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Saper vedere l'architettura, Sintesi del corso di Architettura

Saper vedere l'architettura è un saggio sull'architettura di Bruno Zevi. La prima pubblicazione risale al 1948 per la casa editrice Enaudi. Esso tratta di come concepire l'architettura e la concezione spaziale attraverso i secoli e secondo diverse interpretazioni.

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

In vendita dal 11/05/2021

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Scarica Saper vedere l'architettura e più Sintesi del corso in PDF di Architettura solo su Docsity! Saper vedere l’architettura - Bruno Zevi “Saper vedere l’architettura significa, nei periodi di cultura spaziale rigida (Rinascimento) cogliere il punto in cui un’anima individuale si muove e supera con linguaggio poetico il meccanicismo delle regole sintattiche e semantiche, e, dei periodi di liberazione (Barocco), saper distinguere il disordine fine a se stesso dall’opera del genio che, anche attraverso un’infinita moltiplicazione di immagini, trova il momento della sua classicità.” (pag. 90) I. L’ignoranza dell’architettura Zevi esordisce con una prima forte critica alla situazione in cui si trova l’architettura in quel momento.Egli non si spiega come mai l’architettura non abbia la stessa valenza della pittura, scultura ed altre forme di arte, ma anzi viene spesso dimenticata e lasciata in un angolo davvero misero rispetto al valore che ha. Nessuno può chiudere gli occhi di fronte all’edilizia che forma la scena della vita cittadina e porta il segno dell’uomo.Eppure rispetto ad un quadro, seppure di stupenda manifattura, ha un peso maggiore sulla vita di tutti noi perché condiziona fortemente la qualità della vita. Egli sottolinea come sia difficile un’esposizione, una mostra di architettura rispetto alla creazione di una mostra di quadri e per questo l’uomo dovrebbe avere una passione per l’architettura tale da crearsi un’esposizione da solo. Ci sono senza dubbio delle difficoltà obiettive (oltre ad un’incapacità da parte di architetti, storici dell’architettura e critici d’arte a farsi portatori del messaggio edilizio / diffondere l’amore per l’architettura nella massa o perlomeno delle persone colte); C’è anzitutto l’impossibilità materiale di trasportare edifici in un dato posto e farne un’esposizione come si fa dei quadri. L’uomo medio che visita una città monumentale e sente il dovere di ammirarne gli edifici, va in giro secondo criteri pratici di ubicazione: si concentra su un settore urbano, accozzando esemplari architettonici lontani e diversi. Anche gli architetti professionisti (che hanno una profonda passione per l’architettura) mancano oggi di una cultura che dia loro il diritto di affrontare un dibattito critico: avendo sempre lottato contro l’accademismo falsario e scopiazzato, essi hanno + volte, sia pur inconsciamente, dichiarato il loro disinteresse x le opere autentiche del passato, ed hanno così rinunciato a trarre da queste l’elemento conduttore vitale senza il quale nessuna posizione d’avanguardia si amplia in una cultura (es. Wright ostile al Rinascimento italiano e Le Corbusier molto superficiale nel classificare le epoche storiche passate). È compito delle nuove generazioni di architetti moderni, una volta superata la rottura psicologica dell’atto di gestazione del movimento funzionalità, ristabilire un ordine culturale. Avremo fatto un deciso passo in avanti quando saremo capaci di adottare gli stessi criteri di valutazione x l’architettura contemporanea e per quella che fu edificata nei secoli che ci precedono.Se fossero inseriti capitoli sull’architettura del passato nei volumi di carattere apologetico-moderno, molti dei libri recenti cadrebbero per la loro parzialità modernista. Oggi esiste in quasi tutti i paesi un numero abbastanza alto di critici d’arte che si occupano quasi esclusivamente di architettura; è inoltre particolarmente significativo che siano le riviste d’arte come il “Magazine of Art” (Americano) e il “The Studio” (Londinese) ad occuparsi maggiormente di architettura. Anche in Italia alcuni tra i migliori critici d’arte, come Argan e Ragghianti, comprendono perfettamente l’importanza dell’argomento e collaborano a diffonderne la conoscenza. Il difetto caratteristico della trattazione dell’architettura nelle correnti storie dell’arte > consiste nel fatto che gli edifici sono giudicati come fossero sculture e pitture, cioè esternamente e superficialmente, come puri fenomeni classici > si tratta di un errore d’impostazione filosofica. Negli ultimi decenni il rinnovamento della pittura (dal cubismo in poi) ha segnato una semplificazione dell’equazione pittorica > eliminando il “contenuto”; di conseguenza: linee - colore - forma - volume - massa - spazio/tempo sono le parole-tabù della moderna critica figurativa > “l’artista stilizza l’umano e il valore della pittura moderna è di carattere architettonico”. Tutto ciò che si propone di rendere figurativamente l’essenziale di una realtà senza aggiunta di aggettivi e di decorazione, è stato definito architettonico. L’architettura è “tornata di moda” non per i suoi meriti intrinseci ma x “l’architettonicità” dei moderni movimenti pittorici. Vanno riconosciuti 2 fatti: - con questo metodo non si fa che continuare ad applicare all’architettura i criteri della critica pittorica, con l’unica differenza che ora si applicano i concetti validi per la pittura contemporanea all’architettura contemporanea, mentre prima si applicavano quelli della pittura tradizionale all’architettura tradizionale; - Per questa via, la critica e la storia dell’architettura non progrediscono neppure di un passo; Il disinteresse x l’architettura / l’ignoranza > si può solo incolpare il pubblico per tale confusione critica? Non è forse la carenza di una valida e chiara interpretazione dell’architettura a determinare questo disinteresse? Per insegnare a Saper vedere l’architettura è necessaria una chiarezza di metodo così che si possa chiarire anche l’essenza dell’architettura. Il volume di Pevsner è particolarmente importante in quanto ha aperto la strada a questo intento. II. spazio, protagonista dell’architettura Secondo l’autore la mancanza di una soddisfacente storia dell’architettura deriva dalla disabitudine della maggioranza degli uomini di intendere “lo spazio” (che è l’elemento necessario per riuscire a comprendere un’architettura e le sue funzionalità) e dall’insuccesso degli storici e dei critici dell’architettura nell’applicare e diffondere un coerente metodo di studio spaziale degli edifici.Quando si vuole costruire una casa, l’architetto rappresenta il volume architettonico (piante, facciate e sezioni) scomponendolo neI pianI che lo racchiudono e lo dividono: esterne ed interne, piani verticali e orizzontali. La pianta di un edificio è: un’astratta proiezione sul piano orizzontale di tutte le sue mura > dipende dalla necessità di misurare (x gli operai che devono eseguire il lavoro materialmente), le distanze tra i vari elementi della costruzione; le facciate e gli spaccati > servono a misurare le altezze; ma l’architettura non deriva dalla somma delle sue misure, bensì dal vuoto, dallo spazio interno in cui gli uomini camminano e vivono. Noi dunque, adoperiamo come rappresentazione dell’architettura il trasferimento pratico che l’architetto fa delle misure che la definiscono per uso del costruttore. Ai fini del Saper vedere l’architettura > ciò equivale ad un metodo che, per illustrare una pittura, desse le dimensioni della cornice o calcolasse le spaziature dei vari colori riproducendole staccatamente. Un edificio può essere rappresentato nel modo migliore su carta e può avere proporzioni perfette, ma dal vivo può sembrare un’architettura povera perché non si riesce a comprendere e ad organizzare bene lo spazio interno; impossessarsi dello spazio, “saperlo vedere” costituisce la chiave d’ingresso per la corretta comprensione degli edifici. Ci dibatteremo in un linguaggio critico che giudica gli edifici in termini propri della pittura e della scultura, elogeremo lo spazio astrattamente immaginato e non concretamente sentito > inefficaci a far intendere il valore dell’architettura. Continueremo ad adoperare parole come “ritmo”, “scala”, “balance”, “massa” nel vago, fino a che non avremo dato loro uno specifico punto di applicazione nella realtà in crisi concreta l’architettura: lo spazio. In altre parole: l’architettura va intesa come una scultura spaziale all’interno del quale l’uomo entra e cammina (vive) non deve quindi essere considerata come somma di misure (b x l x h), ma deriva dal vuoto che si crea al suo interno. (In ogni edificio il contenente è la cassa muraria, il contenuto lo spazio interno > molto spesso l’una condiziona l’altra). Bisognò attendere la scoperta della prospettiva (con Brunelleschi nel 400/ XV sec.) - ovvero la rappresentazione grafica delle 3 dimensioni (altezza, profondità e larghezza) - per ottenere una rappresentazione adeguata degli ambienti interni e delle vedute eterne dell’architettura. In questo modo si pensò subito che ogni problema fosse risolto e che chiunque potesse disegnarne una, poi la fotografia prese il posto del disegno, ma proprio in quel momento ci si rese conto che in realtà le dimensioni dell’architettura non fossero 3, ma 4 (rivoluzione dimensionale cubista - dell’immediato primo anteguerra). La quarta dimensione è il tempo (ovvero lo spostamento successivo dell’angolo visuale). Ma una dimensione propria di diverse arti, non è caratteristica di nessuna. IV. Le diverse età dello spazio In questo capitolo l’autore analizza e descrive il percorso dell’architettura nella storia e le varie caratteristiche delle civiltà che hanno condizionato in maniera profonda lo sviluppo di essa. Nei limiti entro cui è legittimo schematizzare un processo storico-critico, di fronte ad un’epoca o ad una personalità artistica si dovrebbero illustrare anzitutto i seguenti dati: 1. Presupposti sociali: ogni edificio è il risultato di un programma edilizio; si fonda sulla situazione economica, sociale e politica del paese a cui appartiene; 2. Presupposti intellettuali: dai primi si differenziano per includere non solo quello che la collettività e l’individuo sono, ma anche ciò che vogliono essere, il mondo dei loro sogni, dei loro miti sociali, delle aspirazioni e delle fedi religiose; 3. Presupposti tecnici: il progresso delle scienze e delle loro applicazioni artigiane e industriali; 4. Il mondo figurativo ed estetico: l’insieme delle concezioni ed interpretazioni dell’arte e il vocabolario figurativo che ogni epoca propone (all’illustrazione del gusto e dei mezzi espressivi collaborano tutte le arti: forma dell’immaginazione poetica, i temi dell’invenzione cromatica, i modi del sentimento plastico, le predilezioni delle sequenze musicali, le mode dell’arredamento e del vestire). Tutti questi fattori, nel complesso dei loro variabili rapporti, presentano la scena su cui nasce l’architettura e sono sempre il prodotto della coesistenza e dell’equilibrio di tutte le componenti della civiltà in cui sorgono. Una volta descritti i presupposti materiali, psicologici e metafisici comuni a tutta un’epoca > anche la critica dei monumenti si può articolare nella seguente classificazione: • Analisi urbanistica: storia degli spazi esterni che contornano l’edificio; • Analisi architettonica: la storia della concezione spaziale e il modo di vivere gli spazi interni; • Analisi volumetrica: studio della scatola muraria che racchiude lo spazio; • Analisi dei partiti decorativi: studio della pratica, della pittura/plastica e degli elementi decorativi; • Analisi della scala: rapporti dimensionali dell’edificio rispetto al parametro umano; Per conoscere perfettamente l’architettura manca ancora però l’educazione spaziale. La critica architettonica ha inoltre bisogno di una dichiarazione d’indipendenza (distaccarsi) dai tabù monumentali e archeologici. E’ importante sottolineare come l’autore si soffermi su alcuni periodi storici che hanno segnato la storia dell’architettura, soprattutto grazie alle popolazioni che li caratterizzarono. La scala umana dei greci I Greci furono capaci di grandi cose, ma le loro costruzioni erano completamente permeabili e non vi era un vero e proprio studio dello spazio interno. La civiltà greca si espresse all’aperto, fuori dagli spazi interni e dalle abitazioni umane, nelle acropoli, nei teatri scoperti. Il tempio greco è caratterizzato da un’immensa lacuna (ignoranza dello spazio interno/ gloria nella scala umana) e da una supremazia incontestata attraverso tutta la storia; non era concepito come la casa dei fedeli, ma come la dimora impenetrabile degli dei (riti fuori dal tempio). Gli elementi costitutivi del tempio greco sono: una piattaforma rialzata, una serie di birilli appoggiati su di essa e una trabeazione continua che sostiene il tetto. La civiltà greca si espresse all’aperto, infatti, la storia dell’architettura delle acropoli è essenzialmente urbanistica. Possiamo notare: nel tempio greco l’uomo cammina solo nel peristilio, nel corridoio che va dal colonnato alla parete esterna della cella. Ora, quando i tempi greci raggiungono le sponde della Sicilia e dell’Italia meridionale, i peristili si fanno + spaziosi e profondi. Ciò è forse un indice che le genti italiche erano sin da allora inclini a sentire/ accentuare gli spazi, e tentarono di slargare e di umanizzare le formule chiuse dell’eredità ellenica. Lo spazio statico di Roma antica A differenza dei greci, nell’architettura romana lo spazio interno è grandiosamente presente, e se i romani non avevano la raffinatezza degli scultori-architetti greci, avevano sicuramente il genio dei costruttori-architetti (che in fondo è il genio dell’architettura). Lo studio della simmetria rendeva gli spazi maestosi. La pluriformità del programma edilizio romano, la sua scala monumentale, la nuova tecnica costruttiva degli archi e delle volte che riduce colonne e trabeazioni a motivi decorativi, il senso dei grandi volumi nei serbatoi, negli acquedotti, negli archi (le possenti concezioni spaziali delle basiliche e delle terme, una coscienza scenografica) una fecondità inventiva che fa dell’architettura romana, un’enciclopedia morfologica dell’architettura, la maturazione di temi sociali come il palazzo e la casa affiorano parzialmente nell’ellenismo, e costituiscono la gloria incontestabile di Roma. Se accostiamo le piante di un tempio greco e di una basilica romana: i romani hanno preso i colonnati che vi sono all’interno del tempio greco e li hanno trasportati all’interno > significa convergere tutta la decorazione plastica al potenziamento di questo spazio. A Roma, fiancheggia la necessità tecnica, il tema sociale della basilica dove gli uomini vivono ed agiscono scendo una filosofia ed una cultura che spezzano l’astratta contemplazione (il perfetto equilibrio dell’ideale greco) per farsi + “ricche”. Il carattere fondamentale dello spazio romano è di essere staticamente pensato. Impera negli ambienti circolari e rettangolari la simmetria, l’assoluta autonomia agli ambienti vicini, sottolineata dalle spesse murature che li dividono; una grandiosità duplicemente assiale, di scala inumana e monumentale e indipendente dall’osservatore. L’edilizia ufficiale romana esprime un’affermazione di autorità, è il simbolo che sovrasta la folla dei cittadini e che annuncia che l’impero c’è, potenza e ragione di tutta la vita. Quando l’accademismo e l’eclettismo si rivolgono all’architettura romana, non traggono da essa elementi di decorazione e di facciata, né le preziose lezioni di edilizia domestica. Lo “stile romano” serve (x es. x gli interni delle grandi banche americane), non commuove per l’ispirazione > è uno stile gelido > dove non ci si sente a casa propria; Oppure l’accademismo ha imitato l’architettura romana quando aveva un programma di architettura- simbolo che volevano esprimere i vuoti conati di ritorni imperiali, miti di supremazia militare e politica, con edifici a spazi statici, ravvolti nell’enfasi megalomane e nella retorica. La direttrice umana dello spazio cristiano I cristiani dovettero scegliere le forme per il loro tempio, essi selezionarono ciò che vi era di vitale per loro in tutte e due le esperienze precedenti, sposando nella chiesa la scala umana dei greci e la coscienza dello spazio interno romano. In nome dell’uomo, produssero nello spazio latino una rivoluzione funzionale. La chiesa cristiana è il luogo di raccolta/ comunione/ preghiera dei fedeli. C’è una forte ripresa della basilica romana, ma in questo caso ogni elemento è ordinato secondo la linea del cammino umano, al fine di indirizzare il fedele verso la zona più sacra della chiesa (altare). Se la basilica romana era simmetrica rispetto ai due assi (colonnati contro colonnati, abside di fronte abside) in quella cristiana viene rimosso un’abside e spostata l’entrata sul lato minore seguendo così la traiettoria dell’osservatore (orientando tutto l’edificio secondo il suo cammino). La stessa conquista dinamica è evidente negli edifici a schema centrale (Pantheon, Mausoleo di Santa Costanza, Tempio di Minerva). L’accelerazione direzionale e la dilatazione di Bisanzio Il tema basilicale paleocristiano si esalta e si esaspera nel periodo bizantino. Osservando la chiesa di Sant’Apollinaire a Ravenna > é evidente che il problema dell’architetto bizantino non é di carattere strutturale, ma si limita ad immettere nello schema longitudinale paleocristiano l’urgenza di un’accelerazione. In Santa Sabina, gli archi della navata posano sulle colonne, stabilendo una continuità tra elementi portanti e portati (definito come il tempo del ritmare paleocristiano > in Sant’Apollinaire, questo tempo si fa + affannoso, precipita negando i rapporti verticali ed esaltando tutti i riferimenti orizzontali). Negli edifici a schema centrale, trilogia dell’era giustiniana formata dai Santi Sergio, Bacco, Santa Sofia (Costantinopoli) e San Vitale (Ravenna), l’impostazione spaziale e la ricerca di gusto sono le stesse. Come nella basilica longitudinale si negano i rapporti verticali e si esaspera il ritmo direttore fino ad una allucinante velocità, così negli edifici a pianta centrica lo spazio è dilatato. Nella pianta di Santa Sofia > l’elemento caratteristico del bizantinismo è costituito da enormi esedre semicircolari voltate a botte: si lancia elasticamente verso l’esterno in un moto centrifugo che apre, rarefà e dilata lo spazio interno. Anche in San Vitale > tutto l’intento spaziale consiste nel dilatare l’ottagono/ ampliare/ rivestire le pareti di mosaici. La dilatazione degli spazi romani, vasta e coraggiosa che sia, trova il suo limite nella manifestazione robusta delle membrature murarie > spazio dilatato ma fatto di natura statica > lo spazio bizantino, + che dilatato, dilatante continuamente; c’è in esso un elemento dinamico conquistato attraverso la cultura paleocristiana (l’uso dei piani lucenti/ delle superfici luminose si evolvono nei tappeti, esaltando la ricerca bizantina). La barbarica interruzione dei ritmi Il periodo romanico: si tratta di un periodo di gestazione (sotto l’apparente decadenza troviamo fibre forti e coraggiose, artisti che ripropongono per intero il problema dell’architettura). Gli elementi iconografici e strutturali che formano l’originalità della produzione di questi secoli sono: 1. la sopraelevazione del presbiterio > spezzare la lunghezza dell’ambiente; 2. l’ambulacro o deambulatorio continua il gioco delle navate intorno al vano absidale > articolare l’edificio/ renderlo più complesso; 3. le pareti vengono appesantite da grandi setti murari e 4. La predilizione per il materiale grezzo (usato con un’immediatezza primordiale di grande efficacia espressiva) > implica il capovolgimento dell’intento spaziale e dei suoi aggettivi decorativi. Tutte queste innovazioni sottolineano una notevole voglia di distaccarsi dal mondo architettonico precedente. L’edificio romanico è caratterizzato dal concatenamento degli elementi dell’edificio e dalla metrica spaziale. (per es. Santa Maria di Cosmedin a Roma > siamo in una fase di non chiara coscienza di composizione spaziale, di crisi del tema tradizionale e di evidente aspirazione ad una spazialità nuova. La metrica romanica Sant’Ambrogio di Milano e la Cattedrale di Durham segnano (tra metà XI e inizio XII sec.) la completa attuazione degli ideali romanici. L’architettura romanica costituisce, dopo la fine dell’Impero, il primo periodo in cui la civiltà di tutta Europa si agita sincronicamente in nome di uno stesso rinnovamento dell’organismo edilizio. Gli spazi medievali che abbiamo analizzato finora sono variazioni di uno stesso tema (il pacato ritmo paleocristiano, l’accelerazione dei bizantini, l’interruzione barbarica dei ritmi sono espressioni di aspirazioni diverse che si manifestano entro schemi sostanzialmente simili); Quando invece si giunge al romanico, non si tratta + solo di una nuova età spaziale determinata da un’originale sensibilità del vuoto architettonico e del tempo del cammino dell’uomo entro questo vuoto: siamo di fronte ad un vero e proprio terremoto organico che. Dopo aver criticamente riproposto nei 3 secoli precedenti tutti i problemi dell’edilizia paleocristiana e bizantina > crea qualcosa di diverso. Finora la chiesa cristiana è stata una struttura semplice da schematizzare, adesso costruire un bozzetto di Sant’Ambrogio o Cluny..diventa complicato; ci vogliono altri strumenti per rendere anche schematicamente le crociere romaniche, i pilastri poligonali, i costoloni e i contrafforti. La lunghezza della chiesa non potrà essere ad arbitrio, ma sarà multipla delle campate centrali; la lunghezza delle campate laterali non sarà a piacimento, ma dovrà ridursi ad un sottomultiplo della navata centrale. Per ciò che riguarda i temi spaziali, il Cinquecento sviluppa l’aspirazione centrica del XV sec. la visione dello spazio assoluto, apprendibile con facilità da ogni angolo visuale, esprimenti in equilibri proporzionali. Il Tempietto di Bramante a San Pietro in Montorio a Roma, che inaugura il Cinquecento, ne costituisce un po’ la dichiarazione di principi: - assoluta affermazione centrale; - valutazione massima dei rapporti dimensionali tra le parti dell’edificio > cioè dell’elemento proporzionale; - solida plasticità; Ma il programma edilizio del Cinquecento impone gli spazi interni. Se il gotico aveva segnato la volontà dello spazio continuo e infinito nella lunghezza dispersiva delle sue visuali, il primo Rinascimento aveva ordinato lo spazio secondo una metrica razionale che lo rendeva definibile e misurabile. Il carattere dell’architettura del Cinquecento si concreta non tanto in un rinnovamento delle concezioni spaziali, quanto in un nuovo senso della volumetria, dell’equilibrio statico e formale delle masse entro cui si colora di nuovo significato la dialettica quattrocentesca, rafforzata e resa massiccia da un gusto che preferisce ad una linea e ad un piano cromatico un tutto tondo ed una consistente, e spesso monumentale, solidità. Nel cinquecento ogni forza dinamica si placa definitivamente. L’articolazione planimetrica, spaziale e decorativa è sentenza che tutto organizza e domina. Scompaiono le direttrici linearistiche e trionfano il volume e la plastica > il palazzo mostra il suo volume unitario, accentua la sua massiccia gravità. Il movimento e l’interpretazione nello spazio barocco Il barocco è liberazione spaziale, liberazione mentale dalle regole dei trattatisti, dalle convenzioni, dalla geometria elementare e dalla staticità, è liberazione dalla simmetria e dall’antitesi tra spazio interno e spazio esterno. Per questa sua volontà di liberazione il barocco assurge ad un significato psicologico che trascende quello dell’architettura del XVII e XVIII secolo, x significare uno stato d’animo di libertà, un atteggiamento creativo disincagliato da preconcetti intellettuali e formali (che è comune a + di un momento della storia artistica, tanto è vero che) si parla di barocco ellenistico, barocco romano nell’epoca in cui gli architetti del tardo Impero sentono il bisogno di mettere in crisi la solidità statica dello spazio racchiuso di Roma, e si parla perfino di barocco moderno quando la tendenza dell’architettura organica pronuncia la sua dichiarazione d’indipendenza dalle formule e dagli schemi funzionalismi. Ancora oggi, intendere l’architettura barocca non significa solo liberarsi dal conformismo classicista, accettare il coraggio, la fantasia, la molteplicità di effetti scenografici, il disordine, l’orchestrale consenso di architettura-scultura- pittura-giardinaggio-giochi d’acqua per creare un’unitaria espressione artistica > significa accettare il gusto ma principalmente intendere lo spazio (x es. San Carlino alle Quattro Fontane, l’interno di Sant’Ivo alla Sapienza). In questi sommi monumenti trionfa il carattere di movimento e d’interpretazione. Il dinamismo barocco segue l’esperienza classica plastica e volumetrica del 500, ne rifiuta gli ideali ma non gli strumenti. Una linea gotica costringe l’occhio a scivolare sulla superficie e perciò toglie al muro solidità > nel barocco tutto il muro si ondula, si piega, per creare un nuovo spazio. Il movimento barocco rappresenta spazio, volumetria e partiti decorativi in azione (la cupola borrominiana di Sant’Ivo, con la sua spirale ascendente ne è il simbolo plastico). In termini spaziali, il movimento implica l’assoluta negazione di ogni chiara e ritmica divisione dei vuoti in elementi geometrici, e l’interpretazione orizzontale o verticale > ogni capolavoro è ammantato da una spettacolosa decorazione, dalla teatralità. Ma Saper Vedere l’architettura significa cogliere il punto in cui un’anima individuale si muove e supera con linguaggio poetico il meccanicismo delle regole sintattiche e semantiche, e, nei periodi di liberazione come il barocco, saper distinguere il disordine fine a se stesso dall’opera del genio che, anche attraverso un’infinita moltiplicazione di immagini, trova il momento della sua assolutezza. Lo spazio urbanistico dell’Ottocento Dopo la fine dell’età barocca, troviamo il periodo neoclassico e l’eclettismo ottocentesco. Dal punto di vista degli spazi interni, l’Ottocento presenta variazioni di gusto > è un’epoca di mediocrità inventiva e di sterilità poetica. Il villino borghese, che è uno dei punti principali del programma edilizio della fine dell’800, rappresenta nella sua generalità il totale fallimento dello spazio interno, esso non è altro che la riduzione in scala del palazzo classico monumentale. La vera redenzione dell’800 si attua nell’urbanistica (negli spazi esterni). Questo periodo affronta i problemi nell’ambito cittadino, crea nuovi quartieri periferici, formula i temi sociali dell’urbanistica nel senso moderno della parola, costituisce le città-giardino. L’Ottoncento, se non altro, tentò di arginare il disastro urbanistico, chiarì i problemi e propose le prime soluzioni per la città moderna. La “pianta libera” e lo spazio organico dell’età moderna Gli ideali, la storia, le conquiste dell’architettura moderna sono state esposte da Pevsner, Behrendt e Giedion, e sono state rielaborate in Italia nella Storia dell’architettura moderna. Ci potremmo limitare ad indicare i caratteri dello spazio moderno. Esso si fonda sulla “pianta libera” > l’istanza sociale pone all’architettura non + temi aulici e monumentali ma il problema della casa per la famiglia media, dell’abitazione operaia > attraverso la nuove tecnica costruttiva dell’acciaio e del cemento armato, che dà la possibilità di concentrare gli elementi di resistenza statica in una sottilissima struttura a ossatura. L’architettura moderna riporta il sogno gotico nello spazio e, facendo tesoro della nuova tecnica per realizzare con estrema aderenza e audacia le sue intuizioni artistiche, stabilisce con le ampie vetrate, ormai divenute pareti di vetro, l’assoluto contatto tra spazio interno e spazio esterno. Le divisioni parietali interne possono assottigliarsi, muoversi, curvarsi liberamente > il salotto si fonde con la camera da pranzo, la camera da letto si rimpicciolisce e si spazializzato i servizi > Le varie aree della casa cominciano a fondersi tra di loro (cucina-salotto) per permettere alla zona più vissuta della casa living room di espandersi il più possibile. Lo spazio moderno riassume perciò la volontà gotica della continuità spaziale e della scarnificazione edilizia, ma non come sogno finalistico entro il quale si può immettere l’elemento dinamico, bensì a seguito di una riflessione sociale; per moventi funzionali che si superano in splendide immagini poetiche, in cui alla massa delle mura barocche si sostituiscono leggerissimi, sospesi tramezzi, di vetro/sottile materiale isolante; riprende la metrica spaziale del Rinascimento in molti edifici industriali e collettivi (scuole, ospedali) e del Rinascimento riesuma il gusto per le scansioni modulari. L’età moderna riprende quindi: 1- La volontà gotica della continuità spaziale 2- L’esperienza barocca delle pareti ondulate 3- Il gusto per le scansioni modulari del rinascimento Le due grandi correnti spaziali dell’architettura moderna sono: il funzionalismo e il movimento organico > entrambe di carattere internazionale, la 1° sorge in America nella scuola di Chicago 1880-90, ma trova la formulazione in Europa (ne è protagonista Le Corbusier); della 2° il suo maggior esponente è Frank Lloyd Wright. Avendo in comune il tema della pianta libera, queste correnti lo intendono in modo diverso, saltano razionalmente la prima, organicamente e con piena umanità la seconda. Si sviluppano due grandi correnti spaziali in questo periodo: 1. Il funzionalismo > sorge in America nella Scuola di Chicago e trova il suo massimo esponente in Le Corbusier. Dalla Scuola di Chicago (~1880) poi in Europa con Le Corbusier come principale architetto. Vede la pianta libera dal punto di vista puramente razionale. Ville Savoye ne è un esempio: c’è libertà compositiva per tutte le pareti e rampe presenti, ma è tutto dentro a un preciso schema strutturale stereometrico e razionale. 
 2. Il movimento organico > si sviluppa solo successivamente in Europa e trova il suo massimo esponente in Wright. F.L.W. che considera la pianta libera in modo organico e ricca di umanità. Nega perciò qualsiasi volumetria elementare e il freddo distacco dalla natura professato dai funzionalisti. Inoltre l’architettura organica è funzionale rispetto alla tecnica, all’utilità e alla psicologia umana → umanizzazione dell’architettura. 
 Nasce qui il problema della pianta libera. Per Wright la continuità spaziale prende vita soprattutto negli interni ed è proprio per questo che lui nega forme volumetriche elementari. La pianta libera è per lui il risultato finale di una conquista che si esprime in termini spaziali partendo da un nucleo centrale e proiettando i vuoti in tutte le direzioni. L’architettura funzionale in America e in Europa rispose alle esigenze della civiltà industriale; mentre l’archi organica rispose ad istanze più complesse (umanizzazione dell’architettura messaggio). Nasce qui la psicologia sociale e l’uomo è al centro della cultura su cui nasce l’arte contemporanea. Nello spazio organico ritroviamo quella qualità che fu del gotico inglese > di non voler costringere l’uomo in un edificio definito in canoni fissi e immutabili dove la sola bellezza è quella dell’insieme, ma glorifica il carattere organico della crescita > è anche x questo che è legge della cultura architettonica la scala umana. Il gran merito di questa teoria è di aver rotto la glaciali astratta del dizionario critico architettonico e di aver creato una familiarità, un senso di scambio, un rapporto umano tra architettura e uomo. Prima si sosteneva che l’architettura fosse l’arte che sapeva fornire una ristretta gamma di emozioni e che fosse assolutamente STATICA. La teoria dell’empatia ha dimostrato il contrario: attribuendo all’architettura tutte le emozioni dell’uomo ed è in continuo mutamento. La teoria dell’Empatia si è estesa anche alle piante degli edifici > dalla critica fisico-psicologica è spontaneo passare all’interpretazione psicoanalitica a sfondo sessuale, della dualità e della trinità secondo Bragdon: (Yo) è il termine maschile, (In) quello femminile. - L’interpretazione formalista > le estetiche tradizionali elencano una serie di leggi, qualità formali, morali e psicologiche: • l’unità: ogni artista cerca di esprimere nel suo lavoro una sola idea. Ogni composizione deve avere un legame tra tutte le sue parti. • la simmetria: è l’equilibrio negli edifici formali, a carattere assiale (sono simmetrici l’arco di Tito, Monumento a Vittorio Emanuele, Partenone, Santa Sabina, Palazzo Farnese). Mentre gli edifici asimmetrici (Falling Water, Palazzo Vecchio a Firenze) hanno bisogno di obbedire a delle leggi dell’equilibrio per rispondere al canone di unità. • l’equilibrio o balance: simmetria nell’architettura aformale (senza assi) e la rottura di questo equilibrio in un edificio provocherebbe in senso simbolico un senso di fastidio, di amputazione al nostro corpo, è necessario, che da un lato e dall’altro ci siano masse dello stesso peso. • l’enfasi/accentuazione: in ogni composizione è necessario trovare un centro d’interesse visivo, un punto focale che attanagli l’occhio.(ad eccezione il Colosseo x es. ch’è una massa curva uniforme, senza accenti). • il contrasto: perché un edificio sia “vivo” è necessario che la sua vitalità sia espressa dal contrasto tra le linee verticali e orizzontali, tra vuoti e pieni, tra volumi e masse > che lo compongono > per una piena espressione ci vuole la prevalenza o dell’uno, o dell’altro o di un terzo (anche se quella meno evidente è comunque fondamentale per l’esistenza dell’altra). • la proporzione: è il mezzo con cui si suddivide un edificio per raggiungere le qualità dell’equilibrio, dell’unità, dell’enfasi, del contrasto, dell’armonia e del ritmo. • la scala: ogni edificio si presenta in scala, che è l’elemento essenziale nel giudizio architettonico, ma un edificio può essere più o meno grande non solo in base alla scala, ma anche in base al contesto e all’organizzazione del suo spazio interno ed esterno. • l’espressione e il carattere: ogni edificio ha un suo carattere tramite il quale si esprime così come avviene tra gli uomini. E’ questione di sensibilità “leggere” l’edificio, il suo temperamento, ma anche il carattere dinamico, i suoi crescendi, il tono del suo stato d’animo oltre al tono del suo essere. Un edificio dev’esprimere cos’è, il suo proposito. • la verità: così come non piacciono gli uomini falsi, non piacciono nemmeno gli edifici che fingono di essere ciò che non sono. È importante che un edificio si manifesti nella sua essenza + pura senza crearsi maschere. • la proprietà: in alcuni casi però è meglio focalizzarsi sulle proprietà di un edificio piuttosto che sulla sua verità. Un solaio (ad es) è costruito con travi di legno, ma la sua funzione principale è quella di camminarvi, che è sicuramente più importante piuttosto che mostrare la sua natura. • l’urbanità: è la qualità che manca agli egocentrici. Oggi noi viviamo in un modo in cui vogliamo far prevalere i nostri gusti/idee su quelle degli altri e proprio per questo motivo spesso finiamo per costruire una città/un quartiere con mille forme e colori che in realtà sembra più monotono di quanto non lo sia. L’occhio qualificato riesce a scoprire i valori e le particolarità di un edificio senza che esse vengano portate all’esasperazione. • lo stile: è la linguistica con cui il disegno, l’architettura si esprime. Ogni periodo storico oltre ad avere una propria lingua ha anche una propria linguistica architettonica che lo caratterizza. Non esiste quindi immutabilità negli stili così come non esiste nella lingua. Queste sono le principali qualità o principi dell’architettura; manca però in italiano una parola che esprima un concetto fondamentale, una qualità preminente dell’architettura, la livability, cioè l’abitabilità in un senso comprensivo, materiale psicologico e spirituale della parola; come manca anche un vocabolo che renda l’idea di design > che si potrebbe tradurre come relazione armonica o ritmica tra le parti che formano una stessa cosa (cioè all’un tempo l’unità e la varietà di un tema). Si tratta di principi moralistici, psicologici e formalistici. (il grande contributo della critica d’arte contemporanea è consistito nella maturazione della critica formalistica). Dell’interpretazione spaziale > quest’elenco delle interpretazioni architettoniche dimostra che esse si dividono in tre grandi categorie: 1- Interpretazioni contenutistiche; 2- Interpretazioni fisio-psicologiche; 3- Interpretazioni formalistiche. Ogni autore si focalizza principalmente su una di esse non escludendo mai totalmente però le altre. La critica d’arte si dibatte ancora nella tentazione contenuto-forma, che si è placata in accordo dialettico nella critica letteraria; Geoffrey Scott (critico inglese) capì come parlare di masse, volumi, superfici ha un valore specifico, ma non in architettura. Egli scrive: “l’architettura ci dà spazi a tre dimensioni, capaci di contenere le nostre persone, ed è questo il vero centro di quell’arte. Essa ha il monopolio sullo spazio; lo usa direttamente come materiale e ci pone al centro di esso. Lo spazio agisce su di noi e può dominare il nostro spirito. Uno spazio simmetrico, debitamente proporzionato al corpo, non invita al movimento in un senso più che in un altro e questo dà equilibrio e controllo. L’architettura non è una meccanica, ma un’arte, e quelle teorie dell’architettura che forniscono testi bell’e pronti per la creazione o la critica del disegno portano già in sé la loro condanna.” Egli inoltre afferma che: 1. Il valore proprio, originale dell’architettura è quello dello spazio interno; 2. Tutti gli altri elementi, volumetrici plastici e decorativi, valgono nel giudizio dell’edificio in funzione di come accompagnano il valore spaziale; 3. Il valore spaziale è interessato a quegli stessi elementi che concernono il valore unitario (i vuoti). Qual è il contenuto dello spazio? Sono gli uomini che vivono gli spazi, sono le azioni che in essi si estrinsecano, è la vita fisica, psicologia, spirituale che in essi si svolge. Il contenuto dell’architettura è il suo contenuto sociale. Se cimentiamo l’attenzione sugli spazi interni dell’architettura e dell’urbanistica, apparirà manifesta l’indissolubilità del problema sociale e del problema estetico. Il riconoscimento che in architettura ciò che dirige e vale è lo spazio. L’interpretazione politica Il problema sociale e quello estetico sono indissolubili se poniamo l’attenzione sugli spazi interni dell’architettura e dell’urbanistica. Tutte e tre le fondamentali classi in cui si dividono le interpretazioni (contenutistiche, fisio-psicologiche, formalistiche) hanno compreso che alla base di tutta l’architettura dello spazio. Tutte le arti presentano delle qualità, ma per l’architettura si parla di armonia, di proporzione o di euritmia nei valori spaziali. L’interpretazione spaziale non è una categoria che può essere affiancata alle altre, è una super o sotto categoria. L’attributo spaziale costituisce l’attributo necessario di ogni possibile interpretazione. La seconda conclusione sottolinea che in architettura tutti i contenuti presenti si materiano nello spazio. Il punto di partenza di una visione integrata è quello dell’interpretazione spaziale e della valutazione di ogni componente dell’elemento da questo punto di vista. La seconda conclusione deriva dalla constatazione che in architettura > contenuto sociale, effetto psicologico e valori formali si materano nello spazio; interpretare lo spazio significa intendere tutte le realtà di un edificio. Ogni interpretazione che non parta dallo spazio è costretta a stabilire che almeno uno degli aspetti dell’architettura / a scegliere cioè a priori un settore. A questo punto Chi invece inoltra nella + complessa indagine dell’unità organizza dell’uomo e dell’archittettura, se ormai che il punto di partenza di una visione integrata, comprensiva dell’architettura è quello dell’interpretazione spaziale, e giudicherà ogni elemento che va nell’edificio sul metro dello spazio. VI. Per una storia moderna dell’architettura Zevi conclude il suo saggio dicendo che: alla nostra critica manca spregiudicatezza e coraggio. Abbondano i filologi e i conoscitori, ma scarseggiano i critici, e perciò prevale il conformismo, l’ossequio per i giudizi formali e autorevoli, l’analisi fredda, evasiva, inarticolata, aliena dal rivivere l’impeto dell’immaginazione creatrice. Ciò dipende in parte dai critici d’arte che si occupano così poco della materia. Essi sono legati alla pittura e alla scultura da precisi interessi. Il valore di un quadro è anche un valore commerciale. Ma in architettura il valore artistico non si riflette in un valore economico, un edificio di Sangallo, Wright, Le Corbusier non vale di più per il fatto che la critica ha stabilito che si tratta di un’opera d’arte, ma in realtà l’architettura sta all’arte come la letteratura sta alla poesia. Riprendendo anche Venturi, si nota come fino a Winckelmann, la critica del passato la si faceva in relazione al presente; con Winckelmann si invertono le cose: l’arte classica era la perfezione e in riferimento a quella si giudicavano le opere presenti. Questo fino alla critica fracese del 900, dove si ha di nuovo un’inversione delle direzioni: “Se è vero che ogni storia è l’interpretazione attuale del passato, la coscienza dell’arte attuale è la base di ogni storia dell’arte passata”. 
 Lo spirito archeologico ha segnato una cesura tra architettura antica e moderna che è essenziale per l’educazione del pubblico. Non si riesce a dare ad arte e architettura la stessa importanza. Si è ormai acquisita la coincidenza della storia dell’arte e della storia della critica dell’arte. Ogni movimento creativo porta con sé non solo opere d’arte, ma un gusto, una poetica, una scuola, “un modo di vedere” che il critico o lo storico apprende > ogni vitale posizione critica affonda le sue radici in una coscienza estetica determinata dagli intenti artistici del momento in cui si svolge. L’architettura è troppo legata alla vita perché i suoi pregiudizi non si rimettano direttamente sulla vita stessa. Una critica moderna spregiudicata non serve solo per preparare al godimento estetico delle opere storiche, ma serve a porre il problema dell’ambiente sociale in cui viviamo, a “saper vedere” l’architettura in cui viviamo. Si acquisterà l’amore dello spazio, l’esigenza di libertà nello