di poteri di controllo e di indirizzo politico nel settore dell’energia atomica. Nel quadro istituzionale della CEE e dell’EURATOM l’organo dotato di potere decisionale era il Consiglio (formato da rappresentanti dei singoli Stati) e non la Commissione (membri indipendenti al servizio della comunità) come invece era Stato deciso nella CECA: questa decisione fu presa perché con queste due nuove comunità i singoli Stati cedevano una fetta molto più grande della loro sovranità e volevano quindi mantenere un certo controllo sulla politica delle due nuove istituzioni. 3. Il trattato di Bruxelles del 1965 e la fusione degli esecutivi Dopo la creazione delle due nuove comunità, gli Stati sentirono il bisogno di semplificare il quadro istituzionale: si decise nel 1965 (8 aprile, a Bruxelles) di unificare le istituzioni comunitarie, arrivando quindi anche ad una Commissione e ad un Consiglio unici. Questa 5 Con questo trattato si apportarono delle modifiche al funzionamento del Consiglio, del Parlamento europeo e della Commissione: ad esempio si modificò la ripartizione del numero di seggi in Parlamento, si ridusse drasticamente l’obbligo di voto unanime in Consiglio, si decise di concedere un solo commissario per Stato in Commissione. Inoltre con il Trattato di Nizza si aumentarono le competenze del Tribunale di prima istanza, in modo da alleggerire il carico alla Corte di giustizia, e si crearono delle camere giurisdizionali per alcune materie specifiche. 7. I Trattati di Atene e Bruxelles: l’Europa a 27 membri Il 16 aprile 2003 con il Trattato di Atene entrarono a far parte dell’UE 10 nuovi Stati dell’Europa orientale e, il 1° gennaio 2007, si aggiunsero anche Romania e Bulgaria: l’allargamento dell’Unione era una possibile fonte di tensioni e quindi si decise di porre dei rimedi per attenuare i poteri dei singoli Stati, aumentare la flessibilità delle regole comunitarie per facilitare l’attuazione in ogni paese tenendo conto delle differenze economico-sociali di ciascuno. Con questi trattati si diminuì il numero necessario per la cooperazione rafforzata a 8 paesi e si abolì il potere di veto di un singolo Stato, sostituito con il potere di porre una questione al Consiglio europeo. Al contrario, nel settore “politica estera e sicurezza comune”, uno Stato membro poteva, per importanti motivi di politica nazionale, bloccare la cooperazione rafforzata e rimandare il voto al Consiglio, che avrebbe dovuto votare all’unanimità. In caso di violazione grave dei principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà, si introdusse la sanzione della sospensione dei diritti derivanti dal TUE, compreso il diritto al voto. 8. Il fallimento della Costituzione europea Nel 2002 fu presentato un progetto di Costituzione europea, la quale fu approvata dal Consiglio a Salonicco e firmata nel 2004 a Roma: essa però non entrò mai in vigore per la mancata ratifica dei Paesi Bassi e della Francia. La Costituzione avrebbe abrogato tutti i precedenti trattati e modificato l’EURATOM, ma il progetto fu abbandonato ufficialmente nel 2007. Al posto della Costituzione si decise di preparare un nuovo documento, il Trattato di Lisbona: esso è una modifica dei Trattati precedenti, che tuttavia contiene molti dei principi previsti nella Costituzione mai entrata in vigore. Nel Trattato di Lisbona mancano però riferimenti a termini costituzionali, una bandiera, un inno e motti comuni. CAPITOLO 2 Il Trattato di Lisbona e l’Unione europea 1. Dalla Costituzione europea al Trattato di Lisbona Dopo l’impasse politica derivata dal fallimento del progetto costituzionale c’è Stato un periodo di riflessione che poi ha portato nel giugno 2007 ad un nuovo Trattato di modifica dei precedenti accordi. Il Trattato è entrato in vigore il 1° dicembre 2009 ed è Stato approvato da tutti gli Stati per via parlamentare. Prima della ratifica finale sono sorti tre problemi, sollevati da 3 diversi Paesi: 6 prima di ratificare il trattato l’Irlanda ha fatto un referendum consultivo che ha avuto esito negativo: dopo ulteriori conferme da parte dell’UE e un secondo referendum il problema rientrò La Germania prima di ratificare il Trattato chiese una questione di costituzionalità alla corte costituzionale tedesca: essa trovò una parte incostituzionale (troppo poco potere lasciato agli organi legislativi nazionali) e quindi, prima di poter firmare il Trattato, il governo si è mosso per modificare la costituzione nella parte non conciliabile con il testo comunitario. Nel Trattato si risponde alla questione sollevata dalla corte tedesca prevedendo il rafforzamento del potere lasciato ai singoli Parlamenti. Dopo questa operazione la Germania ratificò il trattato La Repubblica Ceca (ultimo paese a ratificare il trattato) continuava a procrastinare la firma e a chiedere una deroga per quanto riguardava la Carta europea dei Diritti fondamentali: l’UE concesse alla Rep. Ceca l’opt-out e il problema si risolse. Il 13 novembre 2009 tutti i Paesi dell’UE hanno ratificato il nuovo Trattato. 2. il Trattato di Lisbona Il Trattato di Lisbona non sostituisce i vecchi trattati ma si limita a modificarli. Queste modifiche hanno riguardato il Trattato sull’Unione Europea (TUE) e il Trattato che istituisce la Comunità Europea (TCE), che diventa il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). Questi due trattati hanno uguale valore giuridico, la differenza sta nella diversa funzione che essi svolgono, tenendo conto che il TFUE si può considerare di complemento al TUE. Il Trattato prevede la soppressione della struttura a tre pilastri e riconosce all’Unione Europea una precisa personalità giuridica. Altre modifiche importanti sono state attuate con il Trattato di Lisbona: Ripartizioni vengono specificate le ripartizioni tra l’UE e gli Stati membri, distinguendo fra tre tipi di competenze: esclusive dell’Unione, concorrenti tra UE e Stato e competenze in cui l’UE ha solo un ruolo di supporto. Sussidiarietà L’Unione interviene solo se gli obiettivi che essa persegue non possono essere sufficientemente raggiunti dagli Stati membri o dagli enti locali. Figure vengono ufficializzate due importanti figure istituzionali: il Presidente del Consiglio dell’Unione Europea, eletto dai capi di Stato/capi di governo dei paesi membri e l’Alto Rappresentante dell’Unione Europea, che svolge il compito di ministro degli Esteri dell’UE e di vice presidente del Consiglio. Voto viene deciso che il Consiglio delibererà con un sistema di doppia maggioranza per l’adozione degli atti: essi devono essere approvati con il 55% dei votanti (almeno 15 Stati) rappresentativi del 65% della popolazione dell’UE. I nuovi Trattati sono il simbolo dell’apertura dei singoli Stati verso l’integrazione europea, seppur rallentata dalla diffidenza e dalla scarsa volontà di cedere la sovranità statale ad un ente superiore. 3. Il Trattato sull’Unione Europea (TUE) nel Trattato di Lisbona Il TUE comprende 6 titoli composti da 55 articoli dove vengono delineate le linee del nuovo assetto europeo. Gli articoli più importanti sono: Art. 1 l’Unione Europea (UE) sostituisce la Comunità Europea (CE), mentre rimane in vita l’EURATOM, che si affianca a TUE e TFUE. Art. 2 elenca i valori sui quali si fonda l’Unione Europea: dignità umana, libertà, democrazia, uguaglianza, Stato di diritto, rispetto dei diritti umani, rispetto delle 7 minoranze. L’UE si fonda sulla tolleranza, sulla giustizia, sulla solidarietà e sulla parità tra uomini e donne. Art. 3 definisce gli obiettivi dell’UE, aggiungendo all’articolo 2: la tutela dell’ambiente, la pace, lo sviluppo del diritto internazionale (in particolare l’ONU) Art 4 espone l’attribuzione delle competenze, sottolineando che le competenze non esplicitamente attribuite all’UE nei trattati sono da considerarsi di appartenenza dei singoli Stati. Leale collaborazione tra UE e Stati membri. Art 5 In virtù del principio di attribuzione, l'Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei trattati per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti. Qualsiasi competenza non attribuita all'Unione nei trattati appartiene agli Stati membri. In virtù del principio di sussidiarietà, nei settori che non sono di sua competenza esclusiva l'Unione interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell'azione in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione. In virtù del principio di proporzionalità, il contenuto e la forma dell'azione dell'Unione si limitano a quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei trattati Art 6 Riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti con la Carta dei Diritti fondamentali, proclamata a Nizza nel 2000, attribuendo ad essa lo stesso valore giuridico dei Trattati, ma impedendo che la stessa possa estendere le competenze dell’UE a discapito degli Stati membri. Art. 10/12 è cittadino dell’Unione chiunque possieda la cittadinanza di uno degli Stati membri. L’UE si fonda sulla democrazia rappresentativa e i Parlamenti nazionali contribuiscono attivamente al suo funzionamento. Con questa frase i Parlamenti sono investiti ufficialmente dai Trattati, mentre prima erano solo citati nei protocolli. Gli sono attribuiti 3 poteri: esercizio diretto dei poteri propri, indirizzo e controllo dei rispettivi governi e potere di intervento nelle fasi preliminari degli orientamenti della legislazione europea. Art. 13 riconosce e qualifica come istituzioni: il Parlamento europeo, il Consiglio europeo, il Consiglio, la Commissione europea, la Corte di Giustizia, la Banca centrale europea e la Corte dei Conti. Art 21/22 disposizioni generali riguardanti l’azione esterna dell’UE Art 23/46 disposizioni specifiche sulla politica estera e di sicurezza comune. In particolare l’articolo 24 prevede il progressivo raggiungimento di una politica di difesa comune. La “politica estera e sicurezza comune” (PESC) e la politica europea di sicurezza e difesa (PESD) continuano comunque ad essere considerate come politiche distinte e continuano ad essere regolamentate secondo il principio di unanimità nel Consiglio. Art 47 riconosce la capacità giuridica all’UE (prima essa veniva riconosciuta solo alla CE) Art 48 i Trattati potranno essere modificati con procedura di revisione ordinaria o con procedure di revisione semplificate Art. 49 disciplina l’ipotesi di domanda di adesione all’UE di un Paese terzo. Art 50 prevede una “clausola di recesso” da parte di tutti i paesi membri, che in qualsiasi momento potranno uscire dall’Unione Europea. 4. Il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) nel Trattato di Lisbona È composto da 358 articoli divisi in 7 Parti: 10 legislativi anche ai Parlamenti nazionali, motivandoli con una scheda che giustifichi la conformità ai principi di sussidiarietà e di proporzionalità e che presenti un’apposita relazione annuale destinata a Parlamento, Consiglio e Parlamenti nazionali. 3. Il ruolo dei Parlamenti nazionali dopo il Trattato di Lisbona Con il trattato di Lisbona sono state rafforzate le funzioni dei Parlamenti nazionali, che assumono: Funzione di vigilanza dei principio di sussidiarietà e proporzionalità Principio della democrazia rappresentativa: i capi di Stato/governo sono responsabili anche davanti ai rispettivi Parlamenti Contribuzione attiva al funzionamento dell’Unione Partecipazione nell’ambito dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia ai meccanismi di valutazione delle politiche dell’UE Partecipazione alle procedure di revisione dei Trattati Cooperazione interparlamentare con il Parlamento europeo Un Parlamento nazionale (o una singola Camera di esso) può con un termine di 8 settimane inviare un parere contrario ad un progetto per violazione del principio di sussidiarietà al Parlamento europeo, alla Commissione o al Consiglio. Se i pareri negativi superano 1/3 dei Parlamenti nazionali (ogni Parlamento nazionale ha 2 voti, se è bicamerale 1 voto per ciascuna Camera) il progetto deve essere riesaminato (se è un progetto di libertà, sicurezza e giustizia basta ¼ dei Parlamenti nazionali). Dopo il riesame l’istituzione competente può decidere se mantenere il progetto, modificarlo o abbandonarlo, motivando la decisione. Controllo a priori I pareri dei Parlamenti nazionali sono proposti al legislatore dell’Unione, che esamina la compatibilità e, se ottiene il 55% dei voti negativi in Consiglio o la maggioranza dei voti negativi in Parlamento non fa un ulteriore riesame. Controllo a posteriori si fa ricorso alla Corte di giustizia per violazione del principio di sussidiarietà (violazione dei Trattati ex art. 263 TFUE). 4. La cooperazione rafforzata È stata introdotta nel Trattato di Amsterdam ed è un diritto riconosciuto agli Stati membri di attuare azioni comuni anche in assenza di una volontà concorde di tutti i membri dell’UE. È un modo per superare situazioni di blocco attuando soluzioni diverse: un gruppo di Stati persegue obiettivi che non possono essere raggiunti da tutti i membri. Gli atti adottati con la cooperazione rafforzata vincolano solo gli Stati che vi partecipano, che devono essere almeno 9. Per realizzare una cooperazione rafforzata gli Stati interessati devono fare domanda alla Commissione, che può decidere se presentarla al Consiglio: se decide di non presentarla deve dare una motivazione. La Commissione svolge quindi un ruolo di organo super partes, ed è necessaria anche l’approvazione del Parlamento europeo. Una procedura diversa è richiesta per il settore “politica estera e sicurezza comune” (PESC), dove la richiesta è presentata al Consiglio, che la trasmette all’Alto Rappresentante degli affari esteri, che decide se è coerente con la politica estera dell’UE, alla Commissione, che decide se è coerente con le altre politiche dell’UE, e per conoscenza al Parlamento europeo. CAPITOLO 4 La struttura istituzionale 11 1. Il quadro istituzionale dell’Unione europea L’UE dispone di un quadro istituzionale unico che assicura coerenza e continuità nelle azioni che servono a perseguire i suoi obiettivi. In origine l’UE era fondata su tre pilastri, ma con il Trattato di Lisbona viene creato un ente unico, dotato di personalità giuridica e con un unico assetto istituzionale. L’UE è disciplinata da due trattati: il TUE e il TFUE, ma la PESC (politica estera e sicurezza comune) è disciplinata da norme specifiche. L’UE è formata da 7 istituzioni, come riporta l’art. 13 TUE: Parlamento europeo Consiglio europeo Consiglio Commissione Corte di giustizia Corte dei Conti Banca centrale europea Queste istituzioni svolgono le tradizionali funzioni (legislativa, esecutiva e giudiziaria) con azioni che spesso coinvolgono diverse istituzioni: viene quindi a mancare una rigorosa separazione dei poteri e si instaura il principio di collaborazione interistituzionale (es: la funzione legislativa è di competenza sia del Parlamento europeo che del Consiglio). Inoltre, il ruolo ed i poteri delle singole istituzioni variano a seconda dei settori di intervento dell’Unione (es: nella PESC è predominante il ruolo del Consiglio europeo, mentre la Corte di Giustizia ha competenze estremamente limitate). I principi che regolano i rapporti tra istituzioni, e sono desumibili dall’art. 13 TUE, sono: P. di coerenza: le istituzioni agiscono in modo coordinato tra loro e garantiscono la coerenza sia tra i vari ambiti di competenza esterna dell’UE, sia tra l’azione interna e quella interna P. di equilibrio istituzionale: ogni istituzione agisce nei limiti di quanto attribuito alla propria competenza. La violazione comporta al ricorso per annullamento ex art. 263 TFUE per incompetenza. P. di leale collaborazione: le istituzioni si assistono reciprocamente e collaborano tra loro P. di trasparenza: evocato nell’art. 1 TUE, impone la percepibilità all’esterno del processo decisionale dell’UE. Si attua mediante l’accesso agli atti riservato a qualsiasi cittadino o persona fisica e giuridica residente in uno Stato membro: il rifiuto del diritto di accesso può avvenire solo se pregiudizio dell’interesse pubblico o lesione della privacy altrui. 2. Il Parlamento europeo (art. 14 TUE, 223 ss. TFUE) Tale organo rispecchia la legittimazione democratica dell’UE e si compone di rappresentanti dei cittadini dell’Unione, i quali hanno diritto di elettorato attivo e passivo, eletti a suffragio universale diretto, libero e segreto per un mandato di 5 anni. Il numero totale dei membri è stabilito nella misura massima di 750 membri + il Presidente (che dirige i lavori e rappresenta l’istituzione); ad ogni Stato non può essere assegnato un numero inferiore ai 6 seggi e un numero superiore ai 96 (gli Stati più grandi sono 12 proporzionalmente meno rappresentati degli Stati piccoli). I parlamentari europei possono lavorare in commissioni (permanenti divise per materia o temporanee speciali) e riunirsi in gruppi politici divisi non in base alla nazionalità ma alle affinità politiche. Esercita: Funzione legislativa (insieme al Consiglio) Funzione di bilancio (insieme al Consiglio) Funzioni di controllo politico Insieme al Consiglio condivide la funzione legislativa e la funzione di bilancio ed ha funzione di controllo politico (nei confronti della Commissione) e consultiva e procede all’elezione del Presidente della Commissione. Il controllo politico è esercitato principalmente attraverso le relazioni che le diverse istituzioni devono consegnare al Parlamento, ma il PE ha anche potere di procurarsi informazioni autonomamente, attraverso audizioni, interrogazioni e commissioni d’inchiesta istituite sulla base di denunce. Inoltre il PE partecipa all’elezione dei commissari e del presidente della Commissione tramite votazione del collegio proposto: non può quindi bocciare la singola candidatura. Il potere sanzionatorio nei confronti della Commissione si esercita mediante mozione di censura che deve essere votata almeno tre giorni dopo la presentazione, a scrutinio pubblico, con la maggioranza dei 2/3 dei voti e la maggioranza dei membri del Parlamento. Lo statuto del PE è stabilito dal Parlamento stesso, dietro parere della Commissione e approvazione del Consiglio. Dal trattato di Maastricht (1993) i membri del PE sono Stati organizzati in partiti politici. Il Parlamento di norma delibera a maggioranza semplice con un minimo di 1/3 dei membri presenti: sono però valide anche le delibere che non rispettano questa quota se nessuno solleva obiezioni. Ci possono essere delle eccezioni alla maggioranza semplice: per le delibere di maggiore importanza è richiesta la maggioranza assoluta, per le mozioni di censura sull’operato della commissione e per la contestazione di violazione dei valori dell’UE da parte di uno Stato membro sono necessari i 2/3 dei voti espressi e la maggioranza degli aventi diritto. Il bilancio annuale dell’UE deve essere approvato dal Consiglio e dal Parlamento europeo: ciascuna istituzione deve elaborare una previsione di spesa e la deve consegnare alla Commissione, che le raggruppa e le sottopone al Consiglio e al PE, che a loro volta le dovranno adottare. 3. Il Consiglio europeo È Stato istituito nel dicembre del 1974 dal vertice di Parigi, formalizzato nel 1986 con l’AUE e poi riconosciuto nel Trattato di Maastricht. Il suo ruolo è quello di dare un impulso all’UE e definire gli orientamenti politici generali e le priorità politiche. È formato dai capi di Stato/governo (repubblica presidenziale pres. repubblica / repubblica parlamentare pres. consiglio) degli Stati membri + il Presidente della Commissione. Il Presidente del Consiglio europeo rimane in carica per 2 anni e assicura la continuità dei lavori ed assicura la rappresentanza esterna dell’UE per quanto attiene alla politica esterna e di sicurezza comune, salvo quanto attribuito all’Alto Rappresentante; ha una funzione di raccordo tra le diverse istituzioni, non può esercitare un mandato nazionale e può essere destituito per casi di impedimento o di colpa grave. Il consiglio europeo NON ha poteri legislativi, ma si occupa di: 15 commissione sarebbe dovuta essere composta da un numero di commissari pari ai 2/3 degli Stati membri, scelti in base a un sistema di rotazione paritario, ma il Consiglio europeo ha pronunciato una dichiarazione di impegno a mantenere il numero dei componenti pari al numero degli Stati membri. I membri devono agire nell’interesse generale della UE, non possono essere influenzati dai rispettivi governi e sono completamente indipendenti da qualsiasi Stato o istituzione: un eccezione è l’Alto Rappresentante, che è anche mandatario del Consiglio. L’indipendenza è fondamentale per la tutela dei compiti che sono assegnati alla Commissione: essa infatti detiene la funzione esecutiva e una funzione di vigilanza del rispetto degli obblighi posti dall’UE. La Commissione viene nominata dalla compartecipazione di Consiglio europeo, Consiglio e Parlamento europeo. Il Consiglio europeo propone la nomina del Presidente della Commissione al Parlamento europeo, che dovrà eleggere il candidato con la maggioranza degli aventi diritto. Il Consiglio d’accordo con il neo Presidente, fa un elenco delle persone che intende nominare come commissari, su proposta degli Stati membri. L’elenco è poi soggetto ad approvazione del Parlamento, che però può votare solo l’intero collegio e non il singolo candidato. La Commissione entrante viene infine votata formalmente dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata. I poteri del Presidente della Commissione sono: definizione degli orientamenti, organizzazione interna della Commissione, nomina dei vicepresidenti (oltre all’Alto Rappresentante), potere di determinare dimissioni di un singolo commissario. La Commissione è responsabile davanti al Parlamento europeo, che può votare una mozione di censura a maggioranza di 2/3 dei voti e a maggioranza degli aventi diritto. Il mandato della Commissione è di 5 anni. La commissione ha diversi poteri: Funzione di iniziativa legislativa: formula proposte di atti legislativi (sotto controllo di Parlamento europeo e Consiglio: il Consiglio può emendare una proposta della Commissione solo all’unanimità). Funzione esecutiva su tutti gli atti giuridicamente vincolanti (sotto controllo degli Stati membri) e emanazione di atti delegati Funzione di gestione finanziaria: gestione dei programmi e dei fondi per le politiche UE; fa proposta di progetto di bilancio annuale e dà esecuzione al bilancio annuale (impegna le spese e le autorizza) approvato dal Parlamento e dal Consiglio. Funzione di controllo: vigila sull’applicazione del diritto dell’UE (insieme alla Corte di Giustizia) controllo sia sui singoli Stati (può ricorrere alla Corte di Giustizia mediante ricorso per infrazione ex art 258 TFUE) che sulle istituzioni europee (mediante ricorso di annullamento o ricorso in carenza), che su privati esercenti attività d’impresa che violino la disciplina della concorrenza (sanzioni pecuniarie). Funzione di rappresentanza (nelle relazioni internazionali, eccetto in materia PESC) Queste competenze sono ripartite tra i singoli Commissari dal Presidente della Commissione. La responsabilità dei membri della Commissione è collegiale dinanzi al Parlamento europeo La commissione deve inoltre redigere annualmente una relazione generale da presentare al Parlamento europeo. Il presidente della Commissione ripartisce le competenze spettanti ai singoli membri, cura l’organizzazione interna e nomina i vicepresidenti della Commissione. Inoltre partecipa alla nomina dei componenti della Commissione, può obbligare un membro della Commissione a rassegnare le sue dimissioni e riveste la qualità di membro del Consiglio 16 europeo. È eletto dal Parlamento europeo a maggioranza dei suoi componenti, su proposta del Consiglio europeo. 6. L’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e di sicurezza comune (art 18 TUE) È una figura introdotta dal Trattato di Lisbona. Ha una doppia funzione: da un lato agisce per conto del Consiglio e dall’altro è vicepresidente della Commissione europea. Viene nominato a maggioranza qualificata dal Consiglio europeo con l’accordo del Presidente della Commissione. L’Alto rappresentante perde il suo incarico in Commissione per mozione di censura collegiale del Parlamento europeo, mentre perde il suo incarico come mandatario del Consiglio per mano del Consiglio europeo. L’Alto rappresentante guida la politica estera e di sicurezza dell’Unione (PESC), contribuisce con proposte alla politica e provvede all’attuazione della stessa. Egli è inoltre presidente della formazione del Consiglio Affari esteri ed è Vicepresidente della Commissione. Egli rappresenta l’UE per le materie di sua competenza nel dialogo politico con i paesi terzi e nelle organizzazioni internazionali. L’Alto rappresentante può inoltre sottoporre questioni o presentare proposte al Consiglio in materia di politica estera e di sicurezza comune. 7. La Corte di giustizia dell’Unione europea La Corte di giustizia dell’UE è concepita come unitaria anche dall’art. 13 TUE, ma è suddivisa in diverse formazioni: la Corte di giustizia, il Tribunale e i tribunali specializzati. La sua funzione è quella di assicurare il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei Trattati. Essa si deve inoltre pronunciare in merito a: ricorsi presentati da uno Stato membro, da un’istituzione o da una persona fisica/giuridica; in via pregiudiziale in merito all’interpretazione del diritto dell’UE; negli altri casi previsti dai Trattati. I compiti di tali organi sono quindi esclusivamente giurisdizionali, con eccezione della Corte che ha anche funzioni consultive. La Corte di giustizia È composta da un giudice per ogni Stato membro con requisiti di professionalità ed indipendenza, con un mandato di 6 anni; si riunisce in sezioni ordinarie composte da 3 o 5 giudici o in una grande formazione da 11 (se previsto dallo statuto si può riunire anche in seduta plenaria con la partecipazione di tutti i giudici). È assistita da 11 avvocati generali, che hanno una funzione ausiliaria: presentano conclusioni non vincolanti per ogni causa, il loro parere non è obbligatorio e non è vincolante per la Corte di giustizia, ma comunque è pubblicato insieme alla sentenza: i giudici e gli avvocati generali sono scelti tra giureconsulti di notoria competenza, nominati dai governi degli Stati membri. Il presidente è eletto tra i giudici e resta in carica per tre anni con mandato rinnovabile: lui poi elegge il cancelliere e stabilisce il regolamento, che è sottoposto all’approvazione del Consiglio. La Corte di giustizia si occupa di: Ricorsi per infrazione promossi contro uno Stato membro che abbia violato i trattati (art. 258 TFUE) Ricorsi di annullamento in cui si contesta la legittimità degli atti adottati dalle istituzioni Ricorsi in carenza per l’illegittimità delle omissioni delle istituzioni Ricorsi per risarcimento dei danni da responsabilità extracontrattuale dell’UE In via pregiudiziale sull’interpretazione dei trattati o degli atti dell’UE su deferimento dei giudici nazionali 17 Funzione consultiva: parere in merito alla compatibilità di un accordo internazionale con i trattati (il parere negativo della Corte non impedisce l’entrata in vigore dell’accordo, ma impone la procedura di revisione dei trattati ex art. 48 TUE) Il Tribunale È istituito per la prima volta in seguito all’Atto unico europeo del 1988 ed era considerato come un organo di prima istanza. Oggi esso svolge anche il ruolo di organo giurisdizionale di secondo grado nei ricorsi che hanno come oggetto le decisioni dei tribunali specializzati. Il Tribunale è composto da almeno un giudice per ciascuno Stato membro: il Presidente è eletto tra i giudici con un mandato rinnovabile di tre anni. Il Tribunale adotta un regolamento proprio con l’approvazione del Consiglio: i giudici sono nominati dai governi degli Stati membri per un periodo di sei anni (rinnovo parziale ogni 3 anni, con rinnovi o nuovi innesti). Essi sono in una posizione di completa indipendenza e imparzialità. Il Tribunale funge in alcuni casi da organo di primo grado rispetto alla Corte di giustizia (non per i ricorsi del tribunale specializzato né per quelli riservati alla Corte di giustizia, ma ad esempio: ricorsi di annullamento e in carenza presentati contro la Commissione, ricorsi di annullamento presentati contro il Consiglio per atti specifici quali decisioni in materia di aiuti di Stato, atti di esercizio di competenze di esecuzione). Le pronunce del Tribunale sono impugnabili per motivi di diritto dinanzi alla Corte entro 2 mesi dalla notifica. I Tribunali specializzati. Il Tribunale della funzione pubblica Il Parlamento europeo ed il Consiglio, deliberando con procedura ordinaria, possono istituire tribunali specializzati, competenti in primo grado in alcuni ambiti specifici. I membri di questi tribunali sono nominati dal Consiglio all’unanimità. Tra i tribunali specializzati spicca il Tribunale di funzione pubblica, creato dal Consiglio nel 2004: è composto di 7 giudici con un mandato rinnovabile di 6 anni, previa consultazione del comitato, che a sua volta è composto di 7 persone specializzate e competenti. Il Presidente è designato dagli altri giudici e resta in carica per un mandato triennale e rinnovabile. Il Tribunale si divide in sezioni di 3 giudici, ma le cause più importanti possono essere giudicate in seduta plenaria. Questo tribunale specializzato è nato per l’esigenza di istituire un organo per il contenzioso della funzione pubblica e dunque le controversie tra l’Unione e i suoi agenti: le sue decisioni possono essere oggetto di appello, con un limite temporale di 2 mesi, dinanzi al Tribunale. Questi ricorsi in appello però sono validi solo se riguardano questioni di diritto (incompetenza del Tribunale della funzione pubblica, vizi di procedura, violazione del diritto dell’UE da parte del tribunale stesso ecc). Quando l’impugnazione è accolta la sentenza del tribunale della funzione pubblica è annullata. Se il Tribunale della funzione pubblica dice di essere incompetente può mandare la causa al Tribunale o alla Corte di giustizia: stesso procedimento può essere fatto all’inverso, ma in questo caso il Tribunale della funzione pubblica non può rifiutare la causa. Se lo stesso problema è sollevato sia dinanzi al Tribunale della funzione pubblica che davanti al Tribunale, il primo potrà sospendere il suo procedimento e aspettare la sentenza del secondo. Questo Tribunale ha assorbito molto lavoro del Tribunale, velocizzando e migliorando la funzione giurisdizionale dell’UE. 8. La Corte dei conti È un organo indipendente e non rappresenta nessuno Stato membro. È composta da un cittadino per ciascun paese, con un mandato di sei anni. Ogni Stato membro avanza delle proposte per i membri da nominare, che vengono inserite in una lista e poste dinanzi 20 I cittadini dell’UE: almeno un milione dei cittadini, che abbiano una rappresentanza vasta nei vari Stati (1/4 degli Stati membri), possono invitare la Commissione a presentare una proposta su un determinato tema. Il Consiglio: votando a maggioranza semplice, il consiglio può chiedere alla Commissione di effettuare studi su di un tema. Se la Commissione non adotta una proposta in materia deve motivare la scelta. Fino a quando il Consiglio non ha deliberato sulla proposta di legge, essa potrà essere modificata dalla Commissione. Esistono due tipi di procedura: la procedura legislativa ordinaria, che prevede la partecipazione in pari misura di PE e Consiglio, e le procedure legislative speciali, nei soli casi espressamente previsti dai trattati. La procedura applicabile si deve desumere dalla base giuridica dell’atto, ovvero dal suo scopo e dal suo contenuto. Procedura ordinaria (artt. 289 e 294 TFUE) È il procedimento generale di adozione degli atti legislativi, ovvero regolamenti, direttive e decisioni. L’adozione dell’atto, proposto dalla Commissione, deve passare dal Parlamento europeo e dal Consiglio. Essa si sviluppa attraverso tre letture, nelle quali è possibile emendare la proposta (il Consiglio all’unanimità, il Parlamento a maggioranza dei membri): PRIMA LETTURA: la Commissione presenta al PE e al Consiglio la proposta di legge: il PE esamina la proposta e poi invia la sua posizione al Consiglio, che, se approva la posizione del PE adotta l’atto in questione. Se il consiglio non approva la posizione (a maggioranza qualificata), ne scrive una propria e la trasmette al PE. SECONDA LETTURA: Il PE ha tre mesi di tempo per valutare la posizione del Consiglio: entro questo termine può accoglierla (approvandola o con tacito assenso), respingerla (in questo caso il testo viene bocciato definitivamente) o proporre ulteriori emendamenti: in questo caso il testo sarà mandato al Consiglio e alla Commissione, che formulerà un parere. Entro tre mesi il Consiglio può approvare gli emendamenti (e approvare quindi la legge), oppure non approvarli e convocare il comitato di conciliazione. Conciliazione il comitato di conciliazione è composto da egual numero di membri del Consiglio e del Parlamento europeo: ha il compito di raggiungere un accordo sul progetto comune (con la mediazione della Commissione) entro un termine di sei settimane. Se non si trova un accordo l’atto si considera non adottato, se invece l’atto viene approvato si apre la fase della terza lettura TERZA LETTURA: il Parlamento e il Consiglio hanno ciascuno sei settimane per adottare l’atto proposto dal comitato di conciliazione (consiglio a maggioranza qualificata, Parlamento a maggioranza dei voti espressi). A questo punto l’atto viene adottato oppure accantonato definitivamente. Procedure speciali Tutti i casi in cui i Trattati prevedono l’adozione di un atto (regolamento, direttiva o decisione) da parte del PE con la partecipazione del Consiglio e viceversa e dunque con un contributo di Parlamento e Consiglio non paritario. È molto più comune assistere all’adozione di un atto da parte del Consiglio con la sola partecipazione del PE che il contrario. Quando il PE ha un ruolo secondario si possono configurare due tipi di 21 interventi: la consultazione (parere obbligatorio che se non arriva o se non è richiesto dal consiglio può far annullare la legge) o la previa approvazione (con la quale il PE ha un ruolo più forte e può porre il veto sulla legge). Nella consultazione il potere di adottare l’atto spetta al Consiglio, ma è obbligatorio che entro un termine ragionevole il Parlamento esprima un proprio parere, che non ha però portata vincolante (es. materia della concorrenza, spazio di libertà sicurezza e giustizia per atti riguardanti il diritto di famiglia). La procedura di approvazione consiste invece nella sottoposizione dell’atto legislativo deliberato dal Consiglio alla approvazione del Parlamento, il quale no può modificarne il contenuto, ma può solo approvarlo o respingerlo, questa volta in maniera vincolante (es. adozione degli atti opportuni per combattere discriminazioni fondate su sesso, razza, religione). Nello spazio di libertà sicurezza e giustizia sono previste alcune peculiarità: l’iniziativa non spetta solo alla Commissione, ma anche a ¼ degli Stati membri; è possibile una sospensione della procedura ordinaria (artt. 82 e 83 TFUE): qualora uno Stato ritenga che l’atto incida su aspetti fondamentali del suo ordinamento, può rimetterlo al Consiglio europeo che può approvarlo entro 4 mesi e far riprendere la procedura ordinaria, oppure non approvarlo e allora 9 Stati membri possono proseguire con una cooperazione rafforzata sul progetto; infine, le procedure speciali prevedono l’unanimità del Consiglio. 2. Le procedure non legislative Sono stabilite per l’adozione di atti non aventi carattere legislativo, come tutti gli atti adottati dal Consiglio europeo o atti nel settore PESC adottati dal Consiglio. Oltre a questi vi sono gli atti di attuazione ed esecuzione emanati dalla Commissione, che presuppongono una delega da parte del Parlamento o dal Consiglio, che deve precisarne gli obiettivi, la portata e la durata. Questo potere della Commissione è sotto stretto controllo del PE e del Consiglio, che possono revocare la delega o opporsi alla legge proposta dalla Commissione. La delega non può inoltre avere ad oggetto elementi essenziali dell’atto. 3. Le procedure nel settore della PESC Nell’ambito della PESC tutti gli atti di indirizzo del Consiglio europeo non hanno carattere legislativo: l’unica regola procedurale è la delibera all’unanimità di proposte di iniziativa dello stesso Consiglio europeo o dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. Gli atti adottati dal Consiglio vengono emanati su proposta dell’Alto rappresentante o di ciascuno stato membro, ed è prevista l’unanimità, senza alcun coinvolgimento del Parlamento europeo. È possibile l’astensione costruttiva, che permette l’adozione dell’atto ma non lo rende vincolante per gli Stati astenuti (ma se gli astenuti corrispondono a 1/3 degli Stati membri che rappresentano 1/3 della popolazione allora la decisione non è adottata). Si ha invece la regola della maggioranza qualificata in casi specifici (es. decisioni che definisce un’azione dell’UE sulla base di una decisione del Consiglio europeo). In questi casi specifici esiste però la clausola di salvaguardia: ciascun membro del Consiglio può opporsi all’adozione della decisione per ragioni di politica nazionale: interviene così l’Alto rappresentante he cerca di trovare una soluzione accettabile e se tale soluzione non viene trovata la questione è deferita al Consiglio europeo che la deve decidere all’unanimità. 4. La procedura per la conclusione di accordi internazionali 22 Per la conclusione di accordi internazionali ha un ruolo centrale il Consiglio. Le fasi essenziali sono 3: il negoziato, la firma dell’accordo e la conclusione dell’accordo. Il negoziato prende avvio da una raccomandazione della Commissione o dall’Alto rappresentante (in materia PESC), in seguito autorizzata dal Consiglio ed è svolta da un negoziatore designato dal Consiglio stesso. Su proposta del negoziatore il Consiglio autorizza poi la firma dell’accordo e la conclusione dello stesso avviene generalmente (tranne nel settore PESC) con la procedura di consultazione del Parlamento europeo; in casi specifici è invece richiesta la procedura di approvazione (es. adesione dell’UE alla CEDU, accordi aventi ripercussioni finanziarie considerevoli per l’UE). Il Consiglio delibera normalmente a maggioranza qualificata, mentre è richiesta l’unanimità in determinati settori (es. settori in cui il Consiglio per adottare un atto legislativo necessita dell’unanimità, adesione dell’UE alla CEDU). Uno Stato membro, il Parlamento, il Consiglio o la Commissione possono chiedere alla Corte di Giustizia che si pronunci sulla compatibilità di un accordo con le disposizioni dei Trattati: il parere negativo della Corte impedisce l’entrata in vigore dell’accordo. 5. La procedura per la conclusione di una cooperazione rafforzata La cooperazione rafforzata permette la c.d. Europa a più velocità con la quale solo alcuni Stati creano vincoli di cooperazione per perseguire gli obiettivi dell’UE, mentre altri potranno aderire successivamente qualora lo vorranno. Le cooperazioni creano vincoli solo per gli Stati partecipanti ed infatti gli altri Stati non sono ammessi a votare nelle decisioni da prendere sulla base di cooperazione rafforzata. Per instaurarla è necessario che gli Stati interessati trasmettano la loro richiesta alla Commissione. La Commissione può rifiutare immediatamente, motivando adeguatamente, oppure trasmettere la proposta al Consiglio, che deciderà a maggioranza qualificata con approvazione del Parlamento europeo (procedura di approvazione). Il Consiglio approverà la cooperazione se non è possibile perseguire gli obiettivi dell’UE dall’Unione nel suo complesso in un termine ragionevole e se vi sono almeno 9 Stati membri interessati. Nel settore PESC la procedura si differenzia in quanto la proposta è trasmessa dagli Stati membri direttamente al Consiglio, che si pronuncia, previo parere dell’Alto rappresentante e della Commissione, all’unanimità. La cooperazione può essere ammessa in un settore di competenza non esclusiva dell’UE, rispettare i trattati e intesa a promuovere gli obiettivi dell’Unione. Nel settore PESD – politica europea di sicurezza e difesa (parte della PESC) il Trattato di Lisbona ha creato cooperazioni strutturate permanenti, con portata più limitata. Gli Stati notificano la intenzione al Consiglio che adotta una decisione a maggioranza qualificata, previo parere dell’Alto rappresentante) CAPITOLO 6 Il diritto dell’Unione europea e le sue fonti 1. Le fonti del diritto dell’Unione europea Il diritto dell’UE si può dividere in fonti primarie e fonti derivate: Fonti primarie: sono i Trattati TUE e TFUE, i principi generali del diritto e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione. 25 3. Le fonti intermedie Gli accordi internazionali, che vincolano l’UE solo nei confronti degli Stati terzi, si collocano ad un livello inferiore rispetto ai Trattati ed ai principi fondamentali, ma prevalgono sugli atti delle Istituzioni. Possono essere conclusi dall’Unione nelle materie in cui ha competenza esterna (e vincolano l’UE e gli Stati membri) oppure essere misti, anche nelle materie non di competenza esterna esclusiva dell’UE, in cui partecipano, accanto all’UE, anche i singoli Stati. 4. Le fonti derivate del diritto dell’Unione europea: gli atti vincolanti Gli atti vincolanti si possono dividere in tre categorie: i regolamenti, le direttive e le decisioni, definite all’art. 288 TFUE. Questi tre atti hanno elementi in comune, come l’obbligo della motivazione, l’indicazione della base giuridica e l’efficacia nel tempo. L’obbligo della motivazione serve a far conoscere agli Stati il modo in cui l’istituzione ha applicato i trattati, l’indicazione della base giuridica serve ad accertare se l’istituzione ha il potere di adottare un atto e con quale procedura deve farlo. Gli atti legislativi sono quelli adottati con procedura ordinaria o speciale: essi entrano in vigore, previa pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, nella data indicata o dopo 20 giorni dalla pubblicazione sulla Gazzetta. Quando non è specificato il tipo di atto da adottare, le istituzioni nel rispetto del principio di proporzionalità devono scegliere quello che, ove possibile, lasci agli Stati membri maggiori libertà di manovra. I regolamenti Hanno portata generale (applicabili ad un numero indeterminato di persone, hanno destinatari generali ed astratti), sono obbligatori in tutti i loro elementi e sono direttamente applicabili in tutti gli Stati membri (senza procedura statale di recepimento, al massimo possono essere adottati atti integrativi). Le direttive Sono vincolanti per quanto riguarda l’obiettivo da raggiungere, ma lasciano libertà al singolo Stato nel modo e nei mezzi da adottare per raggiungere il risultato. Lo Stato deve non solo dare attuazione alla direttiva (pena il ricorso per infrazione davanti alla Corte di Giustizia) ma nella decorrenza del termine prefissato hanno un obbligo di non aggravamento, consistente nel divieto di porre in essere atti incompatibili. Le direttive non sono quindi direttamente applicabili ma devono essere recepite con una normativa interna: tuttavia la direttiva non ancora recepita crea lo stesso degli effetti diretti. Essa può essere infatti invocata dai singoli dinanzi a giudici statali. Esse possono essere rivolte ad alcuni Stati determinati o a tutti gli Stati dell’UE: nel primo caso diventano efficaci al momento della notifica agli Stati interessati, nel secondo al momento della pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale. Esistono poi le direttive dettagliate, che pongono ulteriori limiti alla libertà dei mezzi con i quali attuare le direttive, mediante una disciplina precisa e dettagliata. Le decisioni Sono obbligatorie in tutti i loro elementi e riguardano singole persone fisiche o giuridiche o Stati membri, imponendo un facere o un non facere. I casi più frequenti sono quelli delle decisioni della Commissione, usate nell’ambito della disciplina della concorrenza e per le procedure di sanzione delle singole imprese: in quest’ultimo caso le decisioni hanno anche potere esecutivo (solo se non riguardano gli Stati), che dovrà essere esercitato dall’autorità nazionale. 26 5. Le fonti derivate del diritto dell’Unione europea: gli atti non vincolanti Tali atti, che non si configurano come fonti del diritto, sono raccomandazioni e pareri: le raccomandazioni sono atti esortativi che sollecitano a tenere un determinato comportamento in linea con gli obiettivi e le finalità dell’UE, i pareri tendono ad esprimere il punto di vista dell’UE in una determinata materia. Raccomandazioni e pareri possono essere diretti alle altre istituzioni, agli Stati o ai singoli. 6. Gli atti atipici Sono una serie di atti che sono entrati nella prassi ma che non sono previsti dall’art. 288 TFUE (es. le comunicazioni, gli inviti, le dichiarazioni, i codici di condotta, le istruzioni pratiche, i programmi generali e i libri verdi) Ad essi si aggiungono le comunicazioni della Commissione, le dichiarazioni comuni di PE, Consiglio e Commissione e gli accordi interistituzionali. 7. Differenza tra diretta applicazione ed effetti diretti; effetti indiretti La diretta applicazione riguarda i regolamenti e le decisioni, che non hanno bisogno di una norma di recepimento interna. Gli effetti diretti si riferiscono invece agli atti che non sono direttamente applicabili ma che comunque producono effetti giuridici in uno Stato, creando situazioni giuridiche soggettive in capo ai singoli: queste situazioni possono essere fatte valere verso altre persone fisiche o giuridiche (effetti orizzontali) o verso lo Stato o enti statali (effetti verticali). Gli effetti diretti si possono creare a condizione che l’atto abbia sufficiente precisione e sia incondizionato: la sufficiente precisione postula (dalla sentenza Francovich del 1991) la sussistenza di: una situazione di vantaggio ben definita in capo a un soggetto anch’egli ben definito, insieme all’indicazione del soggetto tenuto ad assicurare il vantaggio; l’indeterminatezza presuppone l’assenza di margini di discrezionalità in capo agli Stati membri per l’applicazione della norma. La Corte di giustizia ha configurato gli effetti giuridici verticali, mentre ha riconosciuto solo in alcuni casi quelli orizzontali (ad es. sono esclusi in caso di direttiva invocata da un soggetto privato nei confronti di un altro privato). Il mancato riconoscimento dell’efficacia diretta non esclude in ogni caso un efficacia indiretta delle norme dell’UE, che si estrinseca in due forme: Obbligo di interpretazione conforme: Consiste nel dovere di interpretare le norme interne in conformità al diritto dell’Unione e rinviene il suo fondamento nel principio di leale collaborazione ex art. 4 TUE. Si differenzia dal principio dell’effetto utile che consiste nel dovere di interpretare le norme UE in modo che possano esplicare i maggiori effetti possibili. Risarcimento del danno: Lo Stato che compie una violazione del diritto UE ovvero (dalla storica sentenza Francovich del 1991) non recepisce una direttiva entro i termini previsti ha una situazione di responsabilità nei confronti dei cittadini. Il diritto al risarcimento dei singoli deve essere provato con 3 caratteristiche indicate dalla Corte: il risultato prescritto dalla direttiva deve attribuire diritti al singolo, il cui contenuto deve essere indicato all’interno della direttiva, la violazione deve essere grave e manifesta (in re ipsa se mancato recepimento di direttiva) e ci deve essere un nesso di causalità tra la violazione dell’obbligo da parte dello Stato e il danno subito dal soggetto leso. Non è invece richiesto alcun elemento psicologico di dolo o colpa. Tale responsabilità sembra assumere carattere contrattuale (secondo un orientamento dualistico che separa l’ordinamento interno da quello europeo), 27 ma la l. di stabilità 2012 ha espressamente stabilito che il risarcimento del danno derivante da mancato recepimento interno di direttive comunitarie soggiace “in ogni caso, all’art. 2947 del c.c. dalla data in cui il fatto attributivo di diritti si è verificato” stabilendo una prescrizione quinquennale. 8. Atti nell’ambito della cooperazione di polizia e della coop. giudiziaria in materia penale Prima del Trattato di Lisbona tale materia era contenuta nel III pilastro, e pertanto assoggettata al metodo intergovernativo: con detto Trattato è stata assoggettata all’applicazione del TFUE e pertanto gli atti adottabili seguono il regime normale. 9. Atti nell’ambito della PESC È mantenuto un regime speciale per gli atti adottabili nella PESC che sono, ex art. 25 TUE, orientamenti generali e decisioni privi di carattere legislativo. Gli orientamenti generali sono atti del Consiglio europeo di valore politico, le decisioni sono invece atti del Consiglio di attuazione delle politiche indicate dal Consiglio europeo. CAPITOLO 7 Rapporti tra il diritto dell’UE e il diritto degli Stati membri 1. L’adattamento al diritto dell’Unione europea È il modo in cui le fonti europee entrano nei singoli ordinamenti degli Stati membri. Le fonti del diritto europeo si dividono in due categorie: diritto derivato (regolamenti e decisioni direttamente applicabili, direttive che devono essere recepite con leggi interne) e diritto primario (Trattati, devono essere ratificati dai singoli Stati seguendo la procedura indicata dalle diverse Costituzioni). Il fondamento giuridico si ricava dall’art. 117 Cost. che stabilisce che la potestà legislativa di Stato e Regioni deve rispettare i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario. L’adattamento al diritto primario (Trattati) L’Italia ha inserito nella stessa legge (l. 130/2008) sia la ratifica sia l’ordine d’esecuzione del Trattato di Lisbona. L’adattamento al diritto derivato Avviene mediante l’adozione da parte degli Stati membri di provvedimenti nazionali. Questo processo cambia a seconda del tipo di atto europeo: il regolamento e la decisione in linea di principio non richiedono l’adozione di atti nazionali, mentre la direttiva è applicabile, come scritto nello stesso Trattato, solo mediante provvedimenti nazionali. L’Italia provvede quindi con due strumenti distinti al fine di evitare condanne di infrazione per la mancata attuazione di direttive (disciplinava la materia la legge “La Pergola” abrogata nel 2005 e sostituita dalla legge “Buttiglione” a sua volta sostituita dalla l. 234/2012). Legge di delegazione europea: finalizzata al conferimento di deleghe legislative per il recepimento delle direttive e degli altri atti dell'Unione Europea che devono essere recepiti nell'ordinamento italiano; conterrà esclusivamente le deleghe al Governo per l'attuazione delle direttive europee e delle decisioni quadro da recepire nell'ordinamento nazionale; il Governo dovrà presentare, entro il 28 febbraio di ogni anno, la legge di delegazione europea; 30 attuazione di diritto comunitario da parte dello Stato. I Giudici nazionali possono inoltre utilizzare lo strumento del rinvio pregiudiziale (v. § 6). La Corte di giustizia non è competente nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune (il responsabile è l’Alto rappresentante) con due sole eccezioni: controllo dell’osservanza dell’art. 40 TUE concernente la delimitazione tra la PESC e le altre competenze e il controllo di legittimità delle decisioni del Consiglio con contenuto restrittivo della sfera giuridica dei destinatari (persone fisiche o giuridiche). 2. Il ricorso per infrazione (artt. 258-260 TUE) Procedimento tramite cui il legislatore dell’UE assicura l’osservanza degli obblighi posti dall’UE da parte degli Stati membri. Vale per tutte le condotte commissive o omissive degli Stati membri che violino obblighi derivanti dai trattati, con pochissime eccezioni (es. divieto di disavanzi eccessivi ha una procedura sanzionatoria affidata al Consiglio; violazione grave e persistente dei valori di cui all’art. 2 TUE è di competenza del Consiglio europeo e del Consiglio per le sanzioni). Questo ricorso può essere promosso dalla Commissione o da uno Stato membro ed ha come soggetto passivo uno Stato membro: la Commissione ha inoltre un ruolo di vigilanza attribuitogli dal Trattato. Il procedimento ha due fasi: Fase precontenziosa è condizione di ricevibilità del successivo ricorso dinanzi alla Corte di Giustizia; viene sollecitata la cessazione del comportamento illecito tramite una lettera di messa in mora, contenente la contestazione da parte della Commissione o tramite denuncia di uno Stato alla Commissione. Lo Stato presenta le sue osservazioni, e la Commissione presenta un parere motivato contenente la contestazione degli addebiti e l’invito a conformarsi ad un determinato comportamento entro un termine (nel caso la procedura sia attivata da uno Stato, la mancata presentazione del parere della Commissione nel termine di 3 mesi autorizza lo Stato a rivolgersi direttamente alla Corte). In ogni caso, la mancata conformazione dello Stato al parere autorizza la Commissione a rivolgersi alla Corte di Giustizia europea. Questa fase serve a diminuire il carico di lavoro alla Corte di Giustizia, a porre fine immediatamente all’illecito dello Stato e a consentire allo stesso Stato di presentare le proprie osservazioni. Fase contenziosa si svolge davanti alla Corte di giustizia. Se la Corte riconosce che lo Stato ha violato gli obblighi imposti dai Trattati essa provvederà con una sentenza di mero accertamento a riconoscere la violazione di un obbligo su di esso incombente. Se lo Stato continua a non allinearsi alla pronuncia della Corte, la Commissione può avviare un secondo procedimento di infrazione con il quale la Corte potrà comminargli una somma forfetaria o una penalità indicata dalla Commissione e considerata adeguata dalla Corte (che non è vincolata alla proposta della Commissione). La Corte nel comminare la sanzione tiene conto di: durata e gravità dell’infrazione e capacità finanziaria dello Stato. 3. Il ricorso di annullamento (artt. 263, 264, 266) Il ricorso per annullamento rappresenta il più importante strumento di controllo sulla legittimità degli atti dell’UE. La Corte di giustizia è la titolare di questo potere sugli atti legislativi, sugli atti del Consiglio, della Commissione, del PE, del Consiglio europeo e della BCE e in ogni caso sugli atti che producano effetti giuridici in capo a terzi. Può fare ricorso per annullamento: 31 Qualsiasi persona (fisica o giuridica): è considerata un ricorrente ordinario e può proporre un ricorso solo se inerente ad un atto che la riguarda direttamente e individualmente se ne occupa il Tribunale Qualsiasi Stato o Istituzione dell’UE: è considerato ricorrente privilegiato e può fare ricorso su qualsiasi atto, anche se non lo riguarda direttamente (le Regioni non possono essere equiparate agli Stati e quindi possono agire solo come ricorrenti ordinari) se ne occupa la Corte di giustizia Una persona non legittimata ad agire per l’annullamento di un atto può comunque far valere l’invalidità di fronte a un giudice nazionale, che potrà proporre alla Corte una questione pregiudiziale sulla validità dell’atto. Una volta decorso il termine per l’impugnazione dell’atto esso non potrà essere più contestato davanti al giudice nazionale (difesa del principio di sicurezza del diritto). I ricorsi devono essere proposti entro un limite di 2 mesi dalla pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, dalla notifica all’interessato o dal momento in cui l’interessato ne è venuto a conoscenza (la notifica irregolare posticipa il decorso del termine). I vizi di illegittimità sono prospettabili dai ricorrenti sono 4 (oltre alla competenza eccezionalmente estesa al merito per le sanzioni previste in regolamenti adottati congiuntamente da Consiglio e Parlamento, in cui la Corte può valutarne la proporzionalità e modificarli) Incompetenza: attiene al potere di adozione dell’atto da parte di un’Istituzione; può essere interna (il potere di emanare l’atto spetta a un'altra istituzione: violazione del principio di equilibrio istituzionale) o esterna (il potere spettava agli Stati membri, violazione del principio di attribuzione). Violazione di forme sostanziali: attiene al mancato rispetto di requisiti formali che sono capaci di influire sul contenuto dell’atto. Possono riguardare la procedura di adozione dell’atto, la partecipazione di determinate Istituzioni al procedimento o alla motivazione dell’atto stesso. Violazione dei Trattati: ipotesi residuale rispetto agli altri vizi, capace di assorbire entrambi i precedenti. È il mancato rispetto di una norma giuridica di rango superiore rispetto all’atto adottato. Sviamento di potere: uso distorto del potere assegnato all’istituzione adozione di atti per realizzare scopi differenti da quelli previsti dai Trattati. Il ricorso si propone dinanzi al Tribunale o alla Corte di Giustizia entro il termine perentorio di 2 mesi. Se il ricorso è considerato fondato, la Corte di giustizia dichiara “nullo” l’atto, con rimozione degli effetti giuridici ex tunc. La corte può però limitare la portata retroattiva dell’annullamento (efficacia ex nunc). 4. Il ricorso in carenza (art. 265 TFUE) È un mezzo di controllo sul comportamento omissivo e illegittimo di un’Istituzione che viola un obbligo di agire. Perché si possa attuare il ricorso in carenza è necessario che l’istituzione in questione sia prima richiamata ad agire secondo i Trattati (messa in mora) e poi che, trascorsi 2 mesi dalla richiesta di agire, l’Istituzione continui i comportamenti illegittimi. La “richiesta di agire” corrisponde alla fase precontenziosa (infatti se il comportamento illecito smette di esistere dopo la richiesta di agire non si può procedere con il ricorso in carenza). I soggetti legittimati a proporre ricorso sono gli Stati membri e le istituzioni europee ed anche ogni persona fisica o giuridica, ma solo se l’Istituzione ha omesso di emanare nei suoi confronti un atto che non sia una raccomandazione o un 32 parere. La fase precontenziosa consiste in una richiesta di agire che indichi in modo chiaro e preciso all’Istituzione l’atto che è tenuta ad adottare. Trascorsi 2 mesi senza che l’Istituzione abbia provveduto con un atto definitivo, il ricorrente può agire dinanzi alla Corte di Giustizia entro i successivi 2 mesi; se riterrà valido il ricorso, formulerà una sentenza di accertamento (del fatto che l’astensione è contraria ai Trattati) che determina in capo all’Istituzione un obbligo di agire. 5. Ricorso per il risarcimento dei danni (art. 268 TFUE) La Corte di giustizia è competente a riconoscere le controversie relative al risarcimento dei danni cagionati dall’UE o dai suoi agenti nell’esercizio delle loro funzioni (la responsabilità contrattuale dell’UE risulta invece regolata dalla legge dei contratti applicabili). I requisiti che fondano la responsabilità extracontrattuale sono la verificazione di un comportamento illegittimo dell’UE, un danno reale ed effettivo e un nesso causale tra il comportamento dell’UE e il danno subito. Il termine per intraprendere l’azione è di 5 anni, che decorrono dal momento in cui avviene il fatto in questione (se si tratta di una legge dal momento in cui inizia a produrre i suoi effetti). La responsabilità extracontrattuale nei confronti dell’UE può essere vantata dagli Stati membri (che si rivolgono alla corte di giustizia) e dalle singole persone fisiche o giuridiche (che si rivolgono al Tribunale), ma non dalle istituzioni, che sono soggetti passivi. 6. Il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia (art. 267 TFUE) I giudici nazionali possono avere dubbi sull’interpretazione o sulla validità delle norme comunitarie e quindi si rivolgono alla Corte di giustizia, che ha competenza esclusiva e definitiva in questo ambito e garantisce la corretta applicazione e l’uniforme interpretazione del diritto dell’Unione. È un ricorso indiretto e limitato: il suo esercizio è rimesso alla iniziativa del giudice nazionale ed è limitato alle questioni di diritto sollevate dal giudice a quo (e non può mai comportare l’interpretazione di norme interne agli ordinamenti nazionali). Le questioni sulla validità delle norme possono essere poste solo sugli atti delle istituzioni che producano effetti giuridici, mentre dubbi sull’interpretazione possono essere sollevati anche in riguardo ai Trattati o ad atti privi di efficacia diretta. Solo gli organi giurisdizionali possono rivolgere questioni alla corte in via pregiudiziale (gli arbitri no, a meno che non si tratti di arbitrato obbligatorio): i requisiti per essere un organo giurisdizionale riconosciuto sono l’origine legale dell’organo, il carattere permanente, l’obbligatorietà della sua giurisdizione, l ‘indipendenza e l’applicazione di norme giuridiche. Il rinvio alla Corte è: Facoltativo: se la questione sorge davanti ad un giudice le cui decisioni sono suscettibili di impugnazione a livello interno. La facoltà può essere esercitata anche d’ufficio, senza richiesta della parti. Il rinvio è subordinato a 2 requisiti: necessità del rinvio per la decisione della controversia, rilevanza della questione (pertinenza ad influire sull’esito della lite). Obbligatorio: nel caso in cui si tratti di giurisdizione di ultima istanza (Cassazione, CdS, Corte Costituzionale) sempre se ricorrono i 2 requisiti di cui sopra. L’obbligo di rinvio non sussiste se la questione è chiara ogni oltre ragionevole dubbio, la questione è già stata precedentemente decisa o non è rilevante. La sentenza pregiudiziale vincola il giudice a quo, che è tenuto ad applicare la norma secondo la corretta interpretazione, ma ha valenza più generale nella misura in cui ogni altro giudice considererà l’atto invalido e non potrà più proporre il medesimo rinvio. La 35 La libera circolazione delle persone, dei servizi e dei capitali 1. La libera circolazione delle persone: la cittadinanza europea La libera circolazione delle persone si applica ai cittadini degli Stati membri e riguarda le attività professionali, salariate o non salariate. Le disposizioni che la regolano ne comportano l’immediata applicabilità e affermano l’abolizione di qualsiasi discriminazione basata sulla nazionalità. La cittadinanza dell’Unione, che si aggiunge a quella di appartenenza ad un singolo Stato, costituisce il diritto personale di circolare e soggiornare liberamente in tutto il territorio dell’UE: il cittadino dell’Unione si assume i diritti e i doveri previsti dal Trattato e gode di tutela diplomatica (se in uno Stato terzo non c’è l’ambasciata italiana un cittadino italiano può rivolgersi a qualsiasi ambasciata di uno Stato membro dell’UE). La libera circolazione delle persone è uno dei fondamenti del mercato interno: essa si estende ai membri della famiglia del soggetto (coniuge e familiari a carico); vengono pertanto eliminati gli ostacoli al ricongiungimento familiare. Il diritto di soggiorno vale per un periodo non superiore ai tre mesi senza condizione, mentre per un periodo superiore bisogna essere lavoratori, studenti o autosufficienti economicamente. Il diritto di soggiorno permanente si acquisisce quando un cittadino ha soggiornato per almeno 5 anni consecutivi in un determinato Stato, senza assenze superiori ai 6 mesi. Nessuna legge nazionale può limitare l’accesso e l’esercizio dell’impiego degli stranieri comunitari, salvo leggi su impieghi in cui è richiesta un determinato grado di conoscenza linguistica. 2. L’applicazione della direttiva 2004/38: i casi Jipa e Metock Jipa: cittadino rumeno, espulso dal Belgio nel 2006 a causa della sua situazione illegale. Per gli accordi tra Belgio e Romania questa persona non sarebbe potuta entrare in Belgio per 3 anni. Però essendo la Romania paese membro, Jipa era cittadino dell’UE e quindi aveva diritto a circolare liberamente nel territorio interno. Questo diritto tuttavia può essere limitato per motivi di sicurezza pubblica e ordine pubblico: per invocare l’ordine pubblico deve però sussistere una minaccia reale, attuale e grave, che deve essere fondata inoltre sul comportamento personale del soggetto. La corte quindi, dettate queste linee guida, lascia la decisione al giudice nazionale. Metock: cittadino extracomunitario (camerunese), arrivato in Irlanda nel 2006 e sposato nello stesso anno con un’altra camerunese ma con cittadinanza britannica. Metock chiede il permesso di soggiorno in qualità di coniuge di cittadino dell’UE, occupato e residente in Irlanda, ma gli viene negato perché una normativa nazionale che chiede che il richiedente abbia prima soggiornato legalmente in un altro paese dell’UE. La corte afferma che la legge nazionale sopra citata non è prevista dalla direttiva 2004/38, che anzi concede diritto di soggiorno ai cittadini di paesi terzi se familiari di un cittadino dell’UE (con obbligo di visto d’ingresso se non hanno carta di soggiorno). La Corte inoltre respinge l’idea che ci sia esclusiva competenza degli Stati in questo campo, in quanto deve garantire un’applicazione omogenea della direttiva in tutti gli Stati, ma comunque riconosce ai singoli Stati membri di negare l’ingresso e il soggiorno per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza o sanità pubblica (si vede caso per caso) e concede la revoca del diritto nei casi di frode come i matrimoni fittizi. In questo caso comunque la normativa nazionale è in contrasto con la direttiva 2004/38 e non può quindi essere applicata: viene garantito il diritto al ricongiungimento familiare. 3. Il diritto di stabilimento 36 Per diritto di stabilimento si intende l’insediamento durevole in un Paese membro per esercitare un’attività non salariata (quindi attività indipendente o impresa). Si distingue dalla libera circolazione dei servizi perché non è episodica ma stabile e duratura. Questo diritto consta nel pretendere dallo Stato in cui si crea l’attività parità di trattamento rispetto ai cittadini di quello Stato: si vuole quindi eliminare ogni discriminazione fondata sulla nazionalità. La libertà di stabilimento può essere: principale, in caso di trasferimento del centro dell’attività, o secondaria, nel caso di creazione di succursale o filiale secondaria. 4. La libera prestazione dei servizi, irrilevanza della nazionalità Sono vietate le restrizioni alla libera circolazione dei servizi. Il prestatore può esercitare a titolo temporaneo la sua attività alle stesse condizioni dei cittadini del paese. Per essere titolari di questo diritto è necessario avere la cittadinanza di uno degli Stati membri ed essere stabilito sul territorio. L’attribuzione della cittadinanza è di competenza esclusiva dei singoli Stati membri. Nei servizi rientrano le attività di carattere industriale, commerciale, artigianale e le libere professioni. Agli Stati è imposto il divieto di clausole di nazionalità e non è consentito riservare l’esercizio di un’attività ai soli residenti: sono inoltre vietate le formule di dissimulazione che portano allo stesso tipo di discriminazione. Bisogna inoltre evitare che il soggetto debba ottenere due certificazioni diverse per lo stesso scopo: entra in atto un processo di riconoscimento dei diplomi e dei certificati tra i diversi Stati. La libera circolazione può essere limitata solo da motivi imperiosi di pubblico interesse. La materia dei trasporti è regolata da autonome previsioni nel trattato e la parte della liberalizzazione delle banche e delle assicurazioni è coordinata con la libera circolazione dei capitali. 5. Riconoscimento dei diplomi Per attuare la libera circolazione è necessario arrivare al reciproco riconoscimento di diplomi, certificati e altri titoli, per assicurare la mobilità professionale. Inizialmente il riconoscimento era affidato a direttive settoriali, poi si è giunti alla direttiva 2005/36, che sostituisce 16 delle precedenti normative e disciplina il riconoscimento delle qualifiche professionali per l’accesso alla professione regolamentate dalle direttive generali + la professioni di infermeria, odontoiatria, veterinaria, ostetricia, architettura, farmacia e medicina. L’obiettivo è quello di creare un sistema più uniforme e flessibile, permettendo al beneficiario di accedere in qualsiasi Stato alla professione che fa nel suo paese, con le stesse condizioni dei cittadini dello Stato in cui va ad operare. Per quanto riguarda la libera circolazione dei servizi è prevista una dichiarazione preventiva da parte del professionista, l’iscrizione automatica presso gli organi professionali, la cooperazione amministrativa tra autorità competenti e, per alcune professioni che concernono la salute e la sicurezza pubblica, la possibilità di dover effettuare una verifica preventiva delle qualifiche. Il riconoscimento in ogni caso si basa sulla reciproca fiducia degli Stati. Se ci sono differenze sostanziali tra la formazione professionale dei due Stati uno di essi può condizionare il riconoscimento al superamento di una misura compensativa. Con la direttiva 2005/36 sono state create le “piattaforme comuni”: sono i criteri delle qualifiche professionali in comune tra almeno 2/3 degli Stati membri. 37 La Corte di Giustizia ha inoltre precisato che le norme nazionali in materia di riconoscimento dei diplomi devono essere interpretate in conformità con gli obiettivi del Trattato. 6. I limiti dell’ordine pubblico, della sicurezza pubblica e della sanità pubblica Sono limiti abbastanza simili sia per i lavoratori salariati, per lo stabilimento e per la prestazione di servizi. Sanità pubblica: le sole malattie che possono far scattare questa clausola sono quelle epidemiche o altre malattie infettive o parassitarie contagiose. Ordine pubblico e sicurezza pubblica: si affermano soltanto i principi fondamentali, che vengono ricondotti al principio di proporzionalità. Deve esistere un pericolo reale, attuale e sufficientemente grave, mentre vengono esclusi motivi economici o di prevenzione generale. I singoli Stati sono dotati di una certa competenza, da esercitare nei limiti imposti dal Trattato (esempio è il caso Omega: la Germania non voleva i giochi di guerre laser per motivi di ordine pubblico, quindi nel territorio tedesco non si possono creare posti di questo tipo). I provvedimenti per motivi di ordine pubblico sono presi solo in relazione al comportamento personale e la sola presenza di condanne penali non è sufficiente alla loro adozione automatica. Sono previste inoltre garanzie processuali come la facoltà di impugnare il provvedimento e la possibilità di richiedere la sospensione. Lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia 1. L’Unione europea e le disposizioni generali sullo spazio di libertà, sicurezza e giustizia Lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia è Stato inserito dal Trattato di Lisbona tra gli obiettivi generali dell’Unione con l’abolizione del III. In questo spazio non ci devono essere controlli alle frontiere interne e si deve sviluppare una politica comune in materia di asilo, immigrazione e frontiere esterne. C’è inoltre una cooperazione giudiziaria (sia civile che penale) e di polizia. Regno Unito, Irlanda e Danimarca hanno regolamentazioni particolari. 2. Controllo alle frontiere, asilo e immigrazione C’è un instaurarsi progressivo di una politica comune nella gestione delle frontiere esterne. Il potere di agire è attribuito al Parlamento europeo e al Consiglio, che legiferano secondo procedura legislativa ordinaria. In caso di afflusso improvviso di migranti il Consiglio può deliberare con misure temporanee con la sola consultazione del Parlamento. Vigono i principi di solidarietà e equa ripartizione delle responsabilità tra Stati membri, anche sul piano finanziario. 3. La cooperazione giudiziaria in materia civile Il principio è quello del riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziali nazionali. La cooperazione prevede inoltre la creazione di misure di avvicinamento tra le diverse norme nazionali. La competenza in questa materia è del Parlamento europeo e del Consiglio che legiferano secondo procedura legislativa ordinaria. 40 Il divieto nel primo paragrafo dell’articolo 101 è immediato e direttamente applicabile, ma non assoluto: ci sono delle esenzioni che si possono applicare agli accordi tra imprese che contribuiscono a migliorare la produzione, la distribuzione o a migliorare il progresso tecnico. Questi accordi però non devono imporre alle altre imprese restrizioni che non siano indispensabili e non devono dare la possibilità ad alcune imprese di eliminare la concorrenza. Le esenzioni sono stabilite con regolamenti, normalmente redatti dalla Commissione su delega del Consiglio. In alternativa la Commissione può anche rilasciare una decisione particolare in risposta ad una richiesta delle parti interessate. Un esempio importante è il Regolamento 2790/1999 (sostituito poi con il Regolamento 330/2010 della Commissione), che ha raccolto tutte le discipline esentative inerenti agli accordi verticali: è un passo fondamentale verso la semplificazione, il decentramento e la modernizzazione della concorrenza. 6. Lo sfruttamento abusivo della posizione dominante È vietato ex art. 102 TFUE lo sfruttamento abusivo della posizione dominante se l’abuso è pregiudizievole al commercio tra gli Stati membri. In questo caso non c’è nessuna esenzione a questo divieto. L’articolo non da una definizione, ma grazie alla giurisprudenza e alla dottrina possiamo definire lo sfruttamento abusivo della posizione dominante come la posizione di potenza economica grazie alla quale l’impresa che la detiene è in grado di ostacolare la concorrenza effettiva sul mercato. La posizione dominante può essere anche collettiva, quando più imprese adottano una posizione comune sul mercato per ostacolare la concorrenza. Non viene sanzionata la posizione dominante in sé, ma l’abuso che ne viene fatto. Un esempio è la politica dei prezzi: l’imposizione di prezzi non equi. Essa può essere rivolta ai consumatori o ad altri fini, come scoraggiare le importazioni parallele da altri Stati. Un altro esempio è la politica degli sconti: ci può essere lo sconto fedeltà, che prevede l’obbligo di approvvigionamento esclusivo, e il predatory price, che consiste nella vendita di un prodotto ad un prezzo inferiore ai costi produttivi al fine di eliminare la concorrenza. 7. I poteri della Commissione Un regolamento del 1962 assegnava alla Commissione poteri sia per le intese vietate che per lo sfruttamento abusivo di posizione dominante: essa aveva poteri di indagine, di accertamento, di controllo dei libri e poteri sanzionatori. Quel regolamento è stato sostituito con il regolamento n. 1/2003, che modifica il sistema e lo disciplina insieme all’art. 105 TFUE: prima c’era il sistema di esenzione (è tutto vietato tranne ciò che è valido), ora c’è quello di eccezione legale (è tutto valido tranne ciò che è vietato). Questo cambiamento è Stato fatto per semplificare il controllo amministrativo pur mantenendo una vigilanza efficace. Gli articoli 101 e 102 sono immediati e direttamente applicabili, pertanto non sono necessarie decisioni della Commissione per consentire ciò che è lecito e vietare ciò che è illecito. Vista la semplificazione messa in atto, si è deciso di aumentare il potere di controllo a posteriori della Commissione: essa può svolgere indagini, fare accertamenti presso la sede della società, controllare libri e documenti aziendali, apporre i sigilli, chiedere spiegazioni e, se c’è motivo di sospettare che i documenti siano in un altro luogo, effettuare sopralluoghi anche in abitazioni, mezzi di trasporto ecc. dei soci. 8. Rapporto tra Commissione e autorità nazionali 41 Nel precedente regolamento c’era il sistema della doppia barriera: diritto europeo e diritto nazionale convivevano ed erano entrambi applicati, anche se il diritto internazionale aveva la priorità. Nel Regolamento 1/2003 invece si è deciso che le giurisdizioni nazionali sono tenute ad applicare anche i summenzionati articoli del TFUE, in modo da decentrare i poteri per semplificare il lavoro dell’UE. Questo per quanto riguarda l’articolo 101, mentre per quanto riguarda l’articolo 102 si mantiene il sistema della doppia barriera (gli Stati membri possono fare e applicare regole anche più rigorose). Commissione e autorità nazionali dovranno comunque attuare una politica di coordinamento, formando una rete unitaria e stabilendo flussi informativi bi/plurilaterali. Alla Commissione è comunque riconosciuto il ruolo primario nella determinazione della politica della concorrenza. 9. Concentrazioni di imprese La prima definizione in questo ambito è in un Regolamento del 1989, che poi è Stato sostituito con il Regolamento 139/2004. Ci sono tre tipologie di operazioni: 1. Due imprese, in precedenza indipendenti che procedono ad una fusione. Si può trattare di fusione in senso stretto (le due imprese si estinguono e ne nasce una nuova) o di fusione per incorporazione (un’impresa assorbe l’altra). Queste operazioni sono regolate dal diritto societario. 2. Un’impresa assume il controllo, diretto o indiretto, di un’altra impresa: le due imprese continuano ad esistere formalmente distinte, ma hanno un unico centro decisionale. 3. Costituzione di un’impresa comune, che deve avere tutte le caratteristiche di un’impresa indipendente: le imprese madri rimangono in vita e ne nasce un’altra in comune, che però non deve avere solo un ruolo ausiliario. Il controllo di queste concentrazioni è posto dalla Commissione attraverso soglie di fatturato: se queste soglie sono superate le concentrazioni non sono per forza illecite, ma la Commissione verificherà l’impatto delle concentrazioni in causa sul mercato concorrenziale. Per evitare problemi in vista di una possibile decisione della Commissione di riportare la situazione giuridica a prima della concentrazione, alle imprese che vogliono intraprendere questa strada è fissato l’obbligo di notificare l’operazione e non metterla in atto fino alla pronuncia di compatibilità della Commissione (o fino al decorso del termine entro cui questa dovrebbe pronunciarsi): la Commissione può così fare un esame preliminare delle concentrazioni che potrebbero nascere. La Commissione può inoltre comminare ammende di notevole entità, ordinare la separazione delle imprese, la cessazione del controllo comune e ogni altra misura necessaria per ripristinare le condizioni di concorrenza: prima di applicare queste sanzioni la Commissione fa una valutazione, basandosi sul mercato rilevante (sostituibilità del prodotto e mercato geografico). La Commissione ha competenza esclusiva in materia di concentrazioni di imprese, ma c’è un’eccezione, la “clausola tedesca”: secondo questa clausola la valutazione di impatto sulla concorrenza di una concentrazione comunitaria può essere compiuta dalle autorità statali. La Commissione quindi decide sui profili connessi alla tutela della concorrenza, gli Stati decidono sugli aspetti che incidono sui valori extracontrattuali (interessi legittimi: sicurezza pubblica, norme prudenziali, pluralità mezzi informazione ecc.). 10. Le innovazioni introdotte nel Regolamento 139/2004 in tema di concentrazioni 42 Nel 2004 c’è stata una revisione per armonizzare questo ambito con la materia della concorrenza. Il precedente regolamento aveva già garantito trasparenza nelle procedure e indipendenza dell’organo decisionale, ma con il 139/2004 ci sono diverse novità: si pone l’attenzione sulle concentrazioni che ostacolano in modo significativo la concorrenza (invece che guardare alla posizione dominante come criterio principale), si prevede una maggiore collaborazione tra Commissione e autorità competenti degli Stati membri e si è data soluzione al contrasto tra il principio dello sportello unico e il problema della notifica multipla: una concentrazione non di rilievo comunitario obbliga un’impresa a notificare allo Stato. Viene quindi attuata un’opera di razionalizzazione dei rinvii tra Stato e Commissione, con una divisione delle competenze. Si riafferma lo sportello unico, il controllo a priori e il principio di sussidiarietà. 11. Gli aiuti di Stato Secondo l’articolo 107 del TFUE gli aiuti di Stato sono incompatibili con il mercato interno: l’incompatibilità scatta quando questi aiuti falsano il mercato interno nella misura in cui incidono sullo scambio tra gli Stati. Viene considerato aiuto ogni forma di vantaggio economicamente apprezzabile o di riduzione dei costi a favore di una o più imprese: quindi è un aiuto anche solo un intervento che allevia dagli oneri che gravano sul bilancio dell’impresa, come ad esempio esenzioni fiscali, prestiti a tassi ridotti, sussidi, acquisizione di partecipazioni da parte dello Stato ecc. Sono incompatibili sia gli aiuti direttamente applicati dallo Stato che quelli attuati da un ente formalmente distinto ma di fatto nelle mani dello stesso (es Finmeccanica). Se lo Stato interviene a favore di pubbliche imprese come si fa a capire se è aiuto di Stato o se è un investimento legittimo? Si considera aiuto di Stato se ha le seguenti condizioni: è di origine pubblica, da un vantaggio al destinatario, ha un carattere selettivo, falsa la concorrenza e incide sugli scambi all’interno dell’UE. Gli aiuti di Stato hanno l’obbligo di previa notifica, ma quelli di poca entità sono esentati. Ci sono due tipi di aiuti che possono essere considerati legittimi: gli aiuti compatibili de iure, che sono tassativi e riguardano gli aiuti a carattere sociale (es. dopo calamità naturali) e gli aiuti potenzialmente compatibili, che vengono valutati discrezionalmente dalla Commissione e sono votati a favorire lo sviluppo economico, destinati ad un progetto di comune interesse europeo, a rimediare ad un grave turbamento dell’economia, a promuovere cultura e conservazione del patrimonio. Sono potenzialmente compatibili anche gli aiuti orizzontali, che hanno funzione di far sviluppare attività di interesse comunitario (tutela ambiente, ricerca e sviluppo, aiuti a piccole/medie imprese). 12. Aiuti illegittimi e procedura di recupero Sono considerati illegali gli aiuti destinati senza previa notifica o erogati prima della valutazione della Commissione. La Commissione può valutare le informazioni di cui entra in possesso da qualsiasi fonte esse arrivino: essa ha anche potere di adottare misure cautelari quali la sospensione dell’erogazione e addirittura la restituzione temporanea dell’aiuto. Questa seconda ipotesi è solo per i casi più gravi e solo se ci sono queste 3 condizioni: non ci sono dubbi in merito all’aiuto, la necessità di affrontare un’emergenza e il rischio di danno irreparabile ad un concorrente. 13. Elementi fondamentali e principi in materia di aiuti Ci sono alcuni principi cardine in questo ambito: 45 tutti gli Stati membri. È lo stesso accordo spesso a precisare gli obblighi in capo all’Unione e quelli in capo agli Stati membri. È necessaria peraltro una clausola di partecipazione che chiarisca in quale misura l’accordo debba essere approvato dagli Stati membri per essere valido. Ci possono essere due casi: la necessità di partecipazione di tutti gli Stati membri (es. Convenzione di Kyoto), o semplicemente la maggioranza di essi (Convenzione sul diritto del mare di Montego Bay) la seconda soluzione è quella più praticata per motivi di semplificazione. In questo tipo di accordi ci sono delle difficoltà: innanzitutto bisogna ricordare che le competenze esclusive dell’UE variano nel tempo (l’UE negli accordi si riserva di fare nuove dichiarazioni in caso di cambiamento delle competenze) e secondariamente bisogna stabilire se uno Stato membro può partecipare ad un trattato anche se l’ambito non è di sua competenza (in questo caso si guardano le esplicite previsioni del Trattato) È importante inoltre capire sia se, venuta meno la maggioranza delle approvazioni degli Stati, venga meno la validità dell’accordo, sia se l’Unione e gli Stati hanno diritto ad un solo voto collettivo o hanno a disposizione un voto per ogni Stato. 7. Gli accordi conclusi dall’UE e gli effetti nell’ordinamento comunitario L’Unione è vincolata verso i paesi terzi con i quali ha concluso l’accordo, così come gli Stati sono vincolati all’Unione. Nel momento in cui l’accordo viene approvato esso entra a far parte dell’ordinamento europeo e diventa quindi vincolante per gli Stati membri: questo secondo la Corte avviene secondo il principio di diretta applicabilità, senza quindi bisogno di norme di attuazione. Si è inoltre affermato che: Le disposizioni dell’accordo hanno diretta applicazione sulle singole persone fisiche/giuridiche solo se la disposizione in questione implica un obbligo chiaro e preciso (Corte di giustizia). Le disposizioni del GATT (accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio) non producono effetti diretti e sono sprovviste di carattere incondizionato (Corte di giustizia). L’accordo istitutivo del OMC (organizzazione mondiale del commercio) non può essere invocato direttamente davanti alle autorità dell’UE e degli Stati membri (preambolo nella decisione del Consiglio che ha approvato l’accordo). La politica estera e di sicurezza comune 1. L’UE e le nuove politiche del II e III pilastro prima e dopo il Trattato di Lisbona Con il Trattato di Maastricht si crearono due nuovi pilastri dell’UE: il settore della Politica estera e di sicurezza comune (II pilastro) e il settore della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale (III pilastro). Questi due settori erano caratterizzati dall’uso del sistema intergovernativo, mentre il primo ha un sistema comunitario. Ciò perchè i singoli Stati erano più restii a cedere la loro sovranità nazionale e limitavano pertanto il potere delle istituzioni dell’UE. Con i successivi trattati (Amsterdam e Nizza) si sono aumentati i poteri di alcune istituzioni, arrivando ad una parziale comunitarizzazione. Con il Trattato di Lisbona, infine, sono Stati aboliti i tre pilastri e si è rielaborata l’organizzazione dei poteri, creando anche la figura dell’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza. Mentre la cooperazione di polizia e giudiziaria si è allineata alla disciplina generale, la PESC ha mantenuto le sue peculiarità. 2. Obiettivi della politica estera e di sicurezza comune La politica estera e di sicurezza comune (PESC) è disciplinata nel TUE e non nel TFUE: in questo modo virtualmente continua ad esistere il pilastro abolito con il Trattato di Lisbona. 46 La PESC riguarda tutti i settori della politica estera e le questioni relative ad una sicurezza comune, compresa una progressiva definizione di una difesa comune. La PESC è regolata da procedure specifiche: è attuata dal Consiglio europeo e dal Consiglio che deliberano all’unanimità. È prevista l’astensione costruttiva nelle votazioni: uno Stato si può astenere e non applicare la norma, ma accetta che sia vincolante per l’UE. La Corte di giustizia dell’UE non è competente in questo settore se non per l’applicazione dell’art. 40 TUE e sulle decisioni del Consiglio nei confronti dei singoli. 3. Tipologia di atti adottabili nella PESC L’azione dell’UE nella PESC non esclude l’intervento degli Stati membri, i quali però hanno l’obbligo di coerenza (non possono porre in essere comportamenti difformi dalla linea d’azione dell’UE) e di coordinamento preventivo in vista di azioni o impegni. Il Consiglio europeo individua gli interessi, fissa gli obiettivi e definisce gli orientamenti generali: su questi orientamenti generali il Consiglio elabora la politica estera e di sicurezza comune. Gli atti di questo settore si dividono in due categorie, che in ogni caso non hanno natura legislativa: le decisioni del Consiglio, che hanno la funzione di affrontare situazioni specifiche che richiedono un’attività operativa dell’UE, e gli orientamenti generali del Consiglio europeo che si limitano a definire l’approccio dell’UE su una questione particolare. 4. Le disposizioni sulle politica di sicurezza e difesa comune L’Unione dispone di una capacità operativa ricorrendo a mezzi civili e militari (messi a disposizione dagli Stati membri): essa può utilizzarli all’esterno del suo territorio per garantire il mantenimento della pace, conformemente ai principi della Carta delle Nazioni Unite. Viene inoltre costituita l’Agenzia europea per la difesa, sotto l’autorità del Consiglio: essa stabilisce gli obiettivi nel rispetto degli impegni presi dagli Stati membri, promuove l’armonizzazione delle operazioni, propone progetti multilaterali e sostiene la ricerca nel settore di tecnologia di difesa. Tutti gli Stati membri possono farne parte. È prevista inoltre una graduale definizione di una politica di difesa comune, che sarà sotto il controllo del Consiglio europeo, che delibererà all’unanimità. La PESDC salvaguardia il rispetto degli obblighi assunti dagli Stati membri di fronte alla NATO. Inoltre, in caso di attacco armato in un territorio di uno Stato membro, gli altri Stati sono tenuti ad offrire aiuto ed assistenza. Le altre politiche dell’Unione europea La politica economica e monetaria L’instaurazione di una politica economica e monetaria è uno degli obiettivi dell’UE ed è basata sul controllo delle politiche economiche degli Stati membri e sull’introduzione di una politica monetaria comune e di una moneta unica. 1° gennaio 2002 l’Euro ha sostituito le monete nazionali. L’azione dell’Unione comprende l’adozione di una politica economica fondata sul coordinamento delle politiche economiche degli Stati, sul mercato interno e sulla definizione di obiettivi comuni. I principi cardine sono l’economia di mercato aperta e la libera concorrenza. La realizzazione di tale politica avviene mediante gli indirizzi di massima emanati dal Consiglio sotto forma di raccomandazioni Il progetto per le politiche economiche è elaborato dal Consiglio, che poi lo invia al Consiglio europeo: quest’ultimo 47 trae delle conclusioni a seguito di dibattiti e su queste basi il Consiglio emana una raccomandazione con gli indirizzi di massima (e ne informa il Parlamento europeo). Il Consiglio ha inoltre il ruolo di vigilanza dell’evoluzione economica degli Stati membri e, su proposta della Commissione, può attuare misure di assistenza finanziaria ad uno Stato membro che risulti in difficoltà a causa di calamità naturali o circostanze eccezionali. L’UE inoltre sorveglia la situazione di bilancio e l’entità del debito pubblico degli Stati membri: è previsto che il rapporto tra disavanzo pubblico e PIL non superi il 3% e che il rapporto tra debito pubblico e PIL non superi il 60%. Se non vengono rispettati questi requisiti, la Commissione prepara una relazione, con il parere del Comitato economico e finanziario; la trasmette allo Stato inadempiente (che può presentare osservazioni) e al Consiglio; il Consiglio decide e adotta raccomandazioni affinché ponga in essere rimedi alla situazione di disavanzo eccessivo; se lo Stato non adempie, le raccomandazioni possono essere rese pubbliche e, se anche ciò non bastasse, può essere comminata un’ammenda. In merito alla politica monetaria, l’Unione Economica Monetaria (UEM) è un’integrazione differenziata, perché dei 28 Paesi solo 19 hanno adottato l’euro. La politica monetaria mira al mantenimento della stabilità dei prezzi e al sostegno delle politiche economiche degli stati membri. La BCE svolge due funzioni fondamentali per l’UEM: ha il diritto esclusivo di autorizzare l’emissione dell’euro e partecipa alla conduzione della politica monetaria dell’Unione in quanto a capo del SEBC (Sistema europeo di banche centrali). Nel 2012 è stato adottato il fiscal compact, ovvero il patto di bilancio che vincola gli Stati al pareggio di bilancio (l. cost. 1/2012 lo ha inserito nella Costituzione italiana) e al graduale rientro del debito pubblico sino a raggiungere un rapporto pari al 60% del PIL. Inoltre dal 2014 la BCE ha assunto il potere di vigilanza diretta sulle banche significant e può evocare a sé la vigilanza (spettante alle autorità nazionali) sulle banche less significant. La coesione economica e sociale L’obiettivo è quello di ridurre il divario tra le varie regioni e ridurre il ritardo di quelle sfavorite. I fondi strutturali utilizzabili ai fini della politica di coesione sono il Fondo economico di sviluppo regionale per la correzione di squilibri regionali e il Fondo sociale europeo per promuovere le possibilità di occupazione favorendo la mobilità geografica e professionale dei lavoratori. Inoltre, il Fondo di coesione è destinato a progetti in materia di ambiente e infrastrutture e trasporti transeuropei. Ora la politica di coesione è regolata da un regolamento del 2010, diviso in tre obiettivi: Convergenza: accelerare la convergenza degli Stati membri e delle regioni in ritardo di sviluppo, migliorando l’utilizzo delle risorse umane e produttive. Competitività regionale e occupazione: non riguarda le regioni in ritardo ma mira ad aumentare generalmente la competitività, anticipando i cambiamenti economici e sociali. Cooperazione territoriale europea: rafforzare la cooperazione transfrontaliera con iniziative congiunte Sono state definite delle zone con svantaggi naturali, che sono: regioni ultraperiferiche, zone settentrionali a bassa densità demografica, isole e Stati insulari, zone di montagna. È Stato istituito inoltre il Gruppo Europeo per la Cooperazione Territoriale, che ha lo scopo di facilitare e promuovere la cooperazione tra enti appartenenti agli Stati membri. La politica agricola