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Riassunto Unione Europea, Sintesi del corso di Diritto dell'Unione Europea

Riassunto Unione Europea Luigi Daniele

Tipologia: Sintesi del corso

2017/2018

Caricato il 25/05/2018

giuseppe_di_bella1
giuseppe_di_bella1 🇮🇹

4.5

(4)

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Scarica Riassunto Unione Europea e più Sintesi del corso in PDF di Diritto dell'Unione Europea solo su Docsity! Diritto dell'Unione europea Processo di integrazione europea Il processo d'integrazione europea si avvia subito dopo la seconda guerra mondiale quando era necessario ricostruire il continente, evitare conflitti e guerre che avrebbero potuto generare eventi disastrosi, riaffermare i valori democratici e rafforzare la solidarietà militare tra gli stati europei. Tale movimento di idee non riguarda inizialmente l'intero continente europeo, ma prende piede soltanto tra gli stati dell'Europa occidentale. Nel '48 si tenne infatti il congresso dell'AIA ove si riuniscono persone influenti dell'epoca e in questa occasione si volle cercare di attuare un unione liberalmente scelta tra gli stati dell'europea. L'integrazione europea può seguire due metodi: uno più tradizionale e uno più innovativo. Il modello tradizionale si fonda sulla cooperazione intergovernativa, (gli stati creano degli organi per cooperare) basata su tre principi, derivanti dalla convenzione dell'AIA: 1. prevalenza di organi degli stati: negli organi non siedono soggetti a titolo individuale, ma siedono dei rappresentanti degli Stati, portatori di interessi statali; 2. Assenza o rarità del potere di adottare atti vincolanti: le deliberazioni dell'organizzazione hanno preso prevalentemente natura di raccomandazioni; raramente vengono emanate nei confronti degli Stati membri decisioni vincolanti. 3. Principio dell'unanimità: le deliberazioni degli organi principali vengono assunte esclusivamente all'unanimità in modo che ciascuno stato ha il diritto di opporsi (diritto di veto). Inoltre le decisioni vincolanti non producono effetti sui soggetti che si collocano all'interno degli ordinamenti statali, l'effetto vincolante è solo sugli stati (assenza di effetti diretti). Vi è inoltre l'Assenza di un sistema giurisdizionale di controllo, cioè non vi è controllo di una corte che giudica la legittimità degli atti adottati e neanche che vigila sul rispetto degli obblighi degli stati membri. Seguendo il metodo tradizionale, si crearono una serie organizzazioni : • sul piano economico: data dall'esigenza di gestire il Piano Marshall (aiuti finanziari accordati dagli Stati Uniti all'Europa) volto a favorire la ricostruzione economica degli Stati indeboliti dal conflitto mondiale purché tale erogazione avvenga in maniera coordinata tra tutti gli stati beneficiari. Per rispondere a tale condizione un gruppo di Stati dà vita all' OECE, organizzazione europea per la cooperazione economica. L'organo principale è il consiglio le cui deliberazione sono adottate a maggioranza o all'unanimità. Gli stati contrari non sono vincolati. Successivamente venne trasformata in organizzazione di !1 coperazione allo sviluppo economico OCSE ed entrarono a farne parte anche Canada e Giappone. • sul piano militare : la divisione dell'Europa in due blocchi contrapposti inducono gli Stati dell'Europa occidentale a costituire due organizzazioni di tipo militare: nel 1948 UEO, unione europea occidentale, il cui organo fondamentale era il consiglio, le cui deliberazioni sono prese all'unanimità e adottò per un determinato periodo la PESC; la NATO, organizzazione del trattato nordatlantico alla quale aderiscono anche Stati extraeuropei come Canada e Stati Uniti; l'organo principale è il Consiglio Nordatlantico; le decisioni vengono prese all'unanimità e non hanno carattere vincolante. • sul piano della cooperazione politica, culturale e sociale: nasce il Consiglio d'europa un'organizzazione con compiti ed obiettivi assai ampi. L'organo principale è il comitato dei ministri. Il consiglio d'Europa diede vita alla convenzione europea sulla salvaguardia dei diritti dell'uomo (cedu). Metodo comunitario Il metodo della cooperazione intergovernativa fu efficace ma presentava elementi di notevole debolezza; le comunità europee sorte in quegli anni hanno infatti la possibilità di agire efficacemente solo con consenso unanime. La necessità di superare il principio dell'unanimità e di attribuire alle proprie organizzazioni maggiore autonomia dà vita a quello che è stato definito metodo comunitario; le caratteristiche precedenti sono quasi tutte rovesciate. • prevalenza organi individuali: Le persone che siedono nella maggior parte delle istituzioni comunitarie rappresentano se stesse e sono indipendenti dallo Stato di appartenenza e pertanto sono portatrici di proprie opinioni e di proprie scelte. Esistono tuttavia anche organi di stati, quale il consiglio, organo composto da rappresentanti degli Stati. • Potere di adottare atti vincolanti: Il potere deliberativo dell'organizzazione non si esprime soltanto in atti di natura raccomandatoria, ma anche attraverso atti vincolanti che obbligano gli Stati membri anche contrari. • Prevalenza del principio maggioritario: gli atti non sono presi all'unanimità ma a maggioranza; ciò comporta che gli stati membri che si trovano in minoranza possono essere vincolati anche da un atto ai quali erano contrari: gli stati sono spogliati dal potere di veto. • effetti diretti: producono effetti vincolanti non solo per gli stati ma anche all'interno degli stati, in capo alle persone fisiche e alle persone giuridiche. • corte di giustizia: proprio perché le istituzioni sono dotate di adottare atti vincolanti viene creato un sistema di controllo giurisdizionale di legittimità in capo alla corte di giustizia: tale potere viene esercitato nei in due profili, cioè il controllo di un giudice sugli atti dell'organizzazione (i quali devono essere leggittimi e rispondenti al diritto primario costituito dai trattati e se non lo sono, gli atti possono essere impugnati), e il controllo sul rispetto degli obblighi incombenti sugli stati in virtù della partecipazione alla comunità !2 Tale crisi viene ricomposta nel 1966 con il compromesso di Lussemburgo; non si tratta di un trattato, ma di una dichiarazione politica, con la quale gli stati stabiliscono che le decisioni ritenute di interesse essenziale da uno stato membro sarebbero state prese all'unanimità e non più a maggioranza. Tale compromesso ricompone la crisi della sedie vuota ma è un arretramento rispetto al metodo comunitario, basto sulla magggioranza. Gli stati infatti si riappropriano del potere di veto. Gradualmente, il compromesso del Lussemburgo è caduto in desuetudine, in particolare con l'entrata in vigore dell'atto unico europeo. Negli anni 70, il processo d'integrazione europea riparte. In Francia era uscito di scena De Gaulle e con l'avvento del presidente Pompidou furono raggiunti nuovi traguardi: 1) Cambiano le modalità di finanziamento delle comunità europee: dai trasferimenti statali (per cui ciascuno stato membro in proporzione contribuiva al funzionamento della comunità), si passa al cosiddetto sistema delle risorse proprie: le comunità europee vengono dotate di risorse proprie. Le più importanti sono il dazio doganale comune (quando un prodotto di un paese terzo varca le frontiere di un paese dell ue è soggetto ad un dazio dogonale), e una quota dell'iva. 2) Cooperazione in tema di politica monetaria. Le fluttuazione tra i tassi di cambio delle monete sono un ostacolo al mercato comune e si cerca di limitarle con dei sistemi quali il serpente monetario europeo e naturalmente con la nascita della moneta unica. 3) Si assiste ad un allargamento delle comunità europee a nuovi paese membri, nel 1973 entrano il Regno Unito, Irlanda e Danimarca. Era prevista anche la Norvegia che aveva firmato un trattato di adesione, ma non fu ratificato. Nell'81 la Grecia, nell'86 Spagna e Portogallo, nel 1995 Austria, Finlandia e Svezia, passando così da 6 a 15 membri. Nel 2004 con il trattato di Atene entrano 10 nuovi paesi: estonia, lituania, lettonia, la repubblica ceca e la repubblica slovacca, polonia, ungheria, slovenia, malta e cipro. Nel 2007 aderiscono Bulgaria e Romania. Nel 2013 aderisce la Croazia. Attualmente sono 28 i Paesi membri. Mercato comune Il mercato comune è perseguito attraverso un insieme di strumenti: • le 4 libertà fondamentali (la libera circolazione delle merci, persone, servizi e dei capitali); • le politiche di concorrenza, rivolte alle imprese e a gli stati membri. !5 La libera circolazione delle merci si fonda su tre punti: • Instaurazione di unione doganale: vengono abolite le tariffe doganali tra gli stati membri delle comunità europee. Gli stati membri istituiscono dunque una tariffa doganale comune, rinunciando così alla loro sovranità in tema di politica commerciale in favore dell'unione europea. Il prodotto, una volta pagato il dazio (risorsa propria) circola come un prodotto nazionale e si considera in libera pratica. • Divieto di imposizioni fiscali interne discriminatorie: si intende il divieto di sottopporre un bene importato ad una tassazione che lo discrimini, dando luogo ad un effetto protezionistico rispetto ad un prodotto interno. L'abolizione di dazi doganali sarebbe vanificata se gli Stati potessero, in un momento successivo, rispetto all'importazione di un bene, sottoporre una tassazione interna discriminatoria rispetto al prodotto nazionale concorrente o similare. Es. in Regno unito la birra è un bene prevalentemente di produzione nazionale, il vino è invece importato. Si potrebbe così colpire il vino tramite dazio doganale o sottoporlo a successiva tassazione creando così un effetto discriminatorio e protezionistico. • divieto di restrizioni quantitative e misure a effetti equivalenti: si ha quando uno stato membro fissa un quantitativo massimo del prodotto che può essere importato. La definizione di misura di effetto equivalente è data dalla sentenza Dassonville nel 1974. La Corte afferma che costituisce una misura ad effetto equivalente ogni misura commerciale idonea ad ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi intracomunitari. La libera circolazione delle persone: La disciplina comunitaria non riguarda la persona in quanto essere umano, ma in quanto soggetto economicamente rilevante. In relazione al periodo storico dell'entrata in vigore del trattato CEE in base alla problematica rilevante della distribuzione della mano d'opera si cercò di far incontrare domanda e offerta lavoro, dando luogo ad una redistribuzione dei lavoratori all'interno della comunità. Questa impostazione è stata gradualmente abbandonata in quanto la persona non è più vista come fattore di produzione, ma come essere umano. La libera circolazione delle persone è bipartita e riguarda: i lavoratori subordinati; i lavoratori autonomi. La libera circolazione dei servizi è una componente della libera circolazione delle persone. Vi sono 4 modalità attraverso cui si può esplicare la libera circolazione dei servizi: 1. prestatore del servizio, il quale occasionalmente si sposta in Stati membri per offrire il servizio. 2. spostamento del destinatario del servizio (es. paziente che si cura all'estero). 3. non si sposta né il destinatario né il prestatore del servizio, ma è lo stesso servizio che attraversa la frontiere. !6 4. Si spostano sia il prestatore che il destinatario da un altro paese di origine rispetto a dove viene erogato il servizio (es. di guida turistica di un paese e accompagna i turisti in un altro paese). La libera circolazione dei capitali. Originariamente i capitali erano liberalizzati nella misura necessaria al buon funzionamento del mercato comune. Si distingueva tra pagamenti (liberalizzati) e altri movimenti dei capitali (non liberalizzati). Successivamente, con il trattato di Maastricht, i movimenti dei capitali sono stati pienamente liberalizzati ed è sviluppata come le altre libertà di circolazione. A queste si aggiungono politiche di concorrenza che sono rivolte alle imprese: divieto di intese: le quali presuppongono un accordo tra più imprese; abuso di posizione dominante. Regole di concorrenza rivolte agli stati: divieti di aiuti (107 TFUE): gli aiuti di stati sono finanziamenti da parte di uno stato che finanzia le imprese (pubbliche o private) per avvantaggiarle rispetto ad altre. I trattati Dall'atto unico europeo del 1896 fino al 2007 (trattato di Lisbona) sono succedute una serie di trattati. Atto unico europeo Il consiglio europeo di Milano, nel 1985, ha convocato una conferenza intergovernativa, il cui tema principale è il mercato unico che non era stato ancora compiutamente realizzato: erano stati effettuati dei passi avanti ma erano ancora deboli. occorre dunque trovare gli strumenti per realizzarlo e, inoltre, apportare delle modifiche al trattato istitutivo. I temi vertono su come accrescere i poteri del parlamento europeo (prima aveva solo funziona consultiva no poteri decisionali) ed estendere l'azione comunitaria a nuovi settori. La conferenza elabora un progetto composto da due testi ma poi confluiti in un unico testo e per questo si parla di atto unico europeo, firmato nel 1986 ed entrato in vigore nel 1987.
 L'atto unico europeo ha introdotto alcune modifiche: Il preambolo non ha efficacia giuridica, ma è una dichiarazione dove si indicano gli obiettivi da raggiungere. Nel preambolo entra per la prima volta il concetto di unione europea: si vuole trasformare l'insieme delle relazioni tra gli stati membri in una unione europea. Il contenuto di questa definizione non è mai stato definito e in dottrina c'è chi dice che il segreto del successo sta nel fatto di essere un'espressione del tutto ambigua e consente di evitare il dibattito tra i sostenitori e oppositori di uno sviluppo di tipo federale. !7 Il trattato di maastricht ha previsto inoltre l'aggiunta di settori quali la sanità pubblica, industria, cultura e vengono rafforzati altri settori come l'ambiente, già entrato in vigore con l'atto l'unico europeo. Altro dato fondamentale del trattato di maastricht è l'istituzione della cittadinanza europea, concetto che rileva per contenuti e per valore simbolico. Si tratta di una forma di cittadinanza riconosciuta a tutti gli abitanti dei paesi membri dell'unione europea i cui contenuti sono molteplici: diritto di elettorato attivo e passivo per il parlamento europeo e per le elezioni comunali; la libertà di circolazione si estende ai cittadini (non solo lavoratori) e libertà di soggiorno alle condizioni previste dal trattato e dal diritto derivato; protezione diplomatica per cui se un soggetto si trova in un paese terzo in cui non vi è rappresentanza diplomatica del proprio paese, può farsi assistere da una rappresentanza di altro paese membro dell'unione. Viene istituita inoltre l'unione economica e monetaria tramite tre frasi: la terza fase si è conclusa nel 1999, in cui si passa da una politica monetaria in capo agli stati membri a una politica monetaria decisa dalla banca centrale europea BCE e il 1 Gennaio 2002 viene introdotto l'euro. Trattato di Amsterdam Il processo di integrazione non si è arrestato e già il trattato di Maastricht prevedeva una nuova conferenza intergovernativa nel 1996 per stabilire i nuovi progressi da intraprendere. Si è realizzato, il consiglio europeo riunito a Torino, nel marzo del 1996, che indice la nuova conferneza intergovernativa che dà luogo al Trattato di Amsterdam, firmato nel 1997 ed entrato in vigore nel 1999. Il trattato prevedeva un ampliamento delle competenze, come la politica comunitaria del lavoro. Viene modificata inoltre la strutta a tre pilastri: si è avuta la comunitarizzazione di una parte del terzo pilastro (GAI), cioè parte di queste materie entrano a far parte del pilastro comunitario (primo pilastro) e ciò comporta l'assoggettamento di queste materie al metodo comunitario: sono le materie relative ai visti, diritto d'asilo e politiche d'immigrazione e altre politiche connesse con la circolazione delle persone (disciplinato non più nel TUE ma TCE) , il terzo pilastro ora prende il nome di cooperazione di polizia e cooperazione giudiaziaria in materia penale. Il trattato di Amsterdam istituisce inoltre le cooperazione rafforzate: ci si è posti la domanda se gli obiettivi dovevano essere posti da tutti gli stati membri o se quegli stati, che avevano la possibiltà, erano in grado di adottarli prima e più velocemente rispetto ad altri (Europa a geometria variabile o Europa a più velocità, come la politica moneteria ne è un esempio). Tale sistema di cooperazioni rafforzate, vede la possibilità per gli stati membri di !10 instaurare cooperazione che abbia come partecipanti almeno 9 paese membri, così da creare gruppi di stai che procedano in modo più spedito sul cammino dell'integrazione. Altra innovazione fu la rinumerazione dei trattati. Trattato di Nizza Il consiglio europeo ad Helsinki convoca, nel 1999, una conferenza intergovernativa che si tenne nel 2000. Il mandato era limitato a tre questioni rimaste insolute nei trattati precedenti, aventi però carattere istituzionale. Si passa da 15 a 25 paesi membri e occorrono degli adattamenti di tipo istituzionale: • ponderazione dei voti in seno al consiglio: la maggioranza non è quasi mai la maggioranza degli stati ma si calcola sulla base della ponderazione, ossia a ciascuno Stato viene attribuito un certo numeri di voti che tenga conto di una serie parametri, come il peso demografico; si fa riferimento ad una proporzionalità digressiva, ossia i piccoli stati hanno un peso maggiore rispetto a quello che sarebbe loro corrispondente al loro peso demografico, in quanto se fosse una proporzionalità perfetta il loro peso nel consiglio sarebbe nullo (grandi stati 29 voti, piccoli stati -Polonia- 27), così da avere un equilibrio tra le esigenze dei grandi Stati e quelle dei picoli Stati. • composizione della commissione europea: nell'europa a 15 stati membri vi erano 20 commissari, i 5 Paesi più grandi designavano 2 commissari. L'Europa composta da 28 paesi, comporta avere una commissione che diventerebbe un piccolo Parlamento e ci sarebbe stato un eccessivo frazionamento delle competenze di ciascun commissario. Si cambia sistema e si decide che la commissione sarebbe stata composta da un membro per Stato finché non si fosse giunti a 27 stati. Questa modifica poteva essere derogata secondo una decisione unanime presa nel 2013, la commissione sarebbe stata composta da 2/3 degli stati (clausola di salvaguardia - consiglio di lisbona). Oggi è composta da 28 componenti pari al numero degli stati membri. È stato discusso anche sul numero dei parlamenti europei, il quale non poteva superare 372 ma questa disposizione è stata ripresa e attualmente sono 751. • Estensione del voto a maggioranza a nuove materie: si è allargato il voto a maggioranza nella politica commerciale, politica sociale e cooperazione con paesi terzi. La materia più importante è la prima, gli stati rinunciano alla loro sovranità nell'ambito della politica commerciale e determinano la tariffa doganale comune. Il trattato è firmato nel 2001, entra in vigore nel 2003, in quanto vi furono problemi relativi alla ratifica. L'Irlanda aveva indetto un referendum il cui esito fu negativo e ciò comportò che il Trattato non entri in vigore. L'Irlanda nel 2002 ha indetto un nuovo referendum, dopo aver chiesto alcune informazioni sul voto negativo e presenta una dichiarazione che non pregiudichi la tradizionale politica di neutralità dell'Irlanda, e il trattato entra in vigore nel 2003. !11 Mentre si svolgevano le negoziazioni l'unione europea aveva dato il mandato ad un organismo, La Convenzione, che doveva redigere una carta dei diritti fondamentali dell'unione europea. La convenzione finora non era mai stato istituita ed è composto dai rappresentanti dei capi di stato e capi di governo, rappresentanti dei parlamenti nazionali e europei, rappresentanti della commissione europea. Quest'organismo ha redatto la Carta di Nizza o Carta dei diritti fondamentali, proclamata solennemente nel 2001 dai presidenti delle istituzioni politiche, non ha efficacia giuridica vincolante ma adottandola come dichiarazione politica affermando di voler rispettare i principi sanciti. Quindi poteva essere invocata di fronte la corte di giustizia. La costituzione europea Non è mai entrata in vigore. Il movimento d'integrazione non si ferma al Trattato di Nizza, adotta anche una dichiarazione sul futuro dell'Europa dove si prefigurano progressi ulteriori e si convoca una conferenza intergovernativa nel 2004. Il consiglio europeo a Laeken del 2001 ha adottato una dichiarazione, le cui questioni da trattare erano: • chiarire il tema del riparto di competenze tra unione e stati membri • individuare strumenti necessari per assicurare maggiore democrazia, efficacia e trasparenza nelle azioni dell'U.E. • chiarire il tema dello status della carta dei diritti fondamentali dell'U.E. • semplificare i trattati. Viene predisposto un organismo analogo a quello di Nizza che aveva disposto la carta dei diritti fondamentali: la Convenzione sul futuro dell'europa alla scopo di redigere un progetto di trattato (che sarebbe diventata la Costituzione europea). L convenzione è un'entità che ha una composizione allargata rispetto a quella della conferenza intergovernativa. Rispetto alla conferenza intergovernativa, caratterizzato da assenza di trasparenza, ossia rappresentanti dei governi negozio nel testo a porte chiuse, la convenzione è un organismo assolutamente trasparente. Nel luglio del 2003 la convenzione ha terminato e redatto un progetto di trattato che istituisce una costituzione per l'europa e dopo si è aperta la conferenza intergovernativa. Il risultato finale non si allontanava di molto rispetto ai lavori della convenzione e nacque il trattato che istituisce una costituzione dell'europa. Le principali novità della costituzione europea riguardano: • la semplificazione del sistema, derivante dal fatto che il trattato della costituzione europea avrebbe preso il posto del TUE e TCE. Questo comportava la scomparsa del sistema a pilastri, per cui non esisteva più in questo modo la comunità europea ma solo l'unione europea, disciplinata da un unico trattato, la costituzione europea. !12 L'ordinamento dell'Unione europea Come ogni ordinamento giuridico, anche l'ordinamento dell'unione si fonda sul sistema di fonti di produzione del diritto. Una prima distinzione che possiamo introdurre consiste nel distinguere tra diritto primario, diritto derivato e fonti intermedie. • Le fonti del diritto primario sono i trattati istitutivi,modificativi e di adesione, i protocolli allegati ai trattati con stessa efficacia giuridica (costituiscono parte integrante dei trattati), la carta dei diritti fondamentali dell'unione europea (che a seguito del trattato di Lisbona ha assunto la medesima efficacia giuridica dei trattati). La dottrina prevalente inquadra nel diritto primario anche i principi generali (fonti non scritte) del diritto dell'unione europea. • Le fonti del diritto derivato comprendono gli atti che le istituzioni hanno il potere di adottare sulla base di quanto previsto dai trattati, in particolari regolamenti, direttive e decisioni. • La dottrina ha individuato inoltre una terza categoria: le fonti intermedie. Le principali fonti intermedie i trattati internazionali conclusi dall'Unione europea con stati terzi (l'U.E. ha personalità giuridica ed è in grado di stipulare trattati internazionali con stati terzi o con organizzazioni internazionali) e le fonti di diritto internazionale generale (le consuetudini internazionali). Le fonti intermedie traggono la loro efficacia giuridica dai trattati, per tanto nella gerarchia delle fonti devono sottostare ai trattati. Le fonti intermedie costituiscono parametro di legittimità del diritto derivato: se un atto di diritto derivato contrasta con le fonti intermedie, l'atto di diritto derivato può essere annullato dalla corte di giustizia (si collocano al di sopra del diritto derivato). La categoria preponderante è quello di diritto derivato. l'art 288 del TFUE comprende i principali atti di diritto derivato definiti come atti tipici (regolamenti, direttive e decisioni) ma vi sono anche altri atti quali le raccomandazioni o i pareri che a differenza dei primi non sono vincolanti e in quanto tali non possono fungere da fonti del diritto. I regolamenti, le direttive e le decisioni sono fonti che non possono essere ordinate secondo un criterio gerarchico. Di conseguenza un regolamento può abrogare una direttiva e viceversa. La direttiva non ha diretta applicabilità ciò vuol dire che vincola lo stato nel fine ma lo lascia libera nei mezzi; la decisione è direttamente applicabile con portata individuale; il regolamento è direttamente applicabile con portata generale (il regolamento non si rivolge a destinatari identificabili bensì a categorie astratte di persone e in questo si differenzia dalla decisione). Tali atti si ricollegano al principio di attribuzione e al criterio della competenza : l'Unione europea agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono stati attribuiti dai trattati e per realizzare gli obiettivi da questa stabiliti. Il trattato ci dice, volta per volta, se in !15 quella determinata materia l'unione europea può adottare regolamenti o direttive (criterio della competenza). Si è detto che generalmente non vi è gerarchia tra fonti di diritto derivato salvo la circostanza, affermata dalla prassi: ossia in relazione a un atto di base e un atto di esecuzione. Tale situazione si verifica quando un atto di diritto derivato detta una disciplina generale di una materia e poi demanda a successivi atti di diritto derivato una disciplina più di dettaglio. Atto di base: È quell'atto che dà una disciplina generale a una materia e prevede anche che certi aspetti più di dettaglio saranno poi disciplinati da atti successivi che prendono il nome di esecuzione. Atto di esecuzione deve essere conforme a quanto previsto dall'atto di base e dunque non può essere contrastante con questo, vigendo il criterio gerarchico tra atti di base è di esecuzione. Se vi è contrasto l'atto di esecuzione può essere annullato dalla corte di giustizia. Procedure legislative Il trattato di Lisbona ha introdotto numerose novità in relazione al diritto derivato accogliendo anche la distinzione tra atti legislative e non legislativi: • L'art 288 è rimasto inalterato ossia l'art che prevede che per esercitare le competenze dell'unione, le istituzioni adottano regolamenti, direttive, decisioni, raccomandazioni e pareri. Per ciascuno di questi atti sono previste delle determinate caratteristiche. • L'art 289 TFUE definisce le procedure legislative: • Procedura legislativa ordinaria La procedura ordinaria consiste nell'adozione congiunta di un regolamento, di una direttiva o di una decisione da parte del parlamento europeo e del consiglio (agiscono quindi congiuntamente nell'emanazione dell'atto). In passato era nota come procedura di codecisione (consiglio e parlamento nel processo decisionale si collocano sullo stesso piano. Si parla infatti di colegislatori. La procedura legislativa ordinaria si apre con la proposta della commissione la quale viene indirizzata simultaneamente al consiglio e al parlamento europeo; la procedura è regolata dall'arte 294 TFUE e si fonda su un sistema di tre letture (non è però necessario che si giunga alle tre letture). Il parlamento europeo e il consiglio godono del potere di sollecitare la commissione a presentare una proposta. Va poi considerato che proposte possono essere sollecitate anche da parte di altre istituzioni o organi come il consiglio europeo; si riconosce anche l'iniziativa dei cittadini (almeno un milione). Viene limitato il potere da parte del consiglio di modifica della proposta: "il consiglio può e,e dare la proposta solo deliberando all'unanimità" senza che si possa allontanare in maniera radicale dalla proposta. Si ritiene che tra i poteri riconosciuti alla commissione vi sia anche quello di ritirare la proposta. La prima lettura consiste nell'adozione da parte del parlamento europeo della !16 proprio posizione, che viene trasmessa al consiglio il quale se approva avviene la formulazione dell'atto altrimenti si conclude la prima lettura con la sua posizione e prende avvio la seconda lettura. Il parlamento europeo può: approvare la posizione in prima lettura del consiglio; respingere la posizione; proporre emendamenti. Nel primo caso l'atto si considera adottato nella formulazione corrispondente alla posizione del consiglio; nel terzo caso in base il consiglio può provare gli emendamenti e in tal caso l'atto si considera approvato, può tuttavia anche non approvare gli emendamenti. Nel secondo caso si apre invece un comitato di conciliazione il quale redigerà un progetto comune che sarà approvato in terza lettura. • Procedura legislativa speciale lo svolgimento di tali procedure è definito di volta in volta dalle disposizioni che fungono da base giuridica. Nella maggior parte dei casi esse consistono nell'adozione dell'atto da parte del consiglio a maggioranza o all'unanimità, previa consultazione del parlamento europeo (procedura di consultazione). Quando il TFUE prevede che il potere di adottare atti legislativi in un certo settore spetti al solo consiglio, il potere di questa istituzione è controbilanciato dall'obbligo di consultare il parlamento europeo. Quello che il parlamento è chiamato ad emettere è un parere consultivo. La giurisprudenza si è occupata di questo tema con la sentenza Roquette frères (un fabbricante di una sostanza dolcificante aveva impugnato un regolamento del consiglio che fissava quote di produzione di tale sostanza in quanto tale regolamento era stato adottato senza il parere consultivo del parlamento. Il regolamento è stato annullato in quanto la consultazione del parlamento essere una consultazione effettiva e regolare e strumento che consente la partecipazione del parlamento al processo legislativo della comunità. In osservanza del principio di leale collaborazione il parlamento è tenuto ad emanare il parere entro un termine ragionevole. Se dopo la consultazione del parlamento, il consiglio decide di modificare l'atto nella sostanza o la commissione ritiene la proposta è presente un'altra diversa da quella su cui il parlamento si è espresso, è necessaria una seconda consultazione. In alcuni casi il TFUE prevede che l'atto legislativo deliberato dal consiglio debba essere approvato dal parlamento europeo (procedura di approvazione); in questi casi il potere deliberativo è condiviso con il parlamento, ma a differenza della procedura ordinaria, nella procedura di approvazione il parlamento si limita ad approvare o respingere l'atto (non ha ulteriori poteri). Gli atti legislativi sono quelli adottati mediante la procedura legislativa, sia ordinaria che speciale. Tutti gli altri sono atti non legislativi (ad esempio gli atti della commissione). Gli atti non legislativi sono quelli disciplinati in particolari dagli art 290 e 291che si riferiscono agli atti delegati e atti di esecuzione. !17 poi portato la corte a riconoscere l'efficacia diretta e il primato del diritto di fonte sovranazionale rispetto a quello nazionale. Vi sono comunque degli elementi che avvicinano i trattati comunitari ad un'esperienza di tipo costituzionale sono: • principio dell'effetto diretto: gli accordi internazionali producono diritti e obblighi in capo agli stati membri dell'unione europea e, oggi, anche in capo ai soggetti che si collocano all'interno degli ordinamenti statali; • I criteri interpretativi, i quali risultano analoghi a quelli che le corte costituzionale adotta nell'interpretazione delle costituzioni. I canoni d'interpretazione dei trattati comunitari non sono quelli tipici dei trattati internazionali fissati nella convenzione di Vienna, ma hanno un sistema proprio e si avvicinano molto a quello dei giudici interni (es. criterio dell'effetto utile ossia la corte preferisce le interpretazione che dispieghino gli effetti della norma nella maggiore effettività possibile); • criterio del primato del diritto dell'unione sul diritto interno (in caso di contrasto tra norme prevale l'ordinamento dell'unione su quello nazionale); • L'ordinamento dell'unione europea riconosce una tutela dei diritti fondamentali L'analogia con le Costituzioni è evidente, come con quella italiana (i diritti inalienabili della persona umana). !20 I trattati Le fonti di diritto primario dell'Unione sono in massima parte contenute nei trattati (TUE e TFUE), come emendati dai trattati di revisione e modificati dai trattati di revisione. Il rapporto tra i due trattati è paritetico dal punto di vista della natura giuridica mentre gerarchico dal punto di vista funzionale: i due trattati hanno pari natura giuridica tuttavia il TFUE è strumentale rispetto al TUE, in quanto serve ad integrare e dettagliare la disciplina generale contenuta in quest'ultimo. Processo di formazione dei trattati: 1. negoziazione : i rappresentati degli stati nell'ambito di una conferenza intergovernativa predispongono il testo dell'accordo. 2. firma: Al termine della negoziazione i rappresentanti appongono la loro firma. La firma non vincola lo stato ma ha la funzione di autenticazione del testo. Si potranno apportare modifiche al testo solo con una nuova negoziazione. 3. ratifica: gli organi competenti di ciascuno stato esprimono la volontà di impegnarsi a rispettare l'accordo. In italia la ratifica è atto del pdr ma in casi specifici previsti dall'art 80 della costituzione, occorre una legge di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali. 4. scambio o deposito delle ratifiche: porta a conoscenza di altri stati l'avvenuta ratifica I trattati comunitari entrano in vigore quando tutti gli Stati li ratificano. Revisione dei trattati (48 TUE) I trattati possono essere modificati soltanto ricorrendo alle procedure previste a questo scopo dagli stessi trattati, in particolare dall'art 48 TUE che disciplina appunto le procedure di revisione. L'art 48 è stato modificato dal trattato di Lisbona e alla procedura ordinaria di revisione dei trattati si affiancano due procedure semplificate: la procedura ordinaria ha un campo di applicazione generale, quelle semplificate si applicano, una per determinate parti dei trattati, l'altra per modificare le procedure decisionali. Procedura di revisione ordinaria si suddivide in una fase preparatoria che si svolge a livello istituzionale dell'Unione, e una fase deliberativa che vedono come protagonisti gli stati membri e i loro parlamenti nazionali: • Fase preparatoria • Gli stati membri, il parlamento europeo o la commissione possono presentare al consiglio un progetto di modifica. Tali progetti di modifica possono accrescere o ridurre le competenze dell'Unione previste dai trattati; !21 • Il consiglio europeo decide a maggioranza semplice previa consultazione del parlamento e della commissione; • Il consiglio europeo convoca una convenzione (composta dai rappresentati dei parlamenti nazionali, dei capi di stato o di governo degli Stati membri, del parlamento europeo e della commissione) con lo scopo di esaminare i progetti di modifica e adotta una raccomandazione per la conferenza intergovernativa. La convenzione è soltanto eventuale: il consiglio europeo, può decidere di non convocare la convenzione quando l'entità delle modifiche proposte non lo richiede. • Fase deliberativa: • Convocazione di una conferenza intergovernativa ove vengono stabilite le modifiche da apportare ai trattati; • Ratifica delle modifiche approvate da tutti gli stati membri e loro entrata in vigore.) Procedura di revisione semplificata 1. Il trattato di Lisbona ha previsto due procedure semplificate: la prima può avere ad oggetto soltanto modifiche di disposizioni della parte terza del TFUE (relative alle politiche e azioni interne dell'Unione), ma non è possibile estendere le competenze dell'Unione. La procedura è analoga a quella ordinaria, senza convocazione della convenzione e della conferenza intergovernativa, e prevede la decisone unanime del consiglio europeo, previa consultazione del parlamento e della commissione (o della BCE se le modifiche riguardano il settore monetario) e l'entrata in vigore previa approvazione degli Stati membri. Tale procedura è stata utilizzata una sola volta, in relazione alla modifica dell'art 136 (politica moneteria) del TFUE. Nella sentenza pringle 27/11/12 in base all'accordo internazionale per adottare il fondo salva stati il giurista irlandese Pringle sollevò un rinvio pregiudiziale alla corte di giustizia sulla legittimità in relazione all'utilizzo della procedura semplificata: sosteneva infatti che per una modifica del genere si dovesse usare una procedura ordinaria in quanto la procedura semplificata riguardava esclusivamente la parte terza del trattato, mentre l'articolo in questione modificava la parte prima; inoltre la modifica avrebbe portato anche un accrescimento delle funzione e per tale occorre un aporie dura ordinaria. La corte di giustizia però nega quanto stabilito da pringle e ha confermato la validità della decisione dicendo che il fondo salva stati poteva essere attuato anche se non si fosse modificato l'art 136. 2. La seconda procedura semplificata prende il nome di procedura passerella riguarda le modifiche e consente al consiglio di deliberare a maggioranza qualificata invece che all'unanimità, o che l'atto venga approvato secondo una procedura legislativa ordinaria invece che secondo una procedura legislativa speciale. Tale procedura prevede: 1) l'iniziativa del consiglio europeo; 2) la trasmissione dell'iniziativa ai parlamenti nazionali, che possono opporsi entro sei mesi impendendo che !22 nazionali non possono porre in essere discriminazioni nei confronti di soggetti cui il diritto comunitario attribuisce il diritto alla parità di trattamento. La protezione dei diritti fondamentali I diritti fondamentali sono un tema centrale all'interno dell'Unione europea. Tuttavia all'elaborazione di tali diritti ci si è arrivato mediante un lungo lavoro di elaborazione giurisprudenziale durato diversi anni sulla base anche dei rapporti tra ordinamento comunitario e ordinamento degli Stati membri. In passato infatti non si prevede a una espressa elencazione di tali diritti; i trattati non dicevano nulla della materia (silenzio dei trattati). Il problema nasce proprio dalla lacuna dei trattati. I trattati istitutivi della CECA e CEE non contenevano alcun riferimento generale alla tutela dei diritti fondamentali. La ragione di tale silenzio va ricercata nella natura economica degli obblighi contenuti nei trattati, in quanto gli Stati fondatori ritenevano che questi obblighi di tipo economico non potessero entrare in contatto con i diritti fondamentali. La completa assenza di qualsiasi riferimento alla tutela di diritti fondamentali aveva condotto la giurisprudenza della corte di giustizia teorizzare a partire dagli anni 70 l'esistenza di principi generali che assicuravano la protezione di tali diritti e per la cui ricostruzione occorreva trarre ispirazione dei trattati internazionali in materia, in particolare la CEDU e dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri. La corte di Giustizia, al silenzio, ha reagito con una serie di sentenze (evoluzione giurisprudenziale). • La sentenza Stork del 59 si rifiuta di prendere in considerazione i diritti fondamentali. La corte afferma che i trattati non prendono in considerazione i diritti fondamentali e dunque non ha le competenze. Tale sentenza si fonda sull'interpretazione letterale del trattato; l'interpretazione della corte è certamente lineare ma suscita vari problemi. La creazione della CEE finiva per tradursi infatti con un deficit nella tutela dei diritti fondamentali. • La corte di giustizia con la sentenza Stauder del 1969 elabora in via giurisprudenziale una forma comunitaria di tutela di diritti fondamentali. La corte afferma infatti che i diritti fondamentali fanno parte del diritto comunitario come principi generali del diritto e che le istituzioni devono rispettare e la cui osservanza è sottoposta al controllo della corte. Tuttavia occorreva comunque l'individuazione di tali diritti • La corte nelle sentenze successive dà un'elaborazione giurisprudenziale circa l'individuazione di questi diritti. Nella sentenza internationale handelsgesellshaft del !25 '70 la corte afferma che per definire i diritti fondamentali ci si deve ispirare alle tradizioni costituzionali comuni degli stati membri (diritti degli stati membri). Nella sentenza Nold del '74, viene individuata una seconda fonte ossia il diritto internazionale, vale a dire i trattati internazionali in materia di tutela dei diritti fondamentali, in particolare la CEDU (ne fanno parte tutti gli stati membri). La CEDU (convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali) è un catalogo accettato da tutti gli stati membri, ma anche un sistema di tutela che ha al suo interno una corte, la Corte di Strasburgo dalla cui giurisprudenza si può attingere per quanto riguarda i diritti fondamentali. Il tema dei diritti fondamentali entra in contatto con quella dell'accettazione del primato del diritto dell'Unione da parte delle corti costituzionale nazionali. L'affermazione della giurisprudenza della corte di giustizia secondo cui esistono principi generali del diritto che proteggono i diritti fondamentali è strettamente collegata alla presa di posizione assunta dalle corti costituzionali italiana e tedesca. • La corte italiana si pronuncia nella sentenza Frontini nel 73. La corte costituzionale italiana ritiene che in caso di atti comunitari che violassero i principi fondamentali del nostro ordinamento o i diritti inalienabili della persona umana, tali non possono essere ammessi e sarebbe stato possibile l'intervento della corte costituzionale, attraverso il sindacato costituzionale. Tale situazione viene definita dalla giurisprudenza come la teoria dei contro limiti. La corte costituzionale italiana non allude alla possibilità di operare il proprio controllo su atti che provengono da un altro ordinamento giuridico (atti comunitari), non potrà esprimersi sulla legittimità dell'atto comunitario, ma potrà esprimersi sull'incostituzionalità della legge di ratifica del Trattato o dell'ordine di esecuzione in essa contenuto. • Diversa parzialmente è la posizione della corte costituzionale tedesca che si è pronunciata nella sentenza Solange I del 74. La corte tedesca allude ad un possibile controllo diretto da parte sua sull'atto comunitario in causa che violi un diritto fondamentale; ma tale situazione ha carattere provvisorio in attesa che la CE si doti di un catalogo di diritti fondamentali analogo a quello previsto dalla legge fondamentale tedesca. Le soluzioni prospettate dalle due corti costituzionali comportava un grave attentato al carattere unitario del diritto comunitario: un atto delle istituzioni, se giudicato in contrasto con i diritti fondamentali protetti dalla costituzione italiana o tedesca, non avrebbe trovato applicazione nell'ordinamento in questione, pur restando applicabile negli altri Stati membri della comunità. La teoria dei controlimiti viene a configurarsi come una sorta di criterio valvola, essa evidenziava infatti una grave lacuna dell'ordinamento comunitario alla quale è necessario porre rimedio. • La corte costituzionale tedesca nella sentenza solange II ribalta il presupposto della sentenza solange I e afferma che fino a quando la comunità europea garantirà una protezione effettiva di diritti fondamentali, la corte costituzionale federale non eserciterà più la competenza relativa all'applicazione del diritto derivato. Si predispone dunque una presunzione di conformità. !26 Dopo le sentenze che hanno accompagnato la revisione giurisprudenziale, ha luogo una revisione dei trattati. • Il primo atto nel quale si parla dei diritti fondamentali è una dichiarazione comune del Parlamento, Consiglio e Commissione del 5 aprile 1977, sul rispetto dei diritti fondamentali. Non si tratta di un atto con portata giuridica vincolante ma una dichiarazione, con i quali i presidenti delle 3 istituzioni politiche manifestano la loro volontà di rispettare i diritti fondamentali, risultanti dai trattati internazionali e dalle tradizioni costituzionali comuni, facendo riferimento alla CEDU. Questa dichiarazione sebbene non abbia valore vincolante, ha una indubbia portata simbolica. Anche nel preambolo dell'atto unico europeo c'è anche un riferimento al rispetto dei diritti fondamentali avente certamente portata simbolica. • Il punto di svolta è con il Trattato di Maastricht. L' art. 6 al paragrafo 3 del TUE dispone che “l'Unione rispetta i diritti fondamentali, quali sono garantiti dalla CEDU e quali risultano dalla tradizioni costituzionali comuni, in quanto principi generali del diritto comunitario”. Altro non è che il risultato o meglio la codificazione delle 3 sentenze della Corte (stauder, internazionale e nold). Questo consolidamento della giurisprudenza della corte di giustizia è stato molto importante, ma i progressi non si sono arrestati. • anche il trattato di Amsterdam (1997) ha affrontato il tema della tutela dei diritti fondamentali, introducendo 2 novità generali: il parag 1 dell'art.6 del TUE (oggi lo ritroviamo nell'art. 2 del TUE, la versione oggi è stata arricchita rispetto all'originale, si parla anche di libertà, della dignità umana, democrazia ecc..). Cita “L'unione si fonda su principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell'uomo e diritti fondamentali e dello stato di diritto, e questi principi sono comuni agli stati membri”. L'art 49 in relazione all'adesione di nuovi stati membri impone a tali Stati il rispetto dei principi menzionati all'art 2, per cui la condivisione di tali valori risulta condizione di adesione; Il trattato di Amsterdam inserisce inoltre all'art. 7 del tue, una procedura di sospensione dei diritti di voto in seno al Consiglio, quando uno stato membro violi in modo grave e persistente i principi dell'art. 2. Vi sono anche disposizioni di dettaglio, riguardanti il rispetto di determinati diritti dell'uomo, come: A. art. 19 del TFUE: è introdotto dal trattato di Amsterdam e autorizza l'Unione a prendere misure positive, emanando atti di diritto derivato, per lottare contro discriminazioni di sesso, razza, età, orientamento sessuale, ecc.. B. Altra novità di carattere particolare è l'art. 16 del TFUE, che ha anche instaurato una protezione delle persone riguardo al trattamento dei dati personali. C. Nell'art. 15 paragrafo 3 del TFUE viene consacrato il principio dell'accesso dei cittadini ai documenti del parlamento, della comissione e del consiglio. !27 La carta è anche paramento di legittimità per alcuni comportamenti degli Stati membri.“Il controllo della Corte di giustizia riguarda gli atti di uno stato membro nell'attuazione del diritto dell'unione”, gli Stati membri quando agiscono sulla base del diritto dell'ue, devono conformarsi ai principi generali del diritto comunitario e in particolare a quelli attinenti al rispetto dei diritti fondamentali. È necessario chiarire che la corte di giustizia non è come la corte di Strasburgo che ha competenze generali, in tema di diritti fondamentali (la Cedu è parametro di legittimità del diritto interno): • ambito di applicazione della carta dei diritti fondamentali: l'art 51 dice espressamente che “i diritti sanciti nella carta si applicano solo alle istituzioni e agli organi dell'Unione, ossia al diritto derivato, come agli Stati membri nell'attuazione del diritto dell'unione”. La carta di Nizza non è volta a creare nuove competenze, o estendere le competenze esistenti. • rapporti tra Carta dei diritti fondamentali e la CEDU: c'è un margine di sovrapposizione. Larga parte dei diritti fondamentali contenuti nella Carta sono corrispondenti a quelli già riconosciuti nella CEDU, la Carta ha infatti portata ricognitiva di diritti già enunciati. Gli autori della Carta vogliono evitare che l'interpretazione dei diritti contenuti in questa, corrispondenti a quelli garantiti nella CEDU, possa affievolirne la tutela. L'art 52 parag 3 prevede la clausola di equivalenza “il significato e il contenuto dei diritti nella Carta sono uguali a quelli contenuti nella CEDU”. La carta deve essere applicata in maniera che il livello di protezione assicurato dalla carta ai diritti tutelati sia almeno equivalente a quello garantito dalla CEDU. La CEDU risulta quindi uno standard minimo di protezione. Ne consegue che la carta può soltanto estendere la portata della tutela dei diritti fondamentali rispetto a quanto già previsto da altre fonti e mai restringerla. • sovrapposizione tra diritti contenuti nella Carta e quelli contenuti negli ordinamenti nazionali: art. 53 stabilisce la clausola di compatibilità “Le disposizioni contenute nella Carta non possono essere interpretate come limitative o lesive dei diritti dell'uomo e libertà fondamentali riconosciute dal diritto dell'unione e dalla costituzioni degli stati membri”. Si evince che la carta non impedisce l'applicazione della CEDU o delle altri fonti richiama te nella misura in cui queste prevedano una tutela più ampia di quella garantita dalla Carta. A riguardo occorre richiamare la sentenza del 2013 Melloni: un cittadino italiano è condannato per bancarotta fraudolenta. Il signor Melloni tuttavia si era sempre sottratto al processo in Italia, pur essendo difeso dagli avvocati di sua fiducia, e per questo era stato condannato in contumacia. Trovandosi in Spagna, L'Italia emana un mandato d'arresto europeo (sulla base della decisione quadro sul mandato d'arresto europeo). Le autorità spagnole avrebbero dovuto quindi consegnarlo alle autorità italiane. Tuttavia secondo il diritto costituzionale spagnolo, in caso di condanna straniera emessa in contumacia, il condannato può essere estradato a condizione che l'ordinamento straniero garantisca la revisione del processo. Si intende garantire così il diritto all'equo processo. Tuttavia il diritto italiano non contemplava tale istituto. La questione è sottoposta alla Corte di Giustizia. La corte costituzionale spagnola domanda alla corte se la decisione quadro del mandato !30 d'arresto sia compatibile con la carta e chiede inoltre se l'articolo 53 della carta autorizzi uno Stato membro ad applicare lo standard di protezione dei diritti fondamentali garantito dalla propria costituzione ove questo risulti più elevato di quello derivante dalla carta. La corte di giustizia pone inoltre il problema del primato del diritto dell'Unione europea e della sua uniforme applicazione. La corte afferma anzitutto che la decisone quadro rispetta il diritto dell'equo processo, come anche riconosciuto dalla CEDU, in quanto il soggetto si già stato difeso tramite i suoi avvocati). ci si chiede dunque se prevalga il primato dell'ue o il livello di protezione più alto riconosciuto dal diritto nazionale. La corte dichiara che se vi è stata un'armonizzazione prevale il livello di tutela riconosciuto dall'Unione europea e gli stati membri non possono intervenire e non possono compromette il primato ed effettività del diritto dell'unione europea; la corte da un interpretazione limitativa dell'art 53. In genere, i diritti fondamentali, vengono invocati dei singoli per opporsi a provvedimenti assunti dagli Stati membri in violazione di tali diritti e dunque, indirettamente, anche della norma dell'unione. Non è però escluso che talvolta siano gli Stati membri ad invocare i diritti fondamentali per giustificare i propri provvedimenti. È quanto si verifica nella sentenza Omega. Omega gestisce a Bonn un laserdromo, dove si praticano giochi a base di raggi laser. Le autorità locali emanano un provvedimento di divieto dell'uso del gioco, in quanto lo considerano contrario all'ordine pubblico. Tuttavia il provvedimento di divieto limita il suo diritto alla libera prestazione dei servizi. Omega impugna il provvedimento dinanzi alla corte tedesca, la quale emette un rinvio pregiudiziale, e la corte constata che effettivamente il provvedimento comporta si una limitazione alla libera prestazione di servizi ma si domanda se si tratta di una limitazione giustificata da motivi di ordine pubblico. La corte di giustizia osserva infatti che il provvedimento mira alla protezione di un valore fondamentale sancito dalla costituzione, ossia la dignità umana, e assicura il rispetto della dignità umana quale principio generale del diritto. La corte ammette dunque che uno Stato membro possa giustificare un provvedimento limitativo della libera prestazione dei servizi, indicando esigenze legate alla necessità di tutelare un diritto fondamentale previsto dalla propria costituzione nazionale e condiviso dall'ordinamento dell'Unione. !31 Competenze dell'Unione europea: Le competenze dell'Unione sono: 1. espresse; 2. implicite, necessarie per l'esercizio delle competenze espresse; 3. possono discendere da una clausola di flessibilità; 1. Art 5 del TUE dispone che “l'Unione Europea agisce nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli stati membri per realizzare obiettivi stabiliti” (principio di attribuzione): l'Unione non ha competenze generali, ma ha competenze solo nei limiti di quanto attribuito dai Trattati. Tale principio può sembrare un criterio di riparto delle competenze ben preciso (se è istituito o meno nei trattati), ma i realtà si tratta di un criterio elastico per due ragioni: 1) ha un carattere funzionale, in quanto ha degli obiettivi da raggiungere; 2) perché è resto elastico dalla giurisprudenza della corte di giustizia e dalla clausola di flessibilità (art. 352 TFUE). 2. Quando si parla di giurisprudenza, si parla della teoria dei poteri impliciti. Essa nasce nell'ambito degli stati federali, come criterio del riparto delle competenze tra stato centrale e stati confederati, enunciato dagli Stati Uniti. Si fa dunque riferimento sia ai poteri espressi che a quelli necessari per l'esercizio dei poteri espressi (poteri impliciti). Un esempio a riguardo vede la politica dei trasporti: l'unione europea è legittimata a legiferare nel tema della politica di trasporti, per cui può emanare atti di diritto derivato. Con la sentenza a.e.t.s del 1971, in cui afferma il principio del Parallelismo tra competenze interne ed esterne, la corte afferma che se l'Unione ha competenza interna a legiferare, avrà anche competenze esterna parallela a stipulare accordi internazionale. Non ha dunque solo poteri attribuiti dai trattati, ma anche quelli impliciti. 3. Vi sono dei casi in cui i trattati si limitano ad individuare degli obiettivi, non indicando quali sia i poteri d'azione. È tre così in gioco la clausola di flessibilità, che consente all'unione, entro certi limiti, l'adozione di azioni pur in mancanza di un'esplicita attribuzione di poteri da parte dei trattati. Secondo l'art 352 del TUE, il Consiglio può adottare atti all'unanimità previa approvazione del parlamento europeo e su proposta della Commisione. Naturalmente questo principio discende dalla teoria dei poteri impliciti. Un esempio della clausola di flessibilità lo possiamo rinvenire nell'eliminazione tra gli stati membri degli ostacoli alla libera circolazione delle persone, ma come poteri d'azione si individuano solo quelli relativi alla circolazione dei lavorati, autonomi e subordinati. Non vi erano infatti, poteri d'azione riguardo agli studenti, per esempio. Usando l'art 352, vi sono state 3 direttive, adottate all'unanimità, con le quali si è assicurata tale libertà anche a soggetti economicamente non attivi. !32 La mancata adesione formale dell'Unione alla CEDU solleva il problema della responsabilità degli Stati membri per violazione di diritti fondamentali di atti di esecuzione di atti delle istituzioni. Se l'unione europea viola un diritto fondamentale possono rispondere della violazione gli stati membri? La Corte di Strasburgo distingue 3 ipotesi: 1. violazione di un diritto fondamentale contenuta nel diritto primario: si fa riferimento alla sentenza Matthews del 1999, qui infatti la violazione dei diritti fondamentali deriva direttamente dalle norme contenute in un atto avente la stessa natura dei trattati (diritto primario). Un allegato infatti vietava il diritto di voto al parlamento europeo dei cittadini residenti a Gibilterra. La signora Matthews lamentava tale situazione in quanto si tratta di un diritto fondamentale quello di partecipazione alle elezioni previsto dalla CEDU. La questione è rimessa alla Corte di Strasburgo, che che gli stati membri possono essere chiamati a rispondere delle violazioni dei diritti garantiti dalla CEDU, quando la violazione deriva direttamente dall'applicazione di norme di diritto primario. 2. violazione che discende dal diritto derivato: gli atti di diritto derivato sono dell'Unione che non fa parte della CEDU. La corte di Strasburgo distingue due casi: • atti dell'unione europea che lasciano un margine di discrezionalità agli Stati, come la direttiva: nell'esercizio di questa discrezionalità, gli Stati possono rispettare i diritti fondamentali e dunque, in caso di violazione ne rispondono gli stati stessi; • atti dell'Unione europea che non lasciano agli stati margini di discrezionalità, come i regolamenti che sono direttamente applicabili. A riguardo o c'è richiamare la sentenza bosphorus. La Bosphorus è una compagnia aerea turca che aveva preso in locazione un aereo di una compagnia iugoslavia. In occasione di uno scalo a Dublino, le autorità irlandesi avevano posto a sequestro il velivolo in attuazione di un regolamento comunitario. Bosphorus fa valere la violaziome del diritto di proprietà protetto dall'arte 1 del primo protocollo della CEDU. La suprema corte irlandese si rivolge alla corte di giustizia che conferma la validità del regolamento. La bosphorus pone allora ricorso alla corte di Strasburgo la quale nuovamente respinge il ricorso affermando che il rispetto dei diritti fondamentali è garantito dal sistema comunitario, che predispone un sistema di tutela giurisdizionale effettiva. Vige una presunzione in base alla quale l'ordinamento dell'unione offre una protezione equivalente a quello offerto della CEDU. E' una sentenza ispirata alla Solange II, per cui la corte europea di Strasburgo enuncia una presunzione di conformità. !35 Diritto dell'Unione europea e ordinamenti interni (rapporti tra ordinamenti) Caratteristica peculiare dell'ordinamento europeo è le sue norme producono diritti e obblighi non solo in capo agli stati membri, ma anche in capo a soggetti (persone fisiche o giuridiche) che si collocano all'interno di essi. Le norme dell'ue hanno dunque una doppia dimensione: una dimensione internazionale (nei confronti degli stati membri) e una dimensione interna (nei confronti dei soggetti all'interno degli Stati). Per quanto attiene alla dimensione interna, occorre distinguere tra rapporti verticali (rapporti sorti tra un soggetto privato e un soggetto pubblico come lo Stato) e rapporti orizzontali (rapporti tra soggetti privati). Le norme del diritto dell'ue producono effetti negli ordinamenti statali con un'intensità variabile, massima, se l'effetto è diretto, inferiore se l'effetto è indiretto. Effetti diretti Vi sono disposizioni provenienti da organismi sovranazionali che producono effetti nell'ordinamento interno senza che lo Stato le trasponga. Una volta emanate, producono automaticamente effetti su fonti interne. Questi atti possono produrre due fenomeni: • effetto di sostituzione: quando la fonte comunitaria si sostituisce a quella interna, disciplinando un'intera materia e sostituendosi alle eventuali norme preesistenti (es regolamenti); • effetto di opposizione o preclusione: la fonte comunitaria non si sostituisce alla fonte interna ma dispone regole particolari che si limitano ad impedire l'applicazione di norme interne ad esse contrarie. I presupposti dell'efficacia diretta L'efficacia diretta non è una caratteristica propria di ogni norma dell'Unione. Il giudice nazionale qualora intende trarre da una norma effetti diretti al fine di risolvere una controversia, ha l'onere di verificare se la norma presenti le caratteristiche necessarie. La corte ha individuate delle caratteristiche sostanziali: • Sufficiente precisione riguarda la formulazione della norma che deve contenere un precetto sufficientemente definito, in modo che i soggetti destinatari possono comprendere la portata e il contenuto, e il giudice possa applicarlo. Per parlare di sufficiente precisione si devono avere tre aspetti: 1) Il titolare del diritto; 2) il titolare dell'obbligo; 3) il contenuto del diritto obbligo. Tali tre aspetti sono stati elaborati dalla corte nella sentenza francovich; il sig francovich aveva preposto un'azione contro lo stato italiano per ottenere il pagamento dell'indennità istituita da una direttiva a vantaggio dei lavoratori in caso di insolvenza del datore di lavoro. L'Italia non aveva assunto alcuna misura per l'attuazione della direttiva. Ci si chiede se gli !36 interessati possono far valere il diritto all'indennità nei confronti dello stato pur in mancanza di provvedimenti di attuazione. La corte per rispondere a tale questione verifica se la direttiva contiene disposizioni sufficientemente precise nei tre aspetti e dunque se in quanto tale abbia efficacia diretta. Mancando uno dei tre aspetti la corte nega l'efficacia diretta della direttiva e dunque l'indennizzo; • Incondizionatezza attiene all'assenza di clausole che subrodinino l'applicazione della norma ad ulteriori interventi normativi da parte degli Stati membri o delle istituzioni dell'Unione. Tra le norme che producono effetti diretti vi sono i trattati a seguito della ratifica. Le norme dei trattati si riferiscono principalmente agli Stati membri, ma alcune di esse si riferiscono espressamente ai singoli. Un esempio riguarda le norme in materia di concorrenza che vietano alcuni comportamenti delle imprese; queste norme sono direttamente efficaci alle imprese interessate. La maggior parte delle norme sembra rivolgersi agli Stati. A riguardo possiamo citare la sentenza van gend e loss 1963. Van Gend En Loos è una ditta di trasporti che lamenta l'applicazione nei suoi confronti di un dazio maggiorato (l'art 12 del TCE, ora abrogato, vietava infatti agli Stati membri di aumentare i dazi doganali). In palese violazione di tale articolo, la ditta si rivolge ad un giudice olandese che si pone il problema dell'applicabilità diretta dell'art 12 alla situazione di un privato essendo una norma che disciplina i rapporti tra Stati membri. Il giudice solleva il rinvio pregiudiziale alla corte di giustizia. La Corte di Giustizia afferma che la comunità costituisce un nuovo ordinamento giuridico e riconosce come soggetti non soltanto gli stati membri ma anche i loro cittadini. Anche se l'art 12 non sembra voler attribuire diritti ai singoli, impone un obbligo agli stati membri, e quest'obbligo ha come contropartita un diritto in capo ai singoli. Secondo la Corte la norma ha efficacia diretta in quanto pone un divieto chiaro, preciso e non condizionato (sufficiente precisione e incondizionato). Le norme del Trattato producono effetti diretti sia nei rapporti verticali che orizzontali. La Corte ha riconosciuto infatti l'efficacia diretta delle norme del Trattato sia in rapporti verticali che orizzontali. Un esempio è la sentenza aragonese 2000. Il signor aragonese contestava l'esclusione di un concorso per u posto presso la cassa di risparmio dovuto al mancato possesso del patentino di bilinguismo. Avendo conoscenze linguistiche acquisite durante vari soggiorni, il sig aragonese sosteneva che il requisito del patentino ci portava una discriminazione nei suoi confronti vietata dall'art 45 TFUE. Ci si rivolge alla corte di giustizia per sapere se l'art 45 poteva essere invocato nei confronti di un privato come la cassa di risparmio. La corte rileva come il principio di non discriminazione sia enunciato in termini generali e non specificatamente agli Stati membri e in quanto tale si applica anche ai privati. !37 Di fronte ad una direttiva inattuata, risulta pertanto determinante stabilire se il soggetto nei cui confronti si intende invocare la direttiva è un soggetto pubblico o un soggetto privato. La corte considera che l'obbligo di attuare una direttiva non incombe soltanto sugli organi dello stato centrale (es governo o parlamento), ma anche su qualsiasi articolazione della struttura pubblica. Vige perciò il principio di unitarietà dello Stato, per cui lo Stato è un soggetto unico e non rilevano le sue articolazioni, non rileva cioè che il soggetto in questione sia dotato di poteri autoritativi o agisca con strumenti del diritto privato, in quanto è sempre riconducibile allo Stato. Nella sentenza marshall 1986, la signora Marshall può invocare una direttiva inattuata, nei confronti del suo datore di lavoro (servizio sanitario pubblico) in quanto soggetto pubblico, anche se i rapporti di lavoro sono riconducibili a quelli di diritto privato. La medesima situazione si verifica nella sentenza Foster, la signora Foster invocava la stessa direttiva contro il proprio datore di lavoro la quale era un'impresa di gas privata, ma che aveva rilevato il servizio pubblico di distribuzione del gas. La corte ha concluso che la direttiva può essere fatta valere nei confronti di British Gas, osservando che si tratta di un organismo incaricato con atto della pubblica autorità a prestare un servizio di interesse pubblico. Questa giurisprudenza è stata oggetto di criticata dalla dottrina: il rifiuto di riconoscere l'efficacia diretta orizzontale di una direttiva inattuata ha evidenziato diverse problematiche: 1. Prima di tutto questa giurisprudenza può dar luogo a diverse disparità e diseguaglianze; 2. la giurisprudenza della Corte non ha tenuto conto che in determinati rapporti verticali ascendenti (in cui un privato invoca l'applicazione di una direttiva inattuata nei confronti di un organo pubblico) vi possono effetti pregiudizievoli nei confronti di soggetti privati. Si parla di rapporti triangolari. Un rapporto verticale può coinvolgere soggetti terzi, la cui posizione verrebbe compromessa dall'applicazione della direttiva. La corte di giustizia non sembra considerare l'effetto pregiudizievole indirettamente subito dai soggetti privati terzi in quanto poco rilevanti. (es. appalto, un'impresa non si giudica l'appalto e afferma che è stata violata un direttiva in materia di appalto. L'impresa perdente impugna la direttiva contro l'amministrazione, ossia contro lo Stato, ma vi sono di mezzo altri privati, ossia l'impresa che si è aggiudicata la gara; la causa che contro lo stato ma gli effetti negativi si ripercuotono sui latri soggetti privati); Nel corso del tempo tuttavia la giurisprudenza ha visto ridimensionare il suo orientamento in relazione ai rapporti orizzontali sul riconoscimento dell'effetto diretto della direttiva sorretto di un principio generale. A riguardano occorre richiamare le sentenze Mangold del 2005 che ha trovato conferma in un'altra sentenza della Corte di Giustizia Kucukdeveci del 2010. La causa riguarda una direttiva in materia di tutela dei lavoratori, che stabilisce parità di trattamento e l'eliminazione delle discriminazioni fondate su religione, !40 età, handicap e tendenze sessuali. Si tratta di una controversia orizzontale tra lavoratrice e datore privato. La signorina nel 2006 vede recapitarsi una lettera di licenziamento dopo 10 anni di lavoro con un preavviso di circa un mese, e inoltre il datore di lavoro calcola un'anzianità di tre anni e non di dieci anni reali. La legge tedesca prevede che gli anni precedenti al 25esimo non si contano, disposizione volta a favorire l'impiego giovanile attenuandone le garanzie. La signorina dice di aver subito una discriminazione fondata sull'età e questa discriminazione è vietata dalla direttiva del 2000. Sulla base della giurisprud marshall, si sarebbe dovuto dire che la direttiva non era invocabile. Ma la Corte di Giustizia afferma che il principio di non discriminazione sulla base dell'età è un principio generale dell'ordinamento, e per questo la direttiva è invocabile nei rapporti orizzontali. Decisioni La decisioni è obbligatoria in tutti i suoi elementi; designa i destinatari ed è obbligatoria soltanto nei confronti di questi. Le decisioni individuali è obbligatoria in tutti i suoi elementi e deve quindi essere rispettata nella sua interezza, d'altra parte però come la direttiva non ha portata generale. A differenza della direttiva però le decisioni può essere rivolta non solo a Stati membri, ma anche ad altri soggetti compresi i singoli. Rispetto alle direttive in genere le decisioni sono molto più specifiche e quindi lasciano allo stato membro un margine di discrezionalità più ristretto. Le decisioni individuali rivolte ai singoli hanno natura spiccatamente amministrativa. Efficacia indiretta L'efficacia diretta non costituisce l'unica forma attraverso cui le norme dell'Unione assumono rilevanza normativa interna. In presenza di norme prive della capacità di produrre effetti diretti, o per mancanza dei requisiti oggettivi di sufficiente precisione e incondizionatezza, o perché riguarda controversie orizzontali, la giurisprudenza ha individuato due forme di effetti indiretti: interpretazione conforme e risarcimento del danno. Interpretazione conforme quando i giudici sono chiamati ad applicare norme interne, essi sono tenuti ad interpretarli in conformità del diritto dell'Unione europea, anche se questo non è direttamente efficace. Tale obbligo si ricollega all'obbligo di leale collaborazione: in quanto organi dello stato membro, i giudici sono tenuti a fare il possibile perché il risultato voluto dalla direttiva sia raggiunto. La differenza tra diretta efficacia e interpretazione conforme risiede nel fatto che, mentre nel primo caso il giudice disapplica la norma interna confliggente con la norma dell'Unione, nel secondo egli applica pur sempre la norma interna, ma interpretandola in modo aderente a quella dell'Unione. !41 Evoluzione dell'obbligo di interpretazione conforme: 1. L'obbligo di interpretazione conforme è stato affermato anzitutto quando il giudice nazionale si trova a dover interpretare e applicare le disposizioni che uno stato membro ha specificatamente adottato per attuare una direttiva. Famosa la sentenza von colson nella quale la corte afferma che nell'applicare il diritto nazionale, in particolare la legge nazionale espressamente adottata per l'attuazione di una direttiva, il giudice deve interpretare alla luce della lettera e dello scopo della direttiva, così da conseguire il risultato contemplato; 2. Successivamente l'obbligo di interpretazione conforme è stato esteso a disposizioni nazionali più antiche rispetto al direttiva e pertanto prive di qualunque legame funzionale con la direttiva stessa ( sentenza Marleasing 1990 ); 3. In ultimo la corte ha dichiarato che l'obbligo di interpretazione conforme riguarda "tutto il diritto nazionale". Nella sentenza pfeiffer si vede la controversia tra alcuni dipendenti della croce rossa tedesca e tale ente privato, ove i lavoratori lamentavano che il loro contratto di lavoro prevedeva un orario settimanale superiore alle 48 ore e risultava per questo in contrasto con alcune direttive in materia di lavoro. La corte conferma anzitutto la non conformità del contratto con le ore stabilite dalle direttive, ma afferma che tale non può essere applicata nell'ambito di una controversia tra privati (rapporto orizzontale). La corte però sulla base dell'obbligo di interpretazione conforme stabilisce che "il giudice del rinvio faccia tutto ciò che rientra nella sua competenza, prendendo in considerazione tutte le norme del diritto internazionale, per garantire la piena efficacia della direttiva". Limiti dell'interpretazione conforme 1. Se la norma interna è inequivocabilmente contraria alla norma dell'Unione, e questa è priva di efficacia diretta, l'obbligo di interpretazione conforme viene meno. La Corte cioè afferma che l'interpretazione conforme "non può servire da fondamento per un'interpretazione contra legem del diritto nazionale"; 2. Nella sentenza adeneler 2006 la corte ha inoltre affermato che l'obbligo di interpretazione conforme non sorge prima della scadenza del termine di attuazione della direttiva: in pendenza vige solo l'obbligo di non aggravamento; 3. La giurisprudenza ha inoltre precisato che il giudice, quando interpreta le norme di diritto interno, deve rispettare i principi generali che fanno parte del diritto comunitario ed in particolare quelli della certezza del diritto e dell'irretroattività. La corte in particolare afferma che l'interpretazione conforme non può condurre a risultati normativi che si pongano in conflitto con i principi generali. I principi generali rilevanti in questo contesto (certezza del diritto irretroattività) trovano particolare applicazione in campo penale per non far si che l'interpretazione porti ad un aggravamento della responsabilità penale degli individui, creando nuove ipotesi di reato o estendendo il campo di applicazione di quelle già previste dall'ordinamento interno. !42 1. Monismo con primato del diritto statale: Il fondamento di validità delle norme dei trattati va ricercata nella volontà degli Stati. Diritto internazionale e diritto interno fanno parte di un unico ordinamento (appunto monismo) che trae il suo fondamento all'interno degli Stati. Il diritto interno prevale sempre sul diritto internazionale. Si tratta di una teoria molto antica, risalente al XIX secolo che ha come matrice ideologica il nazionalismo; 2. Dualismo: elaborata compiutamente dal giurista Anzilotti. Questa teoria dualista parte dalla premessa che l'ordinamento internazionale e interno siano distinti e separati e non può esservi gerarchia tra fonti interne e internazionali. Tuttavia entrano in contatto perché il diritto internazionale viene tradotto in interno attraverso l'ordine di esecuzione dei trattati. Il diritto internazionale dispiega i suoi effetti in quanto si appoggia alla legge interna. La fonte internazionale viene recepita e assume il rango della fonte interna che la recepisce. 3. monismo con primato del diritto internazionale: teoria compiutamente elaborata da kelsen negli anni 20. Rovescia la piramide del monismo con primato del diritto statale. L'ordinamento internazionale può coesistere con gli ordinamenti nazionali soltanto se prevale su questi. In relazioni a tali visioni in passato vi fu un dialettica tra la Corte costituzionale e la corte di giustizia: La corte costituzionale italiana adottava un'impostazione dualista, un dualismo puro, mentre la posizione della corte di giustizia verteva sul primato del diritto dell'Unione. La corte costituzionale si avvicina al pensiero della corte di giustizia. La giurisprudenza della corte costituzionale si è voluta in tre fasi: 1. controversia Costa contro enel del Marzo 64 e sentenza corte di giustizia nel luglio del 64. La controversia nasce dalla legge italiana di nazionalizzazione dell'energia elettrica, di cui il signor costa contestava la compatibilità con alcuni articoli del TCE; la nazionalizzazione è avvenuta in contrasto con le normative comunitarie. Il giudice di Milano si rivolge sia alla corte costituzionale che alla corte di giustizia. La corte costituzionale afferma che il trattato istitutivo della CEE è reso esecutivo con legge ordinaria ed essendo la legge di nazionalizzazione anch'essa una legge ordinaria, ma successiva, si applica il criterio cronologico (la legge successiva prevale su quella precedente) concezione dualista, per cui il giudice nazionale è tenuto ad applicare la legge interna. Secondo la corte costituzionale infatti l'art 11 della costituzione non attribuisce un particolare valore a quella del trattato rispetto ad altre leggi. La corte di Giustizia si pronuncia invece nel luglio del 64, ribadendo alcuni concetti della sentenza vang end loss, per cui se il diritto comunitario variasse da uno stato all'altro, metterebbe in pericolo l'attuazione degli scopi del trattato; il giudice nazionale pertanto deve sempre applicare le norme dei trattati. 2. Negli anni 70 la posizione della Corte costituzionale si avvicina a quelle della Corte di giustizia. Sentenza Frontini del 73, si mette in discussione la partecipazione dell'Italia alle comunità europee. La corte costituzionale afferma che diritto comunitario e interno !45 sono sistemi giuridici autonomi e distinti, ma coordinati (si tratta pur sempre di un dualismo seppur con quale apertura); 3. Con la sentenza ICIC del '75 la corte costituzionale dà maggiore valore all'articolo 11 della costituzione deducendo che tale norma non soltanto consente all'Italia di accettare limitazioni della sovranità, ma esige che il legislatore rispetti tali limitazioni e non ostacoli le norme comunitarie attraverso l'emanazione di leggi successive incompatibili. Tuttavia, afferma la corte che, in tal caso, non si arriva alla disapplicazione della norma di legge direttamente da parte del giudice ordinario, essendo necessario il ricorso di legittimità alla corte costituzionale. Riassumendo la posizione della corte in relazione al principio della successione delle leggi nel tempo, il giudice italiano ha il potere di disapplicare una norma di legge interna contraria al diritto dell'Unione, qualora la legge preceda nel tempo la norma dell'Unione europea, ma non ha il potere di fare altrettanto qualora il rapporto temporale sia inverso: in questo caso il giudice non potrà fare altro che sollevare la questione di legittimità costituzionale e attendere la decisione della corte costituzionale. Un passo fondamentale nella giurisprudenza della corte di giustizia si ha avuto con la sentenza simmenthal del 1978 dove la corte di giustizia riconosce che il giudice nazionale, incaricato di applicare, nell'ambito della propria competenza, le disposizioni di diritto comunitario, ha l'obbligo di garantire la piena efficacia di tali norme, disapplicando le disposizioni nazionali contrastanti senza che si debba attendere la loro rimozione ad opera del legislatore (abrogazione) o di altri organi costituzionali (dichiarazione di incostituzionalità). Questa soluzione non sembra tuttavia essere coerente con il principio dell'autonomia procedurale degli stati membri, principio enunciato nella giurisprudenza della Corte di Giustizia secondo cui l'ordinamento giuridico dello stato membro ha autonomia a stabilire le procedure tramite le quali si può avere la tutela dei diritti provenienti dall'ordinamento comunitario. Ciò che interessa è che il diritto comunitario trovi applicazione, indipendentemente da come, al quale è rilasciata ampia autonomia agli Stati membri. La sentenza Simmenthal è scarsamente coinciliabile con questo principio perchè la Corte di Giustizia interviene con delle previsioni interne. Un'internazionalista Condorelli nel 1978 commenta questa sentenza affermando ironicamente che la corte di giustizia era riuscita a mettere il superlativo nella nozione del primato (ossia la diretta applicazione del diritto comunitario e la disapplicazione delle norme interne) e che vi è un eccesso di potere che dava luogo ad un imperialismo giuridico. Il principio di autonomia procedurale non è assoluto ma conosce delle deroghe: • gli stati possono stabilire le vie procedurali ma devono essere equivalenti a quelle applicate per la tutela dei diritti che derivano dall'ordinamento nazionale (principio di equivalenza); • principio di effettività, le vie procedurali interne devono essere tali da non rendere impossibile o difficile l'esercizio dei diritti derivanti dell'ordinamento dell'unione europea (principio che riguarda la sentena Simmenthal). !46 La sentenza Simmenthal ha trovato un positivo accoglimento da parte della Corte Costituzionale che ha rivisto la sua posizione con la sentenza Granital del'84: la Corte Costituzionale rivalutare la posizione presa nella sentenza ICIC. L'aspetto innovativo della corte consiste nel rifiuto di assimilare le norme dell'Unione alle norme nazionali di legge. Sulla base della distinzione tra i due ordinamenti, ordinamenti autonomi e distinti. Per la prima volta, si afferma che l'autonomia tra i due ordinamenti comporta che la norma comunitaria direttamente applicabile impedisce alla norma interna contrastante di venire in rilievo. Il giudice è tenuto a disapplicare la fonte interna ed applicare quella comunitaria. L'impostazione si può inquadrare nel dualismo (ordinamenti distinti separati e coordinati), ma non si tratta più del dualismo delle origini, in quanto la norma interna è disapplicata. Occorre stabilire se la materia rientri tra quelle in relazione alle quali, l'Italia in virtù dell'art 11 ha accettato di limitare la propria sovranità in favore dell'Unione. Si tratta allora di un criterio di competenza. Questo dualismo si fonda dunque sul riparto di competenze (dualismo temperato): l'ordinamento interno trasferisce delle competenze all'ordinamento comunitario; la Corte costituzionale non riconosce una superiorità gerarchica della norma comunitaria, ma prevale per un criterio della competenza. La corte costituzionale ha tuttavia previsto dei casi ove esclude il potere del giudice di applicare immediatamente la norma dell'Unione e disapplicare l'eventuale legge interna confliggente, esigendo invece che sia sollevata la questione di legittimità costituzionale: 1. teoria dei contro limiti: si ha nel momento in cui una norma comunitaria viola un principio fondamentale della costituzione e i diritti dell'uomo; il giudice nazionale che fosse chiamato ad applicare una norma dell'unione sospettata di violare tali principi è tenuto a sollevare la questione di legittimità costituzionale relativamente alla legge d'esecuzione dei trattati (legge 1203 del 1957); 2. La corte costituzionale si riserva il diritto di intervenire in presenza di norme di legge dirette ad impedire il rispetto dei principi fondamentali dei trattati; 3. In caso di contrasto rispetto ad una norma dell'Unione priva di efficacia diretta (es decisione quadro), il giudice deve rivolgersi alla corte costituzionale. !47 Il quadro istituzionale La struttura su cui si regge l'Unione europea è alquanto complessa e al suo interno si distinguono nettamente alcuni organi che prendono il nome di istituzioni: • Il parlamento europeo; • Il consiglio europeo; • Il consiglio; • La commissione; • La corte di giustizia; • La banca centrale europea; • La corte dei conti. All'interno di queste istituzioni operano alcune figure che per loro importanza delle loro funzioni e per loro autonomia possono essere qualificati come organi monocratici: • Presidente del consiglio europeo; • L'alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza; • Il presidente della commissione. L’ attuale disciplina del sistema delle istituzioni è il risultato di una serie di modifiche. In particolare con il Trattato di Lisbona si è introdotta un importante novità, in quanto vi è la nascita del Consiglio europeo come istituzione, che in precedenza nasce come una conferenza tra i Capi di Stato e di Governo, e le disposizioni relative alla composizione, ai poteri e al funzionamento delle istituzioni che in passato si rinvenivano nel TCE sono ora distribuite tra TUE e TFUE. Il parlamento europeo, il consiglio europeo, il consiglio è la commissione possono definirsi istituzioni politiche, in quanto svolgono funzioni di politica attiva partecipando all'adozione di atti che modificano o integrano l'ordinamento dell'Unione. Diverse sono invece la corte di giustizia e la corte dei conti le quali possono definirsi istituzioni di controllo: la corte di giustizia ha compiti di controllo giurisdizionale sull'attività delle istituzioni politiche, la corte dei conti invece esercita il controllo contabile sulle spesse delle istituzioni. Caso a parte è la BCE che agisce solo nell'ambito dell'Unione economica e monetaria. L' art. 13 par. 1 del TUE, prevede che “ l’Unione dispone di un quadro istituzionale, che mira a promuovere i valori, perseguirne gli obiettivi, servire i suoi interesse, quelli dei suoi cittadini e degli Stati membri, garantire la coerenza, l'efficacia e la continuità delle sue politiche e delle sue azioni". !50 da questa norma possiamo dire che il quadro istituzionale dell’ Unione svolge una serie di compiti importanti : 1) tutelare i principi su cui si fonda l’ Unione; 2) realizzare le finalità che mirano al perseguimento del processo di integrazione; 3)curare gli interessi e soprattutto garantire che l’azione dell’ Unione sia efficace e coerente. In particolare ciò che rileva è tale esigenza della coerenza: le azioni svolte dalle istituzioni nell'ambito dei diversi settori di competenza dell'Unione devono essere tra di loro coordinate secondo il principio di coerenza. Tale principio di coerenza discende dalla struttura a pilastri che naturalmente, per la diversità delle materie trattate richiedeva un'attività di coordinamento. La scomparsa della struttura a pilastri non ha fatto venire meno il principio di coerenza, che assume particolare importanza per quanto riguarda l'azione esterna. L'azione esterna dell'Unione si compone: • Dalla politica estera e sicurezza comune (PESC); • Dall’attività che viene svolta nell’ambito della politica commerciale comune, o nell’ambito di cooperazione con gli stati terzi. Benché ciascuna di tali componenti sia soggetta a procedure e modalità, è necessario che tutte contribuiscano al raggiungimento degli obiettivi dell'azione esterna dell'Unione; per questo si è cercato di trovare un meccanismo di raccordo tra i diversi segmenti in cui è articolata l’azione esterna dell'Unione, cioè bisogna attuare dei provvedimenti che colleghino la materia della PESC, con la politica commerciale comune: lo scopo è fare in modo che l’obiettivo politico , trovi la sua concretizzazione negli affari economici. L'art 13 par.2 TUE afferma un altro importante principio: principio dell'equilibrio istituzionale (di competenza)“ciascuna istituzione deve agire nei limiti delle attribuzioni che le sono conferite dai trattati, secondo le procedure, le condizioni e le finalità da essi previste”. Tale principio impone che ciascuna istituzione agisca nei limiti delle competenze che le sono state attribuite, e che ogni istituzione eserciti le proprie competenze nel rispetto di quelle delle altre istituzioni; il trattato si occupa dunque di definire i rapporti reciproci tra le diverse istituzioni secondo il principio della bilancia dei poteri. La violazione di tale principio trova sanzione nel vizio di incompetenza e comporta l'illegittimità dell'atto. Ulteriore principio è il principio di leale collaborazione il principio inizialmente non era sancito da alcuna norma dei trattati ed è stato individuato dalla corte di giustizia nella sentenza parlamento europeo - consiglio, circa il comportamento non collaborativo del parlamento in occasione di una richiesta di parere da parte del consiglio. La corte afferma allora il principio di leale collaborazione secondo cui l'unione e gli Stati membri si rispettano e di assistono reciprocamente nell'adempimento dei compiti derivanti dai trattati. L'obbligo grava dunque non soltanto sulle istituzioni, ma anche sugli stati membri: la cooperazione è volta naturalmente a conseguire gli obiettivi stabiliti dal trattato. !51 Prima del trattato di Lisbona si riteneva che per le istituzioni valesse anche il principio del rispetto dell'acquis. La nozione indica comprensivamente l'insieme di quanto è stato realizzato (acquisito) sul piano dell'integrazione europea: non soltanto i trattati, gli atti delle istituzioni, ma anche i principi generali e la giurisprudenza della corte di giustizia. Tale principio imponeva l'impossibilità di modificare i trattati in senso peggiorativo, cioè non potevano essere adottate misure che comportavano una recessione nel processo di integrazione (ad esempio non si potevano restituire agli Stati membri competenze che essi avessero precedentemente conferito all'Unione). Tale principio è stato smontato in quanto il nuovo testo del TUE permette la possibilità di accrescere, ma anche ridurre le competenze attribuite all'Unione dai trattati. Il parlamento europeo Originariamente l'istituzione prendeva il nome di assemblea parlamentare, i cui membri erano designati dai parlamenti nazionali degli Stati membri. Successivamente l'istituzione ha cambiato denominazione in parlamento europeo e con decisione adottata dal consiglio i membri del parlamento eletti a suffragio universale diretto, libero e segreto, prevedendo così il collegamento diretto con i cittadini degli Stati membri. L'elezione diretta è stata anche uno degli strumenti che ha permesso al parlamento di acquisire maggior potere decisionale, originariamente infatti l'assemblea ricopriva essenzialmente un ruolo consultivo. Il parlamento si configura così come un'assemblea rappresentativa, essendo che i suoi membri sono scelti dai cittadini dell'Unione. Il trattato detta delle regole sulle elezioni e prevede che essa debba avvenire secondo una procedura uniforme in tutti gli stati membri o secondo principi comuni a tutti gli stati membri. Tali disposizioni sono adottate secondo una procedura speciale che prevede l'iniziativa del parlamento europeo, la delibera all'unanimità del consiglio e approvazione del parlamento europeo. Le disposizioni devono essere poi approvate dagli Stati membri conformemente alle rispettive norme costituzionali. L'idea voluta dal trattato è quella che le elezioni si svolgano secondo regole comuni; la disciplina attualmente in vigore si limita a stabilire poche regole comuni quali ad esempio il carattere proporzionale del voto, il divieto di doppio mandato (la carica di membro del parlamento europeo è incompatibile con quella di membro del parlamento nazionale), periodo di svolgimento delle elezioni, un elettore un voto. Per il resto la procedura è affidata alla competenza di ciascuno stato membro: gli stati non risultano infatti disposti ad adottare regole comuni in materia elettorale, perché temono che l'introduzione di un meccanismo elettorale particolare per l'elezione del parlamento europeo,possa alterare allo stesso modo il sistema elettorale nazionale e dunque gli equilibri politici. L'indisponibilità degli Stati a pervenire ad un sistema elettorale comune risulta dunque legata alla volontà di tutelare il sistema politico nazionale. La durata del mandato dei membri è di cinque anni. !52 Il parlamento europeo dispone altresì del potere di procurarsi autonomamente informazioni attraverso lo strumento delle interrogazioni e quello delle audizioni della commissione. Oltre a questi strumenti che potremmo definire istituzionali, il parlamento europeo può trarre informazioni degli individui attraverso le petizioni, le denunce e il mediatore europeo. Particolare è la figura del mediatore europeo: si tratta di una persona indipendente e autorevole, nominata direttamente dal parlamento europeo, alla quale ci si può rivolgere qualsiasi persona fisica o giuridica che risieda in uno stato membro per lamentare casi di cattiva amministrazione nell'azione delle istituzioni". Una volta ricevuto il ricorso, il mediatore effettua le proprie indagini, e se ritiene che sussista un caso di cattiva amministrazione, presenta una relazione all'istituzione interessata e al parlamento. Non vi è comunque alcun meccanismo sanzionatorio, ma soltanto un influenza di carattere morale. Il parlamento dispone di poteri sanzionatori solo nei confronti della commissione attraverso lo strumento della mozione di censura. La mozione di censura comporta il dimissionamento di ufficio dell'intera commissione, senza possibilità di limitarne la portata a particolari membri. Nella storia nessuna mozione di censura è mai stata attuata, in alcuni casi però è stata effettuata una minaccia di mozione che ha determinato le dimissioni della commissione. Lo strumento della mozione risulta particolarmente potente ed è difficile immaginare la sanzione da parte del parlamento dell'intera commissione. Per questo i trattati hanno previsto che il controllo sulla commissione da parte del parlamento venisse ex ante, prima della loro nomina. Questo controllo indica che il parlamento cerca di crearsi uno spazio all'interno dell'equilibrio istituzionale e di rafforzare la sua posizione di soggetto che controlla l'operato della commissione. Nel 2005 il parlamento e la commissione giungono ad un accordo quadro e si prevede che se il parlamenti si fosse espresso negativamente nei co fronti di un commissario il presidente della commissione ne avrebbe dovuto tenere conto; tale accordo venne modificato nel 2005 prevedendo che se il presidente della commissione ritiene di nom condividere il parere negativo espresso dal parlamento deve motivare la sua decisione al parlamento. Tuttavia è necessario sottolineare che tali strumenti di controllo non risultano particolarmente efficienti soprattutto in relazione al fatto che il vero centro decisionale dell'Unione europea è l'istituzione del consiglio, nei confronti del quale però il parlamento non dispone di alcuno di poteri sanzionatori, ma al massimo veste carattere meramente morale. In una prospettiva di democrazia parlamentare, questa situazione può apparire paradossale. L'organo parlamentare eletto direttamente dai cittadini non è in grado di imporre il proprio volere all'organo che adotta le decisioni più importanti per l'unione, ma che non può vantare una legittimazione democratica diretta. Occorre precisare che un sistema democratico basato su un parlamento presuppone un organizzazione costituzionale di tipo statale,; per questo l'unione non può avere come centro decisionale del potere principale il parlamento, in quanto non può avere un organizzazione dei poteri identica a quella dello stato. La natura di organizzazione internazionale spiega l'articolazione dei poteri basata su un equilibrio. Le norme dell'Unione pre angolo su quelle degli ordinamenti interni e ciò richiede !55 un sistema molto complesso basato su un equilibrio fragile di poteri. Parlamento e consiglio sono pertanto due istituzioni tra di loro perfettamente pari ordinate e perciò destinate a condividere poteri poteri piuttosto che a dipendere l'una dall'altra. Il consiglio Rappresenta il principale centro decisionale dell'Unione europea. Il consiglio è un organo di stati in quanto è composto da soggetti che rappresentano direttamente i singoli stati membri di appartenenza. Per ciò che attiene la composizione il trattato specifica che il consiglio è composto da un rappresentante di ciascuno stato membro a livello ministeriale, abilitato a impegnare il governo dello stato membro che rappresenta e ad esercitare il diritto di voto. Per quanto riguarda il funzionamento, occorre osservare che, diversamente dal parlamento europeo e dalla commissione, il consiglio non é un organo permanente. Esso si riunisce in formazioni nelle quali gli Stati membri si fanno rappresentare di volta in volta dal ministro competente in ragione della materia oggetto della riunione del consiglio. È certamente un istituzione unica, ma al sua composizione varia. Il trattato fa riferimento principalmente a due forme di composizione: • consiglio affari generali che ha funzione di raccordo dell’attività complessiva che viene svolta dal consiglio, garantendone la coerenza; • Consiglio affari esteri che elabora l’azione esterna dell’unione, secondo le linee strategiche definite dal consiglio europeo; esso è presieduto dall’Alto rappresentante per gli affari esteri e per la politica di sicurezza. Per le altre formazioni del consiglio è prevista una presidenza diversa. In passato la presidenza era assunta sulla base di un sistema di rotazione tra gli stati membri , ciascuno dei quali per un periodo di sei mesi era posto a capo della presidenza del consiglio. Il Trattato di Lisbona ha invece previsto che la presidenza del consiglio sia esercitata da gruppi di tre stati membri, per un periodo di 18 mesi e che all'interno di tale periodo ciascun membro eserciti la presidenza per un periodo di sei mesi. Tali stati vengono individuati tenendo conto della loro diversità e degli equilibri geografici dell'Unione. I tre stati devono condividere un programma politico comune, in modo tale che la presidenza venga esercitata sulla base di un programma politico condiviso. La presidenza ha anzitutto il compito di convocare le riunioni del consiglio e stabilirne l'ordine del giorno. Rappresenta inoltre l'istituzione nella sua unità, ma la funzione principale è quella di svolgere una mediazione politica; lo stato che ha la presidenza del consiglio spetta il compito di trovare un compromesso tra le proposte adottate dalla commissione e le rivendicazioni politiche dei diversi stati, ciascuno dei quali cerca di ottenere vantaggi politici in sede dell’adozione dell’atto. In realtà questo ruolo non è svolto soltanto dalla presidenza, ma anche dal COREPER (comitato dei rappresentanti permanenti): esso riunisce i rappresentanti diplomatici che !56 ciascuno stato membro designa. La composizione è dunque identica a quella del consiglio per quanto riguarda la nazionalità dei membri, ma non per quanto riguarda la qualità degli stessi, trattandosi, nel caso del consiglio, di persone a livello ministeriale, nel caso del coreper, di diplomatici. Il coreper svolge una doppia funzione: da un lato quella di mediazione politica, dall'altro quella di analisi tecnica: le proposte e gli atti della commissione, non vengono direttamente esaminati dal consiglio, in quanto vengono preliminarmente esaminati dal coreper. Il coreper costituisce un sorta di filtro tra consiglio e commissione, per cui quando la commissione intende presentare una proposta al consiglio, deve prima sottoporla all'esame del coreper. Se il coreper darà esito positivo, la proposta viene trasmessa al consiglio che non discute l'atto, ma si limiterà a votarlo. Nel caso in cui invece il coreper desse esito negativo, seguirà la discussione del consiglio. Dunque il ruolo del COREPER è un ruolo fondamentale, in quanto rappresenta la prima sede di negoziato politico. L'art 16 del TUE definisce le funzioni consiglio: "il consiglio esercita, congiuntamente con il parlamento la funzione legislativa e di bilancio". I modi di deliberazione del consiglio sono: • Maggioranza semplice; • Maggioranza qualificata; • Unanimità; Il sistema dell'unanimità tutela a pieno gli stai in quanto ciascuno di essi ha il diritto di veto, per cui il voto contrario di un solo stato è sufficiente ad impedire l'approvazione. Con il metodo dell'unanimità certamente si tutela l'uguaglianza degli Stati, in quanto demograficamente e territorialmente più grande è alla pari di uno più piccolo, ma l'efficienza viene compromessa in quanto risulta difficile trovare compromessi politici. Tra di essi il modo normale di deliberazione è la maggioranza qualificata: il consiglio delibera a maggioranza qualificata, salvo nei casi in cui i trattati dispongano diversamente. La definizione di cosa debba intendersi per maggioranza qualificata ha sempre costituito un tema particolarmente delicato. Si tratta di un meccanismo che si basa sul fatto che ogni stato dispone di un numero di voti, che viene determinato sulla base della popolazione dello stato in virtù di un principio demografico. Il sistema di voto risente in realtà anche della preoccupazione per cui gli stati piccoli possano essere schiacciati dagli stati più grandi. Da qui la previsione di regole frutto di aspre discussioni tra gli stati membri che sono sfociate in una soluzione di compromesso articolata in due fasi: prima e dopo il 1* novembre 2014: • Prima di questa data si applica la disciplina definita con il trattato di Nizza ove la formazione della maggioranza qualificata richiede la presenza di tre condizioni: 1) il raggiungimento di una soglia minima di voti ponderati (260/352) (si noti che paesi !57 Il consiglio europeo La prassi di convocare riunioni dalle massime cariche politiche di ciascuno Stato, capi di Stato e di governo, ha inizio negli anni 60. In occasione del vertice di Parigi, capi di Stato e di governo decidono di riunirsi, accompagnati dai ministri degli esteri, tre volte l'anno e ogni qualvolta risulterà necessario come consiglio della comunità o titolo di cooperazione politica. Tale formazione del consiglio, non operava ancora come istituzione, ma piuttosto come conferenza di stati e risultava necessaria nel risolvere questioni di grande rilevanza politica come ad esempio l'adesione di nuovi stati e nel procedere spediti nel processo di cooperazione intergovernativa. Con il trattato di Lisbona il consiglio europeo diventa un'istituzione dell'Unione. L'art 15 del TUE descrive la composizione del consiglio europeo: "il consiglio europeo è composto dai capi di Stato o di governo degli Stati membri, dal suo presidente e dal presidente della commissione. L'alto rappresentante dell'unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza partecipa ai lavori." L'alto rappresentante non è dunque un vero e proprio membro del consiglio europeo. La sua posizione è pertanto analoga a quella che, in passato, spettava ai ministri degli Esteri degli stai membri. La sostituzione dei ministri con il solo alto rappresentante si spiega in relazione al fatto che quest'ultimo, presiedendo il consiglio affari esteri dovrebbe essere in grado di farsi portavoce delle opinione espresse dei ministri in quella sede. La partecipazione diretta dei ministri ai lavori del consiglio europeo non è però del tutto esclusa, potendo ciascun membro decidere, se l'ordine del giorno lo richiede, di farsi assistere da un ministro. Prima del trattato di Lisbona, il presidente del consiglio europeo era il capo di stato o di governo che deteneva la presidenza del consiglio secondo il sistema di rotazione semestrale. In passato la coincidenza della figura del presidente del consiglio europeo con quella del presidente del consiglio si rinveniva nel ruolo di mediazione politica che esso ricopriva. Tale sistema tuttavia incontrava il limite nel fatto che gli stati che avessero la presidenza, tendevano, soprattutto nel consiglio europeo, a far valere i propri interessi politici. Per queste ragioni il trattato di Lisbona ha previsto che "il consiglio europeo elegge il presidente a maggioranza qualificata per un mandato di due anni e mezzo, rinnovabile una volta". Con la stessa procedura il consiglio europeo può porre fine al mandato del presidente in caso di inadempimento o colpa grave. Il presidente del consiglio europeo deve "assicurare la preparazione e la continuità dei lavori del consiglio europeo in cooperazione con il presidente della commissione". Veste inoltre la funzione di rappresentanza esterna dell'Unione per le materie relative alla politica estera fatte salve le attribuzione dell'alto rappresentante. Il ruolo del consiglio europeo è un ruolo politico. Le funzioni del Consiglio europeo sono definite dall'art 15 TUE: "il consiglio europeo dà all'Unione gli impulsi necessari al suo sviluppo e ne definisce gli orientamenti e le priorità politiche generali. Non esercita funzioni legislative". La definizione descrive il consiglio europeo come supremo organo di indirizzo dell'intera Unione. Il consiglio europeo individua infatti gli interessi e gli obiettivi strategici dell'Unione e i !60 trattati gli assegnano compiti decisionali veri e propri che incidono direttamente sulla vita dell'Unione. Il modo di deliberare tipico del consiglio europeo è il consenso. Il consenso si forma, senza bisogno di votare, quando nessuno dei membri si oppone al testo presentato dal presidente. Il trattato di Lisbona prevede però alcuni casi in cui il consiglio europeo può deliberare a maggioranza qualificata (ad esempio per la nomina del proprio presidente). Le deliberazioni danno origine alle conclusioni, le quali hanno carattere politico, ma non hanno effetti vincolanti (a meno che non si tratti di accordi internazionali). Le conclusioni producono tali effetti politici su due istituzioni: sul consiglio e sulla commissione. In particolare alla commissione spetta il potere di proposta, ossia il potere di iniziativa degli atti normativi e nonostante esso sia organo indipendente, la commissione nel decidere in quali settori intervenire, privilegerà quei settori che il consiglio europea ha indicato come prioritari. Il presidente del consiglio europeo dopo la riunione presenta una relazione al parlamento informandolo a posteriori delle conclusioni prese. La commissione Diversamente dal consiglio e dal consiglio europeo, la commissione è un organo di individui, essendo composta da persone che non sono legate da un vincolo di rappresentanza ad uno stato membro, ma portano all'istituzione la propria esperienza personale e la propria facoltà di giudizio. La commissione si configura quindi come un organo assolutamente indipendente i cui membri sono designati su specifiche competenze professionali. I membri della commissione infatti sono scelti in base alla loro competenza generale e al loro impegno europeo e tra personalità che offrono tutte le garanzie di indipendenza. Tali requisiti di indipendenza e professionalità si ricollegano strettamente ai compiti che il trattato attribuisce alla commissione: la commissione promuove l'interesse generale dell'unione e adotta le iniziative appropriate a tal fine. Vigila sull'applicazione dei trattati e delle misure adottate dall'istituzione in virtù dei trattati. Vigila inoltre sull'applicazione del diritto dell'unione sotto il controllo della corte di giustizia dell'Unione Europea. Gestisce i programmi, dà funzioni di coordinamento, di esecuzione e di gestione. In relazione alla funzione di vigilare sui trattati la commissione è considerata come custode della legalità nell'ambito dell'Unione: tale compito lo esercita nei confronti degli Stati membri, soprattutto attraverso il ricorso per infrazione, nei confronti delle altre istituzioni, soprattutto attraverso gli strumenti di ricorsi di annullamento o in carenza. La funzione più importante tuttavia è indicata nella prima parte dell'articolo ove essa è vista come vero motore e interprete generale dell'Unione e in quanto tale ad essa spetta il potere esecutivo di proposta: il procedimento legislativo non può nemmeno iniziare se za una sua proposta. Il trattato attribuisce alla commissione il potere di iniziativa in relazione alla sua !61 caratteristica di indipendenza e professionalità (un atto amministrativo dell'Unione può essere adottato solo su proposta della commissione: essendo la commissione un'istituzione che gode di un principio di autonomia e indipendenza politica rispetto agli Stati, gli atti proposti dai suoi componenti si ritengono che siano atti i quali non sono in alcun modo condizionati da parte degli Stati membri e dunque che possano perseguire a pieno le finalità previste dai trattati. Tuttavia tale concezione può essere messa in discussione: gli Stati hanno sempre infatti concepito la commissione come un'istituzione che fosse portatrice di e loro interessi essendo il commissario interprete degli interessi politici dello stato al quale esso appartiene. Vi è dunque una diversa visione del l'istituzione della commissione tra il trattato e gli stati: per il trattato la commissione è un'istituzione indipendente, mentre per gli Stati la commissione è luogo in cui siede il suo rappresentante. In ragione di questa impostazione gli Stati hanno sempre preteso di avere almeno un commissario all'interno della commissione, e la modifica del sistema della composizione dei membri ha portato a diverse revisioni in relazione a contrasti tra Stati membri. In origine, prima del trattato di Nizza, il numero dei membri della commissione era superiore a quello degli Stati membri in quanto agli Stati più grandi era attribuita la nomina di due membri. Il trattato di Nizza ha previsto invece che la commissione fosse composta soltanto da un cittadino per ogni stato membro e si stabilì altresì che quando l'unione avesse avuto 27 Stati membri, il numero di membri sarebbe stato inferiore a quello degli Stati e sarebbe stato il consiglio a deciderlo all'unanimità, stabilendo anche il sistema di rotazione per l'assegnazione dei seggi disponibili. Il problema della commissione si ripropone con il trattato di Lisbona che prevede che dal 1* novembre 2014 il numero di membri sia pari ai 2/3 del numero degli Stati membri, a meno che il consiglio non decida all'unanimità di modificare tale numero. Utilizzando tale clausola il consiglio europeo ha disposto all'unanimità che la commissione fosse composta da un numero di componenti uguale a quello degli Stati membri, compreso il presidente e l'alto rappresentante. Il mandato dei membri della commissione dura 5 anni. La durata è stata armonizzata con quella dei membri del parlamento europeo, di modo che un nuovo parlamento abbia tra i suoi primi compiti quello di partecipare all nomina di una nuova commissione. Il mandato dei singoli membri o dell'intera commissione può terminare anticipatamente. La procedura di nomina distingue la posizione del presidente della commissione rispetto a quella degli Stati membri. 1. La prima fase prevede la designazione del presidente da parte del consiglio europeo che decide a maggioranza qualificata; 2. la seconda fase consiste nell'elezione del candidato da parte del parlamento europeo; 3. nella terza fase, il consiglio insieme al presidente della commissione appena eletto, predispone l'elenco dei commissari in base alle proposte presentate dagli stai membri; !62 • Il trattato di chiare che il presidente decide l'organizzazione interna. Per ciò che attiene alla organizzazione interna il presidente ha il compito di ripartire le competenze tra i membri della commissione. Il presidente assegna infatti incarichi in base a determinate materie. Anche in questo caso tuttavia l'autonomia del presidente e della commissione è messa in discussione: gli stati non si limitano infatti ad individuare il commissario, ma rivendicano per il soggetto designato un incarico ben preciso. Normalmente la definizione degli incarichi da attribuire ai singoli commissari è anche qui il risultato di una mediazione politica fra gli stati. Sono gli stati infatti che stabiliscono quale compito dovrà svolgere ciascun commissario all’interno della commissione. Ovviamente la rivendicazione da parte di uno stato di un incarico per un proprio commissario è legata all’importanza che quello stato assegna in quella determinata materia. Si ammette anche che il presidente possa decidere di modificare gli incarichi attribuiti l addirittura di provocare le dimissioni di un commissario, ma tali i poteri nella pratica si riducono molto in quanto, una modifica, rimetterebbe in gioco gli equilibri politici instaurati all'interno della commissione. • Spetta inoltre al presidente la nomina dei vicepresidenti ad eccezione dell’alto rappresentante per gli affari esteri il quale è uno dei vicepresidenti della commissione. Anche qui nella prassi la scelta dell'incarico di vicepresidente deriva da negoziati politici degli Stati. Quando un paese rivendica che il proprio commissario abbia un determinato incarico e lo stesso è ambito da un altro stato, talvolta la situazione di compromesso che si raggiunge si riversa proprio nella cessione della carica di vicepresidente, che è oggetto di rivendicazione anche da parte di altri paesi, talvolta la soluzione di compromesso si realizza proprio attraverso la carica dei vicepresidenti, realizzando in questo modo uno scambio politico che può soddisfare le richieste dei singoli paesi. • Assicurare la coerenza, l'efficacia e la collegialità dell'azione. Il principio della coerenza si concretizza nell'adottare misure che siano coerenti con gli obiettivi del trattato, in relazione al potere di iniziativa. L'unione europea agisce in diversi ambiti, diverse materie, spesso collegate tra di loro e indirizzate alla realizzazione di un risultato complessivo, ossia il mercato comune. L’azione nei singoli settori deve rispondere ad una logica unitaria: l’unione europea non può operare secondo criteri diversi in ogni settore perché questo renderebbe disorganica la sua attività e impedirebbe la realizzazione degli obiettivi prefissati. L’esigenza della coerenza è innanzitutto legata alla molteplicità degli ambiti d’intervento dell’unione europea. Vi è tuttavia un ulteriore esigenza di coerenza che è legata alla complessità della natura dell’unione europea. Se il trattato di Lisbona ha eliminato il sistema dei pilastri, non ha eliminato tuttavia la varietà di ambiti del processo d’integrazione europea, perché ancora oggi vediamo coesistere nel sistema modelli di organizzazione diversi per logica di ispirazione e per modalità di esercizio dell’azione. La politica estera e di sicurezza comune ad esempio continua a seguire il metodo della cooperazione intergovernativa nonostante le modifiche introdotte anche dal trattato di Lisbona; Lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia !65 invece è stato comunitarizzato, ma esistono meccanismi decisionali che cercano di salvaguardare la sovranità statale. Le due anime del processo d’integrazione, quella della cooperazione intergovernativa e quella del modello sovranazionale, continuano dunque a coesistere. Si tratta quindi di dare coerenza all’azione esterna. L'alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza Si tratta di una figura anfibia che fa parte di due istituzioni dell'Unione: del consiglio e della commissione. Prima del trattato di Lisbona, l’azione esterna era affidata a due soggetti, il primo era il segretario generale del consiglio, figura che costituisce il risultato di un compromesso politico rispetto alla proposta francese di istituire il c.d. messier pesc, cioè il ministro degli affari esteri dell’unione europea. L’Europa infatti aveva una politica estera ma non aveva un ministro degli esteri, non aveva un soggetto che garantisse coerenza e unità d’azione. Per risolvere i problemi connessi a questa mancanza, la Francia aveva proposto la creazione di un soggetto che istituzionalmente si occupasse della gestione e direzione della politica estera. La proposta francese tuttavia non ha trovato attuazione, in quanto la figura del segretario generale del consiglio ricopriva un ruolo più amministrativi che politico. Tuttavia dell’attività estera si occupava anche il commissario degli affari esteri, membro della commissione. Vi erano dunque due figure istituzionali chiamate ad operare entrambe nel settore dell’azione esterna dell’unione europea. Tale situazione crea confusione e sovrapposizione dei due soggetti, ovvero confusione dei ruoli. Per risolvere questo problema il trattato che adotta una costituzione per l’Europa aveva proposto la creazione di un ministro per gli affari esteri. La costituzione non entro mai in vigore e con il trattato di Lisbona si arrivò alla istituzione della carica di alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. Rispetto a quanto prevedeva la costituzione si è avuto una modifica circa la denominazione di tale figura in quanto si pensava che la nomina di ministro degli affari esteri fosse politicamente troppo forte e che potesse urtare la sensibilità dell’opinione pubblica europea, soprattutto di alcuni paesi poco disposti a cedere la politica estera all’unione europea. Da qui la creazione di questa nuova figura. Attraverso la creazione della carica di alto rappresentante si è inteso aumentare la coerenza tra le varie componenti dell'azione esterna dell'Unione, riconoscendo all'alto rappresentante il compito di guidare la PESC, attribuendogli un ruolo forte nell'ambito dei lavori sia del consiglio "affari esteri" che della commissione. L'art 18 del TUE gli attribuisce le seguenti funzioni: • Guida la PESC, con il compito di formulare proposte per l'elaborazione di tale politica e di attuarla in qualità di mandatario del consiglio; • Presiede il consiglio affari esteri; l'alto rappresentante ha il potere di iniziativa, il suo ruolo non è soltanto esecutivo, ma anche politico, in quanto contribuisce alla programmazione della politica estera e ne è mandatario; !66 • È uno dei vicepresidenti della commissione, incaricato delle responsabilità che incombono a tale istituzione nel settore delle relazioni esterne e del coordinamento degli altri aspetti dell'azione esterna dell'Unione. La funzione ricoperta dall'alto rappresentante può dunque far sorgere delle problematiche specialmente in relazione alla appartenenza a due istituzioni distinte. Occorre infatti stabilire quale dei due ruoli prevale ossia se quello di vicepresidente della commissione o quello di presidente del consiglio degli affari esteri. A riguarda il trattato afferma che "nell'esercizio delle responsabilità della commissione e limitatamente alle stesse, l'alto rappresentante è soggetto alle procedure che regolano il funzionamento della Commissione, per quanto compatibile con i paragrafi 2 e 3", ossia compatibile con i paragrafi che disciplinano le sue funzioni in relazione al consiglio. La responsabilità è dunque limitata in relazione all'attività del consiglio. Ciò significa che tra i due ruoli quello che prevale è quello legato all'attività del consiglio. Da tale disposizioni si evince inoltre che tra le due anime (cooperazione intergovernativa e metodo sovranazionale), vi è la prevalenza nell'organizzazione dei rapporti e dunque della cooperazioni intergovernativa sul metodo sovranazionale. L'attività che la commissione svolge è subordinata alla priorità dell'azione della politica estera: tale situazione indica concretamente come il trattato di Lisbona abbia ridefinito l'equilibrio fra le due anime a favore dell'anima intergovernativa piuttosto che di quella comunitaria. In ragione della sua duplice qualità di organo del consiglio e membro della commissione la procedura di nomina prevede che spetti al consiglio europeo a maggioranza qualificata con l'accordo del presidente della commissione. La durata del mandato coincide con quella degli altri membri della commissione, salva la possibilità per il consiglio europeo di porre fine anticipatamente al suo mandato. !67 non è mai accaduto. Allo stesso modo lo statuto prevede la presenza di avvocati generali, ma tale possibilità non è stata finora utilizzata. La nomina dei giudici del tribunale avviene di comune accordo dai governi degli Stati membri previa consultazione del comitato. I giudici hanno un mandato di sei anni rinnovabile ed eleggono tra di loro un presidente, che resta in carica tre anni. Sono richiesti requisiti di indipendenza e di professionalità. Per le formazioni di giudizio il tribunale funziona normalmente in sezioni, composte da tre o da cinque giudici. In genere il tribunale è giudice di primo grado e le sue pronunce possono essere impugnate davanti alla corte di giustizia. Il termine è di due mesi a decorrere dalla notifica di decisone ad impugnare. In realtà non è propriamente corretto parlare di un vero e proprio doppio grado di giudizio: l'impugnazione delle pronunce del tribunale come giudice di primo grado dinanzi alla corte non costituisce infatti un giudizio di appello essendo limitata ai soli "motivi di diritto" soltanto a "mezzi relativi all'incompetenza del tribunale, ai vizi della procedura dinanzi al tribunale recanti pregiudizio agli interessati della parte ricorrente, nonché alla violazione del diritto dell'Unione da parte del tribunale". Rispetto alle cause che sono assegnate alla competenza dei tribunali specializzati, il tribunale è invece giudice di secondo grado. Occorre individuare la competenza del tribunale. La competenza del tribunale incontra due limiti: 1) le azioni riservate alla competenza esclusiva della corte di giustizia; 2) il tribunale della funzione pubblica, il tribunale speciale, al quale spetta la competenza di primo grado sul contenzioso con il personale delle istituzioni e degli organi dell'Unione (in questo settore il tribunale opera come secondo grado). Il tribunale gode di alcune competenze dirette: • Ricorsi proposti dalle persone fisiche o giuridiche contro le istituzioni e gli atri organi; • Ricorsi di annullamento e in carenza proposti da uno stato contro la commissione; • Ricorsi di annullamento proposti da uno stato contro il consiglio aventi ad oggetto: aiuti di stato alle imprese; atti adottati in forza di un regolamento relativo a misure di difesa commerciale; Come si vede la competenza del tribunale è definita in base a criteri personali (solo ricorsi delle persone fisiche o giuridiche e ricorsi degli Stati membri, mai ricorsi delle istituzioni). Restano riservati alla competenza della corte di giustizia tutti i ricorsi preposti da un'istituzione, siano essi rivolti ad uno stato membro o contro un altra istituzione. !70 Il rinvio pregiudiziale 
 Si tratta di una procedura attraverso la quale il giudice nazionale ha la facoltà, o se si tratta di un giudice di ultima istanza, l'obbligo, di formulare alla corte di giustizia un quesito che può riguardare: • l'interpretazione di norme dell'Unione europea in questo caso si parla di rinvio pregiudiziale di interpretazione che può riguardare sia il diritto primario che derivato; • La validità di norme di diritto derivato. Il giudice solleva un rinvio pregiudiziale quando intende risolvere una controversia pendente. Prima del trattato di Lisbona vi era una disciplina generale prevista in vari articoli del TUE e del TCE che riguardavano due procedure di rinvio pregiudiziale speciale, applicate in diverse materie relative al terzo pilastro, materie quali ad esempio visti, diritti di asilo, politiche di immigrazione e politiche relative alla circolazione delle persone. Con il trattato di Lisbona scompare la struttura a pilastri e le materie del terzo pilastro vengono comunitarizzate e confluite nel titolo di spazio, libertà, sicurezza e giustizia. Oggi non esiste un rinvio pregiudiziale speciale per queste materie; esiste solo una norma di rinvio pregiudiziale disciplinata dall'art 267 TFUE. Il rinvio pregiudiziale ha delle caratteristiche in comune con il rinvio di legittimità costituzionale: • natura incidentale vale a dire che non è un mezzo di ricorso autonomo, ma sorge in pendenza di un giudizio; • Natura non contenziosa vuol dire che non è un giudizio tra parti, ma tra giudice e giudice (giudice della controversia e giudice della corte di giustizia); 
 Il sistema del rinvio pregiudiziale presenta degli obiettivi: 1. Garantire l'uniformità nell'applicazione del diritto dell'Ue, in maniera tale che la stessa norma abbia la stessa interpretazione in tutti e 28 gli stati membri. Se 28 giudici di 28 stati membri interpretassero in maniera autonoma il diritto comunitario esso perderebbe la sua unità; 2. completare i mezzi di controllo di legittimità degli atti dell'Unione europea. Occorre spiegare a riguardo l'azione di annullamento. Il controllo sul l'operato delle istituzioni si traduce in un controllo sugli atti di diritto derivato. Qualora l'atto di diritto derivato fosse illegittimo, il principale strumento è l'azione di annullamento disciplinato dall'arte 230 del TFUE. Si distinguono diverse categorie di ricorrenti: privilegiati e non privilegiati. I ricorrenti privilegiati, come gli stati membri e le istituzioni dell'Unione europea, possono impugnare, dinanzi la corte di giustizia, qualunque atto senza; i ricorrenti non privilegiati, sono le persone fisiche o giuridiche, devono dimostrare il !71 loro interesse ad agire e inoltre non possono impugnare qualunque atto, ma solo gli atti che li riguardano direttamente (ossia che non vi sia un ulteriore atto di esecuzione che incida sulla propria sfera giuridica) e individualmente (ossia come se fosse il destinatario dell'atto). Dunque non si può impugnare né la direttiva né i regolamenti, in quanto non si è destinatari formali. Se però un regolamento o una direttiva pregiudicano la situazione di un soggetto è possibile chiedere il rinvio pregiudiziale di validità verso un giudice nazionale. 3. garantisce una forma di controllo indiretto circa la compatibilità degli atti interni con il diritto dell'unione europea: il giudice nazionale usa questo strumento quando ritiene che una legge interna sia incompatibile con il diritto comunitario. Il giudice formalmente pone la domanda circa l'interpretazione del diritto comunitario ma di fatto si intende valutare la compatibilità con il trattato. In quanto garanzia della corretta applicazione e dell'uniforme interpretazione del diritto dell'unione, la competenza pregiudiziale ha dato un contributo inestimabile allo sviluppo del diritto dell'unione. Basti pensare che principi fondamentali quali l'efficacia diretta delle norme dei trattati, efficacia diretta delle direttive, il primato del diritto dell'Unione hanno tutti trovato la loro affermazione in pronunce rese dalla corte di giustizia ai sensi dell'articolo 267. Profili soggettivi: organi giurisdizionali L'art. 267 dichiara : “il rinvio pregiudiziale può essere sollevato da un organo giurisdizionale degli stati membri”. Occorre individuare cosa si intende per organo giurisdizionale. La questione potrebbe facilmente fraintendere e portare ad individuare l'organo giurisdizionale nella figura dei giudici. Ma la Corte dà un'interpretazione indipendente, riservandosi il potere di verificare che l'organo autore del rinvio pregiudiziale rientri effettivamente in tale nozione, considerata come una "nozione autonoma". La corte prevede infatti che vi possano essere dei soggetti che nell'ordinamento interno vestono la funzione di giudice, ma che non siano legittimati a sollevare rinvio pregiudiziale, in base alle funzioni svolte. Ad esempio la Corte Dei Conti quando svolge funzioni di controllo dell'attività amministrativa, non può sollevare rinvio pregiudiziale o ancora il Tribunale di Milano, ha certamente natura giurisdizionale, ma nell'ambito di certi giudizi, come l'omologazione di una separazione consensuale, il giudice non risolve una controversia, ma svolge solo una funzione amministrativa e in quanto tale non può sollevare il rinvio. La corte dunque rileva che non conta il nomen iuris (ossia la denominazione come giudice) ma la natura sostanziale delle funzioni svolte da questo soggetto. La corte individua così determinati requisiti: • origine legale dell'organo: dev'essere istituito da una fonte di diritto e previsto dalla legge !72 • Con la sentenza CILFIT la corte di giustizia ha affermato che il giudice di ultima istanza può astenersi dal sottoporre una questione alla Corte quando la corretta applicazione del diritto dell'Unione si imponga con tale evidenza da non lasciar adito ad alcun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione sollevata (teoria dell’atto chiaro). La teoria dell'arto chiaro secondo la dottrina istituisce una sorta di tacito compromesso tra la stessa Corte di Giustizia e le giurisdizioni nazionali di ultime istanza, offrendo la possibilità di rafforzare la collaborazione con l'ordinamento dell'Unione. Tale teoria tuttavia risulta particolarmente delicata e può dar vita ad abusi. La corte allora precisa che il giudice, prima di ritenere che il rinvio alla corte non sia dovuto, deve verificare che: Convincersi che la stessa soluzione si imporrebbe anche ai giudici degli altri Stati membri e alla corte di giustizia; Raffrontare le diverse versioni linguistiche dell'Unione; Tenere conto della non necessaria coincidenza tra il significato di una medesima nozione giuridica nel diritto dell'Unione e nel diritto interno; Ricollocare la norma dell'Unione nel suo contesto e alla luce delle finalità. Quando il giudice di ultima istanza ritenga di non essere obbligato a sollevare un rinvio pregiudiziale è in ogni caso tenuto a fornire una motivazione del suo rifiuto di rivolgersi alla corte di giustizia. In assenza di tale motivazione, il mancato rinvio potrebbe essere considerato arbitrario e tale comportamento arbitrario del giudice potrebbe costituire ipotesi di risarcimento dello stato, e dar luogo a risarcimento dei danni a favore del singolo i cui diritti siano stati lesi. Vi sono determinate circostanze in cui vi sia obbligo di rinvio anche per giudici non di ultima istanza. Nel caso in cui un giudice ritiene invalido un atto delle istituzioni, egli non può automaticamente accertare l'invalidità dell'atto, ma è tenuto ad avviare un meccanismo di rinvio pregiudiziale. Tale caso è stato affrontato nella sentenza foto-frost La Corte fonda la sua soluzione su due argomenti: • Coesione giuridica della comunità: se giudici di diversi paesi membri avessero convincimenti diversi circa la validità di norme comunitarie, questo comprometterebbe la coesione giuridica; • Si fonda sull’art 263 del trattato, riguardante l’azione di annullamento. La corte afferma che essa stessa ha una competenza esclusiva circa le pronunce per la validità degli atti comunitari, vale a dire è l’unico organo che può pronunciare l’invalidità dell’atto, e il giudice nazionale non ha questa competenza. Se il giudice nazionale dichiarasse che una norma comunitaria è invalida violerebbe il sistema dei ricorsi previsti dal trattato. Nella sentenza foto-frost si fa salva un'unica eccezione: se il problema della validità si pone come un procedimento urgente, il giudice può valutare autonomamente e in certi casi può anche disapplicare. Questo procedimento cautelare tuttavia sfocia nel giudizio di merito, nel quale il giudice nazionale deve sollevare necessariamente il rinvio pregiudiziale. !75 Tale visione è stata però ampiamente criticata dalla dottrina: • Se il giudice procedesse ad una disapplicazione autonoma questo darebbe luogo ad un pregiudizio per il sistema, ma questo vale anche per l’interpretazione in quanto se il giudice opera attività di interpretazione in modo autonomo potrebbe recare un pregiudizio all’uniforme applicazione del diritto comunitario anche se tale pregiudizio può poi essere recuperato con le impugnazioni arrivando all’ultimo grado di giudizio. La prima critica è dunque superabile. • Il giudice nazionale che ritiene che una norma di diritto derivato non sia valida può disapplicarla in caso di urgenza. La corte, nell’ambito di un giudizio nella questione di invalidità, non si limita a disapplicare la norma ma la dichiara nulla e non avvenuta, con efficacia retroattiva come se non fosse mai venuta ad esistenza. Il giudice non di ultima istanza può soltanto disapplicarla con efficacia limitata alla controversia pendente. Nel caso in cui un giudice conviene che una norma di diritto derivato è invalida e la disapplica, ma commette un errore in quanto la norma era perfettamente valida, la parte soccombente può fare appello e ricorso in cassazione in quanto si tratta di una violazione di un diritto. Percorsi tutti i gradi di giudizio vi è poi l’obbligo del rinvio pregiudiziale, che grava sul giudice di ultima istanza. Quindi un eventuale errore del giudice nazionale non di ultima istanza sia nell’interpretazione che nella validità è assolutamente rimediabile, percorrendo la sequela dei ricorsi. !76 Violazione dell'obbligo del rinvio pregiudiziale Nel caso in cui un giudice violi l'obbligo del rinvio pregiudiziale si prevedono due rimedi: • Rimedio comunitario (la procedura di infrazione). La commissione potrebbe attivare una procedura di infrazione nei confronti dello stato membro a cui appartiene il giudice che ha violato il rinvio pregiudiziale. A risponderne è dunque lo stato, in quanto l'apparato giurisdizionale (il giudice) ne fa parte. Tale rimedio si desume dalla sentenza commissione contro Italia del 2003, che aveva ad oggetto una norma italiana interpreta dalla corte di cassazione italiana in modo difforme rispetto al diritto comunitario, in modo da dare luogo ad una violazione del diritto comunitario. • rimedio interno: azione di risarcimento del danno che riguarda la responsabilità dello Stato per violazione del diritto dell'Unione europea. È uno degli effetti indiretti del diritto dell'Unione europea che viene affermato per la prima volta nella sentenza francovich, ove il danno era causato dalla mancata trasposizione di una direttiva. La corte, afferma che in caso di violazione da parte di uno Stato del diritto comunitario, questa violazione è una violazione grave e manifesta dalla quale discendono dei danni in capo ai singoli, e se sussiste un nesso causale tra violazione e danno quest'ultimo sarà risarcibile. 
 Qualunque danno, sia provocato dal potere esecutivo e da quello giudiziario, è risarcibile in base al principio di unitarietà dello Stato: non rileva il soggetto che agisce, ma che sia riconducibile ad un apparato statale. Nel 2003 nella sentenza koebler la corte afferma "il principio secondo cui gli Stati membri sono obbligati a riparare i danni causati ad i singoli, a seguito delle violazioni del diritto comunitario che sono a loro imputabili, si applica anche allorché la violazione di cui si tratta derivi da una violazione di un organo giurisdizionale di ultimo grado" .
 La corte afferma quindi che tale principio si applica anche quando la violazione deriva da un giudice di ultima istanza. Nella sentenza koebler la corte enuncia il principio di risarcibilità del danno prodotto da giudice di ultimo grado. La sentenza tratta dal caso di un professore universitario austriaco che voleva beneficiare di una speciale indennità di anzianità di servizio, riconosciuta in Austria ai professori che avessero effettuato 15 anni di servizio. Tale professore aveva si insegnato per 15 anni , ma non solo in Austria, bensì anche in Germania. La concessione di tale indennità era invece prevista dallo stato Austriaco soltanto a condizione che i 15 anni di servizio fossero stati prestati soltanto in Austria. 
 Ci si chiede dunque se questo assetto da origine ad una violazione della libera circolazione dei lavoratori subordinati. koebler si rivolge al giudice austriaco e percorre tutti i gradi di giudizio. 
 Il giudice di ultima istanza austriaco solleva il rinvio pregiudiziale alla corte di giustizia, che si era già precedentemente pronunciata su un caso analogo con un precedente che sarebbe stato favorevole a koebler. La corte aveva affermato che un'ipotesi del genere viola il diritto comunitario. 
 La corte indica al giudice del rinvio, la sua sentenza sulla fattispecie analoga. Il giudice !77 nazionale chiese alla corte di giustizia se il fatto che il governo italiano si fosse riservato alcune frequenze radiotelevisive, fosse compatibile con il trattato di Roma e con le regole sulla concorrenza. La corte afferma che sono da rigettare i rinvii pregiudiziali se il giudice nazionale non definisce gli elementi di fatto, e di diritto in cui si inseriscono le questioni sollevate, e non spiega le ipotesi su cui tali questioni sono fondate. In altri termini il giudice nazionale non può sollevare il rinvio pregiudiziale in termini del tutto generici, senza spiegare da cosa origina il suo dubbio è senza indicare quali siano le norme violate. Non occorre una descrizione estremamente dettagliata, ma dice la corte che il giudice deve fornire almeno una minima spiegazione dei motivi che lo abbiano indotto a sollevare il rinvio pregiudiziale, ed una qualche descrizione della controversia; tali elementi servono alla corte per capire a cosa serva al giudice l'interpretazione di quella norma comunitaria; 3. Questioni pregiudiziali derivanti da controversie fittizie: si tratta di una soluzione che la corte continua ad enunciare, nonostante nella giurisprudenza della corte di giustizia soltanto un caso viene dichiarato fittizio solo in una volta: Si tratta della Sentenza Foglia contro Novello del 1980: il signor Foglia, era un commerciante di vini che aveva stipulato un contratto con la signora Novello, residente in Francia. Il contratto prevedeva la compravendita di un certo numero di cartoni di vino, e prevedeva anche che, novello rimborsi a foglia soltanto le tasse compatibili con il diritto dell'Unione. Essendo la tassa versata da foglia vietata dal diritto dell'Unione, novello ne rifiuta il rimborso. Il signor Foglia si inventa la controversia, mettendosi d'accordo con la signora Novella. Figlia si rivolge al giudice italiano che solleva il rinvio pregiudiziale, e di fronte alla corte di giustizia sia Foglia che Novello affermano che il tributo contrasta con il diritto dell'Unione europea. Quello che importa per questi soggetti è che la corte di giustizia si pronunci circa l'incompatibilità, perché Foglia non voleva più vedersi applicare questo tributo. La corte si pronuncia con una sentenza nella quale rileva che la controversia è artificiosa, affermando che la funzione dell'art 267 è quello di fornire ai giudici della comunità gli elementi di interpretazione loro necessari per la risoluzione delle controversie effettive a loro sottoposte. 
 Ulteriore particolarità di questa sentenza sta nel fatto che qui un giudice Italiano chiede alla corte di giustizia di valutare la compatibilità di una norma francese; in questo caso la corte afferma che deve effettuare una particolare vigilanza. 
 Tale sentenza è criticabile per due ragioni: 1) la corte non ha gli strumenti per verificare se una controversia è reale o fittizia; 2) il giudice nazionale di fronte ad una controversia fittizia non può rifiutarsi di risolverla, perché se lo facesse commetterebbe un diniego di giustizia. 
 A parte questo caso isolato, la Corte di giustizia non ha più dichiarato l'irricevibilità di una questione pregiudiziale perché fittizia. Soltanto quando è assolutamente incontestabile che la controversia è fittizia, si può dichiarare la questione pregiudiziale irricevibile. !80 Effetti delle sentenze pregiudiziali Si suole distinguere tra: • effetti endoprocessuali: le sentenza rese dalla corte vincolano anzitutto il giudice che aveva effettuato il rinvio; si verificano dunque all'interno del processo da cui sorge il quesito pregiudiziale. Il giudice a quo si deve attenere all'interpretazione della norma offerta e se non lo fa potrebbe esserci il rimedio comunitario o un risarcimento del danno. Non si preclude al giudice del rinvio di rivolgersi nuovamente alla Corte di Giustizia (difficoltà di comprensione o applicazione della sentenza). • effetti extraprocessuali: si dispiegano anche al di fuori del processo pendente. La sentenza della Corte produce effetti erga omnes, avente valore generale. Qualunque giudice nazionale, il quale si trovi a dovere risolvere questioni in merito alle quali la corte si è già pronunciata mediante sentenza pregiudiziale, deve adeguarsi a tale sentenza. • Le sentenze della Corte hanno un carattere astratto: si vuole chiarire l'interpretazione della norma e non risolvere una controversia. Si parla di effetto d'incorporazione, la sentenze della corte è come se si incorporasse nella norma. La sentenza della Corte ha quindi efficacia retroattivo, dal momento in cui la norma è stata posta in essere (ex tunc). Il valore retroattivo delle sentenze va conciliato tuttavia con il principio di certezza del diritto. Proprio per questo la corte si riserva il potere di limitare nel tempo la portata delle proprie sentenze pregiudiziali dichiarandone l'efficacia irretroattiva tuttavia solo se si verificano due condizioni: 1. Vi deve essere un rischio di grave ripercussione economiche, in virtù dell'elevato numero dei rapporti giuridici sorti in una buona fede; 2. I singoli e le autorità nazionali sono indotte ad un comportamento non conforme al diritto in ragione di una obbiettiva incertezza della norma. Questa limitazione non si può applicare a chi ha già esperito un'azione giurisdizionale per tempo, darebbe luogo ad un diniego di giustizia e ad un paradosso (non si applicherebbe neanche al giudizio a quo). !81 Ricorso per infrazione L’ordinamento dell’Unione comprende un sistema di tutela giurisdizionale che assicura la protezione delle posizioni giuridiche sorte per effetto del diritto dell’Unione. Oltre al ricorso in via diretta del rinvio pregiudiziale vi sono delle forme di ricorsi in via diretta quali: 1) Il ricorso per infrazione; 2) Il ricorso per annullamento; 3) Il risarcimento del danno; 4) Il ricorso in carenza. Per ricorso in via diretta si intendono i ricorsi che vengono proposti alla Corte di giustizia e danno vita ad un procedimento che si svolge e si conclude integralmente dinnanzi a quest'ultima con una sua stessa pronunzia, a differenza del rinvio pregiudiziale che è un incidente che si verifica nel corso di un processo dinnanzi al giudice nazionale. Il ricorso per infrazione è uno degli elementi che caratterizza in senso sovranazionale l'Unione europea, e ciò in ragione del fatto che conferisce ad una istituzione dell'unione, la Commissione, il potere di contestare la violazione, da parte degli Stati, degli obblighi derivanti dal diritto comunitario. Il ricorso per infrazione è disciplinato dagli artt. 258 e 259 TFUE. L’oggetto del ricorso è dunque la violazione da parte di uno Stato membro di obblighi a lui incombenti derivanti dai trattati o da altri atti adottati in base ad essi: la violazione del l'obbligo da parte dello stato è sanzionata attraverso tale azione della commissione. Particolarmente frequenti sono i ricorsi per mancata o non corretta attuazione delle direttive entro il termine di trasposizione previsto dalla direttiva stessa. Per sollevare ricorso per infrazione occorre esclusivamente la violazione dell'obbligo previsto dal diritto dell'Unione europea; non è pertanto necessario dimostrare il dolo o la colpa da parte dello stato membro o dei suoi organi: d’altro canto, lo Stato membro non può addurre giustificazioni tratte da eventi interni come crisi di governo o cause di forza maggiore o ordine pubblico. Legittimati a proporre ricorso per infrazione sono la commissione e gli stati membri. Non è consentito ad altri soggetti, in particolare ai singoli, rivolgersi direttamente alla Corte per far valere la violazione di un obbligo derivante dai trattati. Essi potranno denunciare la violazione al proprio Stato membro, o meglio ad un organo giurisdizionale, per sollecitarli ad intervenire attraverso ad esempio lo strumento del rinvio pregiudiziale. L'individuo potrebbe anche ricorrere al ricorso per risarcimento del danno qualora l'esistenza di un contrasto fra la norma interna e quella dell'Unione gli abbia causato un danno e chiedere dunque allo stato il risarcimento. Un altro strumento che ha offerto l'ordinamento è quello della denuncia alla commissione: l'individuo può denunciare alla Commissione l'esistenza di un contrasto fra la norma interna e la norma europea, quindi di una infrazione da parte dello Stato e sarà la Commissione stessa, nell'esercizio della facoltà che gli viene attribuita dal trattato, a promuovere eventualmente il ricorso per infrazione. In passato, la Commissione non è stata !82 1. Gravità dell'infrazione; 2. Eventuale consapevolezza da parte dello Stato dell'esistenza della violazione. La ragionevolezza del termine garantisce allo Stato il tempo necessario sia per adeguare il proprio ordinamento agli obblighi del diritto dell'Unione sia per articolare un’eventuale difesa. Se il termine fosse troppo breve lo Stato non sarebbe nelle condizioni di eliminare l'infrazione e quindi sussisterebbe una lesione delle sue prerogative. Tale situazione naturalmente non riguarda uno Stato che in passato avesse già subito una contestazione di una violazione da parte della Commissione; qui non sussisterebbe alcuna lesione se il termine fissato dalla Commissione fosse particolarmente breve. Situazione analoga si ha nei casi di violazione particolarmente grave, ove l’esigenza di intervenire tempestivamente è superiore alla durata del termine. Il trattato prevede che la Commissione possa adottare, a conclusione della fase precontenziosa, un parere motivato, e qualora lo Stato in causa non si conformi al parere nel termine fissato dalla Commissione, questa, è legittimata a proporre ricorso per inadempimento alla Corte di giustizia. Tale ricorso potrebbe essere sollevato anche da parte di altri stati, ma per ragioni di convenienza politica gli Stati tendono naturalmente a ridurre le accuse fra di loro. Statisticamente infatti rispetto alle azioni della Commissione, quelle degli Stati sono molto rare. Il parere motivato, che costituisce l’atto finale della fase precontenziosa, è un atto non obbligatorio, con il quale la Commissione si limita ad esprimere la propria opinione. Il potere di giudicare infatti l’infrazione commessa da uno Stato membro non spetta alla Commissione, ma alla Corte, la quale a tal proposito sostiene che "non ha senso profilare l'obbligo di adottare un parere motivato nell'ambito di un sistema che esclude l'obbligo di promuovere l'azione dinnanzi alla Corte di giustizia". Tuttavia, a differenza che nella lettera di messa in mora, dove la Commissione può esplicare i fatti in maniera generica, il parere motivato deve risultare molto preciso e analitico, indicando in maniera esatta quali sono i fatti oggetto della contestazione. Ma come anticipato, l’emissione del parere motivato non è obbligatoria per la Commessione; la spiegazione è da ritrovarsi sul piano politico, in quanto il sistema del trattato ha voluto concedere alla Commissione uno strumento di negoziato con gli Stati. Il passaggio alla fase contenziosa è possibile soltanto una volta che il termine fissato nel parere motivato sia decorso invano. Secondo l’art 258 infatti: “qualora lo Stato in causa non si conformi a tale parere nel termine fissato dalla Commissione, questa può adire la Corte di giustizia”. La Commissione, non è dunque obbligata a ricorrere alla Corte, né farlo entro un termine predeterminato. Essa può, ad esempio, omettere del tutto il ricorso qualora lo Stato membro si sia conformato al parere motivato, oppure potrebbe far trascorrere del tempo prima di adire la Corte, qualora siano in corso trattative con lo Stato stesso che appaiano in grado di portare ad una rapida soluzione amichevole. !85 La decisione del ricorso viene quindi presa dalla Commissione, per tale intendendosi anche un solo commissario rappresentante di questa. Il dibattito si era posto nel corso di un giudizio di una causa della Commissione c. Germania, dopo che la decisione era stata assunta da un solo commissario e la Germania ne aveva contestato la legittimità, ribadendo che la decisione dovesse essere assunta dall’intero organo. La Commissione si è difesa spiegando che la complessità della materia e l'elevata quantità di ricorsi che vengono proposti, impedivano ad ogni commissario di conoscere perfettamente i contenuti di ogni ricorso, per cui la Commissione operava normalmente, fornendo a ciascun commissario gli elementi essenziali della contestazione e lasciando che fossero i singoli apparati amministrativi a curare la predisposizione in maniera precisa ed estesa, prima del parere e poi del ricorso. La Corte ha ritenuto legittimo questo modo di operare data la complessità della materia. Nel momento in cui prende avvio il ricorso dinanzi alla corte di giustizia, il soggetto gravato dall'onere della prova è la Commissione: quest’ultima deve dimostrare che ci sia l'infrazione, la violazione del l'obbligo, anche se non volontaria. Ciò che rileva è il fatto oggettivo della violazione. In un normale ambito giudiziario, l'azione dinnanzi ad un giudice è qualificata da un interesse da parte di colui il quale promuove l'azione. La Commissione invece, non deve dimostrare nessun interesse, ed è proprio il fatto che non occorre dimostrare l'interesse, una delle ragioni per le quali è possibile continuare il ricorso anche nei casi in cui lo Stato si sia adeguato alle indicazioni che la Commissione ha formulato. Questo significa che la commissione non può limitarsi alla deduzione della norma che si asserisce essere stata violata, deve altresì indicare quali siano le circostanze, le fattispecie, gli eventi che hanno determinato la violazione della norma dell'ordinamento dell'Unione europea. La fase contenziosa termina con una sentenza della Corte. Dall’art. 260 TFUE si evince che, in caso di accoglimento del ricorso, la Corte si limita a riconoscere che lo Stato membro ha mancato ad un obbligo derivante dai trattati. Si tratta pertanto di una sentenza di mero accertamento e non di una sentenza di accertamento costitutivo, né tanto meno di condanna. Tuttavia, lo stesso art. 260, par. 1 prevede che lo Stato membro “è tenuto a prendere i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza della Corte comporta”. La Corte non può quindi annullare le norme dell'ordinamento interno che siano eventualmente in contrasto con le norme del Trattato (si parlerebbe di sentenza di accertamento costitutivo) in quanto l’annullamento dei provvedimenti nazionali non rientra tra le sue competenze. Dunque se la Corte di giustizia ha accertato che una normativa interna è in contrasto con una norma dell'Unione, i giudici nazionali devono tenere conto della pronunzia, il che comporta come conseguenza che se la norma UE è dotata di efficacia diretta, il giudice dovrà applicarla automaticamente non applicando la norma interna riconosciuta come illegittima. Un ulteriore conseguenza che potrebbe verificarsi riguarda il risarcimento del danno come nel caso di Francovich, dove la Corte accerta che lo Stato è responsabile per non aver !86 rispettato gli obblighi che derivano dall'Unione, nel particolare la mancata trasposizione di una direttiva. A tale sentenza, è connesso il diritto dell'individuo ad ottenere il risarcimento del danno che ha subito in dipendenza dell'operare illecito dello Stato. Quindi la sentenza che accerti l'infrazione costituisce un presupposto al quale ancorare un’eventuale pronunzia di condanna dello Stato per la violazione dei diritti dell'individuo. Difesa degli Stati Nella prassi, svariate sono le giustificazioni che gli Stati hanno dato alla Commissione per legittimare la propria condotta. • Una prima forma di difesa fa leva sul fatto che nonostante la normativa interna non sia compatibile con quella dell’UE, la sua attuazione consentirebbe ugualmente di realizzare gli stessi obiettivi ai quali tende la norma dell'Unione (ossia la prassi applicativa-interpretativa è in linea con le priorità volute dall'Unione europea). Secondo la Corte di giustizia tale giustificazione non è accettabile in quanto è essenziale la chiarezza delle situazioni giuridiche: l'ordinamento deve mettere gli individui in posizione di conoscere quali siano i loro diritti, il contenuto delle loro situazioni giuridiche, la fonte delle situazioni giuridiche. Questa situazione di chiarezza non si verifica in un ordinamento in cui vi siano regole in contrasto con quelle dell'Unione europea, in quanto la diversità delle regola è fonte di incertezza, di ambiguità, di confusione. • Lo Stato membro non può neanche invocare situazioni interne per giustificare la mancata trasposizione di obblighi, tranne nel caso di forza maggiore, una nozione che però la Corte tende a ricostruire in maniera molto restrittiva; quasi sempre l'esistenza di una situazione interna che ha impedito l'adempimento degli obblighi del diritto dell'Unione europea non è considerata come una giustificazione, non facendo venir meno il contrasto. • In alcuni casi gli Stati hanno adottato a loro difesa la tesi che l'inosservanza non derivi dalla loro azione, bensì che fossero le istituzioni dell'Unione a non aver rispettato degli obblighi e dovessero rimediare a queste inosservanze. Anche in questo caso la Corte di giustizia ha ritenuto che l'infrazione sussista, perché gli Stati hanno uno strumento attraverso il quale possono reagire alla violazione da parte delle istituzioni degli obblighi che su di essi gravano (il ricorso in carenza). • Un ulteriore giustificazione della violazione di uno Stato è stata rinvenuta nel fatto che anche altri Stati abbiano violato gli obblighi oggetto della contestazione. Nel diritto internazionale, la mancata osservanza del trattato da parte di uno Stato autorizza gli altri a non eseguirlo; tale principio tuttavia non sussiste nell'ordinamento dell’Unione. La motivazione risiede nel fatto che, dinanzi alla violazione di un obbligo comunitario da parte di uno Stato, agli altri Stati è concessa la possibilità di esperire un ricorso per infrazione (art. 259 TFUE). !87 Ricorso per annullamento Il ricorso per annullamento disciplinato dagli articoli 263 e ss. TFUE costituisce la forma principale di controllo giurisdizionale di legittimità prevista per gli atti delle istituzioni. Esso mira ad ottenere l'annullamento degli atti che risultino viziati. La Corte è l'unico organo competente a controllare la legittimità degli atti delle istituzioni e, se del caso, a dichiararne l'illegittimità o l'annullamento. Si parla di monopolio sul controllo di legittimità del diritto derivato dell'unione; invece i giudici nazionali (comprese le Corti costituzionali degli Stati membri) non dispongo del potere di dichiarare invalido o anche soltanto di disapplicare un atto delle istituzioni che non sia già stato dichiarato invalido dalla Corte. Il giudice nazionale che nutre dei dubbi sulla validità di un atto delle istituzioni, non ha altra scelta che sottoporre una questione pregiudiziale di validità alla corte. In questi casi il rinvio diviene obbligatorio, anche se il giudice non è di ultima istanza. Il primo comma dell'articolo 263 definisce gli atti impugnabili facendo riferimento a tre criteri: 1) l'autore; 2) il tipo; 3) gli effetti. Per quanto riguarda l'autore, possono essere impugnati gli atti di tutte le istituzioni eccetto la Corte di giustizia, la Corte dei conti, nonché gli atti degli organi o organismi dell'Unione. Tutti questi soggetti sono pertanto dotati di legittimazione passiva nell'ambito del ricorso di annullamento. Quanto al tipo di atti impugnabili, l'art 263 primo comma, distingue gli atti legislativi dagli atti che tali non sono: gli atti legislativi sono sempre impugnabili, per gli altri, l'impugnabilità dipende dal terzo criterio, quello degli effetti. Il trattato infatti limita l'impugnazione degli atti non legislativi a quelli destinati "a produrre effetti giuridici nei confronti dei terzi". Di tutti gli atti adottati durante una procedura, quelli intermedi non sono considerati ad efficacia giuridica vincolante per cui non sono impugnabili, mentre solo l’atto finale risulta impugnabile. Stabilire quando l'atto sia impugnabile non è sempre semplice. A riguardo occorre analizzare un caso che riguarda la Philip Morris: la Commissione decide di agire dinnanzi al giudice americano nei confronti di Philip Morris affermando che fosse responsabile nei traffici di contrabbando di sigarette. Philip Morris impugna la decisione ritenendo che pregiudichi i suoi diritti e che modifichi la sua situazione giuridica. La Corte respinge il ricorso dichiarando che la decisione della Commissione non sia impugnabile, perché era una decisione che non determinava alcun effetto giuridico nella sfera giuridica di Philip Morris. La Corte per giustificare la sua decisione sostiene che la società potrà sempre agire nei confronti della Commissione per chiedere il risarcimento del danno, dovendosi la società ugualmente difendere in giudizio. Probabilmente la Corte di giustizia ha affermato un principio non del tutto corretto, perché un’azione legale può comunque portare dei !90 mutamenti nella sfera giuridica del soggetto. Quindi non è sempre facile stabilire quando l'atto è impugnabile. Per il Consiglio, la Commissione e la BCE vengono esclusi dall’impugnabilità “raccomandazioni e pareri” mentre vengono ammessi gli atti delle istituzioni cioè i regolamenti, le direttive e le decisioni. I soggetti legittimati a proporre ricorso di annullamento (legittimazione attiva) sono: 1. Ricorrenti privilegiati (Stati membri, Parlamento europeo, il Consiglio, la Commissione); 2. Ricorrenti intermedi (Corte dei conti, BCE, Comitato delle regioni); 3. Ricorrenti non privilegiati (persone fisiche e persone giuridiche). Non è compreso fra le istituzioni che possono proporre ricorso il Consiglio europeo. Il consiglio europeo non è stato considerato nella disciplina del ricorso per annullamento in ragione del ruolo che riveste: esso è composto dai Capi di stato e di governo degli stati membri, dal Presidente della Commissione e dal Presidente del Consiglio europeo. È un organo che ha un ruolo esclusivamente politico, in quanto determina le priorità politiche dell'unione e ne traccia le linee strategiche. Organi e organismi dell'unione non sono allo stesso modo contemplati nei ricorrenti privilegiati o intermedi perché sono persone giuridiche, cioè le norme che disciplinano gli organi e gli organismi dell'unione attribuiscono loro personalità giuridica. Come persone giuridiche sono assimilabili ai ricorrenti non privilegiati, e potranno proporre ricorso solo se dimostrano la sussistenza delle condizioni che legittimano la proposta di ricorso da parte delle persone fisiche o giuridiche. Ricorrenti privilegiati (Stati membri, Consiglio, Commissione, Parlamento europeo) Si parla di ricorrenti privilegiati dal momento che il loro diritto di ricorso ha portata generale. Essi possono proporre ricorso contro qualunque atto che rientri nella definizione di atto impugnabile e non devono dimostrare alcuno specifico interesse a ricorrere, essendo considerati portatori di un interesse generale alla legittimità degli atti delle istituzioni. Per Stati membri ai sensi dell'articolo 263, si intendono le solo autorità di governo degli Stati membri delle comunità europee e non anche gli esecutivi di regione di comunità autonome, indipendentemente dalla portata delle competenze attribuite a questi ultimi. Una regione che voglia impugnare un atto delle istituzioni deve rispettare le condizioni previste per le persone fisiche o giuridiche; il governo dello Stato centrale non deve dimostrare nulla, il governo di un ente territoriale dovrà dimostrare l'esistenza di un interesse diretto e individuale. !91 Ricorrenti intermedi (Corte dei conti, BCE, Comitato delle regioni) La loro posizione viene definita come ricorrenti intermedi, in quanto la legittimazione a ricorrere di tali soggetti non è generale, ma limitata e specificatamente finalizzata a salvaguardare le proprie prerogative. Essi possono quindi ricorrere solo sostenendo che l'atto impugnato invade la sfera riservata alla loro competenza o ne pregiudica l'esercizio. La categoria dei ricorrenti intermedi è stata creata dalla Corte di giustizia a seguito di due episodi che hanno visto come protagonista il Parlamento europeo. Inizialmente infatti, il Parlamento non era legittimato a proporre ricorso per annullamento. Quando nel 1988 infatti, il Parlamento propone un ricorso, la Corte di giustizia lo dichiara inammissibile perché non era prevista per tale istituzione una legittimazione diretta. Nel 1990 però, a seguito del disastro nucleare di Cernobyl, il Consiglio adotta un regolamento per determinare il tasso massimo di residui radioattivi che poteva essere contenuto in prodotti ortofrutticoli destinati al consumo umano. Il Consiglio aveva soltanto richiesto la consultazione del Parlamento, senza tener conto della legislazione allora in vigore che prescriveva una procedura di cooperazione tra i due organi. La Corte dichiara ricevibile il ricorso del Parlamento in quanto “ogni istituzione deve esercitare le proprie competenze” e il regolamento in esame invece, interferiva con le competenze dell’istituzione Parlamento. La corte spiega anche la diversità di posizione che ha assunto nell'88 e nel 90 sostenendo che il secondo aveva ad oggetto la salvaguardia dell'equilibrio istituzionale la quale giustificava la proposizione del ricorso e quindi l'affermazione dell'ambito di legittimazione. Con questa giurisprudenza nasce la figura del ricorrente intermedio. Dopo il trattato di Nizza il Parlamento europeo viene promosso alla categoria dei ricorrenti privilegiati e viene invece ampliata la categoria dei ricorrenti intermedi comprendendovi Corte dei conti e Banca centrale europea e con il trattato di Lisbona anche il Comitato delle regioni. L’andamento della giurisprudenza ci fa dedurre che, probabilmente in futuro, la categoria dei ricorrenti intermedi potrebbe conoscere un ulteriore espansione. Ricorrenti non privilegiati (persone fisiche e giuridiche) Secondo l’art 263 “qualsiasi persona fisica o giuridica può proporre, un ricorso contro gli atti adottati nei suoi confronti o che la riguardano direttamente o individualmente e contro gli atti regolamentari che la riguardano direttamente e che non richiedono alcuna misura di attuazione”. La norma disciplina tre ipotesi: 1. Ipotesi in cui una persona fisica o giuridica impugni un atto adottato “nei suoi confronti”; 2. Ipotesi in cui una persona giuridica impugna un atto di cui non è formalmente destinatario ma che “lo riguarda direttamente ed individualmente”; 3. Ipotesi in cui una persona fisica o giuridica impugni “atti di natura regolamentare che la riguardano direttamente e che non richiedono nessuna misura di esecuzione”. !92 riducono le quote nei confronti delle imprese. Le imprese impugnano la decisione della Commissione, ritenendo che quell'atto abbia pregiudicato la loro sfera giuridica. La Corte respinge il ricorso sostenendo che la riduzione delle quote è una decisione degli stati, decisione che la Commissione non poteva prevedere. Dunque se l’atto esclude la discrezionalità di altri soggetti, questo opera in maniera diretta nella sfera giuridica di quei soggetti, se invece residua un margine di discrezionalità (nel caso di specie: Gli stati riducono le quote alle imprese, esiste un margine di discrezionalità dell’autorità statale), allora bisogna ritenere che non vi sia interesse diretto. Diverso è il caso della sentenza Piraiki-Patraiki. Con l'entrata della Grecia all'Unione europea, il trattato di adesione stabilisce la possibilità di introdurre delle restrizioni alle importazioni di cotone dalla Grecia per un periodo di tempo limitato (regime transitorio). La Commissione adotta una decisione con la quale autorizza la Francia a limitare le importazioni di cotone dalla Grecia. Quando la Francia si avvale di questa facoltà e introduce una restrizione all’importazione viene impugnata da imprese greche del settore la decisione della Commissione. La Commissione contesta l'interesse diretto delle ricorrenti, sostenendo che il pregiudizio per le ricorrenti non deriverebbe direttamente dalla decisione impugnata, ma dei provvedimenti francese adottati in base all'autorizzazione contenuta nella decisione. La corte respinge l'argomento motivando che la decisione della commissione nei riguardi della Francia era stata sollecitata dalla Francia stessa, cioè la Francia aveva chiesto alla commissione di essere autorizzata ad introdurre restrizioni all'importazione. Dunque quando la commissione ha adottato l'atto era già consapevole che la Francia si sarebbe avvalso di questa facoltà di imporre restrizioni. Quindi la Corte sostiene la sussistenza di un interesse diretto, perché il pregiudizio, l’effetto negativo che si produce nella sfera giuridica del soggetto, è legato alla normativa dell’Unione europea e non dalla normativa nazionale. Vi è un nesso causale diretto fra l’atto dell’Ue e l’effetto negativo che si produce nella sfera giuridica del soggetto a prescindere dall’atto statale che non interrompe né modifica questo legame. Interesse individuale La corte ha adottato una posizione che negli anni non è mutata e ha inteso in maniera molto restrittiva la nozione di interesse individuale. La prima pronunzia è del 1963, sentenza Plaumann. Circa l'impugnazione da parte di un'impresa di una decisione della Commissione rivolta ad uno Stato membro, la Corte afferma: "chi non è destinatario di una decisione può sostenere che questa lo riguardi individualmente soltanto qualora il provvedimento lo tocchi a causa di determinate qualità personali, oppure di particolari circostanze atte a distinguerlo dalla generalità, e quindi lo identifichi alla stregua dei destinatari." Perché si affermi l’esistenza di un interesse individuale occorre che quel soggetto, o per qualità che egli possiede o per circostanze di fatto si trovi nella medesima posizione giuridica, in rapporto all’atto, dei destinatari formali dell’atto stesso. È solo questo elemento !95 che nel distinguerlo dagli altri e nell’assimilarlo ai destinatari formali permette di affermare l’esistenza di un interesse individuale. Nella sentenza Plaumann la Repubblica federale di Germania chiedeva alla Commissione l'autorizzazione a sospendere la riscossione del dazio per mandarini e clementine importate da altri paesi. La Commissione nega questo tipo di richiesta. La Plaumann, operatore economico, opera nel settore dell’importazione di questo tipo di frutta e impugna la decisione della commissione perché ritiene che pregiudichi i suoi interessi economici. La Corte esclude il ricorso, sostenendo che la Plaumann non possa vantare un interesse individuale. La Corte osserva infatti che quella previsione normativa era destinata ad applicarsi a tutti i soggetti che operavano all’interno dell’ordinamento e non solo a quelli che in quel momento storico operano. Tutti quelli che anche in futuro opereranno nel settore, tutti quelli che decideranno di dedicarsi all’importazione di clementine dovranno sottostare ai limiti che quella normativa determina. Dunque non esiste una qualità particolare di quel soggetto che lo distingue dagli altri, perché quella normativa ha una portata applicativa indefinita e indeterminata. Un ulteriore caso è quello Greenpeace e altri v commissione. Greenpeace è una nota associazione ambientalista, che insieme ad altre organizzazioni ambientaliste e alcuni individui impugnano una decisione della Commissione con la quale si era deciso di finanziare la costruzione di alcune centrali elettriche in Spagna, esattamente nelle isole Canarie. Negli ordinamenti interni le associazioni ambientaliste hanno una legittimazione ad impugnare atti in ragione del fatto che sono portatrici di interessi diffusi, quindi interessi che esorbitano la sfera individuale, nel caso della associazioni ambientaliste si tratta di un interesse alla tutela dell’ambiente. Le associazioni invocavano questa forma di legittimazione dell’ordinamento interno e ritenevano di avere un interesse che non vale solo nel ristretto ambito dei confini nazionali ma che era riferibile anche all’Unione europea nel suo complesso. La corte esclude sia la legittimazione degli individui, sia la legittimazione dell’associazione. Quanto agli individui sostiene che coloro i quali hanno proposto il ricorso non si trovano in una posizione giuridica diversa da quanti vivono nelle isole canarie o da quanti decidono di recarsi nelle isole canarie per vacanza o lavoro, non vi è una situazione di fatto particolare che distingue i ricorrenti da tutti gli altri individui. Quanto alle associazioni, la loro posizione si risolve in quella di chi fa parte dell’associazione e dunque di individui che non hanno un interesse diverso da quanti vivono o lavorano alle canarie, né l’esistenza di un interesse alla tutela dell’ambiente può giustificare la legittimazione, perché non vi è un interesse diretto che distingue l’associazione da altri individui, quindi il ricorso viene rigettato perché viene dichiarato inammissibile. La conclusione è che occorre una situazione di fatto tale da collegare il soggetto all’atto in una maniera singolare e particolare, che per un verso lo distingue dalla generalità dei soggetti e per altro verso lo identifica alla stregua dei destinatari formali. !96 Come la Corte ha ricostruito le situazioni di fatto che determinano l’insorgere dell’interesse individuale e che quindi fondano la legittimazione a proporre ricorso per annullamento da parte di persone fisiche o giuridiche sono riscontrabili nel caso Cam v. commissione. La vicenda trae origine da un regolamento adottato dalla Commissione riguardante la materia dell’esportazione di cereali e riso. In questa materia è prevista la concessione di licenze per l’esportazione ad alcune imprese ed è inoltre previsto sempre per le stesse il rimborso da parte dell’Unione europea. La ragione del rimborso è determinata dal fatto che in questo modo si permette alle imprese di essere maggiormente competitive nel mercato internazionale, presentando i prodotti con prezzi più bassi, che verranno poi compensati dal rimborso. Quindi la normativa prevedeva o un regime di concessione delle licenze o un regime di rimborso dei prezzi. Questo regime era determinato in anticipo in modo da permettere l’acquisto da parte di coloro i quali intendevano esportare e quindi anche un calcolo dei profitti che avrebbero dovuto realizzare. Poiché il sistema dei prezzi non è un sistema stabile e fisso, la regolamentazione prevedeva anche un meccanismo di regolamento del rimborso che permettesse quindi di tenere conto delle modifiche che si determinavano nel regime dei prezzi. La Commissione nell’adottare un regolamento stabilisce però un limite alla revisione del meccanismo del rimborso, stabilendo che, oltre una certa data, il meccanismo non sarebbe più stato modificato, ancorché fossero intervenute delle modifiche nel sistema dei prezzi. Cam è una società che ha ottenuto delle licenze e non avendole ancora utilizzate rischiava di vedere pregiudicata la propria posizione giuridica dal meccanismo di arresto dell’adeguamento del sistema dei rimborsi. La Corte afferma che la società avesse un interesse individuale perché il numero dei destinatari del regolamento è identificabile, ovvero tutti coloro i quali hanno ottenuto preventivamente delle licenze e non le hanno utilizzate e in più quest’ultima è proprio la condizione espressa nel preambolo del regolamento. Cam, il ricorrente, appartiene a questo numero ristretto di soggetti destinatari della norma. Questo caso individua i due principi che caratterizzano l’interesse individuale: 1. Il primo è che la misura è destinata ad operare nella sfera giuridica di un numero limitato di soggetti e il ricorrente fa parte di questo cerchio ristretto di soggetti destinatari dell’atto; 2. Il secondo evento è dato dal fatto che l’istituzione ha considerato o avrebbe dovuto considerare la posizione giuridica del destinatario dell’atto e quindi gli effetti che l’atto avrebbe dovuto produrre nella condizione giuridica di quei soggetti. Se ricorrono queste due condizioni siamo in presenza di un interesse individuale. Si analizza la sentenza Bularux v. commissione. La Commissione adotta una disciplina restrittiva in materia di rifiuti che ne vieta la circolazione. Bularox è una società che opera in Francia dove vi trasporta rifiuti e aveva concluso una serie di contratti con autorità pubbliche tedesche per l’acquisizione di rifiuti. La Francia avvalendosi della facoltà data dalla Commissione declina la conclusione di questi contratti, vietando l’importazione dei rifiuti. !97