Scarica Romeo e Giulietta di Shakespeare e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura solo su Docsity! Romeo e Giulietta (The Most Excellent and Lamentable Tragedy of Romeo and Juliet) è una tragedia di William Shakespeare composta tra il 1594 e il 1596, tra le più famose e rappresentate, nonché una delle storie d'amore più popolari. La vicenda dei due protagonisti ha assunto nel tempo un valore simbolico, diventando l'archetipo dell'amore perfetto ma avversato dalla società. Innumerevoli sono le riduzioni musicali (per esempio: il poema sinfonico di Čajkovskij, il balletto di Prokof'ev, l'opera di Gounod, l'opera di Bellini I Capuleti e i Montecchi, il musical West Side Story) e cinematografiche (fra le più popolari quelle dirette da Zeffirelli e Luhrmann). Trama Nel prologo, il coro racconta come due nobili famiglie di Verona del 1500, i Montecchi e i Capuleti , si siano osteggiate per generazioni e che "dai fatali lombi di due nemici discende una coppia di amanti, nati sotto cattiva stella, il cui tragico suicidio porrà fine al conflitto". Il primo atto (composto da cinque scene) comincia con una rissa di strada tra le servitù delle due famiglie (Gregorio, Sansone, Abramo e Benvolio), interrotta da Escalus, principe di Verona, il quale annuncia che, in caso di ulteriori scontri, i capi delle due famiglie saranno considerati responsabili e pagheranno con la vita; quindi fa disperdere la folla. Il Conte Paride, un giovane nobile, ha chiesto al Capuleti di dargli in moglie la figlia Giulietta poco meno che quattordicenne. Capuleti lo invita a attendere, perché ritiene la figlia ancora troppo giovane, ma alle insistenze di Paride gli dice di farle la corte e di attirarne l'attenzione durante il ballo in maschera del giorno seguente. La madre di Giulietta cerca di convincerla ad accettare le offerte di Paride. Questa scena introduce la nutrice di Giulietta, l'elemento comico del dramma. Il rampollo ventenne dei Montecchi, Romeo, è innamorato di Rosalina, una Capuleti (personaggio che non compare mai) la quale, per un voto di purezza e castità, non vuole corrispondere alle attenzioni di Romeo. Mercuzio (amico di Romeo e congiunto del Principe) e Benvolio (cugino di Romeo) cercano invano di distogliere Romeo dalla sua malinconia, quindi decidono di andare mascherati alla casa dei Capuleti, per divertirsi e cercare di dimenticare. Romeo, che spera di vedere Rosalina al ballo, incontra invece Giulietta. Romeo e Giulietta, dipinto di Ford Madox Brown I due ragazzi si scambiano poche parole, ma sufficienti a farli innamorare l'uno dell'altra e a spingerli a baciarsi. Prima che il ballo finisca, la Balia rivela a Giulietta il nome di Romeo e Romeo apprende che la ragazza è la figlia dei Capuleti. Il secondo atto (composto da sei scene) inizia quando Romeo si congeda dai suoi amici e, rischiando la vita, si trattiene nel giardino dei Capuleti dopo la fine della festa. Durante la famosa scena del balcone, i due ragazzi si dichiarano il loro amore e decidono di sposarsi in segreto. Il giorno seguente, con l'aiuto della Balia, il francescano Frate Lorenzo unisce in matrimonio Romeo e Giulietta, sperando che la loro unione possa portare pace tra le rispettive famiglie. Nel terzo atto (composto da cinque scene) le cose precipitano quando Tebaldo, cugino di Giulietta e di temperamento iracondo, incontra Romeo e cerca di provocarlo a un duello. Romeo rifiuta di combattere contro colui che è ormai anche suo cugino, ma Mercuzio (ignaro di ciò) raccoglie la sfida. Tentando di separarli, Romeo inavvertitamente permette a Tebaldo di ferire Mercuzio, che muore augurando "la peste a tutt'e due le vostre famiglie". Romeo, nell'ira, uccide Tebaldo per vendicare l'amico. Giunge il Principe che chiede chi abbia provocato la mortale rissa e Benvolio racconta di come Romeo abbia tentato invano di placare le offese e le angherie di Tebaldo. Donna Capuleti mette in dubbio però tale racconto poiché fatto da un Montecchi. Il Principe allora condanna Romeo solo all' esilio, dato che Mercuzio era suo congiunto e Romeo ha agito per vendicarlo. Romeo dovrà quindi lasciare la città prima dell'alba del giorno seguente non più tardi del cambio della guardia, altrimenti sarà messo a morte. Giulietta apprende intanto dalla sua Balia della morte di Tebaldo (suo cugino) e del bando per Romeo e, disperata, chiede alla Balia di trovare Romeo, portargli il suo anello e chiedergli di incontrarla per l'ultimo addio. La Balia si reca quindi da frate Lorenzo, dove Romeo ha trovato rifugio e insieme concordano di far incontrare i due sposi. Nel frattempo il Conte Paride incontra i Capuleti per chiedere delle nozze con Giulietta e questi decidono di fissare la data per Giovedì, per sollevare il morale alla figlia credendo si stia disperando in lacrime per la morte di Tebaldo. I due sposi riescono a passare insieme un'unica notte d'amore. All'alba, svegliati dal canto dell'allodola, messaggera del mattino (che vorrebbero fosse il canto notturno dell'usignolo), si separano e Romeo fugge a Mantova. La mattina dopo Giulietta apprende dai suoi genitori della data delle nozze con Paride e, al suo rifiuto, viene verbalmente aggredita dal padre, che minaccia di diseredarla e cacciarla dalla sua casa. Giulietta chiede invano conforto alla sua Balia e poi, fingendo un ravvedimento, manda questa a chiedere ai suoi il permesso di andare a confessarsi con frate Lorenzo per espiare il torto fatto con il suo rifiuto. Il quarto atto (composto da cinque scene) inizia con un colloquio tra frate Lorenzo e Paride, che gli annuncia il matrimonio con Giulietta per Giovedì. Poco dopo giunge la ragazza, che si trova quindi di fronte al Conte e per congedarlo è costretta a farsi baciare. Uscito quest'ultimo si rivolge disperata al frate. Frate Lorenzo, esperto religioso in erbe medicamentose, escogita una soluzione al dramma e consegna a Giulietta una pozione-sonnifero che la porterà ad uno stato di morte apparente solo per quarantadue ore, in realtà un sonno profondo con rallentamento del battito cardiaco (impercettibile), per non sposare Paride e fuggire. Nel frattempo il frate manda il suo fidato assistente, Frate Giovanni, a informare Romeo affinché egli la possa raggiungere al suo risveglio e fuggire da Verona. Tornata a casa, Giulietta, finge la propria propria approvazione alle nozze e giunta la notte, beve la pozione e si addormenta nel profondo sonno. Al mattino la Balia si accorge sconvolta della "morte" di Giulietta. La giovane viene sepolta nella tomba della famiglia dove riposa anche Tebaldo. Solo i Montecchi sono originari di Verona, i Capuleti (che in realtà si chiamavano Cappelletti) provengono invece da Brescia, anche se si trovano pure a Verona fino agli anni della permanenza di Dante, nella attuale casa di Giulietta, dove, tra l'altro, la loro presenza è testimoniata dallo stemma del cappello sulla chiave di volta dell'arco di entrata al cortile dell'edificio duecentesco[1]. Non ci sono notizie di lotte tra Cappelletti e Montecchi, mentre questi ultimi hanno portato avanti per molto tempo una lotta sanguinosa contro i guelfi (in particolare con la famiglia guelfa dei Sambonifacio). Le notizie sui Montecchi vengono dopo che furono banditi dalla città da Cangrande della Scala, dopo aver tentato un complotto contro di lui[2]. Il contesto storico in Dante non fa riferimento alle vicende dell'amore contrariato tra gli amanti di queste famiglie, che non vi appaiono, ma parla delle due famiglie, commiserandole, dato che erano famiglie «già tristi». Una prima struttura della trama si delinea invece nella novella di Mariotto e Ganozza di Masuccio Salernitano, composta nel 1476 ma ambientata a Siena. La sua versione della storia comprende il matrimonio segreto, il frate colluso, la mischia in cui un cittadino di primo piano viene ucciso, l'esilio di Mariotto, il matrimonio forzato di Gianozza, la pozione e il messaggio fondamentale che si smarrisce. In questa versione Mariotto viene catturato e decapitato e Gianozza muore di dolore. Sia il tono che la trama dell'opera mostrano delle notevoli differenze dall'opera di Shakespeare: Masuccio insiste più volentieri, almeno all'inizio, sull'aspetto erotico e spensierato della loro relazione, ben lontana dall'aspetto di sacralità che acquisterà in seguito. Ganozza trangugia allegramente la pozione (la Giulietta di Shakespeare berrà il narcotico con terrore, e da quei suoi versi usciranno dei presagi sinistri della catastrofe che seguirà di lì a poco). L'ambientazione di Masuccio è molto più solare, mediterranea, priva dell'atmosfera gotica anglosassone, e la morte di Tebaldo - qui scaduto a un ignoto "onorevole cittadino" - è effetto (non immediato) di una bastonata assestatagli da Mariotto in seguito ad un'animata discussione. Non vi è ancora nessun duello, né un Mercuzio. Luigi da Porto nella sua Historia novellamente ritrovata di due nobili amanti, pubblicata nel 1530 circa, diede alla storia molto della sua forma moderna, rinominando i giovani Romeus e Giulietta e trasportando l'azione da Siena a Verona (città che ai tempi di Da Porto era strategicamente importante per Venezia), all'epoca di Bartolomeo della Scala, nel 1301-1304. Da Porto presenta il suo racconto come storicamente vero e nella trama sono già presenti elementi chiave: personaggi corrispondenti a quelli di Shakespeare (Mercuzio, Tebaldo e Paride), la rissa, la morte di un cugino dell’amata perpetrata da Romeo, il bando dalla città di quest’ultimo e la tragica fine di entrambi in cui Romeo prende un veleno e Giulietta si trafigge con un pugnale. Da Porto trovò forse ispirazione dalla visione delle due rocche scaligere presenti a Montecchio Maggiore, che appaiono in contrapposizione tra loro. Inoltre nel suo racconto paiono rispecchiarsi vicende autobiografiche, ovvero il suo amore con Lucina Savorgnan, nel contesto delle faide fra famiglie nobili in Friuli[3]. Rielaborata nelle riduzioni drammatiche Giulia e Romeo (1553) di Clizia[4] (attribuito al nobile veronese Gerardo Boldiero) e Hadriana di Luigi Groto (1578), fu ripresa da Matteo Bandello nel 1554 e inclusa nel secondo volume delle sue Novelle che comprendeva la sua versione di Giulietta e Romeo. Bandello sottolinea la depressione iniziale di Romeo e la faida tra le famiglie e introduce la nutrice e Benvolio. L'ambientazione, ormai, è quella definitiva: « Nel tempo che Bartolommeo dalla Scala, signore cortese ed umanissimo, il freno alla mia bella patria a sua posta e strigneva e rallentava, furono in lei, secondo che mio padre dicea aver udito, due nobilissime famiglie per contraria fazione, ovvero particolar odio; nemiche, l'una è Capelletti, l'altra è Montecchi nominata... » Versioni francesi e inglesi Il poema di Arthur Brooke, frontespizio La novella di Bandello fu tradotta in francese da Pierre Boaistuau (1559) nel primo volume delle sue Histories Tragiques. Boaistuau aggiunge molto moralismo e sentimento e la sua versione venne a sua volta tradotta in inglese, sia in prosa (da William Painter nel suo Palace of Pleasure, 1567) che in versi: il poema narrativo Tragicall Historye of Romeus and Juliet, scritto nel 1562 da Arthur Brooke fu infine la fonte primaria del Romeo and Juliet shakespeariano. Si tratta di un poema drammatico di poco più di tremila versi, scritto in rime baciate di esametri giambici alternate a eptametri. Il risultato è piuttosto monotono, spesso sin troppo moraleggiante come in Boaistuau e i personaggi sono privi della freschezza shakespeariana. Ma Shakespeare, pur cambiandone il tono in parecchie parti, ne segue molto fedelmente la trama. A Brooke dobbiamo tra l'altro la felice invenzione della balia così come appare in Shakespeare, un po' sboccata ma generosa con tutti, spontanea, dall'umorismo popolare. La rielaborazione shakespeariana La modifica sostanziale che Shakespeare introdusse nella vicenda, più che le azioni e i fatti, riguarda la moralità e il significato assegnato alla storia. Gli amanti «sfortunati e disonesti» descritti da Brooke diventarono personaggi archetipici dell'amore tragico, riflettendo allo stesso tempo la crisi del mondo culturale e sociale dell'epoca, in cui il Principe e la Chiesa non riescono più ad imporre l'ordine (materiale e spirituale). Nella versione di Boaistiau ancora si condannava apertamente l'unione tra Romeo e Giulietta, colpevoli di avere ascoltato i loro istinti voltando le spalle ai sentimenti delle loro famiglie e l'ordine sociale a cui tutti debbono conformarsi. Shakespeare arricchì e trasformò stilisticamente la trama in modo più intenso con le vivide caratterizzazioni dei personaggi minori, tra cui Benvolio, cugino di Romeo e vicino al Principe, nelle funzioni di testimone della tragedia, la nutrice (appena accennata da Brooke) che rappresenta un momento di comica leggerezza, e infine Mercuzio, creatura shakespeariana di straordinaria potenzialità drammatica e figura emblematica, che incarna l'amore dionisiaco e vede la donna solo nel suo aspetto più immediatamente materiale. Romeo rivela però una concezione più alta, che innalza Giulietta oltre la pura materialità dell'amore. In Shakespeare il tempo rappresentato si comprime al massimo, aumentando così l'effetto drammatico. La vicenda, originariamente della durata di nove mesi, si svolge in pochi giorni, da una domenica mattina di luglio alla successiva notte del giovedì. Il percorso drammaturgico si brucia in una sorta di rito sacrificale, con i due giovanissimi protagonisti travolti dagli avvenimenti, e (come scrive Silvano Sabbadini in una sua introduzione all'opera) dall'impossibilità di un passaggio all'età adulta, alla maturazione. Nonostante la diversità di impostazione, nel Romeo e Giulietta shakespeariano è possibile ravvisare citazioni quasi letterali da Brooke, che sembrano dimostrare come prima della composizione il Bardo di Avon dovesse conoscere il poema quasi a memoria. Ma vi sono anche influenze dirette da altri autori, seppure in misura minore: oltre ad echi del già citato Palace of Pleasure vi sono anche quelli del Troilo e Criseide di Geoffrey Chaucer, che il Nostro doveva conoscere molto bene, derivati a loro volta dal Filostrato boccaccesco che Shakespeare sembra però non avere mai letto. Al tempo in cui il Bardo di Stratford iniziava la sua carriera drammaturgica, la storia dei due amanti infelici aveva ormai fatto il giro dell'Europa, riempiendo non solo le librerie ma anche gli arazzi delle case. Il Brooke stesso ci parlava già, trent'anni prima dell'esordio di Shakespeare, dell'esistenza di un famoso dramma sull'argomento, non specificandone però l'autore. La popolarità di questo protodramma, anche se non ci sono pervenuti copioni né adattamenti, induce facilmente a pensare che molti autori minori avessero già messo in scena la storia un gran numero di volte prima che Shakespeare si cimentasse con la propria versione. Di solito, gli attori erano talmente presi dalla trama che, per non essere feriti dagli oggetti lanciati dalla platea (se il romanzo non era di loro gradimento) improvvisavano e facevano finire bene la storia. Composizione e stampa Elementi per una datazione Il Quarto del 1599 L'opera è stata scritta tra il 1594 e il 1596. Nel testo del dramma, in una battuta della balia, si afferma come siano passati esattamente undici anni da un terremoto che avrebbe scosso la città di Verona Atto I°, Scena III, Balia "...ma, stavo dicendo, la notte della vigilia lei compirà quattordici anni, ci giurerei, non ho dubbi io, me lo ricordo bene... Sono passati undici anni da quel terremoto, e fu proprio allora, tra tutti i giorni dell'anno che cominciai a toglierle il latte...". Per quanto non si possa fare affidamento sulla buona memoria di un personaggio, parte della finzione scenica, questo elemento ha suscitato riflessioni: Shakespeare si riferisce alla città nella quale realmente si svolge la rappresentazione (quindi Londra) o a quella fittizia, la Verona cinquecentesca rappresentata sulla scena? Nel primo caso, quello in cui ci si riferisca al terremoto che colpì Londra nel 1580, la data sarebbe prematura, perché porterebbe la composizione al 1591, anno precedente all'attività letteraria di Shakespeare, iniziata non prima della chiusura dei teatri da parte della City nel 1593. Più adatto cronologicamente sarebbe il riferimento di Sidney Thomas al terremoto europeo del 1584, ma il fatto che la scossa fosse avvertita in modo molto intenso tra le Alpi come afferma Sarah Dodson non avrebbe aggiunto colore locale alla tragedia, non potendo il pubblico inglese disporre di dalla mano di Shakespeare. Mentre il secondo in-quarto non stabilisce l'edizione definitiva a cui si conformano le altre, gli studiosi sono concordi nel ritenerla opera di Shakespeare, nonostante le frequenti ripetizioni del tipografo di versi o espressioni simili tra loro. I difetti di (Q2) non sarebbero però da imputare ad editori o stampatori, ma al fatto che (Q2) fosse la stampa di una brutta copia a cui l'autore stava ancora lavorando (le ripetizioni non sarebbero che varianti sulle quali Shakespeare stesso non aveva preso ancora una decisione). Tale versione sarebbe stata data in modo un po' affrettato alle stampe per smentire la bontà del falso in-quarto (come si verificava per altri pessimi in-quarti). Resta comunque il fatto che si tratta di una edizione emendata e ampliata per il lettore, in cui la freschezza e spontaneità del copione è stata in parte soppiantata da differenti esigenze editoriali, più conformi a quelle di chi ama leggere che assistere di persona alla rappresentazione. In questo caso, (Q1) e altri cattivi in-quarti, come altre testimonianze delle cronache sono state di aiuto per la restitutio dell'opera originale. Un terzo in-quarto (Q3), sostanzialmente una ristampa di (Q2), appare nel 1609, e successivamente un quarto (Q4) del 1622, che riproduce(Q3) senza trascurare elementi importanti di (Q1). Da taluni sarebbe attribuito al 1611 o al 1615, e porta per la prima volta sul frontespizio il nome di Shakespeare. (Q5) (1637) non è che una copia di (Q4). Eccetto (Q1) e (Q2) si tratta di versioni che hanno però un interesse più storico che filologico, trattandosi perlopiù di copie che introducono nuovi errori e imprecisioni. Gibson e altri studiosi pongono però (Q3) su un livello più alto delle successive, data la precisione e l'onestà del copista nella consultazione delle fonti precedenti. Nelledizione in-folio del 1623 comprendente la maggior parte delle opere scespiriane a noi pervenute, è presente la copia di uno dei precedenti in-quarto (secondo alcuni studi il Q2[5], per altri un insieme del Q3 e Q4[6]). Secondo l'Arden Shakespeare l'in-folio 1623 si basa sul (Q4) con alcune eccezioni tratte da (Q3). Contesto storico Italia e Inghilterra nel cinquecento La tragedia prende le sue mosse dal contesto storico dell'epoca. Nel periodo in cui il dramma è ambientato, l'Italia non esisteva ancora come stato unitario, e i suoi Comuni erano divisi, in guerra tra loro e con lo Stato Pontificio. Verona e Venezia in particolare furono nel Cinquecento una spina nel fianco della Chiesa cattolica. Nel Regno d'Inghilterra, d'altro canto, nel periodo in cui il dramma venne composto regnava Elisabetta I che, come tutti i sovrani britannici successivi a Enrico VIII (padre di Elisabetta), era a capo della chiesa protestante anglicana. È quindi comprensibile che Romeo e Giulietta dipinga l'ambiente cattolico a tinte fosche, evocando sulla scena le paure diffusesi in Inghilterra in seguito al formale distacco della Regina Elisabetta dalla Chiesa di Roma (dopo i tentativi di restaurazione cattolica della sorellastra Maria, che la precedette sul trono) che provocò quindi l'uscita dalla coalizione di stati cattolici, e l'aperto sostegno a tutti i partiti protestanti europei. In questo periodo si consumarono le Guerre di Religione (1572-1604) francesi, la cui violenza era culminata, venti anni prima della composizione della tragedia, nella sanguinosa Notte di san Bartolomeo. Elisabetta, dopo lo scisma consumato dal padre, fece adottare un catechismo diverso da quello cattolico (Book of Common Prayer), permettendo la traduzione in lingua inglese delle Sacre Scritture. Nel 1588 la regina, dopo avere rifiutato la corte insistente del cattolicissimo Filippo II di Spagna, sconfigge, complice l'instabile clima Atlantico, l'Invencible Armada inviata dal sovrano per conquistare l'isola. Se la vittoria sancì la superiorità marittima dell'Inghilterra aprendole la strada alle Americhe, scagliò però contro Elisabetta le ire di tutti i sovrani cattolici, diffondendo soprattutto a Londra un clima di paura, fomentato da intrighi di corte, spie, non certo alleviato dalla discreta presenza di una comunità di drammaturghi italiani. Il gotico inglese muove i suoi primi passi proprio dal teatro elisabettiano, il cui sfondo sono le guglie di chiese e castelli anglosassoni, arricchito di stereotipi mutuati dal mondo cattolico, quali la cripta dei delitti e delle torture, le torbide vicende di amanti perseguitati dentro le mura di conventi spagnoli o italiani. In questo clima, frate Lorenzo diventa lo strumento di una provvidenza che opera al rovescio. Benché motivato dalle migliori intenzioni, il suo piano, complice il fato avverso, porta al suicidio di Romeo e Giulietta. Le arti magiche del frate, creatore della pozione narcotica, gettano una luce sinistra e provocano nel pubblico lo stesso terrore che si impossessa di Giulietta un istante prima di bere la fiala. Le prime rappresentazioni Il Globe, ricostruito nel 1996 sul sito originario Rappresentata sicuramente prima del 1597, si ritiene che l'opera possa esser stata messa in scena dai Lord Chamberlain's Men, la compagnia del ciambellano Hunsdon che più tardi, nel 1603, prese il nome di King's Men. Nella compagnia recitavano Richard Burbage e lo stesso Shakespeare. Burbage potrebbe essere stato il primo attore ad interpretare Romeo, con il giovane Robert Goffe nella parte di Giulietta. Il dramma sarebbe stato rappresentato nel teatro, costruito nel 1596 dal padre di Burbage, chiamato The Theatre (Il Teatro) (in seguito smantellato dai Burbage e ricostruito come Globe Theatre) e al Curtain, costruito nell'anno successivo, entrambi nella periferia della City di Londra. I due edifici, di forma simile, erano anfiteatri nei quali il pubblico assisteva alle rappresentazione in una corte interna, scoperta, o nei palchetti. Si avvalevano di luce naturale, e il prezzo del biglietto era in genere di un penny. Come nella maggioranza delle rappresentazioni del teatro elisabettiano, il dramma si svolgeva su un palco centrale, circondato per tre lati dal pubblico, e la mancanza di effetti speciali e scenografie elaborate lasciava il compito evocativo interamente alla maestria degli attori. Commento Romeo e Giulietta, tragedia della fortuna Destino e libero arbitrio nel medioevo Romeo e Giulietta è ancora in gran parte un dramma medievale, ancorché di argomento profano: molte di queste opere, raccontate anche in novelle parlavano dell'ascesa di re, principi e imperatori e della loro caduta per opera del fato. Lo stesso valga per le versioni più romantiche di questi racconti a fine edificante, quasi sempre storie di amanti infelici. In generale nel medioevo i difetti personali e l'autodeterminazione non avevano alcun potere nelle vicende degli uomini, regolate solo da una provvidenza spesso crudele e imperscrutabile, controparte letteraria dei vari memento mori custoditi nelle dimore medievali, dai macabri ritratti della morte ricoperta da un manto nero con una falce in mano a varie statuette sullo stesso tema. Il Dio cristiano dei predicatori medievali è tanto imperscrutabile nel suo operato quanto terribile e severo, e così lo ritraggono alcuni tra i più grandi predicatori, da Bonvesin de la Riva a Girolamo Savonarola. L'individuo quale noi intendiamo oggi è una creazione moderna: ogni persona era considerata non in sé ma in quanto parte della comunità da cui dipendeva e a cui tutto doveva. In confronto alle epoche successive, ben poche sono le opere firmate nel medioevo, che ignorava il diritto d'autore. La mancanza della centralità dell'individuo sia a livello terreno che escatologico è probabilmente responsabile dello scarso affidamento che fa la cultura medievale sulla possibilità della volontà umana di cambiare i destini del mondo. Tanto per citare un celeberrimo passo della Divina Commedia, in cui Dante chiede a Virgilio cosa sia la fortuna: La ruota della fortuna in De casibus virorum illustrium di Giovanni Boccaccio « Colui lo cui saver tutto trascende, [...] ordinò general ministra e duce che permutasse a tempo li ben vani di gente in gente e d'uno in altro sangue, oltre la difension di senni umani; [...] Vostro saver non ha contrasto a lei: questa provede, giudica e persegue suo regno come il loro li altri dei. Le sue permutazion non hanno triegue; necessità la fa esser veloce; sì spesso vien chi vicenda consegue. Quest'è colei ch'è tanto posta in croce pur da color che le dovrìen dar lode, dandole biasmo a torto e mala voce; ma ella s'è beata e ciò non ode: con l'altre prime creature lieta volve sua spera e beata si gode. » (Inferno, Canto VII , 73-96) La caduta di questi personaggi era un monito alla vanità degli uomini che si occupano troppo dei beni terreni perdendo di vista Dio, unica fonte di salvezza. Shakespeare fa un passo avanti in questo senso, introducendo nei personaggi del dramma dei difetti personali (l'avventatezza degli amanti, la passione sanguinaria per il duello di Mercuzio e Tebaldo, ecc.) ma lasciando nell'ambiguità se essi incidano fatalmente sull'esito della storia. Interpretazioni recenti Alcuni contestano il fatto che la fine di Romeo e Giulietta non accada per le loro debolezze ma sia soltanto il frutto di azioni di terzi o incidenti. Al contrario delle altri grandi tragedie, "Romeo e Giulietta" è più una tragedia di contrattempi e di destino beffardo. Tuttavia, altri considerano l'avventatezza e la giovinezza di Romeo e Giulietta la causa della loro morte.