Scarica Sbobinature appunti di tutte le lezioni - Prof. Donzelli - Unimc e più Sbobinature in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! Diri$o processuale civile 2 Lezione 1 (14 febbraio 2024) Tutela giurisdizionale - Contenziosa à riguarda diri$ sogge$vi e si ar<cola in 3 species: o Dichiara/va o di cognizione (ci concentriamo qui*): ha un certo scopo, una certa funzione e cer< effeF in relazione a quella funzione. Ogni is<tuto si studia contrapponendo funzione e stru$ura, scopo e strumento. Se applichiamo questa chiave di le$ura a tu$o, facciamo un ordine sistema<co. L’effe$o della tutela dichiara<va è quello di accertare diri$ sogge$vi (accertamento = giudicato). La tutela dichiara<va risponde a un’esigenza di certezza giuridica e quindi trae origine da una incertezza e mira a un bisogno di certezza giuridica a cui risponde un provvedimento che conferisce certezza, cioè un provvedimento che ha l’efficacia del giudicato. Di cognizione infaF è perché si pone a$enzione sul cosa accade durante, nel senso che il giudice conosce, accerta i faF, raccoglie le prove, interpreta le norme e poi le applica, e ci dirà nel disposi<vo se esiste o non esiste e qual è il contenuto di un certo rapporto giuridico. o Esecu/va (fa$a): obieFvo è raggiungere un risultato concreto, quindi non dobbiamo conoscere ma eseguire, a$uare, tant’è che nel processo esecu<vo il giudice talvolta nemmeno lo vedi perché c’è solo l’ufficiale giudiziario! Potres< vederlo ma interviene in un processo che ha una stru$ura a$ua<va, perché lo scopo è diverso. o Cautelare (la faremo al seminario): quella che ci serve se la tutela dichiara<va richiede un sacco di tempo. An<cipa il risultato della tutela dichiara<va o conserva lo stato di fa$o. Ha funzione generica di garan%re la fru+uosità della tutela dichiara%va (come diceva Calamandrei), cioè la tutela dichiara<va ha bisogno di tempo quindi il processo ha bisogno di tempo e il tempo del processo potrebbe essere di pregiudizio per chi ha ragione. Potrebbe sembrare un paradosso ma se io ho bisogno di un provvedimento che mi condanni la controparte al pagamento di un obbligo alimentare, non posso aspe$are 3 o 4 anni, sarei morto. Non posso a$endere i tempi, devo an<cipare il momento. Nel diri$o sostanziale abbiamo degli strumen< direF a neutralizzare il decorrere del tempo in funzione dell’adempimento. Es. Il risarcimento del danno. Ma il risarcimento del danno funziona bene se abbiamo rappor< patrimoniali, ma pure rispe$o ai rappor< patrimoniali è comunque un succedaneo perché la vera tutela è quella che < garan<sce, nel momento in cui hai diri$o, il soddisfacimento del tuo interesse. Non in futuro. Quindi il processo è dare tu+o quello che l’a+ore %tolare del diri+o ha diri+o di o+enere, per quanto possibile (Iovenda), perché spesso il diri$o non ci riesce ma ha diversi strumen< per far sì che, ad esempio, il protrarsi dell’inadempimento non produca danno o pregiudizio in capo al <tolare. Quindi cerca di far sì che le lance$e dell’orologio tornino indietro per porre il <tolare del diri$o alla stessa situazione, situazione equipollente, a quella in cui si sarebbe trovato se tu$e le cose fossero andate per il verso giusto, cioè se non ci fosse stato l’inadempimento. Gli strumen< sono diversi: c’è sul piano sostanziale il diri$o al risarcimento del danno, ma in alcuni casi presenta manifes< limi< e quindi la tutela giurisdizionale deve intervenire subito, il prima possibile = tutela cautelare. Potrebbe essere: § An<cipatoria (nel caso che abbiamo de$o) § Conserva<va (se io ho una controversia riguardo al diri$o di proprietà su una vecchia villa storica che ha bisogno di interven< di manutenzione, se non intervengo subito con un sequestro conserva<vo, giudiziario, che poi consenta anche di porre in essere un’aFvità di manutenzione, quando mi verrà riconosciuto il diri$o di proprietà il palazzo è crollato! Quindi mi arriva la sentenza ma di questa non ci faccio più niente) - Giurisdizionalvolontaria à (la faremo dopo) contrapposta alla contenziosa. Riguarda interessi (parlando in generale). = questa tutela è “l’insostenibile leggerezza dell’indeterminatezza conce$uale”. Contenitore informe/abnorme che raccoglie al suo interno procedimen< molto vari. Sopra$u$o è un contenitore dogma<co che è sempre stato definito per differen%am, per contrapposizione alla contenziosa: quasi che potremmo dire non cosa è la giurisd volontaria ma cosa non è. Ma sul piano scien<fico è molto diverso dire che Tizio non è Caio (e quindi chi è? Quali sono le cara$eris<che di Tizio?). o Quindi la giurisdizionalvolontaria NON è la contenziosa, ma che cos’è? È una tutela in cui il giudice amministra/ges<sce interessi giuridicamente rilevan<. Es. autorizzazione alla vendita o all’acquisto da parte di un minore. Si va dal giudice per valutare l’opportunità (sindacato di opportunità) sull’acquisto o vendita del bene. È u<le per il minore acce$are quella eredità o no? È u<le per lui acquistare quel bene o no? Il giudice qui non accerta diriF, cioè non accerta regole preesisten< al processo MA COMPIE VALUTAZIONI in vista dell’esercizio di un potere autorizzatorio, omologatorio, ecc. Quindi non solo l’ogge$o non è un diri$o soggeFvo ma un interesse giuridicamente rilevante, ma l’effe$o non è quello che abbiamo sopra perché la giurisdizione volontaria, per capirla, dobbiamo contrapporla a quella contenziosa. Contenziosa à 2909 cc + 329 cpc Giurisdizionalvolontaria à 742 cpc (norma che regola la stabilità di queste decisioni e si occupa dei procedimen< CAMERALI, procedimen< eleFvamente dedica< alla giurisdizione volontaria che sono modificabili e revocabili in ogni tempo, quindi non c’è la preclusione che assiste il giudicato ossia la preclusione del DEDOTTO E DEDUCIBILE. Cioè noi non possiamo andare a rimuovere quella decisione né sulla base di faF già allega< o prove già allegate, nemmeno di quelle prove/faF che avremmo dovuto o potuto allegare. Mentre per la decisione giurisdizionalvolontaria possiamo andare dal giudice a chiedere di revocarla sulla base delle stesse circostanze o di circostanze che non abbiamo allegato ma che avremmo potuto allegare. Il 742 come unico limite dice “gli effeF di buona fede”, cioè se, ad esempio, il giudice tutelare autorizza il compimento di un certo a$o, questa autorizzazione può essere revocata o modificata liberamente ma salvo gli effeF di buona fede. Cioè? Cioè se sulla base di quella autorizzazione c’è stato un a$o di compravendita e un terzo ha acquistato un bene, non è che poi si può andare dal giudice a revocare l’autorizzazione! Il terzo che abbia acquistato in buona fede si vede preclusa ogni azione/pretesa perché il contra$o ormai ha prodo$o legiFmamente i suoi effeF. Su questo aspe$o c’è molta incertezza nella do$rina e giurisprudenza, visioni contrastan<, quindi diamo qualche indicazione su quelli che sono i profili da prendere in esame come primo orientamento. Iniziamo in ordine sparso. Nel nostro ord c’è il cd principio di predeterminazione delle forme legali, 111 comma 1: il giusto proc è quello regolato dalla legge. Allora potremmo dire che è cognizione piena quel proc in cui le forme del processo sono regolate dalla legge e non sono rimesse alla discrezionalità del giudice. Es. in tuF i processi che abbiamo indicato fino ad ora come processi a cognizione piena è così: abbiamo tuF processi che sono più o meno puntualmente regola< dalla legge. Invece un proc che non è per nulla regolato dalla legge è il rito camerale. InfaF, se prendiamo gli ar$ 700 ss: - 737 la forma della domanda e del provvedimento. Ci dice semplicemente che hai il ricorso da una parte e il decreto dall’altra. Cioè l’inizio e la fine del procedimento. E in mezzo che c’è? - 738 procedimento (ma non ci dice ancora com’è il procedimento). Parla della composizione del giudice e del riparto dei poteri tra giudice e giudice togato (giudice relatore). Non c’è una disciplina del procedimento! Cioè è il giudice che decide lui come organizzare le cose. Non so, deposito un ricorso, il giudice eme$erà un decreto con cui fissa l’udienza, poi potrà dire “il convenuto si dovrà cos<tuire 10gg prima” o “in udienza”. E poi, arriva< in udienza, come si svolgerà questo procedimento? Boh, vedremo come gliene andrà al giudice. Perché diciamo che questo procedimento camerale è sommario? Sommario perché non c’è nessun <po di predeterminazione dei poteri delle par<, della sequela procedimentale. Quindi poi si pone tu$o un problema. Es. il giudice dopo il deposito dell’a$o di citazione eme$e la sentenza. Prima che il convenuto si sia cos<tuito. Il convenuto si trova questa sentenza in questo processo folle, e che potrà dire? Tante cose, <po che sono state violate 29343 norme del cpc, lo potrà dire perché abbiamo le norme che disciplinano il procedimento. Nel rito camerale quali sono le norme necessarie al raggiungimento dello scopo? Non ci sono! Cioè anche dedurre l’invalidità del processo camerale è complicato. Es. io convenuto mi cos<tuisco in udienza perché il giudice ha fissato l’udienza. Mi presento davan< al giudice e deposito una memoria difensiva di 50 pagine. L’a$ore si trova depositata in udienza questa memoria di 50 pagine. Il giudice dice “va bene, mi riservo per la decisione”. Ma che < riservi? L’a$ore dovrà replicare a quello che ha de$o il convenuto! Che fa, se la legge là?! Ci vuole tempo per leggersela, per ragionare e vedere le implicazioni. Ma poi, l’avvocato che sta lì in udienza dovrà anche sen<re la parte per dirgli: “sen<, ma è vero che i faF sono anda< così? Che posizione prendiamo rispe$o a questa circostanza? E le prove, abbiamo prove?”. Non è che da un giorno all’altro si riesce ad apprestare la difesa, ma si deve chiedere un termine per la difesa. Allora chiede al giudice 10 gg per le repliche e il giudice concede all’a$ore un termine di 10 gg per deposito di sinte<che note di replica. Però se il giudice non te lo concede? È nullo? Forse sì. Questo per capire la relazione che c’è tra le forme del processo e la cognizione piena intesa anche come pieno rispe$o del diri$o di difesa al contraddi$orio delle par<. È un processo dove il giudice se la governa lui, decide lui, quindi non è un caso che i procedimen< camerali fossero dedica< alla giurisdizione volontaria, una giurisd di un certo <po. Però nel nostro ordinamento abbiamo avuto dei procedimen<, specie in materia familiare, che seguivano il rito camerale per la tutela contenziosa. - E allora ques/ procedimen/ come erano? Sommari o a cognizione piena? Per alcuni sommari, per altri a cognizione piena. Quindi una prima ques<one per dire che la cognizione è piena o sommaria è vedere se abbiamo un processo regolato dalla legge. Se abbiamo un processo dichiara<vo idoneo al giudicato senza regole, per alcuni è incos<tuzionale (per il 111), per altri no. Si parla del proc dichiara<vo, perché se s<amo in un altro se$ore, quella è giurisdizione volontaria quindi forse problemi non ce ne sono o sono più a$enua<. 1) Quindi primo indice di sommarietà: le forme sono regolate dalla legge o sono rimesse totalmente al giudice? 2) Secondo criterio: disciplina delle prove, dell’istruzione probatoria. L’istruzione probatoria dal ns ord è regolata su 2 livelli: o nel cod civile ci sono norme che disciplinano i mezzi di prova. Nel codice civile sappiamo il <po di prova ammissibile e l’effe$o che produce -es. prove legali: a$o pubblico, scri$ura privata. o nel cpc abbiamo tu$e delle regole per l’assunzione dei mezzi di prova, delle prove cos<tuende. Allora potremmo dire che il processo è a cognizione piena quando il processo disciplina i criteri di ammissibilità, efficacia, formazione della prova; e invece è a cognizione sommaria quando la prova può essere anche del tu$o informale – assunta con modalità non previste dalla legge, priva di forme- e a<pica -cioè non prevista dalla legge. Es. ritorniamo al 738: il giudice può assumere sommarie informazioni. Che significa? Che può fare come vuole! Alza la corne$a, chiama i servizi sociali e dice “scusate, mi riferite circa la condizione del minore?”. Sommarie informazioni, manda una mail, una pec. Non c’è forma. Quindi altro profilo di cognizione piena sommaria: le forme, le modalità di assunzione, la disciplina della prova. Cognizione piena à sono regolate dalla legge Cognizione sommaria à non sono regolate dalla legge. COGNIZIONE SOMMARIA nel senso di COGNIZIONE PARZIALE Se prendiamo una moneta e la lanciamo per decidere l’esito di un processo, potremmo dire che è a cognizione sommaria, non di certo piena. Ma per fortuna nel ns ord non esiste nella di simile. Però potremmo dire che il giudice possa decidere solo sulla base di quello che gli dice una parte: qui è a cognizione sommaria, perché parziale cioè è limitata alla cognizione di un segmento della faFspecie, quello che gli dirà UNA delle par<. Esempio di questo è il decreto ingiun<vo (633). C’è il ricorrente che chiede al giudice l’emissione del decreto e il giudice non sente il convenuto ma eme$e un decreto sulla base di quello che gli dice l’a$ore (il ricorrente). L’ingiunto poi si può opporre, ovvio. Ma ora non è questo che ci interessa. Ragioniamo su pun< generali e generici: abbiamo una cognizione parziale perché il giudice sente solo quello che dice chi gli propone la domanda, che evidentemente gli parlerà dei faF cos<tu<vi, non è che gli parlerà di faF es<n<vi, impedi<vi e modifica<vi sennò c’è qualche problema! Ipotesi molto fantasiosa perché immaginiamo che al giudice arriva una richiesta da parte di un creditore per una somma di denaro dopo 12 anni che è sorto il diri$o, come se il creditore gli dicesse “il diri$o si è prescri$o ma io te lo chiedo lo stesso, fammi questa cortesia: emeFmi il decreto ingiun<vo”. Il giudice che può fare? Può eme$erlo o no? Sì, il giudice lo deve concedere il decreto ingiun/vo! Perché? L’eccezione di prescrizione non è un’eccezione che produce efficacia es<n<va e immediata, ma passa necessariamente per la volontà della parte che intende avvalersene. Quindi il giudice davan< alla prescrizione non può far niente. È un’eccezione rilevabile solo su istanza di parte. Quindi nell’ipotesi paradossale fa$a, il giudice lo deve concedere il decreto ingiun<vo. Poi quando ci sarà l’opposizione, colui che si oppone non deve provare ma deve semplicemente eccepire la prescrizione, che essendo un dato meramente temporale non è da provare perché è un fa$o notorio il decorso del tempo! Quindi nell’a$o di opposizione io debitore opponente dirò: “sono passa< 12 anni, io col presente a$o mi cos<tuisco in giudizio ed eccepisco la prescrizione e chiedo la revoca nonché l’accertamento nega<vo del credito nonché la condanna ai sensi dell’art. 96 commi 3 e 4 per responsabilità aggravata, per esercizio abusivo dell’azione, perché hai proposto azione/hai esercitato il diri$o dopo 11 anni”. Ovviamente in quel giudizio, ma anche prima in questa faFspecie, l’a$ore asserito creditore potrebbe anche dire “no, amico mio < sbagli tu perché io ho interro$o la prescrizione!” Però il problema è che quando noi ragioniamo col diri$o prescri$o, il diri$o prescri$o è solo il diri$o rispe$o al quale è stata fa$a valere la prescrizione perché il decorso del tempo non ha un’efficacia immediata! Ritornando al ns discorso: cognizione sommaria, quindi 1) il giudice conosce solo un segmento di faFspecie, cioè quello che gli dice l’a$ore. 2) può esserci anche un’altra ipotesi: il giudice conosce di tu$o ma lo conosce un po’ superficialmente, cioè con un grado di approfondimento minore. Cioè? COGNIZIONE SOMMARIA nel senso di COGNIZIONE SUPERFICIALE Ai sensi del 2699, l’a$ore è tenuto a dare prova dei faF cos<tu<vi e il convenuto è tenuto a dare la prova dei faF cos<tu<vi, impedi<vi e modifica<vi. In realtà, 2697 non è tanto e solo una regola che ripar<sce l’onere probatorio ma è una regola di giudizio e come tale ha un ruolo fondamentale per la costruzione del processo, perché questa regola ci dice che, rispe$o alla domanda e ai faF cos<tu<vi dell’a$ore, il giudice accoglie la domanda solo se c’è la prova dei faF, cioè se si convince dell’esistenza dei faF. Se rimane in una situazione di incertezza, rige$a la domanda. La tutela dichiara<va è dire$a a conferire certezza ai rappor<, o anche a eliminare l’incertezza rela<vamente ai rappor< giuridici. Tanto che il 2909 parla di accertamento. S<amo dando molta importanza al termine “certezza”, lo s<amo caricando di un peso incredibile. Siamo così sicuri che le sentenze contengano l’accertamento/certezza dei diriF?! Come facciamo a saperlo? Vediamo come si perviene a questa certezza, quali sono gli strumen< e il grado di a$endibilità della ricerca della verità nel processo. Qual è la prima norma che dobbiamo prendere? Il 2697 cod civile. Il 2697 ci dice che il giudice, se è certo dell’esistenza del fa$o, accoglie la domanda; se è certo dell’inesistenza del fa$o, rige$a la domanda. Qui abbiamo la certezza. Ma se s<amo in una situazione di incertezza, cosa accade? Rige$a la domanda. Ma allora significa che il rigeOo della domanda non riposa per nulla sulla certezza ma è una fic/o iuris, cioè il ns ordinamento in quella regola equipara la incertezza alla certezza dell’inesistenza. Se nel processo non riesci a provare quello che affermi, non oFeni ragione anche se ce l’hai. Si crea una fra$ura tra la verità materiale (quello che è realmente accaduto) e verità processuale. Tu$o questo per dire che, di regola, la cognizione piena vuole che il giudice raggiunga un buon grado di convincimento rispe$o all’esistenza dei faF per concedere la tutela. Ci sono dei processi, però, in cui il giudice può accogliere e concedere tutela anche se non ha raggiunto un grado di accertamento pieno. Cioè non va proprio a verificare la certezza dell’esistenza del diri$o ma si a$esta su un piano più basso, cioè quello della verosimiglianza del diri$o, il cd fumus boni iuris. Quello che accade nel processo cautelare. Nel processo cautelare la tutela è concessa non se il giudice si è veramente convinto ma se la tesi che si è prospe$ata dal ricorrente appare i. Se ricordate, le prove scri$e che andremo a vedere tra poco, cioè ad esempio gli estraF delle scri$ure contabili, valgono come prova solo tra imprenditori. Qui invece valgono come prova anche se sono fa$e valere nei confron< di un sogge$o che non ha la qualifica di imprenditore. C’è un ampliamento del conce$o della nozione. b. Il ns ord fa una scelta di campo e dice: noi abbiamo una prima fase che è riservata a certe categorie di credi<, che vengono seleziona< sulla base di alcuni requisi< e sopra$u$o dall’esistenza di una prova che talvolta è un qualcosa anche di meno rispe$o a quella che ci servirebbe in un giudizio ordinario di cognizione per dare la prova del fa$o controverso. Es. io ho una dichiarazione scri$a che voglio far valere come prova nel processo di cognizione. Dichiarazione nel documento o contra$o so$oscri$o dalla mia controparte. Deposito il contra$o. i. Quel contra$o che deposito in giudizio a quali condizioni vale come prova? Es. faccio un contra$o con Tizio e mi impegno a pagare la somma X. Tizio, visto che io non pago, può u<lizzare quel contra$o per chiedere il decreto ingiun<vo. Allora farà un ricorso, dirà che abbiamo fa$o questo contra$o in cui ero tenuto a pagare ma non ho pagato. Allega il contra$o e il giudice pronuncerà decreto ingiun<vo. Quel contra$o, se prodo$o in un processo ordinario di cognizione, a che darà luogo? A quali condizioni vale come prova? Se Tizio in un processo allega un contra$o a fondamento della propria domanda e produce in giudizio il contra$o da me so$oscri$o, io sono nella facoltà di poter dire che non ho so$oscri$o quel contra$o. La firma so$oposta in calce al contra$o non è la mia. La palla ripassa a Tizio. Tizio potrà: 1. Rinunciare a servirsi di quel documento 2. Provocare la verificazione (chiedere al giudice che verifichi, tramite un consulente tecnico/perito che verifica la calligrafia, se quella so$oscrizione l’ho apposta io con alcune scri$ure di comparazione). Tu$o questo non esiste nel decreto ingiun<vo, perché lì non ci sono. Quindi ai fini della pronuncia del decreto ingiun<vo vale come prova una cosa che in un processo ordinario di per sé non sarebbe prova, se non all’esito di questo percorso. Es. se io ho una mail (no pec, perché la pec sì), è prova? No, non è di per sé una prova, ma se io ho risposto potrebbe valere. Per l’emissione del decreto, sì, poi bisogna vedere. Questo ci fa capire che la cognizione in questa fase non è solo parziale perché aFene ai faF cos<tu<vi ma è superficiale perché ci si basa su elemen< di prova che, come diceva Calamandrei, è un simulato di prova. Quando poi passeremo nella fase di opposizione, queste regole eccezionali, questa limitazione delle regole ordinarie verrà meno e ritornerà in vigore tu$o l’apparato di regole che ordinariamente disciplinano la discussione probatoria. Funziona così: io prima < concedo qualcosa, ma poi lo perdi se l’altro si oppone. E lì si gioca la par<ta a parità di armi. Il 635 disciplina un’ipotesi di prova scri$a, disciplina par<colare, da vedere. Il 636 riguarda parcella delle prestazioni (per avvocato). c. La fa$ura/scri$ure contabili a cui si riferisce il 634 dovrebbero essere anche fa$ure emesse da una società. Queste fa$ure le si può addiri$ura far valere nei confron< di un sogge$o che non è imprenditore. i. Che cos’è la faOura dal punto di vista civilis/co? È una dichiarazione che fa il creditore, se la fa da solo. Quindi sulla base della fa$ura come autodichiarazione, lui stesso può chiedere il decreto ingiun<vo. Stessa cosa un avvocato che fa la parcella, se dovessimo stare ai sensi del 636 è lui che fa la prestazione professionale e il cliente è tenuto a pagare una certa somma. Ma rispe$o al 636 la disciplina è molto cambiata, perché le tariffe professionali non sono più approvate dalla legge, non sono più vincolan<. Ci sono dei criteri (non tariffe) di determinazione, non vincolan<. Es. Google à anna andreani compensi. Sito molto u<le per calcolare compensi degli avvoca<. Soxware che rielabora i criteri previs< dal decreto ministeriale n. 55/2014 e successive modifiche. Me$o tuF i da< e faccio la mia fa$ura. Qual è il problema? Che non è legalmente approvata, quindi non posso chiedere un decreto ingiun<vo sulla base della mia fa$ura! Per chiedere un decreto ingiun<vo, l’avvocato deve chiedere un parere di congruità al proprio consiglio dell’ordine. Paga una percentuale e il consiglio dell’ordine fa il parere di congruità. Sulla base del parere di congruità, si può fare il decreto ingiun<vo. Alterna<vamente, l’avvocato può chiedere un decreto ingiun<vo sulla base dei presuppos< generali, cioè se prima ha fa$o un contra$o con il cliente con cui stabilisce il compenso. Come per altro sarebbe obbligatorio fare. Questo sul quadro delle prove in generale. IL GIUDICE COMPETENTE = il giudice di pace o il tribunale in composizione monocra<ca che sarebbe competente per la domanda proposta in via ordinaria. Questo è normale perché poi quel giudice sarà quello che deve decidere sull’opposizione. FORMA DELLA DOMANDA La domanda di ingiunzione si propone con ricorso, contenente requisi< ex art 125 (norma che disciplina in generale gli aF di parte), indicazione, ecc. Il ricorso depositato in cancelleria insieme con documen< che si allegano (prove). Interessante: Art 640 le$o con 641à disciplinano l’esito di questo procedimento in audita altera parte. (leggi il 640) Prima di arrivare al rige$o, il giudice invita la parte a integrare gli strumen< probatori che ha depositato. Quindi c’è una sorta di seconda chance, in cui il giudice < dice “guarda, integra la prova perché ritengo che non tu$e le somme che chiedi siano supportate da adeguata documentazione probatoria”. Il rige$o del ricorso monitorio non produce nessun <po di effe$o preclusivo. L’altra ipotesi invece disciplina il caso della concessione del decreto. Se esistono le condizioni dell’art. 133, il giudice con decreto mo<vato da eme$ere entro 30 gg dal deposito del ricorso (termine ordinatorio) ingiunge l’altra parte di pagare la somma, di consegnare la cosa o la quan<tà di cose. Fase 1 ------------40gg-------------Fase 2 Vediamo il 643 poi vediamo il 642. [leggi 643] à la norma ci dice che il decreto deve essere no<ficato dalla controparte e ci dice come. Il 644 ci dice cosa accade SE non viene no<ficato entro 60 gg: il decreto di ingiunzione diventa inefficace. Di regola, va no<ficato entro 60 gg. Se non no<ficato, perde efficacia. Qui parla di “copia auten<ca”, oramai abbiamo il processo civile telema<co quindi la copia auten<ca nemmeno te la fanno ma tu accedi al fascicolo telema<co, estrai la copia del decreto, ne a$es< la conformità e la no<fichi alla controparte o col cartaceo o mediante pec. Il 642 prevede caso in cui decreto ingiun<vo sia immediatamente esecu<vo. Ricapitoliamo. Noi abbiamo un decreto. Ricorso. Il giudice prima chiede l’integrazione, e dopo: 7) Non concede à allora posso richiedere la domanda 8) Concede à ho 60 gg di tempo per no<ficarlo. Da quando è no<ficato il decreto sca$a il termine di 40gg per potersi opporre. Se la parte non si oppone, diventa esecu<vo (e, per giurisprudenza pacifica, passa pure in giudicato!) Quindi noi possiamo avere un decreto ingiun<vo dove il giudice ingiunge con l’avver<mento che il debitore si debba opporre entro 40 giorni. Se il debitore non si oppone, il decreto ingiun<vo che non aveva efficacia esecu<va diventa esecu<vo ma passa pure in giudicato, quindi acquista contemporaneamente tanto l’efficacia esecu<va quanto la stabilità defini<va. Però ci sono dei casi in cui il decreto ingiun<vo è provvisoriamente esecu/vo dall’inizio, cioè a prescindere dall’opposizione à sono i casi del 642. In questo caso l’opposizione serve solo per evitare che il decreto ingiun<vo passi in giudicato, perché il decreto ingiun<vo di per sé è già provvisoriamente esecu<vo! Quali sono ques< casi? Se il credito è fondato su cambiale, assegni bancario, assegno circolare, a$o pubblico, ecc. Qui il giudice su istanza del ricorrente ingiunge al debitore di pagare o consegnare senza ritardo, autorizzando in mancanza l’esecuzione provvisoria al decreto, fissando un termine AI SOLI EFFETTI DELL’OPPOSIZIONE. 9) Ma che /po di prove/documen/ sono quelle indicate/i nel comma 1? Non sembrano un po’ par/colari? Qual è la ques<one? Che il decreto ingiun<vo, se la controparte non si oppone, mi passa in giudicato e non potrò avere contestazione di nessun <po. Quindi potrei avere un interesse a stabilizzare un accertamento e non poter più aver nessun <po di contestazione. Cioè da un lato ho la stabilità del decreto ingiun<vo, dall’altro l’altra opzione è che io uso il <tolo esecu<vo ma l’altro non mi deve fare opposizione. Passo per il decreto ingiun<vo sperando che non si oppone e così poi si stabilizza e nessuno potrà più dir nulla. U<lità del passare per il decreto ingiun<vo: 1) se la controparte non si oppone, mi passa in giudicato e possono non avere alcun <po di contestazione 2) altra u<lità: art 655 che si riconne$e all’art 2818 cc. a. Il 2818 questo del cc disciplina ipoteca giudiziale i. comma 1: ci dice che ogni sentenza che porta alla condanna del pagamento di una somma o risarcimento del danno è <tolo per poter iscrivere ipoteca giudiziale. Lezione 3 (21 febbraio 2024) Eravamo rimas< al decreto ingiun<vo. Avevamo visto la prima fase, le condizioni di ammissibilità, il <po di diri$o e <po di prova documentale, pronunce possibili, rige$o, accoglimento non provvisoriamente esecu<vo o provvisoriamente esecu<vo, no<fica del decreto, termine per introdurre il giudizio di opposizione. Prima di entrare nell’analisi delle norme, riflessione generale: abbiamo visto che il proc per decreto ingiun<vo o per ingiunzione o monitorio consiste nell’anteporre al processo a cognizione piena questa fase in audita altera parte che finisce col decreto. Poi abbiamo 40 gg per proporre opposizione e abbiamo un processo a cognizione piena che si chiude con la sentenza. Questa sentenza è appellabile ordinariamente poi ricorribile per cassazione. Una volta che entriamo nella fase dell’opposizione seguiamo le regole del processo ordinario di cognizione, salvo qualche piccola par<colarità. Allora, vediamo quali sono queste regole di de$aglio, ma per memorizzarle meglio cerchiamo di capire perché ci sono quelle regole. Che differenza c’è tra questa fase di opposizione o processo ordinario di cognizione? È un’opposizione, cioè viene dopo un provv giurisdizionale. Noi abbiamo già un provv, quindi questa fase di opposizione in una certa maniera dovrà tener conto che abbiamo già un provvedimento. Questo comporta delle alterazioni nella disciplina, non straordinarie ma nemmeno del tu$o secondarie. NB. Rispe$o all’opposizione al decreto ingiun<vo, talvolta si dice che l’opposizione è un’impugnazione del decreto. Andiamoci piano con ques< paroloni! 3) Che cos’è una impugnazione nel ns ordinamento? Definiamo il conce$o di impugnazione. C’è un ar<colo del codice (323) che dice che le impugnazioni sono avverso le sentenze e poi ho strumen< a cara$ere impugnatorio per contestare una decisione. Quindi impugnazione è lo strumento che una parte ha per contestare una certa decisione, poi impugnazione in senso tecnico che sono quei pun< disciplina< dalla legge per impugnare le sentenze. Allora, l’opposizione possiamo intenderla come uno strumento in senso lato a cara$ere impugnatorio, una impugnazione in senso generico. Tu$o questo per un fine: se io parlo di impugnazione, applico quelle regole ex 323 ss; se non parlo di impugnazione, non le applico dire$amente ma semmai le potrò applicare in via analogica. Il reclamo è uno strumento a cara$ere impugnatorio. È una impugnazione? NO, perché non ci sta nel 323. Applichi in via analogica? Forse sì, forse no, bisogna vedere norma per norma. Opposizione NON è un’impugnazione ma uno strumento a cara$ere impugnatorio o impugnazione in senso molto ampio perché, innanzitu$o, l’ogge$o del giudizio d’impugnazione è il rapporto giuridico che l’a$ore ha fa$o valere col decreto ingiun<vo. Quindi potremmo dire che la fase di opposizione in realtà è una prosecuzione della prima fase, che ha come ogge$o il rapporto controverso. Cioè io non vado ad aggredire il decreto dire$amente ma vado a guardare se esiste o non esiste e nella misura in cui esiste il diri$o soggeFvo fa$o valere in via monitoria (l’ogge$o è il rapporto sostanziale). Nell’appello è un po’ complicato ma nella cassazione qual è l’ogge$o del giudizio di impugnazione? Qual è l’ogge$o del ricorso per cassazione? La sentenza, più nello specifico non tu$a la sentenza ma solo le par< in cui voglio far valere il vizio di legiFmità. Meglio dire “par<” che “capi” perché quando si parla di capi ci si riferisce di più al disposi<vo, mentre quando si dice par< ci si riferisce di più alla ques<one della soluzione e in cassazione, rispe$o ai diversi eventuali capi, vado ad impugnare le diverse soluzioni date per errores in procedendo o in iudicando previs< dal 360 cpc. InfaF, quella è un’azione di impugna<va con cui vado dire$o contro il provvedimento. Si va dire$amente sull’ogge$o sostanziale. Si riparte da zero perché quelle stesse prove che bastano per o$enere la concessione del decreto ingiun<vo, potrebbero non bastare per garan<re l’accoglimento della domanda una volta che si passa nella fase a cognizione piena. Perché, per esempio, se era una scri$ura privata non auten<cata, l’altra parte la potrà contestare, se è una mail io potrei dire che non l’ho mai ricevuta o che era alterata, la disconosco. C’è un’altra par<colarità ancora: che l’inizia<va è inver<ta. Cioè il processo non lo introduce l’a$ore qui. L’opposizione non è introdo$a dal creditore ma l’a$ore in opposizione è il presunto asserito debitore, sarebbe quello che doveva in ipotesi esser posto nella posizione della parte convenuta. Quindi qui abbiamo un’inversione formale perché il convenuto diventa a$ore e l’a$ore diventa convenuto. Il creditore in realtà è convenuto in giudizio ma sostanzialmente è a$ore; l’a$ore formale è il debitore, colui che in sostanza è il convenuto. Stante questa inversione dell’inizia<va processuale, cambia qualcosa nella distribuzione dei poteri processuali e in par<colare so$o il profilo dell’onere allega<vo prima e della prova? No, nel senso che all’a$ore che è convenuto nel senso sostanziale spe$erà fare tu$o quello che doveva fare come convenuto. E il convenuto, che in realtà è a$ore in senso sostanziale, dovrà fare tu$o quello che avrebbe dovuto fare nella sua posizione sostanziale da a$ore. Il debitore è colui che deve fare opposizione. Deve andare lui a provare l’esistenza dei faF cos<tu<vi? No, lui contesta e poi l’onere della prova spe$erà al convenuto che è l’a$ore e sarà tenuto a provare i faF cos<tu<vi del suo diri$o. Quindi quando io, per esempio, sono un debitore ingiunto, che farò? Farò un a$o di citazione in opposizione al decreto ingiun<vo: “in data X mi veniva no<ficato decreto ingiun<vo che portava al pagamento della somma Y. Il decreto ingiun<vo veniva concesso da questo tribunale o da questo giudice di pace, a fronte del ricorso proposto dalla controparte in cui si sosteneva che era stato concluso un certo contra$o e che sulla base di quel contra$o si era tenu< a pagare 10mila€. In via preliminare si contesta la conclusione di un certo <po di contra$o e poi in ogni caso si osserva che il diri$o si è prescri$o”. Cioè io sto facendo quello che io avrei fa$o in una comparsa di risposta, cioè prendo posizione nei confron< della controparte muovendomi da quello che ha de$o l’altra parte. Non esistono regole ma se andiamo a scrivere un a$o che introduce un processo, di regola quando andiamo a ordinare le ques<oni seguiamo un criterio cronologico, cioè par<amo dal primo fa$o rilevante preprocessuale fino ad arrivare al momento in cui siamo costreF ad introdurre il giudizio. Negli aF difensivi (comparse, memorie) il criterio preferibile è un altro: dite quello che ha fa$o la controparte e rispe$o a quello prendete posizione. È diverso. Questo è un criterio standard, poi può cambiare a seconda della causa. Però 8 volte su 10 questa è strada. Anche sul piano retorico, persuasivo, funziona perché voi dite nell’a$o difensivo, comparsa di risposta o citazione…: “<zio ha de$o questo, sos<ene questo, ha chiesto questo, ma come si perme$e di dire questa cosa? Sono tu$e stupidaggini!”. Funziona. Dall’altra parte invece, quando voi iniziate è diversa la strategia: si racconta una cosa bru$a successa e la necessità di venire dal giudice per trovare soluzione. Qui abbiamo una comparsa di risposta che in realtà ha la forma di un a$o di citazione. E poi la comparsa di risposta avrà la sostanza di un a$o di citazione. In ogni caso, l’a$ore è tenuto ad allegare e provare i faF cos<tu<vi, il convenuto è tenuto a fare tu$o quello che farebbe un convenuto. Per altro, noi sappiamo che il convenuto può anche proporre domanda riconvenzionale. Se propone domanda riconvenzionale la potrà chiedere nell’a$o di citazione. Sarà una domanda che appare formulata in via principale ma è una riconvenzionale. Quindi, ad esempio, l’a$ore in opposizione dirà: “voglio revocare il decreto ingiun<vo ed accertare che nulla è dovuto” oppure “rige$are la domanda fa$a valere in via monitoria” (formula più corre$a). “Nonché condannare la controparte al risarcimento del danno” (sarebbe la riconvenzionale). Abbiamo visto che c’è una certa alterazione del processo. Ne vediamo un’altra. Noi abbiamo visto che il decreto ingiun<vo può essere provvisoriamente esecu<vo o potrebbe non esserlo. 4) È provvisoriamente esecu/vo. à che significa? Che chi si oppone ha l’ufficiale giudiziario che tra un po’ gli bussa so$o casa! Bisogna inventarsi qualcosa. Quando proponete appello avverso una sentenza provvisoriamente esecu<va, che dovete fare? L’inibitoria, cioè uno strumento con cui l’appellante chiedeva al giudice dell’appello di sospendere l’efficacia esecu<va. C’è qualcosa di simile pure qua. E chi la deve chiedere questa sospensione dell’efficacia esecu<va? Colui che introduce l’opposizione, cioè colui che ha ricevuto il decreto ingiun<vo. Quindi una delle cose importan< in questo a$o di citazione sarà la richiesta di sospendere l’efficacia. 5) Non è provvisoriamente esecu/vo. à qui la legge prevede la possibilità di concedere la provvisoria esecu<vità in pendenza di una condizione. Quindi è una situazione inver<ta: il decreto ingiun<vo è non provvisoriamente esecu<vo quindi l’a$ore non chiede la sospensione ma sarà la controparte a chiedere al giudice di concedere la provvisoria esecu<vità sulla base di aF presuppos<(?). Seconda parte della lezione 645 – l’opposizione si propone davan< all’ufficio giudiziario al quale appar<ene il giudice che ha emesso il decreto, con a$o di citazione no<ficato al ricorrente (generalmente presso l’avvocato che ha proposto decreto ingiun<vo). Contemporaneamente l’ufficiale giudiziario deve no<ficare l’avviso di opposizione al cancelliere finché ne prenda nota perché sennò poi il decreto non potrà diventare immediatamente esecu<vo per mancata opposizione. In seguito all’opposizione, il giudizio si svolge secondo le regole del procedimento ordinario davan< al giudice adito. 646 – opposizione al decreto nei ri< di lavoro Il processo che segue è quello del rito del lavoro che andremo a studiare. Ritornando al 645, la norma dice che si introduce un a$o di citazione davan< allo stesso giudice, quindi se il decreto è stato emesso davan< al tribunale di macerata, io farò opposizione davan< al tribunale di macerata e l’a$o è quello di citazione perché andremo a introdurre il processo ordinario, la fase a cognizione piena. Però a$enzione, perché noi sappiamo che ormai il proc ordinario è perfe$amente alterna<vo al rito semplificato quindi potremmo introdurre il giudizio di opposizione con rito semplificato. La norma si riferisce alla citazione però l’interpretazione prevalente è che si possa u<lizzare il ricorso in semplificato. Non solo: il procedimento semplificato oramai è il modello di riferimento anche per il processo davan< al giudice di pace. Addiri$ura, rispe$o al giudice di pace sembrerebbe che non si debba u<lizzare una citazione ma bisogna introdurlo con ricorso. Quindi < condannava a 10, la sentenza all’esito dell’opposizione accerta che il diri$o è pari a 5 e condanna per 5. Quindi il <tolo esecu<vo può essere il decreto? No, perché questo < porta a una condanna a una somma che è superiore. Accertamento e <tolo esecu<vo allora stanno nella sentenza. Se la sentenza accoglie l’opposizione interamente, il decreto ingiun<vo viene meno ipso iure. Spesso la sentenza riporta la formula “si revoca il decreto ingiun<vo” ma in realtà è una formula imprecisa perché non è che il giudice revoca, perché il decreto ingiun<vo viene meno ipso iure cioè per volontà di legge. 656 – impugnazioni del decreto divenuto esecu<vo in forza del 647, cioè di un decreto ingiun<vo passato in giudicato. Se vediamo le impugnazioni, sono quella dell’opposizione di terzo e quella della revocazione. Nonistante un leggero scostamento rispe$o ai mo<vi di revocazione, la giurisprudenza pacifica ri<ene che il decreto ingiun<vo non opposto e divenuto esecu<vo passi in giudicato ai sensi del 2909. Riassumiamo. Abbiamo il decreto ingiun<vo. Non opposto = diviene esecu<vo e passa in giudicato. È opposto = si va avan< e si arriva alla sentenza. Alla sentenza abbiamo visto quali possono essere gli esi< e a un certo punto ipo<zziamo che la sentenza rige$a l’opposizione, la sentenza di rige$o dell’opposizione passa in giudicato e quindi avremo quella sentenza e il decreto ingiun<vo che è <tolo esecu<vo. Cosa succede se nessuno si oppone? Passa in giudicato. Ma il 650 prevede un caso di opposizione tardiva. 650 – opposizione tardiva È un caso di impugnazione oltre il termine che noi troviamo anche in altre previsioni. Quali previsioni? Noi sappiamo che, anche a fronte della sentenza, abbiamo dei termini per impugnare in via ordinaria, scadu< quei termini abbiamo solo le impugnazioni straordinarie. Però accanto alle impugnazioni straordinarie c’è un caso di impugnazione tardiva e che è quella prevista dal 327 comma 2. Il 327 comma 2 disciplina la decadenza dalle impugnazioni per decorso del termine lungo e dice che questa disposizione non si applica quando la parte contumace dimostra di non aver avuto conoscenza del processo. Una simile norma ce l’abbiamo nel 294 per la rimessione in termini del contumace. Questa norma opera rispe$o alla rimessione dei termini che si verificano durante il procedimento; il 327 comma 2 è una rimessione in termini rispe$o ai termini di impugnazione; il 650 è una rimessione in termini rispe$o ai termini per proporre opposizione al decreto ingiun<vo. Non c’è una perfe$a simmetria tra le diverse norme ma una base c’è: la mancata conoscenza di cui la parte dovrà dare la prova. La mancata conoscenza che deriva dalla nullità dell’a$o della no<ficazione o da caso fortuito o forza maggiore. Quindi il ns ord ha queste norme che hanno un valore sistema<co forte. Se tu hai subito una decadenza nel processo, es. non < sei cos<tuito quindi sei contumace, c’è il 294. Non sei contumace, c’è il 153. È rispe$o ai mezzi di impugnazione, 327 comma 2. Decreto ingiun<vo, 650. Queste sono le norme che possiamo me$ere tu$e insieme: 153, 294, 327 comma 2 e 650. Affron<amo l’altro procedimento: la convalida di licenza e di sfraHo per finita locazione. Procedimento speciale à quale norma ci dice a quali diriF si applica? 657 comma 1. Tra tu$e queste controversie, quella che è più frequente è la locazione. Ma anche l’affi$o d’azienda, il comodato. Ma sopra$u$o locazione, tant’è che per questo si dice “per finta locazione”, perché la più comune. Presuppos<: 8) La <pologia dei rappor< sostanziali a cui dobbiamo riferirci 9) Presuppos< del 657 comma 1 10) Presuppos< del 657 comma 2 (ipotesi dis<nta) 11) Presuppos< del 658 (ipotesi ulteriormente dis<nta) Abbiamo il contra$o di locazione per 1 anno. Si rinnova di anno in anno. Però il proprietario ha un certo termine per disdire la tacita renova%o, cioè la rinnovazione automa<ca. Sul piano sostanziale, noi possiamo avere il proprietario che disdice nei termini ex lege, prima della scadenza entro cui va data disde$a del contra$o. Quindi il proprietario (locatore) con raccomandata comunica al condu$ore che non intende rinnovare il contra$o. Arriva< alla scadenza del contra$o, il contra$o sarà cessato. Cosa accade sul piano del diri$o sostanziale quando il contra$o cessa? Il condu$ore deve res<tuire il bene. Quando cessa il contra$o, sorge il diri$o del locatore a cui corrisponde l’obbligo di res<tuzione del bene. Abbiamo tu$e le coordinate per affrontare le prime 2 faFspecie: il comma 1 e 2 del 657. La prima ipotesi del 657 è una condanna in futuro, quindi cessa per finita locazione. Noi abbiamo il locatore che prima del termine di tacita renova%o introduce il procedimento con un a$o di citazione e produce due effeF: 12) quello di diri$o sostanziale à di impedire la rinnovazione 13) quello di diri$o processuale à di chiedere al giudice la convalida di finita locazione, cioè la condanna in futuro a consegnare il bene. Quindi prima della scadenza della data entro cui dare disde$a del contra$o, chiedo al giudice di condannare il locatario, in modo tale che quando si arriva alla scadenza del contra$o io abbia già in mano il <tolo esecu<vo. È una condanna in futuro perché il processo lo introduco prima che si verifichi l’inadempimento di quell’obbligo di res<tuzione. Perché il ns ord ha deciso di fare questa cosa? È un caso di interesse ad agire in futuro, è uno dei vari e <pici casi in cui si può ricorrere e o$enere una condanna in futuro prima dell’inadempimento. Nb. L’interesse ad agire sussiste quando alleghi l’inadempimento, cioè un obbligo a$uale che non è stato adempiuto. Qui l’obbligo è a$uale? No, non c’è proprio l’obbligo! Perché arriverà alla scadenza del contra$o. La ra<o è la tutela della proprietà. Il decreto ingiun<vo e la convalida sono due esempi di is<tu< calibra< su uno schema borghese societario dei primi anni del 900: tutela del credito e della proprietà. Quando poi entreremo nel processo familiare ci renderemo conto di tuF i nuovi diriF a contenuto personale. Nella prima faFspecie, quindi, la parte oFene una condanna in futuro. Il locatore può in%mare al condu+ore licenza per finita locazione prima della scadenza del contra+o con la contestuale citazione per la convalida. Può altresì in%mare lo sfra+o con la contestuale citazione per la convalida dopo la scadenza del contra+o. Ovviamente è esclusa la tacita riconduzione. Quindi abbiamo già una violazione. Terza ipotesi: il locatore può in%mare al condu+ore lo sfra+o, con la modalità stabilite nell’art precedente, anche in caso di mancato pagamento del canone di affi+o alle scadenze e chiedere nello stesso a+o di ingiunzione di pagamento per i canoni scadu%. Questa ipotesi non ha niente a che fare con quella vista poco fa, perché non riguarda un fisiologico svolgimento del rapporto ma aFene a un patologico svolgimento del rapporto perché il condu$ore non ha pagato. Però a$enzione perché questa norma ha come corrispeFvo la risoluzione per grave inadempimento, infaF nella convalida di scienza o sfra$o voi avete un contra$o che si è chiuso o si sta per chiudere, quindi avete una sentenza di accertamento/condanna. Qui avete invece un provvedimento che è cos<tu<vo perché va a determinare la cessazione del rapporto di locazione per ragioni dovute all’inadempimento. Quindi questa è un’azione di risoluzione. Però è un’azione di risoluzione che non è legata alla gravità dell’inadempimento, cioè basta che non hai pagato una rata di canone o spese condominiali e puoi accedere al procedimento speciale. Quindi non solo questa procedura ha un certo favor sul piano processuale, ma ha anche un favor sul piano del diri$o sostanziale perché basta anche un minimo inadempimento per consen<re il ricorso alla tutela giurisdizionale. Ovviamente la norma prende in conto anche l’ipotesi in cui chi agisce non mira solo a o$enere la riconsegna, il rilascio, la res<tuzione del bene ma mira anche ad o$enere la condanna al pagamento degli arretra<. Quindi avremo tanto un provvedimento di convalida quanto una condanna al pagamento delle somme non versate. Ordinanza con decreto in calce. Rifacciamo il quadro. 3 ipotesi: 1) contra$o non ancora scaduto. La parte chiede una condanna in futuro. 2) Contra$o scaduto. Condanna semplice. 3) Risoluzione speciale, ipotesi par<colare di risoluzione con contestuale condanna alla riconsegna del bene, nonché contestuale condanna al pagamento dei canoni non paga<. Tre strade di accesso allo stesso procedimento. Nello sfra$o per morosità c’è anche questa appendice monitoria perché nel procedimento di convalida si incardina anche un proc per decreto ingiun<vo. Queste due tutele si cumula in ragione delle di diri$o sostanziale che sono par<colari, cioè l’inadempimento. Tanto che il 669 lo conferma da un altro punto di vista perché dice che, se nel caso previsto dal 658 (quindi sfra$o per morosità), il locatore non chiede il pagamento dei canoni, la pronuncia sullo sfra$o risolve la locazione ma lascia impregiudicata ogni ques<one sui canoni stessi. Quindi sono due cose che vanno in parallelo, è una scelta che il legislatore ha fa$o ma avrebbe potuto farne anche un’altra. 665 Opera ancora nella fase, per così dire, dell’udienza. Abbiamo visto che prima il caso in cui la parte non compariva o, comparendo, non si opponeva, non contestava, adesso invece questa norma prende in esame il caso in cui comparisce e contesta però, come nell’opposizione al decreto ingiun<vo, la norma dice: “ho capito ma che <po di contestazione abbiamo?” perché per impedire la convalida basta che contes< e quindi avremo il mutamento del rito, però a seconda di come contes< le cose possono cambiare! Lo stesso caso che abbiamo visto nel decreto ingiun<vo. Qui deve esserci la prova dei faF cos<tu<vi, il convenuto oppone eccezione di lunga indagine e intanto il giudice condanna con riserva delle eccezioni e poi vedremo! 667 Noi abbiamo la citazione. La citazione punta subito all’udienza. Non dobbiamo cos<tuirci prima. All’udienza possiamo avere la convalida, se il convenuto non comparisce o, comparendo, non contesta. Oppure possiamo avere la contestazione. Se abbiamo la contestazione avremo il mutamento del rito. Ma, assieme al mutamento, il giudice potrà pronunciare l’ordinanza di immediato rilascio se le contestazioni hanno quella natura che abbiamo visto. Con il mutamento del rito, si passa al rito speciale. Quale rito speciale? Il rito loca<zio. Quale rito loca<zio? Il rito del lavoro lievemente ada$ato con qualche piccola modifica. Quindi ci sarà la fissazione dell’udienza ex 420 e poi le memorie integra<ve da depositare da parte delle diverse par<. E si andrà avan< col processo del lavoro. Si arriverà a sentenza, appellabile e poi ricorribile per cassazione. È un meccanismo abbastanza elementare. 668 Prevede quello che veniva previsto anche nel decreto ingiun<vo che nelle altre norme che abbiamo indicato nella passata lezione, quindi il 294, 327 comma 2, il 650. Se sono decorsi 10 giorni l’opposizione non è più ammessa perché se è par<ta l’esecuzione ovviamente ne hai avuto conoscenza, quindi < devi aFvare subito. E si propone davan< al tribunale con le forme dell’opposizione al decreto ingiun<vo. Quindi avrà una procedura che segue quelle forme perché sono le forme più semplici d’opposizione al decreto ingiun<vo. Comple<amo il quadro dicendo che la giurisprudenza ha talora ritenuto ammissibile il ricorso straordinario per cassazione avverso questa ordinanza di convalida. Nei casi in cui, ad esempio, il giudice ha pronunciato un provvedimento abnorme oppure mancavano alcuni presuppos< speciali della procedura. Provvedimento abnorme è quel provv che il giudice dà quando? In assoluta carenza dei presuppos< del potere o di assoluta carenza di quel potere in concreto esercitato. L’ipotesi paradossale ma verificatasi nella prassi: la parte in<mata compariva e contestava e il giudice convalidava. Per come è stru$urato il procedimento, non ci sono più mezzi per contestarla. Allora, hanno ammesso il ricorso straordinario. Ragionamento: se la parte comparisce e contesta, il giudice non può pronunciare ordinanza di convalida! Eppure, la pronuncia lo stesso. E che gli fai a questa ordinanza? Non è impugnabile, non puoi farci niente. Alla fine, puoi fare un’ ac%o nullita%s, un’azione con cui accer< l’inefficacia completa. La cassazione ha ammesso ricorso straordinario. Cioè quando hai un provv abnorme, il provv abnorme è del tu$o inefficace come se fosse inesistente e quindi se te lo me$ono in esecuzione tu fai un’opposizione all’esecuzione, oppure prendi inizia<va te e fai un’azione dichiara<va dove dici che il provv è del tu$o inefficace. Oppure è stato ammesso quando, ad esempio, è stata concessa la convalida sebbene non vi fossero i presuppos< speciali. Ad esempio, non era uno di quei rappor< previs< dal 657. Seconda parte della lezione Ci spos<amo sul fronte dei procedimen< speciali a cognizione piena: il processo del lavoro. Le ADR sono forme che mirano a garan<re una soluzione stragiudiziale della lite. Noi vedremo l’arbitrato, faremo cenni a negoziazione assis<ta e mediazione. Innanzitu$o nel processo del lavoro sono previste delle procedure concilia<ve o comunque stragiudiziali prima del processo. “Innanzitu$o” perché nella disciplina originaria del proc del lavoro queste procedure erano condizione di procedibilità, cioè occorreva prima tentare la soluzione non giudiziale e solo se questa non dava un riscontro posi<vo allora si poteva ricorrere a processo. Se prendiamo il 412 bis, vediamo che è stato abrogato. Questa norma imponeva queste procedure preprocessuali. L’idea da cui si muoveva era che prima si prova a trovare una soluzione negoziale e poi si fa il processo e questo <po di impostazione, in realtà, nel processo del lavoro, in materia giuslavoris<ca, era molto frequente perché, ad esempio, noi vedremo che tra le diverse <pologie di arbitrato c’è anche quello irrituale che è un’ipotesi molto par<colare di arbitrato che ha origine proprio dal processo del lavoro prima all’estero poi in Italia, ai fini dell’800. Per ragioni storiche che andremo a esaminare dopo. Quindi anche nel processo moderno del lavoro ci sono queste diverse opzioni. Prima obbligatorie e ora non più. Si svolgono davan< a SOGGETTI PARTICOLARI. Va accennato perché ci consente di agganciarci ad un altro tema importante. 410 ss à si parla di un tenta<vo di conciliazione ora facolta<vo, prima obbligatorio che si svolge davan< ad organismi di matrice pubblicis<ca o associazioni sindacali. Perché si svolge davan< a ques< soggeF qualifica<? Perché la materia del lavoro e il processo del lavoro riguardano diriF par<colari, cioè rappor< giuridici pervasi da norme inderogabili in cui è spiccato il favor lavoratoris. Cioè non abbiamo rappor< rispe$o ai quali la legge prende a$o di una posizione di sostanziale uguaglianza ma prende a$o di una posizione di sostanziale DISuguaglianza. Cioè il lavoratore è parte debole. Essendo parte debole, la possibilità del lavoratore di trovare accordi con la controparte, cioè con il datore di lavoro, è stata per molto tempo vista da un lato con sfavore oppure è stata per molto tempo concessa solo al ricorrere di certe condizioni ovviamente di garanzia per il lavoratore (cioè, es., trovi l’accordo nella procedura di conciliazione predisposta dall’associazione sindacale). C’è una norma nel ns ord che ci descrive bene questo statuto norma<vo speciale? Sì, il 2113 “rinunzia e transazioni”. Il comma 4 ci dice che le disp di questo ar<colo non si applicano in tu$e le ipotesi elencate. Sono ipotesi par<colari in cui ques< accordi sono consen<<. 185 è la conciliazione davan< al giudice 410 è quello le$o poco fa Tu$e quelle procedure concilia<ve che andremo a vedere dopo, quando parliamo dell’arbitrato e tu$o il resto. Per ora ci basta sapere che c’è questa alterna<va. E non è che posso fare una procedura qualunque, ma devo seguire questo che hanno un tasso di garanzia par<colare per il lavoratore. Con l’ul<ma riforma Cartabia si è voluto fare un passo ulteriore: cioè si è anche ammessa, oltre alle procedure indicate dal comma 4 del 2113, anche la possibilità in origine esclusa di u<lizzare in materia giuslavoris<ca, cioè nell’ambito di applicazione di cui all’art. 409, anche la negoziazione assis<ta. Ed è stato introdo$o l’art. 2 ter nel decreto-legge 132/2014, cioè decreto legge poi conver<to in legge con modificazioni che disciplina la negoziazione assis<ta. La par<colarità, se prendiamo il 2 ter del decreto-legge, è che amme$e la negoziazione: ciascuna parte è assis<ta da almeno un avvocato e può essere anche assis<ta da un consulente del lavoro. Il consulente del lavoro fa conteggi di tu$e le retribuzioni non versate, ecc. Ma non è un avvocato, quindi non può fare altro. Al prof questa equiparazione nel comma 1 del 2 ter lascia perplesso. Ul<ma parte del comma 1: la norma rende valida quel <po di soluzione. Un legislatore accorto sul piano della tecnica redazionale, cosa avrebbe dovuto fare? Avrebbe dovuto prendere l’ul<mo comma del 2113 e aggiungere a quelle previsioni il 2 ter! Abbiamo introdo$o un tema molto importante in questo processo, cioè il fa$o che il rito del lavoro ha un ogge$o par<colare, cioè è un processo che ha ad ogge$o diriF semi-disponibili, come li chiamano alcuni, o come il prof preferisce chiamarli “rela<vamente indisponibili” (nel senso che non abbiamo uno statuto dell’indisponibilità assoluta, ma abbiamo una indisponibilità rela<va, cioè che a ricorrere di certe condizioni è possibile disporre del diri$o e sono quelle procedure appena indicate). Abbiamo quindi un diri$o a cara$ere semi disponibile e questo impa$a sul processo perché il processo del lavoro è stato nel ns ord il primo importante esempio di tutela giurisdizionale differenziata. Che cos’è la tutela giurisdizionale differenziata? Sino alla prima metà del 900 si par<va dall’idea che il processo ordinario andasse bene per tu$o, poi sopra$u$o dopo gli anni 70, iniziano ad emergere i nuovi diriF. Che cara$eris<ca hanno i nuovi diriF? Sono diriF con funzione non patrimoniale, anche se hanno contenuto patrimoniale. Es. retribuzione del lavoratore. Oppure proprio come contenuto non patrimoniale. Es. diriF della personalità, diriF che derivano dalla crisi familiare, diri$o del minore. Allora si è iniziato a dire: forse il processo deve cambiare, quando l’ogge$o è semi-disponibile! Le forme processuali debbono rispondere per un principio di strumentalità del processo alla natura della controversia! E allora fu concepito nel 1973 si introdusse il processo del lavoro, che era il primo esempio di tutela giurisdizionale differenziata u<le, nel senso che fare un processo ad hoc aveva un senso. Poi il ns legislatore ha iniziato a spammare processi civili par<colari come se non ci fosse un domani, ma quella è un’altra cosa (il prof lo dice nel suo manuale molto chiaramente: c’è stata un’ondata di ritorno con il decreto sulle semplificazioni -150/2011, poi nel 2003 è arrivato il processo unitario in materia di persone, minorenni e famiglia che sicuramente ad oggi e qui l’esigenza di differenziazione raggiunge picchi al<ssimi perché, vedremo, che quello che abbiamo studiato finora sul proc civile subisce enormi deroghe da ogni punto di vista, quasi che quello che studieremo sarà un unicum, che sta a parte). Vediamo il processo del lavoro, che è il primo. Quali sono le cara$eris<che sistema<che che ci fanno capire che il processo del lavoro è un po’ diverso, risponde a queste esigenze di tutela? in prima udienza, ma in realtà non c’è nemmeno una pronuncia della cassazione che veramente ci dica bene. Probabilmente, l’orientamento più liberale prevale quindi la contestazione può essere compiuta fino alla seconda memoria. Alcuni dicono addiri$ura che non ci dovrebbero essere preclusioni, forse non è del tu$o sbagliata questa tesi. Comunque, per il processo del lavoro la giurisprudenza è più rigorosa e vuole che la decadenza operi nella memoria difensiva. Quindi la decadenza colpisce il convenuto anche rispe$o alla non contestazione. Se non contesta nella memoria, i faF si riterranno pacifici e quindi non bisognosi di prova. Dopodiché, ci saranno evidentemente a pena di decadenza i mezzi di prova dei quali intende avvalersi, in par<colare i documen< che deve contestualmente depositare e la norma che ci consente di o$enere la medesima norma per l’a$ore del (o nel?) ricorso. La non contestazione non è espressamente prevista a pena di decadenza ma la cassazione dice: “ma in realtà le barriere preclusive si possono ricavare in via sistema<ca, quindi visto che le barriere preclusive colpiscono le prove in questa memoria, non posso lasciare libera la contestazione”. Quando è proposta la domanda riconvenzionale, il 418 ci dà una regola par<colare. Perché abbiamo questa previsione? Il legislatore ha fa$o questo <po di ragionamento: noi abbiamo un processo in cui le barriere preclusive sca$ano subito negli aF introduFvi e quindi colpiscono i poteri delle par< che poi arrivano in udienza oramai col thema decidendum e thema probandum sul tappeto. Se c’è una domanda riconvenzionale proposta nella memoria difensiva, è chiaro che l’a$ore dovrà necessariamente replicare (sicuro 100%) dove? In udienza! Perché se la memoria è depositata 10 giorni prima dell’udienza, l’a$ore quando può replicare? Per forza nel primo a$o di difesa successivo, quale è l’udienza. Allora quando ha proposto domanda riconvenzionale, il legislatore ha fa$o questo <po di ragionamento: non facciamo un’udienza solo per consen<re all’a$ore di stare a replicare! Spos<amo l’udienza più in là, inseriamo una memoria intermedia di replica dell’a$ore così poi si arriverà alla successiva udienza col thema decidendum e thema probandum tendenzialmente fissato. Cioè se io ho: il ricorso, l’udienza, la memoria difensiva a 10 giorni, quando qui c’è la riconvenzionale alla riconvenzionale l’a$ore si dovrà difendere con eccezioni, è sicuro che l’a$ore potrà e dovrà dire qualche cosa. Lo dirà qui. Ma se lo dice in udienza occorrerà poi anche dare la possibilità al convenuto almeno di vedere cosa fare, come difendersi, c’è il problema delle prove e allora sicuramente questa udienza verrà spostata. Per evitare questo, il legislatore dice: facciamo un’altra memoria di replica dell’a$ore al convenuto e con udienza spostata più in là. Ora è chiaro che, ad esempio, quando il convenuto solleva un’eccezione, ovvio che ci potrà essere in ipotesi una replica dell’a$ore. Se il convenuto solleva eccezione di prescrizione, l’a$ore potrà replicare con eccezione di interruzione della prescrizione. E quando lo farà? In udienza, per forza. Però il legislatore ha fa$o un ragionamento, probabilmente di ordine sta<s<co: se propone la domanda riconvenzionale, 10 volte su 10 ci sarà un replica, se propone eccezioni forse no. E allora, ha de$o, solo nel caso della domanda riconvenzionale spos<amo l’udienza. Negli altri casi, l’a$ore dovrà replicare in udienza. A procedura civile abbiamo de$o che c’erano le aFvità conseguen< e concorren<. Le aFvità conseguen< sono le aFvità difensive che dipendono dalle difese dell’altra parte. Le aFvità che dipendono dalle difese dell’altra parte cos<tuiscono lo svolgimento del processo nel contraddi$orio. E non possono essere impedite dalle preclusioni. Perché sennò io a$ore, quando vado a fare ricorso, dovrei cominciare a esercitare tuF i poteri processuali in via eventuale. Andrei a scrivere montagne di cose solo perché poi non le posso più dire e allora se il convenuto dice quello io dico questo. Sarebbe una follia. Allora consen<amo che il processo si snodi nel contraddi$orio. Ogni parte può replicare all’altra e le barriere preclusive non operano. Quindi l’a$ore può certamente esercitare tuF i poteri conseguen< in udienza, se però è proposta domanda riconvenzionale la legge dice che ai poteri conseguen< gli dedichiamo una memoria a parte prima dell’udienza, così quando arriviamo in udienza si spera che il più delle cose siano ormai sul tappeto e il giudice è in una condizione di poter esercitare poteri che gli vengono a$ribui< in quell’udienza. Il più delle volte questo meccanismo funziona, ha una sua razionalità. 419 Disciplina intervento volontario. Il terzo che vuole intervenire deve farlo per forza 10 gg prima dell’udienza. Qual era la disciplina dell’intervento volontario nel proc ordinario sul piano delle barriere preclusive? Dove andiamo a cercare questa norma? Nel 268. 268 dice “l’intervento può aver luogo sino al momento in cui il giudice fissa l’udienza di rimessione della causa in decisione”, cioè per tu$o il processo pra<camente. Però a$enzione perché la norma dice che “il terzo non può compiere aF che al momento dell’intervento non sono più consen<< ad alcuna altra parte”. Allora, se noi andiamo al 419 invece la disciplina è diversa. Perché qui dice non che puoi intervenire quando < pare ma becchi le preclusioni, ma comunque il terzo non può proprio intervenire oltre il termine di cos<tuzione. Perché questa norma è importante? Perché la troviamo uguale nel proc familiare ma non è la stessa cosa. Il legislatore ha pensato di fare una furbata: ha fa$o nel proc familiare lo stesso regime che c’è nel proc del lavoro ma non si è accorto che i processi sono diversi. Perché nel proc del lavoro abbiamo visto che le barriere preclusive colpiscono le par<, 10 gg dall’udienza salvo situazioni eccezionali decadono le par< da tuF i poteri. Quindi il terzo non può arrivare dopo, perché se arriva dopo fa saltare le preclusioni. Poi il processo del lavoro è abbastanza standardizzato, quindi l’idea di non far intervenire il terzo oltre quella preclusione ci può stare. Nel proc familiare la situazione è diversa, sopra$u$o perché le barriere preclusive non sono come queste, cioè non c’è questa barriera preclusiva che arriva 10 gg prima. Ricorso, memoria difensiva, intervento del terzo, poi si arriva in udienza. Prossima lezione: udienza. Con il d.lgs correFvo, che è a$ualmente pendente e dovrebbe essere approvato nel giro di qualche mese, non sarà possibile sos<tuire la prima udienza con le note scri$e. Quindi questa interpretazione è l’unica corre$a e viene recepita dal legislatore. Quindi potranno essere sos<tuite da altre udienze. Es. nella fase decisoria del rito ordinario, ma anche nella fase decisoria del rito di famiglia, c’è un’udienza in cui il giudice fissa un’udienza di rimessione in decisione e poi c’è il decorso di 2 o 3 termini (a seconda dei casi, conclusioni, comparse conclusionali, memorie di replica). E poi c’è questa udienza finale che non serve a niente. Perché è stata messa? Non si sa. Non ha funzioni. La possiamo sos<tuire con le note. Qual è il problema di sos<tuirla con le note? 20) Che all’avvocato non gli devi dare la possibilità di scrivere! Se gli dai la possibilità, < scriverà sempre. 21) Che l’avvocato deve gius<ficare al cliente la parcella. C’è un de$o che dice “non < pagano per quello che scrivi, ma per quello che NON scrivi!” Ogni giurista e ogni persona d’esperienza sa che si parla e si dice il meno possibile. Si fa e si dice l’essenziale, nei contes< confli$uali si sta fermi. Ritorniamo alla prima udienza. 420 “Udienza di discussione della causa” Nell'udienza fissata per la discussione della causa il giudice interroga liberamente le par% presen%, tenta la conciliazione della lite e formula una proposta transaKva o concilia%va. La mancata comparizione personale delle par%, o il rifiuto della proposta transaKva o concilia%va del giudice, senza gius%ficato mo%vo, cos%tuiscono comportamento valutabile dal giudice ai fini del giudizio. Le par% possono, se ricorrono gravi mo%vi, modificare le domande, eccezioni e conclusioni già formulate, previa autorizzazione del giudice. Le par% hanno facoltà di farsi rappresentare da un procuratore generale o speciale, il quale deve essere a conoscenza dei faK della causa. La procura deve essere conferita con a+o pubblico o scri+ura privata auten%cata e deve a+ribuire al procuratore il potere di conciliare o transigere la controversia. La mancata conoscenza, senza gravi ragioni, dei faK della causa da parte del procuratore è valutata dal giudice ai fini della decisione. Che significa “ai fini della decisione”? Spesso quando ci sono ques< doveri di collaborazione del processo, quando la legge processuale impone alle par< di avere un certo comportamento finalizzato a uno o più scopi della legge processuale, la parte deve fare questo sennò succede qualche cosa. Questo “succede qualche cosa” in genere viaggia su 2 piani: 1) La legge dice che il giudice può trarre argomen< di prova o si applica l’art. 116 cpc 2) Il giudice ne <ene conto ai fini della liquidazione delle spese processuali Es. art 473 bis, punto 21 à norma che disciplina la prima udienza nel rito unitario di famiglia. Le par% devono comparire personalmente, salvo gravi e comprova% mo%vi. La mancata comparizione senza gius%ficato mo%vo cos%tuisce comportamento valutabile ai sensi del secondo comma dell’ar%colo 116 e nella liquidazione delle spese. Visto che la legge dice “ai fini del giudizio”, che è una locuzione abbastanza ambigua, si potrebbe dire che è un po’ più nel senso dell’argomento di prova. Ma è pure vero che si può intendere la pronuncia sulle spese, perché anche quella è ai fini del giudizio. Il legislatore si sarebbe dovuto esprimere un po’ meglio. Ai fini delle spese il giudice potrà valutare che cosa? 22) O una mancata refusione di parte delle spese processuali (art. 92 comma 1 cpc, si applica contro chi ha vinto. Cioè tu hai vinto, avres< quindi diri$o al rimborso delle spese processuali ma visto che < sei comportato male nel processo < scomputo dalle spese processuali una parte. La parte che contravviene a ques< doveri di condo$a processuale, che si comporta non corre$amente, potrebbe essere la parte che poi vince. Se si verifica, si applica il 92 comma 1). 23) Se invece la parte che ha contravvenuto a ques< doveri è la parte che perde, si applicherà il 96 commi 3 e 4. Cioè, oltre alla condanna alle spese processuali, la parte che perde potrà essere condannata d’ufficio anche al pagamento di una somma liquidata in via equita<va dal giudice oppure una somma da pagarsi alla cassa delle ammende. Sono due sanzioni a cara$ere puni<vo che accedono alla pronuncia sulle spese. Sempre facendo questa sorta di parallelo tra udienza di discussione e udienza di comparizione, nel 183 si possono fare certe cose che adesso stanno nelle memorie di tra$azione. Cioè le par< possono nel proc ordinario di cognizione proseguire nell’aFvità difensiva di <po asser<vo e probatorio. Cioè nel proc ordinario di cognizione le barriere preclusive rispe$o alle prove non sono già sca$ate negli aF introduFvi. Poi nelle memorie di tra$azione le par< possono ancora spendere poteri processuali che incidono sul materiale di causa, cioè possono modificare o precisare le domande e le eccezioni e conclusioni già formulate à cd. ius poenitendi à cioè “mi sono sbagliato, forse era meglio che lo dicevo in un’altra maniera!”, aggiustare il <ro liberamente dicendo “ho chiesto questo ma forse è il caso di chiederlo in quest’altra maniera”. Da ricordare che c’è un problema a$orno alla modificazione e precisazione, c’è un dibaFto complesso della cassazione pure che ha complicato ancora di più quando vi sia precisazione o modificazione e il prof dice da sempre che è tu$o quello che non implica la proposizione di una domanda nuova o di un’eccezione nuova. Queste sono le difese che sono indipenden< da quello che dice l’altro. Poi ci sono le difese che dipendono da quello che dice l’altro, cioè che trovano la loro ragion d’essere nello svolgimento del processo nel contraddi$orio. Il contraddi$orio è un “bo$a e risposta” che va all’infinito fino a che non si esaurisce. Il procedimento segue questa alternanza di “bo$a e risposta” che è espressione del principio del contraddi$orio. Queste difese conseguen< sono sempre ammissibili. Nella nostra udienza di discussione, possiamo farla questa aFvità? Si potrebbe dire: “ma abbiamo de$o che le barriere preclusive sono già sca$ate, quindi non so cosa dirà il 420, ma a naso diremmo che tu$a quella libertà non ci può essere, sennò il sistema delle preclusioni andrebbe a farsi benedire”. InfaF, è così. Prendiamo la norma che avevamo saltato: la seconda parte del comma 1 del 420. Le par% possono, se ricorrono gravi mo%vi, modificare le domande, eccezioni e conclusioni già formulate, previa autorizzazione del giudice. Le par< in questo rito non possono liberamente porre in essere quell’aFvità di emenda<o libelli che troviamo nel processo ordinario di cognizione, ma debbono chiedere l’autorizzazione al giudice e il giudice potrà concederla solo in presenza di gravi mo<vi che, ad esempio, potrebbero ricorrere a fronte dell’emersione di un profilo non ba$uto dalla controversia proprio dopo l’interrogatorio libero. La norma non dice nulla sull’aFvità di replica, cioè alle difese conseguen<. Che significa, che non sono ammesse? Assolutamente no, perché nessuna norma processuale può impedire il loro esercizio. Sicuramente in udienza la parte può replicare a quello che hanno de$o le altre. Quali sono le altre? L’a$ore che replica al convenuto la memoria difensiva, l’a$ore o il convenuto che replicano al terzo intervenuto, il convenuto che replica all’a$ore che ha beneficiato dell’ulteriore memoria dopo la domanda riconvenzionale. Non è escluso che la replica derivi non da quello che hanno de$o le par< ma a fronte della rilevazione d’ufficio di qualche aspe$o. Se il giudice che il licenziamento è nullo, le par< possono replicare non solo per dire “no, < stai sbagliando” ma anche per dire “allora se è nullo, < chiedo questo”. In questa aFvità di replica, visto che la norma non lo prevede espressamente, non è compresa la reconven%o reconven%onis, ossia quella domanda che l’a$ore in via riconvenzionale proponeva nei confron< del convenuto: “tu mi riconvieni? E io < riconvengo un’altra volta!”. L’a$ore questo non lo potrà fare. C’è un problema di legiFmità cos<tuzionale? Perché si può dire all’aOore che non può replicare con la reconven/o reconven/onis? (+ 1 punto) Suggerimento 1: abbiamo de$o che non possiamo non dare alle par< la possibilità di ricontroba$ere alle difese dell’altro, perché si andrebbe a incidere sul diri$o di difesa. Però posso anche dire che l’a$ore non può proporre la reconven<o reconven<onis. Le due cose sembrerebbero incompa<bili, invece sono compa<bili. Per dirlo dobbiamo ricordarci la domanda riconvenzionale, ricordarci che questa richiama un is<tuto, ricordarci questo is<tuto e ragionare. Di domande riconvenzionali ce ne sono 2 <pi, se le vediamo legate alla domanda di controparte: art. 36 ci dice che la domanda riconvenzionale può essere connessa o per il <tolo o in via di eccezione. Se è connessa per il <tolo, è una domanda che viaggia in parallelo ed è compa<bile con l’accoglimento della domanda principale, è una domanda riconvenzionale che non ha funzione difensiva, cioè il suo accoglimento non implica il rige$o dell’altra. La domanda riconvenzionale connessa in via di eccezione ha una funzione difensiva, invece, perché sono diriF incompa<bili, cioè se accolgo la domanda riconvenzionale devo necessariamente rige$are almeno in parte l’altra. Questa domanda ha funzione difensiva e questa domanda se io non concedo all’a$ore di proporla gli creo un danno, perché non può paralizzare la domanda che ha proposto la controparte. MA Suggerimento 2: la domanda riconvenzionale connessa in via di eccezione può entro cer< limi< essere spesa anche come eccezione de$a riconvenzionale. L’eccezione riconvenzionale ha solo la funzione di o$enere il rige$o della domanda, tanto che la chiamiamo solo eccezione e non domanda riconvenzionale. L’a$ore non proporrà la reconven<o reconven<onis ma proporrà quel diri$o come eccezione riconvenzionale. Questo nessuno glielo può impedire. Perché? Perché abbiamo de$o che il contraddi$orio deve essere sempre garan<to, ci riferivamo al diri$o delle par< di poter influire sul contenuto della decisione (art. 24), non c’è norma processuale che < può impedire di spendere un certo potere processuale in grado di incidere sul contenuto della decisione. Non ci potrà essere una norma che dice “no, mi dispiace questa difesa non la puoi spendere qui”, se non la posso spendere qui io perdo! Questo non può accadere e infaF l’eccezione riconvenzionale ci consente di garan<re questo risultato: mi spendo questo diri$o come eccezione e o$engo il rige$o della domanda. Le par< potranno replicare, non potranno proporre una domanda come conseguenza ma se la potranno cavare, laddove fosse necessario, con una eccezione riconvenzionale. Questo è un esempio che fa capire che l’is<tuto dell’eccezione riconvenzionale, in realtà, ha una sua u<lità. Seconda parte della lezione Art. 420, comma 4: “Se la conciliazione non riesce e il giudice ri%ene la causa matura per la decisione […]*,il giudice invita le par% alla discussione e pronuncia sentenza anche non defini%va dando le+ura del disposi%vo”. fronte di un processo che mi rappresenta l’esistenza di una fonte di prova, allora il giudice può assumerla. a. Ma può assumerla quando la parte abbia posto in essere un’a$vità processuale del tuOo lacunosa (cioè non abbia ar/colato nessuna prova rispeOo al faOo controverso)? Secondo l’impostazione preferibile, anche sulla base di una sentenza delle SSUU, no. Cioè il mezzo di prova il giudice lo può acquisire quando versa in uno stato di semi plena proba%o (cioè prova non completa, ossia quando c’è ancora un grado di incertezza rispe$o al fa$o). Quando abbiamo richiamato la funzione del 2697 abbiamo de$o che in tu$e le zone intramarginali, ovvero quando il giudice non è certo né dell’esistenza del fa$o né dell’inesistenza, il nostro ordinamento pone una regola formale di giudizio: il fa$o controverso va ritenuto come non esistente. Questa regola va a favore del convenuto, entro cer< limi<, rispe$o ai faF cos<tu<vi dell’a$ore ovviamente. Diciamo che va a favore della parte che non invoca l’efficacia del fa$o. Locuzione che va bene tanto per l’a$ore quanto per il convenuto rispe$o all’eccezione. Nel processo del lavoro se una delle par< ha ar<colato i mezzi di prova ma il giudice non ha ancora raggiunto un pieno convincimento circa l’esistenza del fa$o controverso e dagli aF emerge quella certa prova, il giudice è tenuto ad assumerla e può esercitare i suoi poteri ufficiosi. Questo <po di potere ufficioso è inserito in un re<colo di regole che circoscrivono il giudice, il quale quindi non può muoversi come vuole ma deve fare un percorso ben determinato. Problema: come va qualificato questa posizione del giudice rispe$o alla prova? Su questo la giurisprudenza rispe$o a mol< is<tu< ha una impostazione errata per il prof perché dice che il giudice ha un potere discrezionale. Non è des<natario di un obbligo ma di un potere discrezionale. Il giudice, secondo il prof, non è mai des<natario di poteri discrezionali ma di poteri- doveri perché risponde a funzioni di stampo pubblicis<co. Quindi è un problema di sussistenza dei presuppos<: cioè c’è la prova che emerge dagli aF, c’è la semi plena proba%o (perché il giudice mi dice nella mo<vazione che il fa$o non è completamente provato), ci sono dei presuppos< e il giudice doveva. Questo <po di discorso a che fine è u<le? Perché facciamo questo dis<nguo? Se diciamo che il giudice è <tolare di un potere discrezionale o di un potere-dovere, cioè un obbligo, c’è una differenza teorica ma anche pra<ca. Qual è la rilevanza pra<ca? È un problema della prospeFva di controllo. Se il giudice può fare come vuole (pot. Discrezionale), io non posso sindacare quello che ha fa$o; se ha un dovere, posso farlo perché ha violato una norma processuale che gli imponeva una certa condo$a processuale, quindi il provvedimento è nullo à cosa bella per un avvocato, non deve convincere nessuno, l’a$o è nullo per tabulas, perché ci sono i presuppos<. Vado in appello, prendo la sentenza, prendo gli aF di causa, dal verbale di prima udienza emerge che in sede di interrogatorio libero Sempronio era presente ed era informato dei faF, poi prendo la sentenza e leggo che rispe$o a un fa$o controverso il giudice l’ha ritenuto non completamente provato. Il giudice non ha assunto la prova, cioè non ha ascoltato Sempronio, quindi la sentenza è nulla. In appello, si può andare dal giudice d’appello e dire al giudice di esercitare il potere d’ufficio e lo si può fare perché comunque è un processo di merito. Questa norma si applica anche in appello, ma il giudice va convinto nel merito. Poi quando si arriva in cassazione il merito non c’è più, quindi non puoi convincere nessuno e < sei giocato la prova. Quindi andare a favore di una certa le$ura, cioè potere come esercizio discrezionale, oppure potere- dovere, cioè potere come esercizio doveroso, cambia radicalmente nella prospeFva del controllo e cambia ancora più radicalmente se questa prospeFva si proie$a nel giudizio di Cassazione, che è un giudizio sostanzialmente di pura legiFmità. Hai solo quei 5 mo<vi, se ci rientri bene sennò niente. La cassazione dice che è un potere discrezionale, però sempre la cass a tal riguardo, come fa in altre ipotesi, me$e una toppa, cioè in questa faFspecie la cass ado$a lo stesso principio che ado$a in materia di ascolto del minore infradodicenne. So$o questo ul<mo punto di vista, è doppiamente errata come cosa, è errata al cubo! La cassazione entra in contraddizione. Rispe$o al processo del lavoro il discorso non è corre$o ma è più corre$o dell’altro. Che dice la cassazione? Dice che è un potere discrezionale, quindi in cassazione sarebbe insindacabile. Però diventa insindacabile se la parte sollecita l’acquisizione dello strumento di prova e il giudice non lo fa senza mo<vare. Cioè, noi avevamo il giudice che doveva fare, abbiamo un giudice che non deve fare ma deve fare solo se la parte glielo chiede. È un controsenso. Se il giudice non ha acquisito lo strumento di prova, la parte dovrà sollecitare la sua acquisizione, il giudice a fronte dell’acquisizione dovrà: 1) Assumere mezzi di prova 2) Non assumerli ma mo<vare le ragioni della mancata assunzione Se il giudice non si comporterà in questa maniera, la sentenza potrà essere impugnata. È un principio giurisprudenziale totalmente inventato perché non scri$o da nessuna parte. È anche illogica in questo ambito ancor di più in un processo minorile perché in quest’ul<mo l’ascolto del minore è obbligatorio perché è un suo diri$o. La norma prevede che il giudice ascol< il minore se maggiore di 12 anni (ultradodicenne) o in ogni caso dotato di capacità di discernimento (infradodicenne). Il giudice per capire se il minore ha capacità di discernimento lo deve ascoltare, se non lo ascolta non può capire se è capace di discernimento, ma non può ascoltarlo ecc ecc. Si crea un trip. Ma un orientamento giurisprudenziale dice che la capacità di discernimento va presunta se il minore è scolarizzato (presunzione di capacità di discernimento). Il punto è che è un diri$o del minore! Quindi questo diri$o del minore lo tutela il giudice ascoltandolo. Un giorno una parte della do$rina ha de$o che non è obbligatorio se è infradodicenne, ma non è corre$o. È obbligatorio se ha il grado di discernimento, ovvio perché lo dice la norma. Secondo un orientamento della cassazione, per il minore infradodicenne bisogna fare la stessa cosa che c’è nel processo del lavoro: il giudice è libero di non ascoltare il minore di 12 anni, ma se le par< lo richiedono il giudice deve mo<vare le ragioni del mancato ascolto. Altrimen<: sentenza nulla. Dov’è l’errore? Su 2 livelli: 1) La norma dice che il giudice ascolta SE a. Ha più di 12 anni b. Ha capacità di discernimento La stru$ura della norma è facile. È obbligatorio in tuF e due i casi, solo che in un caso il presupposto di 12 anni lo vediamo per tabulas, mentre l’altro è fru$o di una valutazione. Ma dire che il presupposto di un dovere è valutato non significa che abbiamo una facoltà! Significa solo che abbiamo un presupposto che richiede una valutazione. 2) L’errore più grave: non si può subordinare il diri$o del minore alla volontà dei genitori. Non dipende dalla volontà dei genitori! Non è nella loro disponibilità! Il minore non viene ascoltato perché è un mezzo istru$orio, come nel processo del lavoro! No, il diri$o all’ascolto del minore è riconosciuto dalla convenzione di New York, dalla convenzione di Strasburgo, è un diri$o del minore previsto dall’art. 315 bis, e il giudice è tenuto a tutelarlo! Quindi che i genitori lo chiedano o no, non ce ne importa! È IRRILEVANTE, perché l’interesse non è nella disponibilità dei genitori. E fare questo ragionamento degrada l’ascolto a un mezzo nella disponibilità delle par< adulte. E non è corre$o. Nel processo del lavoro è meno vistosa la cosa, ma è simile perché il potere d’ufficio non è a vantaggio di una parte ma appar<ene a quelle regole del processo d’ordine pubblicis<co. Cioè il processo è così stru$urato perché così vuole la legge, in vista di un obieFvo che non è né quello di far vincere Tizio né quello di far vincere Caio, ma di garan<re un miglior accertamento della verità materiale (che in questo processo è un interesse pubblicis<co rappresentato in concreto proprio dal potere ufficioso). Quindi che Tizio mi chieda di assumere la prova o non me lo chieda non rileva affa$o. Il giudice deve, punto. Non è nell’interesse par<colare di Tizio, o di una parte o dell’altra. Il giudice è tenuto a garan<re l’osservanza della legge processuale non nell’interesse delle par<, altrimen< anche il principio che opera nel processo del lavoro e opera nel processo ordinario secondo il quale le barriere preclusive non sono derogabile anche se le par< lo vogliono non dovrebbe operare. L’osservanza delle regole non dipende da quello che vogliono le par<, sennò le par< potrebbero dire “facciamolo come vogliamo questo processo”. La legge processuale non è nella disponibilità delle par< ma risponde a delle finalità che di volta in volta la legge esprime e indica. Nel caso di specie, ossia i poteri istru$ori del giudice del lavoro, è quello di accertare la verità materiale, un’accentuazione della finalità del processo di ricerca della verità, che prescinde da Tizio e Caio. Quindi se c’è lo strumento di prova il giudice lo deve acquisire, l’istanza non rileva. Quindi nella prospeFva del controllo, il appello potremmo dire “no, guarda che c’è il mezzo di prova” e u<lizzeremmo questa norma nella stessa maniera in cui la usiamo in primo grado (“poteva esercitare questo potere, quindi fallo tu ora”), mentre in cassazione dovremmo seguire questo escamotage, cioè se la parte l’ha chiesto prima, bene, se non l’ha chiesto non poteva andare ad impugnare. Ul<mo comma: qui abbiamo soggeF che non sono capaci di tes<moniare ma che il giudice può comunque sen<re. E come li può sen<re? Con l’interrogatorio libero! Qual è la differenza? La differenza è formalmente significa<va, ma sostanzialmente potrebbe non esserlo perché la tes<monianza, se ritenuta a$endibile dal giudice, dà la piena prova del fa$o, mentre l’interrogatorio libero ex art. 116 comma 2, può consen<re al giudice di desumere argomen< di prova e sono qualcosa di meno. Ci sono diverse norme che consentono al giudice di trarre argomen< di prova. L’art. 116 comma 2 ci dice che il giudice può desumere argomen< di prova da una serie di condo$e o faFspecie processuali. Sono tu$e faFspecie processuali che si verificano nel processo. E da risposte che le par< gli dà (interrogatorio libero). E dal rifiuto ingius<ficato di consen<re le ispezioni che egli ha ordinato e in generale dal contegno delle par< nel processo. L’altra norma che possiamo leggere insieme a questa è il 310, norma importante, disciplina gli effeF di es<nzione del processo e al comma 3 ci dice che nel processo es<nto le prove raccolte sono Lezione 6 (1 marzo 2024) Oggi: finiamo processo del lavoro + iniziamo le procedure negoziali di soluzione alterna<va della lite + focus specifico sulla mediazione obbligata civile e commerciale e negoziazione assis<ta. Riprendiamo il proc del lavoro. Nell’ambito del proc del lavoro le par< possono o$enere delle ordinanze an<cipatorie, cioè quelle che hanno an<cipato quelle che troviamo oggi nel proc ordinario. La norma è quella del 423. 423 “Ordinanze per il pagamento di somme” Il giudice, su istanza di parte, in ogni stato del giudizio, dispone con ordinanza il pagamento delle somme non contestate art 186 bis cpc. Egualmente, in ogni stato del giudizio, il giudice può, su istanza del lavoratore, disporre con ordinanza il pagamento di una somma a %tolo provvisorio quando ritenga il diri+o accertato e nei limi% della quan%tà per cui ri%ene già raggiunta la prova. Le ordinanze di cui ai commi preceden% cos%tuiscono %tolo esecu%vo. L'ordinanza di cui al secondo comma è revocabile con la sentenza che decide la causa. Quando è stato introdo$o il dir del lavoro, quindi anche il 423, la do$rina si è sbizzarrita a cercare tuF i profili problema<ci, interpreta<vi, controversi di questo ar<colo. Mol< profili negli anni sono anda< sfumando perché con l’introduzione delle ordinanze an<cipatorie nel rito del lavoro l’interprete ha potuto fare un’operazione sistema<ca e quindi le nuove norme (186 bis ss) hanno consen<to di me$ere meglio a fuoco la natura e il regime di queste ordinanze. Quando abbiamo una decisione giudiziale, ci dobbiamo chiedere: 1) Quali sono i presuppos< 2) Quali sono gli effeF 3) Qual è il regime (cioè è revocabile o no, è impugnabile o no, come è impugnabile) TuF ques< aspeF ci fanno ragionare sulla natura della decisione. La natura è un discorso di sintesi su quello che la legge ci dice su un certo is<tuto per ricondurlo a un certo modello sistema<co. Qual è la natura di queste ordinanze? Esse non hanno natura cautelare perché i presuppos< che vi sono in queste ordinanze sono ben chiari< dalla legge e uno è la mancata contestazione di una parte delle somme e l’altro è l’aver raggiunto una prova circa una parte delle somme. Poi all’inizio si è discusso se queste ordinanze avessero natura di sentenza, tanto che qualcuno aveva proposto che addiri$ura potessero essere ogge$o di appello. Questo <po di le$ura è stato superato e oramai si riconosce a queste ordinanze quello stesso regime che hanno le ordinanze an<cipatorie del rito ordinario. Cioè sono ord an<cipatorie, cioè an<cipano gli effeF della sentenza al ricorrere di presuppos< indica< ex lege. In genere, l’ord an<cipatoria ha l’effe$o di essere caducata dalla sentenza che definisce il giudizio rispe$o al medesimo thema decidendum, cioè quando arriverà la sentenza essa statuirà defini<vamente sulla domanda proposta dalla parte togliendo di mezzo l’ordinanza. Se il giudizio si es<ngue, queste ordinanze mantengono efficacia esecu<va. Rispe$o al comma 1, si tende ad interpretarlo negli stessi termini del 186 bis: la non contestazione deve giungere dalle par< cos<tuite. Di faF, noi abbiamo visto che la contumacia non implica non contestazione ma implica una ficta contesta%o (fiFzia contestazione). La prima ordinanza può essere concessa a favore di entrambe le par< e questo lo capiamo dal comma 2, che specifica che possa essere concessa solo a favore del lavoratore. Poi possiamo ragionare sui profili interferenza che vi sono tra queste ordinanze e altre decisioni. Ad esempio, l’ordinanza del comma 2 presenta presuppos< molto simili alla sentenza provvisionale, cioè quella sentenza prevista dall’art. 278 (dove al comma 1 = condanna generica; al comma 2 = condanna provvisionale. Cioè il giudice accerta un segmento del quantum e rinvia l’istru$oria per l’accertamento del residuo. Ora, si è posto il problema se il giudice, stante il disposto del 423 comma 2, possa pronunciare una sent provvisionale. La giuri è nel senso che in ogni caso nel proc del lavoro il giudice può ado$are tuF i provvedimen< previs< anche nel rito ordinario. Quindi, ad esempio, a fronte della raggiunta prova di una parte del quantum per la parte è probabilmente più opportuno e più u<le che sia pronunciata una sentenza piu$osto che una ordinanza. Ma in ogni caso, sono aperte tu$e e due le diverse opzioni. La seconda ordinanza, dove si ri<ene raggiunta la prova, è revocabile con la sentenza perché il giudice, non essendo una sentenza, può cambiare idea. Quindi, laddove nel processo in camera di consiglio il giudice ri<ene di rivedere la propria decisione, lo potrà fare con la sentenza defini<va. Sarà abbastanza improbabile, ma la legge consente questo. È impugnabile questa ordinanza? No, non lo è perché i provv an<cipatori non sono impugnabili, perché sono provv provvisori che aspe$ano che arrivi la sentenza, quando questa arriverà toglierà di mezzo l’ordinanza e le par< se hanno qualcosa da dire potranno farlo impugnando la sentenza. Durante il procedimento potranno chiedere la revoca dell’ordinanza, ma la seconda solo con la sentenza. Arrivata la sentenza, si aprirà la strada dell’appello. Ma non ci sono rimedi avverso l’ordinanza, nemmeno il ricorso straordinario perché quest’ul<mo è quel ricorso per cassazione che trova il suo fondamento norma<vo nel comma 7 dell’art. 111 cost, che la giurisprudenza interpreta abbastanza pacificamente come una norma che amme$e il ricorso per cassazione quando una decisione sia decisoria e defini<va (defini<va = non più contestabile, non più impugnabile). Ma visto che l’ordinanza è tu$’altro che defini<va perché può essere revocata, ovvio che non possiamo proporre ricorso straordinario per cassazione. Vediamo la base decisoria. Prima di entrare nell’esame di de$aglio delle norme, possiamo fare qualche considerazione introduFva. Innanzitu$o, dobbiamo fare a$enzione alla disciplina della fase decisoria, cioè come si ar<cola nel segmento finale. Ci sono delle norme che tendono a semplificare la fase decisoria, sopra$u$o in ragione del principio di immediatezza e concentrazione a cui si è già fa$o riferimento fin dalle prime ba$ute sul processo del lavoro. Rispe$o al contenuto della decisione, ci sono alcune previsioni di par<colare favore per la parte deble, cioè il lavoratore. Questo favor lavoratoris lo troviamo anche se proieFamo il problema in appello rispe$o al tema dell’inibitoria processuale, cioè della sospensione della provvisoria esecu<vità dell’efficacia esecu<va della sentenza di primo grado. Anche qui, abbiamo qualche regola par<colare. Vediamo meglio le regole che si occupano di questo tema. Ma prima di esaminare la sent defini<va c’è un’altra pronuncia importante: art. 420 bis. Questo art 420 bis è un par<colare caso di sentenza non defini<va. Per capire bene il funzionamento di questo is<tuto dobbiamo leggere il 420 bis + il 146 bis delle disp di a$uazione. 420 bis “Accertamento pregiudiziale sull'efficacia, validità ed interpretazione dei contraF e accordi colleFvi” Quando per la definizione di una controversia di cui all'ar%colo 409 è necessario risolvere in via pregiudiziale una ques%one concernente l'efficacia, la validità o l'interpretazione delle clausole di un contra+o o accordo colleKvo nazionale, il giudice decide con sentenza tale ques%one, impartendo dis%n% provvedimen% per l'ulteriore istruzione o, comunque, per la prosecuzione della causa fissando una successiva udienza in data non anteriore a novanta giorni. La sentenza è impugnabile soltanto con ricorso immediato per cassazione da proporsi entro sessanta giorni dalla comunicazione dell'avviso di deposito della sentenza (norma par<colare perché in genere il termine decorre dalla no<ficazione o dalla comunicazione – qui è dall’avviso, quindi comunicazione). Copia del ricorso per cassazione deve, a pena di inammissibilità del ricorso, essere depositata presso la cancelleria del giudice che ha emesso la sentenza impugnata entro ven% giorni dalla no%ficazione del ricorso alle altre par%; il processo è sospeso dalla data del deposito. 146 bis disp. a$. cpc “Accertamento pregiudiziale sull'efficacia, validità ed interpretazione dei contraF e accordi colleFvi” Nel caso di cui all'ar%colo 420 bis del codice si applica, in quanto compa%bile, l'ar%colo 64, commi 4, 6, 7 e 8, del decreto legisla%vo 30 marzo 2001, n. 165. Può capitare infaF che davan< c’è un procedimento in cui si controverte circa il contenuto di una clausola del contra$o colleFvo o circa la validità di una clausola. La pronuncia di questa sentenza, se vediamo, sembra un automa<smo. Sulla ques<one è intervenuta la corte cost per valutare la legiFmità di questa norma perché si diceva “allora basta che io sollevi la ques<one, arriva la sentenza, poi ricorso per cassazione, blocco il procedimento”. Cioè per come è scri$a questa norma, si prestava a una strumentalizzazione abusiva da parte delle par<. Allora la corte cost ha de$o: “a$enzione, la sentenza va pronunciata solo se c’è un serio dubbio interpreta<vo”. Solo in questo caso il giudice pronuncerà questa sentenza che consen<rà di portare la ques<one subito in cassazione perché le par<, se vogliono contestare l’interpretazione o la posizione data dal giudice, devono fare ricorso immediato in cassazione. Dopodiché, il processo a quo si sospende. Potrebbe capitare che vi siano altri procedimen< nei quali rileva la ques<one interpreta<va. Altri processi del lavoro in cui rileva la ques<one interpreta<va. Il comma 6 dell’art. 64 del d. Lgs 165/2001, cioè quello di priva<zzazione del lavoro pubblico (questa norma è stata introdo$a prima nel processo per il pubblico impiego e poi è stata portata nel proc ordinario del lavoro), ci dice che gli altri procedimen< possono essere sospesi, quindi se pende in cassazione un processo riguardante questa interpretazione, può essere sospeso. Situazione quantomeno rara. Dopodiché, la meccanica è abbastanza semplice: il giudice se c’è un serio dubbio interpreta<vo pronuncia la sentenza, sennò accantona la ques<one e la risolverà con la sentenza defini<va. Potrebbe esserci sul punto una sentenza della cassazione che si è già espressa a favore di una certa interpretazione di una clausola. Il giudice può col<vare una diversa opzione? Sì, perché il giudice è sogge$o solo alla legge, ci dice la cos<tuzione. Però se vuole col<vare un altro <po di interpretazione, il serio dubbio interpreta<vo si pone eccome, perché addiri$ura dice che la pronuncia della cassazione è sbagliata, e quindi pronuncerà una sent non defini<va. Questa è una pronuncia par<colare. Se in ogni caso il giudice non pronuncia la sent non defini<va il vizio è innocuo, nel senso che il giudice si pronuncerà con la sent defini<va e le par< non possono dedurre la nullità, rileverà solo se la ques<one è stata interpretata bene o male. Quindi il giudice deve pronunciare la sent non defini<va, ma se poi non lo fa non ci sono grossi rimedi. Certo, le par< mentre il processo va avan< potranno fare un’istanza del giudice richiamandolo al disposto del 420 bis, ma se il giudice non vuole pronunciarla arriverà a sentenza defini<va e poi si andrà a impugnare quella sent con appello e non con ricorso immediato per cassazione. Torniamo alla fase decisoria. La fase decisoria prima era stru$urata secondo uno schema base. Ora c’è uno schema più ar<colato dove la regola è in realtà l’eccezione e l’eccezione è regola. 429 “Pronuncia della sentenza” Nell'udienza, il giudice, esaurita la discussione orale e udite le conclusioni delle par%, pronuncia sentenza con cui definisce il giudizio dando le+ura del disposi%vo e della esposizione delle ragioni di Premessa sulle tutele giurisdizionali nel ns ordinamento per comprendere dove si collocano i proc di mediazione e negoziazione assis<ta: la tutela giurisdizionale si ar<cola in 2 grandi aree 27) tutela giurisdizionale contenziosa à protezione di diriF soggeFvi e sta< personali. a. In questa categoria troviamo tuF i procedimen< che si studiano nel dir processuale civile 1, oltre ai procedimen< speciali di cognizione (es. proc di ingiunzione al pagamento e proc di convalida dello sfra$o), procedimen< che rispondono ai 3 <pi di tutela, ossia dichiara<va, esecu<va e cautelare. 28) tutela giurisdizionale volontaria à categoria des<nata alla tutela di interessi giuridicamente rilevan< che non hanno idoneità al passaggio in giudicato e che, tendenzialmente, vengono disciplina< insieme al rito camerale, tanto che poi l’art. 742 prevede che le decisioni, i decre< con cui si concludono questo <po di procedimen< non passano in giudicato. Al di fuori della tutela giurisdizionale si collocano i procedimen< che si definiscono come mezzi o procedimen< alterna<vi alla giurisdizione per la risoluzione di controversie. Tra ques<, troviamo 3 aree: 29) strumen< <picamente negoziali à es. contra$o di transazione ex art. 1965 cod civile, con cui due o più par< al fine di dirimere una controversia si fanno reciproche concessioni e so$oscrivono un accordo per porvi fine oppure per prevenire l’insorgenza di una det controversia 30) arbitrato in senso ampio à in cui troviamo arbitrato rituale e irrituale 31) percorsi cd procedimentalizza+ à la legge prevede che a det condizioni o per volontà delle par< queste cerchino di pervenire ad un accordo per porre fine a questa controversia. In questa terza categoria troviamo la mediazione e la negoziazione assis/ta. In ques< <pi di procedimen<, a differenza dei procedimen< negoziali in cui le par< sono totalmente libere di decidere se e come addivenire ad un eventuale accordo, se concludere l’accordo di conciliazione rimane sempre in capo alle par<, dall’altro lato ci sono alcune regole che cercano di indirizzare le modalità procedimentali a$raverso cui ciò avviene. LA MEDIAZIONE Disciplinata da d. lgs 28/2010 à fru$o del ricevimento nel ns ord della direFva n. 52/2008 con cui il legislatore europeo ha imposto agli sta< membri di is<tuire alcuni procedimen< nei singoli ordinamen< di mediazione in ambito civile e commerciale. Si tra$a di strumen< recepi< nel ns ord con finalità di deflazione del contenzioso. Uno dei problemi principali che affliggono il processo civile italiano è la durata dei procedimen<, che incide sull’effeFvità della tutela giurisdizionale. Quindi il legislatore con ques< procedimen< cerca di alleggerire il carico che si pone sui giudici, tribunali, cor<. Art. 1 del d. lgs. 28/2010 Definizione di mediazione = aFvità comunque denominata con cui le par<, a$raverso l’ausilio di un sogge$o cd mediatore, cerca di addivenire alla composizione della lite. Tale composizione della lite prende il nome di conciliazione. Quindi leggiamo in coordinato disposto la le$era A + C dell’art. 1 comma 1 del decreto. Conciliazione = composizione di una controversia a seguito dello svolgimento della mediazione. C’è una correlazione biunivoca tra procedimento e finalità dello stesso, dunque la conciliazione. Art. 2 Ambito soggeFvo e oggeFvo in cui opera questo <po di procedimento. SoggeFvo = chiunque può accedere alla mediazione OggeFvo = qui c’è limitazione à la mediazione si applica in materia civile e commerciale quando la controversia verta su diri$ DISPONIBILI. Quindi l’ambito di applicazione si restringe rispe$o ai diriF indisponibili (ossia quei diriF che possono essere ogge$o di indisposizione, ossia rinuncia da parte del <tolare). Anche in questo caso vediamo come la disponibilità del diri$o è fru$o del ricevimento della direFva europea e dall’altro lato è anche un rinvio conce$uale allo strumento negoziale della transazione. Tanto che se guardiamo le disposizioni 1965 ss cod civ ci accorgeremmo del punto rela<vo alla disponibilità dei diriF. Una cosa molto importante sono le previsioni previste dal comma 3 dell’art. 4. Noi abbiamo una disposizione che prevede una serie di informazioni che debbono essere fornite da parte dell’avvocato al momento dell’acquisizione dell’incarico. Cioè nel momento in cui l’avvocato decide di assumere l’assistenza di un det cliente dovrà fornire una serie di informazioni, tra cui l’informazione rela<va alla possibilità di svolgere il proc di mediazione, l’informazione circa i vantaggi economici e sopra$u$o fiscali che sono possibili in relazione a questo <po di procedimento e anche le condizioni in cui la mediazione è cd. obbligatoria (quando la mediazione cos<tuisce una condizione di procedibilità della domanda pregiudiziale). In questo modo, abbiamo una serie di obblighi impos< a carico del difensore A PENA DI NULLITÀ DEL CONTRATTO DI MANDATO fra l’avvocato e il proprio cliente, di informarlo di tu$a questa serie di elemen<. Quindi in questo senso ci accorgiamo come il legislatore cerca di o$enere un risultato che è quello di incen<vare l’u<lizzo di ques< strumen< di deflazione del contenzioso a$raverso la responsabilizzazione dell’organo difensore. Esistono 3 <pologie di mediazione: 1) facolta<va 2) delegata dal giudice 3) obbligatoria à in senso atecnico, perché non sussiste un vero e proprio obbligo in termini tecnici, ma esiste una condizione di procedibilità della domanda giudiziale - cioè tuF quei casi in cui la legge subordina l’esercizio dell’azione civile al soddisfacimento di determinate condizioni, in mancanza delle quali il giudice non potrà entrare nel merito della decisione della controversia. Dunque, si dovrà restare ad una pronuncia di mero rito. A tal proposito, l’art. 5 comma 1 prevede tuF i casi in cui la mediazione è condizione di procedibilità della domanda. Si afferma che chi intende esercitare in giudizio un’azione rela<va a serie di materie che vengono elencate dovrà esperire un primo tenta<vo di mediazione. Abbiamo diverse ipotesi: cause in materia di condominio, locazione, comodato, contraF assicura<vi, finanziari. Poi c’è un caso più par<colare che è quello delle cause di risarcimento danni derivan< dalle diffamazioni a mezzo stampa o da ipotesi di prac<ce sanitaria. Che significa che è condizione di procedibilità? Che bisogna esperire un tenta<vo di mediazione. Il momento in cui questa condizione di procedibilità si considera avverata non è la fine del procedimento, perché si porrebbe a carico dell’a$ore o comunque del sogge$o che intende o$enere una tutela in sede giurisdizionale di aspe$are un termine troppo lungo che probabilmente non coincide con il giusto processo nell’ambito civile. Quindi la legge prevede che vi sia un termine inferiore per l’avveramento della condizione di procedibilità e il comma 4 ci dice che, se il primo incontro di mediazione si conclude senza che sia stato concluso un accordo tra le par<, la condizione si ha come avverata. Cosa accade quando la condizione non è avverata? Ipotesi: avvocato deve introdurre un giudizio a favore del proprio cliente. La controversia ricade in una delle materie de$e. L’avvocato non procede con il tenta<vo di mediazione. In questo caso la legge prevede che entro la prima udienza, la parte o la controparte deve eccepire che non è stato esperito il tenta<vo di mediazione oppure deve essere rilevato ufficiosamente da parte del giudice. Se ciò non accade, l’eccezione decade e la cond di procedibilità si considera in automa<co avverata. Quando invece l’eccezione viene spese o quando la cond di procedibilità viene rilevata da parte del giudice, ques< procede ad assegnare un termine entro cui dovrà essere avviato il procedimento. Un’eccezione rilevante riguarda le ipotesi in cui, pure in presenza di controversie che vertano sulle materie che sono ogge$o di mediazione obbligatoria, per una parte del procedimento o per la totalità del procedimento, non viene ad operare la condizione di procedibilità. Noi abbiamo il comma 6 dell’art. 5 che prevede una serie di ipotesi: es. proc per ingiunzione del pagamento, il proc di convalida di sfra$o, i proc di consulenza tecnica preven<va, i proc possessori e i proc in camera di consiglio. Precisazione sul proc per decreto ingiun<vo à la le$era A del comma 6 dice che la condizione di procedibilità non opera fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione. Nel momento in cui il creditore ha o$enuto il decreto ingiun<vo deve no<ficarlo al proprio debitore. Questo entro 40 gg può decidere se opporsi al decreto ingiun<vo con a$o di citazione o non opporsi. Poi ci sarà una pronuncia sulla provvisoria esecu<vità e quindi o per la concessione o per la sospensione della provvisoria esecu<vità che eventualmente è stata già rilasciata. A questo punto, si pone un problema, che è stato posto sopra$u$o in giurisprudenza, su quale sia la parte onerata dall’aFvazione del procedimento di mediazione obbligatoria, cioè bisogna capire se questa condizione di procedibilità ricada sulla parte del creditore (che è quello che ha no<ficato il decreto ingiun<vo, che si è visto ricevere l’a$o di citazione in opposizione) oppure se ricada sull’opponente. La decisione su CHI ricade questo obbligo non è priva di conseguenze. Immaginiamo un caso in cui si pone l’obbligo a carico del debitore che ha no<ficato l’a$o di citazione in opposizione. Secondo un primo filone giurisprudenziale, questa era la soluzione; secondo un secondo filone giurisprudenziale la soluzione era che l’obbligo spe$ava al creditore. Noi abbiamo l’a$ore che no<fica il decreto ingiun<vo, il debitore che si oppone. Si va in prima udienza e il giudice rileva che non è stato effe$uato il tenta<vo di mediazione. Allora assegna un termine generico per aFvare il procedimento. Quali possono essere le conseguenze? L’obbligo ricade sul debitore opponente e quest’ul<mo non effe$ua il tenta<vo di mediazione. Cosa può accadere? Ragionando in ques< termini, noi s<amo dicendo che la condizione di procedibilità non ricade sulla domanda in cui si chiede il decreto ingiun<vo ma ricade sulla domanda di opposizione, quindi cosa può accadere se l’obbligo non è rispe$ato da parte del debitore opponente? Decorre il termine di 40 giorni e quindi la conseguenza è che passa in giudicato il decreto ingiun<vo. Quindi non è indifferente capire chi è <tolare di questo obbligo! La giurisprudenza SS UU 2020 ha affermato che questo obbligo ricade sul creditore opposto. Questo perché noi abbiamo un proc ingiun<vo che è un proc a stru$ura bifasica eventuale. Cioè c’è la fase monitoria in audita altera parte in cui il creditore chiede a giudice di condannare sogg che è debitore (dal punto di vista del decreto ingiun<vo) di una somma di 100. Si no<fica a$o di citazione e si avrà opposizione del debitore (eventuale). Nel momento dell’opposizione del debitore, l’a$o con cui si procede è un a$o di citazione, quindi si ha un’inversione delle posizioni dal punto di vista processuale: quello che era a$ore nella fase monitoria diventa convenuto nella fase a cognizione piena, e viceversa quello che non c’è nella fase monitoria diventa a$ore ma dal punto di vista sostanziale è un debitore. Se esse sanno che le informazioni che vengono rese possono essere poi u<lizzate contro di loro in un giudizio successivo, saranno inibite dal discutere ampiamente e liberamente. Quindi il legislatore pone un limite. Ma dall’altro lato qual è il risvolto nega<vo? Il secondo periodo dice: “sul contenuto delle stesse dichiarazioni e informazioni non è ammessa prova tes<moniale e non può essere deferito il giuramento decisorio”. Qual è il rischio di un’interpretazione molto ampia di questa disposizione? Che una parte u<lizzi la mediazione proprio per oscurare delle prove nel processo dopo. Io più interpreto in maniera estensiva questo <po di disposizione, più rischio che nel processo non si possa discutere di niente. E quindi ci sono sta< dei dibaF< do$rinali sopra$u$o su questa disposizione volta a capire quale sia effeFvamente l’ogge$o coperto dalla segretezza. Se tu$e le informazioni, quali <pi di informazioni, le info rivolte alla confessione, le info sull’esistenza di un a$o che riconosce il debito…? Potenzialmente non si potrebbe più dire niente nel processo. Quindi una parte di do$rina ha sostenuto che ciò che è coperto dal segreto è solo l’informazione in quanto tale (confessione pura, es. “non ho pagato i 100”). Ciò che non è coperto sono i mezzi di prova vol< a dimostrare le affermazioni. Cioè ci sono delle affermazioni che sono state fa$e, io una volta che sono parte nel processo posso spendere dei mezzi di prova vol< a dimostrare delle informazioni che sono state rese all’interno della mediazione. Es. se io nell’ambito del proc di mediazione sono venuto a conoscenza di una quietanza di pagamento e voglio dimostrare che il credito sia es<nto, posso, a$raverso presunzioni o altri mezzi di prova secondari che perme$ono di risalire da faF no< a faF igno<, dimostrare che è stata spesa una det informazione all’interno del procedimento. Con questa modalità si è cercato di dare una soluzione di compromesso che però è un po’ oscura, non è molto semplice poi dis<nguere tra quella che è l’informazione e quello che è il mezzo di prova volto a dimostrare l’informazione, perché in realtà se io devo allegare un mezzo di prova devo per forza dire che il mezzo di prova è rilevante e per<nente alla controversia. Per dimostrare la rilevanza e la per<nenza, devo far riferimento all’informazione. Se faccio riferimento all’informazione, in realtà io sto violando il disposto dell’art. 10. È un <po di disposizione poco chiara che va studiata in modo approfondito. Comma 2 = ra<o: se il mediatore può essere chiamato a tes<moniare, ad esempio, su una delle circostanze che sono state ogge$o di tra$azione nel procedimento, verrebbe violata la disposizione del comma 1 ma verrebbe anche meno la terzietà e imparzialità del mediatore, con l’effe$o che le par< sarebbero inibite dal discutere del procedimento se sanno che poi il mediatore sarebbe chiamato a discutere delle circostanze all’interno del processo. Vediamo come ci sono una serie di elemen< un po’ dubbi, che devono essere ogge$o di risistemazione da giurisprudenza o da uno studio scien<fico. Ul<ma disposizione su mediazione: art. 13. “Quando il provvedimento definisce… il giudice esclude…”. Quando si conclude il primo incontro di mediazione o si conclude il proc senza che le par< vogliano concludere in senso posi<vo il proc volto alla conciliazione, c’è un obbligo del mediatore. Il mediatore è obbligato a fare la proposta di conciliazione. Se una parte acce$a la proposta e l’altra no, rifiuta la proposta e adirà il giudice in sede giurisdizionale. Il giudice accorda una tutela sovrapponibile a quella concessa a$raverso la proposta di conciliazione. Qui la parte che non ha acce$ato la proposta di conciliazione, non potrà ripetere le spese processuali all’altra parte (contributo unificato, spese di gius<zia, compenso dell’avvocato, per consulenza tecnica d’ufficio, ecc). Però l’art. 13 va a temperare un po’ la rigidità di questa disposizione perché ci dice che non tu$e le spese processuali ma solo quelle maturate dopo la proposta di conciliazione, quindi solo dopo il rifiuto “colpevole” da parte del sogge$o che poi ha o$enuto una sentenza uguale a una proposta di conciliazione. LA NEGOZIAZIONE Disciplina da d.L. 132/2014 à è un proc alterna<vo alla mediazione. Serve a comporre la lite bonariamente, coma la mediazione. 2 /pi: negoziazione assis/ta volontaria e obbligatoria. Anche qui valgono le stesse considerazioni fa$e in merito alla mediazione, cioè non si tra$a un’obbligatorietà in senso tecnico ma anche in questo caso di una condizione di procedibilità della domanda. Volontaria à art 2 ci parla della convenzione di negoziazione assis<ta. Questo <po di convenzione è un accordo con cui le par< convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole una controversia ma comunque non si obbligano al risultato. A$enzione a questo punto: le par< si obbligano a contra$are in buona fede per pervenire a un det risultato ma non si obbligano al raggiungimento del risultato. Quindi se noi trasliamo questo <po di accordo e lo analizziamo con le categorie di obbligazione civilis<ca, in realtà questo <po di obbligazione è di mezzi e non di risultato. O menglio, è un’obbligazione di risultato con riguardo al procedimento (mi obbligo a negoziare in buona fede, ma non mi obbligo al risultato di comporre bonariamente la lite), quindi le par< si obbligano a tentare una conciliazione ma sono sempre libere con riguardo al se e come porre fine alla lite. La seconda ipotesi è quella della cond di procedibilità = impone a par< una certa aFvità. Quando la mediazione e la negoziazione non sono condizioni di procedibilità, pra<camente mai un avvocato si me$erebbe ad aFvare questo <po di procedimento perché, innanzitu$o, il compenso dell’avvocato è inferiore in ques< <pi di procedimento e, in secondo luogo, già i processi sono lunghi, quindi se mi me$o a fare la negoziazione e la mediazione allungherò ulteriormente i procedimen<. Tra l’altro, non ho nemmeno il vantaggio di usufruire dell’indennità della legge Pinto (L. 89/2001), legge che prevede che, oltre un certo termine di durata dei procedimen<, la parte ha diri$o ad una indennità per chi è stato violato il suo diri$o a una effeFvità della tutela giurisdizionale. Nei procedimen< di negoziazione e mediazione, anche quando sono condizioni di procedibilità, il termine di quei 3 mesi per il procedimento estendibile fino a 6, non è calcolato ai fini della legge Pinto. Quindi in realtà non c’è veramente nessun interesse delle par< ad aFvare ques< <pi di procedimen< quando non è condizione di procedibilità della domanda. Casi di negoziazione obbligatoria, quelli da art. 3 del decreto 132/2014. Abbiamo 2 casi: 33) Caso delle controversie che riguardano il risarcimento del danno da circolazione di natan<, qualunque sia il valore della controversia 34) Quando si ha la domanda di pagamento a qualsiasi <tolo di somme di denaro fino a un valore di €50mila. In ques< casi ci sono delle eccezioni. La prima eccezione è quella prevista dal caso di circolazione di natan<, in questo caso qualsiasi sia il valore si deve sempre aFvare la negoziazione. Si ha poi l’eccezione dei casi dei contraF conclusi tra professionis< e consumatori, quindi anche in ques< casi pure se la somma di denaro rientra in quelle previste dalla negoziazione non si ha condizione di procedibilità. Infine, quando la parte potrebbe stare in giudizio anche personalmente, quindi il giudice di pace, e poi tuF i casi che rientrano nell’ambito di applicazione del comma 1 dell’art. 5 del decreto 28, ossia i casi in cui è condizione di procedibilità la mediazione. Quindi nei rappor< tra mediazione e negoziazione c’è da ricordare che prevale sempre la mediazione, ciò anche qualora non vi sia uno spazio di sovrapposizione nei termini descriF, ossia anche qualora la parte potrebbe scegliere tra mediazione e negoziazione. Prevale sempre la mediazione, non solo perché ce lo dice la le$era della disposizione ma perché c’è una maggiore tutela della parte all’interno della mediazione, perché mentre nella negoziazione noi abbiamo l’assistenza delle par< soltanto con gli avvoca<, non c’è un sogge$o terzo che dirige il procedimento o che comunque si pone in senso terzo rispe$o alle par<, nella mediazione invece ciò accade. Quindi anche per una ragione di maggiore efficienza del procedimento rispe$o anche al <po di risultato che può essere perseguito, in realtà vale di più il procedimento di mediazione. L’altro mo<vo si preferisce, in caso di sovrapposizione, la mediazione è perché c’è un criterio di de$aglio più specificato. Cioè ci sono <pi di controversie più de$agliate che prevalgono invece su una considerazione meramente numerica di risarcimento del danno o comunque di una richiesta di credito che viene fa$a all’interno della mediazione. Altre considerazioni sulla negoziazione: 35) La convenzione deve avere forma scri$a per nullità 36) Occorre sempre assistenza di uno o più avvoca< per ogni parte 37) Il termine minimo per l’espletamento del procedimento è di 1 mese, quindi le par< si obbligano a tentare la conciliazione per almeno 1 mese 38) Il termine massimo è di 3 mesi Termine minimo: 1 mese Termine massimo: 3 mesi 39) Anche qui, per quanto riguarda i limi< oggeFvi, non deve riguardare i diriF indisponibili. 40) Anche nel caso della negoziazione abbiamo dei procedimen< che, in tu$o o in parte, anche se rileva l’ambito di applicazione, la mediazione non cos<tuisce condizione di procedibilità. Quindi anche in questo caso per procedimen< di ingiunzione, proc per decreto ingiun<vo, con la differenza rispe$o alla mediazione che in questo caso non si ha il problema di chi deve aFvare il proc di mediazione a seguito della pronuncia sull’istanza, perché in questo caso la norma ci dice che per tu$o il corso del procedimento, sia nella fase monitoria sia nella fase dell’opposizione, non si applica la condizione di procedibilità. 41) Anche in questo caso c’è il riferimento al proc in camera di consiglio, anche in questo caso c’è l’ipotesi civile esercitata nel proc penale. 42) Infine, anche i casi di consulenza tecnica preven<va ai fini di conciliazione della lite. Ul<mo aspe$o su negoziazione = efficacia dell’accordo. Accordo eventualmente raggiunto in sede di negoziazione è anche in questo caso la conciliazione. La conciliazione ha efficacia sempre di <tolo esecu<vo e può cos<tuire anche <tolo per iscrizione di ipoteca giudiziale ma, affinché ques< effeF si producano, sono necessarie 2 condizioni: 1) Che il verbale di conciliazione sia so$oscri$o dalle par< e anche dagli avvoca< 2) Con riguardo ai contraF soggeF alla transazione, quindi contraF elenca< dal 2643, oltre alla so$oscrizione delle par< e degli avvoca<, è necessaria anche l’auten<cazione/so$oscrizione del pubblico ufficiale. non giunge a un negozio che le par< concludono tra di loro perché la decisione che risolve la lite è eterodeterminata, cioè viene da un sogge$o terzo (sogge$o diverso dalle par<). Vi è una dinamica un po’ simile a quella del processo, tanto che alcuni parlano di cd. GIUDICE PRIVATO, che eme$e una decisione. Quindi le par< si trovano d’accordo nel seguire il percorso arbitrale, deferire la controversia in arbitre anziché proporre la domanda davan< al giudice e quegli arbitri risolveranno la controversia mediante un cd. LODO ARBITRALE. Il lodo arbitrale cos<tuisce quella che noi nel processo chiamiamo SENTENZA. Il giudizio degli arbitri si esprime nel lodo arbitrale. Quindi non sono le par< a decidere tra di loro come risolvere la controversia ma rime$ono la decisione a un terzo (l’arbitro). Nel ns ordinamento à diverse forme arbitrali. Le 2 più importan< come MODELLI: 5) Arbitrato rituale (806 ss cpc) à cd. perché regolato dal codice DI RITO (= cpc). a. Cara$eri essenziali: i. Disponibilità dell’oggeOo della controversia à le par< dispongono della lite nel senso che ne rime$ono la decisione della controversia a un terzo e non al giudice. NB. Questo presupposto (cioè che la lite – o meglio, l’ogge$o della controversia - sia disponibile) è comune a tu$e queste procedure arbitrali, come anche ai procedimen< di negoziazione e mediazione. All’art. 806 si trova proprio questa come condizione di arbitrabilità. ii. Decisione (lodo) ha effe$ della sentenza (ex art. 824 bis cpc) 1. L’art. 824 bis a$ribuisce al lodo gli effeF della sentenza. 2. Quali? Quelli del 2909 cc. 3. Il procedimento arbitrale darà luogo a una decisione (non è un provvedimento) che si chiama “lodo” e che ex art. 824 bis ha gli effeF della sentenza. 4. In do$rina c’è stato un dibaFto sulla natura del lodo arbitrale e del procedimento arbitrale in generale, da Iovenda contro Mortara e poi Sa$a e poi Ricci e poi tan< autori illustri che si sono occupa< della natura dell’arbitrato. Per alcuni ha natura giurisdizionale, per altri contra$uale. A fronte di questa norma, quando introdo$a, coloro che sostenevano la natura giurisdizionale hanno de$o di aver ragione loro perché ha gli effeF della sentenza, mentre gli altri hanno de$o di aver ragione perché NON è una sentenza ma ha gli EFFETTI della sentenza. a. Il ns ordinamento disciplina l’arbitrato come uno strumento in massima parte equipollente alla giurisdizione, anzi con la riforma Cartabia alcuni elemen< di divaricazione sono sta< emenda<. Ad oggi, è certo che l’arbitrato abbia un fondamento negoziale (e lo vedremo, perché non c’è arbitrato se non a fronte di una convenzione arbitrale che ha natura negoziale ma questa convenzione dà luogo a un procedimento e conduce a degli effeF equipollen< a quelli della giurisdizione, salvo qualche piccola cosa. C’è una linea di poli<ca del diri$o indiscu<bilmente orientata in questa direzione). 824 bis è una norma che a livello sistema<co conferisce all’arbitrato questo <po di connotazione, come anche altre norme che vedremo. iii. Efficacia esecu/va (825 cpc) à questo ar<colo prevede una procedura a cara$ere giurisdizionalvolontario volta per conferire al lodo efficacia esecu<va. a. Comma 2 = prevede la comunicazione alle par< b. Comma 3 = prevede la possibilità di proporre reclamo davan< alla Corte d’ Appello. Quindi noi abbiamo un lodo che produce gli effeF della sentenza, quelli ex art. 2909, efficacia di accertamento, se ha la condanna produce l’ac%o iudicato e poi per essere trascri$o o per poter essere messo in esecuzione occorre fare questa procedura molto snella ex art. 825. iv. Il lodo è sogge$o ad alcune impugnazioni previste ex art. 827. Il lodo è sogge+o all’impugnazione per nullità, per revocazione e per opposizione di terzo. a. Impugnazione per nullità à si propone alla Corte d’Appello. È una specie d’appello nel senso che nella sequela procedimentale noi abbiamo un procedimento davan< agli arbitri e poi con l’impugna<va di nullità davan< alla giurisdizione della corte d’appello. Ma come vedremo nei mo<vi dell’829, l’impugna<va di nullità non ha nulla a che fare con l’appello perché è molto molto più simile di un ricorso per Cassazione. Se ricordate la classificazione generale dei mezzi di impugnazione, o c’è il mezzo di gravame (quindi un esame dire$o delle ques<oni) o c’è l’azione di impugna<va (cioè controllo della decisione del provvedimento). L’azione di nullità è appartenente al secondo genus. Noi abbiamo dei mo<vi limita< e specifici di nullità del lodo e possiamo andare in corte d’appello per contestarne il contenuto. Per altro, per far capire quanto sia diversa l’azione di nullità da un appello, in appello noi sappiamo che al ne$o delle differenze che troviamo nell’appello a$uale rispe$o a quello tradizionale del cpc, possiamo chiedere un sindacato nel merito della decisione (cosa che non possiamo fare in Cassazione) e con l’azione di nullità noi possiamo far valere solo violazioni di diri$o (errores in iudicando e in procedendo). Per violazioni di norme di diri$o e non per un’erronea ricostruzione del fa$o storico. In linea generale, a fronte di una decisione, al ne$o di diversi regimi par<colari: o si va dal giudice e provocate dal giudice superiore un potere che ha la stessa natura del giudice a quo (e quindi si sta nella stru$ura del riesame), cioè il giudice fa esa$amente la sua aFvità cogni<va, ha la stessa natura del giudice che ha emesso la pronuncia. Poi c’è un problema di effe$o devolu<vo, magari le ques<oni che tra$erà saranno più ristre$e o più ampie ma questo non c’entra nulla col problema della natura del potere del giudice. Il giudice ha lo stesso potere, della stessa natura qualita<vamente parlando e non quan<ta<vamente, rispe$o al giudice a quo (riesame, gravame). Per l’azione di impugna<va invece l’ogge$o del giudizio non è la controversia e il giudice non esercita lo stesso potere: l’ogge$o del giudizio è la decisione, o meglio il provvedimento, o meglio ancora tu$e le micro-decisioni in cui si ar<cola il provvedimento. E si va a chiedere al giudice un potere che è completamente diverso rispe$o a quello precedente, perché si va a chiedere al giudice di verificare l’esistenza di un certo errore, di un certo vizio che è nel provvedimento (siamo su due prospeFve differen<). Questo è un modello di arbitrato, quello principale (arbitrato rituale). 6) Arbitrato irrituale (o cd. libero) –> “il bru$o anatroccolo della faccenda” perché dà un sacco di problemi. Nonostante sia un is<tuto da cui fuggire a gambe levate, c’è una prassi che meriterebbe un approfondimento psicanali<co che con<nua a inserire/a prevedere arbitra< irrituali. Quindi non è infrequente trovarsi davan< a un arbitrato irrituale (nei contraF predispos< da commercialis<, da chi non ha par<colare dimes<chezza con il diri$o processuale civile, me$ono queste clausole: “in caso di controversia insorta dalle par< in riferimento al presente contra$o, la controversia sarà deferita ad arbitri che decideranno secondo equità, come amichevoli compositori della lite, ecc – tu$e formule che indicano un arbitrato irrituale oppure si dice proprio - tramite arbitrato irrituale”. a. Come nasce questo is/tuto? Nasce a fine 1800, sopra$u$o in materia di lavoro. È espressamente riconosciuto da una sentenza della cassazione del 1904 come un fenomeno interamente negoziale in cui le par< danno mandato ad altri soggeF (arbitri) di risolvere la loro controversia mediante un contra$o. Questa prassi si svolge assolutamente al di fuori del codice di rito (cpc), tanto che quando nasce il cpc non fa menzione all’arbitrato irrituale (anzi si chiama irrituale perché non è quello previsto dal cpc!!!). L’irrituale è un fenomeno di fuga dal rituale. Gli arbitri usano questo strumento per non applicare il cpc del 1865 (in cui l’arbitrato era anteposto alla giurisdizione, cioè si trovava all’inizio del codice e non alla fine). b. Quindi che cos’è questo arbitrato irrituale? Ha diverse ricostruzioni. Es. è un mandato a transigere, un mandato a rinunciare e transigere, un mandato a porre in essere un negozio di accertamento che non si sa bene che cosa sia (nel senso che la natura è molto diba$uta). Certo è che la decisione è quel negozio che le par< avrebbero potuto prendere loro dire$amente. Cioè A e B hanno una lite, potrebbero tra$are loro e arrivare a una transazione che conclude A e B. A dice “mi rappresenta C”, B dice “mi rappresenta D”. Tra$ano C e D e in forza del mandato che li lega ad A e B scrivono il lodo dove dicono: “Tizio deve questo, rinuncia a quest’altro ecc”. Hanno un’aFvità puramente negoziale dall’inizio alla fine. Dall’inizio, perché l’accordo è “facciamo l’arbitrato irrituale”; alla fine, il lodo ha natura contra$uale. c. Perché nasce questa figura sopraOuOo in materia di diri$ del lavoro? 4) se gli arbitri non si sono a2enu+ alle regole imposte** dalle par+ come condizione di validità del lodo; 5) se non è stato osservato nel procedimento arbitrale il principio del contraddi2orio. (la do$rina dice: come ci può essere contraddi$orio se è un problema di potere disposi<vo? Evidentemente altro. E pure la giurisprudenza dice: no, è potere disposi<vo). Al lodo contra+uale non si applica l'ar%colo 825 (quindi vuol dire che non posso andare a depositarlo per o$enere quell’efficacia esecu<va di cui all’art. 825. Il lodo però, in quanto contra$o, potrebbe essere <tolo esecu<vo per ragioni proprie. Perché magari è stato auten<cato. Ma lasciamo da parte questa cosa. Il lodo irrituale si dice che non abbia efficacia esecu<va; il lodo rituale ha effe$o della sentenza e può acquistare efficacia esecu<va; il lodo irrituale non ha gli effeF della sentenza bensì del contra$o e non può acquistare efficacia esecu<va). *quindi il lodo si impugna come un contra$o, il lodo è un contra$o come se le par< l’avessero so$oscri$o loro! Quindi vai dal TRIBUNALE in primo grado (non dalla corte d’appello!) e lo impugni con un’azione di annullamento ma annullamento par<colare perché i mo<vi sono quelli indica< dal comma 2, da 1 a 5. **regole imposte, per la do$rina potrebbero anche essere quelle di diri$o sostanziale, ma per la giurisprudenza le regole imposte sono quelle della procedura arbitrale. Seconda parte della lezione Prof racconta che sta seguendo una causa dove un avvocato rappresenta un altro e si me$ono d’accordo con un certo compenso per fare un certo processo. Compenso effeFvamente basso. Si capisce che c’è qualcosa dietro questo accordo. Ma è un accordo fa$o per iscri$o tra avvoca< quindi no problem. Vincono il processo e l’avvocato che rappresentava l’altro dice che quest’ul<mo gli deve quanto il giudice ha liquidato in corte d’appello. Fanno il decreto ingiun<vo e non allegano l’accordo. Lo menzionano ma non lo allegano. Il prof si oppone e, visto che è materia di avvoca<, applica il rito semplificato. Dice che c’è un accordo… e vede quello che dice la controparte. La controparte comincia a dire che c’erano altri accordi ecc ecc. Il prof dice “ok ma c’è accordo scri$o”, quindi prova a provarlo con tes<monianza (chiede ammissione capi tes<moniali) ma ex 2722 le tes<monianze sono inammissibili perché sono paF coevi o preceden<. Poi dice che la clausola è nulla perché c’è una legge recente sull’equo compenso tra avvoca< e mul<nazionali. Ma il prof specifica che ques< sono 2 avvoca<, non c’entrano con le mul<nazionali. In ogni caso, il prof, visto che ques< hanno fa$o il decreto ingiun<vo senza allegare l’accordo, chiede al giudice in udienza gius<ficato mo<vo del rito semplificato, se gli concede due termini per poter ar<colare meglio (perché sono profili di diri$o complica<). Il giudice si riserva con ordinanza. Non concede il gius<ficato mo<vo perché ha ar<colato già le difese in udienza e il giudice reputa ammissibili tuF i capi di prova, dal primo al sesto, cioè tuF. Quindi, il prof ha capito che ha perso, ma il punto è: come ha fa$o il giudice ad amme$ere ques< capi di prova? Fare una valutazione circa l’esito di una causa oggi è quasi impossibile perché, secondo il prof, su questa causa l’altra parte sta veramente in salita, eppure già questa è una sentenza scri$a perché amme$erà i capi di prova, gli dirà che c’erano altri accordi e se ne fregherà dell’accordo scri$o. Ma come fa? È nullo? Perché va rimosso quell’accordo! Applica la norma<va in via analogica? Come si fa? Ri<ene che ci sia qualche principio di prova per iscri$o? Perché il 2700 e qualcosa (prof non ricorda quale esa$amente) diceva che se c’è un principio di prova per iscri$o possono essere ammesse le prove tes<moniali. Ma me le devi rilevare d’ufficio! Mi devi dare la possibilità di contraddire sul punto! Niente, silenzio. Niente gius<ficato mo<vo. Quindi il prof prevede questo: ci sarà l’udienza dove verranno sen<< i tes<moni, poi FORSE concede un altro termine (perché lì c’era la fase semplificata della decisione) o decide subito dando le$ura del disposi<vo, oppure fissa un’altra udienza per la discussione orale. Al prof non piace andare a discutere di ques<oni di diri$o in via orale, meglio me$erlo per iscri$o. Ma non lo darà nemmeno quello. Quindi arriverà il provvedimento dove non ci sarà stato un contraddi$orio vero, reale. Probabilmente c’è pure una terzia via: appello. Torniamo all’arbitrato irrituale. Dicevamo che noi abbiamo ques< due oppos< modelli. All’arbitrato irrituale dobbiamo dedicare ancora un po’ di a$enzione perché esso è il tassello che ci mancava per riprendere per sommi capi il discorso su tu$e quelle procedure di conciliazione che avevamo visto essere anteposte al processo del lavoro. Se torniamo al 410 cpc à questo ar<colo prevede un tenta<vo di conciliazione, che prima era obbligatorio ma oramai è facolta<vo, e al 410 si coordina il 412. 412 à prevede che in qualunque fase del tenta%vo di conciliazione, o al suo termine in caso di mancata riuscita, le par% possono indicare la soluzione, anche parziale, sulla quale concordano, riconoscendo, quando è possibile, il credito che spe+a al lavoratore, e possono accordarsi per la risoluzione della lite, affidando alla commissione di conciliazione il mandato a risolvere in via arbitrale la controversia. Nell’ambito di questa procedura concilia%va le par% possono accordarsi e rime+ere a quella commissione anche la soluzione della lite in via arbitrale (che è irrituale, ora lo vedremo). Quindi abbiamo una procedura di conciliazione nell’ambito della quale si potrebbe istaurare una procedura arbitrale irrituale. Il comma 2, al punto n. 2, dice che nel conferire il mandato per la risoluzione arbitrale della controversia, le par% devono indicare: le norme invocate dalle par% a sostegno delle loro pretese e l'eventuale richiesta di decidere secondo equità, nel rispe+o dei principi generali dell'ordinamento e dei principi regolatori della materia, anche derivan% da obblighi comunitari. Il lodo emanato a conclusione dell'arbitrato, so+oscri+o dagli arbitri e auten%cato, produce tra le par% gli effeK di cui all'ar%colo 1372 e all'ar%colo 2113, quarto comma, del codice civile. Il lodo è impugnabile ai sensi dell'ar%colo 808-ter […]. 412 quater à prevede un meccanismo che per alcuni versi è a par< inver<te. Cioè noi abbiamo: una procedura facolta<va (cioè le par< devono essere d’accordo) arbitrale nell’ambito della quale c’è anche un tenta<vo di conciliazione. Quindi lì avevamo una procedura concilia<va nell’ambito della quale ci potrebbe essere un arbitrato, mentre qui abbiamo una procedura facolta<va all’interno della quale ci sarà un tenta<vo di conciliazione. Dire che in questo procedimento si svolge un’aFvità disposi<va ci vuole un bel coraggio! Si parla di domanda, di eccezioni, di faF, di domanda riconvenzionale, questo è un processo! Eppure, la Cassazione con<nua a dire che ha cara$ere disposi<vo. Cioè nel 412 quater si vedono proprio i termini tecnici del processo che evocano inevitabilmente un’aFvità di accertamento. Anche qui avremo un lodo che ha gli effeF del contra$o ed ha efficacia esecu<va in deroga all’ul<ma parte del comma 2 dell’808 ter, se auten<cato. In cosa consista questo “se auten<cato” non si sa. Problema tecnico non di poco conto: il fa$o che si richieda l’autorizzazione è come se questo lodo-contra$o rientrasse nel 474 n. 2 dove dice “scri$ura privata auten<cata” ma sappiamo tuF che quest’ul<ma vale solo per l’espropriazione forzata, cioè solo in riferimento alle obbligazioni che hanno contenuto pecuniario. Mentre qui questa limitazione non c’è. Poi l’art. 412 ter prevede altre modalità di conciliazione arbitrale prevista dalla contra$azione colleFva. Ma quale arbitrato? Rituale o irrituale? E anche quello irrituale avrà gli effeF previs< dal 412 o 412 quater? Perché la legge non lo prevede. Regna molta incertezza rispe$o a queste cose, quindi, è assolutamente sconsigliabile seguire ques< percorsi perché si rischia di avere in mano un lodo la cui efficacia potrà essere contestata proprio ad infinitum. Anche perché, se prendiamo l’art. 806 à esso rispe$o all’arbitrato rituale prevede che le controversie di cui all’art. 409 possono essere decise da arbitri solo se previsto dalla legge o nei contraK o accordi colleKvi di lavoro. Ma, se notate, gli accordi ai contraF non sono quelli so$oscriF dalle associazioni sindacali maggiormente rappresenta<ve! Quindi anche qui c’è una an<nomia alla quale il legislatore non ha posto a$enzione. In sostanza, noi abbiamo l’arbitrato rituale (808 ter), poi abbiamo queste procedure di conciliazione/arbitrato previste in materia giuslavorista. Gli effeF parrebbero anche esecu<vi ma si può discutere in cosa consista questa benede$a auten<ca prevista dalle norme che abbiamo citato. Peraltro, è anche prevista la possibilità di amme$ere procedure di conciliazione arbitrale previste in accordo dai contraF colleFvi ma sigla< dalle associazioni maggiormente rappresenta<ve, ma rispe$o a queste procedure non si sa che natura possano avere. Quindi, arbitrato rituale a destra e voi a sinistra se volete tutelare il vostro cliente! Se invece volete usarlo, questa è un’oFma strada per impantanare il contenzioso in mille eccezioni e mille cavilli giuridici dai quali si uscirà solo con molta fa<ca e molta incertezza. Torniamo sull’arbitrato rituale. Ora facciamo un esame più approfondito. Il fondamento dell’arbitrato è negoziale, cioè le par< devono essere d’accordo: andiamo dal giudice o andiamo dall’arbitro. 7) Come si forma questo accordo? Ci sono 2 forme principali: compromesso o clausola compromissoria. Cioè la convenzione arbitrale prevista dal cpc può avere due diverse forme, a seconda che la controversia sia già insorta oppure in riferimento a una controversia futura ed eventuale. L’art. 808 pone il limite: i diriF devono essere disponibili. Se i diriF sono semi-disponibili, come quelli del lavoratore, deve essere previsto dai contraF colleFvi. Poi, descri$o il perimetro entro cui possiamo operare, entro cui è legiFma la scelta (perché se la controversia è non arbitrabile non produce nessun effe$o il compromesso o la clausola compromissoria), la convenzione arbitrale è disciplinata dagli ar$. 807 e 808. Il compromesso si riferisce alla prima ipotesi de$a pocanzi, cioè a lite già insorta. Noi abbiamo una lite già sorta e le par<, a lite sorta, decidono che preferiscono andare in arbitrato. 807: il compromesso deve, a pena di nullità, essere fa$o per iscri$o e determinare l’ogge$o della controversia. Il comma 2 indica alcune modalità con cui si può esprimere cosa si intende per forma scri$a. Ad esempio, a parte il telegrafo non di uso comune, si riferisce al messaggio telema<co (pec). Notare che noi potremmo avere una controversia rispe$o a ques<oni che non richiedono la forma scri$a ma il compromesso comunque lo deve avere (ab sustan%am si ri<ene). 808 clausola compromissoria. Qui vediamo ancora meglio come il regime formale della convenzione arbitrale sia diverso dai regimi che potrebbero riguardare il thema decidendum, perché se io ho un contra$o che potrebbe anche essere concluso in forma orale, ciò non mi esime dallo s<pulare la clausola compromissoria in forma scri$a. Prof: questa è una bella domanda perché il problema dell’arbitrato irrituale pone la ques<one di cui al comma 1 dell’808 ter. L’ul<ma parte del comma 1 dice: Altrimen% si applicano le disposizioni del presente %tolo. Questa norma in prima approssimazione è chiara ma se ci ragioni un po’ di più < rendi conto che tu$a questa chiarezza non c’è. In prima approssimazione si capisce perché, ok, se è arbitrato irrituale non è rituale e quindi non si applicano le norme dell’arbitrato rituale. E grazie. Ma se poi c’è un profilo della procedura irrituale che non è regolato, come si fa? Secondo il prof si procede in via analogica, cioè non lo si può applicare dire$amente ma non si trovano par<colari ostacoli a procedere analogicamente. Però, anche qui, non abbiamo una giurisprudenza sostanziosa, solo la Cassazione che ha perso tempo a dire, in riferimento ad alcune norme, quali si potevano applicare in via analogica o no. Ma sono molto poche. La soluzione quindi dovrebbe essere che si applica in via analogica. Quale sarebbe l’alterna<va? Esempio, se gli arbitri sono avvoca<, si può chiedere la liquidazione dei compensi come aFvità professionale e quindi segue il percorso di liquidazione tradizionale degli avvoca<. Sennò si deve proporre in giudizio processo autonomo per accertare i compensi che gli spe$ano come arbitro (ma è una follia). Quindi la soluzione in via analogica per il prof è la più corre$a. Gli arbitri non debbono essere per forza avvoca< ma possono essere professionis< par<colarmente esper< della materia (es. controversia nasce da un appalto che implica la verifica anche di ques<oni tecniche e allora nomino un archite$o o un ingegnere. Ma anche no. Se ho bisogno di una consulenza tecnica nomino un CTU nell’arbitrato! Perché l’ingegnere è poi chiamato anche a esprimersi sulle ques<oni giuridiche e fanno i “capiscioni” e pensano di potersi muovere nell’ambito giuridico al pari. Quindi è più opportuno nominare giuris< e poi, semmai, il collegio nominano i CTU). In ogni caso è pacifica la giurisprudenza della cassazione che dice che, se gli arbitri sono avvoca<, i loro compensi si liquidano come avvoca<. E non collegialmente ma uno ciascuno, cioè il valore della controversia e ogni arbitro prende il suo compenso. Quindi la procedura arbitrale non è il massimo dell’economicità per le par<. 10) Perché accedi alla procedura arbitrale? Perché questa procedura < garan<sce una decisione subito. E < garan<sce una decisione che è difficoltosamente impugnabile. Perché l’impugnazione davan< alla corte d’appello è obieFvamente molto limitata. Caso ricordato dal prof: qualche anno fa dove$e spiegare a un noto ar<sta questo problema e lui non capiva. Diceva: “ma io ho ragione, non posso andare dal giudice a chiedere questo?”. Il prof diceva che non ci poteva andare perché non è un appello! Dopodiché, seguono una serie di altre ques<oni. La ques<one che merita di essere approfondita preliminarmente è stre$amente legata al problema della convenzione arbitrale vista dal punto di vista del processo. Sia del processo arbitrale che quello giurisdizionale statale. Perché? Perché uno dei problemi più delica< aFene al rapporto tra giudice civile e arbitro, tra arbitrato e processo civile. Noi sappiamo che quando dobbiamo introdurre una controversia, si può porre un problema di controversia. Allora, una parte dice che è competente quel giudice e l’altra parte dice che è competente l’altro giudice. Similmente si può porre questo problema: una parte dice che è competente l’arbitro e un’altra parte dice che è competente il giudice. E si potrebbe dire: “ma so schizofrenici ques<, hanno fa$o la clausola compromissoria!”. Eh, dipende perché potremmo dire che l’ogge$o della lite è indisponibile, potremmo dire che quindi non si poteva fare arbitrato (la lite è incompromeFbile). Oppure potremmo dire che la controversia è al di fuori dell’ambito applica<vo del compromesso e della clausola compromissoria: e quindi, io dico che bisogna andare dai giudici, mentre l’altro dice che bisogna andare dagli arbitri. 11) Come si risolve questo problema di concorso di giudizi? Si risolve sul piano della competenza. 12) In che senso? Nel senso che il potere dell’arbitro di decidere è tra$ato dal nostro codice come se fosse una ques<one di competenza. 13) E da cosa dipende la competenza dell’arbitro? Dipende dall’esistenza, validità e contenuto della convenzione arbitrale. Cioè se ovviamente la competenza del giudice deriva dall’ordinamento, la competenza dell’arbitro deriva dall’accordo. Quindi il problema della competenza dell’arbitro è stre$amente legata al contenuto, c’è o non c’è la convenzione arbitrale, va interpretata in maniera o in un’altra, è valida o non è valida, qual è il suo ambito oggeFvo. Ques< sono tuF profili da cui dipende l’esserci o non esserci la competenza dell’arbitro. Allora, ci sono 2 norme che disciplinano questa ques<one. Una guarda al problema dal punto di vista dell’arbitrato e l’altra dal punto di vista del giudice. 14) Cosa succede se in una procedura arbitrale una parte eccepisce l’incompetenza dell’arbitro? 15) E cosa succede, al contrario, se in un processo la parte eccepisce l’incompetenza del giudice in forza della presenza di un compromesso, di una clausola compromissoria o di una conv arbitrale? Ecco, queste 2 norme sono gli arH. 817 e 819 ter. 817 guarda il problema dal punto di vista del processo arbitrale. Se la validità, il contenuto o l'ampiezza della convenzione d'arbitrato o la regolare cos%tuzione degli arbitri sono contestate nel corso dell'arbitrato, gli arbitri decidono sulla propria competenza(1). Questa disposizione si applica anche se i poteri degli arbitri sono contesta% in qualsiasi sede per qualsiasi ragione sopravvenuta nel corso del procedimento. Questo vuol dire che gli unici signori della propria competenza sono gli arbitri stessi! Cioè se A incardina la procedura arbitrale e B propone la domanda giudiziale, non è che B, proponendo la domanda giudiziale, dirà che A ha proposto agli arbitri ma la competenza è del giudice. Ognuno dei due deciderà a modo proprio! Cioè gli arbitri decideranno della loro competenza e i giudici della propria. Paradossalmente, i processi potrebbero andare in parallelo. Anche questa è una regola a favore dell’arbitrato, perché nessuno può andare a dire all’arbitro se è competente o meno. Spe$a a lui solamente dirlo. Però la parte lo deve dire subito. Sia da una parte che dall’altra. InfaF, prosegue la norma: La parte che non eccepisce nella prima difesa successiva all'acce+azione degli arbitri l'incompetenza di ques% per inesistenza, invalidità o inefficacia della convenzione d'arbitrato, non può per questo mo%vo impugnare il lodo, salvo il caso di controversia non arbitrabile (perché la controversia non arbitrabile priva di qualunque <po di effe$o il compromesso. È tamquam non esset). La parte, che non eccepisce nel corso del procedimento arbitrale che le conclusioni delle altre par% esorbitano dai limi% della convenzione d'arbitrato, non può, per questo mo%vo, impugnare il lodo. Vediamo 2 casi: Una parte propone la domanda arbitrale e gli arbitri acce$ano l’incarico. La controparte non eccepisce l’incompetenza arbitrale. C’era o non c’era competenza, c’era o non c’era l’accordo, ormai non rileva più. È come se l’accordo si fosse dinamicamente venuto a realizzarsi nell’ambito del procedimento arbitrale. Addiri$ura, nell’ambito del procedimento arbitrale, le conclusioni di una delle par< sono più ampie rispe$o a quello previsto nella convenzione arbitrale. Quindi vuol dire che in parte qua l’arbitro non è competente. E la controparte che fa? Lo eccepisce? Bene, allora vuol dire che poi potrà impugnare il lodo per incompetenza in parte qua. Non lo fa? Allora vuol dire che gli piacciono gli arbitri, quindi acce$erà la via arbitrale. Cioè paradossalmente, come poi anche nel processo, potrebbe diventare entro cer< limi< competente l’arbitro che in origine non lo era. Sono casi di competenza cd. dinamica, cioè acquisita successivamente per un accordo che non c’era prima e si raggiunge all’interno del procedimento arbitrale. Ora, come lo coordiniamo il comma 2 dell’817? Come coordiniamo ques< due processi? Studente: “che gli arbitri si dichiareranno incompeten< in quel caso”. Prof: certo, sì, però io sono l’avvocato di controparte e gli dico: “guardi no, perché il comma 2 dice che questa disposizione si applica in qualunque sede per ragioni sopravvenute”. E questa è una ragione sopravvenuta. Quindi ognuno deve decidere la propria. Cioè dobbiamo trovare un modo per dare coerenza, non c’è la soluzione immediata ma va ragionata. Leggete bene la norma. La risposta è nell’817 comma 2, lo stesso dice che questo comma 2 non è un ostacolo. Il comma 1 dice che questa disposizione si applica anche se i poteri degli arbitri sono contesta< in qualsiasi sede per qualsiasi ragione sopravvenuta nel corso del procedimento. MA NELL’ ALTRA SEDE NON SONO CONTESTATI! Nell’altra sede uno ha proposto la domanda e l’altro non ha sollevato l’eccezione, quindi sono d’accordo. Nell’altra sede non c’è una controversia sulla competenza, è un compromesso che è sopravvenuto e quindi la convenzione arbitrale sopravvenuta priva di effeF quella precedente. E quindi il processo arbitrale si dovrà chiudere. Cioè qui abbiamo A che va contro B e B che va contro C. Ipo<zziamo A va contro B e B dice “no, è competente il giudice, tanto che io ho proposto domanda”. Quando A non si oppone significa che anche A è d’accordo. Qui si forma un accordo di deroga al compromesso e quindi gli arbitri perdono per ragioni sopravvenute la propria competenza. E quel comma non ci crea un ostacolo perché dà l’idea che in un’altra sede si discuta, mentre nell’altra sede sono d’accordo. Quindi è la stessa situazione che avremmo nel caso in cui A agisce contro B, B contesta e poi fuori dal processo arbitrale A e B fanno un accordo sui mo<vi della convenzione arbitrale. Potremmo quasi vederla così. Allora ci saremmo dovu< proporre il problema: è come se A sia d’accordo con B e allora il paradosso dovrebbe essere che A nel processo arbitrale con<nua a dire “ma no, non vero che è competente il giudice” e però B gli dice “amico mio, dovevi svegliar< nel procedimento, perché c’è una norma che prevede questo”. In questa ipotesi, il parallelismo dei 2 processi viene meno. Studente: “e la stessa cosa sarebbe all’inverso, cioè se B non eccepisse l’incompetenza dell’arbitrato e magari facesse il processo ordinario?” Prof: “allora, lei dice che A agisce contro B, B non eccepisce. Nonostante ciò, B agisce contro A. A che ha introdo$o l’arbitrato almeno lui speriamo che eccepisca. Se noi diciamo che vale la stessa regola, potremmo dire che, in ipotesi c’è una convenzione arbitrale, poi uno non ha eccepito quindi ci si forma una convenzione sulla convenzione. Cioè gli arbitri erano competen<, vuoi perché lo erano già da prima, vuoi perché lo sono dopo in forza della mancata eccezione. Dall’altro lato, B agisce contro A davan< al processo e B è quello che ha fa$o la seconda convenzione oltre che la prima. A dovrebbe dire a B: “amico mio, cosa stai facendo? Avevamo già la prima convenzione e poi non hai nemmeno eccepito”. Il giudice dovrà pronunciarsi sull’eccezione e in merito all’eccezione potrebbe dire di non essere competente perché c’era la convenzione dall’inizio, ma in ogni caso come rilevato dalla parte non è stata sollevata l’eccezione da un’altra parte e quindi è confermato che le par< devono andare dall’arbitro. È una sorta di compromesso endoprocessuale e quindi il giudice dovrebbe declinare la propria competenza. Non ha senso dire altre ipotesi perché funziona quasi per tu$e alla stessa maniera. Seconda parte della lezione Siamo in perfe$a coerenza con quanto abbiamo finora visto. L’ul<mo comma dell’819 ter ci dice che in pendenza del proc arbitrale non posso andare da un giudice a contestare solo ed esclusivamente la convenzione arbitrale. L’unica cosa che posso fare è proporre la domanda al giudice e vedere in giudizio se si ri<ene competente o meno, però è sempre la stessa regola, ossia ognuno è competente del proprio, non è che posso chiedere una pronuncia del giudice (che non potrebbe avere effe$o comunque nell’altro procedimento). Il che, anche se leggo la norma al contrario, significa che io questo lo posso fare se non pende il procedimento arbitrale, cioè se c’è una convenzione e pende ancora il procedimento arbitrale io potrei proporre questa domanda che porta solo ad o$enere l’accertamento dei profili di invalidità o inefficacia della convenzione. Tra giudici opera il principio della trasla%o iudicii, cioè quando un giudice è dichiarato incompetente e la ques<one non è impugnata (quindi passi in giudicato interno), occorre andare a riassumere la causa davan< al giudice competente e gli effeF della domanda sono faF salvi (il proc prosegue). L’817 non diceva e non dice ancora nulla rispe$o a questo. L’819 ter al comma 2 prevedeva che al rapporto tra arbitrato e processo non si applicano regole corrisponden< agli ar<coli 44 e seguen<, tra cui è previsto questo effe$o di prosecuzione. La Corte cos<tuzionale ha dichiarato incos<tuzionale questa norma e con la pronuncia della corte cost c’era la possibilità di avere la prosecuzione del giudizio MA SOLO IN SENSO: DAL GIUDICE ALL’ARBITRO. La riforma Cartabia è intervenuta ed ha introdo$o l’819 quater e consente la prosecuzione del processo in ENTRAMBE le due direzioni (da arbitrato verso giudice e da giudice verso arbitrato). Leggi art. 819 quater. Quindi adesso con la riforma abbiamo un perfezionamento di questo asse$o perché oramai è pacifico che i rappor< tra arbitrato e giurisdizione siano ques<one di competenza e oramai il coordinamento e passaggio da un proc all’altro segue le regole pressoché assimilabili a quelle che abbiamo tra giudici all’interno del processo pubblico. Delle altre ques<oni che possiamo affrontare sull’arbitrato, sempre nell’ambito dei poteri che possono essere deferi< agli arbitri, e sempre da questo punto di vista prendendo posizione su una recente riforma dell’arbitrato, ancora con la riforma Cartabia è stato esteso un potere che prima era previsto solo per l’arbitrato societario: cioè la possibilità di conferire agli arbitri anche il potere cautelare. Prima della riforma era preclusa agli arbitri la possibilità di esercitare poteri cautelari. Perché? In parte perché questo fenomeno di giurisdizionalizzazione dell’arbitrato è andato un po’ per step e le cose gradatamente sono andate in questa direzione e questo profilo era rimasto un po’ indietro, e dall’altra parte perché il potere cautelare è massima espressione del potere autorita<vo perché il pot cautelare ha anche un’efficacia cos<tu<va <pica (es art 700 – noi nel proc di cognizione, e anche nell’arbitrato, andiamo ad accertare volontà di legge preesisten< il più delle volte, quindi l’arbitro accerta qualcosa che la legge ha stabilito. Il potere cautelare è un po’ par<colare e lo vediamo nell’art. 700 che dice che il giudice può ado$are un provvedimento che è idoneo a garan<re il raggiungimento degli effeF, quindi l’a<picità del potere cautelare ex art 700, che in realtà non posa su una previsione norma<va preesistente, pareva un poì collidere con l’idea di gius<zia privata e riservava di più alla giurisdizione. Oramai questa cosa è venuta meno, quindi anche gli arbitri possono essere <tolari di potere cautelare. Ma ovviamente debbono essere le par< a stabilirlo, quindi l’818 dice che le par< possono a$ribuire agli arbitri (quindi arbitrato amministrato) il potere di concedere misure cautelari, con la convenzione di arbitrato o con un a$o scri$o anteriore all’instaurazione di giudizio di arbitrato. La competenza che verrà a$ribuita agli arbitri è esclusiva. Il comma 2 è rispe$o all’ipotesi della tutela cautelare ante causam, cioè prima che sia incardinato il procedimento arbitrale. L’819 bis parla del reclamo. Perché noi abbiamo l’arbitro che ci concede la misura cautelare. Noi sappiamo che le misure cautelari sono reclamabili. A chi lo propongo il reclamo? La norma dice che il reclamo si propone davan< alla Corte d’appello, secondo le regole ordinarie nel cui distre$o a sede l’arbitrato. Però la norma prosegue dicendo che il reclamo avverso la misura cautelare ha gli stessi limi< che ha l’impugnazione del lodo (per il prof questa soluzione non era affa$o necessaria, perché una cosa è dire che sia opportuno dare al lodo una par<colare stabilità, cioè all’esito di una commissione comunque piena davan< al collegio arbitrale noi abbiamo il lodo che può essere impugnato solo per i mo<vi ex 829 – che sono mo<vi di legiFmità aFnen< al processo – ma per la misura cautelare strumentale per il prof non c’era necessità di prevedere lo stesso regime perché sono rimedi completamente differen<. Cioè per quale mo<vo devo limitare l’impugnazione della misura cautelare?!). So$o il profilo della competenza degli arbitri, ricordiamo che abbiamo visto in pc1 che ci possono essere dei casi in cui la competenza viene modificata per ragioni di connessione, dando luogo a un cumulo oggeFvo di domande davan< allo stesso giudice. Oppure abbiamo visto che ci possono essere dei casi in cui questo cumulo non è solamente oggeFvo ma anche soggeFvo: ipotesi del li<s consor<o facolta<vo originario, oppure li<s consor<o necessario. TuF ques< is<tu< come si ada$ano all’arbitrato? Si ada$ano, entro cer< limi<, ma si ada$ano se muoviamo dalla corre$a premessa che qui la competenza è data dalla convenzione arbitrale. Quindi dobbiamo sempre ragionare in quest’oFca negoziale. Muovendo da questa premessa, vediamo alcune delle norme più problema<che e interessan<: 16) 817 bis con cumulo oggeFvo 17) 819 ques<oni pregiudiziali di merito 817 bis Gli arbitri sono competen% a conoscere dell'eccezione di compensazione, nei limi% del valore della domanda, anche se il controcredito non è compreso nell'ambito della convenzione di arbitrato. Cosa ci dice questa norma? Ricordate nel 35 il problema della compensazione che viene opposta dà luogo a ques<oni di competenza, qui invece, se rimane nel limite entro la domanda, no. Il riferimento al valore della domanda è perché il valore della compensazione opera un’efficacia es<n<va incrociata per cui i due credi< si es<nguono per la quan<tà corrispondente quindi quando io pongo un controcredito all’a$ore, l’unico segmento della domanda del credito posto in compensazione che rileva ai fini del giudizio è quello che ha lo stesso valore della domanda principale. Es. a$ore chiede 100, il convenuto chiede 120, ovviamente il controcredito viene speso in questo processo non per 120 ma per 100, cioè per la quan<tà corrispondente alla domanda principale. Rispe$o a questo contro-credito, l’arbitro può decidere anche se non è coperto dalla convenzione arbitrale? Sì, l’arbitro può decidere del controcredito e quindi, in ipotesi, rige$are la domanda proposta dall’a$ore. 819 Anche qui abbiamo qualche regola favorevole all’arbitrato. Ma con qualche accortezza sul piano interpreta<vo. Gli arbitri risolvono senza autorità di giudicato tu+e le ques%oni rilevan% per la decisione della controversia, anche se vertono su materie che non possono essere ogge+o di convenzione di arbitrato, salvo che debbano essere decise con efficacia di giudicato per legge. Su domanda di parte, le ques%oni pregiudiziali sono decise con efficacia di giudicato se vertono su materie che possono essere ogge+o di convenzione di arbitrato. Se tali ques%oni non sono comprese nella convenzione di arbitrato, la decisione con efficacia di giudicato è subordinata alla richiesta di tu+e le par%. nominare un arbitro che in realtà non è equidistante da B e C perché non hanno la stessa posizione, hanno interessi contrappos<. Quindi in questa ipotesi potrebbero verificarsi dei problemi perché il collegio non si riesce a nominare in termini equidistan< dai diversi poli di interesse tra B e C. Questa è una ipotesi di controversia cd. stellare, cioè sono tuF contro tuF, no posizione omogenea. La cosa che ci interessa è che ci sono 3 <pi di regole. Bisogna garan<re l’equidistanza. Se l’equidistanza non si garan<sce, non si può fare il proc arbitrale plurisoggeFvo. Si faranno diversi procedimen<. Se non si possono fare diversi procedimen<, non si può fare l’arbitrato perché è un li<s consor<o necessario. Per garan<re equidistanza la norma prevede 3 regole: o la nomina un terzo, o si me$ono d’accordo, oppure la prima parte nomina un certo numero di arbitri e le altre due un altro numero di arbitri. Questa regola può funzionare ma non sempre. Dopodiché c’è l’intervento. Forse sull’intervento va fa$o un ragionamento in più (lo faremo la prossima seFmana, quando vediamo l’816 quinquies). Lezione 9 (20 marzo 2024) Scorsa volta: problema dell’arbitrato plurisoggeFvo + problema della nomina del collegio nel caso in cui vi siano più par<. Art. 816 quater. Abbiamo visto che c’è un comma 1 che cerca di garan<re che si venga a cos<tuire un collegio o, in ogni caso, che l’arbitro sia in una posizione di equidistanza rispe$o alle par< ma sopra$u$o dai centri di interesse che ciascuna parte rappresenta. Questo talvolta può capitare, altre volte no. Se non si riesce a cos<tuire un collegio o un arbitro collegiale equidistante, allora occorrerà “spezze$are” l’arbitrato. E se l’arbitrato in realtà riguarda una controversia sogge$a al regime di li<s consor<o necessario, l’arbitrato sarà improcedibile. Ora esaminiamo l’816 quinquies, che riguarda la faFspecie dell’intervento del terzo. Con l’intervento del terzo quest’ul<mo accede al giudizio, acquista la qualità di parte, ci sono diversi <pi di intervento (volontario, cioè il terzo di sua inizia<va interviene, oppure su chiamata della parte ex 106, oppure intervento per ordine del giudice. Poi all’interno dell’intervento volontario c’è quello principale, quello li<sconsor<le o adesivo autonomo e poi al comma 2 c’è il terzo interveniente meramente adesivo che si differenzia dall’altra ipotesi in quanto non propone la domanda ma sos<ene le ragioni delle altre par<). Questa dinamica processuale si può porre anche nel procedimento arbitrale. Ovviamente va ada$a al contesto. 18) Quali sono le variabili che determina questa sorta di ada$amento? Il problema dell’intervento, talvolta, è ostacolato dalla competenza. Qui non ci son profili di competenza, cioè ci sono ma sono aFnen< alla “competenza arbitrale”, cioè il terzo potrebbe essere egli stesso vincolato alla convenzione oppure essere esterno alla convenzione. Poi quando il terzo accede al processo non ci pone solo un problema di accordo tra tu$e le par< circa l’estensione della controversia anche al terzo, ma c’è un problema pure per gli arbitri perché ques< sono lega< da un rapporto di mandato con le par<. Un mandato che consiste nell’espletamento di una professione, quella dell’arbitro, del giudicare gli arbitra<. Noi sappiamo che l’arbitro una volta nominato deve acce$are e acce$a sulla base di una serie di considerazioni sue personali, di opportunità, di ogni <po ma in ogni caso è libero di acce$are come di non acce$are. Quando arriva il terzo, questo stesso problema si pone nuovamente. Nel senso che l’accesso nel proc arbitrale da parte del terzo dipende dalla volontà degli arbitri, o può dipendere, oltre alla volontà delle par< originarie. à vediamo come regola ques< problemi l’816 quinquies. 816 quinquies “Intervento di terzi e successione nel diri$o controverso” Comma 1 L'intervento volontario o la chiamata in arbitrato di un terzo sono ammessi solo con l'accordo del terzo e delle par% e con il consenso degli arbitri. a. Perché ci deve essere l’accordo e consenso di tuF ques< soggeF, alla luce delle premesse? Accordo (terzo + par<) + consenso (arbitri) Ma sopra dice “intervento volontario” e “chiamata in arbitrato” che sono due faFspecie diverse. Se io sono terzo che interviene volontariamente, il mio consenso c’è? Certo, sono io che decido, nessuno mi chiama. Il consenso qui è in re ipsa. Invece se c’è la chiamata del terzo da una delle par<, bisogna vedere. Se ho so$oscri$o la convenzione arbitrale, il problema non si pone. Ho dato un consenso preliminare. Se non sono parte della convenzione arbitrale, non mi potete imporre l’arbitrato, perché l’arbitrato obbligatorio è incos<tuzionale. Quindi se io preferisco andarmene dal giudice, me ne vado dal giudice. Quindi la prima cosa è che ci deve essere il consenso del terzo. Poi delle par<. La par< non hanno fa$o la convenzione arbitrale con il terzo e magari sono loro che vogliono andare avan< al giudice con il terzo. Ci può stare. E questo vale tanto se il terzo interviene, quanto se una delle due par< lo chiama in causa. Cioè si deve ricreare quell’ambiente negoziale che governa l’arbitrato. L’arbitrato non è complica<ssimo ma si deve fare solo quello sforzo di ada$amento al contesto che è diverso. Qui abbiamo un contesto che ha una matrice negoziale. Quindi il terzo che è chiamato in causa dice: “ma che volete, io non faccio parte della convenzione! Non mi interessa partecipare al procedimento arbitrale”. Oppure “sì, va bene, mi piace”. Le par< idem, stesso discorso: potrebbero avere entrambi desiderio o voglia di estendere l’arbitrato al terzo oppure preferiscono che la controversia col terzo rimanga fuori dal processo arbitrale. Il terzo non solo acce$a la convenzione arbitrale ma acce$a anche il collegio già cos<tuito. Cioè al terzo gli deve andare bene l’arbitrato e anche il collegio perché il collegio è già stato nominato. Stessa cosa per gli arbitri che, quando arriva il terzo, hanno acce$ato il mandato nei confron< delle par< originari e devono acce$are il mandato del terzo che interviene o terzo chiamato in causa. Implicitamente, nel senso che non c’è un altro a$o di nomina, non ce n’è bisogno perché è già cos<tuito il collegio! Ma l’estensione del contraddi$orio allarga l’ambito del mandato, quindi devono essere d’accordo. Comma 2 Sono sempre ammessi l'intervento previsto dal secondo comma dell'ar%colo 105 e l'intervento del li%sconsorte necessario. b. Perché c’è questo regime che è estremamente liberale rispe$o al precedente (il precedente è condizionato da una serie di presuppos<)? Perché è così? Cioè rispe$o a una faFspecie è più semplice e rispe$o all’altra è più complicato. Perché? Perché non serve il consenso degli arbitri o delle par<? Es. dobbiamo fare un giudizio di divisione tra Tizio, Caio e Sempronio. Tizio e Caio convengono a un compromesso per fare l’arbitrato. Nominano ognuno il proprio arbitro. Gli arbitri acce$ano. Qual è il problema? Andiamo più nel de$aglio. Sorge lite sul diri$o alla divisione del bene in comproprietà tra A, B, C. Sorge lite tra A e B. A conviene con B una convenzione arbitrale dove si dicono che la loro controversia sarà rimessa in arbitrato. Inizia l’arbitrato e gli arbitri acce$ano. Ad un certo punto, arriva C e interviene dicendo “ma dove andate?!”. Né le par< né gli arbitri possono dire niente. Perché? Se io faccio una convenzione rispe$o a una causa che segue il regime di li<s consor<o solo tra me e te, sto sbagliando perché non posso farla. O potrei anche dire che se la faccio tra me e te per quella causa, lo devo sapere che è una causa che segue quel certo regime, perché il regime del li<s consor<o necessario è ex lege. Gli arbitri che acce$ano il mandato e non si sono accor< che è un regime di li<s consor<o necessario sono loro che hanno sbagliato. Lo avrebbero dovuto rilevare. Quando il terzo arriva accede a una convenzione che non comprendeva in origine il terzo ma avrebbe dovuto ricomprenderlo. 5) se il lodo non con%ene i requisi% indica% nei numeri 5), 6) e 7) dell'ar%colo 823; - n. 5 è l’esposizione sommaria dei mo<vi - n. 6 è il disposi<vo - n.7 è la so$oscrizione Se manca disposi<vo, è nullo; se manca so$oscrizione, è inesistente, possiamo applicare il 161 in via analogica. Il n. 5 però sono i mo<vi e corrisponde al vizio di mo<vazione come lo possiamo oggi dedurre in cassazione. Noi sappiamo che con la riforma dell’art. 360, n.5, il vizio di mo<vazione ormai si può far valere solo in quanto sia in corso una violazione dell’art. 132 nella parte in cui prescrive che la sentenza debba essere mo<vata, in coordinato disposto con art. 111 cost che al comma 7 vuole che la sent sia mo<vata. Quindi la cassazione da tempo ha de$o che si può ricorrere in cassazione solo quando manca la mo<vazione e quindi stessa cosa vale nell’impugnazione per nullità del lodo e stessa cosa vale anche in quei casi di mo<vazione che è graficamente presente ma sostanzialmente non c’è. È il caso della cd mo<vazione apparente. NB. Ricordiamo che la cassazione nel dire che si può impugnare la sentenza per nullità, quindi ai sensi del n. 4 del 360 in coordinato disposto con art. 132, dice che il vizio di mo<vazione ricorre quando non c’è proprio (ma omessa mo<vazione vuol dire che su una certa decisione il provv non la mo<va, non invece che non c’è nel senso che manca la parte della sentenza dopo il disposi<vo! Mo<vare = argomentare in diri$o. L’argomentazione in diri$o o è errata o è corre$a. Un problema di argomentazione giuridica è un problema di violazione di legge, quindi è un n. 3 in cassazione). Quindi il dife$o di mo<vazione si ha rispe$o alla ricostruzione del fa$o storico. Rispe$o alla ricostruzione del fa$o storico, anche in arbitrato, il giudice deve mo<vare. È proprio la ques%o fac% che deve essere accertata, quindi se il giudice fa una considerazione che rimane generica o in punto di diri$o, non c’è l’aggancio ai faF di causa, non c’è mo<vazione. È una mo<vazione graficamente pure esistente ma sostanzialmente inesistente, quindi apparente. Alla mo<vazione apparente è equiparata la mo<vazione perplessa. Che significa perplessa? Che il giudice dice “potrebbe”. Al prof è capitato in una sentenza dove il giudice dice “a quanto è dato sapersi”. Ma in che senso? O sei convinto o non sei convinto. A quanto è dato sapersi è una mo<vazione perplessa. Oppure c’è la mo<vazione intrinsecamente contraddi$oria. TuF ques< casi di mo<vazione vizia< possono essere dedoF anche nei confron< del lodo arbitrale, quindi dedoF ex art. 829, comma 1, n. 5. 6) se il lodo è stato pronunciato dopo la scadenza del termine stabilito, salvo il disposto dell'ar%colo 821; 7) se nel procedimento non sono state osservate le forme prescri+e dalle par% so+o espressa sanzione di nullità e la nullità non è stata sanata; - NB. qui la norma ci sta dicendo che, per far valere la nullità del lodo in ragione della nullità del proc arbitrale, non basta che gli arbitri incorrano in una violazione di legge, anche perché l’arbitrato può essere ges<to e organizzato dagli arbitri come meglio credono, purchè sia rispe$ato il contraddi$orio. Quindi se io parte deferisco in arbitrato una certa controversia e voglio che gli arbitri seguano certe regole processuali, non solo devo dire “seguirà le forme del rito di”, ma devo anche aggiungere espressamente che il lodo sarà impugnabile nel caso di violazione delle sudde$e regole. Cioè non basta vincolare gli arbitri all’osservanza di certe forme processuali ma devo volere che la violazione di quelle norme compor< la nullità del lodo. Ovviamente la nullità se sarà una rela<va secondo le regole generali dovrà essere sollecitata subito sennò si sana. 19) Ma perché questa disciplina? Le regole processuali non valgono? Sì valgono. Però a$enzione, perché se andiamo al punto n. 9 questo ci dice “se non è stato osservato nel procedimento arbitrale il principio del contraddi$orio”, quindi noi abbiamo il principio del contraddi$orio come regola generica ma valida sempre. Se poi le par< vogliono che questo contraddi$orio sia ar<colato secondo alcune specifiche forme, lo devono dire e devono dire che la violazione di quelle forme sia mo<vo di nullità. Quindi ci sono 2 livelli. 8) se il lodo è contrario ad altro precedente lodo non più impugnabile o a precedente sentenza passata in giudicato tra le par%, purché tale lodo o tale sentenza sia stata prodo+a nel procedimento; 9) se non è stato osservato nel procedimento arbitrale il principio del contraddi+orio; 10) se il lodo conclude il procedimento senza decidere il merito della controversia e il merito della controversia doveva essere deciso dagli arbitri; 11) se il lodo con%ene disposizioni contraddi+orie; 12) se il lodo non ha pronunciato su alcuna delle domande ed eccezioni proposte dalle par% in conformità alla convenzione di arbitrato. Comma 2 La parte che ha dato causa a un mo%vo di nullità, o vi ha rinunciato, o che non ha eccepito nella prima istanza o difesa successiva la violazione di una regola che disciplina lo svolgimento del procedimento arbitrale, non può per questo mo%vo impugnare il lodo. 20) Questa norma si ricollega al n. 7. Comma 3 L'impugnazione per violazione delle regole di diri+o rela%ve al merito della controversia è ammessa se espressamente disposta dalle par% o dalla legge. È ammessa in ogni caso l'impugnazione delle decisioni per contrarietà all'ordine pubblico. 21) Quindi anche rispe$o alla violazione di legge, se non è espressamente inserita nella convenzione arbitrale il lodo non è impugnabile. Noi abbiamo un lodo che non può essere impugnato per un dife$o nella ricostruzione del fa$o storico, come accadrebbe in appello, non può essere impugnato per violazione di norme di legge, aFnente al rapporto sostanziale ovviamente e quindi il lodo è una scatola chiusa perché i casi in cui si verificano le ipotesi di nullità preceden< sono rari. L’arbitrato è un giudizio privato sos<tu<vo della giurisdizione, vero, ma se le par< lo vogliono allora hanno a disposizione un percorso equipollente perché si giunge a una decisione che ha gli stessi effeF della sentenza (la domanda arbitrale produce gli stessi effeF della domanda giudiziale, può essere trascri$a, interrompe la prescrizione, impedisce la decadenza…). È un percorso equipollente MA A BASE NEGOZIALE. Ormai l’arbitrato si è votato a una stringente impostazione giurisdizionale, nei limi< in cui ci può essere (cioè se le par< lo vogliono), perché la base è negoziale. In ogni caso, noi abbiamo un processo che è vero che produce gli stessi effeF ma non è come un processo che abbiamo davan< al giudice perché le possibilità che abbiamo di impugnare una decisione sono molto più rido$e. Quindi andare in arbitrato significa sicuramente avere una decisione più veloce però, salvo che non si abbia predisposto una clausola compromissoria di una certa maniera (cioè prevedendo le nullità processuali, prevedendo le violazioni della norma di legge), noi abbiamo una decisione che ci dobbiamo tenere così come la o$eniamo. Salvo poi andarsi ad arrampicare per le strade dell’impugna<va di nullità e poi per il successivo ricorso per cassazione. Comma 4 L'impugnazione per violazione delle regole di diri+o rela%ve al merito della controversia è sempre ammessa: 1) nelle controversie previste dall'ar%colo 409 (= controversie di lavoro); 2) se la violazione delle regole di diri+o concerne la soluzione di ques%one pregiudiziale su materia che non può essere ogge+o di convenzione di arbitrato.* Nelle controversie previste dall'ar%colo 409, il lodo è sogge+o ad impugnazione anche per violazione dei contraK e accordi colleKvi (= anche qui per controversie giuslavoris<che). 22) *noi abbiamo visto che l’arbitro può conoscere la ques<one pregiudiziale anche se questa non è ogge$o di convenzione arbitrale e anche se non poteva esserlo perché ha ad ogge$o materie non compromeFbili, cioè diriF indisponibili. L’unico limite che abbiamo visto sussistere è quando questa ques<one pregiudiziale deve essere accertata con efficacia di giudicato e non è compromeFbile. Quindi nei casi par<colari in cui noi abbiamo una causa pregiudiziale non compromeFbile che non deve essere accertata con efficacia in giudicato e quindi che l’arbitro può conoscere (ovviamente la ritroveremo nel lodo decisa in mo<vazione, è coerente col sistema che è fuori dalla convenzione arbitrale, c’entra solo per poter consen<re la pronuncia del lodo) rispe$o a quella ovviamente è sempre ammessa l’impugnazione per violazione di legge. Art. 830 disciplina i rappor< tra giudizio rescindente e giudizio rescissorio. La norma indica dei casi in cui, annullato il lodo, è la stessa corte d’appello che si va a pronunciare nel merito e dei casi in cui la corte d’appello non si pronuncia nel merito, e quando non si pronuncia nel merito ci sono dei casi in non c’è alcunché da pronunciare, oppure c’è da pronunciarsi ma non ci pensa la corte d’appello e, in forza del principio che abbiamo visto dall’inizio che la convenzione di arbitrato rimane e vincola le par<, dovranno pensarci nuovamente gli arbitri e le par< dovranno reintrodurre il procedimento arbitrale. 830 “Decisione sull’impugnazione per nullità” La Corte di appello decide sull'impugnazione per nullità e, se l'accoglie, dichiara con sentenza la nullità del lodo. Se il vizio incide soltanto su una parte del lodo che sia scindibile dalle altre, dichiara la nullità parziale del lodo. Se il lodo è annullato per i mo%vi di cui all'ar%colo 829, commi primo, numeri 5), 6), 7), 8), 9), 11) o 12), terzo, quarto o quinto, la corte d'appello decide la controversia nel merito (ad esempio se c’è un problema di violazione di norme di diri$o nei casi in cui è espressamente prevista la possibilità di impugnare il lodo, sarà la stessa corte di appello che dopo che ha annullato e dichiarato il lodo con sentenza parziale pronuncerà nel merito) salvo che le par% non abbiano stabilito diversamente nella convenzione di arbitrato o con accordo successivo. Tu+avia, se una delle par%, alla data della so+oscrizione della convenzione di arbitrato, risiede o ha la propria sede effeKva all'estero, la corte d'appello decide la controversia nel merito solo se le par% hanno così stabilito nella convenzione di arbitrato o ne fanno concorde richiesta. Quando la corte d'appello non decide nel merito, alla controversia si applica la convenzione di arbitrato, salvo che la nullità dipenda dalla sua invalidità o inefficacia. Su istanza di parte anche successiva alla proposizione dell'impugnazione, la corte d'appello può sospendere con ordinanza l'efficacia del lodo, quando ricorrono gravi mo%vi. Avremo un procedimento che pur riguardando diriF soggeFvi segue le forme camerali. E da qui un sacco di problemi, perché un’ampia parte della do$rina ha de$o che non si possono disciplinare ques< procedimen< contenziosi con le forme camerali. Ora, la norma di riferimento è il comma 1 dell’art. 111 dove dice che il giusto processo è regolato dalla legge. Queste norme non regolano alcunché, è un processo in cui è il giudice che decide come va ar<colato il contraddi$orio e quindi per un’ampia parte della do$rina questo procedimento, quando usato per la tutela contenziosa decisoria, è incos<tuzionale. La corte di cassazione a metà degli anni 90 con sent SS UU de$a DEL CONTENITORE NEUTRO disse che in realtà si può applicare il rito camerale a processi che non hanno sostanza giurisdizional volontaria, ovvero hanno natura contenziosa. Si può fare perché, dicono le SS UU, il procedimento camerale è un contenitore neutro che può accogliere al suo interno diversi <pi di controversie ma quando accoglie al suo interno controversie che hanno natura contenziosa, dice la cassazione recuperando un noto passaggio di Canova, le forme del processo camerale devono ammantarsi di forme ordinarie. Cioè quando abbiamo una lite che ha sostanza contenziosa, dice la cassazione, il procedimento si deve adeguare alla natura. Bello a dirsi, ma poi in concreto che significa? Perché staremo sempre nell’a$esa speranzosa che il giudice ritenga di rendere il contraddi$orio ar<colato, quindi dovremmo tuF sperare che quel giudice persona fisica la pensi in una certa maniera e sarà verosimile che un altro giudice persona fisica nell’ambito dello stesso ufficio giudiziario la pensi in maniera diversa e ancor più in diversi uffici giudiziari. In sostanza, questa formula della cassazione è “ponzio pilatesca”, cioè una formula con cui la cassazione si è lavata le mani senza risolvere niente. Quindi noi abbiamo procedimen< che seguono il rito camerale, che riguardano bene o male pacificamente li< a cara$ere giurisdizional volontario. Abbiamo procedimen< che seguono il rito camerale che altre$anto pacificamente hanno natura contenziosa e poi in mezzo ci sono alcuni ri< la cui natura è sempre stata dubbia. La cassazione di ieri ci dice che è volontaria giurisdizione, la cassazione di oggi ci dice che è contenziosa e magari quella di domani ci dirà qualcos’altro. Cioè spesso e volen<eri la qualificazione della lite che viene dedo$a nel processo camerale in mol< casi è incerta e si scontrano spesso orientamen< giurisprudenziali che un giorno dicono una cosa e poi un’altra. Ci sono delle aree grigie sulle quali talvolta c’è incertezza anche perché la formula “giurisdizione volontaria” non significa niente. Cioè i traF della giurisdizione volontaria si ricavano per differenza, cioè la giurisdizione volontaria è quella che non è contenziosa. Ma di che <po è questa giurisdizione? Questo processo camerale che natura ha nella sostanza? Perché se ha giurisdizione volontaria non ho il ricorso straordinario per cassazione, se invece ho una giurisdizione contenziosa il decreto che verrà reso dalla corte d’appello è ricorribile in via straordinaria in cassazione. Noi abbiamo il 360 cpc che garan<sce il ricorso per cassazione avverso le SENTENZE. Se invece ho un procedimento che finisce con un a$o che non è una sentenza ma un decreto camerale, ad esempio, mi devo chiedere: questo decreto è ricorribile per cassazione? L’interroga<vo lo risolvo sulla base dell’art. 111 cost, comma 7. Questo ar<colo ci dice che avverso le sentenze è sempre ammesso ricorso per cassazione in violazione di legge. Al di là di quello che dice la norma, c’è una giurisprudenza grani<ca rispe$o all’individuazione di due presuppos< di ammissibilità del ricorso per cassazione. Brevemente, la giurisprudenza della cassazione dice che è ricorribile in via straordinaria, cioè applicando immediatamente il 111 come se fosse una norma ordinaria alterna<va al 360, il provv che è decisorio e defini<vo. Decisorio = riguarda diri$o soggeFvi Defini<vo = non è impugnabile, revocabile, modificabile, in altra maniera revisionabile o rivedibile. C’è questo provvedimento e non gli si può fare nulla. Al ricorrere di ques< 2 presuppos< (decisorietà e defini<vità) si apre la strada del ricorso straordinario che può essere proposto sulla base degli stessi mo<vi del 360. Quindi, rito camerale per la giurisdizione volontaria, rito camerale per la giurisdizione contenziosa. Se il rito camerale è per la giurisdizione contenziosa innanzitu$o c’è un problema di enorme dife$o delle garanzie, nella pra<ca (e non nella teoria) non sai come va il processo: < presen< in udienza e non sai se < danno un termine a difesa, dipende dalla sensibilità del giudice, dipende se va di fre$a, se ha voglia di fare o no. Quando abbiamo un procedimento camerale che riguarda diriF soggeFvi non si applica il 742 e si applica il ricorso straordinario, e quindi dopo di conseguenza il 2909. Ci possono essere dei casi dubbi e ci sono. Vedremo che prima della riforma Cartabia larghissima parte del contenzioso familiare e minorile era regolato mediante forme camerali. Altro punto di transizione da tra$are: noi abbiamo studiato il processo ordinario, il processo del lavoro, il processo semplificato. Ora, dagli anni 70 in poi inizia ad entrare in crisi l’idea che il processo ordinario di cognizione sia il processo che vale per tu$e le li<. Lo abbiamo de$o anche col processo del lavoro, inizia a diffondersi l’idea della giurisdizione differenziata. Questo <po di tendenza è anche implementata e “dopata” da una sorta di via di fuga dal processo ordinario, perché il processo ordinario si dice che sia troppo lento e allora bisogna fare processi rapidi, quindi spesso si facevano procedimen< camerali, si facevano procedimen< semplifica<. E il nostro legislatore ha iniziato a introdurre una pluralità di ri< diversi. Questa scelta sul piano della poli<ca del diri$o è eccezionalmente nega<va non solo perché spesso e volen<eri conduce a moduli procedimentali che non sono sufficientemente garan<s<ci, ma oltre a questo se voi avete mille moduli procedimentali diversi: 1) Potete più facilmente cadere in errore 2) È molto più difficile che ci sia una interpretazione sistema<ca delle varie norme, perché più ri< hai, più il sistema se ne va a farsi benedire. Finché tu hai un processo ordinario che è stru$urato in una certa maniera e quindi anche idoneo a rappresentare dei principi generali della tutela contenziosa, è un conto. Ma quando a un certo punto < trovi immerso in una miriade di procedimen< e tu$o sembra fungibile, sul piano sistema<co non hai più appigli. Significa sfasciare il sistema. Quindi, dopo che la do$rina ha più volte cri<cato questo, il legislatore ha iniziato un periodo di riforme legisla<ve di ritorno, cioè un periodo in cui si è cercato di uniformare tuF ques< diversi ri< e questa linea di poli<ca legisla<va è rappresentata al meglio ma non solo dalla riforma del processo familiare, ma prima di questo c’è stato il d. lgs 150/2011, sulla semplificazione. Perché esaminiamo questo d.lgs? Perché dobbiamo sapere che esiste e che inizia con un art. 1 che dice “ai fini del presente decreto, si intende: a) Rito ordinario di cognizione, il procedimento regolato dalle norme 163 ss b) Rito del lavoro, il procedimento regolato dalle norme 409 ss c) Rito semplificato di cognizione, il procedimento regolato dalle norme 281 ss” Prima c’era il rito sommario che con la riforma Cartabia è diventato rito semplificato. Quindi vengono individua< 3 modelli di riferimento: ordinario, lavoro, semplificato. Poi gli ar$ 2 e 3 apportano qualche modifica generale alle regole del semplificato e del rito del lavoro quando si applicano in questo d.lgs. Poi dagli ar$. 6 ss si iniziano a prendere in esame una serie di faFspecie, le quali prima scontavano un procedimento ad hoc e sono ricondo$e ai 3 modelli deF, e sopra$u$o al rito del lavoro per alcuni procedimen< o al rito semplificato per altri proc. Non esaminiamo le materie nello specifico. Quando viene richiamato il rito semplificato, viene richiamato come modificato dall’art. 3 e poi talvolta viene modificato dalla norma che lo richiama: l’art. 14 ad esempio nell’ul<mo comma ci dice che la sent che definisce il giudizio non è appellabile (nel rito semplificato noi potevamo proporre appello, invece qui no). Però il rito semplificato funge da modello processuale di riferimento. In altri casi, lo è il rito del lavoro. Quindi sono contenitori ai quali il legislatore ha ricondo$o con qualche aggiunta tu$e le varie molteplici controversie che vengono indicate in questo decreto legisla<vo. Rimaniamo sul piano sostanziale: se proseguiamo questa linea, nel 2012/2013 abbiamo la riforma della filiazione che riconosce defini<vamente pari diriF per i figli na< da genitori non coniuga< e sopra$u$o introduce il 315 bis (norma cardine nel ns ordinamento à norma che stabilisce per la prima volta a cara$ere generale i DIRITTI DEL MINORE, a prescindere da quello che gli capita intorno). InfaF, il 315 bis declina le norme prima viste in maniera diversa. Il figlio ha diri+o di essere mantenuto, educato, istruito e assis%to moralmente da entrambi i genitori nel rispe+o della sua personalità, cioè delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni. Questa stessa norma al comma 3 prevede che il figlio minore che abbia compiuto gli anni 12, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diri$o di essere ascoltato in tu$e le ques<oni e le procedure che lo riguardano. Tu$e le ques<oni = l’adulto (il genitore) deve sempre, anche nell’esercitare il suo diri$o/dovere di educare, confrontarsi con la personalità del minore. Questa personalità varia nel tempo, cioè il minore potrà anche essere capace d’agire raggiunto il 18esimo anno di età ma già prima ha una sua personalità con la quale i genitori devono fare i con< e non possono decidere se non dopo averlo ascoltato. Viene modificato anche l’art. 316 cod civile e si passa dalla potestà genitoriale alla responsabilità genitoriale. Avevamo la patria potestà, la potestà genitoriale (uguaglianza tra i genitori), ora responsabilità genitoriale. Piccolo focus dogma<co: che significa resp genitoriale/potestà genitoriale/diri$/doveri/ecc? Il termine “resp genitoriale” è un termine breviloquente per indicare tu$o quel complesso di poteri e doveri di cui sono <tolari i genitori direF al soddisfacimento dei diriF e interessi del minore. Quindi quando si parla di resp genitoriale si sta parlando di tu$e quelle situazioni giuridiche soggeFve che investono il rapporto genitori-figli e che si declinano in termini di diriF a cui corrispondono obblighi o doveri, anche poteri. Ovviamente, il dovere del genitore è funzionale al soddisfacimento dell’interesse del minore ad essere educato, ad esempio, e i poteri del genitore anche ugualmente nella stessa misura. Il potere di assumere decisioni nell’interesse del minore è un potere funzionale all’interesse del minore. Nell’esercizio sia dei poteri che dei doveri, nell’o$emperanza dell’adempimento dei doveri o degli obblighi e nell’esercizio dei poteri il genitore deve prendere le misure con quello che è il proprio figlio. Per farlo, deve ascoltarlo. Ma allora perché noi abbiamo questo termine “resp genitoriale”? Perché abbiamo avuto la necessità di introdurre questo termine? Per ragioni storiche, noi avevamo i procedimen< de potestate, cioè noi avevamo un processo che si occupava di determinare il contenuto della responsabilità genitoriale, cioè ad esempio di pronunciare la decadenza dalla resp genitoriale (art. 330). Quindi il termine che prima era “patria potestà”, “potestà genitoriale” e poi “resp genitoriale” ci serve perché ci sono dei processi che vanno a de$are il contenuto di questo rapporto molto ampio e pieno di situazioni giuridiche soggeFve, a volte elidendole tu$e o, altre volte, plasmandone alcune. Quindi per un problema di tecnica legisla<va noi abbiamo il conce$o di resp genitoriale, che è la sintesi di questo complesso dei diriF dei minori a cui corrispondono diriF e doveri dei genitori. Cerchiamo di seguire questa evoluzione sul piano processuale. Sul piano processuale abbiamo diversi problemi. Il primo è quello determinato dalla coesistenza di due diversi tribunali: 56) Tribunale per minorenni à ha competenza su procedimen/ de potestate (330 e 333) 57) Giudice ordinario à decide in materia di separazione e di divorzio e anche altri processi, e assume decisioni sull’affidamento dei figli (337 bis e seguen<) Sia in un caso che nell’altro abbiamo 2 giudici che de$ano il contenuto della resp genitoriale, ma con 1 differenza: che il tribunale ordinario stabilisce anche le ques<oni economiche derivan< dalla crisi familiare, mentre il tribunale minorile no. È una vera follia, perché noi abbiamo 2 giudici che entrambi possono assumere decisioni che de$ano il contenuto della stessa cosa. C’è una norma (330) che parla di decadenza, il 333 di limitazione della resp genitoriale, il 337 ter parla di affidamento che di regola è condiviso ma può essere anche esclusivo. La giurisprudenza e la do$rina dicono: “ma in realtà i giudizi de potestate davan< al tribunale per i minorenni riguardano la <tolarità della resp genitoriale; l’affidamento riguarda la regolamentazione della resp genitoriale o addiri$ura l’esercizio”. Se prendiamo il Titolo 9 “Della responsabilità genitoriale e dei diriF e doveri del figlio”: 58) Capo 1 “DiriF e doveri del figlio” 59) Capo 2 “Esercizio della responsabilità genitoriale” Quindi si dice: davan< al giudice minorile si parla della <tolarità, davan< al giudice ordinario dell’esercizio. È il cd. gioco delle tre carte, perché al di là del nome abbiamo sia da un lato che dall’altro un tribunale che può in concreto de$are il contenuto della responsabilità genitoriale. Es. uno dei due genitori è violento. Il minore ne è viFma. 60) Era possibile per una faFspecie del genere ricorrere al tribunale per i minorenni, che è un giudice specializzato, per o$enere provvedimen< de potestate? Sì, si applicava il 330, abuso della resp genitoriale, e il genitore veniva decaduto dalla responsabilità. 61) Si occupava il tribunale per i minorenni delle eventuali conseguenze che questa condo$a poteva portare sul piano invece del rapporto coniugale? No, non era quello l’ogge$o. Si occupava del minore. 62) Oppure limitazione della resp genitoriale, disponeva l’allontanamento dalla casa familiare e de$ava un regime di frequentazione magari con l’assistenza dei servizi sociali oppure escludeva proprio la frequentazione. Se questa situazione, ipo<zziamo, veniva portata davan< al tribunale ordinario magari per una causa di separazione (es. uno dei due genitori ricorre al tribunale ordinario e chiede la separazione con addebito perché l’altro è violento), il tribunale ordinario dichiarerà la separazione, disporrà l’addebito a carico del genitore violento e poi disporrà l’affidamento esclusivo o super esclusivo (perché il minore è viFma di violenza). 337 quater Comma 3 Il genitore cui sono affida% i figli in via esclusiva, salva diversa disposizione del giudice, ha l’esercizio esclusivo della resp genitoriale su di essi. Salvo che non sia diversamente stabilito (quindi può essere diversamente stabilito e nella prassi si dice affidamento super esclusivo, nel senso che il genitore perde non solo l’esercizio della resp genitoriale ma anche un potere di convenire con l’altro le decisioni di maggiore interesse), le decisioni di maggiore interesse per i figli sono ado+ate da entrambi i genitori. È incredibile che per decenni do$rina e giurisprudenza abbiano de$o che l’ogge$o dei due giudizi è diverso perché da una parte abbiamo la <tolarità e dall’altra abbiamo l’esercizio. È una cazzata perché, in realtà, lo puoi chiamare Pino o Ugo ma sostanzialmente tu da una parte avevi un provvedimento dove un genitore perdeva la <tolarità e quindi l’esercizio dei diriF, dall’altra solo l’esercizio MA si è mai visto un diri$o di cui si possa dire di essere <tolari se non lo puoi esercitare? È una di quelle follie che solo il giurista riesce a compiere con l’u<lizzo delle parole. Quindi il tribunale ordinario e il tribunale dei minorenni potevano ado$are decisioni che di fa$o andavano a disciplinare il contenuto della resp genitoriale. E da qui un casino incredibile rispe$o al coordinamento di ques< due giudizi. Perché che cosa accade se pendono contemporaneamente? Chi prevale su cosa? Su questo profilo apriremo un focus ma intanto abbiamo posto il problema, cioè che prima della riforma (in realtà il problema c’è ancora adesso) c’era il problema della coesistenza di due diversi giudici che potevano andare a decidere sulla stessa materia, sebbene con norme giuridiche che hanno e<che$e diverse. Ma perché avevamo diverse norme? Perché era tu$o determinato da un’evoluzione storica irrazionale. Perché prima il minore non esisteva, era un pacco, poi arriva la separazione e incominciamo a porci il problema dell’affidamento ma c’erano 2 o 3 norme, poi arriva la legge sull’affidamento condiviso che si preoccupa di disciplinare l’affidamento dei figli con la crisi familiare. Se prendiamo il 330, 333, sono norme scri$e durante il periodo corpora<vista, fascista, e infaF sono norme che consentono al giudice di ado$are delle decisioni straordinariamente invasive sulla vita privata delle persone senza alcun <po di criterio norma<vo vincolante. 330: il giudice può pronunciare la decadenza della resp genitoriale quando il genitore viola o trascura i doveri ad essi ineren% o abusa dei rela%vi poteri con grave pregiudizio del figlio. Ma che significa “grave pregiudizio del figlio”? Che significa “violare o trascurare i doveri”? Il 333 che si coordina al 330 è ancora peggio! 333: quando la condo$a di uno o entrambi i genitori non è tale da dar luogo alla pronuncia di decadenza ma appare comunque pregiudizievole, il giudice secondo le circostanze può ado$are i provvedimen< convenien<. 1) Che significa “non è tale”? 2) Ado$are i provvedimen< convenien< secondo le circostanze. 3) Ques< provvedimen< hanno cara$ere penale, hanno un grado di incisione sulla sfera più in<ma della persona, eppure noi nel ns ord cos<tuzionale nel 2024 abbiamo ancora queste norme. Quando arriva la legge sull’affidamento condiviso non è che si dice “a$enzione, perché noi abbiamo norme che sono totalmente fuori dal sistema cos<tuzionale!”, non mi interesso di quelle norme, mi occupo solo della crisi familiare e a quelle non le guardo. E quindi creo questo binomio e inizia questo parallelismo, con processi che ci si augura di non poter mai vivere di persona perché ci si trova in una situazione in cui si ha, da un lato, il tribunale per i minorenni, dall’altro il tribunale ordinario, il tribunale per i minorenni che fa provv urgen<, quell’altro che fa i provv urgen<, i servizi sociali da una parte che non si parlano con i servizi sociali dall’altra, impugna una parte con reclamo ecc ecc. Vi crea un casino incredibile e la vita delle persone è devastata e anche gli avvoca< hanno una enorme difficoltà a coordinare ques< giudizi o possono anche strumentalizzare tu$e le varie decisioni che vengono rese nei due diversi ambi<. Una cosa inacce$abile! Una ingius<zia a danno dei minori, dei bambini piccoli, vite rovinate perché il ns ordinamento vive in questa situazione così.