Scarica Risorse Umane. Persone, Relazioni e Valore e più Appunti in PDF di Gestione delle Risorse Umane e Organizzazione solo su Docsity! 1 Gestione delle Risorse Umane Risorse Umane. Persone, Relazioni e Valore INTRODUZIONE – STRATEGIA, RISORSE UMANE E VALORE CAPITOLO 1 - Strategia e risorse umane Una buona business idea è sempre associata a una buona human resource idea. Le strategie devono essere in grado di evolvere, di anticipare le esigenze della domanda, le opportunità offerte dai mercati, i cambiamenti tecnologici, i mutamenti sociali e culturali; quando questo non accade la strategia è destinata a deperire. Es. Henry Ford agli inizi del secolo scorso, costruì la sua strategia creando un’organizzazione basata sulla standardizzazione in grado di impiegare personale con scarsa professionalità, 60 anni più tardi la Toyota divenne uno dei più temibili concorrenti della Ford adottando un’organizzazione flessibile basata su professionalità e su forte coinvolgimento delle persone nelle decisioni. Gli studi di strategia d’impresa hanno introdotto un riferimento progettuale importante, in quanto hanno enfatizzato la dimensione variabile e creativa della strategia, anche se il successo del paradigma strategia-struttura ha sottovalutato l’effetto della struttura sulla strategia. Considerando la struttura nella sua accezione più ampia si riesce a cogliere l’interazione che esiste tra strategia e struttura. 1.1. Strategia e gestione delle risorse umane La relazione fra strategia e gestione delle risorse umane può essere analizzata e costruita attraverso tre approcci, di cui si possono isolare i tratti tipici per meglio segnalare i caratteri distintivi di ciascuno rispetto agli altri: 1. Approccio lineare: la scelta del cosa produrre è tradizionalmente una competenza della strategia e quella del come produrre dell’organizzazione. Questa ripartizione di competenze ha generato il paradigma strategia-struttura che postula una relazione lineare: una volta definita la strategia da parte dell’imprenditore, sarà costruita la struttura più adatta a implementarla e verranno inserite le risorse unione necessarie. La relazione lineare può anche funzionare in ambienti stabili e semplici e quando le conoscenze e il potere decisionale sono molto concentrati al vertice dell’organizzazione. 2. Approccio interdipendente: in presenza di un ambiente complesso e variabile, di un’articolazione interna delle conoscenze e del potere decisionale, l’approccio lineare non è più praticabile. Strategia, struttura e risorse umane si influenzano reciprocamente. La struttura si conforma alla strategia che a sua volta viene influenzata dalla struttura in un processo circolare. Si parla quindi di un approccio interdipendente. Ambiente Ambiente STRATEGIA STRUTTURA GESTIONE DELLE RISORSE UMANE STRATEGIA STRUTTURA GESTIONE DELLE RISORSE UMANE 2 3. Approccio evolutivo: l’organizzazione è però un sistema che apprende e si trasforma attraverso l’azione di una pluralità di soggetti che interagiscono con i cambiamenti ambientali. La struttura conformata sul rapporto impresa-ambiente ha la capacità di modificarsi, evolversi e differenziarsi sotto la spinta di una pluralità di soggetti individuali e collettivi (manager, operai, gruppi professionale, sindacati, tutti gli altri stakeholder). L’ idea di strategia postula la libertà di colui che decide. Nel caso dell’approccio lineare, tale libertà è riconosciuta a un solo attore, unitamente alla capacità di implementare la decisione. Nell’approccio interdipendente essa viene in qualche modo delimitata dalle interdipendenze, che di norma subisce e solo di rado gestisce. La strategia si misura con la capacità di creare alternative che generano valore attraverso la combinazione di elementi di varietà e variabilità che consentono di dominare e sfruttare, piuttosto che subire, la complessità ambientale. L’approccio che ne discende viene allora qualificato come evolutivo. La relazione tra strategia e struttura passa da circolare a contestuale. In tale approccio, oltre all’ambiente, figurano le strategie degli attori e le strutture che governano le relazioni tra gli attori. Con questo modello l’organizzazione è collocata in un contesto sociale, istituzionale e politico più ampio, che include l’insieme di regole, convenzioni e sistemi di sanzione storicamente definiti che fondano le relazioni tra attori. Il modello è evolutivo poiché permette di cogliere anche i processi di trasformazione delle forme istituzionali e in particolare dell’organizzazione in rapporto ai cambiamenti delle tecnologia e dei mercati in differenti contesti nazionali e diverse epoche storiche. Quale strategia? La descrizione dei tre approcci mette in luce il ruolo fondamentale giocato dalla definizione della strategia nell’influenzare le scelte di gestione del personale. A questo proposito, gli studi di strategia fanno riferimento a due classiche impostazioni, quella di Porter e quella definita resources based view. La prima privilegia l’analisi del settore e la posizione assunta dall’impresa al suo interno. Il settore determina il potenziale di redditività che l’impresa può realizzare attraverso il proprio posizionamento. Questo si può concretizzare in tre tipi di strategie competitive alternative: 1. Leadership di costo: il prodotto è uguale a quello dei concorrenti, ma è ottenuto a un costo inferiore; 2. Differenziazione: il prodotto ha caratteristiche che lo differenziano da quello dei concorrenti e lo fanno percepire al cliente come unico; Ambiente Strutture di governo delle transazioni STRATEGIA STRUTTURA GESTIONE DELLE RISORSE UMANE Strategie degli attori 5 3. l’organizzazione della funzione e gli strumenti tecnici per la realizzazione del task. Le forme organizzative adottate si differenziano nelle diverse soluzioni. Si può andare dal caso in cui la DRU non ha alcuna autonomia funzionale al punto di confondersi con la funzione amministrativa al caso di totale integrazione nel vertice strategico. 4. gli indicatori di performance delle diverse attività svolte e della funzione nel suo complesso. 5. la strategia, la cultura e i valori dell’organizzazione in generale e degli addetti alle risorse umane in particolare. I valori e la cultura rappresentano l’identità dell’impresa e sono il risultato del lavoro di tutti i suoi membri presenti e passati. Il task della Dru Il task della Dru è un’espressione che qualifica il modo in cui è definita e interpretata la ragione d’essere di questa funzione aziendale. Essa ingloba le opzioni ideali, culturali e tecniche che discendono dall’orientamento strategico dell’impresa e che sono incorporate nella variabile “strategia, cultura e valori”. Possiamo spiegare tre tipologie di task: 1. amministrazione del personale: il task è definito in termini amministrativi e consiste nella cura degli aspetti giuridici e contabili del rapporto di lavoro; 2. gestione del personale: agli aspetti amministrativi si aggiunge l’attenzione all’integrazione organizzativa delle persone con l’introduzione di strumenti che perseguono l’efficienza e l’efficacia del loro impiego; 3. direzione e sviluppo delle risorse umane: la Dru diventa un fattore costitutivo della strategia e apporta il suo contributo alla costruzione del vantaggio competitivo. I clienti della Dru L’adozione di una concezione della Dru come servizio e quindi di un orientamento volto alla soluzione dei problemi dei destinatari di tale servizio richiede una segmentazione secondo una logica di marketing interno. Questo porta a differenziare i servizi a seconda dei bisogni e delle caratteristiche del “cliente”, della sua capacità di interagire nella produzione del servizio stesso. Per capire tali bisogni e apportare gli strumenti più idonei alla loro soddisfazione non è possibile adottare una visione omogenea e compatta del personale, ma può essere necessario segmentare il personale. Il grado e le modalità di segmentazione sono influenzati dalla configurazione adottata che a sua volta determina i criteri di individuazione dei vari segmenti in una relazione. 1.3. Il modello in azione Mentre le alternative strategiche dispongono di un’ampia gamma di sistemazioni, alcune delle quali sono diventate senso comune manageriale, le alternative in campo di gestione delle risorse umane non sono altrettanto chiare, neanche nella loro formulazione teorica. È possibile tentare di esplicitarne alcune che rispecchiano atteggiamenti culturali, scelte tecniche, risposte a vincoli o opportunità ambientali. Il percorso evolutivo che ha portato gli addetti al personale da funzioni meramente amministrative a quelle che oggi vengono definite di partner strategico del vertice aziendale, ha richiesto una serie di passaggi intermedi alimentati da una migliore comprensione dei fattori che rendono un’azienda competitiva e che ne consentono la trasformazione. Alla luce di queste osservazioni è possibile individuare alcune alternative che sono emerse in fasi evolutive diverse. 6 Amministrazione del personale In una prima configurazione, che può essere definita di “Amministrazione del personale”, il task è caratterizzato da una concezione di tipo contabile-amministrativo, volta ad amministrare il rapporto di lavoro. La funzione del personale ha scarse relazioni con il vertice strategico e con la line operativa, ai quali evidenzia i vincoli amministrativi e dai quali si limita a ricevere gli input informativi necessari per tradurre le loro scelte gestionali in ordine al personale. Gli addetti al personale non interferiscono con le politiche del personale. Queste possono anche essere molto efficaci e apportare un grande contributo alla strategia aziendale. È il caso delle piccole imprese di successo, nelle quali la strategia aziendale è intrinsecamente legata a una filosofia di rapporto con la risorsa umana ed è gestita da un’unica persona (Il fondatore) o da un ristretto nucleo di vertice. Dal punto di vista organizzativo, la funzione è confusa con la direzione amministrativa, di cui costituisce un’appendice. La tecnologia è quella tipica dell’amministrazione. Una concezione del tipo amministrazione del personale, in quanto fornisce un servizio indifferenziato, non opera segmentazioni del personale, se non nel limitato grado richiesto dalla articolazione dei lavoratori in alcune grandi categorie definite per via legislativa e contrattuale. La professionalità degli addetti è generica sugli aspetti gestionali, mentre è normalmente molto sviluppata sugli aspetti giuridico- amministrativi. Il criterio dominante per valutarne la performance è definito dalla correttezza amministrativa e dalla “legittimità”. La cultura, i valori di riferimento e gli orientamenti espressi dagli addetti al personale possono essere diversi da quelli espressi dall’impresa nel suo complesso. Gestione del personale In una seconda configurazione che può essere definita di “Gestione del personale”, il task è caratterizzato in termini gestionali e non solo amministrativi. La direzione del personale definisce politiche specifiche e offre al vertice strategico e alla line operativa i supporti tecnici per implementare le loro scelte strategiche e gestionali in termini di personale. La focalizzazione riguarda gli aspetti direzionali e gestionali del personale. Si può affermare, in altre parole, che a questo punto la correttezza giuridico-amministrativa è comunque assicurata e non costituisce la preoccupazione principale ed esclusiva degli addetti al personale. La direzione del personale può godere di due tipi di autonomia organizzativa: Un’autonomia specialistica che deriva da una collocazione organizzativa autonoma e differenziata rispetto alla funzione amministrativa e alla line. Il suo compito è quello di fornire, da una posizione di staff, senza potere e responsabilità diretti sulla gestione del personale, supporti tecnici alla line, in ambiti che richiedono strumenti professionali. Un’autonomia politica, che conferisce ai responsabili del personale un potere diretto sulle politiche delle risorse umane. Dal punto di vista organizzativo, la direzione del personale risponde direttamente ai vertici aziendali e ha un’autorità funzionale sulla line per tutti i problemi che attengono al personale. Le politiche del personale, in ogni caso, si collocano rispetto alla strategia aziendale in una posizione residuale e adattiva o interdipendente. La professionalità degli addetti è normalmente generica per quanto riguarda gli aspetti di gestione aziendale, mentre è elevata sugli aspetti tecnici di direzione del personale con uso di strumentazioni che possono essere anche molto sofisticate e formalizzate. La valutazione della performance della direzione del personale si basa su criteri di efficienza e di efficacia nell’impiego del personale, con una prevalenza di un’ottica di breve periodo e di soluzione di problemi specifici. 7 Direzione e sviluppo delle risorse umane La terza configurazione può essere definita “Direzione e sviluppo delle risorse umane” ed è basata sull’adozione di un’ottica strategico-sistemica volta a ricercare organicamente compatibilità e coerenze reciproche tra scelte strategiche e politiche del personale. Le politiche del personale sono in questo caso concepite ed evolvono con la strategia dell’impresa. La funzione del personale è focalizzata sulle problematiche strategiche, direzionali e operative ed è integrata nei massimi livelli decisionali dell’impresa. La Direzione Risorse Umane partecipa al processo di programmazione aziendale non solo ricevendo input, ma anche fornendone. Attraverso le politiche del personale vengono costruiti elementi importanti del vantaggio competitivo La segmentazione del personale è molto sviluppata ed è alla base di un vero e proprio marketing interno. La segmentazione è pluridimensionale e procede in senso orizzontale, professionale e culturale fino ad arrivare a politiche personalizzate per certi gruppi professionali o per certe figure chiave. L’attenzione agli stakeholder esterni è sviluppata se e in quanto possono influenzare l’immagine sociale dell’azienda. Le tecniche usate in questa configurazione possono anche essere molto evolute, senza però eccessive formalizzazioni. La professionalità degli addetti è elevata tanto sugli aspetti di gestione aziendale quanto su quelli tecnici di gestione e sviluppo delle risorse umane, ma probabilmente senza esasperazioni specialistiche che porterebbero, come hanno portato in talune versioni della configurazione definita di “Gestione del personale”, a sofisticazioni fini a se stesse. Il criterio dominante per valutare la performance della direzione del personale diventa la capacità di alimentare il vantaggio competitivo, attraverso lo sviluppo di caratteristiche distintive delle risorse umane aziendali. I professionisti della direzione del personale devono conoscere il business e interpretarne, ma spesso anticiparne, le esigenze. Essi hanno un ruolo centrale nel caratterizzare, consolidare e diffondere la cultura aziendale e, quando necessario, gestirne il cambiamento. La configurazione “Direzione e sviluppo delle risorse umane” può essere ulteriormente caratterizzata in termini di gestione di quelli che sono stati definiti invisible assets. Il task della Direzione Risorse Umane nella gestione di questi invisible assets dovrebbe concentrarsi nello sviluppo del loro valore e nella continua ricerca di coerenza con la strategia dell’impresa, con le condizioni ambientali e l’organizzazione interna. 1.4. Il modello di Ulrich Una specificazione e un approfondimento della configurazione Direzione e sviluppo delle risorse umane si può trovare nella sistemazione di Dave Ulrich che può essere sintetizzata nell’espressione “direzione multiruolo”, che sottolinea il fatto che i professionisti delle risorse umane devono nello stesso tempo assicurare la copertura di ruoli strategici e operativi, essere controllori e partner, assumere responsabilità su obiettivi qualitativi e quantitativi, di breve e di lungo termine. I ruoli sono ordinati su due assi: quello verticale che riguarda il focus (strategico o operativo) e l’orientamento (di breve o lungo termine), quello orizzontale i processi e le persone. Nei quadranti in alto troviamo i ruoli più strategici. Il business partner (orientamento strategico di lungo periodo e focalizzazione dei processi) contribuisce ad assicurare il successo dell’impresa aumentando la capacità dell’organizzazione di implementare la strategia attraverso: La riduzione dei tempi di passaggio dalla concezione della strategia alla sua esecuzione; Una migliore capacità di rispondere alle domande dei clienti; Il conseguimento di migliori risultati. L’agente del cambiamento svolge un ruolo di guardiano e di catalizzatore della cultura aziendale che costituisce uno dei principali “oggetti” di intervento nei processi dl trasformazione e di cambiamento. 10 Motivazioni: schemi mentali, bisogni, spinte interiori che in modo stabile orientano e inducono le azioni dell’individuo; Tratti: caratteristiche fisiche e psichiche dell’individuo; Idea di sé: atteggiamenti, valori, concetto dì sé; Conoscenze: informazioni, teorie, concetti su un determinato campo disciplinare; Skill: capacità di eseguire un determinato compito fisico o mentale. Le competenze sono l’esito di un processo di apprendimento continuamente mutevole. Queste devono essere scoperte, stimolate, indirizzate, conservate e difese dall’obsolescenza. 2.3. Le relazioni Le relazioni comprendono la definizione del contratto in senso tecnico-giuridico, ma anche in senso psicologico, organizzativo e sociale. Accanto al concetto di capitale umano è oggi spesso usato quello di social capital. Mentre il capitale umano è funzione di competenze, conoscenze e capacità delle persone, il social capital è funzione delle relazioni che le persone attivano, di cui sono parte. Le relazioni contrattuali, le relazioni organizzative sono indubbiamente importanti ma non esauriscono il tessuto relazionale che sta alla base di un’azienda e che la differenzia dalle altre aziende. La costruzione, la gestione di questo tessuto relazionale e la sua estensione anche oltre i confini dell’azienda è una competenza che sempre più deve coinvolgere la Direzione Risorse Umane. Le imprese devono imparare a gestire una pluralità di relazioni con le risorse umane, e quindi con le competenze o, per meglio dire, con i soggetti portatori di tali competenze. La gestione delle relazioni è il campo nuovo e tutto da esplorare nella gestione delle risorse umane. La relazione che l’organizzazione instaura con le persone può essere caratterizzata da due dimensioni. La prima riguarda il rispetto per la persona. Con questa espressione s’intende la correttezza giuridica, contrattuale, organizzativa della relazione. La seconda riguarda il coinvolgimento emotivo, l’attenzione. La tradizionale Direzione Risorse Umane spesso cura esclusivamente la prima dimensione e trascura del tutto la seconda. Combinando le due dimensioni possiamo individuare quattro configurazioni. La prima in basso a sinistra si realizza quando l’impresa ha un orientamento opportunistico non cura né la correttezza, né la sostanza della relazione. La seconda, in altro a sinistra è tipica delle piccola azienda padronale che attraverso un orientamento paternalistico cerca un coinvolgimento emotivo delle persone. La terza, in basso a destra, è un’azienda tecnocratica o burocratica che rispetta te persone e le relazioni formali ma senza alcuna implicazione emotiva. L’ultima in alto a destra, si configura come un’organizzazione integrata. 2.4. La prestazione La prestazione richiesta, nelle impostazioni tradizionali, discende da un’organizzazione del lavoro e da una tecnologia relativamente stabili. Esistono ancora situazioni di questo tipo e hanno la loro rilevanza sia in termini quantitativi che economici, ma queste non presentano particolari difficoltà. I problemi sorgono con le attività che non sono stabilizzate e che richiedono un continuo apporto innovativo delle persone. Il cambiamento continuo richiede una capacità di invenzione, se non d’improvvisazione, senza tener conto di programmi di azione precedentemente stabiliti e che devono essere rapidamente adeguati. È qui che emerge il ruolo creativo della persona, contrapposto a quello esecutivo della tecnologia e dei processi. 11 La performance va gestita ed è questo il compito dell’attività direzionale e dell’organizzazione del lavoro, al fine di garantire che la prestazione venga erogata con uno spirito di collaborazione. La regolazione contrattuale non sempre riesce ad assicurare la necessaria collaborazione, per le difficoltà intrinseche allo strumento contrattuale e per i costi assodati alla formulazione di clausole che individuino comportamenti osservabili e controllabili. 2.5. La valorizzazione Le persone hanno una capacità di autogestione e di autosviluppo delle competenze molto maggiore di quanto non venga loro generalmente riconosciuto. In passato le funzioni relative all’organizzazione e al personale hanno rappresentato l’equivalente aziendale della funzione di mediazione politico-istituzionale, e non solo e non tanto perché a più diretto contatto con le organizzazioni sindacali. La reinterpretazione del loro ruolo in termini di servizio strategico e, quindi, l’attenzione al cliente interno, ha costituito un’importante evoluzione, che si è accentuata con l’inserimento del cliente finale nella concezione del servizio fornito. Cambiano le priorità tecniche e politiche, cambiano i criteri di misurazione della performance. Limitandoci alle funzioni organizzazione e personale, il criterio di misurazione diventa quello dell’utilità trasferita al cliente. L’attenzione si sposta da una produttività misurata con criteri interni di rapporto costo-performance a una produttività misurata in termini di impatto sul cliente. Il risultato di questa attenzione al mercato deve retroagire sulle stesse risorse umane che saranno chiamate a partecipare dei benefici sia direttamente sia indirettamente. Direttamente, attraverso formule retributive variabili basate sulla performance. Indirettamente, attraverso piani di crescita professionale. L’adozione di questo modello consente la riconsiderazione di tutte le politiche e le strumentazioni di gestione del personale con la finalità di integrane con le scelte aziendali a rilevanza strategica e operativa. Con il modello del ciclo del valore, è possibile riordinare le priorità logiche delle diverse strumentazioni tecniche, delle politiche e dei rapporti funzionali da attivare nella gestione delle risorse umane. L’attenzione deve essere però costantemente rivolta alla catena del valore aziendale e quella del cliente. Quest’attenzione dovrebbe costituire come una sorta di vaccino contro modelli astratti di gestione delle risorse umane, costringere a un’interazione continua tra i professionisti delle risorse umane e la linea operativa. Valore e vantaggio competitivo Il vantaggio competitivo di un’impresa si basa sulla sua capacità di generare valore in misura maggiore dei concorrenti. Questa capacità dipende da: Risorse che derivano dal capitale fisico; Risorse che derivano dal capitale umano (rappresenta il valore delle persone che operano nell’ organizzazione ed è espresso in termini di composizione demografica, istruzione abilità e competenze.); Risorse che derivano dal social capital (che riguarda la dimensione relazionale dell’impresa ed è perciò chiamato anche capitale razionale, comprende l’intensità e la qualità del rapporto con i clienti i fornitori i partner); Risorse che derivano da un capitale strutturale o organizzativo (comprende la proprietà intellettuale, gli assetti organizzativi, i sistemi gestionali e operativi, la routine). Il sistema di gestione delle risorse umane fa parte di quest’ultima categoria di risorse e può essere analizzato sulla base di tre caratteristiche: valore, rarità e inimitabilità. Il valore è dato dalla capacità delle pratiche di gestione delle risorse umane di ridurre i costi o di aumentare la qualità 12 dei prodotti e dei servizi. La rarità dipende dalla diffusione che hanno le pratiche digestione delle risorse umane. Resta l’imitabilità. Per capire se un sistema di gestione delle risorse umane sia o meno imitabile bisogna analizzare: o La storia e la specifica identità di un’impresa che la possono rendere unica e irripetibile; o L’esistenza di ambiguità causali, che rendono difficilmente correlabile un certo risultato a una data politica; o L’esistenza dì complessità sociale: un vantaggio competitivo che si regge sulla complessità sociale delle interazioni entro l’organizzazione è difficilmente imitabile. 15 uomini e risorse per il raggiungimento dell’obiettivo); e LOW ACHIEVER (hanno un livello basso di autostima e tendono ad attribuire i successi a cause diverse dalle proprie capacità, quali la fortuna l’aiuto degli altri). Alla ricerca di soddisfazione: lo studio di Herzeberg Per rendere dinamica la prospettiva motivazionale, è necessario spostare l’attenzione dai bisogni dell’individuo ai fattori dell’organizzazione che generano soddisfazione e, quindi, un atteggiamento positivo nei riguardi del lavoro. In questa direzione è rilevante il contributo di Herzberg. In base alle caratteristiche delle situazioni descritte, Herzberg arriva a 2 conclusioni. La prima che soddisfazione e insoddisfazione sono distinte, il contrario dell’insoddisfazione non è una maggiore soddisfazione ma semplicemente l’assenza di soddisfazione; la seconda che gli elementi che generano insoddisfazione sono strettamente legati al contesto organizzativo, mentre quelli che generano soddisfazione riguardano il contenuto del lavoro. I primi, attivi solo quando sono assenti, vengono definiti fattoti igienici; i secondi, la cui assenza non genera insoddisfazione ma la cui presenza origina un atteggiamento positivo nei confronti del lavoro, sono definiti fattori motivanti. Il processo motivazionale: la teoria di Vroom Per Vroom il processo motivazionale è originato da una motivazione che, attraverso una sequenza comportamentale, conduce a una ricompensa. In particolare la forza della motivazione a compiere una certa attività è data dal prodotto di tre fattori: La valenza, cioè le preferenze personali rispetto a una ricompensa. Può assumere valori positivi, ma anche negativi, e quindi richiede ai manager dell’impresa di monitorare continuamente i cambiamenti nelle preferenze individuali. Le aspettative, cioè il legame tra intensità dello sforzo e beneficio ottenuto. Questo fattore ha una valenza positiva per le figure professionali la cui ricompensa è direttamente correlata alle energie mobilitate nello svolgimento dell’attività. La strumentalità, cioè la credenza che una volta completata la performance e raggiunto l’obiettivo verrà anche assegnata una ricompensa. Vroom propone di assegnare a ogni parametro mi valore numerico, al fine di determinare l’intensità della motivazione. La teoria delle aspettative nelle sue varie versioni è stata sottoposta a verifiche empiriche che non sempre l’hanno confermata. La ragione va ricercata nel fatto che dovrebbe essere considerata un modello euristico per tentare di approssimare le variabili che possono influire sulle prestazioni lavorative. Detto in altri termini, serve più a porsi le domande giuste a fronte di situazioni concrete, che non a dare risposte assolute e a priori. 3.2. Dalle motivazioni alle competenze Identificare le persone in termini di competenze apre una prospettiva più ampia rispetto alla considerazione delle sole motivazioni. Queste ultime possono, infatti, essere ricomprese nelle competenze. Il termine competenza nel linguaggio comune ha un doppio significato. Da un lato designa il diritto o il dovere di conoscere una certa situazione e di occuparsene, da un altro la capacità di occuparsene in maniera professionalmente adeguata. Si può distinguere tra competenze professionali, che sono abilità tecniche contestualizzate, e competenze comportamentali, più trasversali e suscettibili di essere trasportate da una situazione a un’altra, di essere applicate a contesti professionali diversi. 16 Le teorie economiche del capitale umano operano attraverso astrazioni e sono in grado di riconoscere le competenze ex post, solo dopo che si sono manifestate nel mercato attraverso i prezzi. Le teorie organizzative cercano di individuare ex ante il valore del capitale umano per cercare di anticipare il comportamento organizzativo che viene assunto in tutta la sua complessità e che non può essere sintetizzata in un contratto o una qualifica professionale o un salario. Il “movimento delle competenze” ha preso l’avvio con gli studi di McClelland che rilevarono come gli strumenti usati per tentare di predire le performance lavorative basati sui test e sui risultati scolastici erano inaffidabili, o comunque insoddisfacenti. Questi risultati lo spinsero a mettere a punto uno strumento diverso, basato sul confronto tra gruppi di persone con elevate prestazioni nel loro lavoro e gruppi con prestazioni insoddisfacenti. Il confronto serviva per isolare schemi cognitivi, comportamenti operativi causalmente correlati al successo lavorativo e definiti competenze. Per rilevare queste competenze McClelland e Dailey misero a punto una tecnica definita BEI (behavioural event interview) che si basa sulla’ analisi di situazioni di lavoro portate a termine con successo e di altre finite con un insuccesso. Le competenze professionali Le competenze professionali sono le più visibili e quindi apparentemente più facilmente identificabili e classificabili. Le competenze professionali di una persona sono costituite da conoscenze, abilità, sapori (sapere e saper fare), atteggiamenti, qualità, esperienza. La loro acquisizione avviene attraverso un percorso formativo scolastico o aziendale, oppure attraverso l’esperienza che può essere strutturata e finalizzata alla costruzione di competenze professionali oppure non strutturata. Anche i processi di socializzazione e di acculturazione che avvengono nella famiglia e nella comunità di appartenenza possono essere fonte di competenze professionali. Le competenze di questo tipo sono molto contestualizzate in un ambito organizzativo e professionale e comprendono: Le conoscenze, che permettono di capire come funziona un certo processo o una certa attività. Il sapere empirico, che molto spesso resta tacito, nel senso che chi lo possiede non è talvolta nemmeno in grado di verbalizzarlo e di comunicano ad altri. Consiste in successioni stereotipate di azioni, in routine che vengono apprese attraverso la pratica e sono difficilmente trasmissibili (esperienze). Le meta-conoscenze, che riguardano le conoscenze sulle proprie conoscenze e ne consentono la crescita e lo sviluppo nella successione delle diverse esperienze e dei cambiamenti di contesto. Si possono avere forme di certificazione delle competenze, con procedure interne aziendali o con procedure di enti certificatori, come in Inghilterra. Il titolo di studio non è sufficiente per il riconoscimento di una competenza. In altre situazioni, come in Germania, il riconoscimento delle competenze avviene per via negoziale in tutte le situazioni aziendali in cui è in vigore la contrattazione collettiva e quindi passa attraverso tirocini, periodi di apprendistato regolamentati. Le competenze comportamentali Boyatzis definisce la competenza come “una caratteristica intrinseca dl un individuo, causalmente correlata a una prestazione efficace. Egli distingue due tipi di competenze: competenze di soglia, che sono le caratteristiche minime essenziali per coprire un certo ruolo e competenze distintive, che sono quelle caratteristiche che differenziano la prestazione e la portano a un livello superiore. Le competenze sì manifestano con queste modalità: Motivazioni: schemi mentali, bisogni, spinte interiori che in modo stabile orientano e inducono le azioni dell’individuo; 17 Tratti: caratteristiche fisiche e psichiche dell’individuo e una generale disposizione a comportarsi o a reagire in un determinato modo in una certa situazione; Idea di sé: atteggiamenti, valori adottati, rappresentazione che l’individuo fa di se stesso; Conoscenze: informazioni, teorie, concetti su un determinato campo disciplinare o, inoltri termini, l’insieme dei saperi specifici e generali necessari per realizzare una determinata attività; Skill: capacità di mettere in atto un sistema o una sequenza di comportamenti che sono funzionalmente coerenti con l’obiettivo di prestazione desiderato. Le motivazioni e i tratti sono difficili da valutare e da sviluppare, mentre le conoscenze e le skill sono più visibili e modificabili attraverso la formazione e l’esperienza. La competenza, infatti, deve essere contestualizzata attraverso una relazione, inserita in un sistema di ruoli specializzati e valorizzata in uno scambio. Solo così un valore che è soltanto potenziale può diventare effettivo. Oltre le competenze: le intelligenze per i manager Per l’efficacia dei comportamenti organizzativi è rilevante quella che Goleman definisce intelligenza emotiva. L’intelligenza emotiva è la “Capacità di riconoscere le proprie sensazioni e quelle degli altri, per motivare se stessi e per gestire bene le emozioni proprie e quelle che si sviluppano nelle relazioni con gli altri”. Si manifesta attraverso due tipi di competenze. La prima è la competenza personale, intesa come consapevolezza, padronanza di sé e motivazione: La consapevolezza di sé comporta la conoscenza dei propri stati interiori; Preferenze, risorse, intuizioni; La padronanza di sé comporta la capacità di dominare i propri stati interiori, i propri impulsi e le proprie risorse; La motivazione comporta tendenze emotive che guidano e facilitano il raggiungimento di un obiettivo. La seconda è la competenza sociale, intesa come modalità di gestione delle relazioni con gli altri, che dipende: Dall’empatia, intesa come capacità di calarsi nei pensieri e negli stati d’animo degli altri. Dalle abilità sociali, intese come abilità nell’indurre risposte desiderabili negli altri. In altri termini, l’intelligenza emotiva è l’abilità di comprendere, sperimentare e utilizzare le emozioni come fonte di energia umana, di informazioni, di relazioni e di influenza. Ma abbiamo anche l’intelligenza culturale definita come la capacità di una persona di agire con efficacia in situazioni caratterizzate da diversità culturale. Questo tipo di intelligenza è rilevante in contesti aziendali che richiedono agli individui di confrontarsi con i clienti, concorrenti e colleghi provenienti da ambiti paesi culturali diversi dal proprio. Le sue componenti sono: cognitiva che include l’insieme delle conoscenze relative a norme convenzioni; metacognitiva relativa ai processi mentali che gli individui utilizzano per acquisire conoscenze relative alle diverse culture; motivazionale riflette la capacità individuale di dedicare attenzione energia e curiosità verso l’apprendimento di contesti sociali culturali diversi dal proprio; comportamentale relativa alla capacità di mostrare atteggiamenti verbali e non verbali. L’intelligenza manageriale si può definire come un insieme di capacità che un individuo deve essere in grado di dimostrare nei contesti lavorativi: portare a termine i compiti, lavorare con e attraverso le persone, avere una buona capacità di valutazione di se stessi. 20 una variabile fondamentale della determinazione del fabbisogno di personale: la strategia dell’impresa. I processi da monitorare e i dati da raccogliere nella programmazione, devono essere definiti coinvolgendo i manager di linea perché suggeriscono adeguate metriche per misurare le ru al raggiungimento degli obiettivi strategici. Quest’attività non avviene comunque senza difficoltà, che sono originate da fattori individuali, fattori organizzativi e fattori di sistema. All’origine del processo di programmazione vi è il sistema informativo del personale, una base di dati nella quale vengono raccolte, gestite tutte le informazioni relative alla composizione quantitativa e qualitativa dell’organico. Queste permettono di effettuare una stima del personale disponibile e del fabbisogno di risorse umane per il periodo oggetto di programmazione. Intervengono poi le esigenze della strategia d’ impresa: la determinazione degli obiettivi di performance eventualmente derivata da un sistema di controllo strategico (come per es. la Balanced Scorecard), influenza infatti la definizione delle caratteristiche delle persone che possono contribuire alla creazione del vantaggio competitivo aziendale. Il confronto tra stima del personale disponibile e fabbisogno rappresenta l’oggetto del budget del personale, che contiene indicazioni sulle risorse economiche e sulle attività necessarie per colmare il gap tra queste due grandezze. 4.2. Il sistema informativo del personale La gestione e lo sviluppo del personale in un ambiente dinamico necessita che l’impresa si allontani da una logica di controllo diretto sulle persone, in base alla quale le persone vengono considerate semplicemente una risorsa produttiva da gestire con efficienza. Lo strumento attraverso il quale l’impresa acquisisce, archivia, gestisce, analizza e distribuisce tutte le informazioni riguardanti le risorse umane è il sistema informativo del personale. I dati e le informazioni raccolte nel sistema informativo del personale possono derivare sia dalle conoscenze ed esperienze delle persone attive nelle diverse funzioni, sia dal contesto ambientale. Un sistema informativo deve facilitare l’attività di selezione, strutturazione e organizzazione dei dati, con la finalità di erogare un servizio mirato alla risoluzione dei problemi dei clienti interni cui sono riservati parte dei compiti di gestione delle risorse umane. I dati contenuti nel sistema informativo del personale sono i più vari e riguardano tutti i diversi aspetti che caratterizzano le persone presenti in azienda: Dati personali: genere, età, condizione familiare, residenza, titolo di studio, competenze e conoscenze; Dati relativi alla condizione professionale: livello di inquadramento o qualifica, posizione lavorativa, retribuzione, anzianità nell’azienda, anzianità nella qualifica, anzianità nella posizione; Dati relativi ai comportamenti organizzativi: mobilità orizzontale e verticale, tassi di assenteismo e turnover, turni, trasferte, ore straordinarie, valutazioni delle prestazioni e del potenziale. Dati relativi al capitale umano: livello di competenze, ore di formazione Costi del personale: retribuzioni e benefici Il contenuto informativo dei dati viene reso evidente grazie alla loro trasformazione in indici (per es. indici di turnover, indici di assenteismo) e attraverso l’uso di specifici strumenti (per es. le configurazioni demografiche, le tavole di rimpiazzo) appositamente sviluppati per supportare le attività in ambito di gestione del personale. Il sistema informativo può essere semplicemente usato come strumento di automazione delle attività di raccolta ed elaborazione dei dati. 21 L’adozione di una strategia informativa presuppone invece che le persone possano avere accesso ai dati e, in base a questi, possano prendere decisioni. Infine, l’adozione di un sistema informativo del personale in una logica trasformazionale, richiede che i dati dell’organico siano integrati in un’architettura informativa complessa che integra tutte le aree aziendali e che si spinge all’esterno dei confini organizzativi. La tecnologia utilizzata da un sistema informativo che agisca secondo una strategia trasformazionale è quella degli Enterprise Resource Planning (ERP), sistemi che supportano, attraverso moduli dedicati, i diversi processi operativi e gestionali dell’impresa, dal ciclo attivo dell’ordine alla schedulazione della produzione, dall’amministrazione del personale al reporting direzionale. Un sistema informativo del personale non è un’esigenza esclusiva della grande impresa. Anche le imprese di piccola e media dimensione necessitano di informazioni analitiche sintetiche che traducano la sensazione di conoscere tutto e tutti in una effettiva base conoscitiva che supporti le decisioni, altrimenti affidate a presunzioni di conoscenza e a pregiudizi individuali. Le configurazioni demografiche Le configurazioni demografiche sono rappresentazioni grafiche che fanno una “fotografia” della composizione dell’organico aziendale a un determinato tempo t. Queste sono costruite segmentando la popolazione aziendale in base a una variabile di interesse (per es. età, genere nazionalità), oppure prendendo in considerazione due variabili contemporaneamente: una dicotomica, che divide l’organico in due gruppi distinti e una categoriale, che divide l’organico in due o più classi. La prima configurazione, a forma di piramide, segmenta l’organico per classi d’età. La seconda configurazione, definita a “pallone di rugby”, è generalmente considerata la più equilibrata. In particolare la segmentazione è stata compiuta per genere e per classi d’età. Infine, l’analisi della terza configurazione (piramide rovesciata) permette di ipotizzare situazioni aziendali ancora differenti. Un secondo strumento di analisi dell’organico, che utilizza i dati presenti nel sistema informativo del personale, è il portafoglio delle risone umane. In questo caso, la popolazione aziendale è segmentata secondo due variabili, potenziale e prestazioni, dall’incrocio delle quali è possibile individuai quattro gruppi di persone nei confronti dei quali l’impresa si deve attivare con modalità di gestione e sviluppo differenziate. Il turnover Il tasso di turnover è un indicatore “di flusso” fondamentale per l’analisi del processo di programmazione e per valutare l’efficacia delle azioni di gestione delle risorse umane. Un certo tasso di turnover è ovviamente inevitabile. Il flusso naturale di persone che escono o entrano nell’ impresa per effetto di normali eventi di pensionamento, assunzione, licenziamento, che non minacciano la continuità produttiva dell’impresa e la sua stabilità organizzativa, viene definito turnover fisiologico. Questo flusso è il risultato di fenomeni di turnover volontario (è il lavorator che decide di lasciare l’azienda e si dimette) e involontario (il lavoratore viene licenziato o è arrivato all’ età di pensionamento.) Questo consente: All’azienda di poter gestire con maggiore flessibilità il proprio organico; Alla persona di poter cogliere occasioni alternative di lavoro. Nella valutazione del turnover fisiologico un aspetto critico è quello relativo ai pensionamenti. 22 Accanto alla parte fisiologica del turnover, vi è il turnover che viene definito “patologico” e che segnala un malfunzionamento delle politiche di gestione delle risorse umane e delle politiche aziendali in generale. Anche in questo caso si può distinguere tra un turnover volontario e involontario. La scelta di lasciare l’azienda può venire dal lavoratore nel momento in cui le condizioni del contratto psicologico vengano violate, e pressioni personali e competitive spingano a cercare nuove opportunità lavorative. Queste possono fare riferimento a: cause relative al contesto lavorativo: difficoltà con i superiori e con i colleghi, rigidità degli orari e dell’organizzazione del lavoro; cause relative al contenuto del lavoro: lavoro monotono e con bassa autonomia, bassa motivazione e incentivi a ottenere un’elevata prestazione; cause legate alla mancata valorizzazione: bassa retribuzione, mancanza di opportunità di carriera o avanzamenti di carriera troppo lenti. Non tutte le cause elencate agiscono allo stesso modo nelle diverse aziende e proprio per questo motivo vanno attentamente indagate e monitorate. Tra gli strumenti a disposizione dell’impresa vi è il colloquio d’uscita. L’analisi dei dati di turnover è fondamentale per scegliere adeguate azioni di gestione, che possono essere implementate con lo scopo di aumentare il commitment e la produttività delle persone. Inoltre, queste informazioni sono centrali anche per fare previsioni sui flussi in entrata e in uscita. A tal fine non è sufficiente l’analisi dei dati interni, ma è necessario analizzare anche le condizioni del mercato del lavoro e i fattori personali relativi alla vita privata della persona. Diversi sono gli indicatori di turnover: Tasso di turnover complessivo = 𝑒𝑛𝑡𝑟𝑎𝑛𝑡𝑖+𝑢𝑠𝑐𝑖𝑡𝑖 𝑛𝑒𝑙 𝑝𝑒𝑟𝑖𝑜𝑑𝑜 𝑜𝑟𝑔𝑎𝑛𝑖𝑐𝑜 𝑚𝑒𝑑𝑖𝑜 𝑑𝑒𝑙 𝑝𝑒𝑟𝑖𝑜𝑑𝑜 × 100 Tasso di turnover negativo = 𝑢𝑠𝑐𝑖𝑡𝑖 𝑛𝑒𝑙 𝑝𝑒𝑟𝑖𝑜𝑑𝑜 𝑜𝑟𝑔𝑎𝑛𝑖𝑐𝑜 𝑖𝑛𝑖𝑧𝑖𝑜 𝑝𝑒𝑟𝑖𝑜𝑑𝑜 × 100 Tasso di turnover positivo = 𝑒𝑛𝑡𝑟𝑎𝑛𝑡𝑖 𝑛𝑒𝑙 𝑝𝑒𝑟𝑖𝑜𝑑𝑜 𝑜𝑟𝑔𝑎𝑛𝑖𝑐𝑜 𝑖𝑛𝑖𝑧𝑖𝑜 𝑝𝑒𝑟𝑖𝑜𝑑𝑜 × 100 Tasso di compensazione del turnover = 𝑒𝑛𝑡𝑟𝑎𝑛𝑡𝑖 𝑛𝑒𝑙 𝑝𝑒𝑟𝑖𝑜𝑑𝑜 𝑢𝑠𝑐𝑖𝑡𝑖 𝑛𝑒𝑙 𝑝𝑒𝑟𝑖𝑜𝑑𝑜 × 100 Il tasso di turnover complessivo serve a dare la dimensione del volume di entrate e di uscite che l’impresa ha dovuto gestire nel corso del periodo preso in considerazione. Per analizzare nel dettaglio la crescita e la diminuzione percentuale dell’organico, vengono poi calcolati gli indici di turnover positivo e turnover negativo. L’ultimo indicatore fra quelli elencati, ovvero tasso di compensazione del turnover, appare particolarmente significativo come tasso di sintesi della politica aziendale: un valore maggiore di 100 segnala una politica di ampliamento dell’organico; al contrario, un valore inferiore è indice di contrazione del numero di persone impiegate. Per interpretare correttamente questi indici, è necessario tener conto di alcune limitazioni. In primo luogo, è sempre necessario disaggregare gli indicatori: per cause, per classi di età, per posizione di lavoro. In secondo luogo, non esiste un valore ottimale di questi tassi, dal momento che variano a seconda del settore economico dell’impresa, delle condizioni del mercato del lavoro. Una disaggregazione molto utile, sia per il dimensionamento dell’organico sia come segnalatore della presenza di disfunzioni nelle leve di gestione riguarda il turnover dei nuovi assunti. Un 25 𝑖𝑛𝑑𝑖𝑐𝑒 𝑑𝑖 𝑔𝑟𝑎𝑣𝑖𝑡à = 𝑔𝑖𝑜𝑟𝑛𝑎𝑡𝑒 𝑜 𝑢𝑜𝑚𝑜 𝑑𝑖 𝑎𝑠𝑠𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑔𝑖𝑜𝑟𝑛𝑎𝑡𝑒 𝑙𝑎𝑣𝑜𝑟𝑎𝑏𝑖𝑙𝑖 L’assenteismo, da qualunque causa venga generato, genera dei costi che l’impresa deve monitorare per mantenere sotto controllo il suo equilibrio economico. I costi dell’assenteismo possono essere classificati in costi diretti e indiretti. I costi diretti proporzionali sono: I costi retributivi diretti e accessori che l’impresa sostiene quando la retribuzione dell’assenza totalmente o parzialmente a suo carico; I costi dovuti alla mancata produzione; I costi per le ore straordinarie richieste e pagate ad altri dipendenti per compensare l’assenteismo; I costi di impiego di personale di sostituzione. I costi diretti non proporzionali riguardano i “costi organizzativi” sostenuti dall’impresa per gestire l’assenza: costi di amministrazione, tempo per la modificazione dei programmi operativi, spese per ricerca di rimpiazzi e loro addestramento. I costi indiretti, infine, sono quelli relativi al deterioramento del clima e, nel caso di uso di rimpiazzi, allo scarto tra i rendimenti dell’assente e quelli del sostituto. Quanto costa il personale? In genere il controllo esercitato si concentra solo sul costo del lavoro piuttosto che su quello di gestione del personale in senso lato, trascurando in tal modo voci di costo cospicue legate ai processi di reclutamento, selezione, sviluppo e valutazione delle persone. Le categorie di costo che devono essere monitorate sono: i costi retributivi, i costi di funzionamento della Direzione Risorse Umane e i costi d’impatto. Il primo gruppo comprende gli elementi di costo che entrano nel calcolo della retribuzione del lavoratore: Retribuzione diretta; Retribuzione indiretta; Retribuzione differita; Oneri accessori; Fringe benefits. Il costo retributivo viene utilizzato per costruire alcuni indicatori sintetici di costo del personale. Questi possono essere distinti tra: quelli che mettono in rapporto il costo del personale con una misura di tipo produttivo e quelli che prendono a riferimento grandezze economiche ricavabili dal conto economico. Due esempi del primo tipo sono il costo medio del personale e il costo orario del personale. 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑜 𝑚𝑒𝑑𝑖𝑜 𝑑𝑒𝑙 𝑝𝑒𝑟𝑠𝑜𝑛𝑎𝑙𝑒 = 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑜 𝑑𝑒𝑙 𝑝𝑒𝑟𝑠𝑜𝑛𝑎𝑙𝑒 𝑜𝑟𝑔𝑎𝑛𝑖𝑐𝑜 𝑚𝑒𝑑𝑖𝑜 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑜 𝑜𝑟𝑎𝑟𝑖𝑜 𝑑𝑒𝑙 𝑝𝑒𝑟𝑠𝑜𝑛𝑎𝑙𝑒 = 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑜 𝑑𝑒𝑙 𝑝𝑒𝑟𝑠𝑜𝑛𝑎𝑙𝑒 𝑜𝑟𝑒 𝑙𝑎𝑣𝑜𝑟𝑎𝑡𝑒 L’HCRoi misura il ritorno (human capital return on investment) in termini di margine, degli investimenti effettuati per compensare il personale. Questo indicatore è sensibile alle politiche di outsourcing: nel caso in cui a parità di costi totali e ricavo dell’impresa, diminuisca la percentuale di costi del personale, di conseguenza aumenterà il ritorno sui costi del personale. 26 𝑖𝑛𝑐𝑖𝑑𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑑𝑒𝑙 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑜 𝑑𝑒𝑙 𝑝𝑒𝑟𝑠𝑜𝑛𝑎𝑙𝑒 𝑠𝑢𝑙 𝑓𝑎𝑡𝑡𝑢𝑟𝑎𝑡𝑜 = 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑜 𝑑𝑒𝑙 𝑝𝑒𝑟𝑠𝑜𝑛𝑎𝑙𝑒 𝑓𝑎𝑡𝑡𝑢𝑟𝑎𝑡𝑜 + 𝑣𝑎𝑟𝑖𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑟𝑖𝑚𝑎𝑛𝑒𝑛𝑧𝑒 𝑖𝑛𝑐𝑖𝑑𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑑𝑒𝑙 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑜 𝑑𝑒𝑙 𝑝𝑒𝑟𝑠𝑜𝑛𝑎𝑙𝑒 𝑠𝑢𝑙 𝑣𝑎𝑙𝑜𝑟𝑒 𝑎𝑔𝑔𝑖𝑢𝑛𝑡𝑜 = 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑜 𝑑𝑒𝑙 𝑝𝑒𝑟𝑠𝑜𝑛𝑎𝑙𝑒 𝑣𝑎𝑙𝑜𝑟𝑒 𝑎𝑔𝑔𝑖𝑢𝑛𝑡𝑜 𝐻𝑢𝑚𝑎𝑛 𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙 𝑅𝑜𝑖 = 𝑟𝑖𝑐𝑎𝑣𝑖 − (𝑐𝑜𝑠𝑡𝑖 𝑡𝑜𝑡𝑎𝑙𝑖 − 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑜 𝑑𝑒𝑙 𝑝𝑒𝑟𝑠𝑜𝑛𝑎𝑙𝑒) 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑜 𝑑𝑒𝑙 𝑝𝑒𝑟𝑠𝑜𝑛𝑎𝑙𝑒 I costi di funzionamento della DRU sono relativi alle attività di gestione delle risorse umane e alle spese amministrative della funzione. Queste dipendono per es, dal numero di persone che operano nella DRU, dal grado di esternalizzazione delle attività e dai singoli costi di attuazione degli interventi. Abbiamo: costi di acquisizione, che si riferiscono ai processi assunzione; costi di mantenimento, correlati alla gestione dei sistemi di valutazione; costi di sviluppo, originati dalla necessità di mantenere e rafforzare le competenze delle persone attraverso processi di formazione; costi di retention, legati alle procedure di turnover. I costi di impatto fanno riferimento ai costi e ai benefici generati dall’ implementazione di attività di gestione delle risorse umane. Questi costi vengono raramente rilevati, ma spesso rappresentano i valori più importanti soprattutto in un’ottica di gestione integrata dalla funzione. 4.3. Quante persone? La stima della disponibilità e del fabbisogno di personale La stima dell’offerta di personale è orientata a prevedere come la popolazione aziendale si modificherà nel periodo oggetto di programmazione e, quindi, quale sarà la disponibilità del personale a fronte dei fabbisogni previsti nelle diverse categorie di personale. Una prima serie di tecniche si basa su valutazioni di tipo soggettivo. Considerando le singole posizioni e le singole persone, attraverso interviste e riunioni tra i responsabili dell’azienda, vengono considerate le possibilità di uscita, dì trasferimento, di promozione di ciascuna persona. In questi casi possono essere usate le cosiddette tavole dl rimpiazzo. Le tavole di rimpiazzo rappresentano dei veri e propri piani di successione, che indicano i manager che a breve o a lungo termine possono “rimpiazzare” la risorsa della posizione chiave cioè uno strumento che ha l’obiettivo di individuare tra le persone che operano in impresa quella più adatta a coprire le posizioni che diverranno vacanti. In alternativa possono essere impiegate tecniche più sofisticate come le catene di Markov: queste sono costituite da matrici di transizione nelle quali, per ciascuna categoria di personale sono contenute le probabilità che una persona passi da una categoria a un’altra, oppure che esca dall’organizzazione. Il limite di questo strumento è rappresentato dal fatto che assume che i tassi di transizione da una categoria all’alta rimangano stabili nel corso del tempo. Le catene di Markov sono un tipico esempio di modello di stima “push”, in quanto spingono le persone attraverso flussi definiti, in funzione delle intensità previste senza tener conto del fabbisogno richiesto. Al contrario delle catene di Markov, la renewal analysis è un modello in quanto dimensiona i flussi in funzione del fabbisogno di personale atteso al termine del periodo di simulazione: ogni volta che un posto si libera una persona viene “tirata” da un’altra posizione per coprire il ruolo vacante. 27 In questo modo si genere un effetto a catena, per cui la persona che si sposta lascia un posto libero che deve essere a sua volta coperto. La stima del fabbisogno del personale Infine, la stima dell’offerta di personale può essere effettuata tramite l’utilizzo di modelli di programmazione lineare (Walker): viene defluito un obiettivo ottimo in termini di organico che deve essere raggiunto dato un certo numero dì vincoli quali, per esempio, determinati tassi di mobilità orizzontale e verticale, una percentuale stabilita di turnover positivo e negativo, limiti di costo del personale. Sì tratta di uno strumento più flessibile e più proiettato a governare la dinamica dei flussi piuttosto che subirla. In parallelo alla stima dell’offerta viene condotta un’analisi della domanda di personale ricavata dai programmi dell’azienda nel suo complesso e delle singole funzioni e aree di attività. In questa fase viene effettuata una previsione del fabbisogno di risorse umane in funzione di una serie di elementi che hanno un diretto impatto sull’organico: Decisioni strategiche: apertura di nuovi mercati geografici, chiusura di stabilimenti, lancio di nuovi prodotti; Vincoli economici: decisioni di gestione finanziaria, quotazione in borsa, squilibri di bilancio; Necessità della struttura organizzativa: flessibilità dell’orario di lavoro, applicazione di nuove forme contrattuali, piani di crescita. La soluzione per affrontare una situazione organizzativa e competitiva incerta può essere quella di chiedere a opinion leader le loro previsioni sulla grandezza da stimare. Queste previsioni possono essere raccolte e verificate attraverso questionari incrociati o attraverso metodi più elaborati fino ad arrivare al grado voluto di affidabilità. Tra questi vi è il metodo Delphi che consiste nella spedizione di questionari a un panel di persone qualificate che sono chiamate ad esprimere il loro parere. Poi c’è indice di produttività basato sul rapporto tra output e organico; e l’indice del personale staffing ratio che sono degli indici che misurano il rapporto tra il personale in certe posizioni di lavoro e l’organico complessivo. Infine, la stima della domanda di personale si può basare su strumenti più sofisticati come le analisi di regressione, in cui la variazione dell’organico viene stimata al variare di alcuni parametri quali indicatori di carico di lavoro, fatturato, produzione, valore aggiunto. Se esaminando le serie storiche s’individua un’elevata correzione tra uno (regressione semplice) o più (regressione multipla) indicatori è possibile fare una previsione di organico necessario sulla base delle previste evoluzioni degli indicatori prescelti. Il limite di tutti questi strumenti è quello di non tener conto dei cambiamenti che possono essere introdotti nelle tecnologie e nell’organizzazione, anche se possono essere presi come punto di partenza per stimare gli effetti di tali cambiamenti. 4.4. La Human Resource Scorecard Per comprendere come l’impresa crea valore, anche attraverso adeguate politiche di gestione delle persone, il management dell’impresa deve rispondere a due domande fondamentali: come viene implementata la strategia nell’impresa e attraverso quali indicatori può essere catturato questo processo di creazione del valore. È questo l’approccio definito delle Balanced Scorecard: una metodologia di controllo strategico utilizzata per tradurre la strategia organizzativa in un sistema completo e integrato di indicatori di performance. La progettazione delle Balanced Scorecard inizia con la definizione della strategia dell’impresa e di come questa si traduce in termini concreti affinché le azioni dei singoli individui siano allineate nel raggiungimento di un comune obiettivo e possano supportarla. La strategia, infatti, implica il passaggio dell’organizzazione da una situazione attuale a una futura, desiderabile ma incerta. Ma, 30 integrazione interna, differenziazione del personale L’allineamento delle attività di gestione delle persone riguarda la capacità delle stesse di creare una forza lavoro aziendale con una cultura e un patrimonio di competenze e capacità adeguato a sostenere la strategia aziendale. Si pensi per esempio ai tre orientamenti strategici individuati da Porter. Per le imprese che perseguono strategie di costo necessitano di individui che: siano in grado di svolgere con efficienza i processi di business, abbiano tempi rapidi di apprendimento, abbiano una cultura orientata alla riduzione degli sprechi e al miglioramento incrementale. L’obiettivo è quello di controllare la variabilità ambientale e i costi (ad es. i fast food). Per le imprese che perseguono strategie di differenziazione la proposta di valore offerta al cliente è basata sull’innovazione e sulla qualità. Gli individui che ne fanno parte devono avere una cultura orientata al miglioramento continuo, di lungo periodo, antiburocratica (ad es. imprese farmaceutiche). Infine, la strategia di focalizzazione è caratteristica di aziende che producono beni altamente customizzati. Il sostenimento di questa strategia richiede personale costantemente alla ricerca di nuove soluzioni di prodotto e di servizio in grado di anticipare i desideri del cliente. In questo senso è importante il lavoro di gruppo (imprese di consulenza e servizi ad altre aziende o a privati). La valutazione dell’allineamento delle politiche di gestione delle risorse umane rispetto ai tre orientamenti strategici richiede l’utilizzo di indicatori diversi in base alla strategia considerata. Questi misurano indirettamente le attività di gestione del personale, attraverso la valutazione dei loro effetti sui comportamenti e le attività delle persone: Nel caso di adozione di una strategia di costo, possono essere calcolati indicatori relativi alla produttività individuale e di gruppo, ai costi di produzione, agli sprechi; Nel caso di una strategia di differenziazione, possono essere calcolati indicatori relativi al numero dì nuovi prodotti sviluppati nel corso degli ultimi tre anni; Nel caso di una strategia di focalizzazione, si possono utilizzare come indicatori di allineamento il tasso di retention dei clienti, le valutazioni ottenute in base a un questionario di customer satisfaction. Il secondo parametro su cui basare la valutazione del sistema di gestione delle risorse umane è la sua integrazione interna: la capacità delle diverse politiche di agire in modo coordinato utilizzando gli stessi database, lo stesso linguaggio, le stesse tecnologie. Il terzo parametro da considerare è la differenziazione della attività di gestione delle risorse umane in funzione dei diversi segmenti della popolazione aziendale. 4. L’impatto sulla strategia. Ultima domanda critica nel disegno della Human Resource Scorecard è la determinazione degli obiettivi di apprendimento e di crescita: “Le nostre politiche delle risorse umane hanno generato il giusto servizio per l’implementazione della strategia?”. L’obiettivo strategico dell’impresa è quello di aumentare il proprio fatturato agendo non sul prezzo del prodotto, ma sulla customer satisfaction, che è parzialmente determinata dalla qualità dell’esperienza di acquisto. La percezione del momento dell’acquisto come un’esperienza straordinaria vede protagonista il personale di vendita, che deve dimostrare di conoscere il prodotto, essere cortese, aiutare il cliente ed essere puntuale. Come ulteriore indicatore di una customer satisfaction elevata, l’impresa si aspetta di avere un alto numero di clienti che ritorna al punto vendita. Le iniziative che la funzione di gestione delle risorse umane può attivare sono principalmente relative ad attività di formazione rivolte alla forza vendita. Al secondo livello della Human Resource Scorecard vi è l’esigenza di una coerenza fra la strategia e il sistema digestione delle risorse umane. Il terzo elemento da considerare è dato dall’integrazione sistemica tra gli strumenti di gestione delle risorse umane implementati. A questo livello l’impresa può valutare la percentuale di venditori che ha seguito corsi per conoscere i prodotti, verificando 31 quanti di loro li hanno conclusi con successo e inoltre può verificare quanti venditori vengono incentivati economicamente sugli indicatori di customer satisfaction. Infine, l’impresa deve valutare in che modo il ruolo e le competenze possedute dagli addetti alla funzione di gestione delle risorse umane possono essere di supporto al raggiungimento degli obiettivi di business. L’approccio delle balanced scorecard soffre di un certo determinismo metodologico, per cui: Sono messe in evidenza solo relazioni di causa/effetto tra i diversi obiettivi, ma non sono considerate le situazioni in cui gli obiettivi sono parzialmente conflittuali. Per esempio l’aumento del livello di assistenza alla clientela nella vendita di un servizio comporta maggiori costi e quindi riduce il risultato economico; Non viene considerato il caso che un obiettivo possa essere mancato e quali conseguenze quantitative ciò determini sugli obiettivi correlati. Il modello della HR Scorecard è stato ulteriormente sviluppato attraverso la definizione della cosiddetta Workforce Scorecard, in questo modello l’obiettivo non è quello di misurare il contributo della DRU alla strategia aziendale quanto piuttosto quello delle risorse umane alla creazione di valore; rappresenta un’esplicitazione del legame tra HR Scorecard e Balanced Scorecard riferita al business. 4.5. Programmazione e strategia Al termine delle attività di stima della domanda e dell’offerta, e dell’elaborazione della Human Resource Scorecard la direzione risorse umane ha tutti gli elementi per definire le caratteristiche del fabbisogno di persone e implementare le attività necessarie ad adeguare le risorse umane aziendali agli obiettivi strategici dell’impresa. Provando a mutuare un’immagine dall’ambiente aeronautico, la direzione risorse umane è come un pilota di un aereo che per governare il velivolo- impresa, a bordo del quale viaggiano le risorse umane aziendali, ha a disposizione una mappa (la strategia), un piano di volo (la programmazione del personale) e un cruscotto (i dati economico-finanziari forniti dal vertice strategico e i dati del sistema informativo del personale, gli indicatori di efficienza, le Human Resource Scorecard). Nel viaggio la direzione risorse umane dovrà cercare di svolgere i propri ruoli, si preoccuperà di scegliere la rotta e stabilire il piano di volo. 32 CAPITOLO 5 – I mercati del lavoro: istruzioni per l’uso Non esiste un mercato unico del lavoro: se così fosse, infatti, tutti i lavoratori occupati e non dovrebbero essere in grado di accedere a tutte le opportunità occupazionali. Nella realtà però si verificano dei condizionamenti che portano l’insieme dei lavoratori presenti nel mercato a frammentarsi in gruppi non comunicanti, o scarsamente comunicanti. Le ragioni all’origine di questa segmentazione possono essere: Territoriali: le difficoltà di trasporto e i costi per la mobilità rendono difficilmente accessibili alcune opportunità di impego per gruppi di individui che si trovano in determinate aree geografiche; Informative: raccogliere informazioni sui posti di lavoro disponibili; Professionali: la specializzazione professionale crea gruppi distinti di lavoratori; Etniche, politiche e di genere: gli atteggiamenti delle imprese e degli stessi lavoratori possono creare segmenti favoriti e segmenti svantaggiati; Tecnologiche e aziendali: l’apprendimento di particolari tecniche e procedure proprie di un’azienda rende difficile usare la stessa conoscenza in altre organizzazioni; Culturali e sindacali: la formazione di gruppi o associazioni permette a un numero limitato di attori di controllare l’accesso a determinati segmenti del mercato del lavoro. Per semplificare la comprensione di questo insieme di segmenti proponiamo un modello di analisi che si sviluppa su tre livelli in base alla vicinanza del lavoratore all’impresa. Questi tre livelli sono: 1. Mercato del lavoro generale: inteso come aggregato macro-economico: analizzando i lavoratori nel suo complesso, l’impresa è interessata a comprendere i movimenti demografici e le dinamiche di fondo dell’offerta di lavoro. La sua conoscenza e la sua analisi consentono una rappresentazione dello scenario entro cui ciascuna azienda compete per trovare le persone più adeguate alla propria human resource idea; 2. Mercato del lavoro di riferimento: rappresenta la porzione di mercato generale attiva dall’impresa nella sua ricerca di personale da inserire in azienda. L’interesse della Dru si concentra sulle dinamiche di domanda e offerta relative a un singolo comparto economico; 3. Mercato interno del lavoro: è la parte di mercato del lavoro interna ai confini dell’organizzazione e corrisponde all’organico in un dato momento temporale. 5.1. Uno spaccato del mercato del lavoro in Italia Il mercato del lavoro italiano si caratterizza per un'elevata disomogeneità in base a diverse caratteristiche e per alcuni trend demografici che ne stanno cambiando progressivamente la composizione numerica e qualitativa. Scheda 5.1. Le parole del mercato del lavoro Forza di lavoro: comprendono le persone occupate e quelle disoccupate. Occupati: comprendono le persone di 15 anni e più che nella settimana di riferimento: Hanno svolto almeno un’ora di lavoro in qualsiasi attività che preveda un corrispettivo monetario o in natura; Hanno svolto almeno un'ora di lavoro non retribuito nella ditta di un familiare nella quale collaborano abitualmente; Sono assenti dal lavoro. I dipendenti assenti dal lavoro sono considerati occupati se l'assenza non supera 3 mesi, oppure se durante l'assenza continuano a percepire almeno il 50% della retribuzione. Gli indipendenti assenti dal lavoro, a eccezione dei coadiuvanti 35 Questione femminile: le forze del lavoro femminile sono cresciute negli ultimi decenni passando da poco meno di un terzo nel 1984 a oltre il 41% del totale dell'offerta nel 2011. L’aumento dei tassi di attività ha riguardato le classi di età centrali, con una corrispondente riduzione per le ragazze più giovani, come riflesso della scelta di aumentare il proprio livello di istruzione. Questi cambiamenti nella partecipazione al mercato del lavoro sono andati in parallelo a quelli riguardanti le scelte di maternità con una riduzione del numero di figli e l'innalzamento dell'età media al primo parto. Da notare come all'ingresso delle donne nel mercato del lavoro sia corrisposto un aumento congiunto del tasso disoccupazione. Questo si spiega con la cosiddetta teoria del lavoratore scoraggiato: al diminuire del livello generale di occupazione, donne e giovani invece di ingrossare le fila dei disoccupati tendono a ritirarsi tra gli “inattivi” e il tasso di disoccupazione cala (perché gli inattivi non vengono contabilizzati come disoccupati). Scheda 5.5. Torneo impari tra uomini e donne È interesse della società che gli individui più dotati di capitale umano raggiungano posizioni decisionali di responsabilità, e i tornei sono generalmente considerati come il meccanismo più efficiente per permettere agli individui di distribuirsi ai differenti livelli della scala gerarchica. La disaggregazione per sesso dei dati Istat sull'inserimento professionale dei laureati evidenzia però la presenza di alcuni ostacoli al funzionamento di questo meccanismo. I dati dell'indagine Almalaurea 2012 mostrano che il rendimento scolastico delle femmine è nettamente migliore di quello dei maschi; le prospettive occupazionali e di reddito sono però peggiori per le femmine. La lettera di questi dati pone un duplice problema: a meno di non ritenere che i maschi siano inferiori alle femmine per intelligenza, la peggior performance scolastica dei maschi deve essere spiegata; a meno di non ritenere che le femmine siano inferiori e maschi per intelligenza, il sottoutilizzo della componente femminile nelle posizioni apicali della gerarchia impone un costo alla società. La teoria dei tornei insegna che la competizione per la carriera funziona bene come meccanismo allocativo di talento individuale solo se i tornei sono simmetrici, cioè se tutti i partecipanti sostengono lo stesso costo-opportunità per l'Impiego erogato nella competizione e sono trattati equamente dalle regole della competizione. In realtà, però, né i tornei che governano le carriere scolastiche né quelli che governano le carriere professionali sono proprio tempo alla formazione scolastica, evitando o riducendo al minimo le attività lavorative, e a dedicarsi a forme di apprendimento continuo dopo l'entrata nel mercato professionale, per diminuire infine l’attività lavorativa e azzerare la formazione una volta raggiunta l'età matura. Accumulare capitale umano è costoso: tassa d'iscrizione, acquisto dei libri e materiale di studio e costi di trasporto; mancanti guadagni che si sarebbero potuti ottenere se invece di restare sui banchi di scuola si fosse entrati direttamente nel mondo del lavoro; impegno richiesto per procedere nel percorso formativo. Ma questo investimento paga? Secondo i dati del rapporto Ocse 2011 il vantaggio salariale medio che procura formazione università, rispetto a chi è sul mercato del lavoro con un titolo di scuola superiore è superiore a un +50% della retribuzione. Alla teoria del capitale umano sono state nel tempo rivolte molte critiche: se la relazione tra investimento in formazione ed esiti occupazionali fosse sempre vera, come spiegare l'assegnazione ai lavoratori di compiti e mansioni diverse da quelle per cui sono si sono formati o la richiesta di livelli di scolarità di diversi per poter accedere allo stesso posto di lavoro? Una possibile spiegazione è data dalla teoria del credenzialismo, secondo la quale l’istruzione non aumenta di per sé le capacità produttive della persona, ma le permette di conseguire un titolo che può usare per segnalarsi nelle aziende nella sua ricerca di lavoro, superando le asimmetrie informative che caratterizzano il processo di reclutamento e selezione. 36 simmetrici; in entrambi i casi la competizione tra i sessi è una lotta impari: nella scuola sono avvantaggiate le femmine, perché per loro il costo-opportunità dell’impegno è più basso a causa del differenziale salariale di genere; nel mondo del lavoro sono avvantaggiati i maschi, perché in questo caso la responsabilità del lavoro domestico e di cura che gravano prevalentemente sulle femmine rendono il costo-opportunità del loro impegno maggiore di quello dei maschi. Ne consegue che, a parità di intelligenza, le femmine spendono un maggior impegno nella competizione scolastica e ottengono risultati migliori dei maschi; nei tornei per la carriera invece, a parità di intelligenza, sono i maschi che s’impegnano di più e ottengono maggiori promozioni e maggiori salari. Con conseguenze negative in termini di possibilità di abbinare la persona migliore al posto giusto. 5.2. Il mercato del lavoro generale Nella visione dell’economia neo-classica, il mercato del lavoro, è il luogo nel quale la concorrenza tra imprese per assicurarsi i lavoratori, e tra i lavoratori stessi per ottenere un salario, porta queste forze a una condizione di equilibrio, tale per cui vale la legge del prezzo unico. Per tale legge beni e servizi omogenei non possono che avere, in equilibrio, lo stesso prezzo quando: Il mercato del lavoro è composto da un ampio n. di lavoratori e imprese; Chi offre e chi domanda lavoro ha tutte le informazioni sulle opportunità disponibili; I lavoratori sono omogenei circa preferenze, competenze e produttività; Non esistono barriere alla mobilità dei lavoratori; Non esistono vincoli di natura istituzionale che incidono sulla velocità di aggiustamento dei prezzi e delle quantità scambiate. Questo modello teorico di un mercato del lavoro perfettamente concorrenziale si basa su ipotesi estremamente stringenti. Se dall'analisi dei dati sul mercato del lavoro l'offerta appare eterogenea a causa di caratteristiche personali e professionali dei lavoratori anche la domanda di lavoro è composita. Non si può considerare un posto di lavoro equivalente a un altro: le persone non possono accedervi indifferentemente, dal momento che ciascuna posizione prevede requisiti specifici, che vengono definiti nella sua job description. Grazie a questa diversità, da un lato le imprese riescono a stabilire un prezzo del lavoro e dall'altro i lavoratori sfruttano il loro potere contrattuale per appropriarsi di una parte della rendita d'impresa. La capacità di imprese e lavoratori di determinare prezzi e salari è il presupposto fondamentale del modello di concorrenza imperfetta. Le cause di imperfezioni sono molteplici: la presenza di frizioni e asimmetrie informative, che condizionano l'incontro tra domanda e offerta di lavoro nel tempo e nello spazio. La domanda manifestata dalle imprese in un dato momento non corrisponde quasi mai all’offerta di professionalità presente nel mercato: questo fenomeno di mismatching è significativo per i giovani con istruzione universitaria e genera contemporanea disoccupazione intellettuale e fuga di cervelli; la presenza di attori collettivi e istituzioni, che influiscono i livelli salariali e le condizioni di incontro tra domanda e offerta; la natura incompleta implicita nel contratto di lavoro: alla stipula del contratto viene fissato obbligazione principale (il lavoratore si impegna a eseguire gli ordini dell’imprenditori o dei suoi delegati), ma non i livelli di presentazione attesa che possono variare nel tempo a seconda delle situazioni. Di conseguenza, si formano nelle parti attese reciproche che non vengono però espresse nel contratto e si realizzano nel lungo periodo; la natura dei contratti di impiego: il valore che l'impresa ricava dalla prestazione del lavoratore dipende dalla volontà e dagli sforzi della persona stessa che avvengono dopo la stipula del contratto. 37 5.3. Il mercato del lavoro di riferimento Nel mercato del lavoro sono presenti gruppi di lavoratori con caratteristiche personali e professionali diverse che li portano a competere su aree geografiche e per posizioni organizzative diverse. Questa frammentazione trova una spiegazione diversa in base all'approccio istituzionalista. Secondo questo approccio le cause che spingono la formazione di gruppi di lavoratori che competono solo per determinate posizioni sono: le preferenze di lavoratori, che nella scelta del posto di lavoro sono guidati non solo dall'entità del salario, ma anche da altre caratteristiche quali, per esempio, la locazione geografica, lo status conferito dal ricoprire certe cariche, la possibilità di fare carriera; le preferenze delle imprese, per le quali ciascun lavoratore è unico per le sue caratteristiche; le azioni riesci ad associazioni imprenditoriali e sindacati, che esercitano pressioni sul mercato del lavoro nell'interesse dei loro iscritti; le azioni dello Stato, che attraverso l'emanazione di leggi svolge una funzione di regolatore e di arbitro nel processo di contrattazione tra i lavoratori e le imprese. I segmenti di mercato del lavoro con i quali l'impresa interagisce vengono definiti mercato del lavoro di riferimento: in esso l'organizzazione attiva il processo di reclutamento e selezione. Il mercato del lavoro di riferimento ha carattere multidimensionale, nel senso che può essere definito in funzione di più variabili, queste possono riguardare l'area geografica, i livelli di professionalità dei lavoratori, la loro età, il tipo di contratto d'impiego. La variabile geografica ha costituito uno degli aspetti più importanti: il mercato del lavoro di riferimento coincideva con il mercato del lavoro locale, i cui confini erano definiti da economie di prossimità generati dai costi di trasporto delle persone. Negli ultimi anni, l’evoluzione tecnologica, il miglioramento dei trasporti e delle comunicazioni, l’affermarsi di nuovi criteri di specializzazione nella divisione del lavoro a livello mondiale hanno diminuito i vantaggi della prossimità, allargando i confini del mercato del lavoro di riferimento ben oltre quelli del mercato del lavoro locale. Imprese quali Benetton, Marzotto, Diesel hanno chiamato manager provenienti dall'estero per sostenere le proprie strategie di crescita. La gestione di personale proveniente dall'estero pone una serie di sfide alla Dru, che deve possedere non solo la capacità di attirare lavoratori, ma anche di trattenerli in aree geografiche. A questo proposito, vengono sviluppate politiche di sostegno al trasferimento non solo del singolo, ma anche della sua famiglia. Un’altra importante variabile di segmentazione è relativa al tipo di professionalità posseduta dal lavoratore. In base a quest’ultima vengono individuati diversi segmenti collegati e definiti da strutture professionali di categoria e omogenei al loro interno per il livello e il tipo di skill dei lavoratori che ne fanno parte. Un mercato di riferimento a due velocità: il modello duale L’impresa non può trascurare l'esistenza di diversi segmenti di lavoratori. Un modello che coglie questa caratteristica è quello del mercato del lavoro duale, che assume la presenza nel mercato del lavoro di due macro-segmenti: uno primario e uno secondario. Il settore secondario (o periferico) è caratterizzato da posti di lavoro a scarso contenuto professionale, con bassi salari, debolezza dell'azione sindacale e basso status sociale. Queste occupazioni tendono a essere relativamente instabili e a offrire scarse o nulle opportunità di avanzamento di carriera. È un segmento caratterizzato da forte flessibilità: da un lato vi operano lavoratori che trovano occupazione in risposta a sollecitazioni congiunturali provenienti dal mercato dei prodotti, dall'altro può rappresentare una fase di transizione da e verso segmenti del mercato del lavoro più “sicuri”. 40 In relazione diretta con la specificità delle abilità è l’addestramento sul lavoro che si caratterizza per essere un processo informale di apprendimento in cui il neoassunto impara la nuova mansione “imitando” i comportamenti di un lavoratore con maggiore anzianità che funge da istruttore. Il terzo elemento all’origine della formazione dei mercati interni sono gli usi, consuetudini e le convenzioni. Il riferimento alla cultura organizzativa significa comprendere le ragioni per cui i candidati interni sono privilegiati sugli esterni per la copertura di un posto di lavoro. Data l’esistenza di questi elementi che favoriscono la formazione di un segmento del mercato del lavoro con regole “diverse” dall’esterno, quali sono i motivi che spingono il management e i lavoratori a rafforzare l’esistenza? Dal lato dell’impresa, essa ha interesse a contrastare il turnover del personale: per non perdere l’investimento in capitale umano; per non vederne diminuito il valore nel caso in cui l’uscita del lavoratore dell’impresa implichi il parziale trasferimento delle abilità professionali specifiche ad altre aziende; per non dover ripetere i costi di selezione, inserimento e addestramento; per difendere le tecnologie produttive sviluppate internamente della concorrenze esterna. I lavoratori tendono a rafforzare e irrigidire queste condizioni data la bassa trasferibilità delle competenze firm specific. Questo tipo di approccio al rapporto di lavoro, in cui la longevità della relazione è l’obiettivo comune per impresa e lavoratori, ha cominciato a mostrare evidenti punti di debolezza. Il cambiamento di lavoro con una certa frequenza, favorito dalle nuove forme contrattuali, dal cambiamento tecnologico e dall’esigenza delle imprese di adeguare il proprio organico alle richieste del mercato è divenuto un’esperienza che riguarda non solo una fascia marginale di lavoratori, ma la maggior parte di essi. Rodrigues e Guest, analizzando i dati Ocse, mostrano come la durata media dei rapporti di lavoro in Italia sia di circa 12 anni. In questi passaggi le persone sono caratterizzate da maggiore autonomia e permette uno sviluppo di competenze individuali. Questi percorsi di sviluppo professionale, centrati sull’individuo, vengono definiti dalla letteratura boundaryless career (carriera senza confini), essi proiettano l’idea di un lavoratore “nomade” che si muove attraverso diverse imprese. I mercati interni del lavoro e le politiche di gestione delle risorse umane L’impatto dell’esistenza di un mercato interno del lavoro sulle politiche di gestione delle risorse umane è duplice e riguarda i percorsi di crescita interna dei lavoratori. La Dru è chiamata a progettare la struttura allocativa del mercato interno del lavoro definendone: 1. il grado di apertura; 2. l’ampiezza; 3. i criteri di mobilità. Il grado di apertura dipende dai porti di entrata e uscita. Un porto d’entrata è un posto di lavoro per ricoprire il quale l’azienda è disposta ad assumere un lavoratore non appartenente al mercato interno. L’apertura del mercato interno può essere l’effetto di una scelta oppure di necessità, perché nessuno dei lavoratori presenti in azienda possiede le competenze necessarie a coprire il ruolo vacante, oppure perché la posizione non dà possibilità di crescita. 41 Il secondo elemento che la Dru è chiamata a progettare è l’ampiezza del mercato interno del lavoro. Con questo termine si intende il grado con cui il lavoratore può sviluppare percorsi di mobilità interna con passaggi tra diverse funzioni o tra diverse aree geografiche. Infine, la Dru è chiamata a definire i criteri di mobilità (quali l’abilità, l’anzianità, il genere, l’appartenenza a determinati gruppi professionali, la nazionalità, le prestazioni, l’esperienza) grazie ai quali i lavoratori possono “fare carriera”. Insieme con le modalità di carriera, la definizione del mercato interno si accompagna con la determinazione della politica retributiva aziendale. Mercati interni del lavoro e sistemi di carriera Per sistema di carriera si intende l’insieme delle pratiche di gestione delle risorse umane che orientano lo sviluppo professionale del lavoratore verso una crescita nella gerarchia aziendale. I diversi percorsi possibili di carriera possono essere ricondotti a quattro modelli principali: 1. il percorso lineare; 2. il percorso professionale; 3. il percorso a spirale; 4. il percorso transitorio. Nel percorso di carriera lineare un individuo cresce spostandosi verticalmente all’interno di una singola funzione. Il successo di carriera è relativo all’ottenimento di posizioni gerarchiche prestigiose e di un’elevata remunerazione. Gli strumenti che l’impresa ha a sua disposizione per gestire percorsi di carriera lineari sono quelli propri della programmazione del personale ovvero le tavole di rimpiazzo, programmi di mentoring e di coaching. La scelta di sviluppare i propri manager all’interno è abbastanza comune tra le aziende di grandi dimensioni. Nel percorso di carriera professionale l’individuo fa cerriera rimanendo fermo nella gerarchia. La sua crescita, legata all’esperienza, viene favorita dall’organizzazione permettendogli di partecipare a progetti nuovi e complessi dove abbia la possibilità di applicare e approfondire le sue conoscenze specialistiche. In questo caso, carriera organizzativa e retributiva vengono scollegate: alla persona vengono riconosciuti incrementi retributivi signicicativi legati ai risultati. 42 Il percorso di carriera a spirale implica periodici spostamenti tra ruoli, attività e aree funzionali. La mobilità è principalmente intesa in senso laterale, ma con possibilità di carriera verticale. Le persone intraprendono percorsi di questo tipo sono stimolate dallo sviluppo personale, dalla creatività e dal cambiamento. Il percorso a spirale ideale dovrebbe consistere nello spostamento da una posizione a una vicina in modo da trasferire alcune competenze sviluppate nella precedente occupazione a quella nuova. Per favorire questi processi le organizzazioni possono disegnare piani di job rotation oppure affidarsi all’iniziativa individuale. Infine, il percorso di carriera transitorio si caratterizza per la maggiore instabilità e quindi per la maggiore difficoltà da parte dell’impresa nel gestirne i passaggi. Il lavoratore segue una carriera priva di un apparente filo conduttore professionale. Ciò che distingue queste persone sono la capacità di svolgere lavori molto diversi tra loro e il desiderio di indipendenza, autonomia e varietà che le spinge verso organizzazioni flessibili e non strutturate. 45 persone siano molteplici, la scelta può essere preliminarmente ricondotta a due fonti principali: il mercato interno e il mercato del lavoro. Reclutare all’interno Nel momento in cui viene creata una nuova posizione o se ne rende vacante una già esistente, la prima attività compiuta dalla Dru è quella di verificare se in impresa ci sono persone che possiedono le caratteristiche richieste. Spesso infatti in azienda si trovano già lavoratori in grado di ricoprire la posizione o immediatamente o dopo un periodo di formazione e addestramento. Il reclutamento interno ha il vantaggio di favorire la stabilità dei rapporti di lavoro e incentivare le carriere interne. Per contro esiste il pericolo di privilegiare una semplice conservazione della “cultura” aziendale esistente, che può essere fonte di coesione in condizioni di stabilità e di sviluppo, ma anche fonte di rigidità e di resistenze al cambiamento in situazioni di mutamento. Dal punto di vista del lavoratore, il reclutamento nel mercato interno offre opportunità di carriera e ha un forte impatto sulla motivazione e sul commitment. Il ricorso esclusivo al mercato interno è comunque un’ipotesi difficilmente praticabile, in quanto un’impresa può avere bisogno di nuove idee e professionalità che non sono presenti in azienda e che non sempre è possibile costruire mediante processi di formazione. Comunque, in una situazione di stabilità tendenziale del rapporto di lavoro, la scelta dei lavoratori dal mercato interno permette di perseguire i seguenti benefici: Riduzione dei costi di selezione e inserimento dal mercato esterno; Conservazione e rafforzamento degli elementi di stabilità che caratterizzano il mercato interno del lavoro; Miglioramento delle relazioni sindacali; Ma a fronte di questi vantaggi ci sono anche dei costi legati a: Rischio di obsolescenza del capitale umano organizzativo; Rigidità dei processi di mobilità interna; Attività amministrative per le procedure di mobilità interna. La scelta delle modalità con cui reclutare nel mercato interno è fortemente condizionata dalla presenza di regole che definiscono i criteri di mobilità e dalle possibilità di spostarsi verticalmente e orizzontalmente, delimitando di conseguenza i confini del bacino di reclutamento interno cui l’impresa può fare riferimento. Gli strumenti di reclutamento che “attivano” questi segmenti della popolazione aziendale sono: le ricerche su banche dati aziendali e il job posting. Un’organizzazione che possieda un sistema informativo del personale sviluppato ha a propria disposizione un patrimonio di informazioni relative alla condizione professionale dei propri collaboratori. L’utilizzo di questo canale può essere rischioso nel caso in cui le informazioni in possesso dell’impresa non siano perfettamente aggiornate: infatti potrebbero non essere considerati lavoratori che hanno maturato le giuste competenze nel periodo in cui i dati non sono stati rivisti. Questo sistema di reclutamento interno agisce a livello informale, tramite passaparola, anche nelle imprese di piccole dimensioni. Il secondo strumento utilizzato nella ricerca di personale interno è il job posting, questi rappresentano una sorta di bacheca degli annunci nella quale viene data pubblicità alle posizioni vacanti in azienda, in modo tale che i collaboratori possano venirne a conoscenza e possano presentare la loro candidatura. Talvolta questi annunci hanno solo visibilità interna, mentre in altri casi si attiva una competizione tra interno ed esterno. Questo strumento permette di dare trasparenza al mercato interno del lavoro e ai percorsi di mobilità aziendali. Uno dei rischi del job posting è la gestione del momento in cui la persona che ha presentato la propria domanda riceve il feedback: nel caso in cui non 46 venga selezionata per il posto è importante che ottenga delle motivazioni chiare sulle ragioni che non hanno permesso il passaggio. Reclutare all’estero I limiti del mercato interno possono spingere l’impresa a rivolgersi all’esterno dei propri confini organizzativi. Il ricorso all’esterno può nascere da numerose ragioni: limiti del mercato interno in termini quantitativi e qualitativi, mancanza di personale che abbia tempo e risorse per gestire il reclutamento, costi del processo. Mercato interno ed esterno, comunque, non si escludono a vicenda dal momento che anche per medesime posizioni possono essere attivate entrambe le fonti di ricerca. Anche con l’uso del mercato esterno l’impresa tenta di perseguire una serie di benefici: Attivazione della concorrenza tra lavoratori interni ed esterni; Iniezione di competenze nuove e ibridazione della cultura aziendale. Questi vantaggi non sono conseguibili senza il sostenimento di alcuni costi legati a: Raccolta e diffusione di informazioni, Attività di reclutamento; Attività di selezione; Costi amministrativi di gestione dei flussi in entrata e in uscita. A differenza del reclutamento nel mercato interno, gli strumenti di ricerca nel mercato esterno sono numerosi: le autocandidature; il passaparola; le scuole e le università; le associazioni professionali, imprenditoriali e i sindacati; le inserzioni; le agenzie pubbliche e private per l’impiego; internet; le società di consulenza. Le autocandidature consistono nell’invio spontaneo del proprio curriculum da parte di persone che si candidano a un posto in impresa. Il passaparola è una ricerca informale che si basa sui contratti interpersonali. I lavoratori già impiegati in azienda segnalano al mercato esterno la presenza di posizioni vacanti. In termini di efficacia, tra i metodi di ricerca di lavoro, i contatti personali sono quelli che danno i risultati migliori: dal lato delle imprese, non implicano alcun costo, mentre, da quello dei candidati, consentono di inserirsi nelle posizioni desiderate e offrono opportunità di impiego a persone che non stanno cercando lavoro. Le imprese possono poi rivolgersi direttamente ai servizi di placement di scuole e università. Questi uffici forniscono elenchi di studenti e neolaureati e segnalano persone particolarmente brillanti o con un curriculum in linea con le esigenze di personale dell’impresa. Il rapporto finalizzato al reclutamento delle imprese con le università e le scuole può spingersi anche a forme di collaborazione più avanzate, che passano attraverso stage e tirocini. Le associazioni professionali, imprenditoriali e i sindacati hanno tra i loro obiettivi quelli di fornire un servizio di supporto alle imprese o ai lavoratori iscritti nella ricerca di lavoro. La pubblicazione di inserzioni avviene in genere sugli organi di stampa in sezioni espressamente dedicate agli annunci di lavoro. Un problema caratteristico di questo strumento, che è anche il suo punto di forza, è la sua diffusione. 47 I Centri per l’impiego sono strutture pubbliche che forniscono a titolo gratuito servizi per il lavoro alle persone in cerca di lavoro e alle imprese che assumono. Il centro per l’impiego è l’evoluzione degli uffici di collocamento. Le sue attività sono quelle di assicurare alle persone in cerca di lavoro un’ampia gamma di servizi, tra cui l’accoglienza, l’informazione, la preselezione, l’orientamento professionale. Le agenzie per il lavoro sono l’evoluzione delle agenzie interinali previste dalla legge Treu 1997. Dal 2003 è stato istituito un Albo presso il Ministero del Lavoro che raccoglie tutti i soggetti operanti nel settore dell’intermediazione al lavoro e li organizza in sezioni a seconda del proprio core business. I servizi offerti sono: somministrazione di lavoro a tempo indeterminato e determinato, intermediazione tra domanda e offerta di lavoro, ricerca e selezione del personale, supporto al ricollocamento del personale. Il recruiting on-line è definito come l’insieme di strumenti tecnologici e organizzativi che consentono di fornire un valido supporto per gestire il processo di reclutamento e selezione. Diverse sono le forme che può assumere il recruiting on-line. Le tre principali sono: 1. il web recruiting; 2. i portali specializzati nell’incontro domanda – offerta di lavoro (job board); 3. il social networking. Il web recruiting indica la presenza, all’interno del sito aziendale, di una sezione dedicata alle persone che vogliono inviare la loro candidatura all’impresa. In questa sezione è possibile spedire il proprio curriculum o compilare un modulo in cui devono essere indicate tutte le informazioni che l’impresa utilizzerà in fase di screening. Le informazioni vengono raccolte da un sistema informativo e possono rappresentare oggetto di screening immediato. Quelle che non vengono accettate entrano comunque a far parte della banca dati di profili aziendali. Il web recruiting consente di ridurre il tempo dedicato al processo di reclutamento. Con riferimento ai siti specializzati, in Italia il settore del recruiting on-line è nato nel 1996 con Bancalavoro, con funzioni di job board, cioè come una banca virtuale che rivolge il proprio servizio alle aziende e ai candidati, raccogliendo le offerte di lavoro delle prime e i curriculum dei secondi. Negli anni successivi, la diffusione di Internet ha favorito la nascita di nuovi siti e ha aumentato l’attrattività del mercato italiano per le multinazionali europee. Attualmente il numero dei siti che offrono il servizio di facilitare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro è cresciuto esponenzialmente: si sono sviluppati piccoli siti a vocazione specialistica, molti quotidiani hanno digitalizzato il loro inserto dedicato al lavoro, le agenzie per il lavoro hanno cominciato a offrire il loro servizio di intermediazione tramite il web. Solamente una minoranza di tutti questi siti può essere però ricompresa tra i career network di seconda generazione, i servizi offerti da questi siti alle persone sono di varia natura: la possibilità di creare un account personale che permette di gestire l’invio di curricula e lettere di presentazione diversificati, gli agenti di ricerca automatica che inviano nella casella del candidato tutti gli annunci rispondenti ai criteri impostati, le sezioni informative del sito. I servizi per le aziende sono relativi a: pubblicazione degli annunci, ricerca di curricula nel database internazionale, attività di promozione, attività di pre-screening. Un’altra modalità di utilizzo di Internet a fini di reclutamento che va diffondendosi sono i siti di social networking. Attraverso queste comunità virtuali i candidati possono entrare in contatto con persone che lavorano presso le aziende di loro interesse. In secondo luogo questi network prevedono sistemi di “referenza”, per cui i colleghi e datori di lavoro possono postare una valutazione relativa all’operato della persona. Infine, all’interno dei siti si formano comunità interessate alla ricerca di lavoro in specifici settori. Da notare come questi strumenti riducano 50 canali di reclutamento giusti. Quando questo valore è prossimo a 1 significa che per ogni posto vacante viene esaminato un solo candidato. Al crescere di questo rapporto aumentano le possibilità di scelta ma anche i costi: per ogni posizione da coprire vengono analizzati più candidati. La valutazione generale della qualità del reclutamento può essere accompagnata da un’analisi più completa dell’efficienza e dell’efficacia dello stesso. Relativamente all’efficienza si fa riferimento ai costi e ai tempi del processo. Nel primo caso si può calcolare il costo di reclutamento per assunto, dato dall’ammontare dei costi sostenuti per raccogliere le candidature rapportato al numero di persone assunte. 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑜 𝑑𝑖 𝑟𝑒𝑐𝑙𝑢𝑡𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑝𝑒𝑟 𝑎𝑠𝑠𝑢𝑛𝑡𝑜 = ∑ 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑖 𝑑𝑖𝑟𝑒𝑡𝑡𝑖 𝑟𝑒𝑐𝑙𝑢𝑡𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑛° 𝑑𝑖 𝑐𝑎𝑛𝑑𝑖𝑑𝑎𝑡𝑖 𝑎𝑠𝑠𝑢𝑛𝑡𝑖 Il tempo è un altro indicatore di efficienza molto importante per questo processo: se il tempo impiegato dal momento in cui gli addetti al reclutamento ricevono la richiesta da parte della line e il momento in cui comincia la selezione (tempo di risposta) e quello che intercorre tra il momento della richiesta e l’assunzione (tempo di copertura) sono troppo lunghi potrebbe accadere che i migliori candidati abbiano nel frattempo accettato proposte più tempestive da parte di concorrenti. La valutazione di efficienza non è però sufficiente. Inoltre, data la possibilità di attivare una pluralità di canali per ciascuna ricerca di personale, è importatene che l’impresa indaghi sull’efficacia di ciascuno di essi. Relativamente al primo obiettivo può essere calcolato il tasso di screening, che verifica la capacità del reclutamento di attrarre candidati che possiedono i requisiti minimi richiesti dall’impresa. 𝑡𝑎𝑠𝑠𝑜 𝑑𝑖 𝑠𝑐𝑟𝑒𝑒𝑛𝑖𝑛𝑔 = 𝑛° 𝑑𝑖 𝑐𝑎𝑛𝑑𝑖𝑑𝑎𝑡𝑖 𝑐ℎ𝑒 𝑠𝑢𝑝𝑒𝑟𝑎𝑛𝑜 𝑠𝑐𝑟𝑒𝑒𝑛𝑖𝑛𝑔 𝑝𝑟𝑒𝑙𝑖𝑚𝑖𝑛𝑎𝑟𝑒 𝑛° 𝑑𝑖 𝑐𝑎𝑛𝑑𝑖𝑑𝑎𝑡𝑖 𝑡𝑜𝑡𝑎𝑙𝑒 × 100 6.4. Come scegliere la persona da inserire? L’attività di selezione mira a soddisfare le richieste poste dall’organizzazione in termini di risorse conoscitive, professionali e comportamentali, massimizzando il contributo che tali risorse, incorporate nelle persone scelte, portano all’implementazione delle strategie e delle politiche aziendali. Questo significa rispondere alla domanda “Come scegliere la persona da inserire in azienda?”. Il contributo delle risorse umane è dovuto non solo all’insieme di conoscenze apprese durante il processo di sviluppo della propria professionalità, ma anche alla congruenza e alla continuità di tale apporto rispetto alla strategia dell’impresa. Pertanto la selezione diventa uno strumento di “raccolta” e “confronto” di informazioni, idee, valori tra datore di lavoro e lavoratore. In questa attività l’impresa ha l’obiettivo di individuare le persone con un insieme di caratteristiche personali e professionali tali da garantire loro il successo nella posizione per la quale sono selezionati. Questa decisione non è però esente da rischi. Il compiere errori nella selezione può infatti portare a due tipi di conseguenze: 51 Successo lavorativo Alto Falso negativo Selezione accurata Basso Selezione accurata Falso Positivo Non assunto Assunto Decisione di assunzione in base ai risultati della selezione 1. Da un lato potrebbe essere assunta una persona che si dimostra poi non adeguata al contesto organizzativo; 2. Dall’altro potrebbe essere non selezionato un candidato che in seguito dimostra delle capacità che l’impresa non è stata in grado di riconoscere durante la selezione. Nel primo caso (errore di falso positivo) le conseguenze possono essere costi legati a danneggiamenti dei macchinari, scarsa produttività, peggioramento del clima organizzativo, necessità di allontanare e sostituire la persona. Nel secondo caso (errore di falso positivo) i costi sono relativi alla perdita di opportunità derivanti dall’assunzione di quella persona. A rendere particolarmente delicato il momento della selezione vi è l’asimmetria informativa tra impresa e candidato, che genera incertezza rispetto al risultato della selezione. Da un lato, l’impresa non conosce tutte le caratteristiche del candidato. Se è vero che una parte di queste sono contenute nel curriculum, è anche vero che le più profonde non sono immediatamente visibili e possono emergere solo attraverso il lavoro. Le tecniche di selezione hanno proprio l’obiettivo di “scoprire” i tratti della persona che non si “leggono” nel curriculum. Dall’altra parte, anche il lavoratore si trova in una condizione di “ignoranza” rispetto alle caratteristiche dell’impresa e alle sue prospettive di lavoro all’interno dell’organizzazione. La situazione di asimmetria informativa spinge gli attori a comportarsi in maniera opportunistica, fornendo informazioni incomplete o inesatte per raggiungere il proprio obiettivo. Si configura la situazione che la teoria dell’agenzia definisce come seleziona avversa: il comportamento scorretto messo in atto da un soggetto nella fase di stipulazione di un contratto che gli permette di nascondere o manipolare informazioni per ingannare la controparte. I metodi di selezioni, anche i più sofisticati, non eliminano la responsabilità del selezionatore, ma forniscono informazioni per agevolare la scelta. Le tecniche utilizzate aiutano a ridurre il rischio di scegliere un persona inadeguata rispetto al ruolo da coprire e a massimizzare la probabilità di individuare la persona giusta. La necessità di raccogliere il maggior numero di informazioni sul candidato conduce a sviluppare più fasi all’interno del processo di selezione: una fase di screening, una fase di valutazione e una di scelta dei candidati che verranno poi proposti alla line che ha commissionato la ricerca. La fase di screening Nella fase di screening preliminare, al termine del reclutamento, i candidati vengono filtrati in base al possesso di alcune caratteristiche “di soglia”. A questa prima fase ne segue una effettuata dai selezionatori, che controllano e verificano le informazioni fornite dal candidato nel curriculum o nella scheda che ha sottoposto all’impresa. Questa fase ha l’obiettivo di individuare tra i candidati quelli che posseggono le caratteristiche necessarie per accedere al posto di lavoro e che presentano un profilo professionale interessante per l’organizzazione. Le informazioni analizzate sono relative a fattori demografici (età, genere, condizione familiare), alle conoscenze (titolo di studio posseduto, corsi di formazione), al profilo di esperienza (numero e tipo di esperienza lavorative) e alle attitudini. 52 Al termine di questa fase viene individuato il gruppo di candidati che sarà convocato per svolgere interviste e test di selezione. La fase di valutazione La fase di valutazione rappresenta il cuore del processo di selezione e può essere effettuata utilizzando diverse tecniche. La tecnica più utilizzata nella selezione è il colloquio di selezione. Il colloquio è uno strumento di comunicazione a due vie, in cui i soggetti scambiano determinante informazioni opportunamente codificate attraverso una serie di mezzi. Quindi il colloquio dovrebbe essere finalizzato a: Verificare e approfondire le informazioni ricavate nella fase di screening; Chiarire, per il candidato, quali sono le aspettative dell’impresa rispetto al ruolo che deve essere coperto; Presentare l’impresa e trasferirne una buona immagine. Il colloquio può assumere la forma di intervista destrutturata, semistrutturata oppure strutturata. Questa classificazione si basa sul fatto che il selezionatore configuri il colloquio come dialogo aperto oppure utilizzi uno schema standard di domande. Le domande da inserire in un’intervista strutturata per valutare la corrispondenza tra il profilo del candidato e la posizione possono essere di diverso tipo. Le interviste comportamentali si basano sull’assunto che i comportamenti passati siano la miglior previsione di quelli futuri. Il selezionatore chiederà al candidato di raccontare i propri comportamenti in riferimento a specifiche situazioni professionali. Le interviste situazionali si basano sul presupposto che le intenzioni possano determinare gli atti. In questo caso l’intervistatore presenta una situazione ipotetica al candidato chiedendogli come affronterebbe il problema posto. Un altro aspetto che caratterizza le tipologie di intervista è legato al numero di intervistati e intervistatori. In base a queste variabili si distinguono: L’intervista uno a uno, il metodo più classico di intervista individuale; L’intervista panel, in cui più selezionatori intervistano in simultanea lo stesso candidato; L’intervista in serie, che prevede che il candidato sostenga una serie di interviste in sequenza con selezionatori diversi, al fine che questi possano cogliere diversi aspetti del suo profilo; L’intervista di gruppo, che prevede la compresenza di più intervistati. Una seconda tecnica di selezione, molto diffusa e allo stesso tempo molto diffusa, sono i test. Il test è uno strumento costruito appositamente per determinare reazioni osservabili e misurabili. In particolare, i test offrono un supporto all’indagine di caratteristiche e competenze che non emergono dal curriculum o dal racconto delle esperienze della persona. I test più utilizzati nell’attività di selezione sono riconducibili a due principali categorie: 1. Test cognitivi; 2. Test di personalità. Tra i test cognitivi si distinguono: i test di abilità generale; i test psicoattitudinali; i test di conoscenza. I test di abilità generale sono finalizzati alla misurazione dell’intelligenza del candidato. In ambito lavorativo, questa viene intesa come quell’abilità che consente alla persona di apprendere dall’esperienza, di adattarsi all’ambiente circostanze e di comprendere come la propria attività si inserisce nel contesto organizzativo. L’assunto dei test di intelligenza è che le persone più 55 stati assunti in un certo periodo hanno ottenuto almeno una promozione in un periodo di tempo successivo di N anni. 𝑖𝑛𝑑𝑖𝑐𝑎𝑡𝑜𝑟𝑒 𝑑𝑖 𝑐𝑎𝑟𝑟𝑖𝑒𝑟𝑎 = 𝑎𝑠𝑠𝑢𝑛𝑡𝑖 𝑛𝑎𝑙𝑙′𝑎𝑛𝑛𝑜 𝑇 𝑝𝑟𝑜𝑚𝑜𝑠𝑠𝑖 𝑛𝑒𝑙 𝑝𝑒𝑟𝑖𝑜𝑑𝑜 𝑁 𝑎𝑠𝑠𝑢𝑛𝑡𝑖 𝑛𝑒𝑙𝑙′𝑎𝑛𝑛𝑜 𝑇 × 100 Adotta un’ottica complementare al tasso di turnover dei nuovi assunti, ma secondo una prospettiva di lungo periodo, il tasso di sopravvivenza. Questo indicatore stima la capacità di retention dell’azienda e dà indicazioni della seniority media del personale. 𝑡𝑎𝑠𝑠𝑜 𝑑𝑖 𝑠𝑜𝑝𝑟𝑎𝑣𝑣𝑖𝑣𝑒𝑛𝑧𝑎 = 𝑎𝑠𝑠𝑢𝑛𝑡𝑖 𝑛𝑒𝑙𝑙′𝑎𝑛𝑛𝑜 𝑡 𝑝𝑟𝑒𝑠𝑒𝑛𝑡𝑖 𝑖𝑛 𝑎𝑛𝑧𝑖𝑒𝑑𝑎 𝑖𝑛 𝑡 + 𝑛 𝑎𝑠𝑠𝑢𝑛𝑡𝑖 𝑎𝑛𝑛𝑜 𝑡 × 100 6.5. L’inserimento all’outplacement Una volta terminata la ricerca della persona più adatta a coprire la posizione organizzativa vacante, il processo di assunzione arriva alla fase di inserimento dell’individuo nel suo ruolo organizzativo. Per ridurre i rischi associati a questa fase l’impresa ha a disposizione una serie di strumenti contrattuali, ideati dal legislatore per favorire un ingresso “soft” dei giovani nel mondo del lavoro. Si fa riferimento a forme quali stage, i contratti di apprendistato, i contratti di apprendistato, i contatti di inserimento. Gli strumenti contrattuali consentono di ridurre i costi legati ai falsi positivi. Per aumentare la possibilità di inserimenti di successo devono però essere attivate altre iniziative per gestire la fase iniziale di adattamento tra lavoratore e azienda. I programmi di on-boarding hanno l’obiettivo di facilitare l’inserimento del neoassunto attraverso interventi formativi di orientamento, l’affidamento a lavoratori più esperti, periodi di rotazione tra diverse attività e funzioni. Non sempre però il processo di reclutamento e selezione e la successiva fase di inserimento raggiungono gli obiettivi sperati. L’azienda deve quindi essere in grado di gestire anche l’eventualità che il lavoratore lasci l’impresa (processo di selezione in uscita). Questa scelta può nascere in capo al lavoratore che decide di abbandonare l’azienda e, quindi, valuta se cambiare azienda, lavorare autonomamente o uscire dal mercato del lavoro. Oppure può avere come protagonista l’impresa che può operare con azioni dirette volte a risolvere il rapporto di lavoro oppure attraverso azioni indirette volte a sollecitare un’iniziativa volontaria del lavoratore. L’uscita del lavoratore può essere segnale di errori nella programmazione del personale, nelle politiche di gestione dello sviluppo individuale e delle carriere e, soprattutto, nella selezione. Tra le tecniche di selezione in uscita in rapida diffusione è l’outplacement. L’outplacement è un tipo di consulenza di supporto alla ricollocazione professionale. Si tratta di un servizio a carico dell’azienda, che stipula un preciso contratto con una società di outplacement per favorire il re- inserimento professionale dei dipendenti con cui vuole risolvere il rapporto di lavoro. L’intervento può essere individuale (cioè frutto di un accordo diretto tra il dipendente e l’azienda) o collettivo (frutto di accordi sindacali riguardanti gruppi di lavoratori). L’outplacement individuale fornisce supporto fino al completamento del processo di ricollocazione, e prevede una metodologia caratterizzata da alcune fasi fondamentali: Fase di “supporto psicologico” al candidato, finalizzata alla rimotivazione; Fase di formazione specifica relativa alla propria presentazione e “autopromozione” sul mercato del lavoro; Fase di attivazione individuale del candidato per individuare l’attività e il posto di lavoro che più gli si addicono. 56 Le prime operazioni di outplacement collettivo sono state effettuate in Italia nei primi anni ’90. Gli outplacement collettivi hanno una durata predefinita e generalmente sono gestiti anche con la collaborazione del sindacato. 6.6. Una scelta strategica Il processo di reclutamento e selezione rappresenta il primo passo nella creazione della relazione tra lavoratore e impresa. L’organizzazione può confrontarsi con il mercato del lavoro cercando i candidati che meglio si adattano alle job description oppure aprirsi alla possibilità che le competenze delle persone possano apportare dei cambiamenti nella struttura delle posizioni. A partire dall’approccio adottato (task), derivano diversi orientamenti nella scelta degli strumenti e delle modalità (organizzazione e strumenti) con cui condurre l’intero processo. Si possono scegliere strumenti ritenuti oggettivi gestiti con impersonalità a volte da professionisti esterni, oppure vedere la selezione come momento in cui si instaura o si rinnova il contratto psicologico tra lavoratore e impresa. Questo è legato anche a un diverso atteggiamento culturale (strategia, valori e cultura) nei confronti della gestione del personale. Mentre infatti le aziende che mirano all’ottimizzazione del matching tra candidato e caratteristiche del posto del lavoro avranno tendenzialmente un atteggiamento di breve periodo nei confronti della gestione del personale, le aziende che adottano un atteggiamento meno deterministico tenderanno a “mettersi in ascolto” del mercato, cercando di attirare lavoratori che hanno le caratteristiche adeguate per arricchire il capitale intellettuale dell’impresa. In termini di valutazione del processo (performance), nel primo caso si adotta un orientamento che privilegia l’efficienza; nel secondo si privilegia l’efficacia e, di conseguenza, si cercherà il coinvolgimento del manangement di linea per raggiungere una maggiore coerenza con la strategia e con le altre politiche di sviluppo delle risorse umane. Naturalmente il coinvolgimento e la ricerca di coerenza saranno differenziati per le diverse tipologie di personale (segmentazione). Il processo di reclutamento e selezione nella Dru come servizio strategico Task Alimentare la valorizzazione del capitale intellettuale dell’azienda Segmentazione Relazione delle diverse tipologie di personale da inserire con la strategia e il vantaggio competitivo Organizzazione e strumenti Orientamento oggettivo e impersonale con il coinvolgimento di professionisti della selezione (test, assessment center, ecc…) vs coinvolgimento dei manager di linea per la costruzione del contratto psicologico Performance Efficienza del processo di reclutamento e selezione (velocità, costi) vs efficienza (adeguatezza dei nuovi inseriti al contratto organizzativo) Strategia, valori e cultura Le persone da inserire si adattano alle posizioni scoperte vs apportano un contributo alla strategia di sviluppo e di innovazione 57 PARTE 2 – LE RELAZIONI CAPITOLO 7 - Dal contratto collettivo al contratto individuale Il rapporto di lavoro è un rapporto particolare, che si differenzia da tutti gli altri rapporti economici e giuridici che si sviluppano nel mondo economico e sociale. Il lavoro non è una merce e la sua erogazione non è assicurata dalla semplice stipulazione di un contratto. Il valore che il lavoratore apporta al processo produttivo dipende da decisioni, informazioni e abilità che egli assume successivamente alla definizione del contratto che lo lega a un particolare impresa e che non può specificare a priori tutti i comportamenti richiesti (contratto incompleto), mentre lascia inespresse talune attese reciproche (contratto implicito). Le persone e le imprese stabiliscono relazioni per soddisfare i reciprochi bisogni e raggiungere i propri obiettivi. Queste relazioni hanno componenti di diversa natura: giuridica, economica, sociale, affettiva, ecc. da un punto di vista organizzativo esse possono essere classificate come: Relazioni di scambio: che implicano il passaggio di beni e servizi e costituiscono le transazioni in senso stretto e sono governate dall’utilità economica; Relazioni di potere: che connotano rapporti in cui una parte può imporre la propria volontà o i propri interessi all’altra e sono fondanti dell’organizzazione interna; Relazioni di condivisione: che connotano rapporti in cui le parti mettono in comune informazioni, conoscenze, ideali, sentimenti ed emozioni. La Dru ha avuto un ruolo importante nella costituzione delle relazioni e un ruolo minore nella gestione, affidata al rapporto diretto tra il lavoratore e il suo superiore gerarchico, intervenendo saltuariamente e per eccezione a fronte di particolari procedure. Le transazioni di lavoro comprendono l’insieme dei rapporti economici, organizzativi, culturali e politici che intercorrono tra l’impresa, singola e associata, e i lavoratori, singoli e associati, e intervengono in un quadro normativo strutturato dal potere statuale e dalla contrattazione collettiva. All’interno del sistema di transazioni di lavoro si possono individuare attori, processi e risultati. I protagonisti del confronto sono: I sindacati, i loro delegati e i lavoratori; Le associazioni dei datori di lavoro e le imprese; Lo Stato. I processi negoziali sono di tipo individuale o collettivo. In generale, all’interno di un sistema di transazioni di lavoro non esiste il principio di esclusività delle transazioni individuali o di quelle collettive. Esse, piuttosto, operano su livelli differenti. Un ruolo rilevante è assunto dallo Stato che si trova in una duplice posizione: da un lato, ricopre il ruolo di datore di lavoro per i lavoratori pubblici; dall’altro, rappresenta l’attore che avendo il potere di stabilire le condizioni generali del contesto istituzionale, influisce in modo determinante sulle posizioni economiche tanto dei lavoratori e dei sindacati, quanto delle imprese e delle loro associazioni. 7.1. I sindacati dei lavoratori L’avvio di un rapporto di lavoro avviene sempre attraverso la stipulazione di un contratto di lavoro individuale, che deve sottostare alle formalità previste dalle leggi. Dal contratto scaturiscono due obbligazioni corrispettive: Per il lavoratore, l’obbligo di erogare una prestazione di lavoro manuale o intellettuale; Per il datore di lavoro, l’obbligo di corrispondere la retribuzione pattuita. 60 7.2. Le associazioni imprenditoriali Anche i datori di lavoro hanno una proprio organizzazione di rappresentanza. L’adesione delle imprese all’associazione imprenditoriale risente meno di fattori ideologici e dipende molto pragmaticamente dalla possibilità di ricevere da essa servizi di varia natura. Il servizio sindacale e la struttura organizzativa Il servizio più importante offerto dalle associazioni imprenditoriali è quello di natura sindacale e contrattuale, in quanto le associazioni sono attori del sistema di transazioni di lavoro, che vengono coinvolti nelle attività di contrattazione collettiva a livello interconfederale e di categoria, oltre a prestare assistenza alle imprese associate nella contrattazione a livello aziendale. Per svolgere in modo efficace tale attività, l’articolazione settoriale e territoriale riflette l’organizzazione già vista per le organizzazioni sindacali, al fine di disporre di strutture idonee a confrontarsi ai differenti livelli della contrattazione: Livello confederale; Livello settoriale o di categoria; Livello territoriale. In Italia sono presenti associazioni rappresentative di imprese appartenenti all’industria (Confindustria), all’agricoltura(Confagricoltura), al terziario (Confcommercio) ecc. Il livello confederale è direttamente coinvolto negli accordi triangolari, che hanno per oggetto prevalente la tutela degli interessi di carattere generale comuni a tutte le imprese, indipendentemente dalla categoria di appartenenza. La stipulazione dei contratti collettivi, invece, spetta alle federazioni nazionali di settore. La struttura delle associazioni imprenditoriali si articola a livello territoriale attraverso associazioni provinciali e federazioni regionali. Il ruolo della struttura territoriale è tutt’altro che marginale. In primo luogo, assicurano il collegamento tra associazioni nazionali e unità decentrate. In secondo luogo, le associazioni provinciali e regionali si focalizzano su problematiche locali e sono un indispensabile supporto. Concezioni d’impresa adottate dalle associazioni imprenditoriali Nella definizione delle politiche contrattuali e della negoziazione con i sindacati dei lavoratori si possono sintetizzare due concezioni fondamentali che ispirano tutte le politiche e le forme organizzative interne alle imprese e alle associazioni datoriali. La prima è definibile come prospettiva unitaria. Secondo tale concezione: la logica organizzativa d’impresa viene vista come orientata verso un'autorità unificata con la funzione direttiva accettata come legittima da tutti i membri dell'organizzazione. Aderendo a questa prospettiva, il confronto con i sindacati ha l'obiettivo di circoscrivere il loro impatto e di salvaguardare le prerogative imprenditoriali e manageriali che si fondono su un’idea di potere aziendale indivisibile e basato su un'unica fonte di legittimazione. Il conflitto sindacale viene visto come un gioco a somma zero in cui il potere acquisito dal sindacato è sottratto al potere dell’impresa e viceversa. Le relazioni tra imprese e sindacati sono ispirate da una reciproca sfiducia. Il conflitto e la contrattazione assumono un carattere distributivo: si parla in questo caso di conflitto distributivo o di contrattazione distributiva. La seconda concezione è definibile come prospettiva pluralistica. Secondo tale concezione: l'impresa è una coalizione di individui e gruppi che hanno ciascuno le proprie aspirazioni e una particolare concezione dell'impresa, l'impresa è vista come un campo di tensione e di richieste contraddittorie e contrastanti, richieste che devono essere bilanciate al fine di mantenere una valida struttura di collaborazione nella quale tutti i partecipanti perseguono i loro obiettivi. I sindacati sono considerati come legittima espressione di un legittimo confronto con il potere 61 imprenditoriale, inoltre sono considerati con favore in quanto rendono possibile la formazione di una normativa condivisa da dirigenti e subordinati. Aderendo a questa seconda prospettiva, l'organizzazione imprenditoriale cercherà di avere un rapporto stabile con i sindacati. Il conflitto sindacale è considerato un gioco a somma variabile positiva, in quanto dal consenso negoziale che segue il conflitto si genera un maggiore potere di controllo sulle risorse interne ed esterne. Le relazioni tra imprese e sindacati sono alimentate da una reciproca fiducia, il che crea un atteggiamento di collaborazione che fa assumere al conflitto e alla contrattazione un carattere integrativo: si parla in questi casi di conflitto integrativo o di contrattazione integrativa. Concezione Unitaria Concezione Pluralistica L’impresa è intesa come un sistema unitario L’impresa è intesa come un sistema pluralistico controllato da interessi diversi interni ed esterni Il potere di ordinamento e organizzazione è indivisibile, non è oggetto di contrattazione e viene delegato ai manager Il potere è indivisibile La fonte di legittimazione è unica e risiede solo nella proprietà e nel rischio assunto dall’imprenditore La fonte di legittimazione è plurima Il conflitto è un gioco a somma zero, conflitto distributivo Il conflitto è un gioco a somma variabile positiva, conflitto integrativo Relazioni di reciproca sfiducia tra gli attori Relazioni di reciproca fiducia tra gli attori (premessa ed esito dell’attività negoziale) Obiettivo primario: presidiare le prerogative imprenditoriali e manageriali Obiettivo primario: coinvolgere le organizzazioni dei lavoratori nella ricerca di forme congiunte di regolazione delle transazioni di lavoro Storicamente la cultura imprenditoriale ha ondeggiato tra queste due concezioni. Questo oscillare è spiegato, oltre che dalle opzioni ideologiche, dalle condizioni del mercato del lavoro, dalle capacità di condizionamento dei sindacati. Altri fattori contingenti che possono spiegare l’affermazione dell’una o dell'altra concezione sono: la dimensione d’impresa, la tecnologia, il grado di turbolenza dell'ambiente e le stesse concezioni adottate dai sindacati. Gli altri servizi delle associazioni imprenditoriali Nell’economia delle associazioni imprenditoriali il servizio sindacale e contrattuale agli associati ha lasciato progressivamente spazio a servizi di natura professionale sempre più qualificati, aggregabili attorno a quattro aree: Servizi per la gestione operativa: che supportano gli associati nello svolgimento di attività ordinarie; Servizi per lo sviluppo: che affiancano il management delle imprese associate nei progetti di crescita sia all’interno dei confini nazionali che nei percorsi di internazionalizzazione; Servizi di informazione e ricerca: che mettono a disposizione della comunità imprenditoriale indagini e studi a supporto della formulazione della strategia d’impresa e forniscono sistematici aggiornamenti sull’evoluzione delle normative che impattano sulla gestione; 62 Servizi per la formazione: che si traducono nella progettazione e nell’erogazione di attività formative a supporto della crescita culturale e manageriale degli imprenditori e dei lavoratori. Un terzo obiettivo che le associazioni imprenditoriali si sono poste può essere definito di imprenditorialità collettiva. L’associazionismo svolge in questo senso la funzione di definire l’identità della funzione imprenditoriale, al fine di aggregare gli interessi delle imprese oltre i confini aziendali, in una prospettiva di lungo periodo. Attraverso le azioni di sviluppo dell’identità e dell’appartenenza, l’associazionismo opera non solo una fondamentale azione di integrazione interna, ma sviluppa anche vere e proprie relazioni di condivisione. Le modalità per misurare e controllare la capacità dell’associazionismo imprenditoriale di rispondere alle attese delle imprese iscritte possono essere di tipo diretto e indiretto. Quelle di tipo indiretto sono date essenzialmente dai tassi di associazione e dalla partecipazione alle attività associative. Quelle di tipo diretto sono date dagli indicatori che esprimono la realizzazione delle attività di servizio o di rappresentanza erogate. Tra gli indicatori per misurare la performance si utilizzano i seguenti: Validità e convenienza dei servizi offerti; Assistenza sindacale; Rappresentanza nei confronti del mondo politico; Rapporti con altri imprenditori. Negli obiettivi dell’associazione imprenditoriale sono compresi anche quelli di tipo politico- ideologico di rappresentanza e promozione degli interessi degli associati di fronte allo Stato e all’opinione pubblica. 7.3. Lo Stato Le scelte dello Stato delimitano le alternative praticabili dagli altri attori del sistema di transazioni di lavoro. La legislazione del lavoro è la prima e più evidente forma di intervento dello Stato nelle transazioni di lavoro. Stabilisce non solo le condizioni generali, ma anche definisce o limita le possibilità di ulteriori innovazioni in quanto regola i diritti sindacali. Lo Stato è anche il maggiore datore di lavoro sia per i suoi fini istituzionali, sia per le sue finalità economiche dirette. La quota di occupazione controllata dallo Stato è rimasta molto elevata, nonostante i processi di deregolazione e di privatizzazione. Le condizioni strutturali del mercato del lavoro dipendono quindi in buona misura anche dalla politica occupazionale dello Stato. In generale lo Stato assume una posizione interventista o non interventista e i suoi poteri possono assumere un orientamento pro-business, pro-labour, di mediazione e di equilibrio. Una concezione non interventista dello Stato è solo teorica. Le politiche sviluppate dallo Stato possono avere due caratterizzazioni: La prima è di consumo sociale, quando prevalgono finalità ridistributive e di acquisizione del consenso; La seconda è di investimento sociale, quando prevalgono finalità volte ad aumentare le potenzialità del sistema produttivo attraverso uno sviluppo equilibrato di tutti i fattori della produzione e, in particolare, del fattore lavoro. Un esempio di politiche di consumo sociale è rappresentato da indennità di disoccupazione erogata senza politichesi intervento attivo; un esempio di investimento sociale è rappresentato da agenzie pubbliche del lavoro che assieme all’indennità di disoccupazione gestiscono programmi di riqualificazione e di ricollocamento dei lavoratori investiti da processi di obsolescenza professionale. 65 7.6. Dalle norme alle persone A livello di sistema, l’attività negoziale genera in termini normativi: 1. Gli accordi triangolari: che assumono valore solo se tradotti in leggi per esempio: Memorandum d’intesa Patto sociale per lo sviluppo e l’occupazione del 22.12.1998 2. Gli accordi interconfederali che regolano in forma uniforme talune materie che saranno riprese da tutti i contratti di categoria, per esempio: Accordo interconfederale per la formazione continua nell’artigianato del 18.04.2007 Accordo interconfederale per il recepimento dell’accordo-quadro europeo sul telelavoro del 9.06.2004 3. I contratti collettivi nazionali di lavoro (Ccnl) che contengono una parte normativa che riguarda i rapporti e i diritti sindacali e le materie demandate alla contrattazione aziendale. Regolano ferie, congedi, permessi e maternità. 4. Contratti integrativi territoriali e aziendali; 5. I contratti individuali il cui contenuto è esplicitato nella lettera di assunzione che fa riferimento al Ccnl per la normativa generale che sarà applicata e alle intese individuali per condizioni particolari. Il quadro delineato costituisce il contesto normativo e istituzionale entro cui si svolge il rapporto di lavoro. I comportamenti individuali dell’impresa e del singolo lavoratore pur restando autonomi hanno forti referenti istituzionali e collettivi. Le norme che derivano dalla legge e dalla autonomia collettiva sono la base per la gestione della relazione contrattuale nei suoi aspetti tecnico-giuridici che costituiscono il contenuto il contenuto delle attività di amministrazione del personale. Le attività di relazioni sindacali nella DRU come servizio strategico Le relazioni con i sindacati costituiscono anche un contenuto della DRU. Il task della DRU è significativamente diverso a seconda che l’azienda si proponga di escludere i sindacati e di limitarne l’influenza al fine di preservare le prerogative imprenditoriali e manageriali oppure di includerli accettando un confronto leale e costruttivo. 66 CAPITOLO 8 - Dal contratto al commitment Il contratto di lavoro individuale è una precondizione per l’inserimento delle persone nell’organizzazione, ma non ha caratteristiche tali da assicurare le prestazioni di cui l’azienda necessita. Il contratto di lavoro è un contratto incompleto e implicito, che richiede quindi di essere gestito 8.1. Il contratto psicologico Il contratto psicologico attiene a una certa disposizione interiore ad adempiere un’obbligazione di tipo tecnico-giuridico, o a vivere una relazione di altra natura, con spirito di collaborazione, di fiducia e con un forte impegno affinché le attese che sono alla base della relazione, trovino una risposta reciprocamente adeguata. Gli studi sul contratto psicologico analizzano la relazione tra l’organizzazione e il lavoratore, partendo dalla percezione individuale. Il contratto psicologico si basa sulle azioni che il lavoratore crede di dover fornire e sulle controprestazioni che si attende da parte dell’azienda, ed è costituito dagli elementi taciti del rapporto di lavoro che non possono comparire nel contratto formale scritto. Il contratto psicologico aumenta l’intensità del legame tra l’individuo e l’organizzazione e riduce l’incertezza sui ruoli che sono svolti dalle diverse persone. Le critiche al concetto di contratto psicologico sono numerose: è un concetto sfuggente, che si basa su elementi taciti e che non sempre è possibile identificare chiaramente. Quali sono le obbligazioni assunte dalle parti? Come si misura il contratto psicologico? Come si può verificare il suo rispetto? La letteratura ha inizialmente proposto la considerazione di sette obbligazioni-tipo del datore di lavoro. Successivamente il numero di obbligazioni è stato arricchito e allargato alle obbligazioni del lavoratore. Obbligazioni del datore di lavoro Obbligazioni del lavoratore Formazione; Carriera; Retribuzione proporzionata ai risultati; Buone relazioni di lavoro; Contenuti del lavoro; Trattamento equo; Sicurezza del posto; Difendere l’immagine dell’azienda; Fare squadra e lavorare in team; Condividere gli obiettivi; Fornire una prestazione accettabile; Non lasciare l’organizzazione prima di un certo tempo; Essere affidabile; Essere responsabile; Rispettare i colleghi; Non cercare un altro lavoro; Accettare i cambiamenti e acquisire nuove competenze; Essere disponibile ai trasferimenti e alla mobilità; Non aiutare la concorrenza; Essere disponibili al miglioramento continuo; Alimentare il miglioramento con suggerimenti. 67 Nella gestione del contratto psicologico, le politiche di gestione delle risorse umane possono essere viste come comunicazioni che influenzano la relazione tra le parti e il rispetto delle reciproche obbligazioni. Il lavoratore riceve dalle politiche della Dru le informazioni necessarie per valutare se e in quale misure il contratto psicologico è rispettato. Se così avviene, vi sarà un rinforzo positivo del commitment del lavoratore. Nel caso in cui invece l’organizzazione rinneghi delle promesse fatte e dichiari di avere adempiuto ai propri obblighi quando non è così, il lavoratore comincerà a percepire una rottura del contratto. Di conseguenza, si produrranno nell’individuo delle risposte emotive quali rabbia, frustrazione e sfiducia nei confronti dell’azienda. Il commitment La relazione tra il lavoratore e l’azienda può essere vista in termini di coinvolgimento nel rapporto, di identificazione e di impegno verso l’azienda e il ruolo svolto. Si tratta di capire la disponibilità a contribuire al funzionamento dell’organizzazione e al raggiungimento dei suoi fini. Si tratta di capire come il coinvolgimento determina il livello di performance legata al ruolo e il senso di appartenenza all’organizzazione. Il coinvolgimento può essere visto come un fattore del vantaggio competitivo. Esso può avere un effetto leva sulle abilità e sulle competenze delle persone provocando un potenziamento delle capacità organizzative. Il commitment rappresenta uno stato d’animo, una relazione tra lavoratore e datore di lavoro che sostiene un orientamento positivo e proattivo. Il commitment nell’organizzazione è caratterizzato da tre elementi: 1. Un’adesione ai valori e un’accettazione dei fini dell’organizzazione; 2. La volontà di sostenere sforzi anche notevoli per l’organizzazione; 3. Un forte desiderio di restarne membro. Tuttavia abbiamo tre tipi di commitment: L’impegno affettivo si esprime attraverso un’identificazione, un coinvolgimento emotivo nell’organizzazione. Le persone che manifestano questo impegno sviluppano un atteggiamento molto positivo nei riguardi dell’organizzazione, che si concretizza nel desiderio di contribuire spontaneamente al suo funzionamento: partecipano attivamente perché vogliono. L’impegno calcolativo o di continuità discende in definitiva da un calcolo di convenienza: partecipa perché gli conviene, ne ha bisogno, non ha alternative. L’impegno normativo rappresenta un atteggiamento di lealtà nei riguardi dell’organizzazione derivato da un sentimento di obbligazione morale nei suoi confronti. Esso denota un orientamento ad operare nell’interesse dell’organizzazione: partecipa perché deve, perché si sente responsabile. L’identificazione organizzativa La definizione di identificazione organizzativa deriva dalla teoria dell’identità sociale. L’identità di una persona è composta da due elementi distinti: l’identità personale (che comprende le caratteristiche, gli atteggiamenti e le preferenze individuali) e l’identità sociale, che si fonda sull’appartenenza dell’individuo a un gruppo sociale. Ogni individuo è motivato dalla ricerca di un’immagine di sé favorevole e ha la consapevolezza che tale immagine dipende, almeno in parte, dall’appartenenza a determinati gruppi. L’identità sociale ha 3 dimensioni: 1. Cognitiva: ovvero sentirsi appartenenti ad un gruppo attraverso un processo di autoselezione; 2. Valutativa: che associa un valore al fatto di sentirsi membro di un gruppo; 3. Emotiva: in quanto l’individuo è emotivamente coinvolto nel gruppo. 70 Competenze individuali Elevate Azienda incompetente Azienda eccellente Basse Azienda inconsistente Azienda competente Bassa Elevata Qualità della relazione Competenze individuali elevate ma qualità della relazione bassa danno come risultato un’azienda incompetente (quadrante in alto a sinistra). Naturalmente, nell’ azienda capace, l’uso della leva relazionale con i successi che genera, ha una ricaduta positiva sullo sviluppo delle competenze e sulle capacità di attrarne altre con un effetto cumulativo che dà luogo a un’azienda eccellente (quadrante in alto a destra). Mentre l’azienda che non sa valorizzare le proprie competenze alla fine deprime le proprie capacità, perde di attrattiva e si avvia a un inesorabile declino (azienda inconsistente), l’azienda competente per restare tale, deve però riuscire a rinnovare la propria strategia, la propria visione e a mantenere elevata la sua attrattività. 8.5. Gestire la leva razionale: la comunicazione interna Nella gestione della relazione, un’importanza crescente è assunta dalla comunicazione interna. Nelle aziende di dimensione contenute, la comunicazione avviene in forma quasi spontanea attraverso il contratto quotidiano. All’aumentare della dimensione, questa funzione deve essere formalizzata e resa sistematica. Invernizzi ha introdotto il concetto di comunicazione organizzativa e si articola in: Comunicazione funzionale: informazioni di tipo operativo necessarie a sostenere i diversi processi produttivi e decisionali interni. Questa è la prima forma di comunicazione che emerge in qualsiasi impresa, a causa della stretta connessione con i processi produttivi, gestionali e relazionali di base; Comunicazione informativa: informazioni necessarie a far conoscere l’organizzazione nel suo complesso. Il principale obiettivo di questo tipo di comunicazione è la realizzazione di una maggiore e migliore visibilità dell’impresa sia nei confronti di collaboratori sia nei riguardi di investitori; Comunicazione creativa: si attua al fine di realizzare occasioni di scambio e di dialogo sia verticale sia orizzontale, dove il sapere si trasferisce o si crea. La comunicazione creativa si avvale principalmente della comunicazione interpersonale, oltre a ricevere un supporto anche delle tecnologie informatiche; Comunicazione formativa: attività formativa vera e propria. Il principale obiettivo di tale forma di comunicazione è quello di formare le persone, trasmettendo i contenuti dell’attività lavorativa e delle sue modalità di svolgimento, e le capacità comunicazionali necessarie per cooperare efficacemente con gli altri. L’insieme di queste tipologie riconfluisce nella comunicazione strategica al fine di creare, mantenere e sviluppare la visione aziendale e gli obiettivi strategici in tutta l’organizzazione. Per realizzarsi, la comunicazione organizzativa si avvale di una serie di strumenti la cui efficacia dipende dal contenuto di ciò che deve essere diffuso, dalle condizioni organizzative di applicazione e delle caratteristiche di coloro che ricevono il messaggio. 71 Comunicazione scritta Comunicazione digitale Opuscoli Manuali interni Storia aziendale Newsletter Giornali aziendali Circolari e ordini di servizio Rassegna stampa Comunicazioni in bacheca Videonotiziari Filmati E-mail Intranet Internet La comunicazione è un tipo processo manageriale di segmentazione dei pubblici, di selezione di informazioni e di loro trasformazione. Gli studiosi di economia dell’organizzazione hanno dato una grande rilevanza alle asimmetrie informative, cioè alle informazioni qualitativamente e quantitativamente diverse di cui dispongono i soggetti in un rapporto. Com’è noto, le asimmetrie informative sono alla base di molti problemi nel funzionamento dei mercati e delle organizzazioni. Alcuni ritengono che l’obiettivo dell’attività di comunicazione interna sia proprio quello di eliminare le asimmetrie informative e l’uso opportunistico che ne viene fatto al fine di rendere più efficaci le interazioni personali e funzionali. 8.5. Diagnosticare e progettare le relazioni Nell'economia della conoscenza, dell'attenzione e dell'esperienza si generano ruoli lavorativi che richiedono sempre più persone coinvolte, impegnate e identificate nel loro lavoro. In questi ruoli il risultato finale dipende dal modo in cui l'operatore utilizza la sua libertà personale, la sua autonomia, le sue competenze per fornire il proprio contributo. Non esistono strumenti efficaci per controllarlo, nessun sistema costruttivo può obbligarlo a un atto creativo, a stabilire una relazione emotivamente positiva con un cliente e così invia. Si può contare solo sul fatto che i suoi comportamenti siano governati dall'idea che egli ha del suo lavoro e delle azioni che l'organizzazione si attende. Il risultato dipende quindi dalle relazioni che l'organizzazione instaura con le persone. In definitiva anche le relazioni con l'organizzazione sono sempre interpersonali, mediante cioè da persone, si tratta di valutare le dimensioni della razionalità e intervenire dove possibile per correggere o rimuovere alla base situazioni negative o valorizzare situazioni positive. I professionisti delle risorse umane hanno un ruolo primario nella costruzione e nella gestione di queste relazioni; devono gestire l'aspetto amministrativo, cioè giuridico-formale della relazione, contribuendo alla costruzione dell'impianto contrattuale complessivo e del rapporto con le singole persone. I professionisti delle risorse umane devono essere in grado di contestualizzare il contratto psicologico e di alimentarlo di contenuti realistici e sostenibili giocando i molteplici ruoli previsti nel modello di Ulrich. Coinvolgimento, impegno ed identificazione sono i processi che presidiano l'erogazione della prestazione lavorativa secondo modalità auto-controllate che richiedono il minimo sforzo di regolazione e di eterocontrollo e che gestiscono il massimo utilizzo delle potenzialità delle persone. Sotto questo aspetto la gestione del contratto psicologico può dar luogo a un effetto di leva razionale. Quando il contratto psicologico si deteriora per un eccesso di attese si verifica l'effetto opposto e cioè un depotenziamento delle competenze individuali, il loro spreco e l'impoverimento delle capacità organizzative. 72 Il presidio della mission e della cultura aziendale, e dei valori emotivi, tecnici, professionali che evoca, diventa la modalità in cui i professionisti delle risorse umane creano le condizioni per una proficua gestione della relazione con le risorse umane tanto nella dimensione strategica quanto in quella tecnico-giuridica e psicologica. La Tabella cerca di distinguere gli aspetti qualitativi della relazioni in termini di qualità bassa, media, elevata cui corrisponde rispettivamente una relazione di estraneità, di familiarità e di partnership. Per ciascuna classe definisce alcune caratteristiche tipiche che possono essere usate sia in finalità diagnostiche, sia con finalità progettuali. Lo sviluppo di relazioni di qualità elevata tra tutti i membri dell'organizzazione, tra gruppi e tra organizzazioni è il compito emergente della Dru. Le relazioni di elevata qualità sono quelle in cui le persone, i gruppi, le organizzazioni lavorano bene assieme per obiettivi comuni. Per contro, relazione di bassa qualità sono quelle in cui individui, gruppi e organizzazioni fanno solo il minimo e nemmeno tanto bene. Qualità della relazione Tipo di relazione Caratteristiche della relazione Bassa Estraneità Definita contrattualmente Scambi formali basati su debole fiducia e scarse interazioni di ruolo Mancanza di reciproco rispetto Comunicazioni formali Bassa comprensione reciproca Supporto e reciproco commitment limitati Assenza di reciproche obbligazioni Media Familiarità Crescenti scambi sociali e condivisione d’informazioni e di risorse Scambi contrattuali come pure limitati scambi non contrattuali Parziale fiducia, mutuo rispetto e comprensione Maggiore commintment Elevata Partership Alcune mutue obbligazioni Teamwork Relazioni basate sul rispetto, la fiducia e l’obbligazione reciproca Comunicazione aperta con condivisione di informazioni interne e risorse Commintment nella relazione 75 Skill (saper fare), intese come capacità di mettere in atto un sistema o una sequenza di comportamenti funzionali all’obiettivo da raggiungere; Comportamenti (saper essere), intesi come l’insieme di azioni messe in atto per gestire il proprio ruolo organizzativo, la propria sfera affettiva e relazionale. In questo modo si ottengono delle indicazioni per determinare i contenuti delle attività formative che verranno progettate. I cambiamenti organizzativi stanno orientando le logiche d’azione della formazione verso un superamento delle visioni e delle esperienze tradizionali centrate sull’adattamento dell’individuo alla posizione, per approdare gradualmente ad approcci centrati sull’esperienza concreta, sul vissuto emotivo, sui problemi quotidiani ecc… queste evoluzioni spostano l’attenzione dal concetto di analisi della posizione a quello di ruolo, inteso come l’insieme dei comportamenti tenuti da un lavoratore e derivanti dal sistema di aspettative degli altri componenti dell’impresa. Grazie alla definizione del ruolo è possibile tener conto non solo delle esigenze dell’organizzazione, ma anche quella degli individui, ai quali non si richiede solo di ricoprire un ruolo appropriato (prescribed work), ma anche di prendere decisioni (discretionary work) e di rendere flessibili i loro comportamenti rispetto alle contingenze del processo lavorativo. 3. Analisi dei fabbisogni individuali: identifica le esigenze formative della singola persona. La definizione dei fabbisogni di formazione può essere “larga” o “sfidante”. Per larga si intende che la necessità di formazione viene determinata confrontando la performance attuale con lo standard minimo accettabile. Per sfidante si intende che la necessità viene determinata indagando in modo analitico i punti di forza e di debolezza del suo portafoglio di competenze e agendo sulle competenze necessarie per il suo sviluppo di carriera. Le opportunità di formazione non sono solo i corsi tradizionali, ma anche l’apprendimento on- the-job, realizzato attraverso l’assegnazione di compiti che permettono di maturare le competenze individuali e di metterle in evidenza in una prospettiva di crescita professionale. Strumenti utilizzati: interviste, questionari diretti e ricerche sulle performance individuali. Rispetto alle tradizionali categorie di trasformazione forte e debole del capitale umano assume un ruolo centrale la formazione all’apprendimento, intesa come la capacità di mantenere continuamente attivo il proprio processo di apprendimento allenandosi da un lato all’uso concetti teorici per risolvere i problemi quotidiani, dall’altro alla capacità di astrarre modelli di comportamento dall’esperienza. 9.2. Progettazione del percorso formativo L’analisi dei fabbisogni costituisce il referente obbligato per costruire gli obiettivi formativi e pianificare il percorso di apprendimento. Tutte queste attività che precedono la realizzazione dell’intervento vanno a comporre il “piano di formazione”. In primis si tende a considerare de e quanto l’organizzazione sia pronta a svolgere l’attività formativa e a trasferire i risultati sul lavoro. Un ambiente per l’apprendimento si fonda su 2 condizioni: La situazione organizzativa: l’impresa deve rimuovere tutti gli ostacoli che possono aumentare le difficoltà e progettare ed erogare interventi di formazione. Questi possono essere di carattere gestionale o sociale. La motivazione individuale: gli individui hanno desiderio di partecipare al programma formativo quando hanno una chiara percezione degli obiettivi professionali che saranno in grado di raggiungere, oppure quando percepiscono il supporto da parte dei loro colleghi e superiori o ancora quando hanno aspettative positive rispetto alla propria capacità di raggiungere gli obiettivi di apprendimento. Una seconda attività da compiere durante la fase di programmazione del percorso formativo è la definizione degli obiettivi di apprendimento, ovvero descrivere il portafoglio di conoscenze, skill, e 76 comportamenti atteso al termine del processo. La formazione degli obiettivi ha molteplici valenze: permette a chi progetta di pianificare le attività didattiche, consente al lavoratore di acquisire maggiore consapevolezza sulla meta da raggiungere, ecc. Dopo ciò vi è l’individuazione dei metodi didattici e dei docenti. La scelta consiste nel decidere se il corso di formazione dovrà essere effettuato da docenti interni o enti esterni. Si ricorre a quelli interni, ovvero manager o collaboratori, quando le competenze da formare è strettamente firm-specific ovvero la formazione ha l’obiettivo di trasferire la cultura e i valori aziendali, ma non idonea, e quindi si ricorre a enti esterni, quando il tipo di conoscenza da formare non sia posseduta in azienda. Infine vengono individuati i destinatari dell’intervento formativo. Essi possono essere distinti non solo in base ai fabbisogni di formazione, ma anche i funzione dell’unità organizzativa a cui appartengono o categoria professionale: gli interventi risultano in questo modo più aderenti a uno specifico contesto e a una specifica cultura lavorativa. Accanto a queste scelte si struttura dell’intervento formativo, devono essere definiti aspetti più operativi, ma per questo non meno importanti: i luoghi, gli orari e i costi. 9.3. Somministrazione del programma di formazione La somministrazione del programma costituisce uno dei momenti maggiormente critici dell’intero processo. In questa sede si svolgono le attività didattiche e si controllano gli eventi che tali attività producono grazie a interventi di monitoraggio, che consentono, la correzione di metodi e obiettivi didattici che nel corso dello svolgimento sono risultati inadeguati. Una prima decisione relativa alla somministrazione riguarda i modelli di apprendimento; è possibile in questo senso distinguere tre modalità di apprendimento: 1. Learning by absorbing (imparare assorbendo passivamente): è la forma più tradizionale consiste nel presentare all’allievo concetti teorici riguardanti un certo argomento. L’apprendere è visto come acquisizione e immagazzinamento di conoscenze e informazioni; 2. Learning by doing (imparare facendo): lega l’imparare al fare e in essa prevale l’idea che un individuo impara anche per conto proprio, grazie allo svolgimento di attività. 3. Learning by interacting with others (apprendimento collaborativo): prevede la creazione di un ambiente che permetta ai partecipanti di interagire anche “oltre” le attività di formazione istituzionale, sviluppando l’apprendimento individuale come risultato di un processo di gruppo. Il comportamento collaborativo viene utilizzato come strumento per rinforzare l’apprendimento, per permettere il supporto affettivo e per sostenere la motivazione e la coesione del gruppo. Le diverse modalità di apprendimento devono essere attivate alla luce delle considerazioni effettuate nella fase di programmazione e relative a: gli obiettivi formativi, il clima aziendale, i destinatari, i docenti, le risorse e i tempi de processo. I metodi didattici utilizzati dalle aziende sono molteplici e si caratterizzano per il contenuto, il tipo di partecipazione richiesta ai destinatari e le tecniche di erogazione. La lezione L’obiettivo è quello di trasmettere ai partecipanti conoscenze in forma già strutturata, cioè in modo filtrato dalla personalità e dalle conoscenze del docente e permette di trasferire in modo efficiente concetti definiti e organizzati in modo tale da facilitare lo studio da parte delle persone. Si basa sulla trasmissione e non sull’acquisizione delle conoscenze. I limiti riconosciuti sono: rischio di scarsa memorizzazione dei concetti; rapida caduta del livello di attenzione; apprendimento ristretto agli aspetti teorici e astratti. 77 Per aumentare le possibilità che il soggetto acquisisca le nozioni trasmesse, l’esposizione in aula può essere integrata da supporti multimediali o essere seguita da un’attività di esercitazione, individuale o in gruppi, sugli stessi temi trattati dal docente. Le esercitazioni Si avvalgono di un insieme di tecniche che consistono nell’assegnare alle persone un problema, vicino alla loro realtà di lavoro quotidiano, la cui risolvibilità è legata all’impiego di nozioni già possedute o che sono state trattate in aula. Le tecniche più diffuse sono il metodo dei casi e l’incident: Metodo dei casi: ha l’obiettivo di educare al problem solving, sviluppando le capacità individuali di analizzare e affrontare razionalmente situazioni complesse e articolate simili a quelle che le persone si trovano a dover gestire nella loro vita lavorativa. Critiche più note: artificialità della situazione di partenza, facilitazione rappresentata dalla presentazione scritta delle info. Per ovviare a tali critiche bisogna scomporre il metodo in 2 momenti: 1. i partecipanti devono indicare di quali info necessitano; 2. proposta per la soluzione del problema. I vantaggi apportati da questa variante che prende il nome di incident sono: 1. capacità di raccolta delle info; 2. valutazione delle info utili e inutili; 3. permette di svolgere momenti di puntualizzazione teorica tra la 1° e la 2° fase, al fine di migliorare l’acquisizione delle conoscenze. Le simulazioni Insieme di tecniche che consistono nel far riprodurre alle persone comportamenti lavorativi, secondo ruoli assegnati, all’interno dei gruppi. Si tratta di tecniche esperienziali e tra queste tecniche vi ritroviamo: Il role playing: consiste nell’esame, quasi sempre in gruppi, della situazione prospettata in un caso scritto e nella successiva recita. Gli scopi didattici sono: 1. Sviluppare le capacità per l’analisi di situazioni complesse, per la valutazione delle varie alternative comportamentali, per la presa di decisione in presenza di elevate pressioni psicologiche, mediante la presentazione di un problema relazionale; 2. Sviluppo capacità inerenti i comportamenti interpersonali, il controllo delle emozioni e la comprensione dei feedback, mediante la rappresentazione delle relazioni sociali conseguenti alla decisione. L’in-basket: il partecipante viene calato in un determinato ruolo aziendale e gli viene richiesto di risolvere i problemi che sorgono nell’arco di una giornata di lavoro e si presentano nella forma di comunicazioni, e-mail e documenti che vengono depositati in un contenitore(basket) della corrispondenza. Ciò permette di esercitare la capacità di prendere decisioni in diversi campi in un tempo limitato. Il business game: è uno strumento di simulazione sequenziale della conduzione strategica di un’impresa. I partecipanti si cimentano nella conduzione di un business virtuale in competizione con altri partecipanti, creando un vero e proprio mercato competitivo: le conseguenze delle loro decisioni, prese secondo la tempistica definita dal conduttore del business game, si riflettono sul mercato condizionando le possibili scelte degli altri gruppi. Si sviluppa la consapevolezza delle interdipendenze esistenti tra le diverse aree di gestione all’interno di una visione globale dell’azienda, dei processi aziendali e delle relazioni dell’azienda con l’ambiente esterno. 80 vista, i soggetti acquisiscono + informazioni sul problema in modo tale da essere in grado di pianificare azioni per il risolvere il problema. Nella prima riunione è presente un facilitatore che supporta l’interazione del gruppo e aiuta i manager ad apprendere dai contenuti del problema. Infine A.L. è definito dalla somma delle conoscenze pregresse e dalle capacità di porsi nuove domande e di rispondervi. 9.4. Le nuove frontiere della formazione: il net-learning Lo sviluppo di tecnologie della comunicazione ha favorito l’evoluzione dei sistemi per la Formazione a Distanza (FaD). I primi modelli di FaD enfatizzavano il ruolo della tecnologia come soluzione di un problema logistico o economico, che consentiva l’utilizzo di metodi di trasmissione delle informazioni e della conoscenza (modelli di teaching) più efficienti: si trattava, della messa in rete di materiali didattici adattati alle potenzialità del digitale ma lascia in secondo piano le potenzialità della tecnologia per ridefinire i processi formativi. Un superamento di questo approccio è rappresentato dall’ e-learning, inteso come una forma di insegnamento mediata dalle tecnologie digitali della comunicazione che prevede la realizzazione di ambienti virtuali di natura multimediale di apprendimento e interazione. Ciò permette di recuperare la dimensione collaborativa e interattiva della formazione per raggiungere un forma di apprendimento di cooperazione. L’apprendimento come processo sociale è alla base dello sviluppo dell’e-learning, in cui l’apprendimento non è un’attività “uno-molti” dove rimane centrale il ruolo del docente, ma un processo “molti-molti”, cioè un fenomeno sociale e collettivo, cioè si intrecciano le funzioni di comunicazione dei docenti, di assistenza al processo di apprendimento e di partecipazione alle attività didattiche da parte degli studenti. L’interazione è facilitata da 2 strumenti di comunicazione: Asincrona (e-mail) Sincrona (chat) Il net-learning è una metodologia per costruire contesti efficaci ed esperienze personalizzate di apprendimento in rete e attraverso la rete. Questa definizione mette in risalto 3 aspetti: L’apprendimento in rete L’apprendimento attraverso la rete La costruzione di contesti e di esperienze di apprendimento personalizzate. Questo modello non è una semplice somma di formazione in aula e formazione a distanza, ma una modalità che consente di integrare in modo flessibile diversi strumenti e sistemi di formazione, richiedendo una forte interazione tra docente e allievo e tra gli allievi in quanto ognuno di loro è portatore di conoscenze e di esperienze e assume, temporaneamente, il ruolo di docente verso i suoi colleghi e verso il docente stesso che spesso assume il ruolo di “facilitatore” dei processi di scambio tra discenti. Devono essere attivate sinergie virtuose tra: Formazione tradizionale ed e-learning: i modelli di apprendimento misto o integrato (blended learning) individuano la possibilità di condurre un’azione formativa che si avvale delle caratteristiche didattiche proprie e della rete, la tecnologia tende a rendere continuo l’apprendimento durante le fasi che precedono e seguono gli incontri in presenza. Attività di formazione e tecnologia: secondo l’approccio di Business to Employee (B2E) la gestione delle risorse umane on-line prevede che l’informatica faciliti la diffusione di informazione a supporto dei processi aziendali, favorisca l’integrazione di diverse attività di gestione delle risorse umane e permette al lavoratore di essere coinvolto nelle attività di impresa. Formazione individuale e apprendimento organizzativo: il net-learning favorisce processi di apprendimento condivisi che coinvolgono + attori all’interno dell’organizzazione. Affinché 81 la conoscenza individuale si tramuti in capitale intellettuale è necessario che ciò che è stato appreso dal singolo venga messo in pratica e trasferito in modalità operative, si trasformi in cultura organizzativa e infine in forme trasferibili in una rete di rapporti sociali. Quindi l’organizzazione deve acquisire i tratti di una learning organization, ovvero apprendere poiché è capace di incoraggiare l’apprendimento continuo da parte dei suoi membri e facilitare i processi per la circolazione della conoscenza organizzativa. Una L.O. affronta di continuo i problemi, ricerca nuove conoscenze, apprende dall’esperienza e si confronta con le altre aziende. 9.5. Dalla formazione alla performance La valutazione della performance deve procedere parallelamente al processo formativo e si sostanza in un’attività di ricerca e individuazione dei cambiamenti nelle persone formate, in modo da garantire coerenza tra piani di formazione e piani aziendali. Si distinguono 3 momenti: La valutazione ex ante, che si colloca nelle prime fasi della formazione, ovvero verificare, prima di investire risorse, l’adeguatezza del corso di azione che si intende attuare; La valutazione in itinere, che viene effettuata durante lo svolgimento dell’intervento formativo al fine di attivare attività correttive/miglioramento; La valutazione ex post, che avviene alla conclusione dell’attività formativa e ha 3 obiettivi principali: ricostruire il processo realizzato, confrontarlo e rilevare l’impatto effettivo dell’intervento realizzato. Agli inizi degli anni 70 si è sviluppato un approccio alla contabilità delle risorse umane (Human Resource Accounting) al fine di attribuire un valore economico al capitale umano mediante la misurazione dei costi e esiti della formazione. I metodi di contabilizzazione del costo del capitale umano e degli esiti della formazione presentano dei limiti legati al determinismo e alla difficoltà di stimare gli effetti della formazione nel L.P., per questo la fase di valutazione degli esiti della formazione deve essere progettata con cura da parte dell’organizzazione. La letteratura propone diverse strategie: La prima è quella di valutare il livello di conoscenze, skill e competenze oggetto di formazione prima e dopo l’intervento; La seconda è quella di raccogliere misurazioni ripetute delle competenze prima e dopo il corso di formazione. Uno dei modelli più utilizzato è il modello di Kirkpatrick suddiviso in 4 livelli: 1. Reazione: ovvero quanto gli allievi apprezzano un programma di formazione. La valutazione della soddisfazione viene rilevata attraverso l’osservazione dell’atteggiamento dei partecipanti nei confronti dell’attività formativa mediante dei questionari di soddisfazione che raccolgono il giudizio e le opinioni dei partecipanti relativamente a: Interesse nei confronti dei contenuti Rispondenza ai bisogni e alle attese Grado di preparazione dei docenti Materiali didattici 2. Apprendimento: ovvero valutare il raggiungimento degli obiettivi formativi (sapere, saper fare, saper essere). Per verificare il miglioramento delle conoscenze, i formatori devono elaborare prove che consentano una rilevazione di dati oggettivi, mediante questionari, testi di profitto e i casi. I primi 2 sono più adatti per verificare la memorizzazione e comprensione delle conoscenze, mentre i casi sono utili per verificare come i saperi vengono utilizzati; 82 3. Comportamenti: nel 3 livello, la valutazione è volta a misurare il grado di applicazione sul lavoro degli insegnamenti impartiti nel corso dell’intervento formativo e delle conoscenze e abilità acquisite al termine di esso. La valutazione avviene in azienda. 4. Risultati: in questa ultima fase, viene valutato l’impatto dell’intervento formativo nei suoi aspetti economici, soddisfacimento del cliente o miglioramento del ciclo produttivo. Per misurare in che modo gli interventi di formazione hanno modificato il capitale umano organizzativo si può ricorrere a degli indicatori la cui formulazione dipende dagli obiettivi strategici dell’impresa secondo la logica delle Hr Scorecard. In termini generali, alcuni indicatori di efficienza degli interventi formativi possono essere i seguenti: 𝑜𝑟𝑒 𝑑𝑖 𝑓𝑜𝑟𝑚𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑝𝑟𝑜 𝑐𝑎𝑝𝑖𝑡𝑒 = 𝑜𝑟𝑒 𝑑𝑖 𝑓𝑜𝑟𝑚𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑡𝑜𝑡𝑎𝑙𝑒 𝑡𝑜𝑡𝑎𝑙𝑒 𝑎𝑑𝑑𝑒𝑡𝑡𝑖 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑖 𝑑𝑖 𝑓𝑜𝑟𝑚𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑝𝑟𝑜 𝑐𝑎𝑝𝑖𝑡𝑒 = 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑖 𝑑𝑖 𝑓𝑜𝑟𝑚𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑡𝑜𝑡𝑎𝑙𝑒 𝑡𝑜𝑡𝑎𝑙𝑒 𝑎𝑑𝑒𝑡𝑡𝑖 % 𝑑𝑖 𝑙𝑎𝑣𝑜𝑟𝑎𝑡𝑜𝑟𝑖 𝑓𝑜𝑟𝑚𝑎𝑡𝑖 = 𝑛° 𝑑𝑖 𝑝𝑒𝑟𝑠𝑜𝑛𝑒 𝑓𝑜𝑟𝑚𝑎𝑡𝑒 𝑛𝑒𝑙 𝑐𝑜𝑟𝑠𝑜 𝑑𝑒𝑙𝑙′𝑎𝑛𝑛𝑜 𝑡𝑜𝑡𝑎𝑙𝑒 𝑎𝑑𝑒𝑡𝑡𝑖 × 100 Questi indicatori possono essere segmentati in funzione: Della tipologia e del contenuto degli interventi formativi Della categoria di personale Del fatto che la formazione sia stata erogata internamente Gli indicatori di efficacia vanno a cogliere se l’intervento formativo ha attivato percorsi di miglioramento e sviluppo individuale. L’efficacia può essere misurata relativamente a: Produttività individuale Soddisfazione dei clienti Risultati della valutazione individuale Il Roi della formazione è un indicatore di sintesi che quantifica il valore creato dalla formazione. 𝑅𝑜𝑖 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑓𝑜𝑟𝑚𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑠𝑒𝑐𝑜𝑛𝑑𝑜 𝑃ℎ𝑖𝑙𝑙𝑖𝑝𝑠 = 𝑏𝑒𝑛𝑒𝑓𝑖𝑐𝑖 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑓𝑜𝑟𝑚𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑖 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑓𝑜𝑟𝑚𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 × 100 Phillips distingue benefici hard, ovvero quelli più facili da quantificare e permettono un aumento dell’efficienza, della custode satisfaction e della produttività, e benefici soft, ovvero dipendono da un elevato livello di arbitrarietà e permettono una risoluzione dei conflitti, soddisfazione del personale e fiducia collaboratori. Mentre per i costi vanno considerati: costi dei consulenti e dei docenti, costi relativi ai materiali didattici, retribuzione dei partecipanti e costi generali del servizio di formazione. 9.6. Formazione: competenze e identità organizzativa La formazione rappresenta una delle attività di gestione del personale centrali per presidiare le competenze distintive e sostenere la crescita dell’impresa. 85 Un’organizzazione orientata all’exploitation è rigida, tradizionalista e rifugge la diversità e i cambiamenti, mentre l’organizzazione orientata all’exploration è curiosa, aperta alle novità e alla diversità e ama i cambiamenti. Ci sono imprese che rifiutano questo modello di specializzazione e altre ambidestre ovvero cercano di fare dia l’exploitation, perché è la cosa che sanno fare bene, e l’exploration, perché è la cosa che vogliono imparare per poter continuare a fare la prima e far meglio. Nel job design entrano in gioco i valori, le idee guida, la tradizione e l’identità. Spesso si denunciano le resistenze al cambiamento, in questo caso i valori svolgono un ruolo di conservazione, impedendo il mutamento strategico e l’adozione di innovazioni. L’innovazione consiste nell’abbandonare la sicurezza del già sperimentato (exploitation) e affrontare situazioni sconosciute (exploration). In questo è decisivo il ruolo dell’imprenditore anche se rimane importante la DRU che per affiancarlo (business partner) deve contestualmente diventare artefice del cambiamento (change agent). Oggi una delle caratteristiche più critiche per la progettazione dei ruoli, mansioni e compiti è la flessibilità. Flessibilità significa capacità di soddisfare le esigenze dei clienti adattando qualità, quantità e tempi. La flessibilità costa ed ha un costo umano, che deriva da ritmi biologici e psicologici, e un costo sociale, che deriva da problemi di sincronizzazione e de sincronizzazione legati alla ritualità sociale (vacanze e tempo libero). Il simultaneous engineering ha drasticamente ridotto i tempi, mettendo in parallelo tutte le fasi che non interferiscono una sull’altra comportando così il passaggio dalla sequenzialità alla simultaneità. Compiti, mansioni e ruoli Il tradizionale job design si occupa di attività di trasformazione con una logica di exploitation. Per comprendere in che modo viene organizzato il lavoro è necessario introdurre i concetti di compito, di mansione (job) e di sistema primario di lavoro. Il compito è un insieme di operazioni umane elementari necessariamente collegate, per ragioni di natura tecnica e psicologica. L’insieme ordinato di compiti assegnati a una persona definisce la sua mansione (job). In relazione al numero e al tipo di compiti inclusi, si possono avere mansioni caratterizzate da un diverso grado di varietà, significato, autonomia e interazione: Varietà: esprime la divisione orizzontale del lavoro e deriva dalla numerosità e dalla diversità dei compiti assegnati; Autonomia: esprime la divisione verticale del lavoro e di collega a 2 parametri: il grado di discrezionalità tecnica, ovvero poter scegliere gli strumenti tecnici da usare nello svolgimento delle proprie mansioni, e il grado di discrezionalità decisionale, ovvero possibilità di decidere come impiegare le risorse disponibili e come programmare il lavoro; Contribuzione: la mansione permette al lavoratore di identificare chiaramente il suo contributo e la sua attività che porta al risultato finale; Feedback: si riferisce al grado in cui il lavoratore può disporre di informazioni di ritorno sull’efficienza e sui risultati dell’attività svolta. La progettazione dei vari job dipende dalle interdipendenze tra il singolo job e le altre mansioni che appartengono al sistema primario di lavoro: insieme di operazioni interdipendenti che portano ad un risultato identificabile in termini di prodotto o di servizio. Ci sono altri due fattori che il progettista delle mansioni deve considerare: la varianza e la specificità delle conoscenze. La varianza delle mansioni corrisponde all’insieme delle eccezioni, degli eventi imprevisti e delle incertezze che caratterizzano il processo di lavoro e che determinano una deviazione rispetto allo standard di riferimento. Quanto più numerose sono le varianze dei singoli compiti, tanto più efficace ed efficiente sarà l’attribuzione all’operatore dell’autonomia per poter intervenire e correggere i fenomeni imprevisti. 86 Infine, a parità di altre condizioni, un lavoratore può risultare critico se non addirittura insostituibile in funzione della specificità delle conoscenze necessarie per svolgere in modo efficace ed efficiente un compito rispetto ad un altro. Quanto più specifiche sono le competenze per svolgere 2 o + compiti, tanto più intense saranno le interdipendenze informative. Si distinguono: Ruolo formale: che è l’insieme delle attese richieste dalla posizione organizzativa considerata e definite da processi e attività da svolgere e obiettivi da perseguire; Ruolo sostanziale: è ciò che ogni persona fa effettivamente, in rapporto con gli altri e alle attese. 10.2. Gli approcci al job design Gli ultimi decenni hanno visto una messa in discussione dei principi tayloristici di organizzazione del lavoro, orientati alla progettazione di un sistema di job spinto sul versante dell’efficienza e caratterizzato da specializzazione, uso di supervisione per il coordinamento tra le attività, incentivi legati alla produttività. L’approccio taylorista Secondo l’approccio taylorista, la divisione del lavoro può essere spinta fino al punto consentito: dalla tecnologia: cioè dalla divisibilità tecnica del lavoro che definisce un limite oltre il quale il lavoro non è materialmente più divisibile; dalle dimensioni del mercato e, quindi dalla quantità di domanda in grado di generare economie di specializzazione; Un primo passo nella direzione opposta ai principi tayloristici, avviene attraverso l’uso di strumenti di ristrutturazione del lavoro che consentono di ridefinire il grado di divisione del lavoro. Si parla in questo caso di approccio neo-taylorista, perché resta prevalentemente la dimensione economica in base alla quale si afferma a limitare la spinta della divisione delle mansioni non vi sono solamente dei limiti tecnici e di mercato, ma anche alcuni costi che si generano con la divisione del lavoro non considerati nel taylorismo classico. Questi sono: Costi dei tempi di inattività e del lavoro improduttivo; Costi di comportamento dovuti alla demotivazione, generata da lavori parcellizzati, ripetitivi e monotoni; Costi di apprendimento ricorrenti. Ma la divisione del lavoro genera anche diseconomie dovute al lavoro non produttivo richiesto per riportare a unità ciò che è stato diviso. Sono innanzitutto costi di sincronizzazione, coordinamento e supervisione degli operatori tra i quali è stato diviso il lavoro e che non ci sarebbero se ciascun operatore completasse tutto il lavoro. Vanno poi messi in conto i costi di comportamento dovuti alla demotivazione, generata da lavori parcellizzati, ripetitivi e monotoni. Infine, è necessario notare che nonostante la divisione del lavoro riduca i costi di apprendimento iniziale, che si verificano quando il lavoratore affronta per la prima volta una nuova attività e la deve imparare da zero, questo non avvenga necessariamente con i costi collegati all’apprendimento ricorrente, cioè quando a fronte di cambiamenti nella tecnologia il lavoratore si trovi a modificare in tutto o in parte le sue attività. In questo caso l’eccessiva specializzazione determina una visione parziale del processo produttivo che aumenta i tempi di ri-apprendimento. Al contrario, nel caso di mansioni meno parcellizzate, il lavoratore, facendo leva sulla varietà delle conoscenze e su una consapevolezza più completa del processo, sarà in grado di tornare più rapidamente ai livelli di produttività attesi. La considerazione di questi costi porta a rendere meno spinta la divisione del 87 lavoro e a progettare mansioni più varie e autonome di quanto suggerito dall’approccio tayloristico. L’approccio motivazionale Elaborando ulteriormente la dimensione comportamentale si supera anche l’approccio neo- tayloristico e si arriva all’approccio motivazionale all’organizzazione del lavoro, che vede il lavoratore come portatore di bisogni che non appartengono esclusivamente alla sfera economica (bisogni di consumo), ma anche alla sfera emotiva e sociale (bisogni di appartenenza e di status) e alla sfera dell’ego (autorealizzazione). La varietà del lavoro, il grado di autonomia e di responsabilità sono fattori che consentono al lavoratore di identificarsi nel ruolo che gli è assegnato. Lo svolgimento dei suoi compiti diventa fonte di soddisfazione e di utilità. Il contenuto del compito diventa una ricompensa intrinseca alla stessa esperienza di lavoro, in quanto genera un appagamento del bisogno di achievement che si realizza attraverso feedback che provengono dall’attività. A differenza delle ricompense estrinseche che sono esterne all’esperienza lavorativa e, quindi fungibili e instabili, quelle intrinseche sono specifiche e stabili. La reattività alle ricompense intrinseche può essere diversa da individuo e individuo a seconda del sistema motivazionale di ciascuno. La motivazione delle persone a svolgere un determinato lavoro crea soddisfazione per i lavoratori, per i clienti e per l’azienda. Il mancato allineamento tra motivazioni individuali e contenuti del lavoro è alla base di molti problemi organizzativi e umani. Per grandi lavori la possibilità di accoppiare contenuti e motivazioni è elevata e può essere ricercata con le politiche di job design. Un aumento della varietà si associa a un maggior grado di soddisfazione del lavoro, mentre l’autonomia agisce sulla motivazione attraverso la possibilità di controllare i ritmi e gli spazi del proprio lavoro. Infine contribuzione e feedback permettono al lavoratore di valutare il proprio contributo alla performance organizzativa, alimentando il sentimento di appartenenza all’impresa. Chiaramente, non è possibile esprimere un giudizio di superiorità di un approccio rispetto ad un altro: la loro validità va giudicata in base al contesto nel quale vengono applicati. L’approccio integrato Una terza modalità di progettazione delle mansioni, considera un numero più elevato di variabili attinenti alla domanda e all’offerta di lavoro, alla tecnologia, all’ambiente e agli atteggiamenti dei lavoratori. I fattori di contesto che la DRU deve considerare sono: Fattori relativi al mercato di sbocco: che possono concorrere a formare una domanda di cambiamento nella tradizionale organizzazione del lavoro; Fattori relativi al mercato del lavoro: che danno luogo a comportamenti che possono modificare le aspettative del lavoratori e il significato che essi attribuiscono all’esperienza lavorativa; Fattori relativi alla tecnologia: che possono influenzare la domanda di comportamenti flessibili e innovativi. Tutte le scelte di organizzazione del lavoro hanno come finalità quella di aumentare la produttività, anche quando questo obiettivo richiede la considerazione di fattori non economici. La produttività del lavoro è misurata dal rapporto tra il valore dell’output e le quantità del lavoro necessarie per realizzarlo ed è la risultante di due variabili: La forza produttiva del lavoro, che dipende dalla qualità professionale dei lavoratori (capitale umano), dal contesto organizzativo e tecnologico (capitale organizzativo) e dal contesto relazionale (capitale sociale); L’intensità di lavoro, che dipende dalla quantità di lavoro immessa, cioè dal consumo di energia lavorativa (orari, tempi, ritmi). 90 supportano la condivisione della conoscenza. I vantaggi sono visibili solo quando se ne fa un uso strategico. Il networking non strategico permette di colmare l’inefficienza dovuta alla difficoltà e ai costi di coordinamento, ma esauriti i margini di recupero, smette di essere “appetibile”. Il networking strategico non si limita a modificare in modo profondo la strutturazione dei tempi, ma richiede agli attori che lavorano in rete di “coordinare i loro tempi”. La time-based competition richiede alle imprese di creare continuamente nuovi prodotti, in tempi rapidi e in maniera efficiente. Le nuove tecnologie offrono un supporto a questo fine. Le attività di progettazione diventano sempre più virtuali e geograficamente disperse su localizzazioni distanti tra loro. Molti progetti sono oggi portati avanti da persone residenti in Paesi diversi, con fusi orari differenti e quindi con la possibilità di lavorare a ciclo continuo. All’interno di questo la tecnologia è necessaria ma non sufficiente. 10.4. Organizzazione del lavoro e conoscenza Il knowledge management, attività manageriale tesa a creare, catturare e organizzare il capitale conoscitivo dell’impresa, si serve degli strumenti di organizzazione del lavoro per ridisegnare i processi di creazione del valore e agire sulla cultura aziendale e rappresenta il superamento del job design. La Direzione Risorse Umane (DRU) può fare leva sui singoli lavoratori (professional e, più in generale, knowledge worker), oppure attivare strumenti per la creazione condivisa di conoscenza (team). I professional e i knowledge worker Una prima categoria di lavoratori per cui la gestione è necessario un approccio all’organizzazione del lavoro innovativo, sono i professional. Sebbene questo termine identifichi persone che hanno ruoli e perseguono obiettivi differenti, esistono alcuni tratti distintivi che aiutano a caratterizzarli. Innanzitutto l’autonomia: il professional possiede infatti competenze e abilità specialistiche necessarie a svolgere un ruolo senza dipendere dall’organizzazione e in secondo luogo, il professional tende a privilegiare la lealtà nei confronti del corpo professionale di appartenenza piuttosto che all’impresa. Il professional possiede un livello di istruzione elevato e accesso a conoscenze specialistiche e il percorso di formazione è la credenziale per accedere alla professione. Accanto a queste caratteristiche generali, i professional devono avere: Capacità creative e di problem solving: ovvero la capacità di classificare e di ragionare su un problema nuovo per l’impresa cioè proporre delle soluzioni creative; Disponibilità a lavorare in gruppo: nel campo della ricerca. I fattori che hanno favorito la diffusione di ruoli professional nelle organizzazioni sono molteplici, come ad esempio l’evoluzione dei contenuti del lavoro oppure lo sviluppo dell’economia dei servizi. I professional stanno evolvendo verso una categoria + generale definita lavoratori della conoscenza, ovvero i knowledge worker, i quali operano su processi immateriali e la conoscenza rappresenta il principale input e output di processi di lavoro. Molto spesso questi lavoratori sono inseriti in posizioni senza responsabilità gerarchica, caratterizzate dall’intreccio di competenze di management, capacità di relazione e di cooperazione, conoscenze tecnico-professionali specifiche. I knowledge worker sono una componente di impresa in cui conoscenze incorporate nell’organizzazione e nelle tecnologie e conoscenze e abilità individuali interagiscono nella gestione e innovazione di processi di produzione e di servizio. La relazione che lega impresa e knowledge worker ha alcuni caratteri di uno scambio di mercato. Le aziende non sono più viste come un datore di lavoro, ma come un fornitore di opportunità 91 professionali o come un partner con cui condividere nuovi obiettivi e nuove opportunità. I lavoratori della conoscenza, sono sempre attenti ad accrescere la loro “impiegabilità” nel mercato del lavoro. La gestione dei knowledge worker all’interno delle organizzazioni deve avvenire attraverso un attento coordinamento di tutte le leve di management del personale, con particolare attenzione al mercato interno del lavoro, ai mercati occupazionali e alle politiche retributive, che vengono orientate alla remunerazione delle competenze (competenced based pay) piuttosto che alla copertura di un ruolo (job based pay). 10.5. Organizzare il tempo di lavoro Tra le variabili di progettazione organizzativa, il tempo rappresenta una scoperta relativamente recente nella letteratura manageriale. In questi ultimi anni grazie all’evoluzione delle tecnologie e a causa della crescente competizione, l’attenzione al tempo è diventata fondamentale. La gestione dei ritmi della produzione non è solo un fatto di ottimizzazione tecnica, ma implica anche un’attenta progettazione degli orari di lavoro delle persone all’interno delle organizzazioni. Questo ha spinto le imprese a moltiplicare le soluzioni proposte per gestire con flessibilità il tempo di lavoro. Per flessibilità del tempo di lavoro, si intende sia la possibilità di variare il numero delle ore lavorate in unità di tempo (giorno, mese, anno) dai singoli lavoratori, sia la possibilità di variare la distribuzione delle ore di lavoro all’interno di un periodo dato. Queste due dimensioni della flessibilità del tempo possono anche combinarsi tra loro. Il tema della flessibilizzazione dell’orario di lavoro a livello aziendale si intreccia inevitabilmente con le strategie di gestione individuale del tempo di lavoro. Il tempo e la sua organizzazione rappresentano una delle preoccupazioni principali della vita. Il tema della conciliazione tra tempo di lavoro e tempo di vita (work-life balance) appare dunque oggi più importante che mai. Numerose cono le soluzioni e gli strumenti di work-life balance che le imprese possono adottare: Articolazioni temporali: si fa riferimento a tutte le forme di flessibilità dell’orario di lavoro precedentemente illustrate. L’utilizzo di questi strumenti non deve essere visto dall’azienda come un prezzo da pagare, ma come una forma di fidelizzazione e performance management; Articolazioni spaziali: le nuove tecnologie informatiche possono permettere lo svolgimento del proprio lavoro anche in sedi diverse da quella aziendale grazie al telelavoro e al networking; Servizi alla famiglia: i servizi alla famiglia sono rivolti a supportare il lavoratore nei suoi ruoli di cura, verso i figli, i genitori anziani e il nucleo familiare. Si stanno diffondendo ad esempio asili aziendali interni alle imprese. Per la cura degli anziani le aziende possono raccogliere indirizzi delle strutture stipulando delle convenzioni; Servizi al lavoratore: rientrano in questa voce tutte le soluzioni organizzative che l’impresa attiva per favorire la mobilità e gli spostamenti casa-lavoro della persona, e le iniziative rivolte al benessere psicofisico del lavoratore. Riduzione dell’orario di lavoro tra esigenze individuali e collettive La forma più diffusa di flessibilizzazione dell’orario è il part time. Per questo tipo di rapporto di lavoro si intende ogni rapporto che preveda un numero di ore inferiore a quello standard. Questo tipo di contratto può assumere diverse forme: può essere di tipo orizzontale, con orario corrispondente a una parte dell’orario giornaliero standard, o verticale dove il lavoro può riguardare alcuni giorni alla settimana, del mese o alcuni periodi dell’anno. I rapporti di lavoro a tempo parziale consentono alle imprese di assumere lavoratori da impiegare nei momenti dell’anno, della settimana o del giorno in cui si manifesta l’esigenza di avere più lavoratori e quindi 92 rappresentano uno strumento per adattare la capacità produttiva all’andamento della domanda. Il vantaggio del part time per i lavoratori consiste nella possibilità di conciliare l’esigenza di lavorare con altre esigenze individuali ma anche di svolgere un’altra attività lavorativa. Per l’impresa, la convenienza di questa soluzione, dipende da diversi elementi: Divisibilità del ciclo di produzione; Costi fissi di lavoro; Situazione del mercato del lavoro e delle relazioni industriali. La riduzione dell’orario di lavoro non è una misura che nasce solo dalle esigenze individuali della persona che a causa di vincoli personali desidera avere più tempo da dedicare alle attività di “non lavoro” ma è una soluzione spesso invocata per affrontare i problemi sociali. Le proposte di riduzione sono spesso associate a forme di flessibilità degli orari e a modelli alternativi della sua distribuzione e retribuzione. Tali proposte sono raggruppabili in 2 classi: Riduzione congiunturale dell’orario di lavoro a livello di azienda per far fronte a cadute temporanee del livello di attività evitando licenziamenti ma riducendo la retribuzione; Riduzione strutturale e generalizzata dell’orario di lavoro. La riduzione di orario comporta per l’impresa un aumento dei costi del lavoro per unità di tempo lavorata e per unità di prodotto in tutti i casi in cui siano rilevanti i costi fissi del lavoro di natura retributiva e non retributiva. Questi aumenti possono essere compensati da: Trasformando in proporzionali al tempo lavorato i costi fissi di natura retributiva e riducendo quelli di natura non retributiva; Socializzazione dei costi fissi non retributivi; Aumento della produttività del lavoro; Aumento della produttività complessiva in quanto si ha un tasso + elevato di utilizzazione degli impianti. 10.6. Salute e sicurezza sul lavoro La sicurezza sul lavoro e la prevenzione degli incidenti e delle malattie professionali restano un problema importante. Alcune imprese si sono seriamente impegnate cercando di eliminarli, altre cercano di costruire la qualità dell’ambiente di lavoro e di benessere fisico e psicologico dei lavoratori. Molte scelgono la scorciatoia di esternalizzare i rischi affidando all’esterno le lavorazioni + pericolose o appaltando certi servizi. La DRU deve cercare, come portavoce del personale, di costruire a tutti i livelli manageriali e operativi una cultura della sicurezza cercando una partnership con i sindacati. 10.7. La DRU e il job design Il job design è un attività che vede la DRU in un ruolo di coordinatore e d’integratore di una dimensione tecnica, economica e motivazionale. Il task della DRU è significativamente diverso a seconda che l’azienda persegua una strategia di costo o una di differenziazione e innovazione. La segmentazione del personale parte dalle attività da svolgere che possono essere classificate per la loro relazione con la conoscenza, per il loro contenuto e per la loro collocazione interna o esterna. L’organizzazione e gli strumenti a disposizione della funzione si concretizzano in un supporto alla linea operativa per implementare i cambiamenti dell’organizzazione del lavoro, i cui contenuti possono essere utilizzati in chiave motivazionale. La performance può essere misurata in termini di costi, di flessibilità strategica, soddisfazione del personale, incidenti e così via, e di risultati connessi alle attività di job design realizzate dalla linea 95 valenza applicativa, d’implementazione delle strategie. Il feedforward ha una valenza di generazione delle strategie. La valutazione delle posizioni Valutare le posizioni significa porre una priorità sulle persone: la struttura è un dato e le persone si adattano all’organizzazione. In questo approccio c’è un’aspirazione a definire un metodo oggettivo di valutazione: oggettivo sia nel senso di metodo scientifico che dispone di una metrica riconosciuta, sia nel senso che viene misurato l’oggetto della relazione di lavoro e cioè la copertura di una posizione lavorativa. Valutare la posizione a prescindere dalla persona che la ricopre mira ad eliminare ogni possibile arbitrio, discriminazione e o distorsione e, quindi, risponde anche ad un’istanza di equità. La valutazione della posizione (o job evaluation) costituisce il tentativo più compiuto di elaborare un metodo di valutazione oggettivo. Nata negli USA all’inizio del secolo scorso, la sua diffusione bell’industria americana fu molto ampia e rapida, mentre fu più lenta e contrastata in Europa. La job evaluation è stata definita un mezzo per comparare i valori relativi delle differenti mansioni entro un’organizzazione per porre le basi per una razionale struttura delle retribuzioni. La job evaluation cerca di rispondere alle seguenti finalità: Sottrarre la struttura delle retribuzioni alla determinazione del mercato esterno del lavoro; Porre la struttura delle retribuzioni sotto il governo della gerarchia organizzativa. Economizzare nei costi di transazione; Legittimare i differenziali retributivi. In Italia la job evaluation è stata inizialmente apprezzata dal mondo sindacale ma successivamente rifiutata in quanto essa veniva vista come un metodo per frammentare l’unità dei lavoratori e legittimare l’organizzazione taylorista. Al limitare la diffusione hanno contribuito altri fattori: la presenza di costi di transazione nel mercato esterno ed interno la complessità del rapporto tra individuo e organizzazione e tra sistema sociale e sistema tecnico-organizzativo sono difficilmente riconducibili a una dimensione “oggettiva”. le nuove tecnologie dell’automazione hanno prodotto compiti difficilmente analizzabili e molto complessi, che fanno venir meno la possibilità si standardizzare le posizioni. in situazioni di rapido cambiamento, l’apparato analitico necessario per rincorrere i nuovi contenuti delle posizioni può entrare in crisi e creare elementi di rigidità piuttosto che di flessibilità. Nonostante questi limiti, l’analisi delle posizioni (job analysis) è un’attività che continua a essere effettuata nelle aziende. La definizione dei contenuti delle posizioni è infatti utile in tema di carriere, di reclutamento e selezione. Fasi della job evaluation 1. Job analysis: consiste in un esame approfondito delle posizioni di lavoro, in termini di cosa viene fatto, come viene fatto, perché viene fatto e cosa è richiesto per farlo; 2. Job description: i dati grezzi raccolti in fase di rilevazione devono essere interpretati, completati e sistemati in forma organica e standardizzata attraverso la compilazione di una scheda di analisi della posizione; 3. Job specificatio: questa terza fase prevede che le informazioni raccolte nella job D. vengano ricondotta a un insieme di fattori che caratterizzano i compiti; 4. Job evaluation: in base alla determinazione dei fattori e alla loro valorizzazione, viene definito il valore relativo di ogni posizione 96 I metodi con i quali può essere condotta una job evaluation vengono distinti in metodi globali o non quantitativi, che considerano la mansione nel suo complesso, attraverso un giudizio di tipo sintetico (job ranking e job classification) e metodi analitici o quantitativi, che scompongono la mansione in fattori e li valutano (metodo della comparazione per fattori e metodo del punteggio). Tra i metodi globali, quello più semplice è il metodo della graduatoria (job ranking) il quale non assegna un valore ai singoli compiti ma soltanto un rango, la cui assegnazione viene fatta da un comitato misto composto dalla Dru e da un gruppo di lavoratori esperti. Si tratta di un metodo semplice che non richiede grosse elaborazioni e che è adeguato per organizzazioni di piccole dimensioni. Lo svantaggio è che fornisce solo la graduatoria delle posizioni ma non definisce l’intervallo. Il secondo metodo globale è il metodo della classificazione (job classification), il quale consiste nella creazione di un sistema di classi e sotto classi di inquadramento alle quali assegnare le posizioni. Le classi rappresentano uno standard con il quale confrontare i job organizzativi. La parte più delicata e più dispendiosa di tale metodo consiste nella definizione delle classi che devono contenere una descrizione delle condizioni generali e astratte rispetto alle quali ricondurre le fattispecie concrete dei compiti. Passando ai metodi analitici, il metodo del punteggio è il più noto e il più adottato tra i metodi di job evaluation. L’obiettivo di questo metodo è l’assegnazione di un punteggio a ciascuna posizione organizzativa, in modo da distinguere nel dettaglio la differenza di valore. Il processo di valutazione parte dal raggruppamento delle posizioni in “famiglie” al cui vengono selezionate una o più posizioni “chiave” che saranno valutate per prime. Il comitato di valutazione sceglie quindi un insieme di fattori, cioè di caratteristiche presenti in maniera trasversale nelle posizioni da valutare e che si considerano rilevanti per differenziare le mansioni. A questo punto si procede prima alla ponderazione dei fattori e poi alla loro graduazione. Il comitato di valutazione, analizzando il job description, valuta i compiti chiave e assegna loro un punteggio. Dal punteggio si può arrivare, con una semplice moltiplicazione per un parametro monetario, alla definizione della retribuzione. Un secondo metodo analitico, meno diffuso del precedente, è quello della comparazione dei fattori (factor comparison), che a differenza del precedente - che attribuisce un punteggio totale che moltiplicato per il valore monetario del punto fornisce la classe retributiva – con la comparazione dei fattori di arriva direttamente a definire il valore salariale senza passare per il punteggio. Tra le applicazioni del metodo del punteggio, una delle più famose è quella sviluppata dalla Hay (metodo Hay), società di consulenza internazionale, che in Italia ha trovato una buona diffusione soprattutto presso grandi e medie aziende. Esso è adatto in particolare per le posizioni dei quadri e dei dirigenti. Questo metodo è particolarmente idoneo a superare uno dei limiti tradizionali dei metodi di job evaluation, ovvero la non confrontabilità con gli andamenti del mercato del lavoro. Esso evidenzia e valuta per ogni posizione i seguenti fattori: Competenza (know how): intesa come il livello delle conoscenze tecniche necessarie per ricoprire adeguatamente le posizioni; Iniziative creatrice (problem solving): per l’individuazione e risoluzione dei problemi; Responsabilità o finalità (accountability) La valutazione viene effettuata analiticamente per ognuno dei tre fattori e il valore complessivo della posizione si ottiene per somma dei tre punteggi parziali. Parallelamente alla comparazione per fattori, il metodo Hay prevede una valutazione della composizione dei punteggi parziali sulla base di due principi: 97 1. Quanto maggiore è l’importanza di una posizione, tanto più cresce l’incidenza relativa del problem solving e dell’accountability all’interno della valutazione complessiva. 2. Quanto minore è l’importanza di una posizione tanto meno incidono detti fattori e tanto più avrà rilevanza il fattore know how. Un altro metodo di job evaluation che combina il punteggio con la logica del job ranking è il Global Grading System, in cui viene proposta una griglia composta da 25 classi, all’interno delle quali possono essere ricondotti tutti i ruoli aziendali. Il processo di allocazione della posizione organizzativa alla classe avviene attraverso una valutazione su 3 step: 1. Definizione della dimensione dell’azienda 2. Definizione del contributo della posizione al business aziendale 3. Valutazione delle posizioni in base a 7 fattori: conoscenza specialistica, esperienza, leadership, problem solving, area e livello di responsabilità, capacità di relazione). Un sistema di valutazione delle posizioni presenta rilevanti costi diretti e indiretti, d’impianto e di manutenzione, che vanno valutati in rapporto alla dimensione dell’azienda e alla dinamica del cambiamento. Le tendenze attuali vanno in direzione di una semplificazione e standardizzazione dei metodi, si individuano classi ampie (broadbanding) che comprendono un numero elevato di posizioni. Il broadbanding consiste nel raggruppare una varietà più ampia di posizioni entro la stessa classe ampliando nel contempo il range di valori o di retribuzioni connessi. Il broadbanding induce quindi ai seguenti effetti: Aumenta la flessibilità organizzativa Lascia spazi per remunerare la persona e i risultati piuttosto che le posizioni Consente carriere anche dentro un’organizzazione che ha ridotto i livelli gerarchici Favorisce un ampliamento delle competenze delle persone Semplifica in problema di classificazione delle posizioni La valutazione delle persone La valutazione della persona è alla base dei sistemi di classificazione definiti soggettivi sia in quanto centrati sul soggetto, sia in quanto utilizzano metodi di tipo discrezionale. Questi precedono storicamente la job evaluation e ne costituiscono successivamente il superamento. L’idea centrale consiste nel retribuire il lavoratore non solo per il posto che copre o per quello che fa, ma anche per quello che sa fare. Il fine è di motivare l’individuo ad ampliare il suo saper fare, a migliorare la comprensione del proprio ruolo entro un’organizzazione complessa, a essere attivo nel processo di innovazione. Alla job evaluation e alle teorie tayloristiche vengono opposte la skill evaluation e le teorie post-tayloristiche o post-fordiste. L’individuo in base alla formazione e all’esperienza lavorativa viene valutato rispetto a griglie di classificazione che possono essere aziendali o contrattuali e gli viene attribuita una qualifica. Questa qualifica lo rende idoneo ad essere adibito ad una classe definita di compiti o mansioni. La qualifica è un attributo stabile della persona e, nel nostro ordinamento, non può essere mutata se non in senso migliorativo. Sono possibili declassamenti ma solo attraverso procedure di garanzia che devono dimostrare un’inidoneità sopravvenuta. La valutazione delle persone innesca dinamiche psicologiche che devono essere presenti in chi valuta al fine di attenuare l’impatto negativo e gli effetti non voluti che possono minare il clima aziendale e i rapporti tra capi e collaboratori. La valutazione crea ansia in chi la fa e in chi la subisce. L’equazione dell’idea di se consente di capire che se la valutazione ricevuta è inferiore all’idea di se del valutato questo tenderà a delegittimare il valutatore o abbassare le proprie aspirazioni.