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RIASSUNTO VILLANI - DIRITTO DELL'UNIONE EUROPEA, Sintesi del corso di Diritto dell'Unione Europea

Riassunto esaustivo del libro VILLANI, ISTITUZIONI DI DIRITTO DELL'UNIONE EUROPEA, ed. 2020

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020
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Caricato il 17/09/2020

LauraCapozzi
LauraCapozzi 🇮🇹

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Scarica RIASSUNTO VILLANI - DIRITTO DELL'UNIONE EUROPEA e più Sintesi del corso in PDF di Diritto dell'Unione Europea solo su Docsity! 1 ISTITUZIONI DI DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA CAPITOLO I ORIGINI, EVOLUZIONE E CARATTERI DELL’INTEGRAZIONE EUROPEA I PRIMI MOVIMENTI EUROPEISTI Il processo di integrazione europea muove da lontano e trova le sue radici in concezioni politiche e filosofiche di illustri pensatori, in movimenti di privati cittadini, in iniziative di statisti e uomini di governo. Uno dei primi promotori del progetto di unire gli Stati europei fu il conte Richard Coundenhove - Kalergi, il quale fondò nel 1924 un’associazione denominata Unione paneuropea, avente lo scopo di raggiungere l’unificazione europea al fine di preservare l’Europa,  da una parte, dalla minaccia sovietica e  dall’altra dalla dominazione economica degli Stati Uniti. Fondamentalmente furono tre le concezioni che ispirarono il processo di integrazione Europa: 1. Visione di tipo confederale, avanzata da Aristide Briand (1° maggio 1930, Società delle Nazioni), ministro degli esteri francese, il cui progetto prevedeva la creazione di una organizzazione politica tra gli Stati partecipanti che avesse obiettivi comuni a tutti ma che non mettesse in discussione la sovranità di ognuno (permanenza dei nazionalismi).  Sullo stampo delle organizzazioni internazionali tradizionali: avrebbe comportato l’istituzione di organi e strutture volte al perseguimento degli scopi comuni stabiliti mediante accordo tra gli stati membri i quali, pur assumendo obblighi giuridici, avrebbero conservato la loro sovranità. 2. Visione di tipo federalista, visione che accomunava tre autori: Spinelli, Rossi e Colorni. Secondo tale impostazione, espressa nel “Manifesto di Ventotene per un’Europa libera e unita” del 1941, per assicurare la pace tra i Paesi europei occorreva che questi rinunciassero alla propria sovranità e che si giungesse immediatamente ad una nuova entità, la Federazione europea, dotata di un proprio esercito, di una propria moneta, di proprie istituzioni e di una propria politica estera (no nazionalismi). “il problema che va risolto è la definitiva abolizione dell’Europa in Stati nazionali sovrani […] non si può mantenere un equilibrio di Stati europei indipendenti con la convivenza della Germania militarista a parità di condizioni con gli altri paesi […] è ormai dimostrata la inutilità, anzi la dannosità, di organismi quali la Società delle Nazioni” Questa visione stimolò la nascita del movimento federalista europeo (1943) 3. Visione funzionalista e graduale: anch’essa credeva che il permanere dei nazionalismi fra gli Stati Europei avrebbe costituito una costante minaccia per la pace e prevedeva l’obiettivo immediato di una unione politica europea. Tuttavia, il metodo da seguire era quello di realizzare forme di coesione così da costruire progressivamente una situazione di fatto di integrazione tra i paesi europei che sarebbe sfociata in un’unione politica. (Jean Monnet, Schuman, De Gasperi).  19 settembre 1946 Churchill: ricordando che le passioni nazionalistiche avevano distrutto la pace propose di stabilire una sorta di STATI UNITI DI EUROPA, il cui promo passo doveva essere una intesa tra Germania e Francia. LE ORGANIZZAZIONI EUROPEE DEL SECONDO DOPOGUERRA La spinta politica decisiva fu data dal celebre discorso tenuto ad Harvard dal segretario di Stato statunitense Marshall il 5 giugno 1947: egli, nell’enunciare un piano di aiuti per la ricostruzione 2 dell’Europa sconvolta dalla guerra (European Recovery Program) ne subordinava l’attuazione all’istituzione di uno strumento che ne favorisse un’utilizzazione congiunta. La richiesta fu accolta dai Paesi dell’Europa occidentale e si concretizzò appunto nellʼOECE.  Parigi, 16 Aprile 1948, nasce lʼOECE: Organizzazione europea di cooperazione economica, creta per amministrare gli aiuti del piano Marshall.  1960, l’OECE si trasforma nell’OCSE: Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico.  Tipica organizzazione internazionale di carattere intergovernativo, destinata, cioè, a operare mediante organi (Consiglio) composta dai rappresentanti degli stati membri la cui azione è soggetta alla volontà di tali Governi e volta agli Stati Membri, non ai loro cittadini.  Londra, 5 Maggio 1949, nasce il Consiglio D’Europa altra organizzazione di carattere intergovernativo: originariamente tra i Paesi dell’Europa occidentale, ma oggi 47 membri. malgrado la presenza di un’Assemblea Parlamentare (dotata del solo potere di discussione e di formulare raccomandazioni), formata dai rappresentanti dei Parlamenti degli Stati Membri, i poteri si concentrano nel Comitato dei ministri (costituito dai rappresentanti governativi).  Roma, 4 novembre 1950, Convenzione Europea dei diritti Umani (CEDU) Esperienze che creavano un clima politico favorevole a ulteriori e più strette forme di collaborazione tra gli Stati europei. LA NASCITA DELLA COMUNITA’ EUROPEA DEL CARBONE E DELL’ACCIAIO La prima organizzazione con la quale ha inizio il processo di integrazione europea, caratterizzato da un “trasferimento di poteri” sovrani da parte degli Stati membri a enti, appunto le comunità sopranazionali, è la CECA (comunità europea del carbone e dell’acciaio). All’origine della CECA del 1952 vi è la celebre dichiarazione del ministro degli esteri francese Robert Schuman (ispirata da Jean Monnet), del 9 maggio 1950 - “Festa dell’Unione europea” -, nella quale l’anima federalista si sposa con il metodo funzionalista, basato su interventi settoriali e graduali.  La dichiarazione contiene una proposta rivolta anzitutto alla Germania, nonché agli altri Stati europei che intendano aderirvi, di mettere in comune, sotto un’Alta Autorità, l’insieme della produzione di carbone e di acciaio, assicurando, nel contempo, la loro libera circolazione. (le risorse tradizionalmente terreno di scontro sarebbero divenute strumento di incontro e utilità condivisa).  L’apparato organizzativo sarebbe stato formato da unʼAlta Autorità: 1. composta da personalità indipendenti che avrebbero avuto poteri sia esecutivi che normativi nei confronti dei Paesi aderenti; 2. soggetta a un controllo giurisdizionale a livello europeo. SCHUMAN “il contributo che un’Europa organizzata e vitale può apportare alla civiltà è indispensabile per il mantenimento di relazioni pacifiche” e che “l’Europa non è stata fatta: abbiamo avuto la guerra” «L’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto” La proposta fu accettata dalla Germania, dall’Italia, dall’Olanda, dal Belgio e dal Lussemburgo. I sei Stati giunsero così alla firma a Parigi, il 18 aprile 1951, del Trattato istitutivo della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), entrato in vigore il 23 luglio 1952, ha costituito il nucleo originario della costruzione oggi designata come Unione europea. Gli scopi principali della Comunità erano così indicati nell’art. 2 del Trattato di Parigi: «La Comunità europea del carbone e dell’acciaio ha la missione di contribuire, in armonia con l’economia generale degli Stati membri e in virtù dell’instaurazione di un mercato comune, alle condizioni definite all’articolo 4, 5 popoli) Gli atti di queste organizzazioni hanno come destinatari gli Stati Membri, a cui spetta poi dare esecuzione agli obblighi nascenti da suddetti atti. (Stato interposto quale diaframma tra l’organizzazione internazionale e la propria comunità interna) Vi è un trasferimento di sovranità dagli Stati Membri all’Unione e a tale elemento si collega la soggettività degli individui nell’ordinamento dell’Unione. Gli organi dell’Unione hanno quindi il potere di adottare atti obbligatori e direttamente applicabili. Si tratta di differenze ben presto evidenziate non solo dalla dottrina, ma dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea. Questa, nella celebre sentenza del 5 febbraio 1963, causa 26/62, Van Gend en Loos, dichiarò: “Lo scopo del Trattato CEE, cioè l’instaurazione di un mercato comune il cui funzionamento incide direttamente sui soggetti della Comunità [oggi Unione], implica che esso va al di là di un accordo che si limitasse a creare degli obblighi reciproci fra gli Stati contraenti. Ciò è confermato [...] dalla instaurazione di organi investiti istituzionalmente di poteri sovrani da esercitarsi nei confronti sia degli Stati membri sia dei loro cittadini. Va poi rilevato che i cittadini degli Stati membri della Comunità collaborano (1), attraverso il Parlamento europeo e il Comitato economico e sociale, alle attività della Comunità stessa. La funzione attribuita alla Corte di giustizia dall’art. 177 [oggi art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea: oltre, par. 11], funzione il cui scopo è di garantire l’uniforme interpretazione del Trattato da parte dei giudici nazionali, costituisce la riprova del fatto che gli Stati hanno riconosciuto al diritto comunitario [oggi dell’Unione] un’autorità tale da poter esser fatto valere dai loro cittadini davanti a detti giudici. Inconsiderazione di tutte queste circostanze si deve concludere che la Comunità costituisce un ordinamento giuridico di nuovo genere nel campo del diritto internazionale, a favore del quale gli Stati hanno rinunziato (2), anche se in settori limitati, ai loro poteri sovrani, ordinamento che riconosce come soggetti non soltanto gli Stati membri ma anche i loro cittadini». In relazione al trasferimento di sovranità… EMERGE SUL PIANO DELLA POTESTÀ LEGISLATIVA: gli organi dell’Unione sono legittimati a rivolgersi sia nei confronti degli Stati membri sia dei loro cittadini;  Possono adottare atti obbligatori direttamente applicabili idonei  a produrre obblighi e diritti per i singoli;  a essere applicato dai giudici e dalle autorità di ciascuno Stato. 1. fa sì che i cittadini siano immediatamente destinatari di diritti e obblighi derivanti da norme europee con possibilità di esercitarli in giudizio davanti ai giudici nazionali. 2. Sancisce un primato del diritto comunitario su quello interno incompatibile In merito a ciò: 15 Luglio 1964, causa 6/64, COSTA C. ENEL “Il trasferimento dei diritti e degli obblighi corrispondenti alle disposizioni del Trattato implica […] una limitazione definitiva dei loro diritti sovrani di fronte ad un atto unilaterale ulteriore incompatibile col sistema della Comunità, sarebbe del tutto privo di efficacia” Questa definizione è stata anche accolta dalla Corte Costituzionale. Tuttavia, gli Stati membri possano riappropriarsi della loro piena sovranità mediante il diritto di recesso dall’Unione, previsto dall’art. 50 TUE e, in concreto, esercitato dal Regno Unito.  Spesso si definisce “delega di poteri” e non “trasferimento” 6 3. Caratterizza l’Unione Europea come un “tertium genus” in forza dell’originalità del fenomeno di integrazione europea: Il diritto dell’Unione così penetra all’interno delle società statali mostrando le peculiarità che le Comunità sopranazionali presentano rispetto alle tradizionali esperienze delle organizzazioni internazionali. In merito a ciò: parere 1/91 della Corte di giustizia del 14 dicembre 1991 relativo allo Spazio economico europeo (SEE): «I Trattati comunitari [oggi dell’Unione] hanno instaurato un ordinamento giuridico di nuovo genere, a favore del quale gli Stati hanno rinunziato, in settori sempre più ampi, ai loro poteri sovrani e che riconosce come soggetti non soltanto gli Stati membri, ma anche i loro cittadini. Le caratteristiche fondamentali dell’ordinamento giuridico comunitario così istituito sono, in particolare, la sua preminenza sui diritti degli Stati membri e l’efficacia diretta di tutta una serie di norme che si applicano ai cittadini di tali Stati nonché agli Stati stessi». EMERGE SUL PIANO GIURISDIZIONALE: Tale trasferimento dagli Stati membri alle Comunità europee non riguarda solo la potestà legislativa ma anche quella giudiziaria. 1. Rinvio pregiudiziale In questa sede va richiamata la competenza, attribuita alla Corte di giustizia, detta “pregiudiziale” o “di rinvio” regolata nel Trattato sul funzionamento dellʼUnione Europea (TFUE) dallʼ art 267:  Qualora in un processo dinnanzi ad un giudice nazionale sorga una questione concernente l’interpretazione dei Trattati europei o di un atto delle istituzioni europee, o la validità di tale atto e la soluzione di detta questione sia necessaria affinché il giudice possa decidere il caso sottoposto al suo esame, lo stesso giudice deve sospendere il processo e chiedere alla Corte di giustizia di risolvere la suddetta questione. La Corte di giustizia non decide il caso concreto, ma si limita a pronunciare la corretta interpretazione della norma europea e a decidere se l’atto in questione sia valido o meno; Al giudice nazionale spetterà poi decidere dell’applicabilità della norma al caso in questione uniformandosi alla pronuncia della Corte. (la decisione del caso concreto spetta a lui)  La sentenza della Corte di giustizia è per lui obbligatoria; di conseguenza la decisione nazionale si fonderà̀ sulla interpretazione della norma europea. L’art. 267 non implica l’attribuzione alla Corte della competenza a decidere la cause nazionali, tuttavia esso comporta una pesante “interferenza” della Corte di Giustizia sulla sorte di tali cause  anche nella potestà̀ giurisdizionale si è determinato una (se pur limitata) attribuzione di poteri dagli Stati membri all’Unione europea. 2. Effetti delle sentenze interpretative (erga omnes?) Sebbene, ai sensi dell’art 267 TFUE, le sentenze della Corte sono obbligatorie solo per il giudice a quo, esse tendono a produrre effetti generali, vincolando i giudici interni a conformarsi ad esse:  La Corte di giustizia ha affermato che, in presenza di una propria sentenza su una data questione interpretativa o che accerti l’invalidità̀ di un atto delle istituzioni europee, il giudice nazionale non è più̀ tenuto a rivolgersi alla Corte stessa, potendo fare affidamento sull’interpretazione o sull’accertamento contenuto in tale sentenza.  La Corte costituzionale ha affermato che il giudice nazionale deve applicare la pronuncia della Corte di giustizia in luogo della legge italiana incompatibile. 3. Ruolo creativo 7 La Corte ha mostrato di sentirsi svincolata da un rispetto delle norme, svolgendo una funzione di evoluzione, di impulso affermando i caratteri propri del diritto dell’Unione Europea.  il ruolo svolto dalla Corte di giustizia è in qualche misura equiparabile a quello del giudice nei sistemi di common law, o del praetor del diritto romano, risolvendosi in una funzione “creativa” del diritto. EMERGE SUL PIANO DELLA “SOVRANITA’ MONETARIA”: L’adozione dell’Euro come moneta unica e, di conseguenza, l’attribuzione alla Banca centrale europea del potere di “battere moneta”, tipica prerogativa sovrana, e della competenza in materia politica monetaria completa, è ulteriore manifestazione del “trasferimento” di poteri sovrani alle Istituzioni Europee. L’ALLARGAMENTO DELL’UNIONE EUROPEA Attualmente il quadro dell’integrazione europea si è arricchito e ampliato. Per quanto riguarda gli Stati membri, da 6 il numero degli Stati appartenenti alle Comunità e all’Unione Europea si è ampliato agli attuali 27 Stati.  Regno Unito, Irlanda e Danimarca (membri dal 1° gennaio 1973);  Grecia (dal 1° gennaio 1981),  Portogallo e Spagna (dal 1° gennaio 1986  Austria, Finlandia e Svezia (dal 1° gennaio 1995)  Cipro, Repubblica ceca, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica slovacca, Slovenia, Ungheria - dal 1° maggio 2004  Bulgaria e Romania, il 1° gennaio 2007. Le differenze che sussistono tra gli Stati preesistenti e quelli nuovi hanno reso necessario introdurre varie misure: 1. clausole di Salvaguardia inserite negli atti di adesione che, a certe condizioni, possono essere usate per evitare di applicare delle disposizioni a nuovi Stati membri. 2. deroghe all’applicazione del diritto dell’Unione per i nuovi Stati sempre previste nell’atto di adesione, tenendo conto delle loro difficoltà ad adeguarsi ai preesistenti standard europei ma anche per tutelare gli interessi degli Stati già membri. 3. Adattamenti delle norme dei Trattati per quanto concerne il funzionamento delle istituzioni. GLI SVILUPPI DELL’UNIONE EUROPEA Dagli anni 80 si è messo in moto il processo che ha condotto all’attuale Unione Europea. 1. sottoscrizione dell’Atto unico europeo, entrato in vigore il 1°luglio del 1987  Faceva seguito ad un progetto di Trattato, approvato dal Parlamento europeo nel 1984, e noto come Trattato Spinelli: stabiliva che il Parlamento e il Consiglio dell’Unione dovessero esercitare congiuntamente il potere legislativo e che una legge potesse essere adottata solo se approvata da entrambi. (mai entrato in vigore) Atto unico europeo (surrogato del trattato), il quale: a) instaurò una cooperazione europea in materia di politica estera, basata sull’informazione reciproca, sulla cooperazione e sul coordinamento tra gli stati; b) diede la possibilità al Consiglio di adottare un atto anche contro la volontà del Parlamento; c) fissò una data precisa (31 dicembre del 1992) entro cui la CEE avrebbe dovuto adottare le misure necessarie per il completamento del mercato interno  attraverso la realizzazione di quattro fondamentali libertà di circolazione: merci, persone, servizi, capitali; d) Istituì nuove politiche europee, quale, ad esempio, la politica di coesione economica e sociale volta a ridurre il divario tra diverse regioni. IL TRATTATO DI MAASTRICHT DEL 1992 E LA NASCITA DELL’UNIONE EUROPEA 10 europea) era in contrasto con la Costituzione e richiedeva una modifica (successivamente attuata) per rafforzare ulteriormente i poteri del Bundestag e del Bundesrat (le due camere del predetto Parlamento). Polonia e repubblica Ceca Ostilità al Trattato di Lisbona è stata a lungo manifestata dalla Polonia e dalla Repubblica ceca, alla quale ultima sono state infine estese le stesse limitazioni degli effetti obbligatori della Carta dei diritti fondamentali già concessi alla Polonia e al Regno Unito con il Protocollo n. 30. Il Trattato di Lisbona è entrato in vigore il 1° dicembre 2009 (anziché il 1° gennaio 2009). I due Trattati: TUE e TFUE A differenza della c.d. Costituzione europea, che unificava in un solo Trattato quello sull'Unione europea e quello sulla Comunità europea, il Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 conserva la separazione in due distinti Trattati: 1. il “Trattato sull’Unione europea” (TUE) ed 2. il "Trattato sul funzionamento dell'Unione europea " (TFUE, già Trattato sulla Comunità europea), in conformità della unificazione dell'Unione e della Comunità europea nella sola Unione europea. Articolo 1.3 TUE L'Unione si fonda sul presente trattato e sul trattato sul funzionamento dell'Unione europea (in appresso denominati «i trattati»). I due trattati hanno lo stesso valore giuridico. L'Unione sostituisce e succede alla Comunità europea. Tale suddivisione risponde in minima parte a una distribuzione razionale e sistematica delle materie disciplinate, ma è in larghissima misura il risultato della preesistente divisione e crea un quadro normativo spesso confuso e disordinato, aggravato dalla presenza di 37 protocolli (con due allegati), nei quali è ulteriormente ripartita la disciplina dell'Unione europea, in quanto, come dichiara l'art. 51 TUE: «I protocolli e gli allegati ai Trattati ne costituiscono parte integrante». Ai Trattati fa seguito una miriade di dichiarazioni, adottate dalla Conferenza intergovernativa o da singoli Stati, di cui si tiene conto, sia pure essenzialmente sul piano interpretativo (salvo contengano "decisioni", obbligatorie, destinate ad entrare in vigore). L’”incorporazione” della Comunità nell’Unione Il Trattato di Lisbona unifica l'Unione europea e la Comunità europea nella sola Unione. In sostituzione dell'art. 281 del Trattato sulla Comunità europea, che riferiva alla Comunità europea la personalità giuridica, il vigente art. 47 TUE dichiara: «L'Unione ha personalità giuridica». L’unificazione, tuttavia, non è piena, “Sopravvive” la CEEA (o Euratom), alla quale il Trattato di Lisbona dedica un Protocollo contenente modifiche al suo Trattato istitutivo, per raccordarlo ai Trattati. L’abolizione della struttura in “tre pilastri” Il Trattato di Lisbona abolisce la struttura in tre pilastri creata dal Trattato di Maastricht del 1992 e modificata, rispetto al terzo pilastro, da quello di Amsterdam del 1997, cioè, si ha una generalizzazione delle regole proprie dell'originario diritto comunitario ("diritto dell'Unione europea"). Tuttavia, la politica estera e di sicurezza comune ( comprendente la politica di sicurezza e di difesa comune ) resta soggetta a proprie regole specifiche ( conte nute essenzialmente nel Trattato sull'Unione europea ), che ne perpetuano il ca rattere marcatamente intergovernativo. 11 L’istituzione del Presidente dell’Unione e dell’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza Riguardo alla struttura organizzativa dell'Unione la novità più rilevante consiste 1. nella istituzione di un Presidente dell'Unione (Cap. V, par. 5), eletto, per un mandato di due anni e mezzo, dal Consiglio europeo, e dell'Alto rappre sentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza (Cap. V, par. 13), avente il doppio incarico di Presidente del Consiglio "Affari esteri" e di vi cepresidente della Commissione . L’incremento della legittimità democratica Molto importante è l'aumento dei poteri del Parlamento europeo sia in materia di bilancio che di adozione degli atti dell'Unione: la codecisione (Cap. VI, par. 6) diviene procedura legislativa ordinaria . La legittimità democratica è inoltre accresciuta dai poteri dei parlamenti nazionali, dal controllo sul rispetto del principio di sussidiarietà e dal diritto dei cittadini europei (in numero di almeno un milione) di invitare la Commissione a presentare una proposta di atto giuridico (Cap. II, par. 4). I diritti fondamentali Sul piano dei diritti fondamentali viene garantito il valore giuridico della Carta di Nizza dei diritti fondamentali. Articolo 6.1 TUE 1. L'Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati. Viene anche inserita una base giuridica per l'adesione dell'Unione alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo. L’integrazione differenziata ed il recesso Agli sviluppi dell'integrazione europea, che si realizzano con il Trattato di Lisbona, fanno riscontro, peraltro, 1. varie clausole di eccezione per alcuni Stati (c.d. opting out), 2. un più agevole ricorso alla cooperazione rafforzata e 3. un'espressa clausola di recesso (Cap II, par. 8) L’aumento delle competenze di attribuzione Talune modifiche riguardano le materie di competenza dell'Unione, che sono accresciute sotto vari aspetti. P.es. lo sport (art. 165 TFUE), una più intensa protezione della salute umana (art. 168 TFUE), la politica spaziale europea (art. 189 TFUE), la politica nel settore dell'energia (art. 194 TFUE), il turismo (art. 195 TFUE). Il superamento dell’ottica economica e mercantile Il Preambolo del TUE mette in luce l'ormai definitivo superamento di un'ottica meramente eco nomica e mercantile della costruzione europea e il tentativo di indirizzare tale costruzione verso obiettivi di più alto respiro, fondati sui "valori" insiti nelle "radici" europee. Ci riferiamo al passaggio nel quale gli Stati parti dichiarano solennemente di ispirarsi «alle eredità culturali, religiose e umanistiche dell'Europa, da cui si sono sviluppati i valori universali dei diritti inviolabili e inalienabili della persona, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza e dello stato di diritto». Legenda per la tabella sottostante: [Fondanti] - [Emendanti] - [Accesso] - [Esterni] 12 Trattato Istituzione/Modifica Firmato a Firmato il Effettivo da Cessazio ne Trattato di Bruxelles Unione dell'Europa Occidentale Bruxelles, BE 17 marzo 1948 23 ottobre 1954 (modif icato) 1º luglio 2011 [1] Trattato CECA Comunità europea del carbone e dell'acciaio Parigi, FR 18 aprile 1951 23 luglio 1952 23 luglio 2002 [2] Trattato CEE Comunità economica europea Roma, IT 25 marzo 1957 1º gennaio 1958 in vigore Trattato Euratom Comunità europea dell'energia atomica Roma, IT 25 marzo 1957 1º gennaio 1958 in vigore Trattato di fusione Unione degli esecutivi di CECA e EURATOM con quelli della CEE Bruxelles, BE 8 aprile 1965 1º luglio 1967 1º maggio 19 99 [3] Primo Trattato Finanziari o Parziali poteri finanziari al Parlamento Lussemburgo , LU 22 aprile 1970 1º gennaio 1971 in vigore Trattato di Adesione del 1972 Allargamento a Danimarca, Irlan da e Regno Unito Bruxelles, BE 22 gennaio 197 2 1º gennaio 1973 in vigore Secondo Trattato Finanziari o Poteri finanziari maggiori al Parlamento. Istituzione della Corte dei conti europea Bruxelles, BE 22 luglio 1975 1º giugno 1977 in vigore Trattato di Adesione del 1979 Allargamento alla Grecia Atene, GR 28 maggio 197 9 1º gennaio 1981 in vigore Trattato della Groenland ia[4] Uscita della Groenlandia Bruxelles, BE 13 marzo 1984 1º gennaio 1985 in vigore Trattato di Adesione del 1985 Allargamento a Spagna e Portogallo Madrid, ES Lisbona, PT 12 giugno 1985 1º gennaio 1986 in vigore Accordi di Schengen Spazio di libera circolazione delle persone Schengen, L U 14 giugno 1985 19 giugno 1990 (conve nzione) 1º maggio 19 99 [5] Atto unico europeo Introdotto il Mercato unico e la Cooperazione politica europea Lussemburgo , LU L'Aia, NL 17 febbraio 198 6 28 1º luglio 1987 in vigore 15 Articolo 26.2 TFUE 2. Il mercato interno comporta uno spazio senza frontiere interne, nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali secondo le disposizioni dei trattati. Si tratta del "nucleo duro" dell’originaria costruzione europea, quel mercato comune con il quale si tendeva ad identificare la comunità europea.  Colpisce l'eliminazione del riferimento a "un regime inteso a garantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato interno", che rappresentava un principio basilare nel Trattato sulla Comunità europea. Merita di esser segnalata l’espressione “economia sociale di mercato”: tende a conciliare  il concetto di mercato, che evoca interessi e utilità individuali,  con quello di interesse e bene comune. In altri termini, si tratta di un modello di economia che, pur continuando a garantire l’utilità individuale, sia orientata, mediante opportuni interventi pubblici, anche verso finalità sociali, quali la piena occupazione e il progresso sociale. in coerenza con il superamento dell'originario disegno europeo in direzione dello sviluppo sociale dell’Unione: Art. 3.3.2 TUE L'Unione combatte l'esclusione sociale e le discriminazioni e promuove la giustizia e la protezione sociali, la parità tra donne e uomini, la solidarietà tra le generazioni e la tutela dei diritti del minore. Politica economica e monetaria Articolo 3.4 TUE 4. L'Unione istituisce un'unione economica e monetaria la cui moneta è l'euro. A tale enunciazione - ma anche all'obiettivo di uno sviluppo sostenibile, basato, tra l'altro, sulla stabilità dei prezzi, di cui al precedente par. 3 - si collega la politica economica e monetaria UE (parte terza, titolo VIII, TFUE), basata sui principi di cui all'art. 119 TFUE, par. 3: "Prezzi stabili, finanze pubbliche e condizioni monetarie sane nonché bilancia dei pagamenti sostenibile". La politica economica è prerogativa degli Stati membri, in coordinamento tra loro e con l’Unione . Articolo 119.1 TFUE 1. Ai fini enunciati all'articolo 3 del trattato sull'Unione europea, l'azione degli Stati membri e dell'Unione comprende, alle condizioni previste dai trattati, l'adozione di una politica economica che è fondata sullo stretto coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri, sul mercato interno e sulla definizione di obiettivi comuni, condotta conformemente al principio di un'economia di mercato aperta e in libera concorrenza. La politica economica è condotta congiuntamente dall'Unione e dagli Stati membri, i quali:  sono tenuti a operare per la realizzazione dei fini dell'art. 3 TUE e nel rispetto dei principi di un'economia di mercato aperto e di libera concorrenza;  devono fondare le loro politiche su uno stretto coordinamento, tra di loro e con l'Unione, la quale emana mediante delibera del Consiglio una raccomandazione (non obbligatoria) recante gli indirizzi di massima per le politiche economiche;  Art. 121 TFUE  meccanismo di sorveglianza multilaterale sul rispetto di tali indirizzi da parte degli stati membri.  sono tenuti ad evitare disavanzi pubblici eccessivi.  Art. 126 TFUE  procedura di sorveglianza da parte dell’Unione che può comportare decisioni obbligatorie o ammende rivolte allo Stato in situazione di disavanzo eccessivo. Il meccanismo di sorveglianza sui parametri stabiliti a livello europeo è stato rafforzato con 1. L’adozione di un nuovo “Patto di Stabilità e Crescita” (c.d. Six Pack): che prevede forme di sorveglianza preventiva, rigorosi controlli e sanzioni, anche finanziarie, semiautomatiche sia nel caso di disavanzi eccessivi che nel caso di superamento di determinati limiti del debito pubblico. 16 2. Ulteriori, stringenti vincoli alle politiche economiche degli Stati appartenenti alla zona euro sono stati fissati con il Trattato di Bruxelles del 2 marzo 2012 sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell’Unione economica e monetaria (c.d. Fiscal Compact), in vigore dal 1° gennaio 2013, il quale, peraltro, non appartiene al diritto dell’Unione europea, essendo un accordo internazionale estraneo al sistema giuridico dell’Unione. La politica monetaria , al contrario, costituisce ormai una competenza esclu siva dell’Unione : Articolo 119.2 TFUE 2. Parallelamente, alle condizioni e secondo le procedure previste dai trattati, questa azione comprende una moneta unica, l'euro, nonché la definizione e la conduzione di una politica monetaria e di una politica del cambio uniche, che abbiano l'obiettivo principale di mantenere la stabilità dei prezzi e, fatto salvo questo obiettivo, di sostenere le politiche economiche generali nell'Unione conformemente al principio di un'economia di mercato aperta e in libera concorrenza. E in maniera inequivocabile l'art. 3, par. 1, lett. c), TFUE dichiara che l'Unione ha competenza esclusiva nella «politica monetaria per gli Stati membri la cui moneta è l'euro ». Gli organi monetari  SEBC Sistema europeo di banche centrali  Banca centrale europea , BCE La politica dei cambi Per la politica dei cambi, anche nei rapporti con Stati terzi, è stabilita la competenza del Consiglio (art. 219 TFUE). L’area Euro La politica monetaria si riferisce solo agli Stati dell'area "euro", restandone esclusi quelli che non soddisfano le condizioni necessarie per l'adozione dell'euro, definiti "Stati membri con deroga" (art. 139 TFUE) (la Svezia e gli Stati entrati nell'Unione dal 1° maggio 2004 in poi, con eccezione della Slovenia, entrata nell'area dell'euro il 1° gennaio 2007, di Cipro e Malta, che hanno adottato l'euro il 1° gennaio 2008, e della Slovacchia, dal 1° gennaio 2009), nonché il Regno Unito e la Danimarca, che hanno esercitato la facoltà di non partecipare alla terza fase dell'Unione economica e monetaria, quella comportante l'introduzione dell'euro, nonché al trasferimento delle decisioni di politica monetaria dagli Stati membri all'Unione (facoltà di opting out). La distinzione tra le misure di politica economica e quelle di politica monetaria non è sempre agevole. La stessa Corte di giustizia ha riconosciuto che gli autori dei Trattati non hanno inteso operare una separazione assoluta tra la politica economica e quella monetaria (sentenza dell’11 dicembre 2018, causa C-493/17, Weiss e altri). Peraltro essa ha affermato che, per stabilire se una misura rientri nell’una o nell’altra politica, «occorre fare riferimento principalmente agli obiettivi della misura stessa. Sono altresì̀ rilevanti i mezzi che tale misura mette in campo per raggiungere detti obiettivi». La Corte ha dichiarato che 1. Alla luce della finalità della politica monetaria, rientrano in essa le misure volte a mantenere la stabilità dei prezzi; 2. Vanno qualificate come misure di politica economica quelle dirette a mantenere la stabilità finanziaria dell’intera zona euro, finalità della suddetta politica economica. Relazioni internazionali L'Unione europea si pone sulla scena internazionale come un soggetto politico (e, nell'ambito delle sue competenze, anche giuridico), non solo a tutela dei propri interessi, ma anche facendosi portatrice di interessi e valori di carattere generale. Articolo 3.5 TUE 17 5. Nelle relazioni con il resto del mondo l'Unione afferma e promuove i suoi valori e interessi, contribuendo alla protezione dei suoi cittadini. Contribuisce alla pace, alla sicurezza, allo sviluppo sostenibile della Terra, alla solidarietà e al rispetto reciproco tra i popoli, al commercio libero ed equo, all'eliminazione della povertà e alla tutela dei diritti umani, in particolare dei diritti del minore, e alla rigorosa osservanza e allo sviluppo del diritto internazionale, in particolare al rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite. L’azione esterna dell’UE L'azione esterna dell'Unione europea riguarda  la politica commerciale,  la cooperazione allo sviluppo,  la cooperazione eco nomica, finanziaria e tecnica con i Paesi terzi ,  l'aiuto umanitario , ma  anche importanti procedimenti, come la conclusione degli accordi internazionali dell'Unione con Stati terzi o altre organizzazioni internazionali,  nonché l'obbligo di coopera zione degli Stati membri, coordinati in seno al Consiglio, nei confronti di uno Stato membro che sia oggetto di un attacco terroristico o vittima di una calamità naturale o provocata dall'uomo: (art. 222 TFUE, c.d. clausola di solidarietà). Si evidenziano il ri spetto del diritto internazionale e dei principi della Carta delle Nazioni Unite . 1. Sotto il primo profilo, l’Unione conferma la sua sottoposizione al diritto internazionale, che è tenuta a rispettare in quanto soggetto di tale ordinamento; 2. Riguardo alla Carta delle Nazioni Unite, la proclamata fedeltà o Non solo implica il rispetto delle sue norme materiale; o Ma acquista rilevanza nel contesto di una dimensione militare: L'Unione europea pone a disposizione delle Nazioni Unite le proprie capacità militari ai fini del mantenimento (e, se del caso, dell'imposizione) della pace. "Disposizioni di applicazione generale" (titolo II della parte prima TFUE) Si tratta di obiettivi trasversali alle diverse politiche e azioni dell'Unione (queste ultime devono tendere a realizzare i seguenti obiettivi), che comprendono:  uguaglianza : l'eliminazione delle ineguaglianze e la promozione della parità tra uomini e donne (art. 8 TFUE);  progresso sociale : la promozione di un elevato livello di occupazione, la protezione sociale, la lotta contro l’esclusione, un elevato livello di istruzione, formazione e tutela della salute umana (art. 9);  non discriminazione : la lotta alle discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale (art. 10);  la tutela dell'ambiente , in particolare nella prospettiva di uno sviluppo sostenibile (art. 11);  la protezione dei consumatori (art. 12).  il benessere degli animali : nell'ambito delle politiche concernenti vari settori (agricoltura, pesca, trasporti, mercato interno, ricerca e sviluppo tecnologico e spazio) l'Unione e gli Stati membri devono tenere conto pienamente delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto "esseri senzienti" (art. 13).  Principi effettivi: CORTE DI GIUSTIZIA, parere 2/15 del 16 maggio 2017: i citati artt. 9, 11, contribuiscono a configurare lo sviluppo sostenibile come parte integrante della politica commerciale comune. Il principio di coerenza tra le attività dell’UE In apertura di tali disposizioni generali, l'art. 7 TFUE prescrive la necessità di coerenza fra le diverse attività dell'Unione, avendo di mira il complesso dei suoi obiettivi: Articolo 7 TFUE L'Unione assicura la coerenza tra le sue varie politiche e azioni, tenendo conto dell'insieme dei suoi obiettivi e conformandosi al principio di attribuzione delle competenze. VALORI FONDANTI DELL’UNIONE EUROPEA 20 PROCEDIMENTI DI CONTROLLO SUL RISPETTO DI TALI VALORI il meccanismo sanzionatorio per violazione grave e persistente dei valori fondanti dell’UE I valori contemplati dall’art. 2 TUE hanno una valenza 1. “esterna”: L’osservanza e la promozione dei suddetti valori è requisito essenziale per l’ammissione all’Unione Articolo 49.1 TUE Ogni Stato europeo che rispetti i valori di cui all'articolo 2 e si impegni a promuoverli può domandare di diventare membro dell'Unione…” . 2. “interna”: L’Unione considera la possibilità che si determini una involuzione in Stati Membri riguardo ai valori enunciati nell’art. 2 Art. 7 TUE Il par. 1 ha istituito una difesa dei valori di cui all’art. 2 mediante una procedura di preallarme, volta a verificare l’esistenza di “un evidente rischio di violazione grave” di tali valori e a prevenire la stessa commissione della violazione: Articolo 7.1 TUE a) Su proposta motivata di un terzo degli Stati membri, del Parlamento europeo o della Commissione europea, il Consiglio, deliberando alla maggioranza dei quattro quinti dei suoi membri previa approvazione del Parlamento europeo, può constatare che esiste un evidente rischio di violazione grave da parte di uno Stato membro dei valori di cui all'articolo 2. b) Prima di procedere a tale constatazione il Consiglio ascolta lo Stato membro in questione e può rivolgergli delle raccomandazioni, deliberando secondo la stessa procedura. c) Il Consiglio verifica regolarmente se i motivi che hanno condotto a tale constatazione permangono validi. Pertanto, il Par. 2 prevede un procedimento di controllo sulla condotta degli Stati membri, che può̀ condurre all’accertamento di una “grave e persistente violazione” dei suddetti valori e, di conseguenza, a sanzioni sospensive di diritti inerenti alla qualità̀ di membro dell’Unione. Articolo 7.2 TUE a) Il Consiglio europeo, deliberando all'unanimità su proposta di un terzo degli Stati membri o della Commissione europea e previa approvazione del Parlamento europeo, può constatare l'esistenza di una violazione grave e persistente da parte di uno Stato membro dei valori di cui all'articolo 2, b) dopo aver invitato tale Stato membro a presentare osservazioni. Alla constatazione della grave e persistente violazione, ai sensi del Par. 3, può seguire la decisione di sanzioni contro lo Stato Membro, consistenti nella “sospensione di alcuni dei diritti derivanti dai Trattati”: Articolo 7.3 TUE a) Qualora sia stata effettuata la constatazione di cui al paragrafo 2, b) il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, può decidere di sospendere alcuni dei diritti derivanti allo Stato membro in questione dall'applicazione dei trattati, compresi i diritti di voto del rappresentante del governo di tale Stato membro in seno al Consiglio. c) Nell'agire in tal senso, il Consiglio tiene conto delle possibili conseguenze di una siffatta sospensione sui diritti e sugli obblighi delle persone fisiche e giuridiche. d) Lo Stato membro in questione continua in ogni caso ad essere vincolato dagli obblighi che gli derivano dai trattati. Le misure possono esser sempre revocate, ai sensi del Par. 4. 21 Articolo 7.4 TUE a) Le misure sanzionatorie possono essere successivamente modificate o revocate dal Consiglio, per rispondere ai cambiamenti della situazione che ha portato alla loro imposizione Il controllo meramente procedurale della Corte di giustizia La procedura di cui all’art. 7 TUE è "garantista" per quanto riguarda il ruolo degli organi "politici" (Consiglio europeo, Consiglio e Parlamento europeo), ma non è soggetta a un adeguato controllo giudiziario. Ex art. 269 TFU, l’unica competenza della Corte di giustizia riguarda i soli aspetti "procedurali" (quali la regolare delibera, o il rispetto del principio del contraddittorio), ma non il merito ed è attivabile solo dallo Stato oggetto della constatazione. Art. 269 TFUE: a) La Corte di giustizia è competente a pronunciarsi sulla legittimità di un atto adottato dal Consiglio europeo o dal Consiglio a norma dell'articolo 7 del trattato sull'Unione europea unicamente su domanda dello Stato membro oggetto di una constatazione del Consiglio europeo o del Consiglio e per quanto concerne il rispetto delle sole prescrizioni di carattere procedurale previste dal suddetto articolo. b) La domanda deve essere formulata entro il termine di un mese a decorrere da detta constatazione. La Corte statuisce entro il termine di un mese a decorrere dalla data della domanda. Dalla sua introduzione con il Trattato di Amsterdam il procedimento in esame non è stato mai applicato. Solo di recente sono state avanzate proposte di constatazione di un rischio evidente di violazione grave dei valori dell’Unione ai sensi dell’art. 7, par. 1, TUE.  20 dicembre 2017  La Commissione è giunta alla conclusione che era chiaro il rischio di grave violazione dello Stato di diritto in Polonia a causa delle riforme giudiziarie adottate da tale Paese e ha chiesto al Consiglio di assumere una decisione in conformità del suddetto art. 7, par. 1.  12 settembre 2018  Il Parlamento Europeo ha assunto analoga posizione con una risoluzione nei confronti dell’Ungheria a seguito di una serie di riforme costituzionali in vigore dal 2012. Entrambe le iniziative non hanno sortito il risultato di una conforme decisione del Consiglio (estrema difficoltà di raggiungere la prescritta maggioranza) Un ulteriore strumento di carattere preventivo è stato predisposto dalla Commissione 11 marzio 2014  essa ha adottato “un nuovo quadro dell’UE per rafforzare lo stato di diritto” che prevede un meccanismo di preallarme in casi di “disfunzione sistemica” dello Stato di diritto, basato su un dialogo con lo Stato membro interessato, al fine di individuare soluzioni. 1. La Commissione trasmette un parere riservato allo Stato Membro nel quale esprime le sue preoccupazioni in merito a una minaccia sistemica allo stato di diritto; 2. La Commissione invia allo Stato una raccomandazione indicando le misure da adottare e il termine entro il quale risolvere il problema; 3. Fase di follow up della raccomandazione: la Commissione controlla il seguito dato alla raccomandazione e valuta se attivare l’art. 7 TUE. Si tratta di una procedura priva di base giuridica, la cui regolarità è stata riconosciuta dalla Corte di Giustizia. Un nuovo strumento di controllo della Corte di giustizia Come è stato visto, Il procedimento di cui all’art. 7 TUE, non è adeguato a sindacare il rispetto dei valori enunciati dall’art. 2 TUE. Sicché la Corte di Giustizia ha affermato la propria competenza in merito all’osservanza di un aspetto di fondamentale importanza dello Stato di diritto, cioè̀ l’indipendenza della magistratura. La Corte ha giustificato tale competenza sulla base dell’ Art. 19, par. 1, 2° comma, TUE «Gli Stati membri stabiliscono i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione». In particolare, I. sentenza del 27 febbraio 2018, causa C-64/16, Associação Sindical dos Juízes Portugueses: 22 La Corte ha sottolineato che l’ambito di applicazione dell’art.19, par.2 riguarda i settori disciplinati dal diritto dell’Unione.  la possibilità che il giudice nazionale interpreti o applichi il diritto dell’Unione comporta che l’organizzazione e la disciplina nazionale della giustizia debbano conformarsi ai precetti di tale diritto, in particolare al principio della indipendenza del giudice, confermato anche dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali. La soggezione al diritto dell’Unione della normativa statale relativa alla giustizia ha per conseguenza che la Corte di Giustizia sia competente a verificare che tale normativa sia rispettosa del suddetto diritto e garantisca l’indipendenza dei giudici nazionali. In concreto, la Corte di giustizia ha emanato alcune sentenze contro la Polonia, giudicando vari aspetti delle riforme della giustizia adottate da tale Stato come lesive della indipendenza dei giudici. Due rese in procedure di infrazione promosse dalla Commissione: II. 24 giugno 2019, causa C-619/18, Commissione c. Polonia, e del 5 novembre 2019, causa C- 192/18, Commissione c. Polonia una terza nell’ambito di una procedura pregiudiziale su rinvio di giudici polacchi, III. 19 novembre 2019, cause C-585/18, C-624/18 e C-625/18, A.K. e altri. Ulteriori procedimenti sono in corso contro la Polonia. La possibilità di sentenze di “condanna” in via giudiziaria della condotta degli Stati membri contraria al valore dello Stato di diritto, espresso dalla indipendenza dei giudici, rappresenti una garanzia efficace del rispetto di tale indipendenza. PRINCIPI DEMOCRATICI Articolo 10.1 e .2 TUE 1. Il funzionamento dell'Unione si fonda sulla democrazia rappresentativa. 2. I cittadini sono direttamente rappresentati, a livello dell'Unione, nel Parlamento europeo. Gli Stati membri sono rappresentati nel Consiglio europeo dai rispettivi capi di Stato o di governo e nel Consiglio dai rispettivi governi, a loro volta democraticamente responsabili dinanzi ai loro parlamenti nazionali o dinanzi ai loro cittadini. La duplice legittimazione democratica dell’UE l'Unione europea è connotata da una duplice legittimazione democratica, in quanto entità "sopranazionale": 1. rappresentanza diretta dei cittadini dell'Unione europea (cioè del "popolo europeo") nel Parlamento europeo, composto dai rappresentanti "dei cittadini dell'Unione", il quale, con il Trattato di Lisbona, acquista - di regola - un potere pari a quello del Consiglio nell'adozione degli atti legislativi (potere di “codecisione”) 2. rappresentanza indiretta dei popoli dei singoli Stati membri nell'ambito del Consiglio europeo e del Consiglio, rispettivamente attraverso i Capi di Stato o di governo ed attraverso i governi, a loro volta democraticamente responsabili verso i parlamenti nazionali (o verso i loro cittadini). I Parlamenti nazionali 1. esercitano nell’Unione europea una rappresentanza in via indiretta, controllando, stimolando e orientando l’azione dei rispettivi governi all’interno delle istituzioni europee; 2. Peraltro svolgono anche una rappresentanza diretta nell'Unione europea nei confronti delle istituzioni europee, ai sensi del Trattato di Lisbona. Si determina così, nell'Unione europea, una ulteriore forma di rappresentanza popolare diretta, ma in chiave nazionale, non sopranazionale, quale si realizza invece nel Parlamento europeo. o Art. 48, par. 7 TUE, in relazione alla procedura legislativa speciale o Art. 5 par. 2 TUE, in relazione al rispetto del principio di sussidiarietà In particolare, l'art. 12 TUE dà una notevole visibilità e peso politico ai parlamenti nazionali: 25 Poi,  è soggetta al controllo giudiziario la comunicazione della Commissione contente la decisione di non intraprendere alcuna azione rispetto a una proposta di ICE registrata Tuttavia, dato l’ampio potere discrezionale della Commissione, il controllo del tribunale deve limitarsi a verificare la sufficienza della motivazione e l’assenza di errori manifesti di valutazione nella decisione della stessa Commissione. Sentenza del 19 dicembre 2019, causa C-418/18 P, Puppinck e altri c. Commissione  La Corte di giustizia ha respinto l’impugnazione e ha confermato che la decisione della commissione di non intraprendere alcuna azione a seguito di una ICE registrata deve costituire l’oggetto di un controllo giurisdizionale limitato, nei termini chiariti dal Tribunale. In relazione al tipo di atto la cui adozione può̀ essere chiesta con una iniziativa dei cittadini europei Sentenza del Tribunale del 10 maggio 2017, Efler e altri c. Commissione  Il Tribunale ha annullato la decisione della Commissione del 10 settembre 2014, che aveva rifiutato la registrazione della proposta di iniziativa “Stop TTIP” (con la quale si invitava la Commissione a raccomandare al Consiglio di annullare la propria autorizzazione alla stessa Commissione ad avviare negoziati con gli Stati Uniti d’America per la conclusione di un accordo di Partenariato transatlantico): “L’obiettivo della partecipazione alla vita democratica dell’Unione perseguito dallo strumento dell’ICE include chiaramente la facoltà di chiedere la modifica di atti giuridici in vigore o la loro revoca, totale o parziale” DIRITTI UMANI tra i valori fondanti dell’Unione europea l’art. 2 TUE prevede il rispetto dei diritti umani, compresi quelli delle persone appartenenti a minoranze. Ai diritti umani (inizialmente introdotti nel diritto UE in via pretoria) è dedicato poi l’intero art. 6 TUE. I l par. 3 (l’ultimo) rappresenta il punto di approdo della evoluzione della giurisprudenza della Corte di giustizia: Articolo 6.3 TUE 3. I diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali. 1. In una prima fase , la Corte di giustizia aveva rifiutato di tenere conto, ai fini della valutazione di legittimità di un atto comunitario, della eventuale violazione dei diritti umani garantiti dalle costituzioni degli Stati membri.  il Trattato CECA, così come i Trattati CEE e CEEA, non conteneva disposizioni volte a garantire che l'azione comunitaria si svolgesse nel rispetto dei diritti umani fondamentali. 2. Successivamente la Corte ha compiuto una decisa svolta (anche a seguito di importanti posizioni assunte dalla giurisprudenza interna, in specie italiana e tedesca), affermando che i diritti umani fondamentali fanno parte del diritto comunitario (dell’Unione Europea), quali suoi autonomi principi generali, informati, peraltro, alle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri e agli accordi internazionali sui diritti umani. sentenza del 17 dicembre 1970, causa 11/70, Internationale Handelsgesellschaft mbH  dopo avere ribadito che la validità̀ degli atti emanati dalle istituzioni europee può̀ essere valutata solo sulla base del diritto comunitario (non dei diritti fondamentali o dei principi di una costituzione nazionale), la Corte dichiara: “«È tuttavia opportuno accertare se non sia stata violata alcuna garanzia analoga, inerente al diritto comunitario [oggi dell’Unione]. La tutela dei diritti fondamentali costituisce infatti parte integrante dei principi giuridici generali di cui la Corte di giustizia garantisce l’osservanza. La salvaguardia di questi 26 diritti, pur essendo informata alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, va garantita entro l’ambito della struttura e delle finalità̀ della Comunità̀ [oggi dell’Unione]». sentenza del 14 maggio 1974, causa 4/73, Nold  Qualche anno dopo la Corte, riaffermando che essa non potrebbe ammettere provvedimenti delle istituzioni incompatibili con i diritti fondamentali riconosciuti e garantiti dalle costituzioni degli Stati membri, ha aggiunto: «I trattati internazionali relativi alla tutela dei diritti dell’uomo, cui gli Stati membri hanno cooperato o aderito, possono del pari fornire elementi di cui oc- corre tenere conto nell’ambito del diritto comunitario [oggi dell’Unione]». 3. L'appartenenza dei diritti fondamentali ai principi generali del diritto dell'Unione obbliga anzitutto le istituzioni europee al loro rispetto, tuttavia determina la loro obbligatorietà anche nei confronti degli Stati membri, purché ci si trovi nelle materie rientranti nell'ambito di competenza del diritto dell'Unione europea. Pertanto, in tale ambito, la Corte è competente ad accertare l'infrazione di uno Stato membro derivante dalla sua condotta in violazione dei diritti fondamentali. sentenza del 18 giugno 1991, causa C-260/89, ERT AE  «la Corte non può sindacare la compatibilità̀ con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo di una normativa nazionale che non rientra nell’ambito del diritto comunitario [oggi dell’Unione]. Per contro, allorché́ una siffatta normativa rientra nel settore di applicazione del diritto comunitario, la Corte [...] deve fornire tutti gli elementi d’interpretazione necessari alla valutazione [...] della conformità di detta normativa con i diritti fondamentali di cui la Corte garantisce il rispetto, tali quali risultano, in particolare, dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo». 4. Il riferimento alle tradizioni costituzionali comuni implica un margine di incertezza se detto riferimento comprenda i diritti contemplati nelle costituzioni di tutti gli Stati membri, di alcuni o, al limite, di uno solo. La Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo La Corte di giustizia, pur ribadendo l’appartenenza dei diritti da essa contemplati al diritto dell’Unione, ha più̀ volte affermato che la Convenzione: «non costituisce, fintantoché́ l’Unione non vi abbia aderito, un atto giuridico formalmente integrato nell’ordinamento giuridico dell’Unione». La Corte di giustizia ha escluso che, in virtù̀ del suddetto richiamo, la Convenzione sia direttamente applicabile all’interno degli Stati membri e sia provvista del “primato” sulle norme nazionali incompatibili, che caratterizza il diritto dell’Unione (direttamente applicabile). sentenza del 24 aprile 2012, causa C-571/10, Kamberaj  a) “Ai sensi dell’art. 6, par. 3, TUE, i diritti fondamentali, così come garantiti dalla CEDU [Convenzione europea dei diritti dell’uomo] e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali. b) Tuttavia, l’art. 6, par. 3, TUE non disciplina il rapporto tra la CEDU e gli ordinamenti giuridici degli Stati membri e nemmeno determina le conseguenze che un giudice nazionale deve trarre nell’ipotesi di conflitto tra i diritti garantiti da tale convenzione ed una norma di diritto nazionale. c) Pertanto [...] il rinvio operato dall’art. 6, par. 3, TUE alla CEDU non impone al giudice nazionale, in caso di conflitto tra una norma di diritto nazionale e detta convenzione, di applicare direttamente le disposizioni di quest’ultima, disapplicando la norma di diritto nazionale in contrasto con essa». Tale affermazione non sembra con vincente  nella misura in cui i diritti riconosciuti dalla Convenzione europea vengano in rilievo in materie appartenenti al diritto dell’Unione, in quanto principi generali dello stesso diritto dell’Unione, appaiono suscettibili di condividere il primato di cui gode tale diritto nei rapporti con quello degli Stati membri. 27 L’adesione alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) Articolo 6.2 TUE L'Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Tale adesione non modifica le competenze dell'Unione definite nei trattati. Quanto alla procedura della futura adesione, l'art. 218, paragrafi 6 e 8, TFUE dispone che l'accordo di adesione richiede a) una decisione unanime del Consiglio, b) previa approvazione del Parlamento europeo , e c) che tale decisione entra in vigore solo a seguito di approvazione degli Stati membri, conformemente alle rispettive norme costituzionali. Malgrado il valore giuridico che i diritti contemplati dalla Convenzione europea già rivestono nel diritto dell'Unione in virtù del richiamo operato dall'art. 6, par. 3, TUE, l'adesione dell'Unione alla Convenzione rappresenta un progresso di notevole portata,  in quanto comporterà la sottoposizione dell’Unione al controllo della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, in relazione agli atti lesivi dei diritti in argomento. (aspetto più garantista e qualificante dei diritti Umani della convenzione. L'adesione dell'Unione alla Convenzione europea implica numerosi problemi tecnici, alla cui soluzione dovrà provvedere l'accordo di adesione e per i quali gli obiettivi da perseguire sono delineati nel Protocollo n. 8 al Trattato di Lisbona.  problemi relativi alla rappresentanza dell'Unione negli organi di controllo della Convenzione europea,  problemi relativi ai rapporti tra l'Unione e gli Stati membri quali destinatari di ricorsi per violazioni,  problemi relativi alla posizione di Stati membri che non abbiano ratificato taluni protocolli alla Convenzione europea, o abbiano adottato misure di deroga alla Convenzione ai sensi del suo art. 15, o abbiano formulato riserve. parere 2/13 del 18 dicembre 2014 della Corte di giustizia sulla compatibilità̀ con i Trattati dell’Unione: La Commissione ha chiesto alla Corte di giustizia un parere sulla compatibilità̀ di tale progetto con i Trattati dell’Unione, in conformità dell’art. 218, par. 11, TFUE che prevede che, in caso di parere negativo, l’accordo in questione non può entrare in vigore, a meno che non sia modificato (per renderlo conforme ai Trattati) o non siano modificati gli stessi Trattati (così da eliminare l’incompatibilità). la Corte di giustizia ha dichiarato che il progetto di accordo di adesione è incompatibile sotto molteplici profili con i Trattati, in estrema sintesi è suscettibile di pregiudicare le caratteristiche specifiche dell’Unione e del diritto dell’Unione, nonché l’autonomia di tale diritto. La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e ambito di applicazione Articolo 6.1 TUE 1. L'Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati. Le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze dell'Unione definite nei trattati. I diritti, le libertà e i principi della Carta sono interpretati in conformità delle disposizioni generali del titolo VII della Carta che disciplinano la sua interpretazione e applicazione e tenendo in debito conto le spiegazioni cui si fa riferimento nella Carta, che indicano le fonti di tali disposizioni. L’ interpretazione e l’applicazione della Carta dei diritti fondamentali hanno luogo in conformità del titolo VII della Carta (articoli 51-54). La Carta non determina  alcun ampliamento delle competenze dell’Unione (articoli 6, par. 1, 2° comma, TUE)  né degli obblighi degli Stati membri. 30 b) la Corte di giustizia non ha accolto la tesi secondo la quale, in caso di normative divergenti, dovrebbe darsi la preferenza a quella più̀ protettiva dei diritti umani. Art. 53 della Carta «Nessuna disposizione della presente Carta deve essere interpretata come limitativa o lesiva dei diritti dell’uomo e delle libertà̀ fondamentali riconosciuti, nel rispettivo ambito di applicazione, dal diritto dell’Unione, dal diritto internazionale, dalle convenzioni internazionali delle quali l’Unione o tutti gli Stati membri sono parti, in particolare dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà̀ fondamentali, e dalle costituzioni degli Stati membri». Sentenza 26 febbraio 2013, Melloni  “L’interpretazione secondo cui l’art. 53 autorizzerebbe uno Stato membro ad applicare lo standard di protezione dei diritti fondamentali garantito dalla sua Costituzione quando questo è più elevato di quello derivante dalla Carta e ad opporlo all’applicazioni di disposizioni di diritto dell’Unione […] sarebbe lesiva del primato del diritto dell’Unione; è vero che l’art. 53 conferma che, quando un atto di diritto dell’Unione richiede misure nazionali di attuazione, resta consentito alle autorità e ai giudici nazionali applicare gli standard nazionali di tutela dei diritti fondamentali, a patto che tale applicazione non comprometta il livello di tutela previsto dalla Carta né il primato, l’unità e l’effettività del diritto dell’Unione” anche nei confronti della Convenzione europea dei diritti dell’uomo le “spiegazioni” relative al ricordato art. 52, par. 3 della Carta, pur dichiarando che tale disposizione intende assicurare la necessaria coerenza tra Carta e Convenzione Europea anche per quanto concerne le limitazioni dei diritti, aggiungono: “senza che ciò pregiudichi l’autonomia del diritto dell’Unione e della Corte di giustizia”. RISCHIO: Questa precisazione può esser letta come suscettibile di consentire limitazioni ai diritti più stringenti di quelle consentite dalla Convenzione europea, se necessarie a salvaguardare il diritto dell’unione.  Possibile configurazione della Carta come strumento non di elevazione, ma di abbassamento della tutela dei diritti umani. 31 PROCEDIMENTI DI REVISIONE DEI TRATTATI I Trattati possono essere modificati attraverso una procedura di revisione ordinaria e mediante procedure di revisione semplificate. 6.1 Procedura di revisione ordinaria La procedura di revisione ordinaria è prevista all’Articolo 48.2 TUE 2. Il governo di qualsiasi Stato membro, il Parlamento europeo o la Commissione possono sottoporre al Consiglio progetti intesi a modificare i trattati. Tali progetti possono, tra l'altro, essere intesi ad accrescere o a ridurre le competenze attribuite all'Unione nei trattati ( novità inquietante ) . Tali progetti sono trasmessi dal Consiglio al Consiglio europeo e notificati ai parlamenti nazionali. La possibilità di ridurre le competenze dell’Unione segna un'inversione di tendenza, in quanto prima del Trattato di Lisbona eventuali modifiche dei Trattati non potevano determinare la riduzione delle competenze dell'Unione. Tale concezione era consacrata formalmente nell'art. 2 TUE (nel testo anteriore al Trattato di Lisbona): Art. 2 TUE ante Trattato di Lisbona: Mantenere integralmente l'acquis 2 comunitario e svilupparlo al fine di valutare in quale misura si renda necessario rivedere le politiche e le forme di cooperazione instaurate dal presente Trattato allo scopo di garantire l'efficacia dei meccanismi e delle istituzioni comunitarie.  L’azione dell’Unione non poteva in alcun caso pregiudicare o rimettere in discussione quanto conseguito, ma doveva tendere all’approfondimento e al progresso delle realizzazioni dell’Unione. Articolo 48.3 TUE 3. Qualora il Consiglio europeo, previa consultazione del Parlamento europeo e della Commissione, adotti a maggioranza semplice una decisione favorevole all'esame delle modifiche proposte, il presidente del Consiglio europeo convoca una convenzione composta da rappresentanti dei parlamenti nazionali, dei capi di Stato o di governo degli Stati membri, del Parlamento europeo e della Commissione. In caso di modifiche istituzionali nel settore monetario, è consultata anche la Banca centrale europea. La convenzione esamina i progetti di modifica e adotta per consenso una raccomandazione a una conferenza dei (soli) rappresentanti dei governi degli Stati membri (che adotta il testo “di comune accordo”, ossia all’unanimità) quale prevista al paragrafo 4. Articolo 48.3.2 TUE Il Consiglio europeo può decidere a maggioranza semplice, previa approvazione del Parlamento europeo, di non convocare una convenzione qualora l'entità delle modifiche non lo giustifichi. In questo caso, il Consiglio europeo definisce il mandato per una conferenza dei rappresentanti dei governi degli Stati membri . Articolo 48.4.2 TUE Le modifiche entrano in vigore dopo essere state ratificate da tutti gli Stati membri conformemente alle rispettive norme costituzionali. 6.2 Procedure di revisione semplificate L’Art. 48.6 e 7 TUE prevede due distinte procedure di revisione semplificata. a) Modifiche della parte III del TFUE (politiche e azioni interne dell’UE) Art. 48.6 TUE 6. Il governo di qualsiasi Stato membro, il Parlamento europeo o la Commissione possono sottoporre (direttamente, senza passare per il Consiglio) al Consiglio europeo progetti intesi a modificare in tutto o in parte le disposizioni della parte terza del trattato sul funzionamento dell'Unione europea relative alle politiche e azioni interne dell'Unione. 2 il complesso delle realizzazioni, dei risultati acquisiti nell'ambito comunitario, cioè, anzitutto, l'insieme del diritto derivato della Comunità europea. 32 Il Consiglio europeo può adottare una decisione che modifica in tutto o in parte le disposizioni della parte terza del trattato sul funzionamento dell'Unione europea. Il Consiglio europeo delibera all'unanimità previa consultazione del Parlamento europeo, della Commissione e, in caso di modifiche istituzionali nel settore monetario, della Banca centrale europea. Tale decisione entra in vigore solo previa approvazione degli Stati membri conformemente alle rispettive norme costituzionali. La decisione di cui al secondo comma non può estendere le competenze attribuite all'Unione nei trattati. Le clausole passerella Art. 48.7 TUE (c.d. “clausole passerella”) Per estendere il campo di applicazione del voto a maggioranza qualificata e della procedura legislativa ordinaria ai casi in cui è previsto dai Trattati il ricorso all'unanimità o ad una procedura legislativa speciale, l’art. 48.7 prevede due “clausole passerella” generali: 1. il Consiglio europeo può adottare una decisione che consenta al Consiglio di deliberare a maggioranza qualificata in un settore o caso in cui il TFUE preveda che il Consiglio deliberi all’unanimità (sono escluse le decisioni che abbiano implicazioni militari o che rientrano nel settore della difesa). 2. il Consiglio europeo può adottare una decisione che consenta al Consiglio di applicare la procedura legislativa ordinaria per l'adozione di atti per i quali il TFUE richieda la procedura legislativa speciale. Le suddette decisioni del Consiglio europeo, che delibera all'unanimità previa approvazione del Parlamento europeo, il quale si pronuncia a maggioranza dei membri che lo compongono, sono trasmesse ai parlamenti nazionali e non possono essere adottate in caso di opposizione di un parlamento nazionale notificata entro sei mesi dalla data di tale trasmissione. Oltre alle suddette procedure di revisione, specifiche disposizioni dei Trattati prevedono, per determinati casi, ulteriori procedure semplificate di revisione e, talvolta, procedure di "revisione delegata", che consistono nell'attribuzione alle istituzioni europee del potere di adottare atti diretti a integrare o sviluppare il contenuto di particolari disposizioni.  Articolo 25.2 TFUE …il Consiglio, deliberando all'unanimità secondo una procedura legislativa speciale e previa approvazione del Parlamento europeo, può adottare disposizioni intese a completare i diritti elencati all'articolo 20, paragrafo 2 (appartenenti ai cittadini dell'Unione). Tali disposizioni entrano in vigore previa approvazione degli Stati membri, conformemente alle rispettive norme costituzionali. Analoghi esempi sono contenuti  nell'art. 223, par. 1, 2° comma, TFUE, relativo all'elezione a suffragio universale diretto del Parlamento europeo secondo una procedura uniforme o secondo principi comuni a tutti gli Stati membri, e  nell'art. 311,3° comma, TFUE, concernente il sistema di risorse proprie dell'Unione. Anche in questi casi è necessaria la previa approvazione degli Stati membri. Procedure di revisione delegate 1. Articolo 281 TFUE Lo statuto della Corte di giustizia dell'Unione europea è stabilito con un protocollo separato. Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, possono modificare le disposizioni dello statuto, ad eccezione del titolo I e dell'articolo 64. Il Parlamento europeo e il Consiglio deliberano su richiesta della Corte di giustizia e previa consultazione della Commissione o su proposta della Commissione e previa consultazione della Corte di giustizia. 2. Gli emendamenti a molteplici articoli dello Statuto (contenuto in un protocollo) del Sistema europeo di banche centrali (SEBC) sono adottabili, in base all'art. 129, par. 3, TFUE, mediante un procedimento interamente europeo, cioè senza alcuna approvazione o analogo atto degli Stati membri. Al tema della revisione semplificata si lega anche 35 6. D'intesa con lo Stato membro interessato, il Consiglio Europeo può decidere all'unanimità di prorogare tale termine. Da ciò deriva che il recesso può avere effetto anche senza che l'Unione abbia espresso il suo consenso mediante l’accordo in argomento, ove quest’ultimo, per qualsiasi motivo, non sia concluso entro il termine prescritto, originario o prorogato. Un recesso di innegabile peso è quello notificato il 29 Marco 2017 dal Regno Unito. La data di efficacia del recesso, più volte prorogata, è quella del 1° febbraio 2020. Fino a tale data il Regno Unito continuava a far parte dell’Unione Europea, con tutti i diritti e gli obblighi di uno stato membro. QUESTIONE: Il regno Unito, dopo una notifica ex art. 50 TUE, può decidere di revocare in via unilaterale la propria notifica di recesso? Di fronte al testo dell’articolo ci pare difficilmente sostenibile. Tuttavia, la Corte di Giustizia ha affermato: Sent. Wightman e altri  “l’art. 50 TUE persegue un duplice obiettivo, da un lato, sancire il diritto sovrano degli Stati Membri di recedere dall’Unione e, dall’altro, istituire una procedura intesa a consentire che tale recesso si svolga in modo ordinato […]” “il carattere sovrano del diritto di recesso depone a favore dell’esistenza del diritto dello Stato Membro interessato di revocare la notifica della sua intenzione di recedere dall’Unione” Quindi: lo Stato può revocare unilateralmente la notifica, finché non sia entrato in vigore un accordo di recesso con l’Unione o non sia scaduto il termine di due anni previsto dall’art. 50, eventualmente prorogato. La revoca deve essere univoca e incondizionata e fatta mediante comunicazione scritta al Consiglio Europeo. Secondo Giuliano Amato, che ne fu il proponente, l’art. 50 del TUE “… fu scritto e voluto più come deterrente, che come norma destinata ad essere effettivamente applicata. Per anni la strategia ostruzionistica e di logoramento degli euroscettici di stampo britannico si era avvalsa dell'argomento «ci dite che l'appartenenza all'Unione è irreversibile, siamo dunque costretti a stare insieme e allora non potete imporci questo, non potete negarci quest'altro» e così via tirando permanentemente la corda. Bene, dice ora l'art. 50, qui nessuno è tenuto a rimanere per forza e se ciò che per tutti gli altri va bene non va bene invece per qualcuno, la porta è lì e quel qualcuno può accomodarsi. Il vecchio ricatto, insomma, non è più possibile”. Un'affermazione che lascia di stucco, soprattutto considerando che Amato, per sua propria ammissione, di quello stesso articolo è autore. "La mia intenzione – ha spiegato oggi – era che ci fosse una valvola di sicurezza, ma che non fosse mai usata. È come avere un estintore che non dovrebbe mai essere utilizzato. Invece è scoppiato un incendio", ha spiegato, aggiungendo che la clausola di uscita era stata inserita appositamente per rassicurare il Regno Unito. L'ex premier ha poi confessato di avere una "assurda speranza" per il futuro: quella cioè che i futuri governanti britannici possano tornare sulle scelte dei propri concittadini. "Più comprenderanno che stanno perdendo, più ci sarà una possibilità che nel 2020 (quando ci saranno le elezioni politiche, ndr) qualcuno farà qualcosa", ha dichiarato. Le sue parole hanno causato grandissimo stupore nel Regno Unito, dove la stampa sottolinea come Amato abbia rimarcato la necessità di "non concedere alla Gran Bretagna la possibilità di pensare che il Brexit possa essere solo un modo migliore di fare ciò che ha sempre fatto: prendere dell'Europa quello che piace e rifiutare quello che non piace." Parole dure, che però non riescono a nascondere una segreta speranza. Che la scelta dei britannici di divorziare da Bruxelles possa non essere definitiva. Anche in barba a quelle 36 CAPITOLO III I PRINCIPI DELIMITATIVI TRA LE COMPETENZE DELL’UNIONE EUROPEA E QUELLE DEGLI STATI MEMBRI LE COMPETENZE DI ATTRIBUZIONE Alcuni principi segnano lo “spartiacque” tra le competenze delle istituzioni europee e quelle degli Stati membri, riguardo sia alla loro delimitazione sia al loro esercizio. Il principio di attribuzione Articolo 5.2 TUE 2. In virtù del principio di attribuzione, l'Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei trattati per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti. Qualsiasi competenza non attribuita all'Unione nei trattati appartiene agli Stati membri. Tale principio è esteso alle istituzioni dell'Unione dall’Articolo 13.2 TUE 2. Ciascuna istituzione agisce nei limiti delle attribuzioni che le sono conferite dai trattati, secondo le procedure, condizioni e finalità da essi previste. Le istituzioni attuano tra loro una leale cooperazione. Il principio delle competenze di attribuzione significa che l'Unione dispone esclusivamente di quelle funzioni e di quei poteri che gli Stati membri, volonta riamente, hanno convenuto di attribuirle mediante i Trattati istitutivi, ogni altra competenza resta in mano agli Stati. Contrariamente a quanto accade per gli Stati, i poteri dell’UE non sono "originari", bensì derivati, il che testimonia l’assenza di un intento federalistico, nell'attuale sistema europeo, confermata dall' Articolo 4.1 e 2 TUE: 1. In conformità dell'articolo 5, qualsiasi competenza non attribuita all'Unione nei trattati appartiene agli Stati membri. 2. L'Unione rispetta l'uguaglianza degli Stati membri davanti ai trattati e la loro identità nazionale insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale, compreso il sistema delle autonomie locali e regionali… 1. Intento politico e giuridico di salvaguardia della sovranità degli Stati membri: La norma prosegue facendo esplicito riferimento alla necessità che l'Unione rispetti le funzioni essenziali dello Stato relative all'integrità territoriale, all'ordine pubblico, alla sicurezza nazionale, dichiarata, in particolare, di esclusiva competenza di ciascuno Stato membro. 2. Esigenza di preservare le “specificità di ciascuno Stato”, le quali non vanno annullate in nome di una ipotetica “omologazione” Il riferimento all'identità nazionale degli Stati membri va oltre i profili della sovranità e della costituzione dello Stato e vuole evitare il rischio dell’imposizione dei modelli degli Stati più forti (da un punto di vista economico, politico, linguistico) sugli altri. Tale visione dell’identità culturale è confermata dall0 Articolo 3.3.4 TUE Essa rispetta la ricchezza della sua diversità culturale e linguistica e vigila sulla salvaguardia e sullo sviluppo del patrimonio culturale europeo. In maniera particolarmente espressiva l’immagine di Europa che nasce dal reciproco arricchimento delle differenti identità nazionali emergeva dal motto adottato dalla Costituzione Europea (art. 1 – 8): “il motto dell’Unione è: Unita nella diversità” Rispetto dell’Identità nazionale 37 il rispetto dell’identità nazionale degli Stati membri, sancito nel citato art. 4, par. 2, TUE, ha trovato esplicita applicazione nella giurisprudenza della Corte di giustizia. Sentenza del 22 dicembre 2010, Sayn-Wittgenstein, con riferimento a una legge austriaca di valore costituzionale che dispone l’abolizione dei titoli nobiliari e che, nella specie, comportava una restrizione alla libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea, la Corte ha affermato che tale legge, considerata quale elemento dell’identità̀ nazionale di tale Paese, poteva giustificare una siffatta restrizione. La Corte ha statuito: «occorre riconoscere che, nel contesto della storia costituzionale austriaca, la legge sull’abolizione della nobiltà può, in quanto elemento dell’identità nazionale, entrare in linea di conto nel bilanciamento di legittimi interessi con il diritto di libera circolazione delle persone riconosciuto dalle norme dell’Unione» e che «non è indispensabile che la misura restrittiva adottata dalle autorità di uno Stato membro corrisponda a una concezione condivisa da tutti gli Stati membri relativamente alle modalità di tutela del diritto fondamentale o del legittimo interesse in questione e che, anzi, la necessità e la proporzionalità delle disposizioni adottate in materia non sono escluse per il solo fatto che uno Stato membro abbia scelto un regime di tutela diverso da quello adottato da un altro Stato membro» Rispetto del sistema delle autonomie locali Con particolare riguardo al sistema delle autonomie locali e regionali, richiamato nel quadro del rispetto dell’identità̀ nazionale degli Stati membri, la Corte ha affermato che, nell’applicazione del diritto dell’Unione, sentenza del 12 giugno 2014, causa C-156/13, Digibet Ltd e Gert Albers  in uno Stato come la Repubblica federale di Germania, il legislatore può ritenere che, nell’interesse di tutte le persone coinvolte, spetti ai Lander piuttosto che alle autorità̀ federali adottare determinate misure legislative [...]. Nel caso di specie, la ripartizione delle competenze tra i Lander non può̀ essere messa in discussione, in quanto essa ricade nell’ambito della tutela conferita dall’art. 4, par. 2, TUE, che obbliga l’Unione a rispettare l’identità̀ nazionale degli Stati membri insita nella loro struttura fondamentale, politica e istituzionale, compreso il sistema delle autonomie locali e regionali” Il regime sanzionatorio per la violazione del principio di attribuzione (c.d. vizio di incompetenza) Il rispetto del principio di attribuzione è giuridicamente sanzionato, in quanto gli atti (illegittimi) viziati da incompetenza sono soggetti a dichiarazione di nullità da parte dei giudici dell'Unione. La Corte di giustizia ha più volte ribadito che le competenze della Comunità – oggi diventata Unione – sono soltanto quelle attribuite dalle disposizioni dei Trattati e non possono spingersi oltre l'ambito da esse risultanti.  parere 2/94 del 28 marzo 1996 sull’adesione della Comunità europea alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo la Corte ha dichiarato che la Comunità non aveva la competenza per aderire a questa Convenzione sulla base delle seguenti considerazioni: «Dall’art. 3 B [oggi 5 TUE], a termini del quale la Comunità [oggi Unione] agisce nei limiti delle competenze che le sono conferite e degli obiettivi che le sono assegnati dal Trattato, emerge che essa disponga unicamente di poteri attribuiti. Il rispetto di detto principio dei poteri attribuiti vale per quanto riguarda l’operato sia interno che internazionale della Comunità [...]. Si deve rilevare che nessuna disposizione del Trattato attribuisce alle istituzioni comunitarie [oggi dell’Unione], in termini generali, il potere di dettare norme in materia di diritti dell’uomo o di concludere convenzioni internazionali in tale settore».  sentenza del 5 ottobre 2000, causa C-376/98, Germania c. Parlamento e Consiglio, la Corte ha annullato una direttiva del 6 luglio 1998 sul ravvicinamento delle disposizioni degli Stati membri in materia di pubblicità e di sponsorizzazione a favore dei prodotti del tabacco, in quanto “le misure di cui all'art. 100 A, n. 1, del Trattato sono destinate a migliorare le condizioni di instaurazione e di funzionamento del mercato interno. Interpre tare tale articolo nel senso che attribuisca al legislatore 40 LE COMPETENZE “SUSSIDIARIE” Il principio, delle competenze di attribuzione è ridimensionato dalla possibilità, espressamente prevista dall'art. 352 TFUE, di conferire nuovi poteri, detti "competenze sussidiarie", all'Unione senza una formale modifica dei Trattati. Tale articolo, contenente la c.d. clausola di flessibilità, dichiara al par. 1: Articolo 352.1 TFUE 1. Se un’azione dell’Unione appare necessaria, nel quadro delle politiche definite dai trattati, per realizzare uno degli obiettivi di cui ai trattati senza che questi ultimi abbiano previsto i poteri di azione richiesti a tal fine, il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo, adotta le disposizioni appropriate. Allorché adotta le disposizioni in questione secondo una procedura legislativa speciale, il Consiglio delibera altresì all’unanimità su proposta della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo. Il procedimento si articola in: 1. proposta della Commissione; 2. approvazione del Parlamento e, principalmente, 3. Il voto unanime del Consiglio (consenso di tutti gli Stati membri). Anche nel caso di procedure legislative speciali, l'attribuzione di poteri aggiuntivi all'Unione richiede la proposta della Commissione, l'approvazione del Parlamento europeo e il voto unanime nel Consiglio. L'ipotesi prevista dall'art. 352 è che un determinato scopo rientri già nella competenza dell'Unione ("nel quadro delle politiche definite nei Trattati"), ma che quest'ultima non sia stata provvista dai Trattati dei poteri d'azione necessari per realizzarlo. Non sarebbe possibile, pertanto, estendere la portata dei Trattati, ampliando le stesse materie rientranti nel loro ambito. La Corte di giustizia, nel citato parere 2/94 del 28 marzo 1996, ha affermato, riguardo al precedente art. 308 del Trattato sulla Comunità europea: «Tale disposizione, costituendo parte integrante di un ordinamento istituzionale basato sul principio dei poteri attribuiti, non può costituire il fondamento per ampliare la sfera dei poteri della Comunità al di là dell'ambito generale risultante dal complesso delle disposizioni del Trattato, ed in particolare di quelle che definiscono i compiti e le azioni della Comunità. Essa non può essere in ogni caso utilizzata quale base per l'adozione di disposizioni che condurrebbero sostanzialmente, con riguardo alle loro conseguenze, a una modifica del Trattato che sfugge alla procedura all'uopo prevista nel Trattato medesimo».  Inoltre, le misure fondate su tale articolo non possono comportare un’armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri nei casi in cui i Trattati la escludano. Competenze sussidiarie escluse Il ricorso alla procedura dell'articolo in esame è del tutto escluso in materia di politica estera e di sicurezza comune. Dichiara, infatti, il par. 4: Articolo 352.4 TFUE «Il presente articolo non può servire di base per il conseguimento di obiettivi riguardanti la politica estera e di sicurezza comune e qualsiasi atto adottato a norma del presente articolo rispetta i limiti previsti nell'articolo 40, secondo comma, del Trattato sull'Unione europea». La Dichiarazione n. 41, allegata al Trattato di Lisbona, prevede che l'articolo in esame può essere applicato solo per perseguire gli obiettivi indicati dall'art. 3, paragrafi 2, 3 e 5, TUE e ne restano esclusi, quindi, l'obiettivo di promozione della pace, dei valori dell'Unione e del benessere dei suoi popoli (par. 1), l'unione economica e monetaria (par. 4) e (in conformità dell'art. 352, par. 4) la PESC. Sebbene le dichiarazioni non abbiano valore obbligatorio, ma solo interpretativo, non sarebbe certo difficile, da parte di un qualsiasi Stato membro, invocare la Dichiarazione n. 41 per giustificare un proprio voto contrario, così precludendo l'unanimità nel Consiglio richiesta dall'art. 352, par. 1. 41 Condizioni Nella prassi anteriore al Trattato di Lisbona il corrispondente art. 308 del Trattato sulla Comunità europea è stato applicato centinaia di volte, mentre le limitazioni previste nel testo attuale – voto unanime dei ventisette Stati membri presenti nel Consiglio – inducono a prevedere un uso più ridotto della "clausola di flessibilità". Le " disposizioni appropriate " che l'art. 352 consente di adottare comprendono ogni tipo di atto che le istituzioni europee ritengano opportuno, siano essi atti normativi "tipici", contemplati dall'art. 288 TFUE (Cap. VII, par. 9 ss.), oppure atti "atipici" di altra natura. Il procedimento volto a conferire nuovi poteri all'Unione resta soggetto al rispetto dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità  sia per la possibilità di intervento dell'Unione,  sia per i tipi di atti adottabili (acché siano il meno intrusivi possibili). Per quanto concerne il rispetto della sussidiarietà, in particolare, la Commissione, ai sensi dell'art. 352, par. 2, è tenuta a richiamare l'attenzione dei parlamenti nazionali sulle proprie proposte, al fine di sollecitare i poteri di controllo che al riguardo competono a ta0 .li parlamenti (oltre, par. 5). I C.D. POTERI IMPLICITI La teoria dei poteri impliciti, ulteriore limite alle competenze di attribuzione, è stata elaborata dalla Corte suprema statunitense, con l'obiettivo di rafforzare e ampliare le competenze dello Stato federale, e ripresa dalla Corte internazionale di giustizia per estendere i poteri delle Nazioni Unite.  Secondo tale teoria, l'Unione europea (come, in generale, un'organizzazione internazionale) deve ritenersi provvista non solo dei poteri ad essa conferiti espressamente dai Trattati istitutivi (poteri espliciti), ma anche dei poteri (impliciti), pur non menzionati dai Trattati, che siano funzionali ai poteri espliciti. Una versione più avanzata di tale della teoria prevede che i poteri impliciti possano essere ricavati direttamente dagli scopi (vasti e generici) dei Trattati. P. es., la Corte ha affermato la competenza generale della Comunità a concludere accordi in qualsiasi materia per la quale avesse il potere di emanare norme comuni all'in terno della Comunità . In un caso successivo (sentenza del 9 luglio 1987, cause 281, 283-285 e 287/85, Germania e altri c. Commissione), la Corte ha dichiarato che la Commissione aveva il potere di adottare una decisione vincolante, con la quale istituiva una procedura di comunicazione preliminare e di concertazione sulle politiche migratorie nei confronti degli Stati terzi: «… quando un articolo del Trattato CEE, nella fattispecie l'art. 118, affida alla Commissione un compito preciso, si deve ammettere, se non si vuole privare di qualsiasi efficacia detta disposizione, che esso le attribuisce, per ciò stesso, necessariamente i poteri indispensabili per svolgere detta missione». LE CATEGORIE DI COMPETENZE DELL’UE Le tre categorie di competenze: 1. esclusive; 2. concorrenti; 3. di sostegno, coordinamento o espletamento dell'azione degli Stati membri. Una posizione a sé stante occupa la PESC (art. 2, par. 4, TFUE), fondata essenzialmente su metodi e atti di carattere intergovernativo e nella quale, pertanto, i principali protagonisti restano gli Stati membri. Inoltre, riguardo alla materia economica e a quella occupazionale, sono gli Stati membri che coordinano le loro politiche, sebbene nell'ambito dell'Unione, alla quale compete la definizione delle modalità di coordinamento, in conformità del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (art. 2, par. 3), in particolare, spetta all’Unione l'adozione di indirizzi di massima per il coordinamento delle politiche economiche e di orientamento per le politiche occupazionali, nonché di iniziative per il coordinamento delle politiche sociali (art. 5 TFUE) 42 1. Competenze esclusive Articolo 2.1 TFUE 1. Quando i trattati attribuiscono all'Unione una competenza esclusiva in un determinato settore, solo l'Unione può legiferare e adottare atti giuridicamente vincolanti. Gli Stati membri possono farlo autonomamente solo se autorizzati dall'Unione oppure per dare attuazione agli atti dell'Unione. Ai sensi dell'art. 3, par. 1, TFUE, il quale "codifica" in larga parte la giurisprudenza della Corte di giustizia, le materie di competenza esclusiva sono: a) l'unione doganale; b) le regole di concorrenza necessarie al funzionamento del mercato interno; c) la politica monetaria per gli Stati membri la cui moneta e l'euro; d) la conservazione delle risorse biologiche del mare nel quadro della politica comune della pesca; e) la politica commerciale comune. A tali materie il par. 2 aggiunge la conclusione di accordi internazionali, a determinate condizioni, che è preferibile esaminare nel quadro della disciplina sulla conclusione di tali accordi da parte dell'Unione (Cap. VI, par. 9). Tali ipotesi di competenza esclusiva vanno considerate di carattere tassativo, per cui ulteriori materie potrebbero essere stabilite solo modificando i Trattati. 2. Competenze concorrenti Articolo 2.2 TFUE 2. Quando i trattati attribuiscono all'Unione una competenza concorrente con quella degli Stati membri in un determinato settore, l'Unione e gli Stati membri possono legiferare e adottare atti giuridicamente vincolanti in tale settore. Gli Stati membri esercitano la loro competenza nella misura in cui l'Unione non ha esercitato la propria. Gli Stati membri esercitano nuovamente la loro competenza nella misura in cui l'Unione ha deciso di cessare di esercitare la propria. il potere di adottare atti giuridicamente obbligatori appartiene, di regola, sia alle istituzioni europee che agli Stati membri, questi ultimi possono esercitare la propria competenza solo quando 1. l'Unione non abbia esercitato i suoi poteri, oppure 2. quando abbia deciso di abrogare un proprio atto, per esempio, per assicurare il rispetto dei principi di sussidiarietà o di proporzionalità. Ai sensi del Protocollo n. 25 sull'esercizio della competenza concorrente, peraltro, quando l'Unione emana un atto in un determinato settore, gli Stati membri non possono più agire solo rispetto agli elementi disciplinati da tale atto, non già nell'intero settore cui l'atto si riferisce. In ogni caso, per emanare propri atti gli Stati membri devono pur sempre rispettare gli obblighi derivanti dalla loro appartenenza all'Unione, anche in conformità dell'obbligo di leale collaborazione. Articolo 4.2 TFUE 2. L'Unione ha una competenza concorrente con quella degli Stati membri nei principali seguenti settori: a) mercato interno; b) politica sociale, per quanto riguarda gli aspetti definiti nel presente trattato; c) coesione economica, sociale e territoriale; d) agricoltura e pesca, tranne la conservazione delle risorse biologiche del mare; e) ambiente; f) protezione dei consumatori; g) trasporti; h) reti transeuropee; i) energia; j) spazio di libertà, sicurezza e giustizia; k) problemi comuni di sicurezza in materia di sanità pubblica, per quanto riguarda gli aspetti definiti nel presente trattato. Il suddetto elenco, a differenza di quello relativo alle materie di competenza esclusiva dell'Unione (e a quello delle materie di sostegno, coordinamento o completamento), è esemplificativo, non esaustivo. 45 c) "Early warning" Ciascun parlamento nazionale (o sua camera), entro otto settimane dalla trasmissione di un progetto di atto legislativo europeo può formulare un parere motivato (che è inviato ai presidenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione), nel quale dichiara di ritenere che il progetto non sia conforme al principio di sussidiarietà e, a seconda del numero di voti espressi dai parlamenti nazionali:  il parere va “tenuto in conto” dalle istituzioni (o dagli Stati) proponenti;  il progetto di atto legislativo deve essere riesaminato e, al termine di tale riesame, l'istituzione (o il gruppo di Stati) proponente è tenuta a motivare la sua decisione, che può consistere, peraltro, nel mantenere il progetto, così come di modificarlo o di ritirarlo (art. 7).  la Commissione deve riesaminare la proposta e, ove intenda mantenerla, deve inviare il proprio parere e quelli dei parlamenti nazionali al Parlamento europeo e al Consiglio, i quali, anteriormente alla conclusione della prima lettura, esaminano la compatibilità della proposta con il principio di sussidiarietà. Se il Consiglio, a maggioranza del 55% dei suoi membri, o il Parlamento europeo, a maggioranza dei voti espressi, ritengono che la proposta sia incompatibile con la sussidiarietà, essa non forma oggetto di ulteriore esame. uno Stato membro può impugnare un atto del genere dinanzi alla Corte di giustizia anche a nome del suo parlamento nazionale o di una sua camera. L’impugnazione di fronte alla Corte di giustizia Il principio di sussidiarietà̀ comporta un notevole margine di apprezzamento discrezionale per quanto concerne a) sia il profilo dell’insufficienza dell’azione statale a conseguire gli obiettivi di interesse comune, b) sia quello relativo al valore aggiunto offerto dall’intervento dell’Unione europea. Ciò non esclude che il rispetto del principio di sussidiarietà è soggetto al consueto sindacato giudiziario attribuito alla Corte di giustizia sulla legittimità degli atti dell'Unione, in quanto competente a pronunciare l'invalidità di un atto che sia viziato per " violazione dei Trattati ". La Corte, peraltro, mostra particolare prudenza nel verificare il rispetto del principio di sussidiarietà, evitando di approfondire la valutazione di merito sull'opportunità dell'intervento europeo. Nella prassi, la motivazione degli atti delle istituzioni europee concernente la sussidiarietà, almeno per quanto risulta dal testo degli atti adottati, si risolve in una formula di stile, presente nei "considerando", che si limita sostanzialmente a ripetere la disposizione corrispondente a quella oggi contenuta nell'art. 5, par. 3, TUE. La Corte di giustizia, anzi, si è accontentata, in taluni casi, di una motivazione implicita. sentenza del 9 ottobre 2001, Olanda c. Parlamento e Consiglio  Per esempio, con riguardo alla direttiva 98/44/CE del 6 luglio 1998 sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, che era stata impugnata anche per una presunta violazione della sussidiarietà,̀ la Corte ha affermato: «L’obiettivo perseguito dalla direttiva, consistente nel garantire il buon funzionamento del mercato interno evitando, o meglio eliminando, talune divergenze tra le legislazioni e le prassi dei diversi Stati membri nell’ambito della protezione delle invenzioni biotecnologiche, non sarebbe stato raggiungibile con un’azione avviata a livello dei soli Stati membri. Poiché la portata di questa protezione ha effetti immediati sul commercio e, di conseguenza, sul commercio intracomunitario, è peraltro lampante che l’obiettivo di cui trattasi, viste le dimensioni e gli effetti dell’azione progettata, poteva essere realizzato meglio a livello comunitario [oggi dell’Unione]». Ad ogni modo, si rileva una diminuzione del numero delle proposte normative da parte della Commissione, a seguito dell’introduzione del principio di sussidiarietà nell'ordinamento europeo, per una sorta di autolimitazione che avrebbe arginato all'origine quella eccedenza legislativa, alla quale, appunto, il principio di sussidiarietà intendeva porre un freno. 46 IL PRINCIPIO DI PROPORZIONALITA’ Articolo 5.4 TUE 4. In virtù del principio di proporzionalità, il contenuto e la forma dell'azione dell'Unione si limitano a quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei trattati. Il principio di proporzionalità comporta a) una valutazione circa la congruità̀ dei mezzi impiegati rispetto all’obiettivo perseguito e b) implica che tali mezzi devono essere limitati a quelli occorrenti per il raggiungimento dell’obiettivo in questione. Anche il principio di proporzionalità,̀ pertanto, in quanto riferito all’Unione, è teso a porre un argine alla sua azione. A differenza del principio di sussidiarietà̀, quello di proporzionalità opera nell’intero campo di applicazione dei Trattati, ivi comprese le materie nelle quali l’Unione ha una competenza esclusiva. Corte di giustizia, sentenza del 15 febbraio 2016, J.N. «Il principio di proporzionalità̀ richiede, secondo una costante giurisprudenza della Corte, che gli atti delle istituzioni dell’Unione non superino i limiti di quanto idoneo e necessario al conseguimento degli scopi legittimi perseguiti dalla normativa di cui trattasi, fermo restando che gli inconvenienti causati dalla stessa non devono essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti». Le istituzioni dell'Unione applicano il principio di proporzionalità conformemente al protocollo (n. 2) sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità. L'art. 5, par. 4, TUE fa espresso riferimento non solo al contenuto dell'azione dell'Unione, ma anche alla forma, cioè ai tipi di atti adottabili.  È da ritenere, pertanto, che le misure normative, graduate rispetto all'obiettivo, devono avere la minore obbligatorietà possibile (p.es., se non è indispensabile un regolamento dovrà emanarsi una direttiva, obbligatoria solo per il risultato da raggiungere o raccomandazione, non vincolante).  L’Unione può anche non emanare alcun atto, ma limitarsi a incentivare azioni degli Stati membri o a promuovere il funzionamento del principio del mutuo riconoscimento.  Anche gli oneri amministrativi e finanziari derivanti dall’intervento dell'Unione devono essere quelli strettamente necessari. Art. 5.4 Protocollo n. 2 I progetti di atti legislativi tengono conto della necessità che gli oneri, siano essi finanziari o amministrativi, che ricadono sull’Unione, sui governi nazionali, sugli enti regionali o locali, sugli operatori economici e sui cittadini siano il meno gravosi possibile e commisurati all’obiettivo da conseguire. I poteri di controllo dei parlamenti nazionali (cfr. sussidiarietà) non si estendono al rispetto del principio di proporzionalità. Introdotto dal Trattato di Maastricht del 1992, il principio di proporzionalità, da tempo affermato dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, vincola non solo l'Unione, ma anche gli Stati membri (limite all'esercizio della facoltà loro concessa di porre delle eccezioni agli obblighi derivanti dai Trattati) con la conseguenza che la sua violazione da parte di questi ultimi è sottoponibile al giudizio della Corte di giustizia. Sentenza dell’8 giugno 2010, Vodafone  tale controllo non mette in discussione la discrezionalità del legislatore dell’Unione, al quale è riconosciuto «nell’ambito dell’esercizio delle competenze attribuitegli, un ampio potere discrezionale nei settori in cui la sua azione richiede scelte di natura tanto politica quanto economica o sociale e in cui è chiamato ad effettuare valutazioni complesse. Non si tratta, quindi, di accertare se una misura emanata in un determinato settore fosse l’unica o la migliore possibile, in quanto solo la manifesta inidoneità della misura, rispetto allo scopo che le istituzioni competenti intendono perseguire, può inficiare la legittimità della misura medesima». 47 Tuttavia, il controllo della Corte di giustizia sul rispetto del principio di proporzionalità̀ si atteggia in maniera differente a seconda della materia alla quale l’atto si riferisce e del grado di discrezionalità della quale gode l’Unione. a) Il controllo è particolarmente stretto in materia di diritti umani, dove è più limitata la discrezionalità̀ dell’Unione: Sentenza dell’8 aprile 2014, Digital Rights Ireland  «Per quanto riguarda il controllo giurisdizionale [...], allorché́ si tratta di ingerenze in diritti fondamentali, la portata del potere discrezionale del legislatore dell’Unione può̀ risultare limitata in funzione di un certo numero di elementi, tra i quali figurano, in particolare, il settore interessato, la natura del diritto di cui trattasi garantito dalla Carta, la natura e la gravità dell’ingerenza nonché́ la finalità̀ di quest’ultima [...]. Il potere discrezionale del legislatore dell’Unione risulta ridotto e di conseguenza è necessario procedere ad un controllo stretto» b) Più ampia è la discrezionalità dell’Unione, in particolare del Sistema europeo di banche centrali, in materia di politica monetaria. In questo caso il controllo giudiziario si concentra, più che sulle misure adottate, sul rispetto delle garanzie procedurali, quale l’obbligo di motivazione. Sentenza del 16 giugno 2015, Gauweiler e altri  «Quanto al controllo giurisdizionale [...], poiché il SEBC è chiamato, quando elabora e attua un programma di operazioni di mercato aperto quale quello annunciato nel comunicato stampa, a procedere a scelte di natura tecnica e ad effettuare previsioni e valutazioni complesse, occorre riconoscergli, in tale contesto, un ampio potere discrezionale [...]. nel caso in cui un’istituzione dell’Unione disponga di un ampio potere discrezionale, il controllo del rispetto di alcune garanzie procedurali riveste importanza fondamentale. Fra tali garanzie rientra l’obbligo per il SEBC di esaminare, in modo accurato e imparziale, tutti gli elementi pertinenti della situazione di cui trattasi e di motivare le proprie decisioni in modo sufficiente». c) Ancora, il potere discrezionale del legislatore dell’Unione è ampio: Sentenza del 28 marzo 2017, Rosneft Oil Company  «in settori che implicano, da parte del medesimo, scelte di natura politica, economica e sociale, e in cui è chiamato ad effettuare valutazioni complesse [...]. Solo la manifesta inidoneità, in relazione allo scopo che l’istituzione competente intende perseguire, di un provvedimento adottato in tali settori può inficiare la legittimità di detto provvedimento» d) Applicazione del principio in un significato più ampio, come implicante la necessità di rispettare l’equilibrio tra gli interessi dei diversi soggetti coinvolti da un determinato atto. Con particolare riguardo al regime di traduzione del brevetto europeo con effetto unitario, previsto dal regolamento n. 1260/2012 del 17 dicembre 2012: Sentenza del 5 maggio 2015 Spagna c. Consiglio «Occorre verificare se il regime istituito dal regolamento impugnato non vada oltre quanto è necessario per raggiungere il legittimo obiettivo perseguito. A tal proposito [...] deve essere preservato il necessario equilibrio, da un lato, tra gli interessi degli operatori economici e quelli della collettività̀ per quanto riguarda i costi dei procedimenti, e, dall’altro, tra gli interessi dei soggetti richiedenti i titoli di proprietà intellettuale e quelli degli altri operatori economici per quanto riguarda l’accesso alle traduzioni dei documenti che concedono di- ritti o i procedimenti che coinvolgono diversi operatori economici». 50 Limiti e deroghe 1. Da un lato , in alcune importanti materie le situazioni puramente interne ad uno Stato membro sono sottratte alla competenza dell'Unione e all'applicazione del suo diritto e restano riservate allo Stato membro. 2. Dall’altro , è lo stesso diritto dell'Unione che definisce i propri confini (e ben può regolare situazioni interne) e la stessa nozione di situazione interna è interpretata con una notevole elasticità dalla Corte di giustizia, ossia sulla base di elementi alquanto secondari o meramente potenziali, come la circostanza che un cittadino si sia brevemente assentato dal proprio Stato o che la fornitura di un servizio possa essere destinata anche a clienti che si trovino in uno Stato diverso da quello dove opera il fornitore. Effetti indiretti: discriminazione "a rovescio" Il diritto dell'Unione può produrre effetti indiretti su situazioni puramente interne.  Infatti, se norme europee sulla libera circolazione delle merci o delle persone vietano ad uno Stato membro di applicare date prescrizioni o restrizioni,  queste restrizioni o prescrizioni sono invece applicabili mediante norme statali ai soli produttori o cittadini dello Stato membro (trattandosi di situazioni interne che sfuggono al diritto dell'Unione), generando una discriminazione "a rovescio" ("ó rebours"). In tali casi può intervenire i. il giudice, in specie costituzionale, o ii. il legislatore nazionale, per estendere ai propri cittadini la normativa, più favorevole, applicabile ai cittadini di altri Stati membri. La normativa italiana anti “discriminazione a rovescio” i. La Corte costituzionale italiana (sentenza del 30 dicembre 1997 n. 443) ha dichiarato “l'illegittimità costituzionale dell'art. 30 della legge 4 luglio 1967 n. 580 (non applicabile, per la Corte di giustizia, ai prodotti UE in quanto equivalente a restrizioni all’importazione), nella parte in cui non prevede che alle imprese aventi stabilimento in Italia è consentita, nella produzione e nella commercializzazione di paste alimentari, l'utilizzazione di ingredienti legittimamente impiegati, in base al diritto comunitario, nel territorio della Comunità europea”, in quanto contrario ai principi di eguaglianza di libertà di iniziativa economica. ii. Il legislatore italiano è intervenuto per impedire che i cittadini italiani siano vittime di trattamenti peggiorativi, rispetto ai cittadini di altri Stati membri residenti o stabiliti in Italia, a causa di una normativa dell'Unione europea, e per garantire loro parità di trattamento. La legge 24 dicembre 2012 n. 234, contenente norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea, confermando, sostanzialmente, delle norme già̀ presenti nella legge 7 luglio 2009 n. 88 ha disposto che nell’attuazione del diritto dell’Unione europea, «è assicurata la parità di trattamento dei cittadini italiani rispetto ai cittadini degli altri Stati membri dell’Unione europea e non può̀ essere previsto in ogni caso un trattamento sfavorevole dei cittadini italiani» (art. 32, 1° comma, lett. i). «nei confronti dei cittadini italiani non trovano applicazione norme dell’ordinamento giuridico italiano o prassi interne che producano effetti discriminatori rispetto alla condizione e al trattamento garantiti nell’ordinamento italiano ai cittadini dell’Unione europea» (art. 53). 51 IL PRINCIPIO DI LEALE COOPERAZIONE Articolo 4. Par. 3, 2° e 3° (Ex art. 10 T.C.E.) 3. Gli Stati membri adottano ogni misura di carattere generale o particolare atta ad assicurare l'esecuzione degli obblighi derivanti dai trattati o conseguenti agli atti delle istituzioni dell'Unione. Gli Stati membri facilitano all'Unione l'adempimento dei suoi compiti e si astengono da qualsiasi misura che rischi di mettere in pericolo la realizzazione degli obiettivi dell'Unione. La giurisprudenza della Corte di giustizia, con riguardo all'art. 10 del Trattato sulla Comunità europea, ha rinvenuto un principio generale di leale collaborazione, o cooperazione, degli Stati membri nei riguardi della Comunità europea, dal quale ha ricavato una serie di specifici obblighi degli Stati, specificati con riguardo a tutti gli organi e le autorità pubbliche, siano essi legislativi, giudiziari o amministrativi e siano essi organi formalmente dello Stato oppure altri enti territoriali. L’effetto utile La giurisprudenza in esame, in sostanza, ha applicato l'art. 10 del TCE (4 TUE) alla luce del principio dell'effetto utile, per cui ogni disposizione va interpretata e applicata in maniera tale da ricavarne tutti gli effetti idonei a farle conseguire, nella maniera più completa ed efficace, il "proprio obiettivo”. 1. La prevalenza del diritto UE su quello interno La sentenza del 15 luglio 1964, causa 6/64, Costa c. ENEL, affermò il primato del diritto comunitario su quello nazionale e la conseguente impossibilità per gli Stati membri di fare prevalere una legge interna successiva, in contrasto con l'ordinamento comunitario (Cap. EX, par. 2). La Corte dichiarò, tra l'altro: «Se l'efficacia del diritto comunitario variasse da uno Stato all'altro in funzione delle leggi interne posteriori, ciò metterebbe in pericolo l'attuazione degli scopi del Trattato […]». 2. L’obbligo del giudice nazionale di garantire i diritti spettanti ai singoli in forza delle norme comunitarie Nella sentenza del 1976, causa 33/76, Rewe-Zentralfinanz EG e Rewe-Zentral AG, la Corte ha dichiarato: «Secondo il principio della collaborazione, enunciato dall'art. 5 del Trattato, è ai giudici nazionali che è affidato il compito di garantire la tutela giurisdizionale spettante ai singoli in forza delle norme di diritto comunitario aventi efficacia diretta». Conseguentemente, in mancanza di una specifica disciplina comunitaria, è l'ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro che designa il giudice competente e stabilisce le modalità procedurali delle azioni giudiziali intese a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza delle norme comunitarie aventi efficacia diretta, modalità che non possono, beninteso, essere meno favo revoli di quelle relative ad analoghe azioni del sistema processuale nazionale». A questo fine il giudice è tenuto anche ad adottare provvedimenti provvisori a tutela dei singoli, persino nell'ipotesi in cui il diritto interno vieti l'emissione di tali provvedimenti.  sentenza del 19 giugno 1990, Factortame: il caso di una norma britannica di common law, la quale impediva di adottare qualsiasi provvedimento provvisorio contro la Corona, cioè̀ contro il governo. La Corte ha infatti stabilito l’obbligo del giudice di disapplicare la predetta norma e di adottare i necessari provvedimenti provvisori (benché́ non contemplati dal diritto nazionale) 3. L'obbligo degli Stati membri di risarcire i danni provocati ai singoli dalle proprie violazioni. Sull'art. 10 del Trattato sulla Comunità europea (oltre che su ulteriori argomenti) è fondata la giurisprudenza sostanzialmente "creativa" della Corte di giustizia, che afferma l'obbligo degli Stati membri (a certe condizioni) di risarcire i danni provocati ai singoli dalle proprie violazioni di obblighi derivanti dal diritto dell'Unione (“di eliminare le conseguenze illecite di una violazione del diritto comunitario”). Nella prima sentenza in materia, del 19 novembre 1991, cause C-6/90 e C-9/90, Francovich e Bonifaci, la Corte ha statuito: «L'obbligo degli Stati membri di risarcire tali danni trova il suo fondamento anche nell'art. 5 del Trattato, in forza del quale gli Stati membri sono tenuti ad adottare tutte le misure di carattere generale o particolare-atte ad assicurare l'ese cuzione degli obblighi ad essi derivanti dal diritto comunitario. Orbene, tra questi obblighi si trova quello di eliminare le conseguenze illecite di una violazione del diritto comunitario». 52 4. L’obbligo di interpretazione conforme (cfr. direttive, inattuate) Dall'obbligo di leale cooperazione deriva quello, per il giudice interno, di interpretare il proprio diritto in maniera conforme al diritto dell'Unione, in particolare per le direttive. In mancanza di misure statali di esecuzione (o quando tali misure non siano appropriate) l’obbligo di interpretazione conforme tende a consentire l’applicazione della direttiva inattuata – investendo, tuttavia, tutto il diritto dell’Unione, garantendo così il “primato del diritto dell’Unione –,"pie gando " il diritto dello Stato a conformarsi in via interpretativa (sentenza del 13 novembre 1990, causa C-106/89, Màlteasing). 5. Il principio di assimilazione Lo Stato membro deve sanzionare le violazioni del diritto dell'Unione (ove esso non contenga una specifica norma sanzionatoria) in termini analoghi rispetto a violazioni comparabili del diritto interno. Il principio di assimilazione, per quanto riguarda la lotta alla frode, trova oggi riconoscimento normativo nell'art. 325, par. 2, TFUE: 2. “Gli Stati membri adottano, per combattere contro la frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione, le stesse misure che adottano per combattere contro la frode che lede i loro interessi finanziari.” 6. L'obbligo per gli Stati membri di adottare i provvedimenti necessari per fronteggiare atti di privati che impediscano l'esercizio delle libertà garantite dal diritto dell'Unione. Causa C-265/95, Commissione c. Francia, nella quale la Francia era accusata di non avere adottato provvedimenti adeguati rispetto ad atti vandalici messi in opera ripetutamente da agricoltori francesi contro merci provenienti dalla Spagna. «Occorre dichiarare che, non avendo adottato tutti i provvedimenti necessari ed adeguati affinché atti di privati non ostacolino la libera circolazione degli ortofrutticoli, la Repubblica francese è venuta meno agli obblighi impostile dall’art. 30 del Trattato [oggi art. 34 TFUE, il quale vieta fra gli Stati membri le restrizioni quantitative all’importazione nonché́ qualsiasi misura di effetto equi- valente], in combinato disposto con l’art. 5 dello stesso Trattato, e dalle organizzazioni comuni dei mercati dei prodotti agricoli». Allo stesso modo, obblighi degli Stati Membri concernenti comportamenti di privati sono stati più volte enunciati anche in riferimento al rispetto delle regole sulla concorrenza applicabili alle imprese: Causa 267/86, Van Eycke: “Dalla costante giurisprudenza della Corte, tuttavia, emerge che gli articoli 85 e 86, letti congiuntamente con l'art. 5 del Trattato, fanno obbligo agli Stati membri di non adottare o mantenere in vigore provvedimenti, anche aventi il carattere di legge o di regolamento, idonei a rendere praticamente inefficaci le norme di concorrenza applicabili alle imprese.” 7. La cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale Nella sentenza del 16 giugno 2005, causa C-105/03, Pupino, infine, la Corte aveva esteso l'obbligo di leale cooperazione anche alla cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, sebbene questa, all'epoca, fosse regolata nel Trattato sull'Unione europea, non già nel Trattato sulla Comunità europea nel quale era collocato l'art. 10, contenente detto obbligo. Essa aveva applicato in tale materia l'obbligo di interpretazione conforme alle direttive non eseguite, affermato nella citata sentenza del 13 novembre 1990, Marleasing. Per tale via la Corte aveva ricostruito il principio di leale cooperazione quale principio generale non solo comunitario, ma del diritto dell'intera Unione europea. Oggi, con l'unificazione in un unico contesto normativo degli originari tre "pilastri", la questione ha perso rilevanza pratica. 8. L’obbligo di cooperazione delle istituzioni europee a favore degli Stati membri L'art. 10 del Trattato sulla Comunità europea, si riferiva solo agli obblighi di cooperazione degli Stati membri per l'adempimento del diritto comunitario e la realizzazione dei suoi fini. Nella giurisprudenza l'obbligo di leale collaborazione era assurto a principio generale, al di là della previsione dell'art. 10, anzi - come si è appena visto - a principio generale dell'intero sistema del diritto dell'Unione europea. Così, in primo luogo, è stato applicato “a rovescio”: Causa C-2/88, Zwartveld: La Corte, premesso che la Comunità europea (come, oggi, l'Unione) è una comunità di diritto, le relazioni tra gli Stati membri e le istituzioni comunitarie sono rette, in forza dell'art. 5 del Trattato CEE, da un principio di leale collaborazione, nel senso che né gli Stati membri né le sue istituzioni sono sottratti al controllo della conformità dei loro atti al Trattato. Ha affermato: 55  L’aspetto positivo di tale istituto è la sua funzionalità allo sviluppo dell'integrazione (consentendo di assumere obblighi più incisivi);  l’aspetto negativo, ma inevitabile, è che alcuni Stati membri restano estranei a tale sviluppo, per cui si rinuncia ufficialmente a mantenere l'unità e l'uniformità del sistema europeo Nella cooperazione rafforzata rientrano gli accordi di Schengen (importante “esempio” previsto dal trattato di Amsterdam) sulla soppressione dei controlli alle frontiere interne degli Stati membri (nonché il complesso sistema normativo creato con ulteriori protocolli, accordi di adesione e atti degli organi istituiti dagli Accordi di Schengen, inserito infine nei Trattati).  Tali accordi erano stati conclusi infatti soltanto da alcuni Stati membri e vi partecipavano Stati terzi rispetto all'Unione europea, come la Norvegia e l'Islanda.  Il Regno Unito e l'Irlanda sono restati estranei a tale sistema, ma possono chiedere di volta in volta di partecipare alle relative disposizioni, esercitando una scelta di opting in;  la Danimarca si trova in una posizione particolare, poiché si riserva, di volta in volta, di decidere se recepire nel proprio ordinamento una misura dell'Unione in tale materia; in caso affermativo si creerà un obbligo a norma del diritto internazionale tra la Danimarca e gli altri Stati membri. Le cooperazioni rafforzate sono regolate dall'art. 20 TUE e dagli articoli 326-334 TFUE, mentre talune varianti sono stabilite per la politica estera e di sicurezza comune. Articolo 20.1 e 2 TUE 1. Gli Stati membri che intendono instaurare tra loro una cooperazione rafforzata nel quadro delle competenze non esclusive dell'Unione possono far ricorso alle sue istituzioni ed esercitare tali competenze applicando le pertinenti disposizioni dei trattati...” L’obiettivo delle cooperazioni rafforzate, consistente nel consentire a un gruppo “più avanzato” di Stati membri di impiegare le istituzioni e le procedure dell’Unione per fare progredire l’integrazione europea, risulta chiaramente dal 2° comma della disposizione in esame: 2. Le cooperazioni rafforzate sono intese a promuovere la realizzazione degli obiettivi dell'Unione, a proteggere i suoi interessi e a rafforzare il suo processo di integrazione. Sono aperte in qualsiasi momento a tutti gli Stati membri ai sensi dell'articolo 328 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea. La conseguenza di una cooperazione rafforzata è che, sebbene tutti gli Stati membri possano partecipare alle deliberazioni del Consiglio nella materia oggetto di cooperazione rafforzata, solo quelli che partecipano alla cooperazione rafforzata hanno diritto di voto (l'unanimità è data dai soli membri del Consiglio partecipanti alla cooperazione rafforzata ex art. 20, par. 3, TUE e art. 330 TFUE). Corrispondentemente, 1. le decisioni in materia sono obbligatorie per i soli Stati partecipanti alla cooperazione rafforzata (art. 20, par. 4, TUE). 2. Tuttavia, gli Stati membri non partecipanti alla cooperazione rafforzata hanno un obbligo negativo: quello di non ostacolarne l'attuazione da parte degli Stati membri che vi partecipano (art. 326, 2° comma, TFUE). cooperazione rafforzata quale extrema ratio, rispetto al normale funzionamento delle disposizioni e degli strumenti dei Trattati: Pur accettando il principio dell'integrazione flessibile o differenziata, il Trattato privilegia l'obiettivo di uno sviluppo uniforme e omogeneo del processo d'integrazione europea: Art. 328.1.2, TFUE «La Commissione e gli Stati membri che partecipano a una cooperazione rafforzata si adoperano per promuovere la partecipazione del maggior numero possibile di Stati membri». Art. 20.2 TUE «La decisione che autorizza una cooperazione rafforzata è adottata dal Consiglio in ultima istanza, qualora esso stabilisca che gli obiettivi ricercati da detta cooperazione non possono essere conseguiti entro un termine ragionevole dall'Unione nel suo insieme». 56 Corte di Giustizia, sent. 16 Aprile 2013, cause C – 274/11 e C – 295/11, Spagna e Italia c. Consiglio: “i termini “in ultima istanza” mettono in rilievo che solamente situazioni caratterizzate dall’impossibilità di adottare una normativa siffatta in un futuro prevedibile possono condurre all’adozione di una decisione che autorizza una cooperazione rafforzata”. Condizioni per la cooperazione rafforzata  deve comprendere almeno nove Stati membri;  non può riguardare competenze esclusive dell'Unione;  deve rispettare i Trattati e il diritto dell'Unione,  non recare pregiudizio o né al mercato interno o né alla coesione economica, sociale e territoriale,  non costituire un osta colo né una discriminazione per gli scambi tra gli Stati membri, non provocare distorsioni di concorrenza tra questi ultimi (art. 326 TFUE).  deve rispettare le competenze, i diritti e gli obblighi degli Stati che non vi partecipano (art. 327 TFUE). La cooperazione rafforzata mediante accordi internazionali Si ritiene che non sia vietato agli Stati membri di perseguire la cooperazione rafforzata mediante la conclusione di accordi internazionali tra alcuni soltanto di tali Stati (“Gli Stati membri … possono far ricorso alle sue istituzioni…”). La procedura per l’instaurazione della cooperazione rafforzata L'instaurazione di una cooperazione rafforzata richiede un'apposita delibera di autorizzazione da parte delle competenti istituzioni:  la proposta è presentata dalla Commissione al Consiglio su richiesta degli Stati membri interessati; ma la Commissione può rifiutare tale richiesta dandone una motivazione a detti Stati.  il Consiglio deliberà a maggioranza qualificata, su proposta della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo.  Tra le condizioni prescritte va particolarmente segnalato che: Articolo 20.2 TUE Le cooperazioni rafforzate sono intese a promuovere la realizzazione degli obiettivi dell'Unione, a proteggere i suoi interessi e a rafforzare il suo processo di integrazione. Sono aperte in qualsiasi momento a tutti gli Stati membri ai sensi dell'articolo 328 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea. La PESC e la cooperazione rafforzata Diversa è la procedura per l’instaurazione di una cooperazione rafforzata nel quadro della politica estera e di sicurezza comune.  La richiesta è presentata direttamente dagli Stati interessati al Consiglio,  il quale delibera all'unanimità, previo parere dell’Alto rappresentante per gli affari esteri e la po- litica di sicurezza e della Commissione in merito alla coerenza della prevista cooperazione rafforzata, rispettivamente, con la politica estera e di sicurezza comune dell'Unione e con le altre politiche dell'Unione.  Il Parlamento europeo è solo informato della richiesta (art. 329, par. 2, TFUE). L’ingresso di altri Stati nella cooperazione 1. lo Stato interessato notifica al Consiglio e alla Commissione la sua intenzione; 2. la Commissione richiede che siano soddisfatte certe condizioni di parte; 3. Ove la Commissione ritenga che le condizioni non siano state soddisfatte, lo Stato in parola può sottoporre la questione al Consiglio, che decide (con il solo voto degli Stati membri partecipanti alla cooperazione rafforzata già instaurata) (art. 331, par. 1, TFUE). In materia di PESC, sulla domanda si pronun cia il Consiglio , previa consultazione dell'Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza. Esso può stabilire condizioni di partecipazione e si pronuncia all'unanimità degli Stati membri partecipanti alla cooperazione rafforzata (art. 331, par. 2, TFUE). 57 ֍ In ogni caso la partecipazione successiva a una cooperazione rafforzata comporta il rispetto degli atti adottati nell'ambito di tale cooperazione anteriormente all'ingresso del nuovo Stato membro (art. 328, par. 1,1° comma, TFUE). Commissione e consiglio assicurano la coerenza della cooperazione La Commissione ed il Consiglio assicurano la coerenza delle azioni intraprese nell'ambito di una cooperazione rafforzata e la coerenza di dette azioni con le politiche dell'Unione (art. 334 TFUE). La cooperazione strutturata permanente Si tratta di una particolare forma di cooperazione rafforzata, prevista in materia di politica di sicurezza e di difesa comune, la quale implica l'impiego anche di mezzi militari, che può essere instaurata fra gli Stati membri che rispondono a criteri più elevati in termini di capacità militari e che hanno sottoscritto impegni più vincolanti ai fini delle missioni militari più impegnative.  Essa si differenzia dalla cooperazione rafforzata proprio perché non "episodica", ma volta a creare una struttura militare di carattere stabile e definito. Ex art. 46 TUE, sulla richiesta degli Stati membri di instaurare una "cooperazione strutturata permanente, delibera a maggioranza qualificata il Consiglio, previa consultazione dell'Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza. Lo stesso Consiglio, sempre con tale maggioranza, decide su domande di partecipazione successiva alla cooperazione strutturata permanente, ma con il voto dei soli Stati partecipanti a tale cooperazione. Di regola, nell'ambito della cooperazione strutturata permanente, il Consiglio vota alla unanimità (limitatamente agli Stati partecipanti). La cooperazione in materia giudiziaria penale: il freno di emergenza Una forma particolare di cooperazione rafforzata può realizzarsi per alcune materie rientranti nella cooperazione giudiziaria penale (art. 82, par. 3, e art. 83 par. 3, TFUE). Il c.d. freno di emergenza: qualora uno Stato membro ritenga che un progetto di direttiva, da adottare con procedura legislativa ordinaria, incida su aspetti fondamentali del proprio ordinamento giuridico penale, può chiedere che il Consiglio europeo sia investito della questione con sospensione della procedura legislativa. Se in seno al Consiglio europeo si verifica un disaccordo tra gli Stati membri e almeno nove desiderano instaurare una cooperazione rafforzata sulla base del progetto di direttiva in questione, essa è concessa automaticamente. Analogamente, in mancanza di unanimità nel Consiglio, una cooperazione rafforzata si considera concessa tra almeno nove Stati membri relativamente all'istituzione di una Procura europea, al fine di combattere i reati che ledono gli interessi finanziari dell'Unione (art. 86, par. 1, TFUE), e in materia di cooperazione operativa di polizia (art. 87, par. 3, TFUE).  Le condizioni si sono realizzate: adozione da parte del Consiglio, del regolamento (UE) 2017/1939 del 12 ottobre 2017, istitutivo della Procura Europea (“EPPO”) Casi di cooperazione rafforzata 1. Con la decisione 2010/405/UE del Consiglio, del 12 luglio 2010, è stata autorizzata per la prima volta una cooperazione rafforzata relativa alla disciplina applicabile al divorzio e alla separazione personale ed è stato successivamente emanato il Regolamento UE n. 1259/2010 del Consiglio, del 20 dicembre 2010. 2. Con la decisione (PESC) 2017/2315 dell’11 dicembre 2017, il Consiglio ha istituito la cooperazione strutturata permanente (PESCO) e ha fissato l’elenco degli Stati Membri partecipanti (venticinque). 60 «fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dai Trattati e dalle disposizioni adottate in applicazione degli stessi».  citata direttiva del 29 aprile 2004 conferma che gli Stati membri possono limitare la libertà di circolazione e di soggiorno di un cittadino dell'Unione o di un suo familiare, adottando anche provvedimenti di allontanamento, per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica (art. 27). Per la Corte, tuttavia, il diritto di circolazione e di soggiorno deriva direttamente dall’art. 21 TFUE, che ha un'efficacia diretta, nel senso che il diritto in questione può essere esercitato in via giudiziaria e deve essere tutelato dai giudici nazionali. La Corte ha sottolineato, inoltre, l'effetto utile della disposizione in esame, l'esigenza, cioè che sia interpretata e applicata in maniera tale da garantire l'effettivo esercizio del diritto:  “Il rifiuto di consentire al genitore, cittadino di uno Stato membro o di uno Stato terzo, che effettivamente ha la custodia di un figlio al quale l’art. 18 [oggi art. 21 TFUE] e la direttiva 90/364 riconoscono un diritto di soggiorno, di soggiornare con tale figlio nello Stato membro ospitante priverebbe di qualsiasi effetto utile il diritto di soggiorno di quest’ultimo. È chiaro, infatti, che il godimento del diritto di soggiorno da parte di un bimbo in tenera età̀ implica necessariamente che tale bimbo abbia il diritto di essere accompagnato dalla persona che ne garantisce effettivamente la custodia e, quindi, che tale persona possa con lui risiedere nello Stato membro ospitante durante tale soggiorno” (sentenza del 19 ottobre 2004, causa C-200/02, Chen).  In una logica analoga si pone la citata sentenza dell’8 marzo 2011, causa C-34/09, Ruiz Zambrano la quale ha riconosciuto il diritto di soggiorno e di lavoro in Belgio al genitore colombiano di due bimbi, cittadini belgi e residenti in tale Stato; in una situazione, quindi, nella quale – a differenza del caso Chen – i cittadini dell’Unione non esercitavano il diritto di libera circolazione.  Sentenza 14 Novembre 2017, causa C-165-16, Lounes: La Corte di giustizia ha affermato che il diritto di circolare e soggiornare in uno Stato Membro include quello di condurre e sviluppare una normale vita familiare nel paese ospitante, beneficiando della vicinanza dei propri familiari, in particolare mediante il riconoscimento del diritto di soggiorno al proprio coniuge, cittadino di uno Stato terzo. IL DIRITTO DI ELETTORATO ATTIVO E PASSIVO L'art. 22 TFUE contempla il diritto di elettorato attivo e passivo, un diritto avente natura squisitamente politica e tipica dello status di cittadino, prevedendo che ogni cittadino dell'Unione residente in uno Stato membro di cui non sia cittadino abbia il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali e del Parlamento europeo nello Stato membro in cui risiede, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato. “Tale diritto sarà esercitato con riserva delle modalità che il Consiglio adotta, deliberando all'unanimità secondo una procedura legislativa speciale e previa consultazione del Parlamento europeo; tali modalità possono comportare disposizioni derogatorie ove problemi specifici di uno Stato membro lo giustifichino”. L'esercizio di tale diritto richiedeva l'emanazione di un atto del Consiglio, il quale ha adottato a tal fine la direttiva n. 94/80/CE del 19 dicembre 1994, più volte modificata in corrispondenza ai successivi allargamenti dell'Unione europea. Essa ha previsto anche alcune deroghe, consentendo, per esempio, agli Stati di riservare ai propri cittadini l'eleggibilità a capo dell'organo esecutivo; di tale facoltà si é valsa l'Italia con riferimento alla carica di sindaco. L'elettorato amministrativo si colloca essenzialmente nell'ottica del divieto di discriminazione in base alla nazionalità, consacrato nell'art. 18 TFUE ed è volto anche ad agevolare il diritto di libera circolazione e di soggiorno. Infatti l'opportunità di partecipare alle elezioni amministrative facilita tale diritto, che sarebbe invece ostacolato qualora, spostandosi da uno Stato membro all'altro, si venisse privati della possibilità di contribuire alla formazione degli organi amministrativi comunali del Paese di residenza e di farne parte. 61 Il diritto di elettorato attivo e passivo al Parlamento europeo, si colloca invece nell'ottica della partecipazione del cittadino europeo alla vita politica dell'Unione europea, con riguardo all'istituzione democratica rappresentativa dei cittadini dell'Unione.  Lo svincolo del diritto di elettorato dal requisito della cittadinanza dello Stato in cui viene esercitato, accentua nel Parlamento il carattere unitariamente rappresentativo dei cittadini degli Stati membri e ne esalta la natura sopranazionale. Il riconoscimento di tale diritto ha trovato terreno particolarmente propizio in Italia, la quale, con legge 18 gennaio 1989 n. 9, aveva assunto l'iniziativa di estendere l'elettorato passivo (ma non il diritto al voto) al Parlamento europeo ai cittadini degli altri Stati membri, indipendentemente dalla loro residenza in Italia. La Corte di giustizia ha dato alcuni contributi alla materia dell'elettorato dei cittadini al Parlamento europeo. Nella sentenza del 12 settembre 2006, causa C-145/04, Spagna c. Regno Unito, la Corte ha affermato che il Regno Unito non aveva violato alcuna disposizione del diritto dell'Unione estendendo il diritto di elettorato al Parlamento europeo a cittadini del Commonwealth (aventi determinati requisiti) residenti a Gibilterra, privi della cittadinanza del Regno Unito e, quindi, di quella dell'Unione, in quanto, «la determinazione dei titolari del diritto di voto attivo e passivo per le elezioni del Parlamento europeo rientra nella competenza di ciascuno Stato membro, nel rispetto del diritto comunitario», il quale non osta «a che gli Stati membri concedano tale diritto di voto attivo e passivo a determinate persone che possiedono stretti legami con essi, pur non essendo loro cittadini o cittadini dell'Unione residenti sul loro territorio». Il diritto di elettorato appare, quindi, una prerogativa non esclusiva dei cittadini europei. IL DIRITTO DI PETIZIONE L'art. 24 TFUE, ripetendo, sostanzialmente, la disposizione dell'art. 11 TUE relativa al referendum propositivo, ricollega, anzitutto, tale potere di iniziativa alla cittadinanza dell'Unione. Nei commi successivi esso attribuisce al cittadino europeo alcuni diritti che, complessivamente, lo avvicinano alle istituzioni europee e ai loro processi decisionali. Si tratta, anzitutto, del diritto di petizione (2° comma): «Ogni cittadino dell'Unione ha il diritto di petizione dinanzi al Parlamento europeo conformemente all'articolo 227». Quest'ultimo dispone: «Qualsiasi cittadino dell'Unione, nonché ogni persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno Stato membro, ha il diritto di presentare, individualmente o in associazione con altri cittadini o persone, una petizione al Parlamento europeo su una materia che rientra nel campo di attività dell'Unione e che lo (la) concerne direttamente». Il Parlamento europeo aveva contemplato tale diritto già nel suo Regolamento interno nel 1981. Il suo riconoscimento nel Trattato rafforza, evidentemente, il diritto di petizione configurando un corrispondente dovere di esaminarlo in capo al Parlamento europeo. 1. La petizione può avere un contenuto alquanto vario:  richieste di informazioni sulla posizione del Parlamento europeo in merito a date questioni,  suggerimenti relativi alle politiche dell'Unione o alla soluzione di specifici problemi  proposizione all'attenzione del Parlamento di questioni di attualità,  veri e propri reclami contro asserite violazioni dei diritti del petizionario da parte delle istituzioni europee o degli Stati, di cui si lamenta la contrarietà al diritto dell'Unione. In ogni caso la petizione deve rientrare nel campo di attività dell'Unione. 2. Il diritto è esteso ai soggetti, persone fisiche o giuridiche, che risiedano o abbiano la sede sociale in uno Stato membro. (medesima formulazione dell’art. 44 della Carta dei diritti fondamentali  estensione condivisibile nell’ottica della tutela dei diritti fondamentali) 3. La materia oggetto della petizione deve concernere direttamente l'autore della stessa.  Considerato lo scopo della petizione di sollecitare l'attenzione del Parlamento europeo e sue eventuali iniziative, tale condizione non può essere intesa in senso rigidamente formale, quale necessità che il petizionario sia titolare di un diritto che possa subire un pregiudizio, ma in maniera alquanto elastica, come coinvolgimento del petizionario nella materia in questione, 62 anche semplicemente in quanto, per esempio, consumatore, o professionista, o interessato alla protezione ambientale di una certa zona ecc. 4. Per l'esame delle petizioni è istituita una commissione permanente del Parlamento europeo, detta Commissione per le petizioni. Essa può organizzare anche una missione d'informazione nello Stato membro o nella regione cui la petizione si riferisce e può chiedere, inoltre, alla Commissione europea di assisterla. Il risultato dell'esame può essere vario, anche in corrispondenza ai diversi contenuti che le stesse petizioni possono presentare. Ai sensi dell'art. 202 del Regolamento interno del Parlamento, la Commissione per le petizioni può decidere di elaborare relazioni o di pronunciarsi in altro modo, previo parere di un'altra commissione parlamentare, in particolare qualora la petizione abbia per oggetto una modifica delle disposizioni legislative in vigore. Essa può chiedere al Presidente del Parlamento di trasmettere il suo parere o la sua raccomandazione alla Commissione europea, al Consiglio o all'autorità dello Stato membro in questione al fine di ottenere un intervento o una risposta. 5. Il Parlamento europeo, su proposta della Commissione per le petizioni, può adottare risoluzioni, può formulare interrogazioni alla Commissione europea o al Consiglio; come pure può tentare di raggiungere un regolamento amichevole (di solito tramite la Commissione europea) con lo Stato cui la petizione imputi una violazione del diritto dell'Unione. 6. In quest'ultimo caso, ove non si pervenga ad un regolamento amichevole, si apre la possibilità di una procedura d'infrazione su iniziativa della Commissione europea in base all'art. 258 TFUE (Cap. Vili, par. 4 ss.). 7. Una volta concluso l'esame di una petizione ricevibile, quest'ultima è archiviata e il firmatario ne è informato. LA DENUNCIA AL MEDIATORE EUROPEO E GLI ALTRI DIRITTI DEL CITTADINO EUROPEO Allo scopo di avvicinare il cittadino alle istituzioni europee risponde anche l'istituto del Mediatore (ombudsman nel testo inglese, e che forse meglio sarebbe stato denominare "difensore civico"). In virtù dell'art. 24, 3° comma, TFUE: «Ogni cittadino dell'Unione può rivolgersi al Mediatore istituito conformemente all'articolo 228». Il Mediatore è un organo individuale, istituito dal Trattato di Maastricht del 1992, con il compito di promuovere la buona amministrazione nell'Unione intervenendo per riparare i casi di cattiva amministrazione. Nomina e natura del Mediatore 1. È nominato dal Parlamento europeo per la durata della legislatura e il suo mandato è rinnovabile (art. 228, par. 2, Io comma, TFUE). 2. Lo Statuto e le condizioni generali per l'esercizio delle funzioni del Mediatore sono fissati dal Parlamento europeo, previo parere della Commissione e con l'approvazione del Consiglio (art. 228, par. 4). 3. Il Mediatore non è un organo del Parlamento europeo, nonostante gli stretti legami con quest’ultimo (“che rivestono unicamente un carattere organizzativo generale e non un carattere funzionale”, Tribunale di primo grado). L'art. 228, par. 3, dichiara infatti: «Il Mediatore esercita le sue funzioni in piena indipendenza. Nell'adempimento dei suoi doveri, egli non sollecita né accetta istruzioni da alcun governo, istituzione, organo o organismo. Per tutta la durata del suo mandato, il Mediatore non può esercitare alcuna altra attività professionale, remunerata o meno». Lo stesso Parlamento non può revocare la nomina del Mediatore, ma solo chiedere alla Corte di giustizia di dichiararlo dimissionario qualora egli non risponda "più alle condizioni necessarie all'esercizio delle sue funzioni o abbia commesso una colpa grave" (art. 228, par. 2, 2° comma). La denuncia al Mediatore 1. Il diritto di sporgere una denuncia al Mediatore non è prerogativa esclusiva del cittadino, ma di ogni persona residente o avente la sede sociale in uno Stato membro e non richiede un interesse ad agire; Il Mediatore, può attivarsi anche d’ufficio o su denuncia presentata da un membro del Parlamento europeo. 65 CAPITOLO V LE ISTITUZIONI DELL’UNIONE EUROPEA QUADRO GENERALE DELLE ISTITUZIONI E DEGLI ORGANI. IL PRINCIPIO DELL’EQUILIBRIO ISTITUZIONALE Articolo 13 TUE 1. L'Unione dispone di un quadro istituzionale che mira a promuoverne i valori , perseguirne gli obiettivi , servire i suoi interessi , quelli dei suoi cittadini e quelli degli Stati membri , garantire la coerenza , l'efficacia e la continuità delle sue politiche e delle sue azioni . Le istituzioni dell'Unione sono: — il Parlamento europeo, — il Consiglio europeo, — il Consiglio, — la Commissione europea (in appresso «Commissione»), — la Corte di giustizia dell'Unione europea, — la Banca centrale europea, — la Corte dei conti. 2. Ciascuna istituzione agisce nei limiti delle attribuzioni che le sono conferite dai trattati, secondo le procedure, condizioni e finalità da essi previste. Le istituzioni attuano tra loro una leale cooperazione. Il Consiglio europeo Il Consiglio europeo, formato dai massimi vertici degli Stati membri, è incluso tra le istituzioni dell'Unione dal Trattato di Lisbona, malgrado esso resti in una posizione a sé sul piano politico, rispetto alle altre istituzioni, in quanto esso assume le decisioni fondamentali concernenti lo sviluppo dell'azione europea e dello stesso processo d'integrazione europea. Le sue funzioni, particolarmente significative nella PESC, sono prevalentemente disciplinate nel Trattato sull'Unione europea. Parlamento, Consiglio e Commissione: il principio di equilibrio istituzionale Le successive tre istituzioni, il Parlamento europeo, il Consiglio, la Commissione, sono rappresentative, rispettivamente  dei cittadini, (latu sensu: funzione normativa e decisionale)  degli Stati membri e dei loro governi (latu sensu: approvazione del bilancio) e  dell'interesse unitario dell’Unione (latu sensu: conclusione di accordi internazionali). I rapporti tra le istituzioni europee a. da un lato devono corrispondere a quel principio di leale collaborazione che, stabilito originariamente nelle relazioni tra gli Stati membri e la Comunità, è stato esteso dalla Corte di giustizia anche ai rapporti tra le istituzioni e, infine, recepito nell'art. 13, par. 2, TUE (Cap. Ili, par. 8); b. dall’altro devono conformarsi al riparto di competenze stabilito dai Trattati, dal quale emerge, come la Corte ha più volte affermato, un principio di equilibrio istituzionale, il cui rispetto è essenziale ed è sottoposto al controllo della Corte di giustizia. Consiglio c. Commissione  “…il principio dell’equilibrio istituzionale, che caratterizza la struttura istituzionale dell’Unione, implica che ogni istituzione eserciti le proprie competenze nel rispetto di quelle delle altre istituzioni” L'esigenza di garantire in via giudiziaria il rispetto del principio in esame indusse la Corte di giustizia a riconoscere la legittimazione del Parlamento europeo ad impugnare un atto dinanzi alla stessa Corte, anche se unicamente al fine di difendere le proprie prerogative, benché all’epoca il Trattato sulla Comunità economica europea non attribuisse al Parlamento una siffatta legittimazione. Corte di giustizia, Banca Centrale Europea, Corte del conti. Le altre istituzioni si caratterizzano per la piena indipendenza, trattandosi di istituzioni giudiziarie (la Corte di giustizia), dell'autorità monetaria (la Banca centrale europea) o di controllo dei conti (la Corte dei conti). 66 SEBC e BEI L'apparato dell'Unione europea comprende, inoltre, il sistema europeo di banche centrali (SEBC), costituito dalla Banca centrale europea e dalle banche centrali nazionali (art. 282 TFUE), nonché altri organi bancari, quale la Banca europea per gli investimenti, la quale, peraltro, ha una spiccata autonomia ed è dotata di una propria personalità giuridica (art. 308 TFUE) e di una propria struttura organizzativa. Gli organi ausiliari I Trattati istituiscono anche organi ausiliari: art. 13, par. 4, TUE dichiara: «Il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione sono assistiti da un Comitato economico e sociale e da un Comitato delle regioni, che esercitano funzioni consultive». Analoghi organi, con funzioni consultive in specifiche materie, sono previsti da varie disposizioni dei Trattati:  il Comitato di cui all'art. 99 TFUE in materia di trasporti  il Comitato per l'occupazione (art. 150 TFUE)  il Comitato economico e finanziario, avente, oltre a compiti consultivi, gli ulteriori compiti indicati dall'art. 134 TFUE  il Mediatore europeo  Il Comitato politico e di sicurezza previsto dall'art. 38 TUE nell'ambito della politica estera e di sicurezza comune (PESC), il quale svolge o funzioni di controllo della situazione internazionale, o funzioni consultive nei riguardi del Consiglio e dell'Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, o funzioni di controllo sull'attuazione delle politiche in materia, nonché, o sotto la responsabilità del Consiglio e dell'Alto rappresentante, funzioni di controllo politico e di direzione strategica delle operazioni di gestione delle crisi di cui all'art. 43 TUE. Ulteriori organismi (espressione impiegata frequentemente dal Trattato di Lisbona) designati, solitamente, con il termine di agenzie, sono creati con atti delle istituzioni europee, con compiti vari, di natura tecnica, scientifica, di gestione, operativi, di sostegno e coordinamento dell'azione delle autorità statali. Esistono oggi" circa una ventina di agenzie, tra le quali  l'Agenzia europea dell'ambiente (EEA),  l'Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne (FRONTEX),  l'Agenzia europea per la sicurezza aerea (EASA) ecc.  In materia di cooperazione penale e di polizia vanno ricordati, rispettivamente, o l'Organismo europeo per il consolidamento della coo perazione giudiziaria (Eurojust) e o l'Ufficio europeo di polizia (Europol) , entrambi regolati, oggigiorno, nel Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (articoli 85 e 88). Altre agenzie, dette esecutive e aventi durata limitata, sono costituite per la gestione di determinati programmi (come l'Agenzia esecutiva per l'energia intelligente); ulteriori organismi sono talvolta creati da atti di diritto derivato in specifiche materie (per esempio il Garante europeo della protezione dei dati, incaricato di sorvegliare l'applicazione delle norme sulla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali). IL PARLAMENTO EUROPEO Esso è l’istituzione rappresentativa dei cittadini dell’Unione europea, l’organo democratico per eccellenza. L’art. 14, par. 2, TUE dichiara infatti: «Il Parlamento europeo è composto di rappresentanti dei cittadini dell'Unione». Numero dei componenti del Parlamento Europeo Il numero dei Parlamentari europei è variato molte volte, in corrispondenza ai successivi ampliamenti degli Stati Membri. 67 L’art. 14 par. 2 stabilisce solo un numero massimo per l’intero Parlamento, consistente in 750 più il presidente, e garantisce una soglia minima di sei parlamenta e una soglia massima di novantasei per ogni Stato membro. Ai sensi dell’art. 14, par. 2, 2° comma TUE il numero dei componenti del Parlamento Europeo e la loro assegnazione a ciascuno Stato Membro sono stabiliti a. dal Consiglio Europeo con decisione votata all’unanimità; b. su iniziativa del Parlamento Europeo e con sua approvazione. Attuale legislatura Riguardo all’attuale legislatura 2019 – 2014 la composizione del Parlamento europeo è stata stabilita dalla decisione (UE) 2018/937 del Consiglio Europeo del 28 giugno 2018. Tuttavia, essendo il Regno Unito ancora membro dell’Unione Europea all’inizio della legislatura, il numero dei Parlamentari eletti era restato quello fissato dalla precedente decisione 2013/312/UE (751 membri ripartiti: 96 Germania, 74 Francia, 73 Italia, 73 Regno Unito, scendendo sotto i 6 per gli altri paesi) Questa decisione, all’art. 3, stabilisce il numero dei parlamentari dal momento di efficacia del recesso del Regno Unito (1° Febbraio 2020).  Vede una riduzione complessiva dei membri a 705, usando i 73 seggi vacanti del Regno Unito, “accantonandone” 46 e distribuendone 27 tra gli stati membri meno rappresentati. Criterio degressivamente porporzionale Il citato art. 14, par. 2, 1° comma, TUE, pur non disponendo il numero dei membri del Parlamento assegnato a ciascuno Stato, pone un criterio generale e dei limiti a tale numero: «La rappresentanza dei cittadini è garantita in modo degressivamente proporzionale, con una soglia minima di sei membri per Stato membro. A nessuno Stato membro sono assegnati più di novantasei seggi». Il criterio “degressivamente proporzionale”, pur rispondendo alla situazione demografica degli Stati Membri, comporta che il numero dei parlamentari di tali Stati non è in rapporto diretto con il numero dei cittadini di ognuno di essi, ma anzi che, man mano che la popolazione si riduce, il criterio opera in maniera meno decisiva. Art. 1 decisione 2018/937 del 28 giugno 2018: “Il rapporto tra la popolazione e il numero dei seggi di ciascuno Stato membro varia a funzione della rispettiva popolazione, di modo che ciascun deputato al Parlamento europeo di uno Stato membro più popolato rappresenti più cittadini di ciascun deputato di uno Stato membro meno popolato e che, al contempo, più uno Stato Membro è popolato, più abbia diritto a un numero di seggi elevato nel Parlamento Europeo”. Parlamento Europeo come organo squisitamente sovranazionale L'assegnazione di seggi ai diversi Stati membri non va intesa nell'ottica nazionalistica, in quanto i parlamentari, configurati come "rappresentanti dei cittadini dell'Unione" (art. 14, par. 2, TUE), si aggregano nel Parlamento secondo affinità politiche, non secondo la propria cittadinanza. In altri termini, ogni Stato membro è configurato come un vasto collegio. La circostanza che i parlamentari rappresentino i cittadini dell'Unione nel loro complesso (potrebbe forse dirsi "il popolo europeo") rende il Parlamento un'istituzione squisitamente sopranazionale. Evoluzione dell’elezione dei Parlamentari europei 1. In origine i componenti del Parlamento europeo erano eletti dai parlamenti nazionali tra i propri componenti, designati, in altri termini, mediante un'elezione di secondo grado. Da ciò derivava  scarsa rappresentatività,  carenza di proporzionalità rispetto ai partiti rappresentati nei parlamenti stessi.  Che i componenti del Parlamento europeo, essendo necessariamente anche membri del parlamento nazionale, erano generalmente indotti a concentrare il proprio impegno in quest'ultimo. 70 differenza dei Parlamenti nazionali, il Parlamento non è caratterizzato dalla tradizionale dicotomia maggioranza/opposizione». La caratterizzazione in senso politico del Parlamento europeo e il crescente coinvolgimento del cittadino europeo nel processo di integrazione risulta anche dall'art. 10, par. 4, TUE, il quale riconosce i partiti politici europei quali soggetti politici transnazionali: «I partiti politici a livello europeo sono un importante fattore per l'integrazione in seno all'Unione. Essi contribuiscono a formare una coscienza politica europea e ad esprimere la volontà dei cittadini dell'Unione». L’ORGANIZZAZIONE E IL FUNZIONAMENTO DEL PARLAMENTO EUROPEO Presidente In conformità dell’art. 14, par. 4, TUE, il Parlamento elegge tra i suoi membri il Presidente (attualmente l’italiano David-Maria Sassoli) e l’Ufficio di Presidenza, che include quattordici vicepresidenti.  Essi durano in carica due anni e mezzo, cioè la metà della durata (quinquennale) del Parlamento.  Le modalità di elezione e le loro competenze sono disciplinate nel Regolamento interno (art. 14 ss.). Commissioni Analogamente ai parlamenti nazionali, anche quello europeo è organizzato in commissioni, le quali hanno carattere  PERMANENTE: o elette anch'esse per la durata di due anni e mezzo o hanno una competenza per materia; o Il loro compito è preparatorio, istruttorio e consultivo rispetto alle tematiche sulle quali dovrà deliberare il Parlamento o si esprimono con risoluzioni, pareri, raccomandazioni. (Fra tali commissioni vi è quella per le petizioni).  SPECIALE: Le commissioni speciali sono costituite dal Parlamento per una questione particolare e la loro durata non può superare i dodici mesi (prorogabili dal Parlamento). Lo stesso TFUE prevede la possibilità di istituire commissioni temporanee d'inchiesta. art. 226 TFUE dispone: «Nell'ambito delle sue funzioni, il Parlamento europeo, su richiesta di un quarto dei membri che lo compongono, può costituire una commissione temporanea d'inchiesta incaricata di esaminare, fatti salvi i poteri conferiti dai trattati ad altre istituzioni o ad altri organi, le denunce di infrazione o di cattiva amministrazione nell'applicazione del diritto dell'Unione, salvo quando i fatti di cui trattasi siano pendenti dinanzi ad una giurisdizione e fino all'espletamento della procedura giudiziaria».  OGGETTO: casi di violazione del diritto dell'Unione o anche di amministrazione scorretta, impropria, inadeguata, che non si risolva necessariamente nella violazione di norme, da parte di istituzioni e Stati membri.  LIMITI: L’inchiesta non può svolgersi contemporaneamente all’esercizio di attività giudiziaria, da parte sia di giudici dell'Unione che di giudici nazionali, e non impedisce che altre istituzioni o organi (come la Commissione europea o il Mediatore europeo o la Commissione per le petizioni) si occupino del caso sottoposto all'inchiesta.  RISULTATO: L'attività della commissione d'inchiesta si conclude con la consegna della sua relazione al Parlamento europeo, il quale può assumere, di conseguenza, le iniziative che ritiene più opportune, sia nei riguardi di Stati membri che di altre istituzioni o organi europei. Sede e Convocazioni Il Parlamento europeo tiene una sessione annuale e si riunisce di diritto il secondo martedì del mese di marzo (art. 229, Io comma, TFUE). 71 Ai sensi del Regolamento interno (art. 133) tale sessione ha durata annuale e ciascuna tornata ha luogo, di regola, ogni mese (solitamente per una settimana). Esso si riunisce, inoltre, su richiesta  della maggioranza dei suoi membri,  del Consiglio o  della Commissione (art. 229,2° comma, TFUE). Per quanto riguarda la sede del Parlamento, che – come per ogni altra istituzione – è fissata d'intesa comune dai governi degli Stati membri (art. 341 TFUE), con una soluzione di compromesso si è stabilito che a. essa è a Strasburgo, dove si tengono le dodici tornate plenarie mensili, mentre b. quelle aggiuntive e le riunioni delle commissioni si svolgono a Bruxelles; c. il Segretariato generale del Parlamento europeo e i suoi servizi restano a Lussemburgo, dove era originariamente la sede del Parlamento (Protocollo n. 6). Votazione L'art. 231 TFUE, in merito alla votazione, stabilisce: «Salvo contrarie disposizioni dei Trattati, il Parlamento europeo delibera a maggioranza dei suffragi espressi. Il Regolamento interno fissa il numero legale».  Il numero legale: è dato da un terzo dei componenti,  le votazioni sono valide qualunque sia il numero dei votanti o a meno che all’atto della votazione, il Presidente, su preventiva richiesta di almeno quaranta deputati, constati l'assenza del numero legale (art. 155 del Regolamento).  Varie disposizioni dei Trattati precisano diverse maggioranze su specifiche materie. [Per esempio, nella procedura di constatazione di una violazione grave e persistente (o di un evidente rischio di violazione) dei valori di cui all'art. 2 TUE, il Parlamento europeo delibera alla maggioranza dei due terzi dei voti espressi, che rappresenti la maggioranza dei suoi membri] FUNZIONI E POTERI DEL PARLAMENTO EUROPEO Funzione legislativa Il Parlamento europeo esercitava in origine poteri molto modesti, prevalentemente mediante pareri facoltativi, più spesso obbligatori, ma mai vincolanti e nessuna funzione legislativa. Per ovviare all’evidente deficit democratico, si è istituita la procedura di "codecisione", che conferisce al Parlamento una posizione paritaria con il Consiglio e che, con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, è diventata la procedura legislativa ordinaria. Dichiara, infatti, l’art. 289, par. 1, TFUE: «La procedura legislativa ordinaria consiste nell’adozione congiunta di un regolamento, di una direttiva o di una decisione da parte del Parlamento europeo e del Consiglio su proposta della Commissione». Il Parlamento europeo esercita importanti funzioni anche in materia di bilancio nonché di controllo su altre istituzioni. Art. 14, par. 1, TUE: «1. Il Parlamento europeo esercita, congiuntamente al Consiglio, la funzione legislativa e la funzione di bilancio. Esercita funzioni di controllo politico e consultive alle condizioni stabilite dai trattati. Elegge il presidente della Commissione». Il potere di pre-iniziativa Una carenza di democrazia emerge dall'inesistenza di un potere di iniziativa, né del Parlamento europeo, né tanto meno dei singoli deputati, sebbene il Trattato di Maastricht del 1992 abbia riconosciuto al Parlamento un potere di impulso detto anche di "pre-iniziativa", nei confronti della Commissione, oggi consacrato dall'art. 225 TFUE: «A maggioranza dei membri che lo compongono, il Parlamento europeo può chiedere alla Commissione di presentare adeguate proposte sulle questioni per le quali reputa necessaria l'elaborazione di un atto 72 dell'Unione ai fini dell'attuazione dei Trattati. Se la Commissione non presenta una proposta, essa ne comunica le motivazioni al Parlamento europeo». a. Non si ritiene che, giuridicamente, la Commissione abbia il dovere di dare seguito alla richiesta del Parlamento, ma solo di motivare un eventuale rifiuto; b. tuttavia, il Parlamento potrebbe esercitare forme di pressione politica sulla Commissione, nel quadro del rapporto fiduciario con la Commissione. Oltre a questo specifico potere deve ritenersi che il Parlamento europeo abbia un potere generale di deliberare e di adottare risoluzioni su qualsiasi questione che concerna l’Unione. sentenza del 10 febbraio 1983, Lussemburgo c. Parlamento: la Corte di giustizia ha riconosciuto «la competenza specifica del Parlamento a deliberare su qualsiasi questione concernente la Comunità [oggi Unione], ad adottare risoluzioni su dette questioni e ad invitare i governi ad agire». I poteri di controllo Il Parlamento esercita significativi poteri di controllo nei riguardi delle altre istituzioni europee, in qualche misura anche sul Consiglio europeo. Controllo sulla Commissione  L'ESAME SULLA RELAZIONE GENERALE ANNUALE: Nei rapporti con la Commissione va ricordato, anzitutto, l'esame sulla relazione generale annuale (a posteriori) sull’attività dell’Unione che, ai sensi dell'art. 249, par. 2, TFUE, la Commissione è tenuta a pubblicare ogni anno. (avviene a posteriori ma può condurre a una valutazione politica sull’attività della Commissione, premessa per una mozione di censura nei suoi confronti) Nella prassi, inoltre, la Commissione presenta, assieme alla relazione generale, un programma d'azione relativo all'anno successivo, sul quale il Parlamento può esprimere proprie valutazioni, orientamenti e indirizzi. Inoltre, la Commissione è tenuta a presentare al Parlamento europeo relazioni su determinate materie, come la cittadinanza dell'Unione, la coesione economica e sociale, la ricerca e sviluppo tecnologico (art. 190 TFUE).  LE INTERROGAZIONI: Il Parlamento o singoli deputati possono presentare interrogazioni, alle quali la Commissione è tenuta a rispondere: o interrogazioni con richiesta di risposta orale , seguita da discussione, che possono essere presentate solo per iniziativa di una commissione, di un gruppo politico o di almeno quaranta deputati (art. 115); o interrogazioni con richiesta di risposta scritta , che possono essere presentate da ciascun deputato (art. 117); e o il tempo delle interrogazioni (" question time "), cioè un periodo inserito in ciascuna tornata riservato alle interrogazioni, nel quale ogni deputato può presentare una sola interrogazione alla Commissione (art. 116).  LA MOZIONE DI CENSURA: il mezzo più incisivo di controllo del Parlamento europeo sulla Commissione è la mozione di censura. Tale potere esprime un vero e proprio rapporto di fiducia, poiché la permanenza in carica della Commissione presuppone la sussistenza della fiducia del Parlamento: venuta meno quest'ultima (con la mozione di censura) la Commissione deve cessare dalle sue funzioni. Tornando alla mozione di censura, essa è disciplinata nei termini seguenti dall'art. 234 TFUE: «Il Parlamento europeo, cui sia presentata una mozione di censura sull'operato della Commissione, non può pronunciarsi su tale mozione prima che siano trascorsi almeno tre giorni dal suo deposito e con scrutinio pubblico. Se la mozione di censura è approvata a maggioranza di due terzi dei voti espressi e a maggioranza dei membri che compongono il Parlamento europeo, i membri della Commissione si dimettono collettivamente dalle loro funzioni e l'alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza si dimette dalle funzioni che esercita in seno alla Commissione. Essi rimangono in carica e continuano a curare gli affari di ordinaria amministrazione fino alla loro sostituzione conformemente all'articolo 17 del trattato sull'Unione europea. In questo caso, il mandato dei membri della Commissione nominati per sostituirli 75 4. Con il Trattato di Maastricht del 1992 il Consiglio europeo è stato formalmente inserito nell'Unione europea e, 5. con il Trattato di Lisbona del 2007, esso ha ricevuto la qualifica di istituzione. Malgrado l'inserimento del Consiglio europeo nel quadro istituzionale dell'Unione, non viene meno la sua natura fortemente caratterizzata in senso intergovernativo, e al livello più elevato, secondo una logica e un meccanismo di tipo tradizionalmente internazionalistico, nei quali il confronto e il negoziato politico sono volti a ricercare un'intesa generale. Il Consiglio europeo si colloca al vertice della struttura istituzionale dell'Unione, in quanto assume le grandi decisioni relative agli sviluppi dell'integrazione europea, che sono poi attuate dalle altre istituzioni, secondo le competenze e le procedure regolate dai Trattati. La composizione La composizione del Consiglio europeo è definita dall'art. 15, par. 2, TUE: «Il Consiglio europeo è composto dai Capi di Stato o di governo degli Stati membri, dal suo Presidente e dal Presidente della Commissione. L'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza partecipa ai lavori». Il Presidente del Consiglio europeo Il Trattato di Lisbona ha istituito la figura del Presidente del Consiglio europeo,  organo individuale che non può esercitare alcun mandato nazionale, o eletto dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata (con i soli voti dei Capi di Stato o di governo e con esclusione del Presidente della Commissione) o per un mandato di due anni e mezzo, rinnovabile una sola volta (art. 15, par. 5, TUE). o Con la stessa procedura il Consiglio europeo può porre fine al mandato del Presidente in caso di impedimento o di colpa grave. L’attuale Presidente è l’ex primo ministro belga Charles Michel, in carica dal 1° dicembre 2019. I compiti del Presidente del Consiglio europeo sono indicati dall'art. 15, par. 6, TUE (ruolo di coordinamento, di preparazione e di mediazione all’interno del Consiglio europeo): «a) presiede e anima i lavori del Consiglio europeo; assicura la preparazione e la continuità dei lavori del Consiglio europeo, in cooperazione con il Presidente della Commissione e in base ai lavori del Consiglio "Affari generali"; si adopera per facilitare la coesione e il consenso in seno al Consiglio europeo; presenta al Parlamento europeo una relazione dopo ciascuna delle riunioni del Consiglio europeo». Il citato par. 6 gli conferisce, inoltre, una funzione di rappresentanza esterna: «Il Presidente del Consiglio europeo assicura, al suo livello e in tale veste, la rappresentanza esterna dell'Unione per le materie relative alla politica estera e di sicurezza comune, fatte salve le attribuzioni dell'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza». Deve però notarsi che una funzione di rappresentanza esterna svolgono anche l'Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, il governo (e il suo Capo) che ha la presidenza semestrale del Consiglio, nonché la Commissione e, in particolare, il suo Presidente.  C'è da augurarsi che tali personalità possano tenere sempre un atteggiamento coeso e coerente; in caso contrario, da un lato, vi è il rischio che l'Unione si esprima con linguaggi differenti e che, dall'altro, i terzi che intendano rivolgersi all'Unione non sappiano quale “numero telefonico chiamare” (Kissinger - "chi devo chiamare se voglio parlare con l'Europa?"). Riunioni e deliberazioni L'art. 15, par. 3, TUE, dispone che il Consiglio europeo si riunisca due volte a semestre, su convocazione del Presidente, il quale, se la situazione lo richiede, convoca una riunione straordinaria. Dichiara al riguardo l'art. 15, par. 4, TUE, formalizzando la pratica del consensus: «Il Consiglio europeo si pronuncia per consenso, salvo nei casi in cui i Trattati dispongono diversamente». 76 CONSENSUS: Procedimento di adozione di atti internazionali, progetti di trattato o risoluzioni di organi internazionali, secondo il quale l’approvazione avviene senza una votazione formale, su presentazione del testo da parte del presidente dell’organo internazionale, in genere accompagnata da una dichiarazione dello stesso che attesta l’accordo tra i membri. L’atto risulta in tal modo approvato se non si registrano voti espressi contrari. Tale procedura viene spesso seguita per l’approvazione delle risoluzioni dell’Assemblea Generale delle N.U. L'accordo generalizzato è constatato dal presidente dell'organo interessato mediante la formula "Is there any objection? If not, it is so approved" [C'è qualche obiezione? Se no, è così approvato]. Questa pratica è stata criticata da ampia dottrina per alcuni aspetti: ad esempio i contenuti vaghi e spesso di compromesso. La ricerca della volontà del collegio, che approva in tal modo la risoluzione, si sposta quindi sulla lettura delle dichiarazioni lasciate a verbale dalle varie delegazioni presenti.  evidenzia in pieno il carattere diplomatico e intergovernativo di tale istituzione. CASI IN CUI I TRATTATI DISPONGONO DIVERSAMENTE: In questi ultimi casi votano soltanto gli Stati membri, tramite i rispettivi Capi di Stato o di governo, mentre il Presidente del Consiglio europeo e il Presidente della Commissione non partecipano al voto (art. 235, par. 1, 2° comma, TFUE): malgrado la presenza di tali organi individuali, il Consiglio resta un'istituzione essenzialmente intergovernativa. L'unanimità, oltre ad essere la modalità più frequente, rappresenta poi la regola nell'azione esterna dell'Unione (art. 22, par. 1, 3° comma, TUE) e nella politica estera e di sicurezza comune (art. 24, par. 1, 2° comma, TUE), compresa la politica di sicurezza e di difesa comune. a. Quando è richiesta l'unanimità, come spesso accade, l'astensione di un membro non osta all'adesione della deliberazione (art. 235, par. 1, rispettivamente 1° e 3° comma, TFUE). In alcuni casi, previsti dai Trattati, il Consiglio europeo decide a maggioranza qualificata o, più raramente, a maggioranza semplice. b. Quando, invece, è prescritta la maggioranza qualificata trovano applicazione le stesse regole previste per la votazione nel Consiglio (art. 235, par. 1,2° comma, TFUE) (oltre, par. 8). LE FUNZIONI DEL CONSIGLIO EUROPEO L'art. 15, par. 1, TUE dichiara: «1. Il Consiglio europeo dà all'Unione gli impulsi necessari al suo sviluppo e ne definisce gli orientamenti e le priorità politiche generali. Non esercita funzioni legislative». La formulazione della norma, volutamente alquanto generica, mette in luce la natura eminentemente politica del ruolo del Consiglio europeo, natura che si riflette anche sugli atti che esso emana e che non possono avere natura legislativa.  Gli atti del Consiglio europeo (conclusioni, alle quali possono aggiungersi comunicati e dichiarazioni), in principio, non hanno efficacia giuridica, mentre sul piano politico possono avere notevole rilevanza, in quanto recanti direttive o orientamenti rivolti alla Commissione e al Consiglio e diretti a promuovere loro iniziative formali, in vista dell'adozione di atti o dello sviluppo di politiche dell'Unione. Accordi tra Stati nel Consiglio europeo Non può escludersi, inoltre, che in seno al Consiglio europeo possano realizzarsi degli accordi tra gli Stati membri, sia pure in maniera implicita ed in forma semplificata.  Ci sembra che una siffatta possibilità debba ammettersi con la massima prudenza, posto che, proprio per la natura essenzialmente politica del ruolo del Consiglio europeo, di regola non può riconoscersi nelle posizioni dei partecipanti una volontà di obbligare giuridicamente i propri Stati sul piano del diritto internazionale.  Dichiarazione UE – Turchia, adottata in seno al Consiglio europeo il 18 marzo 2016, con la quale sono state convenute forme di collaborazione in materia di immigrazione. Sebbene sia opinione diffusa che essa costituisca un accordo tra l’Unione europea e la Turchia, il Tribunale dell’Unione ha affermato che tale Dichiarazione, quale che sia la sua natura (giuridica o soltanto politica), non può considerarsi un atto dell’Unione. 77 Il ruolo del Consiglio europeo nell’azione esterna e nella PESC Il Consiglio europeo svolge un ruolo di primo piano nell'azione esterna dell'Unione e, in particolare, nel l'ambito della politica estera e di sicurezza comune, compresa la politica di sicurezza e di difesa comune, che ne costituisce parie integrante e che assicura che l'Unione disponga di una capacità operativa con mezzi civili e militari (art. 42, par. 1, TUE). In questo contesto il Consiglio europeo adotta anche atti formali, provvisti di effetti giuridici obbligatori. Così l'art. 22, par. 1, TUE, dispone: «1. Il Consiglio europeo individua gli interessi e obiettivi strategici dell'Unione sulla base dei principi e degli obiettivi enunciati all'articolo 21. Le decisioni del Consiglio europeo sugli interessi e gli obiettivi strategici dell'Unione riguardano la politica estera e di sicurezza comune e altri settori dell'azione esterna dell'Unione. Possono riferirsi alle relazioni dell'Unione con un paese o una regione o essere improntate ad un approccio tematico. Esse fissano la rispettiva durata e i mezzi che l'Unione e gli Stati membri devono mettere a disposizione. Il Consiglio europeo delibera all'unanimità su raccomandazione del Consiglio adottata da quest'ultimo secondo le modalità previste per ciascun settore. Le decisioni del Consiglio europeo sono attuate secondo le procedure previste dai trattati». Articolo 26 TUE «1. Il Consiglio europeo individua gli interessi strategici dell'Unione, fissa gli obiettivi e definisce gli orientamenti generali della politica estera e di sicurezza comune (attuata dall'Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza), ivi comprese le questioni che hanno implicazioni in materia di difesa». Adotta le decisioni necessarie. Al Consiglio europeo l'art. 42, par. 2, TUE assegna il potere di "decidere" in merito alla definizione di una difesa comune dell'Unione: «La politica di sicurezza e di difesa comune comprende la graduale definizione di una politica di difesa comune dell'Unione. Questa condurrà a una difesa comune quando il Consiglio europeo, deliberando all'unanimità, avrà così deciso. In questo caso, il Consiglio europeo raccomanda (raccomandazione, di per sé non vincolante) agli Stati membri di adottare una decisione in tal senso conformemente alle rispettive norme costituzionali (le norme sulla ratifica dei trattati internazionali)». Interventi del consiglio europeo in altre materie Il Consiglio europeo interviene anche in talune materie estranee all'azione esterna dell'Unione. a. L'art. 121, par. 2, TFUE, dichiara che il Consiglio europeo dibatte delle conclusioni in merito agli indirizzi di massima per le politiche economiche degli Stati membri e dell'Unione, sulla base delle quali il Consiglio adotta una raccomandazione che definisce i suddetti indirizzi di massima. b. Analogamente, ai sensi dell'art. 148 TFUE, il Consiglio europeo esamina annualmente la situazione dell'occupazione nell'Unione, a partire dalla relazione annuale comune del Consiglio e della Commissione, e adotta le conclusioni del caso. Controllo giudiziario sull’operato del Consiglio europeo Anteriormente al Trattato di Lisbona non era consentito alcun controllo giudiziario sull'operato del Consiglio, tanto che in un caso in cui, in maniera alquanto sorprendente, un privato aveva impugnato una dichiarazione del Consiglio europeo, nel 1995 il Tribunale di primo grado dichiarò il ricorso irricevibile, in quanto i Trattati non comprendevano/escludevano gli atti del Consiglio europeo dal controllo della Corte. Con il Trattato di Lisbona, per la prima volta, è stata prevista la possibilità di impugnare dinanzi alla Corte di giustizia atti del Consiglio europeo ritenuti illegittimi, purché destinati a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi (art. 263.1 TFUE), nonché di effettuare i ricorsi in carenza (art. 265.1 TFUE).  Tuttavia, di regola, è esclusa la competenza della Corte di giustizia nell'intera materia della politica estera e di sicurezza comune (art. 24, par 1, 2° comma, TUE), unico ambito in cui il Consiglio Europeo produce atti giuridicamente obbligatori. 80 LA VOTAZIONE DEL CONSIGLIO (non spiegato) Il sistema di votazione nel Consiglio è disciplinato dallʼart.16, paragrafi da 3 al 5 TUE, integrato dallʼart. 238 TFUE.  Quorum richiesto perché il Consiglio possa procedere alla votazione: presenza della maggioranza dei membri aventi titolo a votare. Art. 16 par. 3, TUE: “Il consiglio delibera a maggioranza qualificata, salvo nei casi in cui i Trattati dispongano diversamente” A fronte di tale regola generale, l’art. 238 richiama altre due procedure, applicabili solo quando espressamente prescritte dalla disposizione in questione: maggioranza semplice e unanimità art. 238 TFUE, “per le deliberazioni che richiedono la maggioranza semplice, il Consiglio delibera alla maggioranza dei membri che lo compongono”. Attualmente quindi servono almeno 14 voti favorevoli. art. 238 par. 4 TFUE “le astensioni dei membri presenti o rappresentanti non ostano all’adozione delle deliberazioni del Consiglio per le quali è richiesta l’unanimità”. Da questa disposizione di evince che, mentre l’astensione non impedisce il raggiungimento dell’unanimità, questa è preclusa, e la delibera non è approvata, in caso di assenza di un membro. Votazione a maggioranza qualificata La disciplina introdotta dallʼart. 16, par. 4, TUE e dall’art. 238, par. 2, TFUE relativa alla votazione a maggioranza qualificata si applica dal 1° novembre 2014.  Art. 3, par. 2, protocollo n. 36 sulle disposizioni transitorie: dal 1° Novembre 2014 al 31 Marzo 2017 ogni membro poteva richiedere l’applicazione della disciplina previgente. Dal 1° Aprile 2017 la nuova disciplina introdotta dal Trattato di Lisbona ha potuto sostituirsi a quella “transitoria” preesistente. 1. Quest’ultima era caratterizzata dal sistema di ponderazione, nel quale gli Stati membri non avevano un voto ciascuno, ma al voto dei diversi Stati era assegnato un differente coefficiente numerico.  Coefficiente: frutto di una valutazione dell’importanza di ciascuno Stato (sotto il profilo politico, economico, demografico), come risulta dall’assegnazione del valore di 29 al voto dei quattro “grandi”, Germania, Francia, Italia e Regno Unito. Lʼart. 3, par. 3, prevedeva una duplice maggioranza, a. una fondata sulla ponderazione del voto, b. l’altra sul numero degli Stati votanti, posti sullo stesso piano; c. a questi due elementi se ne può aggiungere un terzo basato sulla popolazione europea. Nella prassi? La regola della maggioranza qualificata con voto ponderato era prevista già nei testi originari dei Trattati comunitari. Tuttavia, dopo una grave crisi politica culminata con il temporaneo abbandono del Consiglio da parte della Francia (c.d. politica della sedia vuota), che contestava il l’uso della regola della maggioranza nel Consiglio, era invalso il sistematico ricorso all’unanimità. 2. La votazione all’unanimità era diventata così la regola generale, con evidente accentuazione del metodo intergovernativo e della ricerca dell’accordo tra gli Stati, disponendo, praticamente, ogni Stato membro di un diritto di veto. 3. Tale regola restò in vita sino allʼAtto unico europeo del 1986, dopo il quale si tornò a votare, nei casi previsto dal Trattato sulla Comunità economica europea, a maggioranza. 81 4. Inoltre, anche dopo il Trattato di Maastricht il Consiglio ha preso una decisione relativa all’adozione di delibere a maggioranza.  c.d. compromesso di Ioannina: secondo questa decisione, quando la minoranza, pur non essendo sufficiente a impedire l'adozione della deliberazione, era numericamente importante, il Consiglio avrebbe fatto tutto il possibile per raggiungere entro un tempo ragionevole una soluzione soddisfacente che potesse convogliare una maggioranza più ampia di quella minima necessaria per l'approvazione. 5. Anche questo compromesso è venuto meno a seguito dell'allargamento dell’Unione. Ma l’insofferenza ad accettare la regola della maggioranza, sebbene qualificata, è riemersa anche in occasione delle modifiche al sistema di votazione a maggioranza qualificata apportate dal Trattato di Lisbona, tanto da condurre ad una riedizione del compromesso di Ioannina. Secondo la nuova disciplina, attualmente in vigore, “per maggioranza qualificata si intende almeno il 55% dei membri del Consiglio, con un minimo di quindici, rappresentanti Stati membri che totalizzino almeno il 65% della popolazione dell'Unione;” La nuova regolamentazione della maggioranza qualificata comporta a. l’eliminazione della ponderazione del voto (la maggioranza del 55% dei membri del Consiglio presuppone che ognuno disponga di un solo voto). b. A questa prima maggioranza, che deve comprendere almeno quindici membri, deve poi corrispondere una seconda maggioranza, il 65% della popolazione complessiva dell’Unione, maggioranza che consente agli Stati più importanti, un recupero di potere, almeno sotto l’aspetto demografico. Il periodo successivo dellʼart. 16 par. 4 TUE prevede che “la minoranza di blocco deve comprendere almeno quattro membri del Consiglio; in caso contrario la maggioranza qualificata si considera raggiunta”.  Ratio: condizione ulteriore aggiunta al fine di evitare che un esiguo gruppo di Stati, ma dotati di vasta popolazione, sia in grado di impedire la maggioranza del 65% della popolazione. Va ricordata una decisione del Consiglio, incorporata nella Dichiarazione n. 7, entrata in vigore con il Trattato di Lisbona, che fa ulteriori concessioni a Stati che, pur essendo in minoranza, presentino una certa consistenza:  Meccanismo ispirato al c.d. Compromesso di Ioannina: se un numero di membri del Consiglio che rappresenti almeno il 55% della popolazione o almeno il 55% del numero degli Stati membri, necessari per costituire una minoranza di blocco, manifesta l’intenzione di opporsi all’adozione si un atto a maggioranza qualificata, il Consiglio discute la questione. o si consente ad una significativa minoranza, ma non tale da impedire il raggiungimento della prescritta maggioranza qualificata, di sospendere la procedura di votazione e di aprire una fase di negoziato all’interno del Consiglio, il cui esito dovrebbe sfociare in un’ampia maggioranza. Oltre ai sistemi di voti risultano dallʼart. 16 TUE e dallʼart. 238 TFUE specifiche disposizioni dei Trattati prevedono, talvolta, maggioranze diverse. La maggioranza semplice La maggioranza semplice è prevista  in merito alle questioni procedurali e per l'adozione del Regolamento interno del Consiglio (art. 240, par. 3, TFUE),  per la definizione, previa consultazione della Commissione, dello statuto dei comitati previsti dai Trattati (art. 242 TFUE),  per la richiesta alla Commissione di procedere a tutti gli studi che esso ritenga opportuni e di sottoporgli tutte le proposte del caso (art. 241 TFUE) ecc. 82 L’unanimità In passato si era generalizzata, si applica in primo luogo ad ogni modifica dei Trattati. Permangono, tuttavia, molteplici disposizioni che prescrivono tuttora l'unanimità.  Per esempio, l'art. 19, par. 1, TFUE sulle misure contro varie forme di discriminazioni;  l'art. 22 TFUE sulle modalità di elettorato dei cittadini alle elezioni amministrative e del Parlamento europeo nello Stato membro di residenza;  l'art. 113 TFUE sull'armonizzazione delle legislazioni relative alle imposte indirette ecc. La maggior parte delle disposizioni che richiedono l'unanimità stabilisce tale regola nel quadro di procedure legislative speciali e, normalmente, rompe l'equilibrio tra il Consiglio e il Parlamento a favore del primo. Nella PESC l'unanimità del Consiglio costituisce la regola generale, compresa la politica di sicurezza e di difesa comune (cfr. art. 24, par. 1, 2° comma, TUE).  Tale regola conferma quanto sensibile resti per gli Stati membri la materia della politica estera e di sicurezza comune e come ciò comporti il mantenimento di un metodo decisionale di carattere sostanzialmente intergovernativo. o Difficoltà nel raggiungere l’unanimità? Si può ricorrere a forme di cooperazione rafforzata o alla cooperazione strutturata permanente. Maggioranze diverse Oltre ai sistemi di voto risultanti dall'art. 16 TUE e dall'art. 238 TFUE specifiche disposizioni dei Trattati prevedono, talvolta, maggioranze diverse.  talune decisioni nell'ambito della procedura per i disavanzi eccessivi, stabilisce che il Consiglio deliberi a maggioranza qualificata, escludendo il voto dello Stato nel quale esiste il disavanzo;  per la constatazione di un evidente rischio di violazione grave, da parte di uno Stato membro, dei valori di cui all'art. 2 TUE è richiesta la maggioranza dei quattro quinti degli Stati membri.  Cooperazione rafforzata ed integrazione differenziata: Nei casi in cui non tutti i membri del Consiglio prendano parte alle votazioni, la maggioranza qualificata va calcolata in maniera proporzionale al numero degli Stati partecipanti alla votazione Ratifica delle deliberazioni da parte degli Stati membri Talvolta, per espressa previsione dei Trattati, un testo, elaborato a livello europeo con il voto unanime del Consiglio, è sottoposto all'approvazione degli Stati membri in conformità delle rispettive norme costituzionali, p.es. nel caso delle disposizioni intese a completare i diritti dei cittadini dell'Unione (art. 25, 2° comma, TFUE, c.d. clausola evolutiva: tali disposizioni entrano in vigore previa approvazione degli Stati membri, conformemente alle rispettive norme costituzionali.) ecc. In tali casi si ravvisa un procedimento complesso in due fasi: 1. sino alla decisione del "Consiglio 2. la stipulazione di un accordo internazionale. Decisioni prese di comune accordo dai governi degli Stati membri In alcuni casi, molto rari, ì Trattati dispongono direttamente che certe decisioni vengano prese di comune accordo dai governi degli Stati membri. Si tratta  della nomina dei giudici e degli avvocati generali della Corte di giustizia;  della nomina dei giudici del Tribunale;  della determinazione della sede delle istituzioni. In questi casi si è in presenza di accordi, ma che vengono conclusi al di fuori del Consiglio. Accordi internazionali tra Stati membri nell’ambito del consiglio Può ritenersi che, purché sia certa la volontà degli Stati membri di obbligarsi giuridicamente, questi ultimi possano concludere degli accordi anche in seno al Consiglio, in forma semplificata, mancando una successiva ratifica (o atto equipollente di approvazione) da parte degli Stati.  Accordi siffatti sembrano ammissibili qualora integrino e sviluppino le norme e le politiche dell'Unione; p.es., secondo taluni, il citato compromesso di Ioannina, può rappresentare un 85 LA COMMISSIONE La Commissione è organo tipicamente sopranazionale (come era espressamente qualificata nel Trattato CECA l'Alta Autorità, dalla quale trae origine) tenuto ad operare nell'esclusivo interesse dell'Unione, in posizione di piena indipendenza rispetto sia agli Stati membri che a qualsiasi ente o potere. Essa rappresenta l'interesse generale e unitario dell'Unione ed è formata da individui indipendenti, i quali si caratterizzano anche per la loro competenza (talvolta denominata governo di "tecnocrati"). I commissari, originariamente nove, sono attualmente ventisette (un cittadino di ciascuno Stato membro), ma il Trattato di Lisbona ne prevedeva la riduzione; 1. In una prima fase, fino al 31 ottobre 2014, la Commissione sarebbe rimasta formata da un cittadino di ciascuno Stato membro, compreso il Presidente e l'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, che è uno dei vicepresidenti (art. 17, par. 4, TUE). 2. Tale composizione sarebbe cambiata dal 1° novembre 2014, ai sensi dell'art. 17, par. 5.1, TUE: «A decorrere dal 1° novembre 2014, la Commissione è composta da un numero di membri, compreso il Presidente e l'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, corrispondente ai due terzi del numero degli Stati membri, a meno che il Consiglio europeo, deliberando all'unanimità, non decida di modificare tale numero». I timori degli Stati Membri di sentirsi emarginati da una Commissione più ristretta (sebbene i commissari non siano organi o espressione degli Stati di cittadinanza e siano assolutamente indipendenti) Il Consiglio Europeo, il 22 maggio 2013, ha adottato la decisione 2013/272/UE affinché la Commissione continui a comprendere un cittadino di ciascuno Stato membro. «La Commissione è composta da un numero di membri, compreso il Presidente e l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, pari al numero degli Stati membri» (art. 1). La novità del Trattato di Lisbona non ha avuto, quindi, alcun seguito. Competenza, indipendenza ed impegno europeo dei membri della Commissione A tali requisiti, il trattato di Lisbona ha aggiunto “l’impegno europeo”. Art. 17, par. 3.2 TUE: «I membri della Commissione sono scelti in base alla loro competenza ge nerale e al loro impegno europeo e tra personalità che offrono tutte le garanzie di indipendenza». L'indipendenza dei commissari è regolata scrupolosamente dallo stesso art. 17 TUE, nonché dall'art. 245 TFUE, ed è garantita da un mecca nismo sanzionatorio in caso di violazione . Dichiara infatti l'art. 17, par. 3, 3° comma, TUE: «La Commissione esercita le sue responsabilità in piena indipendenza. Fatto salvo l'articolo 18, paragrafo 2 [relativo all'Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza], i membri della Commissione non sollecitano né accettano istruzioni da alcun governo, istituzione, organo o organismo. Essi si astengono da ogni atto incompatibile con le loro funzioni o con l'esecuzione dei loro compiti». L'art. 245 TFUE aggiunge: «I membri della Commissione si astengono da ogni atto incompatibile con il carattere delle loro funzioni. Gli Stati membri rispettano la loro indipendenza e non cercano di influenzarli nell'adempimento dei loro compiti. I membri della Commissione non possono, per la durata delle loro funzioni, esercitare alcun'altra attività professionale, remunerata o meno. Fin dal loro insediamento, essi assumono l'impegno solenne di rispettare, per la durata delle loro funzioni e dopo la cessazione di queste, gli obblighi derivanti dalla loro carica, ed in particolare i doveri di onestà e delicatezza per quanto riguarda l'accettare, dopo tale cessazione, determinate funzioni o vantaggi. In caso di violazione degli obblighi stessi, la Corte di giustizia, su istanza del Consiglio, che delibera a maggioranza semplice, o della Commissione, può, a seconda dei casi, pronunciare le di missioni d'ufficio alle condizioni previste dall'articolo 247 (il quale richiede che il 86 commissario abbia commesso una "colpa grave") ovvero la decadenza dal diritto a pensione dell'interessato o da altri vantaggi sostitutivi». Il regime sanzionatorio dei commissari: il ricorso alla Corte di giustizia dal Consiglio o dalla Commissione La Commissione presieduta da Romano Prodi, dopo taluni episodi allarmanti, avvertì la necessità di precisare ancor più correttamente gli obblighi dei commissari e, al fine di garantire il massimo livello di correttezza e di moralità nello svolgimento dei propri compiti, adottò un codice di condotta per i commissari. (versione vigente adottata con decisione del 31 gennaio 2018) 1. Un primo caso fu sottoposto dal Consiglio alla Corte di giustizia il 3 agosto 1999 contro Martin Bangemann, ex membro della Commissione competente per il settore delle tecnologie dell'informazione e delle telecomunicazioni, per violazione del dovere di delicatezza, poiché lo stesso aveva accettato una occupazione presso la società Telefonica, una delle più importanti imprese di tale settore.  La violazione del dovere di delicatezza, secondo il Consiglio, poneva “in pericolo la reputazione della Commissione quale istituzione indipendente e apartitica”. Tale caso non fu giudicato dalla Corte, poiché si raggiunse una composizione amichevole tra l'inte- ressato e il Consiglio. 2. Un nuovo ricorso è stato presentato alla Corte dalla Commissione il 19 luglio 2004 contro l'ex commissaria Edith Cresson, la quale aveva fatto assumere come "ospite scientifico" presso la Commissione un suo stretto conoscente per utilizzarlo, in realtà, come suo consigliere personale, in violazione di diverse norme.  La Corte quindi, nella sentenza dell'11 luglio 2006, causa C-432/04, Commissione c. Cresson, ha affermato che «I membri della Commissione devono far prevalere in ogni momento l'inte resse generale della Comunità [oggi dell'Unione] non solo sugli interessi nazionali, ma anche sugli interessi personali ciò non significa che un minimo scostamento da tali norme possa essere condan nato in forza dell'art. 213, n. 2, CE [oggi art. 245 TFUE]. È necessario che sia stata commessa una violazione di una certa gravità». Essa, pertanto, ha dichiarato che la signora Edith Cresson aveva violato gli obblighi derivanti dalla sua carica di membro della Commissione, ma ha dispensato la stessa da decadenza dalla pensione o da altri vantaggi, ritenendo che, alla luce delle circostanze della fattispecie, la con- statazione della violazione costituiva, di per sé, una sanzione adeguata. LA NOMINA, LA CESSAZIONE E L’ORGANIZZAZIONE DELLA COMMISSIONE Originariamente i suoi membri erano nominati di comune accordo dai governi degli Stati membri, quindi all'unanimità e al di fuori del quadro istituzionale europeo. Le successive revisioni hanno condotto il procedimento di nomina nell'alveo dell'Unione, a. hanno eliminato l'unanimità, b. hanno assegnato un potere decisionale al Parlamento europeo e c. un ruolo di partecipazione al Presidente della Commissione. Il mandato della Commissione è di cinque anni. La nomina della Commissione Art. 17, par. 7, TUE 1° FASE La prima fase della nomina della Commissione si realizza mediante l’elezione da parte del Parlamento europeo, a maggioranza dei membri che lo compongono, del Presidente della Commissione medesima. 1. In particolare, il candidato alla presidenza della Commissione è proposto al Parlamento dal Consiglio europeo, che ne delibera la designazione a maggioranza qualificata, tenuto conto della 87 composizione del Parlamento e dopo aver effettuato adeguate consultazioni. Il candidato alla Presidenza è invitato, prima della votazione per la sua elezione, a fare una dichiarazione ed a presentare i suoi orientamenti politici al Parlamento, cui segue una discussione alla quale è invitato a partecipare anche il Consiglio europeo. o Se il candidato proposto non viene eletto dal Parlamento, il Consiglio europeo, deliberando a maggioranza qualificata, propone entro un mese al Parlamento un altro candidato, che può essere eletto mediante la suddetta procedura, e così via fino a quando il Parlamento non elegge il Presidente con la prescritta maggioranza. Tale procedura induce a prefigurare il candidato Presidente della Commissione come politicamente coerente con la maggioranza parlamentare (se non addirittura “espressione” di tale maggioranza), subordinando sempre di più l’individuazione del Presidente all’orientamento politico del Parlamento.  La figura, quindi non dovrebbe essere più espressione di una scelta e di una decisione autonome degli Stati membri, quanto il frutto della individuazione della persona che sia in grado di ottenere la “fiducia” dello stesso Parlamento SPITZENKANDIDAT  La prassi dei capilista (Spitzenkandidaten), secondo cui i principali raggruppamenti politici si dovrebbero presentare ciascuno con un proprio candidato alla Presidenza della Commissione, è stata fortemente sostenuta dal Parlamento europeo nella decisione del 7 febbraio 2018 e seguita dai principali partiti nelle elezioni del maggio 2019. Tuttavia…  URSULA VON DER LEYEN?  il Consiglio europeo non ha tenuto conto di tali indicazioni, né dei risultati elettorali, e, ha designato quale Presidente della Commissione la ex ministra tedesca Ursula von der Leyen. o Il metodo usato per tale scelta, di stampo marcatamente intergovernativo e incentrato sull’asse franco-tedesco, rappresenta un regresso sul piano democratico. (16 luglio 2019 con soli 383 voti a favore, ben 327 contro e 22 astensioni, rischiando una solenne bocciatura). Riflessione…Malgrado tale vicenda, alla luce della normativa sulla nomina del presidente, è forse da chiedersi se sia ancora pienamente attuale la visione della stessa Commissione quale istituzione formata da persone scelte in base alla loro competenza, impegno europeo e che offrano garanzie di indipendenza, o se tale considerazione vada temperata con una colorazione “politica” della stessa commissione. 2° FASE Una volta eletto il Presidente, ha inizio la seconda fase di nomina della Commissione, nella quale interviene il Consiglio, 1. il quale, sulla base delle proposte di ciascuno Stato membro e in accordo con il Presidente eletto, adotta l’elenco dei candidati a far parte della Commissione. 2. Questi sono invitati a presentarsi di fronte alle commissioni parlamentari competenti in relazione ai rispettivi incarichi, in audizione pubblica, per formulare una dichiarazione e rispondere a domande. 3. In esito all’audizione, può accadere che un candidato non incontri il favore della rispettiva commissione parlamentare, nel qual caso il Consiglio, in accordo con il Presidente eletto, può essere indotto a sostituirlo. 3° FASE La fase finale della nomina della Commissione include 1. la presentazione da parte del Presidente eletto del collegio dei commissari e del suo programma, in occasione di una seduta del Parlamento alla quale sono invitati tutti i membri del Consiglio, cui segue una discussione. 2. In esito alla discussione, un gruppo politico o almeno quaranta deputati possono presentare una proposta di risoluzione. 90 ii. il Parlamento (anche al fine di evitare di censura del Parlamento verso l’intera Commissione, considerato che il Parlamento non può sfiduciare il singolo). (Commissione Santer, la censura non fu approvata ma la Commissione si dimise collettivamente, compresi i commissari che avevano operato egregiamente) LE FUNZIONI DELLA COMMISSIONE Le funzioni della Commissione sono previste dall'art. 17, par. 1, TUE: «La Commissione a. promuove l'interesse generale dell'Unione e adotta le ini ziative appropriate a tal fine. b. Vigila sull'applicazione dei Trattati e delle misure adottate dalle istituzioni in virtù dei Trattato. c. Vigila sull'applicazione del diritto dell'Unione sotto il controllo della Corte di giustizia dell'Unione europea. d. Dà esecuzione al bilancio e gestisce i programmi . e. Esercita funzioni di coordina mento, di esecuzione e di gestione, alle condizioni stabilite dai Trattat i. f. Assicura la rappresentanza esterna dell'Unione, fatta eccezione per la politica estera e di sicurezza comune e per gli altri casi previsti dai Trattati. g. Avvia il processo di programmazione annuale e pluriennale dell'Unione per giungere ad accordi in - teristituzionali». Si possono pertanto distinguere i seguenti poteri/funzioni della commissione: 1. controllo 2. esecuzione 3. iniziativa 4. rappresentanza IL POTERE DI VIGILANZA E CONTROLLO Un compito fondamentale della Commissione è quello di vigi lare sul rispetto del diritto dell'Unione (sia i Trattati che il diritto derivato), in quanto custode, o guardiana, dei Trattati, esercitando la propria vigilanza sugli Stati membri, sulle altre istituzioni, sui privati. Tale potere viene a specificarsi in numerose disposizioni dei Trattati o di atti dell'Unione, tra cui:  il potere generale di vigilanza in materia di regole di concorrenza applicabili alle imprese private e pubbliche, nonché di controllo sugli aiuti di Stato (artt.105 TFUE, 106 TFUE e 108 TFUE)  il potere di vigilanza sul rispetto delle re gole antitrust da parte delle imprese attribuito alla Commissione dal regolamento (CE) n. 1/2003 del 16 dicembre 2002; I poteri istruttori Al potere di vigilanza si accompagna un potere ampio di carattere istruttorio, che, sul piano generale, è riconosciuto dall'art. 337 TFUE: «Per l'esecuzione dei compiti affidatile, la Commissione può raccogliere tutte le informazioni e procedere a tutte le necessarie verifiche, nei limiti e alle condizioni fissate dal Consiglio, che delibera a maggioranza semplice, conformemente alle disposizioni dei Trattati». Tali poteri assumono carattere particolarmente penetrante in determinate materie, come nella vigilanza sulle imprese nell’ambito della disciplina sulla concorrenza. L’attività di vigilanza sull’osservanza del diritto dell’Unione può sfociare in diverse determinazioni delle Commssione… Il ricorso alla corte di giustizia e le ammende pecuniarie  La Commissione può proporre un ricorso alla Corte di giustizia in base all'art. 258 TFUE affinché constati l'infrazione dello Stato. 91  La Commissione può proporre alla Corte un ricorso di annullamento di atti dell'Unione ex art. 263 TFUE o, se del caso, un'azione in carenza, volta a fare constatare la violazione dei Trattati consistente nell'omissione di un atto (art. 265 TFUE).  Quando specifiche norme lo prevedono (come in materia di concorrenza), la Commissione può giungere a inflig gere delle ammende pecuniarie ai privati . L'efficacia di queste ultime è accresciuta dal loro valore di titolo esecutivo ai sensi dell'art. 299, 1° comma, TFUE: «Gli atti del Consiglio, della Commissione o della Banca centrale europea che comportano, a carico di persone che non siano gli Stati, un obbligo pecunia rio costituiscono titolo esecutivo . L'esecuzione forzata è regolata dalle norme di procedura civile vigenti nello Stato sul cui territorio essa viene effettuata». N.B. in specifiche materie un potere di vigilanza è attribuito anche al Consiglio, per esempio sui disavanzi pubblici eccessivi, sulla base dell’art. 126 TFUE. In quest’ultima materia non sono mancati problemi di determinazione delle reciproche sfere di competenza tra il Consiglio e la Commissione, che hanno dato luogo a una vicenda giudiziaria, decisa dalla Corte di giustizia con sentenza del 13 luglio 2004, causa C- 27/04, Commissione c. Consiglio. IL POTERE ESECUTIVO L’esecuzione del bilancio dell’Unione La competenza della Commissione nella riscossione delle entrate e nella erogazione delle spese (art. 317 TFUE) è largamente condivisa con gli Stati, specie per quanto riguarda la gestione decentrata dei fondi europei; inoltre, in principio, la Commissione non ha un potere autonomo di decidere come impegnare le spese. Accanto alla competenza sull'esecuzione del bilancio è menzionata la competenza di gestione dei programmi, cioè la competenza ad amministrare programmi e strumenti finanziari europei (si pensi al programma Erasmus+ per la mobilità degli studenti universitari). Le funzioni di gestione riguardano anche i fondi a finalità strutturale, quali i fondi europei in materia agricola, il Fondo sociale europeo, il Fondo europeo di sviluppo regionale (art. 175 TFUE); tali funzioni, peraltro, sono esercitate in collaborazione con le autorità nazionali e regionali. Dalla comitologia alle competenze normative delegate Origine… L’art. 211 del Trattato sulla Comunità europea (relativo alle funzioni della Commissione) dedicava uno specifico riferimento alle competenze di esecuzione conferite alla Commissione dal Consiglio per l’attuazione dalle norme da esso stabilite. Le modalità comportavano  l’istituzione di comitati, composti da rappresentanti degli Stati membri, che affiancavano la Commissione controllando l’esercizio delle sue competenze di esecuzione. La relativa tematica era denominata “comitologia”, dal termine francese comités. Nel trattato di Lisbona il quadro normativo è profondamente mutato,  da un lato , la potestà legislativa non è più concentrata nel Consiglio, ma è condivisa tra il Consiglio e il Parlamento;  dall’altro , la competenza a eseguire gli atti obbligatori dell’Unione appartiene sia agli Stati membri (i quali, anzi, vengono in prioritaria considerazione) che alla Commissione. PROBLEMATICA: la disciplina fondata sulla “comitologia” poneva sullo stesso piano  la funzione strettamente esecutiva (di mera attuazione delle norme emanate dalle istituzioni dotate di poteri legislativi), 92  la funzione parzialmente normativa (di emanazione di misure di portata generale intese a modificare elementi non essenziali dell’atto da eseguire, anche sopprimendo taluni di questi elementi, o completandolo con l’aggiunta di nuovi elementi non essenziali). Al contrario, il Trattato di Lisbona distingue nettamente le due ipotesi, stabilendo una differente disciplina. a. Le funzioni esecutive sono ristrette alla prima ipotesi considerata, cioè dell’adozione di misure di mera attuazione di un atto, b. la seconda ipotesi è ricondotta alle competenze “delegate” della Commissione. A queste competenze è dedicato l'art. 290 TFUE: «1. Un atto legislativo può delegare alla Commissione il potere di adottare atti non legislativi (in quanto adottati dalla Commissione) di portata generale che integrano o modificano determinati elementi non essenziali dell'atto legislativo. Gli atti legislativi delimitano esplicitamente gli obiettivi, il contenuto, la portata e la durata della delega di potere. Gli elementi essenziali di un settore sono riservati all'atto legislativo e non possono pertanto essere oggetto di delega di potere. 2. Gli atti legislativi fissano esplicitamente le condizioni cui è soggetta la delega, che possono essere le seguenti: a) il Parlamento europeo o il Consiglio possono decidere di revocare la delega; b) l'atto delegato può entrare in vigore soltanto se, entro il termine fissato dall'atto legislativo, il Parlamento europeo o il Consiglio non sollevano obiezioni. Ai fini delle lettere a) e b), il Parlamento europeo delibera a maggioranza dei membri che lo compongono e il Consiglio delibera a maggioranza qualificata. 3. L'aggettivo «delegato» o «delegata» è inserito nel titolo degli atti delegati.». L'atto delegato non ha un'efficacia meramente esecutiva dell'atto legislativo, in quanto esso può integrare o modificare determinati elementi non essenziali dell'atto legislativo, mentre quelli essenziali restano nella competenza esclusiva dell'atto legislativo e non possono essere oggetto di delega alla Commissione. Numerosi regolamenti sono stati emanati dalla Commissione su delega del Consiglio in tema di concorrenza, quali i regolamenti di esenzione per categorie in materia di accordi tra imprese (prassi ben presente nella vita dell’Unione). Le competenze di esecuzione degli atti normativi (art. 291. TFUE) «1. Gli Stati membri adottano tutte le misure di diritto interno necessarie per l'attuazione degli atti giuridicamente vincolanti (anche se non legislativi) dell'Unione . Allorché sono necessarie condizioni uniformi di esecuzione degli atti giuridicamente vincolanti dell'Unione, questi conferiscono competenze di esecu zione alla Commissione o, in casi specifici debitamente motivati e nelle circostanze previste agli articoli 24 e 26 del trattato sull'Unione europea, al Consiglio. Ai fini del paragrafo 2, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando mediante regolamenti secondo la procedura legislativa ordinaria, stabiliscono preventivamente le regole e i principi generali relativi alle modalità di controllo da parte degli Stati membri dell'esercizio delle competenze di esecuzione attribuite alla Commissione. 4.1 termini "di esecuzione" sono inseriti nel titolo degli atti di esecuzione»». L’esercizio delle competenze di esecuzione è sottoposto al controllo degli Stati membri, ai quali spetta l’adozione di «… tutte le misure di diritto interno necessarie per l'attuazione degli atti giuridicamente vincolanti dell'Unione». 95  talune disposizioni dei Trattati attribuiscono alla Commissione tale potere, talvolta contemplato nel quadro dei poteri di vigi lanza della Commissione in quanto strumento di controllo sulla condotta degli Stati membri. IL POTERE NORMATIVO (ECCEZIONALE) Non mancano disposizioni che conferiscono alla Commissione un vero e proprio potere normativo,  come l'art. 45, par. 3, lett. d), TFUE, il quale dispone che la Commissione emani regolamenti concernenti le condizioni alle quali i lavoratori subordinati, nell'esercizio della libertà di circolazione, possano rimanere sul territorio di uno Stato membro, dopo aver occupato un impiego. Sia pure in via eccezionale, quindi, la Commissione, oltre a un potere normativo di carattere delegato (art. 290 TFUE) e a un potere esecutivo (art. 291 TFUE), può avere un potere normativo primario, derivante, cioè, direttamente dai Trattati. IL POTERE DI RACCOMANDAZIONE La Commissione dispone anche di un potere di raccomandazione di carattere generale (art. 292 TFUE), non obbligatoria, esercitabile, a nostro parere, ogni qual volta lo ritenga necessario, con il solo limite che riguardi materie rientranti nell'ambito dei Trattati.  Non mancano specifiche disposizioni che espressamente contemplano tale potere, come l'art. 60 TFUE (raccomandazioni in materia di liberalizzazione dei servizi) o l'art. 97 TFUE (raccomandazioni in materia di trasporti). In qualche caso è previsto anche che la Commissione, quando non abbia un potere esclusivo di proposta, emani pareri. LA RELAZIONE GENERALE SULL'ATTIVITÀ DELL'UNIONE Art. 249.2 TFUE: «La Commissione pubblica ogni anno, almeno un mese prima dell'apertura della sessione del Parlamento europeo, una relazione generale sull'attività dell'Unione». Tale relazione, sottoposta all'esame del Parlamento europeo (art. 233 TFUE), costituisce anche una preziosa fonte di conoscenza sull'attività e i risultati dell'Unione. 96 L’ALTO RAPPRESENTANTE DELL’UNIONE PER GLI AFFARI ESTERI E LA POLITICA DI SICUREZZA Presidente nel Consiglio "Affari esteri" e, nel contempo, componente della Commissione, della quale è uno dei vicepresidenti (art. 18, par. 4, TUE): solo la prassi potrà dirci se, ed in quale misura, egli riuscirà a conciliare i due ruoli, di "mandatario" del Consiglio, a servizio, quindi, degli interessi e della logica intergovernativa, e di componente della Commissione, a servizio, al contrario, degli interessi oggettivi e unitari dell'Unione europea. I rapporti con gli organi intergovernativi Il Consiglio europeo  non solo decide sulla sua nomina, ma  ha anche il potere di determinare, con la medesima procedura (cioè, a maggioranza qualificata e con l'accordo del Presidente della Commissione), la fine del suo mandato (art. 18, par. 1, TUE). Egli, inoltre, è qualificato come "mandatario" del Consiglio, soggetto, quindi, alle sue determinazioni Art. 18, par. 2 TUE «L'Alto rappresentante guida la politica estera e di sicurezza comune dell'Unione. Contribuisce con le sue proposte all'elaborazione di detta politica e la attua in qualità di mandatario del Consiglio . Egli agisce allo stesso modo per quanto riguarda la politica di sicurezza e di difesa comune». I rapporti con la Commissione L'Alto rappresentante fa parte anche della Commissione e ne è vicepresidente. 1. La sua nomina (e l'eventuale revoca) deve essere deliberata dal Consiglio europeo d'accordo con il Presidente della Commissione. 2. la sua nomina (come per tutti i membri della Commissione) è subordinata all'approvazione del Parlamento europeo, il quale, nel contesto del rapporto di fiducia che intercorre con la Commissione, ha dunque il potere di impedire la nomina di un candidato ad Alto rappresentante. 3. Egli, inoltre, resta soggetto alla eventualità di una mozione di censura da parte del Parlamento europeo che determina le dimissioni collettive dei membri della Commissione. L'art. 234.2, TFUE precisa che, in caso di approvazione della mozione di censura, «l'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza si dimette dalle funzioni che esercita in seno alla Commissione», mentre permane, evidentemente, nelle altre funzioni che gli competono ai sensi dei Trattati, in specie nella qualità di mandatario del Consiglio.  Non è chiaro, però, come potrebbe coesistere un Alto rappresentante "sfiduciato" dal Parlamento eu- ropeo con una nuova Commissione (alla quale resterebbe presumibilmente estraneo). Nell’ambito della Commissione le funzioni dell’alto rappresentante sono delineate dall'art. 18, par. 4, TUE nei termini seguenti: «Vigila sulla coerenza dell'azione esterna dell'Unione. In seno alla Commissione, è incaricato delle responsabilità che incombono a tale istituzione nel settore delle relazioni esterne e del coordinamento degli altri aspetti dell'azione esterna dell'Unione». N.B. L'Alto rappresentante è sottratto al divieto generale, secondo il quale tali membri non sollecitano né accettano istruzioni da alcun governo, istituzione, organo o organismo, nella misura in cui, ai sensi dell'art. 18, par. 2, TUE, opera quale mandatario del Consiglio e attua la politica estera e di sicurezza comune (art. 17, par. 3, 3° comma, TUE). La PESC 97 Numerose disposizioni dei Trattati (essenzialmente di quello sull'Unione europea) stabiliscono le sue funzioni nell'ambito generale dell'azione esterna dell'Unione e, più specificamente, nel quadro della politica estera e di sicurezza comune. 1. Sul piano generale l'art. 21, par. 3, 2° comma, TUE dichiara – come si è accennato – che l'Alto rappresentante assiste il Consiglio e la Commissione nel loro compito di garantire la coerenza tra i vari settori dell'azione esterna e tra questi e le altre politiche dell'Unione. 2. Molto più dettagliate e specifiche sono le disposizioni in materia di politica estera e di sicurezza comune, compreso il settore della politica di sicurezza e di difesa comune. Può dirsi, in maniera sintetica, che l'Alto rappresentante svolge una funzione:  di proposta (di questioni o di iniziative) nei confronti del Consiglio,  di attuazione delle decisioni dello stesso Consiglio, così come del Consiglio europeo,  di rappresentanza dell'Unione nei rapporti con i terzi, di consultazione. In proposito va richiamato l'art. 27 TUE: «1. L'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, che presiede il Consiglio "Affari esteri", contribuisce con proposte all'elaborazione della politica estera e di sicurezza comune e assicura l'attuazione delle decisioni adottate dal Consiglio europeo e dal Consiglio . 2. L'Alto rappresentante rappresenta l'Unione per le materie che rientrano nella politica estera e di sicurezza comune. Conduce, a nome dell'Unione, il dialogo politico con i terzi ed esprime la posizione dell'Unione nelle organizzazioni internazionali e in seno alle conferenze internazionali». La politica di sicurezza e difesa comune: le missioni civili e militari Di particolare importanza appaiono le funzioni dell'Alto rappresentante, anche sul piano operativo, nell'attuazione delle missioni, implicanti l'impiego di mezzi civili e militari, previste dall'art. 43 TUE nell'ambito della politica di sicurezza e di difesa comune (c.d. operazioni di Petersberg). Esse comprendono  le azioni in materia di disarmo,  le missioni umanitarie e di soccorso, di consulenza e assistenza in materia militare,  le missioni di prevenzione dei conflitti e di mantenimento della pace e  le missioni di unità di combattimento per la gestione delle crisi, comprese le missioni tese al ristabilimento della pace e le operazioni di stabilizzazione al termine dei conflitti,  missioni che possono contribuire alla lotta contro il terrorismo, anche tramite il sostegno a Paesi terzi per combattere il terrorismo sul loro territorio. Tali missioni sono decise dal Consiglio e spetta all'Alto rappresentante, sotto l'autorità del Consiglio e in stretto contatto con il Comitato politico e di sicurezza di cui all'art. 38 TUE, provvedere a coordinare gli aspetti civili e militari delle stesse missioni. Il servizio europeo per l'azione esterna – SEAE (“diplomatico”) Una significativa novità introdotta dal Trattato di Lisbona consiste nell'istituzione di un servizio europeo per l'azione esterna, posto sotto la direzione dell'Alto rap presentante . L'art. 27, par. 3, TUE dichiara, infatti: «Nell'esecuzione delle sue funzioni, l'Alto rappresentante si avvale di un servizio europeo per l'azione esterna. Il servizio lavora in collaborazione con i servizi diplomatici degli Stati membri ed è composto da funzionari dei servizi competenti del segretariato generale del Consiglio e della Commissione e da personale distaccato dai servizi diplomatici nazionali».