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Riassunto Unione Europea , Sintesi del corso di Diritto dell'Unione Europea

Riassunto del libro di diritto dell'Unione Europea - U. Villani ‘’Istituzioni di Diritto dell'Unione europea’’. Si tratta di una sintesi del libro COMPLETO per poter sostenere l’esame è sufficiente.

Tipologia: Sintesi del corso

2016/2017

Caricato il 16/12/2017

Utente sconosciuto
Utente sconosciuto 🇮🇹

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Scarica Riassunto Unione Europea e più Sintesi del corso in PDF di Diritto dell'Unione Europea solo su Docsity! CAPITOLO I ORIGINI, EVOLUZIONE E CARATTERI DELL’INTEGRAZIONE EUROPEA 1. I PRIMI MOVIMENTI EUROPEISTI Il processo d'integrazione europea trova le sue radici in concezioni politiche e filosofiche di illustri pensatori. Un promotore del progetto di unire gli Stati europei fu il conte Richard Coudenhove-Kalergi, il quale nel 1924 diede vita all'Unione paneuropea. La fondazione di tale associazione aveva come intento l'obbiettivo di unificare l'Europa, nella convinzione della necessità di preservare l'Europa dalla minaccia sovietica da un lato, dall'altro della dominazione economia americana dall'altro. Il ministro degli esteri francesi, Aristide Briand, fu il primo a compiere, in nome del suo paese, il primo passo per proporre una Unione europea (Memorandum alla Società delle Nazioni il 1 Maggio 1930). Il progetto preveda la creazione di una organizzazione politica tra gli Stati partecipanti, senza mettere in discussione la loro sovranità; il progetto esprimeva una visione di tipo confederale. Una diversa concezione veniva ad esprimersi in un documento fondamentale nella storia dell'integrazione europea, il “Manifesto di Ventotene per un'Europa libera e unita” (1941), nonostante il diverso pensiero politico, accomunava tre autori: Spinelli, Rossi, Colorni. Secondo le disposizioni, per assicurare la pace tra i Paesi occorreva che essi rinunciassero alla loro sovranità, giungendo ad una nuova entità, la Federazione Europa, dotata di un proprio esercito, moneta, istituzioni politiche, nelle quali i cittadini fossero direttamente rappresentati e infine di una propria politica estera. Accanto alla concezione del Manifesto Ventotene, un'altra venne a maturare dopo la II guerra mondiale per merito di dell'industriale francese Jean Monnet; la sua opera fu determinante per la costruzione dell'unificazione. Il progetto federalista prevedeva l'immediata Unione politica europea, quello sostenuto da Monnet si basava su un diverso metodo. Anch'esso muoveva dal convincimento che il permanere dei nazionalismi fra gli Stati avrebbe costituito una costante minaccia per la pace e ci si dovesse porre l'obbiettivo di una Unione europeo di carattere politico. Non sarebbe stato realistico raggiungere immediatamente all'obbiettivo, si doveva seguire un metodo per la realizzazione di forme di coesione, solidarietà in specifici settori, così da costituire di fatto una integrazione tra i Paesi europei. Alla fine della seconda guerra mondiale i fermenti europei trovavano una autorevole adesione in un celebre discorso tenuto a Zurigo da Winston Churchill, il quale richiamava le iniziative di Coudenhove-Kalergi e Aristide Briand, ricordando che le passioni nazionalistiche avevano distrutto la pace e proponeva un modello di Stati Uniti d'Europa trovando come primo passo l'intesa fra Francia e Germania. 2. LE ORGANIZZAZIONI EUROPEE DEL SECONDO DOPOGUERRA La spinta decisiva affinché tutti i progetti che stavano maturando si trasformassero in realtà, con la creazione dell'organizzazione internazionale europea, veniva dall'esterno. Nel discorso tenuto dal Segretario di Stato George Catlett Marshall a Havard nel 1947, si annunciava quel poderoso piani di aiuti per la ricostruzione dell'Europa, sconvolta dalla guerra (chiamato European Recovery Programm - ERP), subordinava l'attuazione di un'istituzioni di uno strumento, con la garanzia di creare un'area stabile sia economicamente che politica. L'offerta statunitense fu accolta dall'Europa occidentale nella Convenzione di Parigi (16 aprile 1948), dove si creo l'Organizzazione europea di cooperazione economica (OECE). Essa aveva il compito principale di amministrare gli aiuti del piano Marshall, esaurito il compito, si trasformò nell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE). OCSE è una tipica organizzazione internazionale di carattere auto-governativo, destinata a operare mediante organi, il primo è il Consiglio composto dai rappresentati dei governi degli Stati membri), la cui azione è soggetta alla volontà di tali governi subordinata all'unanimità dei rappresentanti degli Stati membri. Il carattere auto-governativo ha anche un altro organo costituito nello stesso periodo nato originariamente tra i Paesi dell'Europa occidentale, sulla base del Trattato di Londra, il Consiglio d'Europa; esteso all'intera regione europea. Nonostante la presenza di un'Assemblea parlamentare, i poteri si concentrano nel Comitato dei ministri, composta da rappresentanti governativi di tali Stati. Queste esperienze come l'Unione occidentale costituita con il Trattato di Bruxelles, 17 marzo 1948, portò ad un clima politico favorevole e a forme di collaborazioni tra gli Stati europei. 3. LA NASCITA DELLA COMUNITÀ EUROPEA DEL CARBONE E DELL'ACCIAIO (CECA) La prima organizzazione con la quale ha inizio il processo in integrazione europea, è la Comunità europea del carbone e dell'acciaio (CECA). All'origine delle CECA vi è la celebre dichiarazione del 1950 da parte del ministro francese Robert Shuman, nella quale l'anima federalista si sposa col metodo funzionalista basto si interventi settoriali e graduali. Questa mostra il legame stretto che esiste tra cooperazione in tale materia e la costruzione della pace. Questa dichiarazione contiene un proposta rivolta prima di tutto alla Germania, e successivamente agli altri Stati che intendono aderirvi mettendo in comune, sotto un'Alta Autorità, l'insieme della libera produzione, circolazione di acciaio e carbone: le risorse che erano tradizionale terreno di scontro tra i due Stati, Francia e Germania, pensando anche alle due guerre relative ai bacini carboniferi e industriali della Ruhr e della Saar, ora sono divenute uno strumento di condivisione, creando così una solidità di fatto che avrebbe reso impossibile nuovi conflitti fra Germania e Francia. L'Alta Autorità era composta da personalità indipendente, dotata di adottare decisioni esecutive all'interno dei Paesi aderenti, soggetta a un controllo giurisdizionale a livello europeo. La proposta di Shuman fu accetta non solo 1 dal cancelliere tedesco Adenauer, ma anche dall'Italia, guidata da De Gasperi, Olanda, Belgio, Lussemburgo, tutti appartenenti all'Unione economica, denominata BENELUX dal 1 gennaio 1948. La repubblica federale di Germania vedeva nel progetto un'opportunità per reinserirsi nella gestione delle proprie del carbone, sottoposto l'amministrazione di una Autorità internazionale della Ruhr, e dell'acciaio sotto al controllo delle Potenze alleate. Il Regno Unito, rifiutò questa proposta, in considerazione dei suoi legami nell'ambito del Commonwealth. I sei Stati giunsero cosi alla firma di Parigi del Trattato istitutivo della Comunità europea del carbone e dell'acciaio (CECA) nel 1951 entrato poi in vigore il 1952. Gli scopi della Comunità erano indicati nell'articolo 2 comma I del trattato di Parigi: “La Comunità europea del carbone e dell'acciaio ha la missione di contribuire, in armonia con l'economia generale degli Stati membri e in virtù dell'instaurazione di un mercato comune alle condizioni e al miglioramento del tenore di vita negli Stati membri. Lo stesso Trattato prevedeva la creazione di un mercato comune dei prodotti carbo- siderurgici, nell'osservanza di condizioni normali di concorrenza, con l'eliminazione e il divieto dei dazi e delle restrizioni quantitative della circolazione dei prodotti negli Stati membri”. Per il raggiungimento dei suoi obbiettivi il Trattato di Parigi creava un articolato apparato organizzativo, formato da: Alta Autorità composta da individui indipendenti avente potere sia esecutivi sia normativi nei confronti degli Stati membri; un'Assemblea comune composta dai rappresentanti dei popoli degli Stati riuniti nella Comunità formata dai delegati designati dai parlamenti nazionali con funzione di controllo sull'Alta Autorità; un Consiglio speciale dei ministri formato da un ministro di ciascuno Stato membro ed infine una Corte di giustizia che serviva ad assicurare il rispetto del diritto nell'interpretazione e applicazione del Trattato. Con la nascita della Comunità economica europea (CEE) e di quella dell'energia atomica (CEA) l'assemblea comune e la Corte di Giustizia vennero unificate per le tre Comunità. L'Alta Autorità e il Consiglio dei ministri furono unificati successivamente, col Trattato di Bruxelles l'8 aprile 1965 in virtù della quale l'Alta Autorità si unificò nella Commissione. Per quanto riguardava le materie rientranti nell'ambito della CECA, queste istituzioni mantennero le funzioni e i poteri previsti dal Trattato istitutivo della stessa ceca. Il Trattato di Parigi prevedeva un termine di durata di cinquant'anni dalla sua entrata in vigore perdendo efficacia dal 23 luglio 2002, così la CECA si è estinta. Ciò ha comportato che i settori precedentemente rientrati nell'ambito di applicazioni del Trattato CECA e della normativa emanata in sua applicazione fossero assoggettati alle regole e alle competenze derivanti dal Trattato della Comunità europea. La successione della Comunità europea, nelle funzioni, beni, attività e proprietà sono soggetto di un Protocollo relativo alle conseguenze finanziarie della scadenza del Trattato CECA, allegato al Trattato di Nizza-2001, di varie decisioni dei rappresentanti dei governi degli Stati membri riuniti nel Consiglio di decisioni e regolamenti dello stesso Consiglio. La disciplina di tale Protocollo è stata confermata dal Protocollo n. 37 allegato al Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007. 4. IL FALLIMENTO DELLA COMUNITÀ EUROPEA DI DIFESA (CED) E IL RILANCIO DEL PROCESSO D'INTEGRAZIONE EUROPEA: LA COMUNICA ECONOMICA EUROPEA (CEE) E LA COMUNITÀ EUROPEA DELL'ENERGIA ATOMICA (CEEA) Il successo della CECA impresse al processo d'integrazione europea una spinta eccessiva e prematura. Gli Stessi Stati parti del Trattato CECA sottoscrissero a Parigi nel 1952 un nuovo trattato denominato CED (Comunità europea di difesa) che comportava la creazione di un esercito europeo di un apparato istituzionale e di un meccanismo di reazione a qualsiasi aggressione contro uno Stato membro; un ulteriore progetto approvato l'anno successivo prevedeva, dopo l'entrata in vigore del Trattato CED, la formazione di una Comunità politica europea (CPE). Il Trattato CED non entrò mai in vigore. Al di là dei problemi che il Trattato CED poneva alla Francia, il fallimento della CED fu dovuto anche ad un mutamento di metodo nell'integrazione europea, abbandonando il metodo funzionalista e gradualista a favore di un approccio politico e militare. SI trattava di un progetto eccessivamente ambizioso e poco realistico che non teneva adeguatamente conto delle resistenze che si incontrano quando l'approccio economico-sociale tentando di operare in un salto di qualità politico. La vicenda della CED determinò anche un nuovo impulso del metodo funzionalista volto a creare un'integrazione di fatto basta essenzialmente su un carattere economico-sociale. Il rilancio del processo d'integrazione ebbe luogo nella Conferenza di Messina dei ministri esteri e dei sei Stati membri della CECA, conducendo a Roma nel 1957 alla firma del Trattato istitutivo della Comunità economica europea (CEE) e di quello della Comunità europea dell'energia atomica (CEEA o Euratom) i quali avendo ottenuto le notifiche necessarie entrarono in vigore il 1 gennaio del 1958. Il quadro istituzionale della CEE riprendeva il modello CECA con la quale si dalla nascita condivise il Parlamento europeo (ex Assemblea), e la Corte di giustizia; le altre due istituzioni Commissioni e Consiglio, corrispondevano una all'Alta Autorità, l'altro al Consiglio dei ministri della CECA. Nel Trattato CEE è rilevabile un riequilibrio dei poteri era a favore del Consiglio nei rapporti con la Commissione. Quanto alla CEEA possiamo notare come essa abbia nei suoi contenuti giuridici delle somiglianze con la CEE, ricordando che essa nasceva con “il compito di contribuire, creando le premesse necessarie per la formazione e il rapido incremento delle industrie nucleari, all'elevazione del tenore di vita negli Stati membri e dello sviluppo degli scambi con gli altri paesi” articolo 1 del Trattato CEEA. A questo scopo la CEEA comporta lo sviluppo delle ricerche e la diffusione delle cognizioni tecniche, lo stabilimento delle norme sulla sicurezza, il regolare ed equo approvvigionamento dei materiali, affinché garanzia e controllo del materiale nucleare non siano distolti dalle finalità a cui sono destinati. 5. IL CARATTERE “SOPRANAZIONALE” DELLE COMUNITÀ EUROPEE: IL PARZIALE TRASFERIMENTO DI POTERI LEGISLATIVI 2 Il Trattato di Maastricht reca ulteriori e fondamentali sviluppi stabilendo i ritmi e le condizioni per il passaggio a una moneta unica, l'euro. Il Trattato di Maastricht da un lato riconosce espressamente quali principi generali del diritto comunitario, dei diritti umani; dall'altro esso istituisce una cittadinanza europea coesistente, in uno status giuridico spettante ad ogni cittadino di uno Stato membro. Esso istituisce anche una nuova procedura di adozione degli atti delle istituzioni europeo denominato nella prassi “codecisione” comportando che l'atto sia adottato solo se sul suo tesi si registri la comune volontà sia del Consiglio che del Parlamento europeo. In secondo luogo il Trattato accetta definitivamente il modello di integrazione europea non necessariamente uniforme a tutti gli Stati membri. L'ostilità innanzi a questo Trattato venne allegato un Protocollo contenente un Accordo sulla politica sociale, consentendo il Regno unito di restare fuori da tale accordo. 10. GLI SVILUPPI SUCCESSIVI E IL FALLIMENTO DELLA “COSTITUZIONE EUROPEA” I successivi trattati modificativi sino a quello di Lisbona del 2007 hanno inciso sulla struttura e sul quadro normativo dell'Unione europea, come quello di Maastricht. Dal trattato di Amsterdam si accentua la connotazione politico- sociale della costruzione europea, proclamando i principi di libertà, democrazia rispetto dei diritti umani, stato di diritto quali principi fondamentali dell'Unione, inserendo nei suoi obbiettivi anche quello di promuovere un elevato livello di occupazione, prevedendo anche una cooperazione rafforzata. Oltre ad alcune modifiche del secondo pilastro, il Trattato di Amsterdam segnala di aver realizzato una parziale “comunitarizzazione” del terzo pilastro; le materie inerenti a questo pilastro sono: la libera circolazione delle persone, l'asilo, l'immigrazione e i visti vengono infatti sottratte all'Unione europea passando nell'ambito del Trattato sulla Comunità europea. In tal modo sono sottoposte ai procedimenti, alle competenze delle istituzioni, ai tipi di atti propri di tale Trattato. Le innovazioni apportate dal Trattato di Nizza del 26 febbraio 2001 in vigore, dal 1 febbraio 2003, risultano modeste. Esso contiene novità di un certo rilievo relativamente all'organizzazione giudiziaria, portando varie disposizioni abilitanti le quali prevedono che le istituzioni europee possano creare nuovi organi giudiziari. Non è stato inserito in questo Trattato la Carta di Nizza dei diritti fondamentali, solennemente adottato il 7 dicembre 2000 dal Parlamento europeo dal Consiglio e dalla Commissione la quale malgrado i suoi importanti contenuti significativi non aveva valore giuridicamente obbligatorio. È stata proclamata e firmata dai Presidenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione il 12 dicembre 2007. La Carta ha acquistato pieno valore giuridico il 1 dicembre 2009, in virtù del Trattato di Lisbona, con talune limitazioni per il Regno Unito e la Polonia. Il Trattato era frutto non solo del negoziato tra i rappresentanti dei governi degli Stati membri, infatti il testo fu elaborato da una “Convenzione”, un organo collegiale composto dai rappresentanti dei governi, della Commissione, del Parlamento europeo e dei parlamenti nazionali. L'approvazione di un testo definitivo da parte della conferenza intergovernativa ha avuto luogo l'8 giugno 2004 e la firma il successivo 29 ottobre. La Costituzione europea pur avendo avuto numerose ratifiche non entro mai in vigore a seguito dei risultati negativi del referendum francese e di quello olandese, dove furono espresse preoccupazioni da parte dei cittadini, preferendo una “pausa di riflessione” che successivamente si trasformò in una diplomatica formula per accantonare la Costituzione. 11. IL TRATTATO DI LISBONA DEL 2007 I lavori della conferenza intergovernativa si sono svolti in maniera seria tanto che il 19 ottobre 2007 i Capi di Stato o di governo, hanno potuto approvare il testo del Trattato sottoscritto a Lisbona. La sua entrata in vigore era subordinata alla ratifica di tutti gli Stati membri e sarebbe dovuta avvenire il 1 gennaio 2009 così da consentire che le elezioni del Parlamento europeo si svolgessero alla luce del nuovo Trattato. Il Trattato ha ottenuto una bocciatura da parte dell'Irlanda nel giugno del 2008. Anche in Germania sono sorti dei problemi che riguardavano la compatibilità del Trattato con la Costituzione tedesca. In proposito la Corte Costituzionale tedesca ha dichiarato che una delle leggi emanate in Germania al fine di consentire l'immissione del Trattato di Lisbona nel proprio ordinamento era in contrasto con la Costituzione e richiedeva una modifica per rafforzare i poteri delle camere. Anche la Polonia e la Repubblica ceca manifestavano un'ostilità verso il Trattato. Quando l'entrata in vigore del Trattato era impedita dall'assenza della sola ratifica ceca si è giunto ad un compromesso dove il Consiglio europeo di Bruxelles decise di estendere alla Repubblica ceca le stesse limitazioni degli effetti obbligatori della Carta dei diritti fondamentali, già concessi alla Polonia e Regno Unito con il Protocollo n. 30. Questo comportò lo sblocco della situazione e il Presidente della Repubblica ceca firmo l'atto di ratifica consentendo al Trattato di entrare in vigore. A differenza della Costituzione europea, il Trattato di Lisbona conserva la separazione in due distinti Trattatati: Trattato di Lisbona che modifica il Trattato dell'Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea”. Essi sono profondamente modificati nel loro contenuto pur avendo lo stesso valore giuridico. I due Trattati costituiscono i Trattati sulla quale si fonda l'Unione europea e sono costantemente menzionati dalle disposizioni di entrambi come “I Trattati”. La divisione dei due trattati risponde in minima alla distribuzione razionale delle materie disciplinate. Riguardo ai contenuti di tale Trattato si mette a rilievo come essi comportano l'abolizione della struttura in tre pilastri: quello comunitario, politica estera e di sicurezza comune, infine la cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, creata dal Trattato di Maastricht del 1992 e modificata rispetto al terzo pilastro da quello di Amsterdam del 1997. Si ha una generalizzazione delle regole proprie dell'originario diritto comunitario, che a seguito della scomparsa del termine Comunità europea, dovrà denominarsi diritto dell'Unione europea. Solo al terzo pilastro vengono estese le regole e i procedimenti, gli atti, le competenze di carattere generale dell'Unione europea, mentre la politica estera e di sicurezza comune resta soggetta a proprie regole specifiche. Le novità più rilevanti dell'organizzazione dell'Unione 5 consistono nell'istituzione di un Presidente dell'Unione eletto per un mandato di due anni e mezzo, dal Consiglio europeo, e dell'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, avente il doppio incarico di Presidente del Consiglio “Affari esteri” e di vice-presidente della Commissione. Molto importante sono gli aumenti di potere del Parlamento europeo sia in materia di bilancio che di adozione degli atti dell'Unione, diventando la codecisione, la procedura legislativa ordinaria. Sul pino dei diritti fondamentali viene garantito il valore obbligatorio della Carta di Nizza dei diritti fondamentali, tramite una norma del Trattato sull'Unione europea, ed è stata inserita una base giuridica per l'adesione dell'Unione alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Con il trattato di Lisbona vengono riscontrate varie clausole di eccezione per alcuni stati; talune modifiche introdotte nel Trattato di Lisbona si riferiscono alle materie di competenza dell'Unione, che sono accresciuto sono certi aspetti, ad esempio lo sport (articolo 165 TFUE), maggior intensità nella salute umana (articolo 168 TFUE), politica spaziale europea (articolo 189 TFUE), politica nel settore dell'energia (articolo 194 TFUE) ed infine il turismo (articolo 195 TFUE). 6 CAPITOLO II OBIETTIVI, VALORI E PRINCIPI DELL’UNIONE EUROPEA 1. GLI OBIETTIVI DELL'UNIONE EUROPEO Gli obiettivi dell'Unione europea sono indicati nell'articolo 3 del relativo Trattato. Tale norma offre un quadro ampio e articolato, nel quale confluiscono gli obiettivi che caratterizzavano i tre pilastri. Essa mostra un deciso ampliamento del progetto europeo comprendendo una gamma di valori ed interessi, da tutelare e realizzare a beneficio dei cittadini europei, ma anche a livello internazionale. L'articolo 3 del TUE esordisce dicendo: “L'Unione si prefigge di promuovere la pace, i suoi valori e il benessere dei suoi popoli”. Al paragrafo 2 dell'articolo 3 prevede: “L'Unione offre ai suoi cittadini uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne, in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone insieme a misure appropriate per quanto concerne i controlli alle frontiere estere, asilo, l'immigrazione, la prevenzione della criminalità e la lotto contro quest'ultima”. Questo obbiettivo richiama il settore che nel trattato di Maastricht era denominato “giustizia e affari interni” (GAI), costituendo all'epoca del Trattato il terzo pilastro. Questa materia rientra a pieno titolo nel diritto dell'Unione europea, e l'espressione “spazio di libertà” risulta particolarmente felice. Infatti essa mette alla luce il contemperamento tra le esigenze di libertà, di circolazione e quelle di sicurezza, sia ai confini esterni dell'Unione, che all'interno mediante la cooperazione giudiziaria e di polizia. Risulta collegato all'originario “pilastro” comunitario il paragrafo 3 al comma I stabilisce: “L'Unione instaura un mercato interno. SI adopera per lo sviluppo sostenibile dell'Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un'economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell'ambiente. Essa promuove il progresso scientifico e tecnologico”: Di particolare importanza è il riferimento al mercato interno, definito all'articolo 26 par 2 TFUE: “Il mercato interno comporta uno spazio senza frontiere interne, nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali secondo le disposizioni dei trattati”. Si tratta del nucleo duro dell'originaria costruzione europea di quel mercato comune con il quale l'eliminazione del riferimento “a un regime inteso a garantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato interno”, che rappresentava un principio basilare nel Trattato sulla Comunità Europea. Col superamento dell'originario disegno europeo comporta l'obbiettivo di un'integrazione sociale, culturale, fatta di valore comuni che lo stesso par 3 dell'art 3 TFUE dichiara che l'Unione combatte l'esclusione sociale e le discriminazioni e promuove la giustizia e la protezione sociali, la parità tra donne e uomini, la solidarietà tra le generazioni e la tutela dei diritti dei minori; promuove la coesione economica, sociale e territoriale e la solidarietà fra gli Stati membri; rispetta la ricchezza della sua diversità culturale e linguistica e vigila sulla salvaguardia e sullo sviluppo del patrimonio europeo. A tale enunciazione si collega la realizzazione di una politica economica e di una politica monetaria ove il par. 3 arti 119 TFUE prescrive che tali politiche rispettino i seguenti principi direttivi: “Prezzi stabili, finanze pubbliche e condizioni monetarie sane nonché bilancia del pagamento sostenibile”. A tali principi sono dedicate specifiche disposizioni contenute nella parte terza, titolo VIII TFUE, avente ad oggetto la politica economica e monetaria. Riguardo a tali politiche una rilevante differenza si pone quanto agli “attori” di dette politiche come il paragrafo I dell'articolo 119 dichiara. La politica economica è condotta assieme dall'Unione europea e dagli Stati membri restando competenti ad assumere le proprie determinazioni, sono tenuti a operare per la realizzazione dei fini e nel rispetto dei predetti principi di un'economia di mercato aperto e in libera concorrenza. In secondo luogo, come sancito all'art 5 par I TFUE, essi devono fondare le loro politiche su uno stretto coordinamento, tra di loro e con l'Unione. Inoltre l'Unione adotta mediante la delibera del Consiglio degli indirizzi di massima per le politiche economiche degli Stati membri e dell'Unione. Questa delibera sebbene è una raccomandazione l'art 121 TFUE istituisce un meccanismo di sorveglianza multilaterale sul rispetto di tali indirizzi da parte degli Stati membri. Nell'intento di istituire una gorvenance europea dell'economia specie nella zona euro per fronteggiare la crisi economica e finanziaria, il meccanismo di sorveglianza sui parametri stabiliti a livello europeo è stato notevolmente rafforzato con l'adozione di un nuovo “Patto di stabilità e crescita” consiste in cinque regolamenti e una direttiva ( n 2011/85/UE dell'8 novembre 2011) ai quali sono seguiti il regolarmente n. 472/2013 sul rafforzamento della sorveglianza economica e di bilancio e il regolamento n. 472/2013 sul monitoraggio e la valutazione dei documenti programmatici di bilancio e per la correzione dei disavanzi eccessivi degli Stati della zona euro, entrambi del 21 maggio 2013, detto Two Pack. Tali provvedimenti prevedono forme di sorveglianza preventiva, controlli e sanzioni, anche finanziari, semiautomatiche sia nel caso di disavanzi eccessivi che di superamento di determinati limiti del debito pubblico. La politica monetaria costituisce ormai una competenza esclusiva dell'Unione, e in maniera lapalissiano l'art 3, par I lett C) TFUE dichiara che l'Unione ha competenze esclusiva nella “politica monetaria per gli stati membri la cui moneta è l'euro”. La politica monetaria unica e la politica dei cambi unica sono connaturate all'introduzione dell'euro, in vigore dal 1 gennaio 2002. L'Unione esercita la politica monetaria tramite i suoi organi monetaria, BCE e SEBC, mentre per la politica dei cambi, anche nei rapporti con Stati terzi è stabilita la competenza del Consiglio (art 219 TFUE). Le competenze dell'Unione in materia di politica monetaria si riferiscono solo agli Stati della eurozona, restando esclusi quelli che non soddisfano le condizioni necessarie definiti “Stati membri con deroga” ad esempio la Danimarca e il Regno Unito hanno esercita la facoltà di non partecipare alla terza fase dell'Unione 7 2012 n. 234, contente “Norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'UE. Il potere dei parlamenti nazionali è puramente negativo ai soli fini di impedire la decisione del Consiglio europeo, il ruolo propositivo si ha in sede di revisione ordinaria, con la partecipazione di propri rappresentanti alle “convenzioni”, organo incaricato di esaminare i progetti di modifica e di adottare in proposito raccomandazioni (art 48 par 3 TUE). Altrettanto può dirsi per i poteri riconosciuti dall'art 10 del Protocollo n. 1 alla Conferenza degli organi parlamentari specializzati per gli affari dell'UE (COSAC), e può sottoporre i contributi che ritiene utili all'attenzione del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione. Dobbiamo anche ricordare la Conferenza interparlamentare per la politica estera e di sicurezza comune e la politica di sicurezza e di difesa comune (COPESC), istituita dalla Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti dell'UE nelle riunioni di Bruxelles del 4/5 aprile 2011 e di Varsavia 20/21 aprile 2012. La posizione privilegiata di interlocutore del Parlamento europeo riconosciuta ai parlamenti nazionale è confermata dalla previsione secondo la quale essi definiscono insieme l'organizzazione e la promozione di una cooperazione parlamentare efficace e regolare in seno all'UE. Nel contesto della democrazia rappresentativa l'art 10 par 4 TUE riconosce anche il ruolo dei partiti politici: “I partiti politici a livello europeo contribuiscono a formare una coscienza politica europea e ad esprimere la volontà dei cittadini dell'UE”. Si nota come non sia solo un ruolo rappresentativo ma anche di un'appartenenza consapevole all'UE e di una posizione attiva nella costruzione europea. Il ruolo dei partiti politici emerge nella composizione del Parlamento europeo, nel quale i gruppi politici si costituiscono non già su base nazionale ma sul fondamento delle affinità politiche. Vi è una disposizione che si riferisce ai cittadini europei stabilendo: “Ogni cittadino ha il diritto di partecipare alla vita democratica dell'UE. Le decisioni sono prese nella maniera il più possibile aperta e vicina ai cittadini”. Questa norma enuncia il principio di prossimità richiedendo che le decisioni inerenti all'UE siano assunte il più vicino al cittadino. Molto importante è il potere d'iniziativa popolare sancito al par. 4 dell'art. 11, dove la determinazione delle disposizioni relative alle procedure e alle condizioni necessarie per la presentazione di una siffatta iniziativa era demandata a regolamenti adottati secondo la procedura legislativa ordinaria, ai sensi dell'art. 24 I comma. Pertanto il 16 febbraio 2011 è stato emanato il regolamento n 211/20112 riguardante l'iniziativa dei cittadini, stabilendo che l'iniziativa di chiedere alla Commissione di presentare una proposta sia sostenuta da un milione di cittadini e che provengano da almeno ¼ degli Stati membri. 5. IL RISPETTO DEI DIRITTI UMANI FONDAMENTALE I valori fondanti dell'UE l'art 2 TUE menziona il rispetto dei diritti umani, compresi quelli delle persone appartenenti a minoranze. Ai diritti umani è poi dedicato l'intero art 6 TUE e partendo dall'ultimo paragrafo “I diritti fondamentali, garantiti dalla Convezione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell'UE in quanto principi generali”. All'inizio la Corte di giustizia avevano rifiutato di tenere conto della eventuale violazione dei diritti umani, garantiti dalle Costituzioni degli stati membri, in una sentenza (4 febbraio 1959, causa 1/58, Storck c. Alta Autorità) aveva respinto un ricorso diretto di annullamento di una decisione della CECA, ritenuta pregiudizievole per i diritti fondamentali alla libera esplicazione propria personalità e all'esercizio della propria attività personale. E deve riconoscersi che il Trattato CECA come quello CEE e CEEA non contenevano disposizioni volte a garantire che l'azione comunitaria si svolgesse nel rispetto dei diritti umani fondamentali. La Corte in secondo luogo ha compiuto una decisa svolta affermando che i diritti fondamentali fanno parte del diritto comunitario quali suoi principi generali, informati, peraltro alle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri e gli accordi internazionali sui diritti umani. La vigenza dei diritti umani fondamentali ispirati alle costituzioni degli Stati membri e agli accordi in materia in primo luogo la Convenzione europea dei diritti dell'uomo del 4 novembre 1950 obbliga anzitutto le istituzioni europee al loro rispetto, di conseguenza atti di tali istituzioni emanati in loro violazione sono illegittimi e suscettibili pertanto di essere annullati dalla Corte di giustizia. Ma l'appartenenza dei diritti fondamentali ai principi generali del diritto dell'UE determina la loro obbligatorietà anche nei confronti degli Stati membri. L'inserimento dei diritti umani fondamentali nel diritto dell'UE è avvenuta in via “pretoria” grazie alla giurisprudenza in qualche misura creativa della Corte di giustizia, come ricordato all'art 6 par 3TUE, consacra tale sviluppo giurisprudenziale. Il paragrafo 3, della sentenza del 24 aprile 2012 emanata dalla Corte, corrisponde sostanzialmente a una disposizione già presente nel Trattato di Lisbona, mentre il paragrafo 1 attribuisce valore giuridicamente obbligatorio alla Carta di Nizza dei diritti fondamentali del 2000, riproclamata a Strasburgo nel 2007. La Carta dei diritti fondamentali contenente un elenco di tali diritti alcuni preesistenti altri profondamente innovativi come quelli legati alla bioetica o i diritti sociali. La Carta dei diritti fondamentali è accompagnata da alcune interpretazione; queste interpretazioni derivano dall'art 6, par 1 III comma TUE tenendo conto che la sua applicazione e applicazione de avere luogo in conformità del titolo VII della Carta ( articoli 51-54), ricordando in modo particolare l'articolo 52 che dispone che se un diritto è già previsto nei Trattati esso è esercitato alle condizioni e nei limiti statuiti dal Trattato; importante anche il par 3 il quale dichiara che laddove la Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, questi diritti sono uguali a quelli conferiti da detta Convenzione. Mentre il paragrafo 5 introduce una distinzione fra diritti fondamentali e i principi che possono essere attuati dalle istituzioni, organi e organismi dell'UE, e possono acquistare rilevanza solo innanzi al giudice al fine di interpretazione e valutazione per l'attuazione degli atti. Riguardo alla Carta dei diritti fondamentale va ricordato che il Protocollo n 30 limita l'applicazione della Carta stessa nei confronti della Polonia e del Regno Unito, escludendo che i diritti in questione, in specie i diritti sociali contemplati dal titolo V, possono essere invocati in via giudiziaria per quanto riguarda detti Stati. 10 Naturalmente l'adesione dell'UE alla Convenzione europea implica numerosi problemi, tecnici e politici alla cui soluzione dovrà prevedere l'accordo di adesione per i quali gli obiettivi da perseguire sono delineati nel Protocollo n. 8 al Trattato di Lisbona. Si tratta di problemi relativi alla rappresentanza dell'Unione negli organi di controllo della convezione europea, ai rapporti tra Unione e Stati membri quali destinatari di ricorsi per violazioni. L'art 344 TFUE esclude che le controversie tra Stati membri dell'UE relative all'interpretazione o all'applicazione dei Trattati siano sottoposte a un procedimento diverso da quelli previsti dagli stessi Trattati. 6. I PROCEDIMENTI DI REVISIONE DEI TRATTATI I Trattati sui quali si fonda l'UE possono essere modificati attraverso una procedura di revisione ordinaria mediante procedure di revisioni mediante articolo 48 TUE par II, ove i progetti di revisione possono essere diretti anche a ridurre le competenze dell'UE, rappresentando una novità assoluta se ci si pone sull'ottica del rafforzamento dell'integrazione europea. Sino al Trattato di Lisbona i risultati di questo processo erano visti come un punto di non ritorno, rispetto al quale le modifiche dei Trattati potevano solo approfondire il processo, non determinando un regresso. L'articolo 2 del TUE consacrava formalmente questa concezione; in questa norma troviamo un termine di derivazione francese “acquis” che ritroviamo in altre disposizioni dei Trattati. Questo termine in origine stava a indicare il complesso delle realizzazioni e dei risultati acquisiti nell'ambito comunitario ovvero l'insieme del diritto derivato della Comunità europeo. L'obiettivo enunciato dall'art 2 era quello di mantenere integralmente l'acquis comunitario, significa che l'azione dell'Unione non poteva in alcun caso giudicare o rimettere in discussione quanto conseguito. Proseguendo nell'esame della procedura di revisione ordinaria, si nota che il Consiglio europeo, previa consultazione del Parlamento europeo e della Commissione, nonché della banca centrale europea, in caso di modifiche istituzionali nel settore può adottare a maggioranza semplice, una decisione favorevole all'esame delle modifiche proposte. La Convenzione di cui si parla al paragrafo 3 inserisce a regime, un'esperienza già realizzatasi con analoghi organi, cioè la convenzione per la predisposizione della Carta di Nizza dei diritti fondamentali del 2000 e successivamente, la “Convenzione sul futuro dell'UE”, decisa dal Consiglio europeo di Laeken del 15 e 15 dicembre 2001, incaricata di preparare un testo di base per la conferenza intergovernativa. La convenzione garantisce un metodo che non è più solo intergovernativo, ma partecipato, democratico, articolato e trasparente. La convenzione non può essere convocata, con decisione a maggioranza semplice del consiglio europeo e approvazione del Parlamento europeo. Con decisione dell'11 maggio 2012 il Consiglio europeo ha stabilito di indire una conferenza dei rappresentanti degli Stati membri per l'esame di tali modifiche, proposte dall'Irlanda, senza convocare una convenzione, poiché questa non era giustificata dall'entità delle modifiche. Il Protocollo è stato sottoscritto dagli Stati membri il 13 giugno 2012 entrando in vigore il 1 dicembre 2014, dopo aver avuto la ratifica di tali Stati e della Croazia, membro dal 1 luglio 2013. La convenzione delibera senza una formale votazione il consenso, mentre la decisione spetta alla conferenza formata dai soli rappresentanti dei governi degli Stati membri. L'entrata in vigore delle modifiche richiede la ratifica di tutti gli Stati membri, cioè la stipula di un nuovo trattato di revisione. L'art 48 TUE contempla anche procedura di revisione semplificate. Una prima riguarda le modifiche relative alla parte terza del Trattato sul funzionamento dell'UE. La procedura inizia in questo caso con un progetto di qualsiasi Stato membro, del Parlamento europeo o della Commissione, sottoposto al Consiglio europeo. Quest'ultimo può decidere di modificare le disposizioni della suddetta parte terza, ed è stata impiegata per la volta dalla decisione del Consiglio europeo nel marzo 2011, modificando l'art 136 TFUE aggiungendo un par. 3 il quale permette agli Stati membri la cui moneta è l'euro di istituire un meccanismo di stabilità. La decisione della decisione del Consiglio europeo non è sufficiente per l'entrata in vigore della modifica. La norma prescrive: “Tale decisione entra in vigore solo previa approvazione degli Stati membri conformemente alle rispettive norme costituzionali”. La citata decisione del Consiglio europeo del 25 marzo 2011 disponeva che essa entrasse in vigore il 1 gennaio 2013 a condizione che le procedure richieste per tali approvazioni fossero state espletate; il ritardo della Repubblica ceca fece slittare tale data al 1 maggio 2013. L'altra procedura di revisione semplificata riguarda il passaggio dalla votazione all'unanimità nel Consiglio, di un determinato settore, alla votazione a maggioranza qualificata così come il passaggio da una procedura legislativa speciale alla procedura legislativa ordinaria. 7. L'AMMISSIONE DI NUOVI MEMBRI All'UE possono aderire nuovi Stati membri attraverso la procedura statuita all'art 49 il quale prevede due fasi. La prima si svolge nel quadro delle istituzioni europee e la seconda coinvolge gli Stati membri ai sensi del I comma: “Ogni Stato europeo che rispetti i valori di cui all'articolo 2 e si impegni a promuoverli può domandare di diventare membro dell'UE. Il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali sono informati di tale domanda. Lo Stato richiedente trasmette la sua domanda al Consiglio, che si pronuncia all'unanimità, previa consultazione della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo, che si pronuncia a maggioranza dei membri che lo compongono. Si tiene conto dei criteri di ammissibilità convenuti dal Consiglio europeo”: Si ricava che il procedimento prende l'avvio su iniziativa dello Stato che intende aderire all'UE prescrivendo due requisiti per l'adesione: il primo è di natura politica ovvero che tale Stato rispetti e promuova quei valori sulla quale è fondata l'UE. Il secondo implica un giudizio di carattere discrezionale ad opera di tali istituzioni. Si nota anche che il Consiglio delibera all'unanimità; ciò comporta che l'adesione di un nuovo membro è subordinata al consenso di tutti gli Stati membri. La pronuncia del Consiglio fa seguito al parere della Commissione e all'approvazione del Parlamento obbligatorio per la validità della procedura di 11 adesione. L'ingresso dello Stato richiedente nell'UE ha luogo solo al momento in cui entra in vigore l'accordo di adesione è subordinata alla ratifica degli Stati contraenti. 8. IL RECESSO DALL'UNIONE EUROPEA Il trattato sull'UE non contiene alcuna disposizione in merito ad una eventuale diritti di recesso di uno Stato membro. L'art 53 TUE esprime la volontà di dare alla costruzione europea una durata permanente: “Il presente Trattato è concluso per una durata illimitata”. Peraltro un diritto di recesso doveva ritenersi consentito alle condizioni previste dal diritto internazionale generale concernente la sospensione e l'estinzione dei Trattati. Il Trattato di Lisbona ha attribuito agli Stati membri un diritto di recesso volontario, non più a condizioni sostanziali ma solo procedurali da non impedire a uno Stato membri di ritirarsi dall'UE. Questo accordo sulle modalità di recesso segna anche il momento di cessazione dei Trattati allo Stato interessato, momento che coincide con l'entrata in vigore dell'accordo. Se non si riesce a concludere un accordo i Trattati cessano ugualmente di essere applicabili due anni dopo la notifica della decisione di recedere, allo scadere dei due anni il recesso ha effetto. 12 La Corte affermò che la competenza a stipulare non dev’essere espressamente prevista dai Trattati, ma si può desumete da altre disposizioni del Trattato e da atti adottati, dalle istituzioni dell’Unione. Infine osservò che tra gli scopi dell’Unione l’art. 3 sulla Comunità economica europea menzionava espressamente l’istaurazione di una politica comune nel settore dei trasporti e che l’art. 75, n.1 attribuiva al Consiglio l’adozione di norme comuni nell’ambito di una politica comune dei trasporti. La Corte concluse dicendo che la disposizione riguarda anche i trasporti provenienti da, o destinati a, stati terzi. Pertanto è prevista che la competenza dell’Unione si estenda a relazioni disciplinate dal diritto internazionale e di conseguenza può stipulare accordi internazionali con gli Stati terzi. Questa competenza non è espressamente prevista dalle disposizioni dei Trattati ma è desumibile in materia di regolamentazione interna e dagli scopi del Trattato. La possibilità dell’UE a concludere accordi è stata ribadita anche di recente nel parere 1/13 del 2014 relativo all’accettazione dell’adesione di Stati terzi alla Convenzione dell’Aja sulla sottrazione internazionale di minore del 1980. È di particolare rilevanza l’art. 118, 2° comma del Trattato sulla Comunità economica europea in quanto attribuisce alla Commissione tutti i poteri necessari per organizzare le consultazioni, ma deve necessariamente obbligare gli Stati membri a trasmettere le informazioni indispensabili per definire i problemi e per trarne i possibili orientamenti di un’eventuale futura azione comune degli Stati membri. 4. LE CATEGORIE DI COMPETENZE DELL’UNIONE EUROPEA Il principio di attribuzione non conclude la disciplina relativa alle competenze dell’Unione, infatti occorre stabilire se il conferimento di tali competenze escluda una competenza degli Stati membri oppure coesista con tale competenza e quali siano la natura e l’intensità dei poteri assegnati all’Unione nelle materie che rientrano nelle proprie competenze. Precedentemente al Trattato di Lisbona pur essendoci varie disposizioni dei Trattati mancava una disciplina organica in materia; alcuni contributi importanti derivano dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, ma l’assenza di norme rendeva comunque problematica la definizione degli ambiti di competenza delle istituzioni europee e degli Stati membri. A colmare la lacuna normativa è stato il Trattato di Lisbona, che ha disciplinato agli artt. 2, 3, 4 e 6 TFUE le competenze dell’Unione in tre categorie: ▲ competenze esclusive; ▲ competenze concorrenti; ▲ competenze di sostegno, coordinamento o completa dell’azione degli Stati membri. Queste categorie non esauriscono la tipologia delle competenze dell’Unione, infatti una posizione autonoma è occupata dalla politica estera e di sicurezza comune (art. 2, par. 4, TFUE) in quanto si basano principalmente su metodi e atti di carattere intergovernativo; inoltre riguardo la materia economica e occupazionale, sono gli Stati membri che coordinano le loro politiche in ambito europeo. L’art. 2, par. 1, TFUE definisce le competenze esclusive: ‘’quando i Trattati attribuiscono all’Unione una competenza esclusiva in un determinato settore, solo l’Unione può legiferare e adottare atti giuridicamente vincolanti. Gli Stati membri possono farlo automaticamente solo se autorizzati dall’Unione oppure per dare attuazione agli atti dell’Unione’’. Nelle materie di esclusiva competenza dell’Unione, quest’ultima è l’unica che può adottare atti obbligatori, salva autorizzazione degli Stati membri che hanno una competenza legislativa e amministrativa al fine di eseguire le disposizioni emanate dall’Unione. Ai sensi dell’art. 3, par. 1, TFUE le materie di competenza esclusiva sono: ▲ l’Unione doganale; ▲ le regole di concorrenza necessarie al funzionamento del mercato interno; ▲ la politica monetaria per gli Stati membri la cui moneta è l’euro; ▲ la conservazione delle risorse biologiche del mare nel quadro della politica comune della pesca; ▲ la politica commerciale comune. Le ipotesi di competenza esclusiva sono tassative, infatti ulteriori materie potrebbero essere stabilite solo modificando dei Trattati. Alle competenze concorrenti si è dedicato l’art. 2, par. 2, TFUE: ‘’quando i Trattati attribuiscono all’Unione una competenza concorrente con quella degli Stati membri in un determinato settore, l’Unione e gli Stati membri possono legiferare e adottare atti giuridicamente vincolanti in tale settore. Gli Stati membri esercitano la loro competenza nella misura in cui l’Unione non ha esercitato la propria. Gli Stati membri esercitano nuovamente la loro competenza nella misura in cui l’Unione ha deciso di cessare di esercitare la propria’’. 15 Il potere di adottare atti giuridicamente obbligatori è affidato sia alle istituzioni europee sia agli Stati membri, i quali possono esercitare la propria competenza quando l’Unione non abbia esercitato i suoi poteri oppure abbia deciso di abrogare un proprio atto (Dichiarazione n. 18 allegata al Trattato di Lisbona). Ai sensi del Protocollo n. 25 sull’esercizio delle competenze concorrenti, gli Stati membri nell’emanare i propri atti devono rispettare gli obblighi derivanti dalla loro appartenenza all’UE e in conformità dell’obbligo di leale collaborazione (art. 4, par. 3, TUE). Le materie che riguardano le competenze concorrenti sono contenute nell’art. 4, par. 2, TFUE e sono: ▲ mercato interno; ▲ politica sociale (aspetti definiti dal TFUE); ▲ coesione economica, sociale e territoriale; ▲ agricoltura pesca (tranne la conservazione delle risorse biologiche del mare; ▲ ambiente; ▲ protezione dei consumatori; ▲ trasporti; ▲ reti trans-europee; ▲ energia; ▲ spazio di libertà, sicurezza e giustizia; ▲ problemi comuni di sicurezza in materia di sanità pubblica (aspetti definiti dal TFUE). Questa elencazione però non è completa, infatti la norma di riferimento qualifica le materia sopra elencate come quelle principali della competenza concorrente. Ai sensi dell’art. 4, par. 1, TFUE l’Unione ha una competenza concorrente con gli Stati membri ogni volta che un settore non ricade nella competenza esclusiva (art. 3 TFUE) oppure in quella di sostegno, coordinamento o complemento (art. 6 TFUE). La competenza concorrente ha carattere generale rispetto alle altre competenze, infatti lo stesso art. 4 TFUE detta una disciplina differenziata. Infine l’art. 2, par. 5 TFUE disciplina le competenze di sostegno, coordinamento e completamento dichiarando: ‘’in taluni settori e alle condizioni previste dai Trattati, l’Unione ha competenza per svolgere azioni intese a sostenere, coordinare o completare l’azione degli Stati membri, senza tuttavia sostituirsi alla loro competenza in tali settori. Gli atti giuridicamente vincolanti dell’Unione adottati in base a disposizioni dei Trattati relative a tali settori non possono comportare un’armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri’’. Queste competenze riguardano gli ambiti di assistenza dell’azione degli Stati membri. L’art. 6 TFUE elenca in modo tassativo le materie riguardanti questa competenza: ▲ tutela e miglioramento della salute umana; ▲ industria; ▲ cultura; ▲ turismo; ▲ istruzione, formazione professionale, gioventù e sport; ▲ protezione civile; ▲ cooperazione amministrativa. Per individuare il tipo di competenza bisogna fare riferimento all’art. 2, par. 6 TFUE, secondo il quale: ‘’la portata e le modalità d’esercizio delle competenze dell’Unione sono determinate dalle disposizioni dei Trattati relative a ciascun settore. Gli atti emanabili e le procedure da adottare vengono stabilite sulla base delle norme dei Trattati che disciplinano ciascuno dei settori. 5. IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETA’ L’art. 5, par. 1, TUE dichiara: ‘’l’esercizio delle competenze dell’Unione si fonda sui principi di sussidiarietà e proporzionalità’’. Il primo principio è stato introdotto dal Trattato di Maastricht del 1992 ed è previsto dall’art. 5, par. 3, TUE, il quale al 1° comma dichiara: ‘’in virtù del principio di sussidiarietà, nei settori che non sono di sua competenza esclusiva l’Unione interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, né a livello regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell’azione in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione’’. Il principio di sussidiarietà circoscrive l’esercizio delle competenze sia da parte dell’Unione sia da parte degli Stati membri. L’applicazione di tale principio è disciplinata anche in materia di PESC e nelle politiche economica e di occupazione. 16 Questo principio è apparso per la prima volta con l’Atto unico europeo del 1986 nella materia della politica ambientale; così formulato nell’art. 5, par. 3 TUE non pare dubbio che il principio di sussidiarietà è diretto a salvaguardare l’ambito di operatività degli Stati membri. L’art. 5, par. 3, TUE è espresso in modo restrittivo rispetto all’intervento dell’Unione, che può essere giustificato solo se sussistono le seguenti condizioni: ▲ Insufficienza dell’azione statale al fine della realizzazione degli obiettivi perseguiti; ▲ Il valore aggiunto racchiuso nell’intervento europeo, tenuto conto delle dimensioni o degli effetti dell’azione in questione. Il principio di sussidiarietà si collega allo scopo che le scelte e le decisioni siano assunte nel modo più trasparente possibile e nel modo più vicino alle esigenze e alle determinazioni dei cittadini, a tal proposito si parla di un principio di prossimità. Il collegamento tra il principio di sussidiarietà e il principio di prossimità è stato introdotto dal Trattato di Lisbona a livello statale, regionale e locale. Al principio di sussidiarietà si riferisce anche il Protocollo n. 2, il quale ha sostituito il protocollo introdotto dal Trattato di Amsterdam del 1997. Questo protocollo è stato inserito nel Trattato di Lisbona aggiungendo una serie di norme volte a garantire l’informazione dei parlamentari nazionali e a conferire loro poteri di vigilanza. Esso prevede l’obbligo della Commissione, del Parlamento europeo e del Consiglio di trasmettere ai parlamentari nazionali i progetti degli atti legislativi europei e i progetti modificati. Con riguardo ai progetti di atti legislativi europei ciascun parlamentare nazionale può avviare una procedura di preallarme ed entro otto settimane può formulare un parere motivato nel quale dichiara che il progetto non sia conforme al principio di sussidiarietà. Se il parere proviene da un terzo dei voti attribuiti ai parlamenti nazionali, esso ha l’effetto di un veto sospensivo (il progetto dev’essere riesaminato). Il principio di sussidiarietà comporta un elevato livello discrezionale per quanto riguarda sia il profilo dell’insufficienza dell’azione statale a conseguire gli obiettivi di interesse comune, sia quello relativo al valore aggiunto offerto dall’intervento dell’UE. 6. IL PRINCIPIO DI PROPORZIONALITA’ Ai sensi dell’art. 5, par. 4, TUE: ‘’in virtù del principio di proporzionalità, il contenuto e la forma dell’azione dell’Unione si limitano a quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei Trattati’’. Si tratta di un principio generale e vincola non solo l’Unione ma anche gli Stati membri, pertanto la sua violazione da parte di questi ultimi comporterebbe il sorgere di un’infrazione sottoponibile al giudizio della Corte di giustizia. Questo principio opera nell’intero campo di applicazione dei Trattati, comprese le materie di competenza esclusiva dell’UE. Ancora prima del Trattato di Maastricht, era già applicato dalla Corte di giustizia, infatti nella sua giurisprudenza troviamo moltissime sentenze. L’art. 5, par. 4, TUE fa riferimento anche ai tipi di atti adottabili, stabilendo che le misure normative devono essere graduate rispetto all’ma il principio di proporzionalità non esaurisci qui il suo ruolo, infatti si fa richiamo all’art. 2 del Protocollo 2, il quale precisa che: ‘’i progetti degli atti legislativi tengono conto della necessità che gli oneri, siano essi finanziari o amministrativi, che ricadono sull’Unione, sui governi nazionali, sugli enti regionali o locali, sugli operatori economici e sui cittadini, siano il meno gravosi possibile all’obiettivo da conseguire’’. 7. LE SITUAZIONI PURAMENTE INTERNE AI SINGOLI STATI MEMBRI Si tratta dell’ultimo limite alla competenza dell’UE nei confronti degli Stati membri, in riferimento all’impossibilità giuridica per l’Unione di intervenire in situazioni interne ad un singolo Stato membro e quindi sfuggono dall’ambito del diritto europeo, tutto ciò risulta dalla giurisprudenza della Corte di giustizia. L’Unione può agire solo se gli sono state attribuite le competenze dagli Stati membri con i Trattati. Le norme del TFUE in questo ambito rilevano solo riguardo: ▲ A merci esportate da uno Stato membro all’altro; ▲ A persone che siano cittadini di un Paese membro diverso da quello nel quale esercitano la libertà di circolazione o di stabilimento; ▲ A persone che si spostino da uno Stato membro all’altro per offrire o ricevere un servizio o svolgono un servizio diretto verso uno Stato diverso dal proprio; ▲ Alla circolazione di capitali. La sottrazione all’Unione di rapporti commerciali interni agli Stati membri, però non esclude che essa intervenga in materia, ad esempio emanando direttive volte a tutelare i consumatori. A riguardo la Corte ha dichiarato che nell’art. 17 Secondo la Corte, il Consiglio è tenuto ad esaminare con cura ed imparzialità gli elementi rilevanti in materia e a motivare la sua decisione conclusiva. Per istaurare una cooperazione rafforzata è necessario che: ▲ Partecipano almeno nove Stati membri; ▲ Non deve riguardare competenze esclusive dell’Unione ▲ Deve rispettare i Trattati e il diritto europeo in modo da non provocare pregiudizi né al mercato interno né alla coesione economica, sociale e territoriale. Non deve anche ostacolare gli scambi tra gli Stati membri (art. 326 TFUE). ▲ Devono rispettare le competenze, i diritti e gli obblighi degli Stati che non vi partecipano (art. 327 TFUE). Il primo caso di cooperazione rafforzata si è realizzato con la decisione del Consiglio 2010/405/UE del 12 luglio 2010 in materia di divorzio e separazione legale. Altri casi sono stati: ■ 2011/167/UE del 10 marzo 2011 in materia di tutela brevettuale unitaria; ■ 2013/52/UE del 22 gennaio 2013 in materia di imposta sulle transazioni finanziarie. Le cooperazioni rafforzate sono aperte ad ogni Stato membro che vuole parteciparvi anche in un secondo momento, e a tal fine si deve dar notifica al Consiglio e alla Commissione in modo che quest’ultima richieda che siano soddisfatte certe condizioni di partecipazione e ove le ritenga insoddisfacenti, lo Stato in questione può sottoporre il problema al Consiglio che decide (art. 331, par. 1 TFUE). In materia di politica estera e di sicurezza comune sulla domanda di partecipazione alla cooperazione rafforzata si attua un procedimento diverso (si pronuncia il Consiglio, previa autorizzazione dell’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, che stabilisce le condizioni di partecipazione e si pronuncia all’unanimità – art. 331, par.2 TFUE). L’ingresso alla cooperazione rafforzata successivamente comporta per lo Stato membro di rispettare tutti gli atti adottati precedentemente al proprio ingresso (art. 328, par. 1, 1° comma TFUE). Alcune norme passerella prevedono di passare da una votazione all’unanimità ad una votazione a maggioranza qualificata nel Consiglio. La cooperazione rafforzata in materia di PESC ha una struttura permanente e viene istaurata tra gli Stati membri che possiedono le maggiori capacità militari e che hanno sottoscritto impegni più vincolanti in materia di missioni militari come precisato dal Protocollo n. 10 (art. 42, par. 6 TUE). La procedura in questo caso inizia con la delibera a maggioranza qualificata del Consiglio, previa consultazione dell’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza. Il Consiglio decide anche se le domande di partecipazione soddisfano i criteri descritti dal Protocollo n. 10 e successivamente vota all’unanimità. Un ulteriore meccanismo particolare di cooperazione rafforzata lo riscontriamo a proposito di alcune materie rientranti alla cooperazione giudiziaria penale (art. 82, par. 3 e art. 83, par. 3 TFUE). Queste norme prevedono il ricorso al freno di emergenza, cioè quando uno Stato membro ritiene che un progetto di direttiva da adottare con procedura legislativa ordinaria incida su aspetti fondamentali del proprio ordinamento penale, lo Stato membro in questione può chiedere che il Consiglio europeo intervenga in materia sospendendo la procedura legislativa. Se al Consiglio europeo si verifica un disaccordo tra gli Stati membri e almeno nove che desiderano istaurare una cooperazione rafforzata, essa è concessa automaticamente. In mancanza di un’unanimità nel Consiglio, la cooperazione rafforzata è concessa tra i nove Stati membri al fine di combattere i reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione (art. 86, par. 1, TFUE) e in materia di cooperazione operativa di polizia (art. 87, par, 3 TFUE). 20 CAPITOLO IV LA CITTADINANZA EUROPEA 1. L’ATTRIBUZIONE DELLA CITTADINANZA EUROPEA Tra le più signicative novità del Trattato di Maastricht del 1992 vi è l’istituzione della cittadinanza dell’Unione europea, che consiste in un nuovo status giuridico del quale è titolare chiunque abbia la cittadinanza di un Paese membro dell’Unione. Tale status, enunciato nell’art. 9 TUE, è disciplinato negli artt. 20-25 TFUE. L’art. 20 TFUE dichiara: “È istituita una cittadinanza dell’Unione. È cittadino dell’Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro. La cittadinanza dell’Unione si aggiunge alla cittadinanza nazionale e non la sostituisce. I cittadini dell’Unione godono dei diritti e sono soggetti ai doveri previsti nei trattati”. Benché il par. 2 menzioni anche i doveri, non sembrano riconoscibili doveri specifici del cittadino europeo in quanto tale. Riguardo all’attribuzione della cittadinanza europea, ai sensi del par. 1, essa consegue automaticamente alla cittadinanza di uno Stato membro. Rappresenta un arricchimento della cittadinanza nazionale che, senza sostituire quest’ultima, la potenzia mediante una serie di diritti. Rispetto alla cittadinanza nazionale quella europea costituisce una cittadinanza duale, o derivata, pertanto l’attribuzione della cittadinanza europea è automatica a chiunque sia cittadino di uno Stato membro ma gli Stati membri che mantengono il potere di disciplinare come credono l’attribuzione e la perdita della propria cittadinanza determinando la nascita o la perdita anche della cittadinanza europea. La libertà di ciascuno Stato membro, per quanto riguarda la propria cittadinanza, non può essere rimessa in discussione né dalle istituzioni europee, né da alcun altro Stato membro. Allo stesso modo è prevista l’impossibilità di ciascuno Stato membro di sindacare l’attribuzione della cittadinanza ad opera di un altro Stato membro. La Corte ha affermato che: “la determinazione dei modi di acquisto e di perdita della cittadinanza rientra nella competenza di ciascuno Stato membro competenza che deve essere esercitata nel rispetto del diritto dell’Unione. Non spetta, invece, alla legislazione di uno Stato membro limitare gli effetti dell’attribuzione della cittadinanza di un altro Stato membro, pretendono un requisito ulteriore per il riconoscimento di tale cittadinanza al fine dell’esercizio delle libertà fondamentali’’. La Corte ha ritenuto ammissibile la revoca della concessione della cittadinanza a motivo di frode commessa dall’interessato nell’ambito della procedura di acquisizione della cittadinanza. Tuttavia, la Corte ha affermato che, ai ni della conformità di tale revoca con il diritto dell’Unione è necessario verificare, da parte del giudice nazionale, che la decisione di revoca rispetti il principio di proporzionalità per quanto riguarda le conseguenze sulla situazione dell’interessato. 2. LO STATUS DI CITTADINO EUROPEO: IL DIRITTO DI LIBERA CIRCOLAZIONE E DI SOGGIORNO La cittadinanza dell’Unione si risolve in un catalogo specifico di diritti e taluni appartenenti non solo ai cittadini ma anche alle persone siche o giuridiche aventi la residenza o la sede sociale in uno Stato membro. L’individuo non viene più in rilievo solo come soggetto economicamente attivo, ma tende a porsi come soggetto politico, partecipe e consapevole protagonista del processo di integrazione europea. Ogni cittadino dell’Unione è innanzitutto titolare del diritto di libera circolazione e soggiorno nel territorio degli Stati membri (art. 21 TFUE: “ogni cittadino dell’Unione ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri’’ […]). Tale diritto era apparentemente già contemplato nel Trattato istitutivo della Comunità economica europea, ma era riconosciuto solo alle persone economicamente attive, cioè ai lavoratori subordinati e ai lavoratori autonomi. L’art. 21 TFUE, invece, ricollega il diritto di circolazione e di soggiorno ad un fondamento politico, qual è lo status di cittadino europeo. Esso, inoltre, attribuisce a tale diritto un sicuro fondamento normativo che ne favorisce anche il progressivo sviluppo e ampliamento. Il par. 2 dell’art. 21, infatti, contempla espressamente la possibilità di un ulteriore sviluppo del diritto in esame, stabilendo che il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando con la procedura legislativa ordinaria, possano adottare disposizioni intese a facilitare il suo esercizio. 0 2 B CTale diritto, tuttavia, non è del tutto incondizionato. L art. 21, par. 1, TFUE lo riconosce, infatti, “fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dai trattati e dalle disposizioni adottate in applicazione degli stessi”. Gli Stati 0 2 B Cmembri, dunque, possono limitare la libertà di circolazione e di soggiorno di un cittadino dell Unione o di un suo familiare adottando anche provvedimenti di allontanamento, per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di 21 sanità pubblica. La Corte, pur ribadendo che il diritto di circolazione e di soggiorno è soggetto alle limitazioni e alle condizioni previste dai Trattati e dalla normativa emanata dalle istituzioni europee, ha affermato che tale diritto deriva direttamente dall’art. 21 TFUE, per cui un cittadino che non benefici più nello Stato membro ospitante del diritto di soggiorno in qualità di lavoratore migrante, può beneciarne in virtù dell’art. 21 TFUE; e che tale disposizione ha un’efficacia diretta, nel senso che tale diritto può essere esercitato in via giudiziaria e deve essere tutelato dai giudici nazionali. 3. DIRITTO DI ELETTORATO ALLE ELEZIONI AMMINISTRATIVE E DEL PARLAMENTO EUROPEO 0 2 B CL art. 22 TFUE contempla il diritto di elettorato attivo e passivo nelle elezioni amministrative e in quelle del Parlamento europeo. “Ogni cittadino dell’Unione residente in uno Stato membro di cui non è cittadino ha il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali nello Stato membro in cui risiede, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato. Tale diritto sarà esercitato con riserva delle modalità che il Consiglio adotta, deliberando all’unanimità secondo una procedura legislativa speciale e previa consultazione del Parlamento europeo; tali modalità possono comportare disposizioni derogatorie ove problemi specici di uno Stato membro lo giustichino. […] ogni cittadino dell’Unione residente in uno Stato membro di cui non è cittadino ha il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni del Parlamento europeo nello Stato membro in cui risiede, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato. Tale diritto sarà esercitato con riserva delle modalità che il Consiglio adotta, deliberando all’unanimità secondo una procedura legislativa speciale e previa consultazione del Parlamento europeo; tali modalità possono comportare disposizioni derogatorie ove problemi specici di uno Stato membro lo giustichino”. Il par. 1 conferisce un diritto di elettorato attivo e passivo ad ogni cittadino europeo nelle elezioni comunali del Paese di residenza. L’esercizio di tale diritto richiedeva l’emanazione di un atto del Consiglio, il quale ha adottato a tale ne la direttiva n. 94/80/CE del 1994, più volte modicata. L’elettorato amministrativo si colloca nell’ottica del divieto di discriminazione in base alla nazionalità. Esso, poi, si collega al diritto di libera circolazione e soggiorno. Infatti l’opportunità di partecipare alle elezioni amministrative facilita tale diritto, che sarebbe invece ostacolato qualora, spostandosi da uno Stato membro all’altro, si venisse privati della possibilità di contribuire alla formazione degli organi amministrativi comunali del Paese di residenza e di farne parte. 0 2 B CIl diritto di elettorato attivo e passivo al Parlamento europeo, previsto dal par. 2, si colloca invece nell ottica della 0 2 B Cpartecipazione del cittadino europeo alla vita politica dell Unione europea in base a tale norma ogni cittadino europeo può votare al Parlamento europeo nel Paese di residenza e in tale Paese candidarsi alla carica di parlamentare europeo. 0 2 B C 0 2 B CAnche l attuazione di questa disposizione richiedeva l adozione di un atto, il che è avvenuto con la direttiva n. 0 2 B C93/109/CE la quale, tra l altro, ha la funzione di garantire che il diritto in questione sia esercitato solo una volta, o nel Paese di origine o in quello di residenza. 4. IL DIRITTO DI PETIZIONE 0 2 B C 0 2 B CL art. 24 TFUE, ripetendo sostanzialmente la disposizione dell art. 11 TFUE relativa il referendum propositivo, nei commi successivi attribuisce al cittadino europeo alcuni diritti. Si tratta, anzitutto, del diritto di petizione, 2° comma: “ogni cittadino dell’Unione ha il diritto di petizione dinanzi al Parlamento europeo conformemente all’articolo 227”. Il Parlamento europeo aveva contemplato tale diritto già nel suo Regolamento interno nel 1981; il suo riconoscimento nel Trattato rafforza il diritto di petizione configurando un corrispondente dovere di esaminarlo in capo al Parlamento europeo. La petizione può avere un contenuto alquanto vario, da richieste di informazioni sulla posizione del Parlamento europeo in merito a date questioni, a suggerimenti relativi alle politiche dell’Unione o alla soluzione di specifici pormeli, alla proposizione all’attenzione del Parlamento di questioni di attualità, sino a veri e propri reclami contro asserite violazioni del diritto del petizionario. In ogni caso a petizione deve rientrare nel campo di attività 0 2 B Cdell Unione. 0 2 B C 0 2 B C 0 2 B CIl diritto di petizione, che secondo l art. 24 TFUE compete ad ogni cittadino dell Unione, viene esteso dall art. 227 0 2 B CTFUE anche ad ogni persona sica o giuridica che risieda o abbia sede sociale in uno Stato membro. L art. 227 subordina la presentazione di una petizione alla condizione che la materia oggetto della petizione concerna direttamente l’autore della stessa. Tuttavia, considerando lo scopo della petizione, che è quello di sollecitare l’attenzione del Parlamento europeo, tale condizione non può essere intesa in senso rigidamente formale, quale necessità che il petizionario sia titolare di un diritto che possa subite un pregiudizio, ma in maniera alquanto elastica, come coinvolgimento del petizionario nella materia in questione. 22 CAPITOLO V LE ISTITUZIONI DELL’UNIONE EUROPEA 1. QUADRO GENERALE DELLE ISTITUZIONI E DEGLI ORGANI Il quadro istituzionale dell’UE mira, come dichiara l’art. 13 par. 1 TUE: “a promuoverne i valori, perseguirne gli obbiettivi, servire i suoi interessi, quelli dei suoi cittadini e quelli degli Stati membri, garantire la coerenza, l’efficacia e la continuità delle sue politiche e delle sue azioni.” La composizione, il funzionamento, le competenze e i poteri dei diversi organi che strutturano l’organizzazione dell’Unione è ripartita tra il TUE e il TFUE. Le istituzioni sono: il Parlamento Europea, il Consiglio Europeo, il Consiglio, la Commissione Europea, la Corte di Giustizia, la Banca Centrale Europea, la Corte dei Conti. Questa qualifica ha valore di prestigio e determina alcune conseguenze giuridiche, molte disposizione dei trattati si riferiscono espressamente a tali istituzioni e non agli altri organi (esempio art. 340-2° c. TFUE: obbligo risarcimento del danno per i danni cagionati dalle istituzioni). Sono presenti norme che riguardano le istituzioni anche nello Statuto della Corte della giustizia (esempio art. 40-1°c), invece altre disposizioni riguardano la sede e il regime linguistico delle istituzioni (art. 341-342 TFUE), queste norme sono solo applicabili alle istituzioni designate dall’art 13TUE e in principio ne rimangono esclusi gli altri organi. Il Consiglio Europeo viene inserito nel quadro istituzionale dal Trattato di Lisbona, ma esso rimane in una posizione a sé perché assume le decisioni fondamentali che riguardano lo sviluppo dell’azione europea e del processo d’integrazione europea, il Consiglio Europeo adotta atti formali giuridici e politici e le sue funzione significative nella PESC sono disciplinate nel TUE. Le successive istituzioni: Parlamento Europeo, Consiglio e la Commissione sono rappresentative dei cittadini dell’Unione, dei governi degli Stati membri, dell’interesse unitario dell’Unione. Si tratta di istituzioni latu sensu destinate a collaborare a interagire nel quadro delle funzioni più importanti (funzione normativa, approvazione bilancio, conclusione di accordi). Il ruolo e la competenza di ogni istituzione è stabilita dal TFUE. In relazione ai rapporti, in origine tesi alla collaborazione tra Stati e Comunità, la Corte li ha ampliati anche ai rapporti tra le istituzioni stesse basandosi sul principio di leale collaborazione, concretizzato nell’art. 13 par. 2 TUE, le istituzioni inoltre devono confermarsi alle competenze ripartite dai Trattati in base ad un principio di equilibrio istituzionale. Il rispetto di questo principio è essenziale affinché possano essere svolti i rispettivi ruoli delle istituzioni ed è sottoposto al controllo della Corte di Giustizia. Il trattato di Lisbona, dispone all’art. 295 TFUE: “il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione procedono reciproche consultazione e definiscono di comune accordo le modalità della cooperazione. A tale scopo, nel rispetto dei Trattati, possono concludere accordi interistituzionali che possono assumere carattere vincolante”. Sono importante: • Accordo del 20 ottobre 2010 che relaziona il Parlamento-Commissione • Accordo del 2 dicembre 2013 che relazione Parlamento-Consiglio-Commissione sulla disciplina, cooperazione in materi di bilancio e sulla sana gestione finanziaria, conclusi sulla base dell’art. 295 TFUE. • Altri accordi interistituzionali sono spesso conclusi. Le altre istituzioni si caratterizzano per compiti specifici e per la loro indipendenza: in quanto per le istituzioni giudiziarie se ne occupa la Corte di giustizia, la Banca Centrale Europea si occupa dell’autorità monetaria e la Corte dei conti sul controllo dei conti e del bilancio. L’apparato dell’UE comprende anche il Sistema europeo di banche centrali (SEBC) formato da BCE e dalle banche centrali nazionali (art. 282 TFUE), e altri organi bancari come la Banca europea per gli investimenti la quale ha propria personalità giuridica e struttura organizzativa (art. 308 TFUE). I trattati istituiscono anche degli organi ausiliari, l’art. 13 par4 TUE dichiara: “ il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione sono assistiti da un Comitato economico e sociale e da un Comitato delle regioni, che esercitano funzioni consultive”, altri organi sono previsti da varie diposizione dei Trattati: art. 99 TFUE Comitato trasporto e Comitato per l’occupazione, art. 134 Comitato economico e finanziario, altro organo indipendente è il Mediatore europeo, Comitato politico e sicurezza art. 38 TUE. Altri organi che hanno sede decentrata rispetto alle istituzioni e che vengono creati con atti delle istituzioni europee con compiti vari e che possono essere di natura tecnica, scientifica, consultiva, di gestione, operativi, di sostegno e coordinamento dell’azione delle autorità statali, tali organi vengono denominate agenzie e ad oggi ne esistono una trentina (FRONTEX, ECHA, ENISA, ERA, EIOPA, EIT). 2. IL PARLAMENTO EUROPEO 25 Organo democratico per eccellenza, l’art. 14, par 2 TUE dichiara infatti: “il parlamento europeo è composto dai rappresentanti dei cittadini dell’Unione”. Questo organo esisteva già dalla CECA come assemblea, istituzione comune alla CEE e alla CEEA, l’assemblea di dichiarò il 20-03-1958 Assemblea parlamentare europea e il 30-03-1962 divenne Parlamento europeo ufficializzato nell’Atto unico europeo nel 1986. Il numero dei componenti è cambiato varie volte, ed è stato aggiornato in base all’ampliamento degli Stati membri dell’UE (da 6 a 28). L’art. 14 par 2 TUE: • non stabilisce un numero fisso per ciascun Paese ma solo un numero massimo dell’intero Parlamento che consiste in 750 + il Presidente. • Per ogni Stato membro garantisce un minimo di 6 parlamentari ad un massimo di 96. • Il numero dei componenti e la loro assegnazione sono stabiliti dal Consiglio Europeo con decisione votata all’unanimità (cioè un accordo fra tutti gli Stati membri) su iniziativa del Parlamento europeo e con successiva sua approvazione. Comma 2°, par 2. • L’art. 14 par 2 comma 1 pone un criterio generale: “la rappresentanza dei cittadini è garantita in modo digressivamente proporzionale”, questa significa che il numero dei parlamentari non è in rapporto diretto con il numero dei cittadini di ciascun Paese ma in base alla sua situazione demografica ( gli Stati demograficamente maggiori hanno un numero di parlamentari inferiori a quello che aspetterebbe in base ad un rigido rapporto di proporzione fra tali parlamentari e la loro popolazione e al contrario, gli Stati con una più ridotta popolazione hanno un numero di parlamentari più elevato di quello risultante da tale rapporto proporzionale). I parlamentari si aggregano fra loro in base alle affinità e non secondo alla propria cittadinanza (va ricordato che con l’introduzione della cittadinanza europea il diritto di elettorato attivo e passivo è sganciato dalla cittadinanza nazionale ma spetta a chiunque rieda stabilmente nello Stato di votazione, art. 22 par 2 TFUE). Prima il Parlamento era eletto dai parlamentari nazionali tra i propri componenti ma questo creava vari inconvenienti: in quanto il Parlamento aveva una scarsa rappresentatività perché non era espressione diretta dei popoli europei, i criteri di proporzionalità rispetto ai partiti politici con le lezioni non veniva appieno rispettati e per questo le minoranze erano del tutto assenti e soprattutto perché tra i due incarichi i parlamentari concentravano di più il loro lavoro su quello nazionale. Per questo motivo il Parlamento europeo fu incaricato di redigere un progetto di norme che prevedeva l’elezione a suffragio universale diretto e dopo varai tentativi fu approvato dal Parlamento su sua commissione e approvazione e con unanimità del Consiglio, il 14-01-1975. Le prime elezioni del Parlamento si tennero nel 1979. In base all’oggi art. 14 par 3: “i membri del Parlamento europeo sono eletti a suffragio universale diretto, libero e segreto, per un mandato di 5 anni”. Per quanto riguarda il procedimento elettorale facciamo riferimento all’art. 226 par 1 TFUE (Pagina 199), secondo il quale si doveva, in base all’ elaborazione di un progetto, adottare una procedura elettorale uniforme per tutti gli Stati ma avendo un procedimento molto complesso si sono redatti solo dei principi comuni lasciando liberi di disciplinare l’elezione del Parlamento ad ogni Paese come meglio credono (rientrano anche i requisiti per l’elettorato attivo e passivo). Successivamente il Consiglio ha, però, deliberato dei parametri a cui gli Stati devono attenersi: • Le lezioni devono essere svolte con il metodo proporzionale, consentendo l’adozione di uno scrutinio di liste o un’uninominale preferenziale • La procedura è disciplinata in ciascuno Stato dalle proprie disposizioni ma che nel complesso non devono pregiudicare il carattere proporzionale del voto. Il mandato di parlamentare ha delle incompatibilità rispetto alla partecipazione alla Commissione, alla Corte di giustizia, al governo di uno stato membro e anche con il mandato di membro del parlamento nazionale. Questa disciplina è regolata dall’art. 12 par 3 che il Parlamento non si pronuncia in proposito, ma deve essere informato, se la conseguenza della carica parlamentare europea possa decadere in applicazione della legislazione nazionale. L’art 223 par 2 TFUE: prevede la procedura per stabile le condizioni generali per l’esercizio delle funzioni di membro parlamentare europea, i privilegi e le immunità sono regolati dal Protocollo n 7, di particolare rilievo è l’art 8 di tale protocollo “ i membri del Parlamento europeo non possono essere ricercati, detenuti o perseguiti a motivo delle opinioni o dei voti espressi nell’esercizio delle loro funzioni”, tale norma ha dichiarato la Corte di giustizia può valere anche per le opinioni espresse al di fuori dell’aula ma è necessario che sussista un nesso diretto tra l’opinione espressa e le funzioni di parlamentare. L’art. 32 del Regolamento interno stabilisce che il parlamento non è la somma dei gruppi nazionali di parlamentari ma i deputati si possono organizzarsi in gruppi secondo le affinità politiche, al Parlamento non spetta accertare l’effettiva presenza di tale affinità, il gruppo per essere costituito deve avere un minimo di 25 deputati e che essi siano stati eletti in almeno un quarto degli stati membri. Rileva che un deputato può appartenere ad un gruppo solo. Se la 26 composizione numerica scende al di sotto della soglia prevista il gruppo può essere autorizzato a continuare la sua esistenza purché rappresenti un quinto degli Stati membri ed esista da più di un anno, art 32 par 3. l’art 10 par 4 TUE riconosce ai partiti politici europei quali soggetti politici transnazionali. 3. ORGANIZZAZIONE E FUNZIONAMENTO DEL PARLAMENTO EUROPEO il Parlamento tra i suoi membri, secondo l’art 14 par 4 TUE, elegge il Presidente e l’Ufficio di Presidenza, 14 vicepresidenti e 5 questori. Durano in carica 2 anni e mezzo cioè la metà della durata del Parlamento. Presidente e Vice a titolo consultivo e i questori formano l’Ufficio di Presidenza. Le modalità di elezione e competenze sono contenuto nel Regolamento interno. Ulteriori organi sono la Conferenza dei presidenti (Presidente Parlamento e Presidenti gruppi politici) e la Conferenza dei presidenti di commissione (presidenti di tutte le commissioni permanenti e speciali). Le commissioni permanenti sono elette per 2 anni e mezzo e hanno competenza per materia e le loro attribuzioni sono fissate dal Regolamento interno nell’Allegato VI. Il loro compito è preparatorio, istruttorio e consultivo e si esprime con risoluzioni, pareri, raccomandazioni. Tra le commissioni speciali sono costituite dal Parlamento e non hanno durata superiore ai 12 mesi, propagabili. Il TFUE prevede l’istituzione di commissioni temporanee d’inchiesta, secondo l’art 226. L’inchiesta ha per oggetto casi di violazione del diritto dell’UE o anche casi di amministrazione scorretta che non si risolva nella violazione necessariamente di norme. L’attività della commissione d’inchiesta si conclude con la consegna della sua relazione al Parlamento, il quale può assumere le iniziative che ritiene più opportune sia nei riguardi degli Stati membri che delle istituzioni/organi. Il parlamento tiene una sessione annuale e si riunisce di diritto il 2° martedì di marzo e si riunisce, inoltre, su richiesta della maggioranza dei suoi membri, del Consiglio o della Commissione. La sua sede è fissata a Strasburgo dove si tengono le 12 plenarie mensili mentre quelle aggiuntive e le riunioni delle commissioni si svolgono a Bruxelles, Segretario generale del Parlamento e i suoi servizi restano a Lussemburgo dove si trovava in origine la sede del Parlamento. l’articolo 231 TFUE stabilisce che le votazioni si deliberano a maggioranza dei suffragi espressi, il regolamento interno fissa il numero legale, e dichiarato dal Presidente su richiesta di 40 deputati minimo, altrimenti le votazioni sono date da un terzo dei componenti. 4. LE FUNZIONI E I POTERI DEL PARLAMENTO Le funzioni e i poteri del Parlamento erano molto ridotte, per quanto riguarda la fase legislativa si limitava alla formulazione di pareri riguardo alle proposte presentate dalla Commissione e sul quale la decisione spettava al Consiglio. Questo quadro si è evoluto portando il Parlamento ad assumere un potere “legislativo” condiviso con il Consiglio, realizzatosi mediante la “codecisione” che conferisce al Parlamento una posizione paritaria con il Consiglio, regolata dall’art294 TFUE entrata in vigore con il Trattato di Lisbona e diventando la “procedura legislativa ordinaria”. Il Parlamento esercita importanti funzioni in materia di bilancio e funzioni di controllo politico e consultivo sulle altre istituzioni, art. 14 par 1 TUE. Nella funziona legislativa sono intersecati le diverse istituzioni, Commissione e Consiglio europeo e i loro procedimenti vengono quindi chiamati interistituzionali. Il potere d’iniziativa però è prerogativa della Commissione, tuttavia il Trattato di Maastricht del 1992, ha dato potere di impulso chiamato “pre-iniziativa” al Parlamento nei confronti della Commissione, articolo 225 TFUE. La richiesta è subordinata ad una maggioranza alta essendo calcolata sull’intera composizione del Parlamento, la Commissione non ha il dovere di dare seguito alla richiesta ma deve solo motivare un eventuale rifiuto. Il Parlamento ha anche un potere generale di deliberare e di adottare risoluzioni su qualsiasi questione che concerne l’Unione, sono piuttosto significativi i poteri di controllo nei riguardi delle altre istituzioni europee, Consiglio e Consiglio europeo. La Commissione è responsabile collettivamente dinanzi al Parlamento sulla relazione generale annuale sull’attività dell’Unione che la essa deve pubblicare almeno un mese prima dell’apertura della sessione del Parlamento. attraverso questo esame il Parlamento analizza e valuta non solo l’operato della Commissione ma anche quello di tutte le altre istituzioni e organi. Nella prassi la Commissione presenta una relazione relativa all’anno successivo, sul quale il Parlamento esprime opinioni, valutazioni e pareri. La Commissione è tenuta a presentare relazioni anche su altre materie, come la cittadinanza dell’Unione, la coesione economica sociale e la ricerca e sviluppo tecnologico. La Commissione può subire interrogazioni che possono essere presentate dal Parlamento o da singoli deputati e alle quali la Commissione è tenuta a rispondere oralmente o per iscritto, tutto viene disciplinato dal Regolamento interno. Il mezzo più incisivo del Parlamento sulla Commissione è costituito dalla mozione di censura con la quale il Parlamento ha il potere di provocare le dimissioni della Commissione, tale potere esprime la relazione di fiducia che incombe sulle due istituzioni, venuta meno la fiducia la Commissione deve cessare le sue funzioni. La mozione è disciplinata dall’art 234 TFUE. Ovviamente la mozione di censura ha molteplici garanzie: occorre l’ampia maggioranza sulla decisone, che essa sia discussa dopo un ponderato esame e riflessione e non prima di tre giorni dal suo deposito e 27 come nell’allargamento e sulla moneta unica, sulle crisi finanziaria. Le istituzioni politicamente di fatto sono subordinate al Consiglio europeo. 7. IL CONSIGLIO Il Consiglio è un organo intergovernativo, è composto dai rispettivi Capi esecutivi di ogni Stato membro, art 16 par 2 TUE. Il Consiglio esprime gli interessi particolari dei singoli Stati membri, interessi che raggiungono la loro sintesi e compromesso negli atti del Consiglio. Sono atti organici, imputabili al Consiglio e non allo Stato, atti impugnabili. Denominato prima come Consiglio dei Ministri, successivamente come Consiglio dell’UE, ad oggi è denominato solo Consiglio. Ogni Stato membro deve essere rappresentato a livello ministeriale con una persona abilitata a impegnare il governo dello Stato e a votare. La composizione del Consiglio è variabile poiché esso è formato dai vari ministri in corrispondenza agli argomenti posti in ordine di giorno. L’elenco delle varie formazioni è adottato dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata ai sensi dell’art 236 lettera a TFUE, in attesa però di tale determinazione l’elenco è adottato dal Consiglio, provvisoriamente, nella formazione “Affari Generali” che stabilisce 10 formazioni idonee a coprire il complesso delle materie di competenza dell’UE. L’art. 16 par 6 TUE prevede due formazioni del Consiglio precisandone le funzioni, si tratta del Consiglio “Affari Generali” e del Consiglio “Affari Esteri”, il primo assicura la coerenza dei lavori delle varie formazioni, prepara le riunioni e ne assicura il collegamento con il Presidente del Consiglio europeo e Commissione, il secondo elabora l’azione esterna dell’Unione secondo le linee strategiche definite dal Consiglio europeo e assicura la coerenza dell’azione dell’Unione. La presidenza del Consiglio è determinata dal Consiglio europeo con votazione a maggioranza qualificata secondo un sistema di rotazione paritaria in modo che si assicuri a tutti gli Stati membri la presidenza, la quale viene svolta per un periodo di sei mesi. Più precisamente, a rotazione viene predeterminato un gruppo d tre Stati tenendo conto della diversità e degli equilibri geografici, per 18mesi. Ciascuno Stato presiede a turno tutte le formazioni del Consiglio ad eccezione di quella degli “Affari esteri” per 6 mesi mentre gli altri due Stati lo assistono. Il gruppo di tre Stati nella prassi formavano la “troika”. Lo Stato che ha la presidenza esercita anche la presidenza degli organi preparatori delle varie formazioni del Consiglio, salva quella degli “Affari esteri”. Differente è la formazione della presidenza del Consiglio degli “Affari esteri”, la quale spetta ad un organo individuale e non ad uno Stato, si tratta dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza votato dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata con l’accordo del Presidente della Commissione, visto il suo duplice lavoro anche in tale organo. Ai sensi dell’art 240 par 2TFUE, il Consiglio è assistito da un Segretario generale nominato dal Consiglio a maggioranza qualificata mentre l’organizzazione del Segretario votata a maggioranza semplice. Il Consiglio si riunisce su convocazione del Presidente, per iniziativa di esso stesso, di uno Stato membro o della Commissione, la sede a Bruxelles ma in aprile- giugno-ottobre è a Lussemburgo. Le riunioni avvengono in seduta pubblica quando delibera e voto su un progetto di atto legislativo, il Consiglio con Regolamento interno ha previsto altri casi con deliberazione pubblica. Svolge un ruolo importante il Comitato dei rappresentanti permanenti, istituito nel 1958 da Regolamento interno ma poi disciplinato dal Trattato di Bruxelles 1965. Esso si articola in COREPER I (con rappresentati permanenti) e COREPER II (rappresentanti permanenti con rango diplomatico). Il COREPER svolge una funzione importante ai fini dell’adozione degli atti da parte del Consiglio. La proposta dalla Commissione passa dal Consiglio al COREPER che la esamina e vota, se si raggiunge l’unanimità la questione passa al punto A dell’ordine del giorno altrimenti viene iscritto al punto B. il COREPER è il reale interlocutore della Commissione ed il suo ruolo accentua il momento intergovernativo nel procedimento decisionale. Alla competenza del COREPER sfugge la politica agricola e della pesca svolta dal Comitato speciale agricoltura. 8. LA VOTAZIONE NEL CONSIGLIO. CONCLUDERE ACCORDI NELL’AMBITO DEL CONSIGLIO Il sistema di votazione nel Consiglio è disciplinato dall’art. 16, paragra da 3 al 5 TUE, integrato dall’art. 238 TFUE. Affinché il Consiglio possa procedere alla votazione, il quorum richiesto è dato dalla presenza della maggioranza dei membri aventi titolo a votare. Ai sensi dell’art. 16, par. 3 TUE: “il Consiglio delibera a maggioranza qualicata, salvo nei casi in cui i trattati dispongano diversamente”. Questa è la regola generale, quindi si tratta della maggioranza qualicata. A fronte di tale regola generale, l’art. 238 richiama altre due procedure applicabili, solo quando espressamente prescritte dalla disposizione in questione, sono: 1. la maggioranza semplice → art. 230 TFUE, “per le deliberazioni che richiedono la maggioranza semplice, il Consiglio delibera alla maggioranza dei membri che lo compongono”. Le materie in cui il Consiglio può 30 votare a maggioranza semplice sono estremamente limitate in quanto il trattato prevede quasi sempre procedure diverse, in primis quella a maggioranza qualificata; 2. l’unanimità → in passato costituiva la regola per le deliberazioni del Consiglio, essa è stata notevolmente ridimensionata in seguito alle modiche introdotte dagli ultimi trattati. È ancora prevista per alcune materie quali l’armonizzazione fiscale ed il riavvicinamento delle legislazioni nazionali. Si applica anche alla politica estera e di sicurezza comune, alla cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale e ad alcuni aspetti relativi alla cittadinanza europea. Secondo il par. 4 dell’art. 238 TFUE, “le astensioni dei membri presenti o rappresentanti non ostano all’adozione delle deliberazioni del Consiglio per le quali è richiesta l’unanimità”. Da questa disposizione si evince che, mentre l’astensione non impedisce il raggiungimento dell’unanimità, questa è preclusa, e la delibera non è approvata, in caso di assenza di un membro. Questo tipo di votazione è attuata in maniera particolarmente ampia nell’ambito della PESC, in materia ambientale, sule misure contro le varie forme di discriminazioni e su tanti altri ambiti previsti dai Trattati. 3. La maggioranza qualifica: è caratterizzata dal sistema di ponderazione, cioè gli Stati membri non hanno un voto ciascuno ma al voto dei diversi Stati è assegnato un differente coefficiente numerico, un differente peso, fissato dal Protocollo n° 36. Il sistema di ponderazione è stato previsto sin dall’origine dei Trattati comunitari, ma è stato successivamente modificato a causa dell’allargamento dell’Unione. Secondo il compresso di Ionnina, quando la minoranza, pur non essendo sufficiente a impedire l’adozione della deliberazione, era numericamente importante, il Consiglio avrebbe fatto tutto il possibile per raggiungere entro un termine ragionevole una soluzione soddisfacente che potesse convogliare una maggioranza più ampia di quella minima necessaria per l’approvazione. A seguito dell’allargamento dell’Unione, la nuova disciplina entrata in vigore il 1-11-2014 stabilisce un’elevazione della maggioranza qualificata richiesta al 72% dei membri del Consiglio, rappresentante il 65% della popolazione dell’Unione, quando la suddetta istituzione non delibera su proposta della Commissione o dell’Alto rappresentante. Di estrema importanza politica è anche la determinazione della maggioranza necessaria per l’adozione delle deliberazioni, in quanto, a seconda del numero richiesto diverse sono le coalizioni realizzabili tra gli Stati non solo per raggiungere tale maggioranza, ma anche per formare una minoranza di blocco per impedire l’adozione di un atto. La soluzione a ciò è prevedere una duplice maggioranza, una fondata sulla ponderazione del voto, l’altra sul numero degli Stati votanti. La deliberazione viene adottata solo se sono stati raggiunti i 260 voti ponderati o i voti di 15 Stati membri. A questi si aggiunge un ulteriore criterio basato sulla popolazione europea, detta clausola della verifica demografica, su richiesta di uno Stato membro, la quale deve esprimere il 62% della popolazione totale (i dati della votazione devono essere confermati dal Consiglio in base al Regolamento interno). A seguito di ulteriori modifiche il sistema di ponderazione viene eliminando dando la possibilità agli Stati di esprimere un solo voto e viene ridimensionata la percentuale della popolazione da 62% a 65%. Dal 1-04-2017 il nuovo meccanismo consente ad una significativa minoranza di sospendere la procedura di votazione e di aprire una fase di negoziato all’interno del Consiglio, il cui esito dovrebbe sfociare in un’ampia maggioranza. Ogni stato membro può ricevere la delega a votare in nome di un solo altro stato membro (art. 239 TFUE). 0 2 B CPer la votazione a maggioranza qualicata, la disciplina introdotta dall’art. 16, par. 4, TUE e dall art. 238, par. 2, TFUE relativa alla votazione a maggioranza qualificata si è applicata solo dal 1° novembre 2014. La maggioranza qualificata è prevista in molti ambiti, tra cui la procedura per i disavanzi eccessivi, per la constatazione di un evidente rischio di una constatazione grave dei valori previsti dall’art 2 TUE. 9. FUNZIONI DEL CONSIGLIO Le funzioni del Consiglio sono indicate dall’art 16 par 1 TUE, il Consiglio assume una posizione paritaria, nella funzione legislativa e di bilancio, al Parlamento. il Consiglio inoltre esercita una funzione di definizione delle politiche e di coordinamento, questa si spiega dicendo che il Consiglio non emana solo atti legislativi ma atti di indirizzo, assistenza, consulenza (tutti atti giuridicamente non vincolanti), adotta anche raccomandazioni (art 292 TFUE). In base all’art148 TFUE il Consiglio elabora orientamenti in materia di occupazione a cui gli Stati pur non essendo obbligati a conformarsi ne devono tenere conto, lo stesso articolo organizza un meccanismo che può comportare l’emanazione di raccomandazioni. Poteri più incisivi risultano dalle norme di politica economica come ad esempio compiti di sorveglianza, poteri normativi, poteri sanzionatori. Un potere decisionale si ha nella politica estera e di sicurezza ma non si tratta di un potere legislativo ma si adottano decisioni per un intervento operativo che stabiliscono obbiettivi, la portata e i mezzi di cui l’Unione deve disporre, la durata. Tale decisioni vincolano gli Stati. 31 Vincolanti le decisioni con le quali il Consiglio definisce la posizione dell’Unione di natura geografica e tematica. Al Consiglio spetta l’adozione di decisioni relative alla politica di sicurezza e di difesa comune. Al pari del Parlamento, il Consiglio può chiedere alla Commissione di procedere a tutti gli studi che esso ritiene opportuni a fini del raggiungimento degli obbiettivi comuni. Se la Commissione non presenta la proposta deve almeno comunicarne le motivazioni al Consigli. Il Consiglio interviene nella nomina della Commissione, Comitato esecutivo della BCE, la Corte dei Conti, Comitato economico e sociale, Comitato delle regioni, il Consiglio fissa anche stipendi – indennità – pensioni delle cariche principali, interviene anche sugli atti normativi di altre istituzioni. Per il Consiglio può essere prevista una competenza di esecuzione che riguarda qualsiasi atto obbligatorio dell’Unione, e la competenza è subordinata alla necessità di condizioni uniformi di attuazioni di un atto e all’esistenza di ragioni specifiche che inducono a preferire l’intervento del Consiglio. Gli artt. 24-26 TUE parlano delle competenze esecutive del Consiglio, entrambi sono collocati in materia della politica estera e di sicurezza comune. 10. LA COMMISSIONE organo sopranazionale in una posizione di piena indipendenza rispetto sia agli Stati membri che a qualsiasi altro ente. La Commissione rappresenta l’interesse generale e unitario dell’Unione ed è formata da individui indipendenti i quali si caratterizzano per la loro competenza (tecnocrati). Il numero era fissato a 9, gli Stati più importanti avevano due commissari mentre gli altri uno, nella fase di ampliamento dell’Unione questa impostazione rimase, successivamente si pensò ad un cittadino per ogni Stato compreso il Presidente e l’alto rappresentante ma questa disposizione fu cambiata a decorrere del 1-11-2014, a quanto afferma l’art 14 par 5 TUE la Commissione deve essere composta da un numero di due terzi del numero degli Stati membri, compreso Presidente e Alto rappresentante (19 per 28 Stati), ma le preoccupazioni dei vari Stati di sentirsi emarginati dalla rappresentanza della Commissione indusse il Consiglio europeo a riunire la Commissione con un cittadino di ciascuno stato. Indipendenza e competenza generale sono gli elementi caratterizzanti dei membri della Commissione e quest’ultima nel suo insieme e come altro requisito per scegliere i commissionari è stato aggiunto, anche, l’impegno europeo (art 17 par 3, 2° comma TUE), la nomina è sempre regolata da tale articolo e nonché dall’art 245 TFUE, garantendo anche un meccanismo sanzionatorio in caso di violazione, gli articoli concretizzano vari obblighi a cui la Commissione è sottoposta: essi non possono richiedere e ricevere istruzioni da alcun governo, né tantomeno da nessun altro organo privato o pubblico, i commissionari si astengono da ogni atti incompatibile con le proprie funzioni o con l’esecuzione dei loro compiti. A tali obblighi si commissiona i doveri degli Stati a rispettare il carattere indipendente della Commissione, gli obblighi della Commissione possono influenzare anche i soggetti che hanno cessato a funzione, soprattutto per i doveri di onestà e delicatezza nell’assunzione di determinate funzioni o vantaggi. Al fine però di garantire il massimo livello di correttezza e di moralità nello svolgimento dei compiti la stessa Commissione volle dettagliare gli obblighi dei commissari, fu adottato così un codice di condotta nel 1999, Romano Prodi, ne prese piede uno nuovo nel 2011 sotto la presidenza di Barroso. Gli obblighi sono sottoposti a controllo giudiziario e a sanzione, è possibile richiedere le dimissioni di un commissario alla Corte di giustizia richiesta dal Consiglio o dalla Commissione stessa. 11. LA NOMINA, LA CESSAZIONE E L’ORGANIZZAZIONE DELLA COMMISSIONE La disciplina della nomina si è evoluta nel tempo, grazie ad alcune modifiche del Trattato di Lisbona del 2007. In origine i membri erano nominati di comune accordo tra gli Stati membri all’unanimità, le revisioni hanno eliminato l’unanimità e hanno assegnato un potere decisionale al Parlamento europeo con la partecipazione del Presidente della Commissione. L’art 17 par 3 TUE esclama che la durata della carica è di 5 anni, il par 7 invece stabilisce il procedimento di nomina: il Consiglio propone un candidato alla Presidenza, esso sarà eletto a maggioranza dei membri del Parlamento, in caso di mancata elezione il Consiglio deliberà un altro candidato a maggioranza qualificata (Si rammenta che alla luce delle elezioni nel maggio 2014, i principali gruppi politici hanno presentato ciascun un candidato e il Consiglio ha designato il leader tra essi eletto poi dal Parlamento), per gli altri canditati alla Commissione il Consiglio redige l’elenco in accordo con il Presidente eletto, in base alle proposte proveniente da ogni Stato membro. I candidati rispondono a delle domande dinanzi alle varie commissioni parlamentari competenti in corrispondenza alla carica. Qui si può notare se una commissione parlamentare è contraria ad un candidato inducendo il Consiglio e il Presidente a cambiare candidatura. Successivamente il Parlamento dovrà approvare l’intera commissione con il relativo programma, quella attuale è Jean-Claude Juncker nominata il 23-10-2017 fino al 31-10-2019). Il rapporto di fiducia tra Parlamento e Commissioni si estende oltre che alla censura e caduta anche alla nomina. La cessazione anticipata della carica di commissario può avvenire per decesso, per dimissioni volontarie o d’ufficio (pronunciate dalla Corte per colpa grave del commissario). La regola vale anche quando il commissario non risponde più alle condizioni necessarie all’esercizio delle sue funzioni (divenuto incapace ad esempio). Se decesso o 32 rappresentante nei suoi compiti, il Presidente del Consiglio, quello della Commissione e collabora con i servizi diplomatici degli stati membri. 14. LA CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA Secondo l’art. 19 TUE la Corte di giustizia comprende: Corte di giustizia-Tribunale e Tribunali specializzati, essa viene identificata come l’intero ordinamento giudiziario dell’Unione, al quale compete di assicurare il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei Trattati. La Corte di giustizia era originariamente l’unica istituzione giudiziaria avente pluralità di competenze e deputata a garantire il rispetto del diritto dell’Unione. Successivamente fu istituito un organo ulteriore, il Tribunale di 1° grado, inserito ufficialmente con il Trattato di Maastricht del 1992, con il Trattato di Lisbona ha acquisito la denominazione di Tribunale. Ad oggi, le competenze del Tribunale sono ancora inferiori rispetto a quelle della Corte di giustizia. La creazione del Tribunale risponde a due esigenze: in primo luogo, smaltire e sollevare la Corte dai numerosi ricorsi che avrebbero potuto intaccare la sua efficienza, in secondo luogo la presenza del tribunale garantisce la possibilità di un doppio grado di giurisdizione impugnando le sentenze del Tribunale davanti alla Corte. Tuttavia il doppio grado di giurisdizione è molto limitato nella sua applicazione perché molte materie sono di esclusiva competenza della Corte, e non solo la sua presenza è ancora insufficiente per smaltire i ricorsi in quanto essi sono progressivamente aumentati: dato l’allargamento degli Stati membri , la conoscenza e fiducia data ai giudici tuttavia la fine di alleggerire il carico alla Corte oltre ai Tribunali sono previsti l’affiancamento di Tribunali specializzati secondo l’art 257 TFUE. Viene istituito il Tribunale della funzione pubblica dell’UE competente in 1° grado sulle controversie tra UE e i suoi agenti, decisione impugnabile al Tribunale, 2° grado, solo per motivi di diritto e eccezionalmente possono essere oggetto di riesame della Corte dove possono suscitare gravi incoerenze con il diritto dell’UE, terzo grado di giurisdizione. La composizione, le competenze, i rapporti, l’impugnazione sono disciplinate non solo nei Trattati ma anche nello Statuto della Corte di Giustizia e nei regolamenti di procedure delle diverse giurisdizioni dell’UE. Lo Statuto si trova nel Protocollo 3 e in base all’art 51 TUE ha lo stesso valore giuridico dei Trattati. È previsto anche un meccanismo di revisione dello Statuto, art 281 1° comma TFUE. I regolamenti di procedura sono stabiliti dai Tribunali con approvazione da parte del Consiglio. La Corte di giustizia è composta da un giudice per ogni Stato membro, sono nominati dagli essi di comune accordo per 6 anni con mandato rinnovabile i requisiti sono indicati dall’art253 1° comma TFUE, la nomina dei giudici è preceduta dai pareri sulla loro adeguatezza da 7 persone scelte tra gli ex membri dei Tribunali e Corte. Il giudice nominano tra loro un Presidente, per 3 anni, con mandato rinnovabile, la Corte nomina anche il cancelliere. La Corte è un organo composto da individui che non rappresentano lo Stato a cui appartengono. La Corte di giustizia è assistita da 11 avvocati generali, prima erano 8 poi 9, l’avvocato è una sorta di amicus curiae con il compito di rappresentare l’interesse al rispetto del diritto, esso dovrà presentare delle conclusioni nei casi previsti dalla Corte stessa. I giudici godono dell’immunità giurisdizionale la quale si estende oltre alla cessazione delle loro funzioni e che può essere tolta solo dalla Corte riunita in seduta plenaria. La sua sede è a Lussemburgo. La Corte si riunisce in sezioni da 2 o 5 giudici o in grande sezioni formata da 15 giudici presieduta dal Presidente e infine eccezionalmente in seduta plenaria (tutti i componenti). Il Tribunale ha sede a Lussemburgo formato da un giudice per Stato membro, il loro numero era fissato a 28 ma per il numero carico di lavoro si è elevato a 40 il 25-12-2015, 47 a decorrere dal 1-09-2016 e da 2membri per Stato dal 1-09-2019. I requisiti sono analoghi a quelli prescritti per i giudici della Corte. Il Tribunale della funzione pubblica è nominato dal Consiglio all’unanimità, decisione subordinata alla consultazione di un comitato composto da 7 persone il quale fornisce pareri sull’idoneità dei candidati. 15. LA BANCA CENTRALE EUROPEA E GLI ORGANI MONETARI LA Banca centrale europea è un’istituzione qualificata secondo l’articolo 13 TUE. Dato l’ambito particolarmente speciale che hanno la Banca centrale e gli organi monetari, le loro funzioni e poteri vengono disciplinate da regolamentazioni differenti rispetto a quelli dei Trattati. Il ruolo sulla politica economica è attribuito al Consiglio e al Consiglio Europeo, più modesto è l’intervento della Commissione e del Parlamento, in materia monetaria invece poteri incisivi sono riferiti alle autorità monetarie, le quali sono: la Banca Centrale Europea e il Sistema Europeo di Banche Centrali, i quali poteri sono contenuti sia nel TFUE che sullo Statuto contenuto nel Protocollo n.4. Il SEBC ha come obbiettivo il mantenimento della stabilità dei prezzi e i suoi compiti principali sono: definire e attuare la politica monetario dell’Unione, svolgere operazioni sui cambi, detenere e gestire le riserve ufficiali in valuta estera degli stati membri, promuovere il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento. Il BEBC non è un organo autonomo ma è composto dal BCE e dalle banche centrali nazionali ed è retto dagli organi decisionali della BCE. Ha sede a Francoforte. 35 La BCE è fornita di personalità giuridica e il suo apparato esercita le competenze in materia monetaria (emissione e governo dell’euro, art. 128 TFUE). I suoi organi sono: Consiglio direttivo (composto dai membri del Comitato esecutivo della BCE e dai governatori delle banche centrali nazionali degli Stati partecipanti all’euro) e Comitato esecutivo (formato da: Presidente, Mario Draghi, il vicepresidente, e 4 membri nominati tra le persone di riconosciuta levatura nel settore monetario, dal Consiglio europeo che delibera a maggioranza qualificata su raccomandazione del Consiglio pervia consultazione del Parlamento e del Consiglio direttivo BCE. Il mandato è di 8anni non rinnovabile. Il Comitato esecutivo svolge funzioni preparatorie ed esecutive rispetto al Consiglio direttivo e in particolare attua la politica monetaria determinate dal Consiglio direttivo. La BCE è un organo indipendente in modo da garantire la salvaguardia della stabilità dei prezzi per evitare inflazioni ed è anche per questo che le decisioni sulla politica monetaria vengono sottratte da ogni forma di condizionamento o pressione politica proveniente dalle diverse istituzioni. L’indipendenza non esclude né la partecipazione, infatti il Presidente del Consiglio e un membro della Commissione possono partecipare senza diritto di voto, alle riunioni del Consiglio direttivo. La BCE trasmette la relazione sulla BEBC e sulla politica monetaria al Parlamento- Consiglio- Commissione- Consiglio Europeo. Su richiesta o su iniziativa propria i membri del Comitato esecutivo e il Presidente possono essere ascoltati dalle commissioni competenti del Parlamento Europeo. La BCE svolge anche funzioni consultive alcune volte obbligatoriamente. Rilevante è il potere normativo, essa può emanare regolamenti, decisioni, raccomandazioni e pareri (che hanno le stesse caratteristiche in base all’art 288 TFU agli atti dell’Unione). Regolamenti, di portata generale, e decisioni sono direttamente applicabili a ciascuno Stato la cui moneta è l’euro. Va ricordato anche il Comitato economico e finanziario che svolge compiti consultivi e altri compiti indicati dall’art 134 par 2 TFUE. Il Comitato generale della BCE come terzo organo della BCE e compre: Presidente, Vice e I GOVERNATORI DELLA BANCHE CENTRALI NAZIONALI. 16. LA CORTE DEI CONTI Ultima istituzione da considerare è la Corte di Conti. Istituita dal Trattato di Bruxelles del 22-07-1975 per rispondere all’esigenza di assicurare un controllo finanziario esterno alle singole istituzioni. La presenza di quest’organo contribuisce ad una gestione finanziaria più trasparente in linea, anche, con gli sviluppi in senso democratico concerni la disciplina del bilancio. Oggi alla Corte dei Conti è riconosciuto lo status di istituzione ai sensi dell’art 13 TUE. Formata da individui esso è composto da un cittadino per ogni Stato membro, nominati per 6 anni dal Consiglio a maggioranza qualificata e su proposta di ciascuno Stato e su consultazione del Parlamento europeo. Sono scelti tra personalità che nel rispettivo Paese hanno fatto parte delle istituzioni di controllo esterno o che posseggono una qualifica specifica per tale funzione e che offrono maggior garanzia di indipendenza. L’art. 285 2° comma TFUE stabilisce: “i suoi membri esercitano le loro funzioni in piena indipendenza, nell’interesse generale dell’Unione”, mentre i loro obblighi sono previsti dall’art. 286 TFUE. I membri della Corte vengono sanzionati in caso di non adempimento. La funzione principale è di assicurare il controllo finanziario dell’Unione esaminando i conti di tutte le entrate e le spese, si tratta di un controllo di tipo esterno effettuato dalla Corte dei Conti nei confronti delle altre istituzioni. Il controllo riguarda la legittimità delle spese e si estende all’accertamento della sana gestione finanziaria. L’organo ha carattere formale ma anche di merito. Nell’esercizio delle sue funzione la Corte dispone di strumenti di indagine incisivi sia di controllo dei documenti sia di sopralluoghi presso gli uffici che gestiscono i conti delle entrate e speso di ogni istituzione. La Corte e le competenti autorità nazionali collaborano in uno spirito di reciproca fiducia pur mantenendo la loro indipendenza. La Corte inoltre assiste il Parlamento e il Consiglio nel controllo del bilancio. I risultati della funzione di controllo finanziario consistono: 1. nella dichiarazione di affidabilità dei conti (+ attestazione della legittimità e regolarità delle operazioni) che la Corte presenta la Parlamento e al Consiglio; 2. nella redazione generale annuale redatta dopo la chiusura di ogni esercizio finanziario e trasmessa successivamente alle altre istituzioni europee. Entrambe le redazioni sono sottoposte all’esame del Parlamento europeo al fine della delibera di discarico, con la quale esso dà atto alla Commissione dell’esecuzione del bilancio. La Corte dei Conti svolge anche una fase consultiva, ai sensi dell’art287 par 4 comma 2 essa può dare pareri su richiesta di una delle altre istituzioni dell’Unione, si tratta di pareri facoltativi nel senso che le altre istituzioni hanno la facoltà e non l’obbligo di richiederli, solo in qualche caso raro i pareri sono obbligatori esempio: art 325 par 2 TFUE: parlamento e Consiglio devono consultare la Corte per l’adozione della misure di prevenzione e di lotta contro le frodi che ledono gli interessi finanziari dell’Unione, in assenza di parere l’atto è invalido. La podestà consultiva può essere esercitata dalla Corte stessa su propri iniziativa. 17. GLI ORGANI AUSILIARI 36 I Trattati e gli atti di diritto derivato istituiscono numerosi altri organi, tra questi meritano una speciale menzione gli organi ausiliari che hanno carattere consultivo e che sono previsti dall’art. 13 par 4 TUE: “il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione sono assistiti da un Comitato economico e sociale e da un Comitato delle regioni, che esercitano funzioni consultive”. Entrambi gli organi sono composti da persone indipendenti dai governi degli Stati membri, come diversi gli interessi e le istanze che essi sono destinati a rappresentare. Il comitato economico e sociale secondo l’art. 300 par 2 TFUE: “è composto dai rappresentanti delle organizzazioni di datori di lavoro, di lavoratori dipendenti e di altri attori rappresentativi della società civile, in particolare nei settori socioeconomico, civico, professionale e culturale”. Questa commissioni è spesso riesaminata dal Consiglio, il loro numero non può essere superiore ai 350 (art. 301 1° comma TFUE), la sua composizione è determinata unanimemente dal Consiglio su proposta della commissione (302, 2° comma). Il numero dei membri, secondo una decisione del Consiglio, deve essere ripartito in maniera ponderata tra i vari Stati membri, è il loro mandato dura 5anni ed è effettuata dal Consiglio a maggioranza qualificata degli Stati membri previa consultazione della Commissione. Il Consiglio può chiedere il parere anche a delle organizzazioni rappresentative dei diversi settori economici e sociali e della società interessati all’attività dell’UE. L’art. 300 par 4 TFUE dichiara: “i membri del Comitato economico sociale non sono vincolati da alcun mandato imperativo. Essi esercitano le loro funzioni in piena indipendenza, nell’interesse generale dell’Unione”, quindi essi non sono rappresentanti degli Stati per i quali sono nominati. Il comitato si riunisce su convocazione del Presidente eletto dallo stesso Comitato o su richiesta del Parlamento Europeo, Consiglio o della Commissione. Il Comitato svolge la sua funzione tramiti pareri obbligatori o facoltativi, i primi devono esseri richiesti, a pena d’invalidità dell’atto successivamente emanato, dal Parlamento- Consiglio o Commissione (in questi casi i tre organi possono fissare al Comitato una data di scadenza che non deve essere inferiore ad un mese, trascorso il termine senza che il parere sia dati i tre organi deliberano anche in sua assenza), invece, i pareri facoltativi non solo sono quelli richiesti dal Parlamento europeo, dal Consiglio o dalla Commissione in tutti i casi che lo ritengono opportuno ma rientrano anche quelli emanati di iniziativa dal Comitato. Il Comitato delle regioni, invece, è stato istituito dal Trattato di Maastricht 1992 nell’intento di dare rappresentanza nell’UE alle autonomie locali tenendo conto che molto direttive incidono sugli interessi e competenze di questi enti. Numero e nomina sono analoghi al Comitato ma si aggiunge che essi non possono essere contemporaneamente anche dei parlamentari europei. La sua composizione è riesaminata a intervalli regolari dal Consiglio, art 300 par 5 TFUE. In conformità della decisione del 16-12-2014 2014/930/UE la composizione attuale è la stessa del Comitato economico e sociale. L’art 300 par 3 TFUE qualifica i membri del Comitato come rappresentanti delle collettività regionali e locali” ma nella realtà non c’è corrispondenza tra il numero dei membri e il numero degli enti locali esistente in ogni Stato. L’assenza di questa rappresentanza trova rimedio con il Trattato di Nizza del 2001 in virtù dei quali i componenti: “sono titolari di un mandato elettorale nell’ambito di una collettività regionale o locale, o politicamente responsabili dinanzi ad un’assemblea eletta” (art. 300 par 3). Questo vuol dire che essi devono rivestire un mandato assembleare o di governo in una regione o ente locale, questo requisito vale ai fini della nomina e deve durare per tutta la partecipazione. Il Comitato delle regioni emette pareri obbligatori o facoltativi. I primi sono prescritti per varie materie e di norma si richiede anche il parere del Comitato economico/sociale. Tra i pareri facoltativi ci sono i casi concerni la cooperazione transfrontaliera e i casi in cui le regioni ritengano ci siano interessi regionali specifici. Il Trattato di Lisbona ha riconosciuto a questo Comitato anche una limitata legittimazione di impugnare atti dell’UE dinanzi alla Corte di giustizia, una prima ipotesi è rivolta agli atti che mirano a salvaguardare le proprie prerogative, una seconda ipotesi consiste a impugnare un atto per violazione del principio di sussidiarietà solo per gli atti dove è obbligatoria la consultazione del Comitato. Altro organo consultivo è il Comitato per l’occupazione (150 TFUE), composto da due membri nominati da ogni Stato e due nominati dalla Commissione. Incaricato di seguire la situazione dell’occupazione e le politiche in materia, di formulare pareri su richiesta del Consiglio, Commissione o su propria iniziativa e di prepara i lavori del Consiglio sull’elaborazione degli orientamenti della politica di occupazione, della preparazione della relazione annuale della situazione dell’occupazione (148 TFUE). Tutti questi pareri sono in genere facoltativi tranne che per l’elaborazione degli orientamenti annuali in materia di occupazione. Nell’esercizio delle sue funzioni il Comitato è tenuto a consultare le parti sociale. Altro organi con funzioni consultive di carattere facoltativo, è il Comitato dei Trasporti, composto da esperti designati dagli Stati membri e istituito presso la Commissione Va ricordato anche il Comitato per la protezione sociale, organo con carattere consultivo composto da due membri nominati da ciascuno Stato e dalla Commissione ed incaricato di seguire la situazione sociale e lo sviluppo delle politiche di protezione sociale e di agevolare gli scambi di informazioni esperienze buone prassi tra gli Stati membri 37 Sono quindi gli Stati membri che determinano le modalità di riscossione degli oneri finanziari, che designano le autorità incaricate della riscossione e il giudice competente a conoscere le controversie in materia, purché tali modalità di riscossione non siano meno efficaci di quelle relative agli oneri finanziari nazionali. 2. I PRINCIPI RELATIVI AL BILANCIO La formazione del bilancio deve conformarsi ad alcuni principi stabiliti dall’art. 310, par. 1 TUE: ▲ Principio delle unità del bilancio: nel bilancio devono essere comprese tutte le entrate e le spese. Ci sono però delle eccezioni, come per quanto riguarda la PESC dove l’art.41 TUE dispone che le spese amministrative sono a carico dell’Unione a meno che il Consiglio non decida altrimenti. Anche le spese operative sono a carico dell’Unione a meno che il Consiglio all’unanimità disponga diversamente. In tal caso, allora, le spese operative saranno a carico degli Stati membri secondo un criterio di ripartizione basato sul prodotto nazionale lordo. Restano escluse dal bilancio dell’Unione, le spese derivanti dall’attuazione di una cooperazione rafforzata, le quali sono a carico dei soli Stati membri partecipanti (art. 332 TFUE); ▲ Principio dell’universalità del bilancio: l’insieme delle entrate deve coprire indistintamente l’insieme delle spese senza possibilità di destinare determinate entrate alla copertura di alcune spese specifiche; ▲ Principio dell’annualità: questo principio è confermato anche dall’art. 313 TFUE, il qualche dispone che: ‘’l’esercizio finanziario ha inizio il 1 gennaio e si chiude il 31 dicembre’’. Il bilancio deve contenere tutte le entrate e le spese previste per l’anno al quale si riferisce, ma si fa eccezione per i programmi o le azioni dell’Unione che sono destinate a realizzarsi in un arco di tempo pluriennale; ▲ Principio della specializzazione: risulta dall’art. 316, 2° e 3° comma TFUE. Le risorse del bilancio sono affidate alla gestione solo per gli scopi previsti dal bilancio stesso e per quelli precisati in modo dettagliato nelle linee del bilancio; ▲ Principio del pareggio: l’art. 310, par. 1, 3° comma TFUE, stabilisce che le entrate e spese devono risultare in pareggio. Ciò limita la possibilità di manovra delle istituzioni europee nell’approvazione del bilancio. Ciò comporta il divieto per l’Unione di ricorrere al prestito per coprire eventuali disavanzi. L’Unione prima di adottare degli atti deve assicurarsi che abbiamo una copertura finanziaria; a tal proposito si fa riferimento all’art. 310, par. 4 TFUE: per mantenere la disciplina del bilancio, l’Unione, prima di adottare atti che possono avere incidenze rilevanti sul bilancio, deve assicurare che le spese derivanti da tali atti possano essere finanziate entro i limiti delle risorse proprie dell’Unione e nel rispetto del quadro finanziario pluriennale di cui all’art. 312’’. ▲ Principio della buona gestione finanziaria: secondo l’art. 317 TFUE, a tale principio devono attenersi sia la Commissione che cura l’esecuzione del bilancio, sia gli Stati nel cooperare con la Commissione. Tale principio è precisato nell’art. 30 del regolamento finanziario del 25 ottobre 2012, il quale pone le c.d. ‘’3 e’’, cioè i principi economia, efficienza ed efficacia: • Secondo il principio di economiai mezzi impiegati sono resi disponibili nella qualità e nella quantità appropriate e al migliore prezzo • Secondo il principio di efficienzadeve essere ricercato il miglior rapporto tra mezzi impiegati e risultati conseguiti • Secondo il principio di efficacia devono essere raggiunti i specifici obiettivi fissati e conseguire i risultati attesi. L’art. 310, par. 3 TFUE prescrive espressamente che l’esecuzione di una spesa sia preceduta dall’adozione di un corrispondente atto obbligatorio: ‘’l’esecuzione di spese iscritte nel bilancio richiede l’adozione preliminare di un atto giuridicamente vincolante dell’Unione che dà fondamento giuridico alla sua azione e all’esecuzione della spesa corrispondente’’. In senso analogo è da ricordare l’art. 54 del regolamento finanziario del 25 ottobre 2012. 3. L’APPROVAZIONE E L’ ESECUZIONE DEL BILANCIO L’ approvazione del bilancio è disciplinata dall’art. 314 TFUE, il quale fa del Parlamento europeo e del Consiglio i due rami dell’autorità del bilancio. Il Trattato di Lisbona pone sullo stesso piano le due autorità di bilancio ed elimina la precedente distinzione tra spese obbligatorie e spese non obbligatorie. L’Art. 312 TFUE prescrive formalmente l’adozione di un quadro finanziario pluriennale: ‘’il quadro finanziario pluriennale mira ad assicurare l’ordinato andamento delle spese dell’Unione entro i limiti delle sue risorse proprie. È stabilito per un periodo di almeno cinque anni. Il bilancio annuale dell’Unione è stabilito nel rispetto di quello pluriennale’’. L’approvazione del bilancio annuale avviene ad opera del Parlamento e del Consiglio secondo una procedura legislativa speciale (art. 314 TFUE). 40 Procedimento di approvazione del bilancio annuale: ♦ entro il 1° luglio di ogni anno ciascuna istituzione elabora uno stato di previsione delle spese per il successivo anno finanziario; ♦ la Commissione raggruppa le previsioni in un progetto di bilancio, comprendente una previsione delle entrate e delle spese nel quale può fare anche previsioni divergenti rispetto a quelle elaborate dalle varie istituzioni; ♦ il progetto è proposto entro il 1° settembre al Parlamento e al Consiglio da parte della Commissione che può modificarlo fino all’eventuale convocazione di un comitato di conciliazione; ♦ il primo esame è fatto dal Consiglio che entro il 1° ottobre comunica al Parlamento la sua posizione motivandola; ♦ entro i successivi 42 gg il Parlamento si manifesta con l’adozione di emendamenti rispetto al progetto inviatogli; ♦ nel caso di emendamenti il progetto inviato è trasmesso al Consiglio altrimenti si apre una fase davanti al comitato di conciliazione (formato da rappresentanti del Consiglio e del Parlamento con la partecipazione della Commissione) che prende ogni iniziativa necessaria al riavvicinamento delle posizioni di Parlamento e Consiglio; ♦ il comitato entro 21gg deve giungere ad un accordo su un progetto comune altrimenti il progetto va considerato respinto e la Commissione deve sottoporre un nuovo progetto di bilancio; ♦ se in seno al Comitato si raggiunge un accordo Parlamento e Consiglio entro 14gg approvano il progetto comune; ♦ nel caso in cui il Parlamento approvi il progetto e ma il Consiglio lo respinga, c’è uno sbilanciamento a favore del Parlamento, che entro 14gg dal rigetto del Consiglio, deliberando a maggioranza dei 3/5 dei voti espressi può confermare gli emendamenti e approvare definitivamente il bilancio cioè nel testo della posizione del Consiglio come emendato dal Parlamento oppure nel testo risultante dal Comitato di conciliazione come emendato dal Parlamento; ♦ se invece il bilancio non viene adottato entro il 1°gennaio, le spese vengono erogate secondo il regime dei dodicesimi, in base al quale le spese effettuate mensilmente non possono superare un dodicesimo dei crediti aperti nel bilancio dell’esercizio precedente, né un dodicesimo di quelli previsti nel progetto di bilancio in preparazione; ♦ una volta che il bilancio sia stato adottato l’erogazione delle spese spetta alla Commissione coadiuvata dagli Stati membri ai quali è delegata in buona parte l’esecuzione del bilancio; ♦ la Commissione esegue il bilancio sotto il controllo finanziario della Corte dei conti, questa poi invia a Parlamento e Consiglio una dichiarazione di affidabilità dei conti e della legittimità e regolarità delle relative operazioni; ♦ la Corte dei conti redige anche una relazione annuale accompagnata dalle risposte delle istituzioni alle osservazioni della Corte; ♦ il controllo “politico” sull’attività amministrativa della Commissione spetta invece al Parlamento sulla base delle osservazioni della Corte dei conti e tale delibera è chiamata decisione di scarico che esprime l’approvazione sull’operato della Commissione (art. 319 TFUE). La decisione di scarico può essere accompagnata da osservazioni e la Commissione compie tutti i passi necessari per darvi seguito. Il Parlamento può ritardare o rifiutare la decisione di scarico, ma questo rifiuto non determina la dimissione obbligatoria della Commissione, visto che non è equiparabile alla mozione di censura (art. 234 TFUE). 4. L’ ADOZIONE DEGLI ATTI DELL’UNIONE EUROPEA Il secondo procedimento interistituzionale è quello relativo all’adozione degli atti dell’Unione. I Trattati prevedono una pluralità di procedimenti decisionali nei quali può variare il ruolo delle istituzioni, in particolari del Parlamento e del Consiglio, pertanto è il singolo articolo che di volta in volta stabilisce quale istituzione deve avere competenza ad adottare l’atto in questione. Per esempio può decidere che il Consiglio deliberi su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento, ovvero che il Consiglio deliberi secondo la procedura di cui all’Art. 294 TFUE, cioè in codecisione col Parlamento. Sebbene sussistano numerose varianti nei procedimenti di adozione degli atti dell’Unione, il Trattato di Lisbona ha cercato di stabilire tipologie generali di tali procedimenti. L’Art. 14 par.1 TUE dichiara infatti: ‘’il Parlamento esercita, congiuntamente al Consiglio, la funzione legislativa’’. L’art. 16, par. 1 TUE recita: ‘’il Consiglio esercita, 41 congiuntamente al Parlamento europeo, la funzione legislativa’’. Pertanto la funzione legislativa è subordinata ad una proposta formalmente presentata dalla Commissione, che quindi partecipa anch’essa a tale funzione legislativa. Il TFUE stabilisce una procedura legislativa ordinaria; a tal proposito si fa riferimento all’art. 289, par. 1: ‘’la procedura legislativa ordinaria consiste nell’adozione congiunta di un regolamento, di una direttiva o di una decisione da parte del Parlamento europeo e del Consiglio su proposta della Commissione. Tale procedura è definita dall’art. 294’’. Esistono poi procedure legislative speciali nelle quali viene meno quella perfetta simmetria di poteri tra Parlamento e Consiglio. Nella maggior parte dei casi nelle procedure speciali, il Consiglio riprende una posizione prioritaria sul Parlamento, il quale si limita ad un parere o ad una approvazione. Lo squilibrio di poteri a favore del Consiglio non risulta dall’art. 289, par. 2, TFUE in quanto dichiara che: ‘’nei casi specifici previsti dai Trattati, l’adozione di un regolamento, di una direttiva o di una decisione da parte del Parlamento europeo con la partecipazione del Consiglio o da parte di quest’ultimo con la partecipazione del Parlamento europeo costituisce una procedura legislativa speciale’’. Ci sono poi particolari materie nelle quali è esclusa radicalmente la possibilità di adottare atti legislativi; l’esempio classico è quello della PESC, infatti in tale materia il potere decisionale è concentrato nel Consiglio europeo o nel Consiglio, mente marginale è il ruolo della Commissione e del Parlamento dato che le proposte sono avanzate o dagli Stati membri o dall’Alto rappresentante. 5. LA PROPOSTA DELLA COMMISSIONE L’art. 17, par. 2 TUE prescrive che: ‘’un atto legislativo dell’Unione può essere adottato solo su proposta della Commissione, salvo che i Trattati non dispongano diversamente. Gli altri atti sono adottati su proposta della Commissione se i Trattati lo prevedono’’. Tale norma è confermata dall’art. 292 TFUE, secondo la quale il Consiglio: ‘’delibera su proposta della Commissione in tutti i casi in cui i Trattati prevedono che adotti atti su proposta della Commissione’’. Nella procedura legislativa ordinaria della “codecisione” ci deve esse una formale proposta da parte della Commissione, in assenza della quale non è possibile avviare la procedura. Il potere di iniziativa della Commissione può essere sollecitato dal Parlamento, dal Consiglio o da un milione di cittadini e lo stesso Consiglio può indicare alla Commissione i temi sui quali fondare la proposta. La proposta della Commissione va preparata non solo dopo le riflessioni della stessa Commissione, ma anche dopo segnalazioni, sollecitazioni, dialoghi con gli ambienti sociale e gruppi di interesse, che gli consente di tenere conto delle reali esigenze, delle aspettative degli ambienti sociali nei quali gli atti dell’Unione sono destinati a produrre effetti. Il potere esclusivo di proposta della Commissione è rafforzato dalla disposizione dell’art. 293, par. 1 TFUE: ‘’quando, in virtù dei Trattati, delibera su proposta della Commissione, il Consiglio può emendare la proposta solo deliberando all’unanimità, salvo nei casi in cui all’art. 294, par. 10 e 13, agli artt. 310, 312, 314 e all’art. 315, 2° comma’’. Questa disposizione fa notare che il Consiglio, può respingere la proposta della Commissione, laddove non si formi però, nello stesso Consiglio, la maggioranza richiesta per l’adozione in atto, ma la sua modificazione da parte del Consiglio non è possibile, ameno che non si deliberi all’unanimità. Anche il par. 2 della norma in esame rafforza il potere della Commissione nella fase di proposta, in quanto le consente di modificare la proposta, per renderla più accettabile a Parlamento e Consiglio e cercare di avere il consenso delle altre due istituzioni, che con lei, sono competenti nel processo decisionale. La Commissione può anche usare tale strumento per impedire al Consiglio l’adozione di un emendamento ad essa non gradito. 6. LA PROCEDURA LEGISLATIVA ORDINARIA In questa procedura si può notare un allineamento dei poteri del Parlamento rispetto al Consiglio, i quali hanno pari potestà legislativa. La procedura di codecisione è stata introdotta con il Trattato di Maastricht del 1992 ed è regolata dall’art. 294 TFUE. Con questa procedura avviene una duplice legittimità democratica, europea a livello del Parlamento e nazionale grazie alla responsabilità dei governi verso i parlamenti nazionali. La procedura di codecisione inizia dalla proposta della Commissione, che è inviata contemporaneamente sia al Parlamento che al Consiglio, così da favorire un confronto tra le due istituzioni. Su proposta della Commissione si apre una “Prima lettura” da parte di Parlamento e Consiglio. Il Parlamento adotta la sua decisione e la trasmette al Consiglio; se quest’ultimo l’approva l’atto è adottato nel testo convenuto dalle due istituzioni; in caso contrario il Consiglio adotta la sua posizione e la trasmette al Parlamento, informandolo delle motivazioni. A questo punto si apre la fase della “Seconda lettura” che può condurre ai seguenti risultati: 42 fatto che l’accordo sia aperto solo agli Stati. In questi casi può essere il Consiglio ad autorizzare gli Stati membri a firmare accordi purché tale competenza sia esercitata nell’interesse dell’Unione. Bisogna ricordare che dopo la modifica dello Statuto della Conferenza dell’Aja di diritto internazionale privato, con una decisione del Consiglio del 5 ottobre 2006 l’Unione ha deliberato di aderire alla Conferenza. 11. LA PROCEDURA DI STIPULAZIONE DEGLI ACCORTDI DELL’UNIONE E I LORO EFFETTI GIURIDICI. IL PARERE DELLA CORTE DI GIUSTIZIA L’art. 218 TFUE prevede il procedimento generale che, nelle materie rientranti nella PESC, inizia con una raccomandazione della Commissione o dell’Alto rappresentante rivolta al Consiglio affinché autorizzi l’avvio dei negoziati. Il Consiglio detiene i principali poteri nella stipulazione degli accordi, in quanto autorizza l’avvio dei negoziati, definisce le direttive di negoziato, autorizza la firma e conclude gli accordi, designa il negoziatore e il capo della squadra di negoziato. Il negoziatore agisce sotto il controllo dello stesso Consiglio che gli impartisce le direttive. La decisione di concludere l’accordo spetta al Consiglio nel quale si concentra la competenza stipulare in nome dell’Unione. Per quanto riguarda il sistema di votazione il Consiglio delibera di regola a maggioranza qualificata oppure all’unanimità nei settori in cui è richiesta l’unanimità per l’emanazione di atti sul piano interno. Per quanto riguarda il ruolo del Parlamento, questo si esprime, a seconda dei casi, con la sua preventiva approvazione o consultazione mentre resta estraneo nel settore della PESC. Ai sensi dell’art. 218, par. 6, l’approvazione del Parlamento europeo è richiesta nei casi seguenti: ▲ Accordi di associazione; ▲ Accordo sull’adesione dell’Unione alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali; ▲ Accordi che creano un quadro istituzionale specifico organizzando procedure di cooperazione; ▲ Accordi che hanno ripercussioni finanziarie considerevoli per l’Unione; ▲ Accordi che riguardano settori ai quali si applica la procedura legislativa ordinaria oppure la procedura legislativa speciale qualora sia necessaria l’approvazione del Parlamento europeo. In merito alle categorie di accordi che hanno ripercussioni finanziarie per l’Unione la decisione del Consiglio è subordinata alla consultazione obbligatoria del Parlamento europeo. Per quanto riguarda l’eventuale sospensione dell’accordo, la decisione spetta al Consiglio, su proposta della Commissione o dell’Alto rappresentante mentre non è previsto alcun ruolo del Parlamento europeo. Gli accordi internazionali dell’Unione sono subordinati al rispetto delle disposizioni dei Trattati, pertanto è richiesto il parere alla Corte di giustizia in modo da verificare la compatibilità tra il contenuto dell’accordo e quello dei Trattati (art. 218, par. 11 TFUE). Un accordo non può essere stipulato se incompatibile con i Trattati e quindi non ha la forza giuridica per modificare gli stessi. Per quanto riguarda gli effetti giuridici, gli accordi internazionali vincolano le istituzioni dell’Unione e gli Stati membri (art. 216, par. 2 TFUE). L’obbligatorietà degli accordi conclusi dall’Unione per gli Stati membri determina una efficacia degli stessi per tali Stati, senza bisogno di alcun atto statale di firma o ratifica, poiché rappresenta un semplice adempimento di un obbligo interno derivante dal diritto dell’Unione del quale l’accordo è parte integrante. Gli accordi misti, essendo parte integrante dell’ordinamento dell’Unione, la Corte di Giustizia può esercitare le proprie competenze come quella interpretativa e quella relativa alla procedura di infrazione. L’equiparazione degli accordi puramente dell’Unione e degli accordi misti sembra limitata però alle disposizioni di quest’ultimi che riguardano materie rientranti nella competenza dell’Unione. 45 CAPITOLO VII LE FONTI DELL’ORDINAMENTO DELL’UNIONE EUROPEA 1. CARATTERI GENERALI L’ordinamento giuridico dell’UE è riconducibile ad una pluralità di fonti. In prima posizione abbiamo il TUE e il TFUE, i quali hanno il medesimo valore giuridico; sullo stesso piano si collocano i Protocolli e gli Allegati che costituiscono parte integrante dei Trattati. Il TUE e il TFUE prevedono un sistema di fonti di diritto derivato (regolamenti, direttive, decisioni che rappresentano gli Atti Obbligatori che le istituzioni europee hanno il potere di emanare). Tra i Trattati e le fonti di diritto derivato sussiste un rapporto gerarchico, nel senso che le seconde sono subordinate ai primi. La subordinazione si può desumere dai principi generali concernenti i rapporti tra Trattati istitutivi. Le fonti secondarie non possono modificare o abrogare le disposizioni contenute nei Trattati istitutivi, in effetti la subordinazione risulta espressa dall’art. 263, 2° comma TFUE, il quale dichiara l’invalidità e di conseguenza l’annullamento degli atti dell’UE per violazione dei Trattati. È chiaro che la validità e l’efficacia degli atti di diritto derivato dell’Unione sono subordinate al rispetto dei Trattati e che quest’ultimi si pongono in un rango gerarchicamente subordinato nei confronti di tali atti. Il quadro generale del sistema delle fonti dell’UE è difficile da cogliere, in quanto non esiste di regola una gerarchia tra le fonti di diritto derivato (salvo ad esempio il caso di atti derivati di portata generale) e non è possibile nemmeno rinvenire alcun rapporto gerarchico tra gli atti tipici dell’UE, i quali vanno posti sul medesimo piano sia se si concretizzano in atti a portata generale che in atti diretti a specifici destinatari. A proposito della forza giuridica i Trattati non operano alcuna distinzione tra gli atti adottati a procedura legislativa ordinaria, a procedura speciale e a procedura adottata dal Consiglio senza consultazione del Parlamento. Per quanto riguarda il valore giuridico, si devono definire la pluralità di atti atipici che sono previsti dai Trattati. Il sistema del diritto dell’Unione viene arricchito da una serie di altre fonti, quali gli accordi conclusi dalla stessa con Stati terzi o Organizzazioni internazionali, il diritto internazionale e i principi generali del diritto dell’UE; il loro rango all’interno dell’ordinamento è individuato dall’interprete. 2. I TRATTATI SULL’UNIONE EUROPEA E SUL FUNZIONAMENTO DELL’UNIONE EUROPEA I Trattati formalmente sono soggetti alle regole di diritto internazionale generale, concernenti la loro conclusione, la validità, l’efficacia e la loro interpretazione. È frequente che la giurisprudenza della Corte di giustizia affermi che i Trattati rappresentano la costituzione dell’Unione, visto che da un punto di vista sostanziale essi danno vita ad un nuovo ente stabilendo i suoi fini istituzionali, le regole di funzionamento, l’apparato istituzionale, e i poteri. Il carattere costituzionale è accentuato dal presupposto che i Trattati danno vita ad un Ente sovranazionale, a favore del quale gli Stati membri hanno rinunciato, in settori limitati, della loro sovranità. Attraverso l’interpretazione giurisprudenziale della Corte di giustizia sono stati ampliati i poteri dell’UE, creando i c.d. poteri impliciti, che sono utilizzati dalla stessa in modo da raggiungere i propri scopi; è stato affermato anche un metodo storico-evolutivo l’interpretazione dichiarando che: ‘’ogni disposizione va interpretata alla luce dell’insieme delle disposizioni su suddetto diritto (interpretazione sistematica) delle sue finalità (interpretazione teleologica) e del suo stadio di evoluzione al momento in cui va data applicazione alla disposizione di cui tratta (interpretazione evolutiva)’’. Va inoltre ricordato che i lavori preparatori possono essere utili all’interpretazione e che essa dev’essere uniforma nell’intera area europea. Si è cercato di individuare dei principi sovranazionali i quali non sarebbero modificabili neppure mediante il procedimento dell’art. 48 TUE (revisione dei Trattati); alla luce di diverse pronunce i valori denominati dell’art. 2 TUE e i principi sulle competenze della Corte di giustizia dell’UE vengono a collocarsi in una posizione gerarchicamente sovra-ordinata rispetto al complesso delle disposizioni dei Trattati. Questa posizione cerca di tutelare da un lato ogni modifica dei Trattati, dall’altro l’applicazione di accordi internazionali pre-esistenti che possono pregiudicare i valori e i principi in questione. 3. L’EFFICACIA DIRETTA DELLE DISPOSIZIONI DEI TRATTATI 46 Le disposizioni dei Trattati sono idonei ad attribuire agli individui diritti soggettivi. Qualora tali disposizioni abbiano un contenuto chiaro, preciso e incondizionato, esse sono munite di efficacia diretta; tale efficacia implica che le disposizioni attribuiscono agli individui diritti che essi possono esercitare nell’ambito dell’ordinamento degli Stati membri e per la cui tutela possono agire in via giudiziaria dinanzi ai Tribunali statali. L’attribuzione di questi diritti avviene in modo diretta e automatica, a prescindere dalla volontà dello Stato membro interessato (es. divieto di discriminazione per ragione di razionalità – art. 18 TFUE); detta attribuzione fu riconosciuta per la prima volta nel caso Van Gend en Loos (pone un obbligo degli Stati ma non si esclude che essa attribuisca un corrispondente diritto al singolo). L’efficacia diretta rappresenta non solo un mezzo per rafforzare la tutela dei singoli, ma anche uno strumento ulteriore di garanzia di rispetto del diritto dell’UE; in quanto successivamente in altre sentenze la Corte ha soggiunto che l’obbligo degli Stati membri di rispettare i diritti soggettivi nascenti dai Trattati non riguarda solo i poteri legislativi e non può essere interpretato nel senso di escludere l’intervento dell’autorità giudiziaria per l’applicazione diretta dei Trattati. Il giudice nazionale si pone così come il giudice naturale dell’applicazione del diritto dell’Unione. Il Trattato di Lisbona ha dato un ulteriore riconoscimento normativo al principio dell’efficacia diretta stabilendo all’art. 19, par. 1, 2° comma TUE: ‘’gli Stati membri stabiliscono i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’UE’’. L’efficacia diretta può essere riconosciuta a cominciare dalla Carta dei diritti fondamentali; tale carattere è di rilevanza interpretativa che riguarda il contenuto chiaro, preciso ed incondizionato e la sua idoneità a conferire diritti soggettivi ai singoli. L’efficacia diretta si distingue dall’applicabilità diretta, la quale esprime il carattere attraverso il quale numerose disposizioni sono applicabili all’interno degli Stati membri senza bisogno di un atto statale di esecuzione o di adattamento; questo dipende dal contenuto chiaro, preciso ed incondizionato. L’efficacia diretta, invece, pone in evidenza il profilo soggettivo riguardante il diritto dei singoli nascente da una norma e la sua azionabilità immediata dinanzi al giudice nazionale. Spesso i due concetti tendono a sovrapporsi, per questo è importante la chiarezza, la precisione e l’incondizionalità. L’efficacia diretta di una disposizione di Trattati opera nei rapporti tra singoli e Stati membri, o singoli ed enti pubblici, in questo caso si parla di effetti diretti verticali; quest’effetto sorge sia nei casi in cui espressamente i trattati attribuiscono ai singoli un diritto che gli Stati sono tenuti a rispettare sia quando il diritto è riconoscibile in corrispondenza ad un obbligo diretto formale agli stati membri. Questo effetto può essere fatto valere nei confronti della P.A. Nel caso in cui essa si rifiuti di sollevare il diritto, l’interessato potrà rivolgersi all’autorità giudiziaria per ottenere tutele. Le disposizioni dei Trattati sono invocabili anche nei rapporti tra privati e in questo caso si parla di effetti diretti orizzontali, tale efficacia è stata riconosciuta dalle sentenze della Corte. Questo riconoscimento comporta non solo diritti ai singoli ma anche degli obblighi. L’individuazione di tali effetti dipende dall’interpretazione, la quale deve preferirsi più ampia possibile. 4. I PRINCIPPI GENERALI DELL’UNIONE EUROPEA I principi generali costituiscono un'altra categoria di fonti frutto della giurisprudenza della Corte di giustizia. Non si fa riferimento ai principi espressi nelle disposizioni dei trattati, che aventi carattere generale rappresentano il contenuto dei trattati e quindi considerati di diritto primario ma i principi generali del diritto dell'Unione a cui si fa riferimento hanno un’origine pretoria e non scritta, poiché non derivano da specifiche disposizioni, ma da una giurisprudenza sostanzialmente creativa della Corte di giustizia. Alcuni principi sono dichiarati dalla Corte sulla base di una riflessione che essa compie in merito ai caratteri propri dell'ordinamento dell'Unione (come il principio dell'effetto diritto tratta dalla sentenza Van Gend en Loos).Altri sono stati proclamati partendo da specifiche disposizioni dei trattati e visti espressione di principi di più vasta portata ( esempio principio leale cooperazione, stabilito dall'art 10, è apparso alla Corte come manifestazione di un principio generale applicabile non solo nei rapporti tra gli Stati membri ma anche ai rapporti fra le istituzioni europee e tra essi e gli Stati membri. Altre volte la Corte giunge all'affermazione di principi generali a seguito di un raffronto tra gli ordinamenti degli stati membri (questo è il caso dei diritti fondamentali che sono entrati a far parte del diritto dell'Unione grazie alla giurisprudenza). Infine la Corte considera principi generali del diritto dell'Unione i principi che trovano la loro fonte nella logica giuridica o in esigenze di giustizia sostanziale e che in quanto tali appaiono di carattere universale vigenti in ogni ordinamento (esempio principio di certezza del legittimo affidamento). Non è facile individuare la loro precisa collocazione poiché la Corte non se ne è preoccupata tuttavia si afferma che la Corte li desume dai caratteri generali, da specifiche disposizioni, da norme di logica giuridica, di giustizia sostanziale o ricavati comparazione degli ordinamenti degli Stati membri, sono usate come parametro di legittimità degli atti e si pongono quindi ad un livello gerarchicamente superiore al diritto 47 riguarda il risultato da raggiungere, salvo restando la competenza degli organi nazionali in meriti alla forma e ai mezzi. La decisione è obbligatoria in tutti i suoi elementi. Se designa i destinatari è obbligatoria soltanto nei confronti di questi”. Come chiarito la giurisprudenza dalla Corte di giustizia, l’identificazione dell’atto non va fatta in base al nomen iuris (denominazione ufficiale) ma in considerazione del suo contenuto e dei suoi caratteri sostanziali. Tale opera di identificazione determina la definizione dei suoi effetti obbligatori e la sua impugnabilità da parte di persone fisiche e giuridiche dinanzi al giudice europeo. La legittimazione di tali persone a chiedere l’annullamento di atti dell’Unione è limitata, di regola, alle decisioni prese nei lori confronti. Il Trattato di Lisbona ha dato anche la definizione, all’art 289 par 3 TFUE, di atto legislativo: “gli atti giuridici adottati mediante procedura legislativa sono atti legislativi”, in questo modo si identificano come atti legislativi i soli regolamenti, direttive e decisioni, quando siano adottati con procedura legislativa ordinaria o speciale. L’art. 296 2°comma dichiara: “gli atti giuridici sono motivati e fanno riferimento alle proposte, iniziative, raccomandazioni, richieste o pareri previsti dai Trattati”. La motivazione è condizione di validità in quanto la sua assenza rappresenta un’ipotesi di violazione delle forme sostanziali, suscettibile di determinare l’invalidità dell’atto e il suo conseguente annullamento. L’obbligo di motivazione è diretto a consentire alla Corte di esercitare il proprio controllo, ripercorrendo così l’iter logico seguito dalle istituzioni e in modo da far conoscere agli interessati le ragioni del provvedimento adottato, anche al fine di tutelare i propri diritti. La motivazione deve riguardare il rispetto del principio di sussidiarietà, essa, peraltro, non deve necessariamente indicare tutti gli elementi di fatto e di diritto presi in considerazione ma il suo accertamento deve, secondo dichiarazione della Corte, essere effettuato alla luce non solo del suo tenore, ma anche del suo contesto e del complesso delle norme giuridiche che disciplinano la materia. La motivazione di regola è contenuta nei “considerando”, i quali precedono la parte dispositiva contenuta nei suoi articoli, inoltre, essi hanno solo un valore interpretativo e non normativo. Legato all’obbligo di motivazione si ha l’obbligo di indicare la base giuridica dell’atto, cioè la disposizione dei Trattati che conferisce il corrispondente potere di emanare l’atto in questione. L’indicazione può essere espressa purché sia desumibile con chiarezza da altri elementi dell’atto stesso. Tale obbligo si riconduce alla certezza del diritto. L’indicazione della base giuridica dell’atto consente di stabilire l’efficacia di tale atto e di valutare la sua legittimità. La scelta dell’una o dell’altra base giuridica deve fondarsi su elementi oggettivi verificabili in via giudiziaria. È possibile, che in relazione a tali elementi oggettivi più disposizioni dei Trattati si prestino a dare fondamento giuridico all’atto, esempio quando l’atto persegua scopi diversi, in questi casi va tenuto conto della possibilità che uno scopo rivesta una posizione principale e l’altro una accessoria e va privilegiata di conseguenza la base giuridica che corrisponde alla componente principale: Sentenza 14-04-2005 dichiara che: “ se l’esame di un atto dell’Unione dimostra che persegue una duplice finalità o che ha una doppia componente, una principale o preponderante e l’altra accessoria, l’atto deve fondarsi su una sola base giuridica in base alla finalità principale o preponderante”. Quando non sia possibile individuare una componente principale cioè quando l’atto riguarda due o più materia contemplate dai Trattati occorre che l’atto si fondi su tutte le disposizioni rilevanti e abbia quindi i requisiti da essa prescritti. Non sempre, però, tale applicazione cumulativa è possibile. Può accadere che le disposizioni in questione contemplino differenti procedimenti di adozione di un atto, uno per esempio, la consultazione obbligatoria del Parlamento europeo e l’altro la procedura legislativa ordinaria di codecisione. In proposito la Corte di giustizia ha affermato: “in via eccezionale, qualora sia accertato che l’atto persegue più scopi tra loro inscindibili, senza che l’uno sia secondario e indiretto rispetto all’altro, tale atto dovrà fondarsi sulle diverse basi giuridiche corrispondenti. Tuttavia, il cumulo di due basi giuridiche è escluso quando le procedure previste dalle rispettive norme siano compatibili”. Il criterio di scelta è rappresentato dalla base giuridica che contempla il procedimento che garantisce in misura maggiore le prerogative del Parlamento europeo. L’individualizzazione della specifica disposizione in base alla quale emanare un atto vale anche a stabilire quale tipo di atto può essere adottato dalle istituzioni nel settore contemplato dalla predetta disposizione. Spesso le norme dei Trattati prevedono, infatti, gli atti che possono essere adottati, ed in questi casi, non può essere emanato un atto differente da quelli previsti, regola enunciata dall’art 296 3° comma TFUE. Può accadere che la disposizione applicabile non rechi alcuna indicazione sul tipo di atto da adottare. In queste ipotesi è stabilito dalle istituzioni, decidendo di volta in volta e nel rispetto delle procedure applicabili e del principio di proporzionalità, regola stabilita dall’art 296 1° comma TFUE. In questo caso la scelta delle istituzioni non è libera ma deve rispettare i principi importanti prescritti dalla norma in considerazione ora. Il problema sull’individuazione della base giuridica dell’atto da emanare si pone nei rapporti tra le disposizioni di carattere generale concernenti i poteri, le procedure e gli atti adottabili relative alla politica estera e di sicurezza comune, il carattere intergovernativo di questa materia implica una ripartizione tra le competenze delle istituzioni europee e la previsione di procedimenti decisionali profondamente diversi rispetto al quadro generale risultante dalle 50 altre disposizioni dei Trattati. Si rileva che l’individuazione della base giuridica di un atto della PESC determina l’adozione di atti differenti da quelli tipici dell’Unione con decisioni prese all’unanimità dal Consiglio europeo e Consiglio con ruolo marginale del Parlamento e con l’esclusione di regola dal controllo giudiziario della Corte di giustizia. Un problema simile si poneva nei rapporti fra i pilastri della stessa Unione, il Trattato sull’Unione a questo proposito recava la specifica disposizione dell’art 47, esso mostrava che le politiche e le forme di cooperazione previste dal Trattato sull’Unione europea dovevano attuarsi nel rispetto delle competenze istituzionali e del sistema normativo propri del diritto comunitario. Ciò significa che l’impiego degli strumenti previsti nei due pilastri non comuni era consentito solo qualora la materia non ricadesse nella disciplina del Trattato sulla Comunità europea e nelle competenze contemplate. Il quadro normativo cambia a seguito del Trattato di Lisbona, l’art 40 TUE, esso pone sullo steso piano le competenze dell’Unione previste dalle disposizioni di carattere generale e quelle contemplate dalle disposizioni “specifiche” relative alla politica estera e di sicurezza comune. I rapporti fra tali competenze sono delineati come rapporti di reciproco rispetto: la PESC non può invadere il campo delle competenze generali dell’Unione, così come l’esercizio di quest’ultime non può invadere l’ambito proprio della PESC. Di fronte a questo nuovo rapporto si deve applicare il criterio della individualizzazione di una componente principale dell’atto ai fini della sua collaborazione su una determinata base giuridica nell’ambito della PESC o delle competenze generali dell’Unione. Quando sia possibile rinvenire nell’atto da emanare una componente principale ed una accessoria, la previsione di un rapporto reciproco e di pari rispetto tra le competenze generali dell’Unione e la PESC non contente di affermare alcune preferenza per l’applicazione delle disposizioni relative, rispettivamente, alle competenze generali o alla PESC. L’azione cumulativa è esclusa data la differenza tra l’emanazione dei due tipi di atti, l’unica soluzione è quella di emanare due atti distinti. L’art 297 TFUE reca disposizioni riguardati la firma e le forme di pubblicità: per quanto riguarda la firma, gli atti adottati secondo la procedura legislativa ordinaria sono firmati dal Presidente del Parlamento europeo e dal Presidente del Consiglio. Quelli adottati con procedura legislativa speciale sono firmati dal Presidente dell’istituzione che li ha adottati. Gli atti non legislativi adottati sotto forma di regolamenti, direttive o decisioni sono firmati dal Presidente dell’istituzione che li ha adottati. Per quanto riguarda, invece, le forme di pubblicità e le condizioni per l’entrata in vigore degli atti dell’Unione lo stesso art 297 TFUE dispone che tutti gli atti legislativi sono pubblicati nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea ed entrano in vigore alla data da essi stabilita oppure in mancanza di data il 20° giorno successivo alla pubblicazione. Solo per serie ragioni un atto può entrare in vigore lo stesso giorno della pubblicazione. Per quanto concerni le direttive rivolte a taluni Stati membri sono notificate ai loro destinatari ed entrano in vigore in virtù di tale notificazione, in genere pubblicati nella serie L della Gazzetta ufficiale mentre la serie C comprende altri atti per cui la validità non è prescritta la pubblicazione, comunicazione e atti preparatori. Gli atti obbligatori possono contenere sanzioni pecuniarie nei confronti di persone fisiche o giuridiche, in queste ipotesi essi hanno efficacia di titolo esecutivo, dichiarato dall’art 299 comma 1° TFUE. La formula esecutiva è appostata dall’autorità nazionale designata da ciascuno Stato membro (in Italia il Ministro per gli affari esteri), la quale verifica solo l’autenticità del titolo. L’esecuzione forzata è regolata dalle norme di procedura civile vigenti nello Stato nel cui territorio è effettuata; peraltro tale esecuzione forzata può essere sospesa solo dalla Corte di giustizia dell’Unione. 10. I REGOLAMENTI Il regolamento ha portata generale, è obbligatorio in tutti i suoi elementi ed è direttamente applicabile in ciascuno degli stati membri. Emergono così i tre caratteri distintivi di tale atto, che ne mettono in luce la natura normativa: 1. La generalità, 2. L’integrale obbligatorietà; 3. La diretta applicabilità. L’analogia con la legge statale è confermata dalla forma di pubblicità, cioè dalla pubblicazione in una raccolta 0 2 B Cufficiale quale la gazzetta dell Unione europea, richiesta per la sua entrata in vigore. ◆ la portata generale del regolamento implica che esso si applichi ad una fattispecie denita in termini generali e astratti e si rivolga, pertanto, ad una serie indeterminata di destinatari, conferendo ad essi diritti o obblighi giuridici → tale carattere differenzia il regolamento dalla decisione, la quale, al pari del primo, è integralmente obbligatoria, almeno nella sua originaria connotazione, quando, cioè, è rivolta verso specici destinatari predeterminati. Il giudice europeo (1962) ha affermato che: “il regolamento ha portata generale ed è direttamente applicabile in ciascuno stato 51 membro, mentre la decisione è obbligatoria solo per i destinatari. La caratteristica essenziale della decisione consiste nella limitatezza dei destinatari ai quali è diretta, mentre il regolamento, che ha natura essenzialmente normativa, è applicabile non già a un numero limitato di destinatari, indicati espressamente oppure facilmente individuabili, bensì ad una o più categorie di destinatari determinate astrattamente e nel loro complesso”. Per la qualificazione di un atto quale regolamento risulta quindi decisivo che i suoi destinatari vengano individuati sulla base di elementi oggettivi e non, al contrario, sulla base di qualità personali. In quest’ultimo caso l’atto, pur emanato nella forma di un regolamento, dovrà considerarsi come una pluralità di decisioni individuali. Più problematica è la distinzione dei regolamenti rispetto a quelle decisioni che non designano i destinatari e, pertanto, spiegano effetti integralmente obbligatori verso una pluralità indeterminata di destinatari. Ormai frequentemente l’unione europea emana regolamenti volti a stabilire misure contro specifiche persone siche o giuridiche: un esempio è rappresentato dal congelamento di capitali e di altre risorse finanziarie di governanti o persone sospettate di terrorismo → in questo caso, pur pregiudicando in maniera individuale i soggetti colpiti da tali misure, il regolamento non perde la sua natura giuridica di atto di portata generale. Come ha chiarito il tribunale, “regolamenti siffatti, pur avendo uno specifico oggetto, cioè le misure contro determinate persone, si rivolgono ad una generalità indeterminata di destinatari, in quanto vietano a chiunque di mettere a disposizione di tali persone capitali o risorse finanziarie, e restano, pertanto, atti di portata generale”. La generalità del regolamento non va intesa, poi, come implicante necessariamente la sua applicazione in tutti gli stati membri → è, infatti, possibile che un regolamento sia emanato con riguardo ad un solo stato, o che abbia una sfera territoriale limitata di applicazione. ◆ la seconda caratteristica del regolamento risiede nella sua obbligatorietà integrale (“in tutti i suoi elementi”); essa differenzia tale atto dalla direttiva, la quale ha una obbligatorietà limitata al risultato da raggiungere, mentre gli stati membri destinatari conservano la libertà di stabilire mezzi e forme dirette ad assicurare tale risultato. Come risulta 0 2 B Cdalla giurisprudenza della corte di giustizia, data l integrale obbligatorietà dei regolamenti “è inammissibile che uno 0 2 B Cstato membro applichi in modo incompleto o selettivo un regolamento dell Unione”. ◆ la terza caratteristica del regolamento è data dalla sua applicabilità diretta (o immediata) negli stati membri → 0 2 B Cin tale diretta applicabilità, si manifesta l aspetto essenziale della sopranazionalità. 0 2 B CI regolamenti, infatti, esprimono la capacità dell Unione europea di produrre una normativa che, superando il diaframma statuale, raggiunge direttamente i consociati, creando per essi diritti e obblighi giuridici, e si impone a qualsiasi autorità, giudiziaria o amministrativa, che sia chiamata ad applicarla. 0 2 B CL’applicabilità diretta comporta che i regolamenti acquistano efcacia giuridica all interno degli stati membri al 0 2 B Cmomento stesso in cui, a seguito della pubblicazione nella gazzetta ufciale dell Unione europea, essi entrano in 0 2 B C 0 2 B Cvigore ai sensi dell ordinamento dell Unione, senza che detti stati nulla debbano fare per dare attuazione agli stessi, e nulla possano fare per impedire tale efcacia anzi atti statali che fossero pur solo riproduttivi dei regolamenti, sarebbero vietati. In proposito, la corte di giustizia ha dichiarato illegittima la prassi secondo la quale alcuni stati usavano emanare atti legislativi interni volti a dare attuazione ai regolamenti, il cui testo veniva riprodotto in tali atti statali, sostenendo che 0 2 B C“l efcacia diretta del regolamento implica che la sua entrata in vigore e la sua applicazione nei confronti degli amministrati non necessitano di alcun atto di ricezione nel diritto interno”. Tale prassi, infatti, ▲ Contrasta con la diretta applicabilità dei regolamenti, ▲ Può pregiudicarne la simultanea entrata in vigore in tutti gli stati membri, in quanto l’atto legislativo interno può determinare l’entrata in vigore del regolamento spostandola al momento di entrata in vigore dell’atto statale, ▲ Finisce per celare la natura europea della norma, camuffandola in legge statale. Il carattere direttamente applicabile dei regolamenti non esclude che possano essere necessari o, comunque, opportuni, ulteriori atti di esecuzione dell’unione → è frequente che rispetto ad un regolamento diretto a disciplinare una data materia seguano regolamenti di esecuzione, adottati dal consiglio o dalla commissione. In via eccezionale il 0 2 B Cregolamento può richiedere perno un attività statale di esecuzione → ciò accade quando il regolamento non sia pienamente self-executing, non contenga, cioè, una disciplina del tutto esaustiva e richieda la determinazione di taluni elementi necessari per la sua pratica applicazione. In tali casi: ■ Il regolamento può prevedere le misure che gli stati membri devono adottare. ■ Il regolamento può contenere l’obbligo di emanare tali misure. L’applicabilità diretta dei regolamenti non significa soltanto che essi penetrano negli ordinamenti degli stati membri senza bisogno di alcun atto di adattamento, ma anche che essi sono idonei a creare diritti a favore dei singoli e obblighi a loro carico. In altri termini, essi sono produttivi di effetti diretti, sia nei rapporti “orizzontali”, cioè tra 52 Per quanto riguarda le decisioni rivolte a specifici destinatari, tali destinatari possono essere sia stati membri (eccezionalmente anche tutti gli stati membri), sia persone siche o giuridiche. Sempre riguardo alle decisioni particolari, è proprio la presenza di destinatari specifici che consente di distinguere tali decisioni dai regolamenti che, invece, hanno una portata generale in quanto si rivolgono a una serie indefinita di destinatari. Per quanto riguarda le decisioni che non designano i destinatari, esse restano in ogni caso obbligatorie in tutti i loro elementi → i primi commenti al trattato di Lisbona comprendono in questa categoria vari tipi di decisioni: • Quelle che hanno quale oggetto la composizione di date istituzioni o altri organi, come le decisioni del consiglio europeo sulle formazioni e sulla presidenza del consiglio, o, quella del consiglio europeo sulla composizione del parlamento europeo. • Alcuni autori ricomprendono tre le decisioni prive di designazione di specifici destinatari, anche decisioni sostanzialmente normative di portata generale che, nella prassi, si erano diffuse già anteriormente al trattato di Lisbona per la previsione della disciplina di dettaglio di materie regolate da un regolamento o da una direttiva; altri autori, invece, escludono tale possibilità, rilevando che decisioni di portata generale si confonderebbero con i regolamenti. • È stato affermato che le decisioni prive di specifici destinatari comprenderebbero le decisioni in materia di politica estera e di sicurezza comune. 0 2 B CL innovazione introdotta dal trattato di Lisbona rischia di dare vita a un quadro estremamente eterogeneo e alquanto confuso: • Per le decisioni relative alle composizioni di istituzioni o organi dell’unione, la qualificazione di atti obbligatori in tutti i suoi elementi non sembra la più appropriata trattandosi di decisioni che hanno natura di atto organizzativo e che non creano obblighi a carico di alcun soggetto. • La prassi successiva al Lisbona sembra smentire l’inclusione di tali atti tra le decisioni ex art. 288, 4° comma. • Solamente le decisioni di portata generale e di contenuto sostanzialmente normativo sembrano rientrare nella qualifica di atto obbligatorio in tutti i suoi elementi, che non designa i destinatari ma resta difficile distinguere tali decisioni dai regolamenti. 0 2 B CPer quanto riguarda gli effetti integralmente obbligatori delle decisioni, l art. 288, 4° comma, omette qualsiasi indicazione in merito alla eventuale diretta applicabilità della decisione: 1. Considerato che essa è obbligatoria i tutti i suoi elementi, qualora sia indirizzata a stati dipenderà dal contenuto della decisione stessa stabilire se essa richieda o meno l’emanazione di atti statali di esecuzione. 2. Ma, in principio, dato il suo carattere tendenzialmente completo (derivante dalla obbligatorietà in tutti i suoi elementi), deve presumersi che la decisione sia direttamente applicabile all’interno dello stato destinatario → su questa linea la giurisprudenza sent. 21 maggio 1987, albako. 3. Applicabili senza bisogno di atti statali sono poi le decisioni indirizzate a persone siche o giuridiche → esse possono contenere delle sanzioni di natura pecuniaria che hanno il valore di titolo esecutivo. 4. La corte ha affermato la possibilità che anche le decisioni producano effetti diretti, nella sentenza 6 ottobre 1970 grad. Riguardo al carattere solo “verticale” (invocabilità del diritto da parte del singolo nei confronti dello stato) e anche 0 2 B C“orizzontale” (nei rapporti tra privati) dell effetto diretto, è da ritenere che, in principio, la decisione sia invocabile nei rapporti sia con i poteri pubblici che tra i privati. Infatti, tale carattere non si fonda, come per le direttive, sulla 0 2 B Cnecessità di tutelare i singoli contro l inadempienza dello stato e di sanzionare tale inadempienza; ma esso è il riesso del contenuto tendenzialmente self-executing e completo della decisione, insito nel fatto che essa è obbligatoria in tutti i suoi elementi e non contempla una sfera di discrezionalità degli stati, o, in genere, dei destinatari → di diverso parere la corte che, nella sentenza 7 giugno 2007 carp, ha affermato che la decisione è obbligatoria nei soli confronti degli stati e non se ne possono ricavare obblighi a carico dei privati. 13. LE RACCOMANDAZIONI E I PARERI Contemplate dall’art. 288, 5° comma TFUE che si limita ad affermare che non sono vincolanti. È da ritenere che: • La raccomandazione sia una manifestazione di volontà con cui l’istituzione emanante chiede al destinatario di tenere la condotta raccomandata. • Il parere è una manifestazione di giudizio, dal quale è assente l’intento di sollecitare il destinatario a tenere un certo comportamento. 55 0 2 B CL art. 292 TFUE attribuisce al consiglio e alla commissione un potere generale di adottare raccomandazioni, mentre dichiara che la banca centrale europea adotta raccomandazioni nei casi specici previsti dai trattati. Determinate disposizioni dei trattati conferiscono il potere di emanare atti del genere anche ad altre istituzioni ed organi. 0 2 B CÈ poi diffusa l opinione che tutte le istituzioni avrebbero una competenza generale ad adottare raccomandazioni. La 0 2 B Cstessa corte di giustizia ha affermato che “le raccomandazioni sono in genere adottate dalle istituzioni dell Unione quando queste non dispongono, in forza del trattato, del potere di adottare atti obbligatori o quando ritengono che non vi sia motivo di adottare norme più vincolanti”. La raccomandazione può avere quali destinatari: • Un’istituzione; • Stati membri; • Persone siche o giuridiche. 0 2 B CSebbene priva di effetti obbligatori, la raccomandazione fa parte del diritto dell Unione –>ricade nella competenza pregiudiziale della corte di giustizia, ai sensi dell’art. 267 TFUE. Talune disposizioni attribuiscono effetti giuridici (peraltro non vincolanti) a date raccomandazioni: 1. Per esempio, se uno stato non si conforma alle raccomandazioni della commissione volte ad evitare che la normativa che tale stato intenda emanare provochi una distorsione alla concorrenza, non si potrà chiedere agli altri stati membri di modicare le loro disposizioni nazionali per eliminare tale disposizione. 2. Le raccomandazioni del consiglio che definiscono gli indirizzi di massima per le politiche economiche degli stati membri e dell’unione o quello volte a far cessare il disavanzo pubblico eccessivo, possono determinare la pubblicità delle stesse raccomandazioni e, riguardo all’eccessivo disavanzo, può preludere alle decisioni di misure di infrazione. La corte di giustizia, inoltre, ha dichiarato, nella sentenza Grimaldi del 1989, che le raccomandazioni sono produttive di un effetto giuridico, consistente nel dovere dei giudici nazionali di prenderle in considerazione nella decisione delle cause ad essi sottoposte. 0 2 B CBisogna poi attribuire alle raccomandazioni dell Unione l’effetto giuridico c.d. di liceità, generalmente riconosciuto alle raccomandazioni dalle organizzazioni internazionali → ossia che la condotta di uno stato il quale, per adeguarsi alla raccomandazione, violi un proprio obbligo giuridico, deve considerarsi lecita nell’ambito dell’unione europea: la raccomandazione rende lecito un comportamento che, in mancanza della raccomandazione, sarebbe illecito, poiché contrario ad un obbligo giuridico. Per quanto riguarda i pareri, è incerto che rientrino nella categoria enunciata i pareri interorganici, la cui efcacia giuridica dipende dal procedimento nel quale si inseriscono. I pareri in questione sono piuttosto le manifestazioni di giudizio, di opinione, che la commissione, o altre istituzioni, possono emanare in una data materia o nei confronti di 0 2 B Cspecici destinatari. Nonostante l assenza di obbligatorietà dei pareri, talora speciche disposizioni dei trattati prevedono conseguenze giuridiche in caso di inosservanza: ad esempio il parere motivato che la commissione può emettere sulla violazione di un obbligo derivante dai trattati da parte di uno stato membro, la cui inosservanza può comportare il deferimento dello stato alla corte di giustizia (artt. 258, 259 TFUE). Deve tenersi poi conto della possibilità che, sotto il nomen iuris di parere, si celi un atto di diversa natura, quale una decisione, idonea ad incidere sulla sfera giuridica del destinatario. La problematica, che si ricollega al criterio 0 2 B Cgenerale, secondo il quale gli atti dell Unione vanno identicati sulla base del loro carattere sostanziale, ha una 0 2 B C 0 2 B Cspecica rilevanza per quanto riguarda l impugnabilità dell atto dinanzi alla corte di giustizia, inammissibile per i pareri, consentita, invece, per le decisioni → ad esempio la corte ha qualificato come decisione un atto considerato parere dalla commissione con cui quest’ultima aveva comunicato a certe imprese l’inapplicabilità per il futuro delle disposizioni che sospendevano l’applicazione delle norme sulle ammende. Tuttavia, la riconduzione di un apparente parere alle categorie delle decisioni, implica anche il suo assoggettamento ai requisiti di validità e di efficacia prescritti per tali atti. 14. GLI ATTI ATIPICI Gli atti adottabili dall’UE non contemplati nell’art. 288 TFUE sono denominati atipici. Essi comprendono un’estrema varietà di figure, non sempre provviste di effetti giuridici, e rappresentano, specie quelli nati dalla prassi, ma privi di alcuna previsione normativa, un elemento di incertezza giuridica, che può anche pregiudicare un’adeguata tutela giudiziaria dei singoli, sovente ignari della loro natura e dei loro effetti giuridici → opportunamente, quindi, l’art. 296,3° TFUE dispone che, in presenza di un progetto di atto legislativo, le istituzioni europee si astengano dall’adottare atti non previsti nel settore interessato. 56 Prescindendo dagli atti che, inserendosi in un procedimento interistituzionale non hanno una loro autonomia, ci limitiamo, pertanto, a raggrupparli in tre categorie: 1. Atti espressamente previsti da disposizioni dei trattati che hanno a medesima denominazione di uno di 0 2 B Cquelli tipici contemplati dall art. 288 TFUE, ma caratteri giuridici differenti → per esempio, i regolamenti interni delle varie istituzioni e organi. Talvolta anche le norme dei regolamenti interni di altre istituzioni possono avere una rilevanza esterna. È quanto ha affermato il tribunale di primo grado nella sentenza 27.2.92, con riguardo alla violazione di un articolo del regolamento interno della commissione, che disponeva l’autenticazione degli atti della stessa con la firma del presidente e del segretario esecutivo. Il tribunale ha riconosciuto che tale violazione poteva essere invocata in giudizio al fine di impugnare un atto della commissione: bisogna distinguere tra le disposizioni del regolamento interno di una istituzione, la cui violazione non può essere invocata dalle persone fisiche e giuridiche poiché riguardano solo le modalità di funzionamento interno, da quelle la cui violazione può essere invocata dato che esse fanno sorgere diritti e sono fattore di certezza del diritto per tali persone. Sfuggono poi dalla definizione fornita dall’art. 288, le direttive che il consiglio può impartire al negoziatore, in vista della conclusione di accordi internazionali (art. 218 par.4 TFUE). Vanno infatti considerate atipiche le direttive che non hanno portata generale e contenuto normativo. Atipici sono anche gli atti per i quali il termine decisione è usato come sinonimo di risoluzione ed il cui contenuto non è obbligatorio in tutti i suoi elementi 2. Atti espressamente previsti da disposizioni dei trattati e aventi denominazioni (e caratteri) diversi da quelli tipici → 0 2 B C 0 2 B Cnon inquadrabili tra quelli deniti nell art. 288. La materia dell Unione monetaria offre esempi di atti del consiglio, volti ad accettare se gli stati membri soddisno le condizioni per il passaggio 0 2 B Call adozione della moneta unica; quello del presidente del parlamento europeo con il quale constata che il bilancio è denitivamente adottato; i programmi di azione in materia ambientale, con le connesse misure di attuazione, i programmi pluriennali di cooperazione allo sviluppo, le misure di incentivazione nei riguardi 0 2 B Cdegli stati membri nel settore dell occupazione, in materia di istruzione, ecc; gli atti che stabiliscono tali misure possono qualicarsi come risoluzioni operative, in quanto le istituzioni, adottandoli, regolano la propria attività nei vari settori. Merita una specifica notazione la previsione di accordi interistituzionali tra il parlamento europeo, il consiglio e la commissione. Sul piano generale: • L’art. 17 par. 1 TUE assegna alla commissione il compito di avviare il processo di programmazione annuale e pluriennale dell’unione per giungere ad accordi interisituzionali. • L’art. 295 TFUE, dopo aver previsto che il parlamento europeo, il consiglio e la commissione si consultano reciprocamente e definiscono insieme le modalità di cooperazione, dichiara che a tale scopo, nel rispetto dei trattati, possono concludere accordi interistituzionali che possono assumere carattere vincolante. La prassi offre un vasto quadro di accordi interistituzionali conclusi tra il parlamento, il consiglio e la commissione spesso designati con denominazioni ulteriori, quali dichiarazioni comuni, scambi di lettere etc. Essi si rinvengono in tema di procedimenti normativi, di bilancio, di diritti fondamentali, di principi democratici e di sussidiarietà → la materia è anche oggetto della dichiarazione n. 3 allegata al trattato di Nizza, relativa all’art. 10 del TCE, che afferma che il consiglio, il parlamento e la commissione, nel quadro del dovere di leale collaborazione, possono concludere accordi interistituzionali che non possono modificare né completare le disposizioni del trattato e possono essere conclusi unicamente con l’accordo di queste 3 istituzioni. Per quanto riguarda gli effetti obbligatori, sembra che l’accordo interistuzionale sia suscettibile di produrre effetti obbligatori quando ciò corrisponda alla volontà delle istituzioni che l’hanno concluso. 3. Atti non contemplati da alcuna disposizione dei trattati e nati dalla prassi, 0 2 B C per i quali l assenza di qualsiasi disposizione, che ne costituisca specico fondamento, rende particolarmente problematica 0 2 B Cl individuazione dei loro effetti, che possono avere, a seconda dei casi, valore giuridico o meramente politico → per quanto riguarda gli atti a rilevanza esterna, diretti, cioè, a soggetti diversi dalle istituzioni europee, possono considerarsi, per esempio, le numerose risoluzioni che tali istituzioni sono solite emanare in varie materie e che, di regola hanno un valore solo politico, così come le conclusioni sovente adottate dal consiglio. Non è da escludere, tuttavia, che in certi casi, atti del genere possano produrre effetti giuridici. Varie e numerosi sono gli atti a rilevanza esterna della commissione, quali libri verdi, libri bianchi, conclusioni, lettere, comunicazioni (talvolta denominate linee-guida, orientamenti, codici di condotta ecc.). Essendo 0 2 B Cpacica la loro subordinazione ai trattati (come per gli atti dell Unione in genere), il fondamento del valore vincolante delle suddette comunicazioni sembra risiedere, da un lato, nel principio di certezza del diritto, 0 2 B C 0 2 B Cdall altro, nella tutela del legittimo degli interessati, come risulta dal riferimento all accettazione degli stati 57 CAPITOLO VIII LE COMPETENZE GIUDIZIARIE 1. PREMESSA “La comunità economica europea è una comunità di diritto nel senso che né gli stati membri che ne fanno parte né le sue istituzioni sono sottratte al controllo della conformità dei loro atti alla carta costituzionale di base costituita dal trattato” → Corte di giustizia, sent. 23 aprile 1986, causa 294/83, Les Vertes c. Parlamento. Ai sensi dell’art. 19 par. 1, 1° comma TUE, il sistema giudiziario dell’Unione prende il nome di Corte di giustizia dell’Unione europea, la quale assicura il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei trattati. In base al principio di leale collaborazione (art. 4 par. 3 TUE), i giudici nazionali sono tenuti, nello svolgimento delle loro funzioni, a garantire l’esecuzione degli obblighi derivanti dai trattati → Il compito dei giudici nazionali è 0 2 B C 0 2 B Cribadito espressamente dall art. 19, par. 1, 2° comma, TUE. Nei confronti di detti giudici l art. 267 TFUE istituisce uno strumento di cooperazione con la Corte di giustizia, consistente nella competenza pregiudiziale (o di rinvio) di quest’ultima. Spesso la Corte ha anche svolto un ruolo di supplenza nei confronti delle istituzioni pubbliche, segnando, con alcune sue sentenze storiche, delle svolte nell’evoluzione del diritto dell’Unione. Anteriormente al Trattato di Lisbona, la distinzione della costruzione europea nei tre pilastri si rietteva anche sulla competenza della Corte di giustizia. L’eliminazione dei pilastri e l’unicazione delle diverse competenze nel quadro unitario dell’Unione europea effettuate dal Trattato di Lisbona, non hanno determinato una estensione delle 0 2 B Ccompetenze giudiziarie all’intero campo di azione dell Unione → tali competenze si applicano anche nelle materie rientranti in precedenza nel terzo pilastro (cooperazione di polizia e giudiziaria penale), ma la loro piena applicazione a tali materie è rinviata di cinque anni in base a talune disposizioni transitorie ex protocollo 36 art. 10. Ai sensi dell’art. 276 TFUE, la Corte di giustizia dell’Unione Europea non è competente a esaminare la validità o la proporzionalità di operazioni condotte dalla polizia o da altri servizi incaricati dell’applicazione della legge di uno stato membro o l’esercizio delle responsabilità incombenti agli stati membri per il mantenimento dell’ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza interna → sono cioè sottratte al sindacato della Corte una sfera di materie attinenti a interessi essenziali di ciascuno stato membro e riservate alla sua competenza esclusiva. Riguardo la politica estera e di sicurezza comune (II pilastro), la regola resta l’incompetenza della Corte di giustizia 0 2 B C 0 2 B Cdell Unione europea → l art. 275 TFUE dichiara che: “la Corte di giustizia dell’Unione europea non è competente per quanto riguarda le disposizioni relative alla politica estera e di sicurezza comune, né per quanto riguarda gli atti adottati in base a dette disposizioni. Tuttavia, la Corte è competente a controllare il rispetto dell’articolo 40 del trattato sull’Unione europea e a pronunciarsi sui ricorsi, proposti secondo le condizioni di cui all’articolo 263, quarto comma del presente trattato, riguardanti il controllo della legittimità delle decisioni che prevedono misure restrittive nei confronti di persone siche o giuridiche adottate dal Consiglio in base al titolo V, capo 2 del trattato sull’Unione europea”. Riguardo alle due eccezioni contemplate al 2° comma: 1. 0 2 B C(art. 40 TUE) riguarda il controllo sul rispetto, da parte delle istituzioni dell Unione, delle competenze 0 2 B Cgenerali dell Unione e può condurre all’annullamento di un atto emanato ai sensi delle disposizioni sulla PESC in materia nelle quali si sarebbe dovuto adottare un atto in forza delle disposizioni generali dei Trattati. 2. si riferisce agli atti in materia di PESC che stabiliscono misure restrittive (per esempio, il congelamento dei beni, risorse economiche) a carico di privati: essi sono soggetti al controllo di legittimità che la Corte di 0 2 B C 0 2 B C 0 2 B Cgiustizia dell Unione esercita, in via generale, sugli atti dell Unione ai sensi dell art. 263 TFUE e che, in presenza dei motivi di illegittimità previsti da tale norme, può condurre al loro annullamento. 2. IL RIPARTO DI COMPETENZE TRA LA CORTE DI GIUSTIZIA E IL TRIBUNALE Le loro competenze sono ssate in base alle norme dei Trattati, integrate da quelle dello Statuto della Corte di giustizia 0 2 B Cdell Unione europea. Alla luce di tali norme, alcune competenze sono attribuite al Tribunale e le sue sentenze possono essere oggetto di ricorso alla Corte di giustizia; altre competenze, invece, sono riservate alla Corte di giustizia e, quindi, per esse non sussiste un doppio grado di giurisdizione. 0 2 B CL art. 256, par. 1, 1° comma, TFUE, dichiara che ‘’il Tribunale è competente a conoscere in primo grado dei ricorsi di cui agli articoli 263, 265, 268, 270 e 272, ad eccezione di quelli attribuiti a un tribunale specializzato istituito in applicazione dell’articolo 257 e di quelli che lo Statuto riserva alla Corte di giustizia. Lo Statuto può prevedere che il Tribunale sia competente per altre categorie di ricorsi” → gli articoli menzionati riguardano: • 0 2 B Cla competenza di annullamento egli atti dell Unione (art. 263 TFUE), • il ricordo c.d. in carenza (art. 265 TFUE), 60 • 0 2 B Cl azione di risarcimento danni contro l’Unione (art. 268 TFUE), • le controversie tra l’Unione e i suoi agenti (art. 270 TFUE, demandate, peraltro, al Tribunale della funzione pubblica), • la competenza attribuita in virtù di una clausola compromissoria contenuta in un contratto di diritto pubblico 0 2 B Co di diritto privato stipulato dall Unione per suo conto (art. 272 TFUE). 0 2 B CIn base all art. 51 dello Statuto della Corte, peraltro, alla Corte di giustizia sono riservati, in principio, i ricorsi 0 2 B Cprevisti dagli articoli 263 e 265 (rispettivamente, di annullamento e in carenza) proposti da un istituzione 0 2 B Cdell Unione, nonché quelli proposti da uno Stato membro contro il Parlamento, il Consiglio o entrambi che statuiscano congiuntamente, con l’eccezione dei ricorsi statali contro decisioni del Consiglio, contro atti del Consiglio in forza di un regolamento concernente misure di difesa commerciale, contro atti del Consiglio con cui questo esercita competenze di esecuzione, ricorsi che entrano quindi nella competenza del Tribunale. Sono riservati alla Corte di 0 2 B Cgiustizia, ai sensi dello stesso art. 51, 1° comma, lett. b), anche i ricorsi di Stati membri conto un atto un astensione 0 2 B Cdal pronunciarsi della Commissione; a parte quest ultima ipotesi, quindi, restano nella competenza del Tribunale i ricorsi fondati sugli articoli 263 e 265, diretti contro atti (o omissione) della Commissione. La ripartizione di competenze fra Tribunale e Corte di giustizia dunque: 1. 0 2 B Csi basa solo in parte sull oggetto del ricorso; 2. per il resto, in materia di ricorsi di annullamento e in carenza, essa si fonda su elementi soggettivi e, più precisamente, sulla circostanza che il ricorrente sia una persona sica o giuridica (nel qual caso è sempre 0 2 B Ccompetente il Tribunale), oppure un istituzione (con conseguente competenza esclusiva della Corte), oppure uno Stato membro, i cui ricorsi rientrano, di regola, nella competenza della Corte, ma in quella del Tribunale 0 2 B Cse diretti contro la Commissione o contro il Consiglio nei casi contemplati dall art. 51, 1° comma lett. a), dello Statuto della Corte. 0 2 B CLe altre competenze giudiziarie non menzionata dall art. 256 TFUE ricadono nella competenza della Corte di giustizia (che si pronuncia, quindi, in un unico grado di giudizio) → di grande importanza, al riguardo, è la procedura di infrazione contro gli Stati membri, per violazione degli obblighi derivanti dai Trattati, che può essere messa in moto dalla Commissione o fa uno Stato membro e che resta riservata alla competenza della Corte di giustizia. Anteriormente al Trattato di Nizza del 2001 era di esclusiva competenza della Corte di giustizia anche la competenza pregiudiziale (o di rinvio) → “il Tribunale non è competente a conoscere delle questioni pregiudiziali”. La modica 0 2 B Cdi Nizza, confermata dal Trattato di Lisbona, consente l attribuzione al Tribunale di tale competenza, ma solo in materie speciche determinate dallo Statuto → “il tribunale è competente a conoscere delle questioni pregiudiziali, sottoposte ai sensi dell’art. 267, in materie specifiche determinate dallo statuto” (art. 256 TFUE). È questa una disposizione abilitante dal momento che demanda allo statuto della Corte la determinazione di tali materie. Alla sola Corte di giustizia spetta poi la competenza consultiva in merito alla compatibilità di un accordo previsto 0 2 B Cdall Unione con i Trattati. Le competenze rispettive del Tribunale e della Corte di giustizia sono previste talvolta anche da atti di diritto derivato. Le competenze conferite alla Corte e al Tribunale sono di carattere tassativo (o, meglio, sono espressione di una 0 2 B Ccompetenza di “attribuzione” all Unione) → “fatte salve le competenze attribuite alla Corte di giustizia dell’Unione europea dai trattati, le controversie nelle quali l’Unione sia parte non sono, per tale motivo, sottratte alla competenza delle giurisdizioni nazionali” (art. 274 TFUE). Oggi in base al protocollo n. 7, l’Unione non gode di immunità dalla giurisdizione degli stati membri. Ad esempio, è consentito esperire contro di essa una azione dinanzi al giudice nazionale per un inadempimento contrattuale. Tuttavia per procedere ad esecuzione forzata contro l’Unione occorre l’autorizzazione della Corte di giustizia. 3. LA ‘’LITISPENDENZA’’ TRA LA CORTE DI GIUSTIZIA E IL TRIBUNALE E L’IMPUGNAZIONE DELLE SENTENZE DI TALE TRIBUNALE In date materie il Tribunale e la Corte di giustizia hanno entrambi competenza e questa si ripartisce solo in considerazione del ricorrente → É quindi possibile che si pongano casi di litispendenza, cioè, è possibile che lo stesso caso sia sottoposto, da diversi ricorrenti, ad ambedue i giudici. È possibile inoltre che, pur ricadendo i casi sottoposti ai due giudici in distinte competenze, essi presentino lo stesso problema interpretativo o di validità di un atto. 0 2 B CSi tratta, in queste ipotesi, di stabilire in quale modo coordinare i due processi, per garantire l unità del diritto 0 2 B C 0 2 B Cdell Unione e la nuova amministrazione della giustizia ed evitare contraddizioni di sentenze → l art. 54, 3° comma, dello Statuto della Corte prevede le ipotesi in cui “la Corte e il Tribunale sono investiti di cause che abbiano lo stesso 61 oggetto, sollevino lo stesso problema d’interpretazione o mettano in questione la validità dello stesso atto”. In tali casi possono darsi tre soluzioni, sulla base del prudente apprezzamento dei giudici investiti delle cause: 1. il Tribunale, ascoltate le parti, può sospendere il procedimento sino alla pronuncia della Corte → per tale via, è garantito il doppio grado di giurisdizione, rispetto al caso sottoposto al Tribunale, ma, di fatto, quest’ultimo si sentirà vincolato dalla pronuncia della Corte. 2. Quando si tratti di ricorsi di annullamento, il Tribunale può declinare la propria competenza affinché la Corte statuisca sui ricorsi → è così favorita una decisione celere, ma con sacrificio del doppio grado di giurisdizione. 3. È la Corte a sospendere il procedimento, proseguendo, invece, quello dinanzi al Tribunale → questa soluzione garantisce il doppio grado di giurisdizione, ma presenta l’inconveniente di rallentare i tempi della giustizia. 0 2 B C 0 2 B CInne, lo stesso art. 54, 4° comma, stabilisce che, quando uno Stato membro ed un istituzione dell Unione impugnino lo stesso atto, il Tribunale declina la propria competenza a favore della Corte. Una seconda questione che si pone è quella delle condizioni e degli effetti di una impugnazione dinanzi alla Corte delle sentenze del Tribunale → 0 2 B C L art. 256, par. 1, 2° comma, TFUE, stabilisce che ‘’le decisioni emesse dal Tribunale possono essere oggetto di impugnazione dinanzi alla Corte di giustizia per i soli motivi di diritto e alle condizioni ed entro i limiti previsti dallo statuto”. L’impugnazione delle sentenze del tribunale quindi non comporta un riesame ma solo la valutazione di eventuali vizi giuridici nella sentenza → ciò è confermato dallo stesso statuto della Corte “l’impugnazione proposta dinanzi alla Corte di giustizia deve limitarsi ai motivi di diritto. Essa può essere fondata su motivi relativi all’incompetenza del Tribunale, a vizi della procedura dinanzi al Tribunale recanti pregiudizio agli interessi da parte ricorrente, nonché alla 0 2 B Cviolazione del diritto dell Unione da parte del Tribunale”. 0 2 B CLa Corte ha affermato che un impugnazione non può limitarsi a riproporre gli argomenti addotti nel giudizio di primo grado, ma deve essere motivata in base a vizi di diritto della sentenza → es. ordinanza del presidente della Corte 21 febbraio 2002 “l’atto di impugnazione deve indicare in modo preciso gli elementi criticati della sentenza di cui si chiede l’annullamento nonché gli argomenti di diritto presentati a specifico sostegno di tale domanda”. Inoltre il ricorrente non può sollevare dinanzi alla Corte motivi nuovi, rispetto al procedimento di primo grado, tali da implicare la portata della controversia decisa dal Tribunale: “consentire ad una parte di sollevare per la prima volta dinanzi alla Corte un motivo che essa non abbia dedotto dinanzi al Tribunale equivarrebbe a consentirle di sottoporre 0 2 B Calla Corte, la cui competenza in materia d impugnazioni è limitata, una controversia più ampia di quella di cui sia stato investito il Tribunale”. (sent. Corte 1 febbraio 2007) Alla Corte è preclusa, invece, qualsiasi riesame delle questioni di fatto, il cui accertamento e la cui valutazione spettano esclusivamente al Tribunale. Dalla giurisprudenza della Corte può per ricavarsi un’eccezione a tale principio quando l’accertamento dei fatti o la valutazione delle prove risultino palesemente erronei, in particolare nel caso di “snaturamento dei fatti”. Tale snaturamento sussiste quando la valutazione dei mezzi di prova disponibili risulta, in modo evidente, inesatta → sent. 18.2.07 “tale snaturamento sussiste quando senza dover assumere nuove prove, la valutazione dei mezzi di prova disponibili risulta, in modo evidente, inesatta”. Per quanto riguarda la fondatezza del ricorso, va sottolineato che se l’eventuale vizio di diritto risulti ininuente ai ni del dispositivo della sentenza del Tribunale il ricorso è respinto. Le decisioni del Tribunale possono essere impugnate nel termine di due mesi a decorrere dalla loro notica. 0 2 B CLegittimata all impugnazione è qualsiasi parte che sia rimasta parzialmente o totalmente soccombente. 0 2 B C 0 2 B CL impugnazione può essere presentata anche dagli Stati membri e dalle istituzioni dell Unione, pur se non siano affatto intervenuti nel giudizio di primo grado → Tale legittimazione è fondata, quindi, su un interesse oggettivo al rispetto della legalità, riconosciuto a questi soggetti. Se l’impugnazione è accolta, la Corte annulla la decisione del Tribunale → Essa, quindi, può rinviare la causa al Tribunale affinché decida, in conformità della decisione resa dalla Corte sui punti di diritto; o, qualora lo stato degli atti lo consenta, cioè quando i fatti siano stati sufficientemente accertati nel giudizio di primo grado, la Corte può trattenere la causa e decidere nel merito. Il Trattato di Nizza del 2001, confermato dal Trattato di Lisbona, ha introdotto il nuovo istituto del riesame, da parte della Corte di giustizia: 1. sia per le sentenze emanabili dal Tribunale qualora gli fosse attribuita una competenza pregiudiziale; 2. sia per quelle rese sulle impugnazioni di sentenze dei tribunali specializzati (attualmente, del Tribunale della funzione pubblica). 62 • Ai sensi dell’art. 114, par. 9, TFUE in materia di ravvicinamento delle legislazioni; • Ai sensi dell’art. 348 TFUE riguardo alluso abusivo, da parte di uno Stato membro, delle misure di sicurezza concernenti la produzione o il commercio di armi, munizioni e materiale bellico e a quelle prese nell’eventualità di gravi agitazioni interne, di guerra, di grave tensione internazionale o per il mantenimento della pace e della sicurezza sociale. A parte questi casi, solo dopo la scadenza del termine ssato dalla Commissione, senza che lo Stato interessato si sia conformato al parere motivato, la stessa Commissione può adire la Corte di giustizia → essa ha un potere pienamente discrezionale in merito alla presentazione o meno del ricorso alla Corte di giustizia e alla determinazione del momento in cui presentarlo (art. 258 del trattato e sentenza 27/11/1990). In ogni caso le motivazioni della commissione sono sottratte a qualsiasi sindacato giurisdizionale. Qualora la Commissione adisca la Corte di giustizia il processo deve invece necessariamente concludersi con il giudizio sull’inadempimento dello Stato, senza che rilevino né l’adempimento (tardivo) dello Stato, né il riconoscimento da parte dello Stato convenuto, del proprio inadempimento → il giudizio della Corte è rigorosamente riferito al comportamento dello Stato quale risulta al momento della scadenza del termine fissato nel parere motivato e la Corte non può tener conto dei mutamenti successivi. Secondo la Corte, infatti, malgrado l’adempimento post termine da parte dello stato, sussiste l’interesse a far dichiarare la sua violazione → la sentenza può avere pratica rilevanza come fondamento della responsabilità eventualmente incombente allo stato membro, a causa dell’inadempimento, nei confronti di altri stati membri, della comunità o dei singoli. La Corte, in attesa della sentenza, può emanare provvedimenti provvisori (ai sensi dell’art. 279 TFUE) con i quali, per esempio, può prescrivere allo Stato convenuto la sospensione dell’applicazione di una data legge o di una certa prassi. 6. SEGUE. I RICORSI PROMOSSI DA STATI MEMBRI Ai sensi dell’art. 259,1 TFUE “ciascuno degli Stati membri può adire la Corte di giustizia dell’Unione europea quando reputi che un altro Stato membro ha mancato a uno degli obblighi a lui incombenti in virtù dei trattati” → Il ricorso dello Stato non richiede uno specico interesse ad agire, se non l’interesse obiettivo al rispetto dei Trattati. La norma va posta in relazione con l’art. 344 TFUE “Gli stati membri si impegnano a non sottoporre una controversia relativa all’interpretazione dei trattati a un modo di composizione diverso da quelli previsti dai trattati stessi”. Di conseguenza uno Stato membro che ritenga un altro Stato membro responsabile di violazioni dei Trattati è tenuto a rivolgersi alla sola Corte, non ad altri procedimenti di regolamento delle controversie disponibili → tale disposizione riguarda l’intero diritto dell’Unione, come affermato dalla Corte di giustizia nella sent. 30 maggio 2006, causa Commissione c. Irlanda. La procedura di infrazione promossa da uno Stato membro contempla una fase precontenziosa con un coinvolgimento della Commissione → ex 2° e 3° comma art. 259, TFUE “uno Stato membro, prima di proporre contro un altro Stato membro un ricorso fondato su una pretesa violazione degli obblighi che a quest’ultimo incombono in virtù dei trattati, deve rivolgersi alla Commissione. La Commissione emette un parere motivato dopo che gli Stati interessati siano posti in condizione di presentare in contraddittorio le loro osservazioni scritte e orali”. L’esperimento della fase precontenziosa è, anche in questo caso condizione di ricevibilità del ricorso alla Corte ma la Commissione: 1. Pone lo Stato accusato e quello attore nella condizione di esercitare le proprie difese instaurando il contraddittorio fra tali Stati; 2. Pur essendo indispensabile che lo Stato attore si rivolga alla Commissione (essendo, in mancanza, il ricorso irricevibile), quest’ultima non può precludere a tale Stato di promuovere la fase contenziosa dinanzi alla Corte. Infatti, in base al 4° comma dell’articolo in esame, “qualora la Commissione non abbia formulato il parere nel termine di tre mesi dalla domanda, la mancanza del parere non osta alla facoltà di ricorso alla Corte”. Malgrado il Trattato preveda solo l’ipotesi di assenza del parere entro tre mesi, al fine di consentire allo Stato attore di adire la Corte, è da ritenere che il ricorso sia proponibile anche qualora il parere emesso sia favorevole allo Stato convenuto ed esprima il convincimento della Commissione circa l’inesistenza della violazione → è avvenuto nel 2010 quando la commissione su una richiesta dell’Ungheria contro la Slovacchia ha ritenuto l’inadempimento della Slovacchia inesistente. L’Ungheria ha comunque proposto ricorso alla Corte che lo ha esaminato nel merito e, pur respingendolo, ha potuto chiarire che il procedimento istituito dall’art. 259 TFUE è diretto a far constatare e a far cessare il comportamento di uno stato membro che è in violazione del diritto dell’Unione. Dunque è irricevibile un ricorso a norma di tale articolo che riguardi inadempimenti futuri od eventuali o che si limiti a chiedere una interpretazione del diritto UE. 65 7. LA SENTENZA DELLA CORTE E LA SUA ESECUZIONE Se la Corte giudica lo stato convenuto responsabile della violazioni contestatagli emana una sentenza dalla natura dichiarativa dell’inadempimento, ossia di accertamento di questo e non già di condanna → la sentenza è però obbligatorio per lo stato in questione e questo è tenuto ad adottare tutti i provvedimenti a tal fini necessari: (art. 260, par. 1, TFUE) “quando la Corte di giustizia dell’Unione europea riconosca che uno stato membro ha mancato ad uno degli obblighi ad esso incombenti in virtù dei trattati, tale stato è tenuto a prendere i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza della Corte comporta”. La norma non stabilisce alcun termine per l’adozione dei provvedimenti di esecuzione, la Corte ha per statuito che essi debbano essere adottati al più presto (“impone che tale esecuzione sia iniziata immediatamente e conclusa entro termini il più possibile ristretti” sent. 4 luglio 2000). I provvedimenti da adottare per eseguire la sentenza potranno essere di varia natura a seconda dell’inadempimento accertato. L’obbligo di esecuzione grava su tutti gli organi dello stato → anche i giudici dovranno astenersi 0 2 B Cdall’applicare una legge nazionale giudicata in conitto con una norma dell Unione direttamente applicabile, provvedendo, peraltro il legislatore ad abrogare tale legge. Qualora lo stato membro non dia esecuzione alla sentenza resa nei suoi confronti, originariamente era possibile solo un nuovo ricorso d’infrazione da parte della commissione (o, eventualmente, di un altro stato membro), diretto a dare constatare la violazione dell’obbligo di eseguire la sentenza → c.d. Procedimento di “doppia condanna”: lo stato membro subiva, infatti, una prima sentenza di accertamento della violazione di una determinata disposizione e una seconda sentenza di accertamento della violazione dell’obbligo di eseguire la prima sentenza. In assenza di mezzi sanzionatori di pressione verso lo stato inadempiente, il meccanismo della “doppia condanna” niva per rivelarsi di 0 2 B Cscarsa efficacia pratica, potendo condurre, al massimo, ad una moltiplicazione delle procedure d infrazione rispetto ad ogni sentenza di accertamento della mancata esecuzione di una precedente sentenza. Il trattato di Maastricht del 1992 ha modificato la disposizione in esame stabilendo che la commissione possa non solo 0 2 B Caprire un procedimento d infrazione per fare dichiarare che lo stato ha violato l’obbligo di eseguire la precedente sentenza, ma possa chiedere alla Corte di condannare lo stato al pagamento di una sanzione monetaria. Il trattato di Lisbona ha semplicato il non richiedendo più la previa emanazione, da parte della commissione, di un parere 0 2 B Cmotivato e di un termine entro il quale adottare i provvedimenti di esecuzione –> l art. 260, par. 2, TFUE stabilisce che: “se ritiene che lo stato membro in questione non abbia preso le misure che l’esecuzione della sentenza della Corte comporta, la commissione, dopo aver posto tale stato in condizione di presentare osservazioni, può adire la Corte. Essa precisa l’importo della somma forfettaria o della penalità, da versare da parte dello stato membro in questione, che essa consideri adeguato alle circostanze. La Corte, qualora riconosca che lo stato membro in questione non si è conformato alla sentenza da essa pronunciata, può comminargli il pagamento di una somma forfettaria o di una penalità”. Questa disposizione comporta l’emanazione di una sentenza di condanna al pagamento di una somma di denaro da 0 2 B Cversare all’Unione quale sanzione per l inesecuzione della precedente sentenza. La commissione ha elaborato alcune comunicazione in base a cui la determinazione della sanzione pecuniaria richiesta di fonda su tre criteri fondamentali: 1. La gravità dell’infrazione; 2. La sua durata; 3. La necessità di assicurare l’effetto dissuasivo della stessa sanzione per evitare recidive. Pertanto la somma forfettaria consiste in una somma determinata quale sanzione della continuazione dell’inadempimento tra la prima sentenza di accertamento della violazione e la seconda, ai sensi dell’art. 260, per mancata esecuzione della prima. La penalità consiste in una somma da pagare per ogni giorno di ritardo, a partire dalla prima sentenza → la Corte ha dichiarato che è possibile una applicazione cumulativa delle sanzioni pecuniarie, poiché esse avrebbero una distinta funzione: la penalità tendendo a respingere lo stato a cessare al più presto dal suo inadempimento, la somma forfettaria a sanzionare la mancata esecuzione. Ai sensi dell’art. 260, par. 3, inserito dal trattato di Lisbona, un procedimento analogo può essere instaurato dalla commissione, senza bisogno di una precedente sentenza dichiarativa della violazione, qualora ritenga che uno stato membro non abbia adempiuto all’obbligo di comunicare le misure di attuazione di una direttiva adottata con una procedura legislativa. In questo caso, peraltro, la norma dispone espressamente che la condanna della Corte deve restare entro i limiti dell’importo indicato dalla commissione. È la stessa Corte che, nella sentenza, ssa la data alla quale il pagamento della somma forfettaria o della penalità è esigibile. I criteri sono analoghi a quelli per l’inadempimento di una sentenza. 66 8. LA RESPONSABILITÀ DELLO STATO PER I DANNI DERIVANTI DA VIOLAZIONE DEGLI OBBLIGHI PREVISTI DAL DIRITTO UE A certe condizioni, la violazione di obblighi previsti dal diritto UE può dar luogo all’obbligo dello stato inadempiente di risarcire i danni che il singolo abbia subito a causa della violazione stessa. Tale obbligo va fatto valere davanti ai giudici nazionali, competenti in base alle proprie norme processuali. Inoltre, 0 2 B Cl’obbligo risarcitorio, pur fondandosi sul diritto dell Unione, non è espressamente previsto da nessuna disposizione dei trattati, ma è una creazione giurisprudenziale della Corte di giustizia, la quale ha affermato l’esistenza di tale obbligo e le condizioni necessarie affinché esso sorga → il caso celebre nel quale, per la prima volta, la Corte ha enunciato l’obbligo di risarcimento è quello della sentenza del 19 novembre 1992, cause francovich e bonifaci. Esso traeva origine dalla mancata attuazione, da parte dell’Italia, nel termine prescritto dalla direttiva n.80/987/CEE, relativa alla tutela di lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro, la quale predispone un meccanismo di garanzia, mediante l’istituzione di un fondo di solidarietà, dei crediti dei lavoratori. L’inadempienza dell’Italia aveva privato i lavoratori subordinati del diritto di utilizzare tale garanzia, in caso d’insolvenza del datore, provocando ad essi un evidente danno. La Corte, in questa sentenza, ha riconosciuto la pretesa di alcuni lavoratori italiani, di rivendicare nei confronti del governo italiano il risarcimento di tale danno. Tale decisione è essenzialmente motivata sulla base di due argomenti: 1. 0 2 B CL’uno collegato all’esigenza di assicurare la piena efficacia del diritto dell Unione e dei diritti da esso scaturenti; 2. L’altro, all’obbligo di cooperazione dello stato, compresi i giudici nazionali, per garantire che sino eliminate 0 2 B Cle conseguenze della violazione del diritto dell Unione riparando il danno derivante da tale violazione. Secondo la Corte “l’obbligo degli stati membri di risarcire tali danni trova il suo fondamento anche nell’art. 4, par. 3, tue, in forza del quale gli stati membri sono tenuti ad adottare tutte le misure di carattere generale o particolare atte ad 0 2 B Cassicurare l’esecuzione degli obblighi ad essi derivanti dal diritto dell Unione. E tra questi obblighi si trova quello di eliminare le conseguenze illecite di una violazione del diritto comunitario”. Nella sentenza in esame la Corte ha 0 2 B Cdichiarato che non ogni violazione del diritto dell Unione dà luogo ad un obbligo di risarcimento, ma occorrono, a tal ne, alcune condizioni → queste sono state ulteriormente chiarite nella giurisprudenza successiva, la quale ha 0 2 B Ccostantemente ribadito il principio della responsabilità patrimoniale dello stato per violazione del diritto dell Unione, facendone applicazione a ipotesi estremamente differenziate implicanti una violazione e, in conformità con la sua giurisprudenza relativa alla procedura d’infrazione, ha sempre imputato allo stato membro, unitariamente considerato, la condotta di tutti i suoi organi e delle sue articolazioni interne. La giurisprudenza della Corte ha chiarito che affinché sorga l’obbligo risarcitorio dello stato, non è necessario che la violazione sia stata precedentemente accertata dalla Corte di giustizia. Il giudice interno, pertanto, ben può egli stesso constatare la violazione e condannare il proprio governo al risarcimento dei danni conseguenti. Tale obbligo può derivare dalla violazione non solo di un atto privo di effetti diretti, ma anche di una norma produttiva di tali effetti e, quindi, di diritti invocabili dinanzi al giudice nazionale → nella sentenza del 5 marzo 1996, la Corte ha affermato che nel primo caso, di violazione di norma che la vittima non può far valere dinnanzi al giudice nazionale, il risarcimento è diretto a rimuovere le conseguenze dannose causate ai beneficiari di una direttiva dalla mancata attuazione di quest’ultima da parte di uno stato membro. L’obbligo risarcitorio sussiste anche per violazione di disposizioni direttamente efficaci: è il caso della lesione di un 0 2 B Cdiritto conferito da una norma dell Unione che i singoli possono invocare dinanzi ai giudici nazionali. Oltre alle due argomentazioni già ricordate, quella concernente l’efficacia del diritto dell’Unione e l’obbligo di cooperazione, la Corte ravvisa un principio generale del diritto dell’Unione, che trova espressione nell’art. 340, 2° comma, TFUE, il quale stabilisce l’obbligo dell’Unione di risarcire i danni da essa arrecati per fatto illecito e rinvia ai principi generali comuni degli stati membri: il principio della responsabilità extracontrattuale della comunità altro non è se non un’enunciazione del generale principio in forza del quale una azione o una omissione illegittima comporta l’obbligo della riparazione del danno arrecato. Questa disposizione pone anche l’obbligo, incombente alle pubbliche autorità, di risarcire i danni cagionati nell’esercizio delle loro funzioni. L’obbligo risarcitorio è subordinato all’esistenza di alcune condizioni essenziali: 1. La norma giuridica violata deve essere preordinata a conferire diritti ai singoli; 2. Deve trattarsi di una violazione sufficientemente caratterizzata, cioè di una violazione grave e manifesta; 3. Occorre che sussista un nesso di causalità diretto tra la violazione dell’obbligo incombente allo stato e il danno subito dai soggetti lesi. 0 2 B CPer quanto riguarda la seconda condizione, consistente in una violazione grave e manifesta del diritto dell Unione, la Corte, nelle sentenze nelle quali ha affermato che l’obbligo risarcitorio può derivare anche da una violazione compiuta 67 anche ad altri enti pubblici, come enti locali (in specie regioni). Ciò non esclude, peraltro, la possibilità che le regioni 0 2 B Cimpugnino atti dell’Unione nella loro qualità di persone giuridiche ai sensi dell art. 263, 4° comma, TFUE. Ricorrenti non privilegiati sono invece, in primo luogo, la Corte dei conti, la banca centrale europea e, a seguito delle modiche del trattato di Lisbona, il comitato delle regioni. La loro legittimazione è, quindi, subordinata all’interesse a 0 2 B Ctutelare le loro prerogative, ritenute pregiudicate dell atto. La legittimazione ad impugnare atti dell’Unione è riconosciuta, ma sempre a condizione che sussista un loro interesse ad agire, anche ai singoli, persone siche e giuridiche, le quali, quindi, sono da considerare ricorrenti non privilegiati → l’art. 263, 4° comma, TFUE dispone che “qualsiasi persona fisica o giuridica può proporre un ricorso contro gli atti adottati nei suoi confronti o che la riguardano direttamente e individualmente, e contro gli atti regolamentari che la riguardano direttamente e che non comportano alcuna misura d’esecuzione”. Analizzando questo quarto comma, sensibilmente modificato dal trattato di Lisbona, si nota che i ricorrenti comprendono anche le persone giuridiche di diritto pubblico, come regioni, comuni o altri enti locali. La legittimazione delle regioni è riconosciuta quando le loro competenze non possono ritenersi assorbite da quelle dello stato cui appartengono, ma presentano una propria autonomia. I singoli possono agire solo per l’annullamento di atti pregiudizievoli per i loro interessi giuridicamente tutelati. L’ipotesi tipica è quella del ricorso proposto dal 0 2 B Cdestinatario dell atto, per esempio, di una decisione, o di un atto che abbia carattere individuale (art. 263,4° comma). L’esempio più signicativo è offerto dalle decisioni della commissione rivolte a imprese e relative al rispetto delle regole sulla concorrenza → la stessa disposizione ampia la legittimazione delle persone siche e giuridiche ad impugnare anche gli atti che, pur non adottati né loro confronti, le riguardino “direttamente e individualmente”. Dunque, ai ni dell’ammissibilità di ricorsi dei singoli, occorre questa duplice condizione: un effetto diretto e 0 2 B Cindividuale dell atto sulla posizione giuridica del singolo. 0 2 B CLa prima condizione, cioè che l atto produca un effetto diretto sulla posizione giuridica del singolo, va intesa nel senso che deve sussistere un rapporto di causalità fra l’atto e il pregiudizio del singolo. Quest’ultimo deve essere il 0 2 B C 0 2 B Crisultato dell atto, senza che il suddetto rapporto sia interrotto da fattori diversi, quale, l azione di uno stato. In principio, quindi, tale condizione è presente per i regolamenti, posto che essi sono direttamente applicabili all’interno degli stati membri e, quindi, suscettibili di creare obblighi o ledere diritti per forza propria, senza l’intervento di stati o altri soggetti. Più problematica risulta la seconda condizione, cioè che l’atto riguardi individualmente l’interessato. A tal proposito la giurisprudenza della Corte di giustizia si è basata sulla formula enunciata nella sentenza del 1963 causa plaumann c. Commissione, nella quale ha affermato che “chi non è destinatario di una decisione può sostenere che questa lo riguarda individualmente soltanto qualora il provvedimento lo tocchi a causa di determinate qualità personali, ovvero di particolari circostanze atte a distinguerlo dalla generalità, e quindi lo identichi alla stessa stregua dei destinatari” 0 2 B C→ da tale formula sembra che sussista il pregiudizio individuale solo quando l atto sia applicabile al ricorrente in ragione di una sua specica qualità soggettiva, o per una situazione oggettiva in cui egli si trovi, che siano in grado di differenziarlo da chiunque altro al quale l’atto sia pure applicabile. Si tratta di casi nei quali un regolamento menzioni nominativamente alcune persone, come quelli per la lotta al terrorismo; o sia stato adottato tenendo specicatamente conto della situazione del ricorrente, come i regolamenti che istituiscono dazi antidumping dopo avere esaminato i prezzi praticati dalle imprese produttrici o esportatrici della merce in questione; o a seguito di un procedimento che ha coinvolto il ricorrente. Il criterio affermato dalla giurisprudenza plaumann conduce ad escludere la legittimazione di associazioni rappresentative di interessi generali o diffusi, come, in materia ambientale, greenpeace. Esso inoltre esclude l’impugnabilità di regolamenti da parte di persone che pure siano determinabili esattamente come soggetti ai quali il regolamento sia applicabile: l’applicazione avviene in base ad una situazione obiettiva di diritto o di fatto definita dall’atto in rapporto alla sua finalità. La giurisprudenza in matteria si caratterizza in generale per un approccio alquanto restrittivo; inoltre il criterio enunciato nella sentenza plaumann non può dirsi così chiaro da consentire ai singoli di individuare agevolmente gli atti generali da essi impugnabili. La Corte escludeva la possibilità di un mutamento di giurisprudenza, annullando una sentenza del tribunale, suggerendo una modifica legislativa dell’articolo in questione → il suggerimento della Corte di giustizia è stato parzialmente accolto in sede di modica dei trattati, realizzata dal trattato di Lisbona (art. 263, 4° comma) qualsiasi persona sica o giuridica, oltre agli atti dei quali sia destinataria e a quelli che la riguardino direttamente e individualmente, può impugnare “gli atti regolamentari che la riguardano direttamente e che non comportano alcuna misura d’esecuzione” → è sufficiente il rapporto diretto tra l’atto dell’Unione e tale pregiudizio. Qualora però sia richiesto un atto di esecuzione, l’azione giudiziaria dovrà essere esperita nei confronti dell’atto di esecuzione dinanzi alla Corte di giustizia o al giudice nazionale. 70 Tale norma comunque non fornisce una definizione di atto regolamentare, espressione mutuata dalla costituzione europea. Secondo villani dovrebbe intendersi come atto non legislativo (art. 289 part. 3) perché in questo senso depone l’origine della norma che riguardava nella costituzione atti generali non legislativi → tale ricostruzione è stata accolta dalla giurisprudenza del tribunale, in particolare nella ordinanza del 6.9.2011 causa inuit tapiriit kanatami. L’espressione atti che riguardano direttamente e individualmente il ricorrente comprende anche le decisioni prese nei confronti di altre persone → si applica quindi la giurisprudenza considerata ed in particolare l’interpretazione ella sentenza plaumann secondo cui occorre che il provvedimento riguardi il ricorrente a causa di determinate qualità personale, ovvero di particolari circostanze atte a distinguerlo dalla generalità e quindi lo identifichi alla stregua dei destinatari. La decisione può essere rivolta: 1. ai singoli → la Corte ha riconosciuto legittimato ad impugnare una decisione della commissione, che negava l’esistenza dell’infrazione, il soggetto che aveva denunciato la violazione; 2. agli stati → la decisione della commissione che dichiari incompatibile con il mercato comune un aiuto, sebbene formalmente rivolta allo stato che intenda istituirlo, è impugnabile da parte del beneficiario. Similmente sono legittimate le regioni o gli enti locali che abbiano istituito o erogato l’aiuto (sent. Tribunale 15.6.99 Friuli Venezia giulia c. Commissione). In giurisprudenza vi è un esempio di decisione adottata contro uno stato terzo, considerata impugnabile da un privato: sent. Corte 29.6.94, relativa a un ricorso della società svedese fiskano per l’annullamento di una lettera della commissione alla Svezia (all’epoca non UE) che informava quest’ultima di una sanzione adottata dalla stessa commissione con la quale veniva sospesa la concessione di licenze di pesca a una nave appartenente alla società fiskano, nell’ambito di un accordo sulla pesca tra la comunità e la Svezia. 11. SEGUE. IL TERMINE DELL’IMPUGNAZIONE 0 2 B CL’impugnazione degli atti dell Unione è sottoposta al termine di due mesi → ai sensi dell’art. 263, 6° comma, TFUE “i ricorsi devono essere proposti nel termine di due mesi a decorrere, secondo i casi, dalla pubblicazione dell’atto, dalla sua noticazione al ricorrente ovvero, in mancanza, dal giorno in cui il ricorrente ne ha avuto conoscenza”. Il 0 2 B Ctermine di due mesi decorre dalla data della effettiva conoscenza dell atto da parte del ricorrente solo se esso non sia stato pubblicato o noticato. In caso contrario il termine decorre sempre dalla pubblicazione o dalla noticazione, anche se il ricorrente ne aveva avuto conoscenza in precedenza. In realtà, il termine è prolungato rispetto ai due mesi in quanto termini aggiuntivi sono previsti dal Regolamento di procedura in ragione della distanza del ricorrente. 0 2 B CLa decadenza del diritto di impugnazione non può essere eccepita ove il ricorrente provi l esistenza di un caso fortuito o di forza maggiore (art. 45, 2° comma dello statuto della Corte). In mancanza di tali eventi, la scadenza del 0 2 B C 0 2 B Ctermine rende il ricorso irricevibile, assicura la denitività dell atto e produce l impossibilità di contestarne la 0 2 B C 0 2 B Clegittimità anche dinanzi ai giudici nazionali. La violazione del termine d impugnazione è rilevata d ufcio dal giudice, poiché costituisce un motivo di irricevibilità di ordine pubblico. 12. SEGUE. I MOTIVI DI IMPUGNAZIONE 0 2 B CI motivi di impugnazione si identicano con i vizi dell atto che, ove esistenti, conducono al suo annullamento → essi sono stabiliti nell’art. 263, 2° comma, TFUE e consistono nella incompetenza, violazione delle forme sostanziali, violazione dei trattati o di qualsiasi regola di diritto relativa alla loro applicazione, sviamento di potere. Tali motivi si riferiscono alla legittimità dell’atto (= conformità alla norma giuridiche che ne disciplinano la formazione) ed il controllo della Corte, salva l’ipotesi ai sensi dell’art. 261 TFUE, non si estende al merito. I vizi di incompetenza e di violazione delle forme sostanziali comportano anch’essi una violazione dei trattati → ma il vizio della violazione dei trattati finisce per avere un valore residuale rispetto agli altri e consiste principalmente nel contrasto dell’atto con le norme e i principi materiali dei trattati. Tuttavia la distinzione può avere una sua rilevanza → dalla giurisprudenza sembra emergere che solo i vizi di incompetenza e di violazione delle forme sostanziali sono di ordine pubblico e, pertanto, sono rilevabili d’ufficio dal giudice anche se non invocati dal ricorrente; la violazione dei trattati e lo sviamento di potere, invece, possono essere fatti valere solo su richiesta del ricorrente. Dall’art. 263 rileviamo che: A. L’incompetenza consiste nell’assenza del potere di emanare l’atto in questione. Essa può essere: 1. Assoluta, quando l’Unione è priva di potere. 2. Relativa, quando è la singola istituzione ad esserne priva. B. La violazione delle forme sostanziali si concretizza nella violazione delle regole giuridiche concernenti il procedimento di adozione dell’atto. Il carattere sostanziale delle violazioni implica che, ai fini dell’annullamento, deve trattarsi di una violazione di una certa gravità che finisca per colpire principi sostanziali come quello della certezza del 71 diritto o gli stessi principi democratici → es. La sentenza della Corte 29/10/1980, roquette freres c. Consiglio, relativa alla mancata consultazione del parlamento europeo, che equivale al fondamentale principio democratico per cui i popoli partecipano all’esercizio del potere per il tramite di una assemblea rappresentativa. C. La violazione dei trattati e di ogni regola di diritto relativa alla loro applicazione comprende in primis le norme e i principi dei trattati istitutivi, le altre fonti del diritto assimilabili e le fonti che devono ritenersi sovraordinate al diritto derivato → la Corte ha affermato che affinché un atto dell’Unione sia annullato per violazione di principi di diritto internazionale consuetudinario occorre che la violazione sia manifesta; nonostante la contrarietà di un atto ad un accordo internazionale comporta violazione dell’art. 216 par. 2 TFUE, la Corte ha limitato l’invalidità degli atti in contrasto con accordi dell’Unione all’ipotesi in cui tali accordi abbiamo effetti diretti (completezza, precisione e incondizionata obbligatorietà). D. Lo sviamento dei poteri, come sottolineato dal tribunale nella sent. 2010 Italia c. Commissione, si configura quando l’organo ha sì il potere di emanare l’atto ma quest’ultimo è adottato per un fine diverso da quello in vista del quale il potere è stato attribuito. Variante di tale vizio e lo sviamento di procedura. Nella prassi la Corte ha sempre richiesto una prova inconfutabile dell’avvenuto sviamento al fine di evitare che la propria competenza sfoci in un inammissibile controllo di merito. L’art. 261 TFUE attribuisce alla Corte una competenza di merito per quanto riguarda le sanzioni previste nei regolamenti. Tale competenza si estende all’esame del contenuto dell’atto e, in particolare, al controllo circa l’opportunità e l’ammontare delle sanzioni pecuniarie → la Corte può dunque annullare le sanzioni e modificarne l’importo. Nella competenza di merito rientra anche quella sui ricorsi contro le decisioni delle commissioni di ricorso all’ufficio di armonizzazione a livello di mercato interno. 13. SEGUE. LA SENTENZA DELLA CORTE Il ricorso per annullamento non ha effetti sospensivi sull’atto impugnato ma la Corte, in forza del TFUE art. 278, quando reputi che le circostanze lo richiedano, può ordinare la sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato. D’altronde ai sensi dell’art. 279 la Corte di giustizia dell’UE negli affari che le sono proposti può ordinare i provvedimenti provvisori necessari → in tal modo è istituita una tutela cautelare per evitare che la durata del giudizio pregiudichi in maniera irreparabile i diritti in causa. La sospensione avviene con ordinanza tendendo conto della presumibile fondatezza dei motivi di ricorso (fumus boni iuris) e dei motivi di urgenza (periculum in mora). Ai sensi dell’art. 264,1° comma TFUE se il ricorso è fondato la Corte dichiara nullo e non avvenuto l’atto impugnato. L’art. 266 stabilisce poi che l’istituzione o l’organo che ha emanato l’atto deve prendere tutti i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza comporta. La decisione che accerta l’esistenza del vizio ha efficacia di giudicato e: 1. per gli atti di portata generale, l’effetto di giudicato si produce erga omnes; 2. per gli atti particolari, è limitato all’atto specifico e al solo ricorrente. Anche la sentenza che rigetta ha effetto di giudicato ma in quanto limitato ai punti di fatto e di diritto decisi con la sentenza non esclude che, per profili diversi, la legittimità dell’atto sia rimessa in discussione. L’annullamento può anche essere parziale ma gli elementi dell’atto impugnato devono essere separabili dal resto dell’atto e l’annullamento parziale non determini una modifica sostanziale del contenuto dell’atto e, quindi, di fatto, legislativa. Gli effetti temporali delle sentenze di annullamento retroagiscono sino al momento dell’adozione dell’atto e, pertanto, anche tutti gli effetti giuridici prodotti devono ritenersi caducati → per esigenze di certezza del diritto e tutela dei terzi in buona fede, la Corte può stabilire gli effetti dell’atto annullato che devono essere considerati definitivi. La Corte nella sentenza di annullamento si limita a verificare la sussistenza del vizio ma non può giuridicamente condannare le istituzioni interessate a tenere un particolare comportamento. Saranno queste ultime che dovranno individuare le misure necessarie. 14. L’ECCEZIONE D’INVALIDITÀ DEGLI ATTI UE Ai sensi dell’art. 277 TFUE, nell’eventualità di una controversia che metta in causa un atto di portata generale adottato da una istituzione, organo o organismo dell’Unione, ciascuna parte può, anche dopo lo spirare del termine previsto dall’art. 263, 6° comma, valersi dei motivi previsti dall’art. 263, 2° comma per invocare dinnanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea l’inapplicabilità dell’atto stesso. Tale articolo consente cioè di contestare un atto illegittimo anche una volta che sia scaduto il termine per la sua impugnazione. Grazie a tale disposizione i singoli possono impugnare una decisione di cui siano destinatari che sia 72 di attuazione o di un atto amministrativo → solo la Corte, secondo una sua consolidata giurisprudenza, ha la competenza a pronunciare l’invalidità dell’atto: se i giudici nazionali potessero, di volta in volta, dichiarare illegittimo o invalido l’atto, sarebbe compromessa l’esigenza di certezza del diritto. Sin dalla sentenza 22 ottobre 1987, Foto- Frost, la Corte ha affermato che i giudici nazionali possono esaminare la validità di un atto comunitario e, se ritengono infondati i motivi di invalidità proposti dalle parti, respingerli concludendo per la piena validità dell’atto ma non hanno il potere di dichiarare invalidi gli atti delle istituzioni UE. Va sottolineato però che la Corte riconosce al giudice nazionale il potere di emanare provvedimenti provvisori, a tutela dei diritti delle parti, ove sospetti l’invalidità di un atto UE (sospensione di un atto amministrativo, provvedimento cautelare). Secondo una costante giurisprudenza, la Corte esclude che possano esserle sottoposte questioni di validità di atti che il singolo, parte nella causa nazionale, avrebbe potuto senza alcun dubbio impugnare ai sensi dell’art. 263, 4° comma, ma che non abbia impugnato nel termine di due mesi. Il trattato di Lisbona ha aggiunto un 4° comma all’art. 267, in base al quale la Corte statuisce il più rapidamente possibile se una questione del genere è sollevata in un giudizio pendente riguardante una persona in stato di detenzione. 18. SEGUE. L’OGGETTO DELLA COMPETENZA PREGIUDIZIALE E LA NATURA GIUDIZIARIA DELL’AUTORITÀ NAZIONALE DI RINVIO Occorre distinguere se l’oggetto della competenza pregiudiziale sia: 1. la competenza interpretativa → riguardante qualsiasi disposizione del diritto dell’Unione senza alcuna eccezione: atti dell’Unione anche non vincolanti, accordi internazionali anche misti, proprie sentenze. Non possono esserne oggetto normative nazionali non dirette ad applicare una disposizione del diritto UE. 2. la competenza di legittimità → riguardante solo gli atti suscettibili di essere impugnati ai sensi dell’art. 263 TFUE, ovvero produttivi di effetti giuridici ed è escluso che possa riguardare una sentenza della Corte. Tale competenza inoltre riguarda i soli atti dell’Unione e non anche il diritto primario. 19. SEGUE. LA NATURA GIUDIZIARIA DELL’AUTORITA’ NAZIONALE DI RINVIO E LE ALTRE CONDIZIONI DI RICEVIBILITA’ DELLA DOMANDA La ricevibilità di una questione pregiudiziale è subordinata alla natura di organo giurisdizionale posseduta dall’autorità che opera il rinvio, stabilita a livello del diritto dell’Unione: • nella sentenza 27.1.05, Denuit, la Corte ha escluso tale natura ad un collegio arbitrale belga perché per le parti contraenti non vi è alcun obbligo di affidare la soluzione delle proprie liti a un arbitrato e perché le pubbliche autorità dello stato membro interessato non sono implicate nella scelta della via dell’arbitrato né sono chiamate a intervenire d’ufficio nello svolgimento del procedimento dinnanzi all’arbitro. • Nella sentenza 4.11.97, Parfums Christian Dior, ha riconosciuto come tale la Corte di giustizia del Benelux, composta da giudici delle corti supreme di Olanda, Belgio e Lussemburgo, perché il procedimento instaurato dinanzi ad essa costituisce un incidente nell’ambito delle cause pendenti dinanzi ai giudici nazionali, in esito al quale viene fissata l’interpretazione definitiva delle norme giuridiche comuni al Benelux. Riguardo l’Italia si era posto il problema se fosse competenze al rinvio la Corte costituzionale: 1. la stessa Corte si era dichiarata incompetente in una ordinanza del ’95. 2. successivamente la nostra Corte ha mutato atteggiamento per quanto riguarda l’ipotesi in cui una questione relativa al diritto dell’Unione si ponga in una causa ove la Corte costituzionale sia adita in via principale, ossia sia il giudice della causa. (ALTRE NUMEROSISSIME SENTENZE: • sentenza del 17.11.2009, causa C-169/08, Presidente del Consiglio dei ministri c. Regione Sardegna); • sentenza del 13.07.2007 n. 284; • sentenza del 30.03.2012 n. 75; • sentenza del 26.11.2014, cause C-22/13, da C-61/13 a C-63/13 e C-418/13, Mascolo e altri; • e molte altre). Quando la Corte costituzionale è legittimata al rinvio essa ha il dovere di praticarlo, essendo organo di ultima istanza contro cui non può essere presentato ricorso. Per evitare di appesantire eccessivamente il carico di lavoro della Corte, questo dovere per i giudici di ultima istanza conosce alcune eccezioni: 1. se la questione sollevata è materialmente identica ad altra questione, sollevata in relazione ad analoga fattispecie, già stata decisa in via pregiudiziale. 75 2. Se una giurisprudenza costante risolva il diritto litigioso 3. se in claris non fit interpretatio → parimenti secondo la nostra Corte costituzionale non è necessario il rinvio quando il significato della norma comunitaria sia evidente. 20. SEGUE. GLI EFFETTI DELLA SENTENZA DELLA CORTE La sentenza della Corte emanata a seguito del rinvio pregiudiziale è obbligatoria per il giudice a quo in quanto ha effetti di giudicato per il detto giudice. Tuttavia il giudice nazionale può nuovamente rivolgersi alla Corte per sottoporle una questione diversa o nuovi elementi di valutazione. La nostra Corte costituzionale ha riconosciuto alle sentenze pregiudiziale una efficacia erga omnes dichiarando la loro prevalenza sul diritto nazionale incompatibile (n. 113, 19 aprile 1985). Non si applica la giurisprudenza richiamata in materia di interpretazione alle questioni di legittimità → anche nel caso in cui la Corte abbia già dichiarato invalide corrispondenti disposizioni di un analogo regolamento, fa obbligo al giudice nazionale di ultima istanza adire la Corte di giustizia. La sentenza che dichiari l’invalidità dell’atto impone anche alle istituzioni europee di uniformarvisi → le istituzioni che lo hanno emanato devono provvedere a revocarlo o a modificarlo, secondo le indicazioni desumibili dalla sentenza. Se invece la Corte ha dichiarato legittimo l’atto in questione, l’efficacia della sentenza è limitata al giudice richiedente che deve decidere la lite applicando tale atto. Per motivi differenti, quindi, la questione potrà essere sollevata da altri giudici. In linea di principio la sentenza interpretativa della Corte retroagisce fino al momento dell’entrata in vigore della disposizione oggetto di interpretazione e quindi dovrebbe applicarsi anche a rapporti sorti anteriormente alla sentenza → nella sentenza Denkavit 27.3.80, ha affermato che essa possa decidere di limitare nel tempo gli effetti della sua sentenza per non pregiudicare coloro che abbiano avviato azione giurisdizionale o proposto domanda equivalente prima della data della pronuncia. Riguardo una sentenza che dichiari l’invalidità di un atto, in base all’art. 264, 2° comma, la Corte ha dichiarato che essa può limitare nel tempo l’effetto della sua pronuncia, potendo discrezionalmente stabilire una efficacia ex nunc della propria sentenza che potrebbe non essere applicabile neppure dal giudice a quo → la nostra Corte costituzionale ha respinto quest’ultima giurisprudenza in quanto contraria al principio dell’art. 24 cost. (giusto processo). La Corte di Lussemburgo ha accolto positivamente tale impostazione dichiarando che l’attore nella causa principale e gli altri operatori che abbiano presentato analogo reclamo possano legittimamente invocare tale declaratoria. 21. LA COMPETENZA DELLA CORTE NELLE CONTROVERSIE SOTTOPOSTE IN BASE A COMPROMESSO L’art. 273 TFUE prevede una competenza della Corte di giustizia di carattere facoltativo nel senso che essa non è istituita direttamente dai trattati europei ma è attribuita alla Corte di comune accordo dalle parti di una controversia → la c. di giustizia è competente a conoscere di qualsiasi controversia tra stati membri in connessione con l’oggetto dei trattati, quando tale controversia le venga sottoposta in virtù di un compromesso. Tale norma è stata richiamata come fondamento della competenza attribuita alla Corte: 1. dall’art. 37 par. 3 del Trattato che istituisce il Meccanismo Europeo di Stabilità, concluso nel 2012 tra gli stati della zona euro →prevede che se uno stato membro del MES contesta una decisione con cui il consiglio dei governatori abbia statuito su una controversia tra il MES e i suoi membri, o fra tali membri, relativi all’interpretazione o all’applicazione dello stesso Trattato MES, la controversia è sottoposta alla Corte di giustizia, la cui sentenza è vincolante per le parti in causa. 2. dall’art. 8 del trattato sul Fiscal Compact, concluso tra 25 stati membri → dichiara che se uno stato parte non ha rispettato l’obbligo di inserire la regola del pareggio di bilancio nel proprio ordinamento, la Corte di giustizia può essere adita da uno o più stati parti affinché dichiari tale inadempimento. Se perdura l’inerzia, la Corte può nuovamente essere adita per imporre una sanzione finanziaria. L’art. 273 richiede tali condizioni perché possa istituirsi la competenza in questione: ■ controversia tra stati membri e non organizzazioni internazionali o stati terzi; ■ la controversia deve presentare una connessione con l’oggetto dei trattati; ■ la controversia deve essere sottoposta tramite un compromesso: l’accordo con cui gli stati parti di una controversia convengono di sottoporla alla decisione di un terzo, assumendo preventivamente l’obbligo di vincolarsi al rispetto della sentenza da lui emanata. 76 2. 77 Come è stato chiarito dalla giurisprudenza successiva, ove una disposizione od un atto violasse un diritto umano fondamentale, il giudice comune dovrebbe sottoporre alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale della legge italiana di esecuzione dei Trattati europei. L'eventuale pronuncia di incostituzionalità avrebbe come oggetto la legge italiana di esecuzione nella sua interezza ma solo nella misura in cui consentisse a specifiche disposizioni o atti dell'UE di spiegare i propri effetti nell'ordinamento italiano. Negli anni '90 emerge una terza fattispecie nella quale il dissidio tra diritto interno e diritto comunitario va risolto dalla Corte costituzionale. Ci riferiamo alla competenza della stessa Corte conoscere dei conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e di quelli tra lo Stato e le regioni, e tra le regioni (art. 127 e 134 Costituzione). In particolare, quando una legge impugnava riveli un contrasto con il diritto dell'UE, esigenze di certezze e chiarezza normativa, da un lato e di pieno e corretto adempimento degli obblighi derivanti dal diritto dell'Unione, dall'altro impongono una dichiarazione degli obblighi d'incostituzionalità da parte della Corte costituzionale. Vi è ancora un'ipotesi nella quale il giudizio sull'incompatibilità del diritto italiano con quello dell'Unione deve essere risolto dalla Corte costituzionale mediante la declaratoria d'illegittimità costituzionale della legge italiana. 5. L'ADEGUAMENTO LEGISLATIVO DEL DIRITTO ITALIANO AL DIRITTO DELL'UNIONE EUROPEA. LA “LEGGE DI DELEGAZIONE EUROPEA” E LA “LEGGE EUROPEA” L'adeguamento del diritto italiano agli obblighi nascenti dal diritto dell'Unione richiede anche un intervento ad opera del legislatore. Tale intervento è necessariamente anzitutto per dare attuazione alle norme e agli atti europei non direttamente applicabili, ad esso è richiesto anche per abrogare o modificare le norme italiane incompatibili con obblighi nonché per dare esecuzione alle sentenze della Corte di giustizia. La prassi originariamente seguita dal nostro Stato per dare esecuzione agli atti europei è consistita nell'adozione di leggi che delegavano il governo ad emanare una serie di decreti legislativi volti a dare attuazione a un “pacchetto” di direttive indicate nella legge di delega. Il ricordo allo strumento della delega al governo avveniva sotto l'urgenza di eseguire direttive il cui termine di attuazione era già scaduto o per porre rimedio alle sentenze della Corte di giustizia pronunciate nel quadro della procedura d'infrazione. Quanto dichiarato all'articolo 76: “L'esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti”. In realtà gli oggetti della delega erano estremamente diversificati ne emergevano propriamente dei criteri direttivi; sicché il Parlamento finiva per risultare sostanzialmente espropriato dei suoi poteri. D'altra parte, il ricorso a una sorte di legislazione di “emergenza” si rifletteva in un quadro normativo alquanto confuso della legge delega non assicurava affatto un tempestivo adempimento degli obblighi derivanti dal diritto comunitario. Dopo una prima iniziativa in questa direzione una disciplina organica della materia è stata data dalla legge del 9 marzo 1989 n. 86: “Norme generali sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo comunitario e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari”, la così detta legge La Pergola, dal nome del ministro dell'epoca che la scrisse e promosse i principi fondamentali”. Tale legge venne più volte modificata e infine sostituita da una uova legge che aveva un duplice oggetto: da un lato regolare le forme di partecipazione del Parlamento e delle regioni, dall'altro garantire l'adempimento degli obblighi derivanti dall'apparenza dell'Italia alle Comunità europee conseguenti sia all'emanazione di atti comunitari comportanti provvedimenti di attuazione, sia a sentenze della Corte di giustizia che accertassero l'incompatibilità di norme italiane con disposizioni comunitarie. La legge “La Pergola” era stata più volte modificata, anche per adeguarla all'evoluzione normativa dell'Unione europea. Gli sviluppi profondo realizzatisi sia a livello costituzionale, con la modifica delle competenze delle regioni risultanti dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001 n.3 sia a livello europeo con la nascita dell'Unione europea in virtù del Trattato di Maastricht, hanno infine consigliato di abrogare tale legge. Quest'ultima rispettando lo schema generale della legge La Pergola, ne costituiva un opportuno e apprezzabile ammodernamento e dopo aver subito modifiche e integrazioni è stata abrogata e sostituita dalla legge del 24 dicembre 2012 n. 234 contenente “Norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea”. Il contenuto della legge di delegazione europeo è previsto all'articolo 30 II comma della legge n. 234 del 14 dicembre 2012. In base a esso la legge di delegazione europea reca disposizioni per il conferimento al governo di delega legislativa volta all'attuazione delle direttive, nonché per la modifica o l'abrogazione di disposizione statali al fine di eseguire i pareri motivati della Commissioni o le sentenze d'inadempimento della Corte di giustizia; disposizioni che autorizzano il governo a recepire in via regolamentare le direttive; delega legislativa per l'adozione di sanzioni penali o amministrative per la violazione di atti normativi europei. Per quanto riguarda le direttive di norma il governo adotta i decreti legislativi di recepimento entro due mesi 80 anteriori al termine stabilito in ciascuna direttiva, notando che l'autorizzazione del governo per attuarle è consentito all'articolo 35, anche in materia già disciplinate con legge ma non coperte da riserva assoluta di legge. L'altra legge è la legge europea ai sensi dell'art 30, III comma, contenente disposizioni modificative o abrogative di disposizioni statali in contrasto con gli obblighi derivanti dall'Unione europea e anche oggetto di procedure d'infrazione avviate dalla Commissioni contro l'Italia o di sentenza della Corte di giustizia. Ulteriori disposizioni di legge di delegazione europea e della legge europea riguardano le materie di competenza regionale; i contenuti della legge di delegazione europea e della legge europea non risultano nettamente distinti, al contrario appaiono in parte sovrapponibile; in particolare le disposizioni collegate ai procedimenti d'infrazione intrapresi dalla Commissioni e alle sentenze della Corte di giustizia. L'elaborazione della legge di delegazione europea e della legge europea prende l'avvio con la verifica, da parte del Presidente del Consiglio o del Ministro per gli affari europei, con la collaborazione delle amministrazioni interessate, dallo stato di conformità dell'ordinamento interno e degli indirizzi di politica del governo in relazione agli atti normativi e di “indirizzo” emanati dall'UE; stessa verifica è compiuta dalle regioni e province autonome di Trento e di Bolzano. All'esito di tale verifica il Presidente del Consiglio o il Ministro per gli affari europei entro il 28 febbraio di ogni anno presenta al Parlamento un disegno di legge recante il titolo: “Delega al governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea”. Gli stessi soggetti con riguardo ai contenuti dell'articolo 3 presentano al Parlamento un disegno di legge recante il titolo “Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea”. Completato dall'indicazione di “legge europea”. La legge di delegazione e la legge europea rappresentano lo strumento “ordinario” per assicurare il periodico adeguamento dell'ordinamento italiano agli obblighi derivanti dal diritto dell'Unione europeo. 6. IL RUOLO DELLE REGIONI NELL'ATTUAZIONE DEL DIRITTO DELL'UNIONE EUROPEA L'attuazione del diritto dell'Unione europea comporta anche un delicato problema di riparto di competenze fra lo Stato e le regioni, nonché le province autonome di Bolzano e Trento. È frequente che le materie oggetto di atti dell'Unione ricadono nella competenza legislativa delle regioni e tale fenomeno si è ovviamente intensificato con la riforma del V titolo della seconda parte della nostra Costituzione. Sia la giurisprudenza sia la legislazione hanno compiuto un lungo cammino, che ha condotto da un originario assetto “statalista” e “centralista” del riparto di competenze tra Stato e regioni a un rapporto più equilibrio e rispettoso del ruolo che la Costituzione riconosce alle regioni. In questa materia vanno conciliati due principi fondamentali: da un lato il rispetto delle competenze delle regioni, sempre più interessate alla legislazione europea; dall'altro la responsabilità dello Stato per l'attuazione degli obblighi derivanti dall'Unione europea, essendo lo Stato l'unico interlocutore dell'Unione ed essendo il responsabile per inadempienza o ritardi delle regioni. Successivamente era stato riconosciuto un certo margine di competenza delle regioni in materia ma prevedendo dei meccanismi di intervento sostitutivo dello Stato nell'ipotesi di inadempimento delle regioni. Dopo alcune modifiche apportate alla legge La Pergola in senso più favorevole alle regioni è intervenuta la legge costituzionale n.3 del 2001 dichiarando: “ Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari [ oggi Unione europea] e provvedono all'attuazione e all'esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell'Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza”. L'articolo 117, V comma della Costituzione, va abbinato al comma III ai sensi del quale nelle materie di legislazione concorrente la potestà legislativa delle regioni queste sono sottoposte al solo potere sostitutivo dello Stato in caso di loro inadempienza, in quelle di legislazione concorrente sussiste il limite dei principi fondamentali contenuti nella legge statale. Bisogna ricordare un'ulteriore disposizione costituzionale sul potere sostitutivo dello Stato, articolo 120 II comma. La materia trova oggi compiuta disciplina nella legge del 24 dicembre 2012 n. 234. L'articolo 40 comma I riafferma che le regioni e le province autonome, nelle materie di propria competenza, provvedono al recepimento delle direttive dell'Unione, riconoscendo che la competenza delle regioni e delle province autonome a dare attuazione a qualsiasi atto europeo che richieda disposizioni di recepimento o di applicazione. Nello stabilire il contenuto della legge di delegazione europea, le regioni e le province autonome esercitano la propria competenza normativa per recepire o per assicurare l'applicazione di “atti dell'Unione”, non solo quindi di direttive. Per quanto riguarda il potere sostitutivo dello Stato nel caso d'inerzia delle regioni e delle province autonome, le necessarie disposizioni sono contenute nella legge europea. Il potere sostitutivo dello Stato comporta che questo emani disposizioni nelle materie di competenza regionale e tali disposizioni si applicano solo dal momento di scadenza del termine stabilito per l'attuazione della 81 normativa europea in questione, poiché solo da questo momento l'inerzia di una regione può dare luogo a una inadempienza e alla responsabilità dello Stato di fronte all'Unione europea. 82