Scarica Schema "Mecenati e Pittori", Francis Haskell e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia Dell'arte solo su Docsity! SCHEMA MECENATI E PITTORI PARTE I – ROMA I. IL MECENATISMO ARTISTICO NEL SEICENTO 1. Nel ‘600 Roma era la città più ricca d’Italia e per la sua natura di centro internazionale, attraeva visitatori da ogni parte della penisola. Duplice importanza: per mecenati in quanto qui trovavano i migliori artisti, e per gli artisti in quanto vi era un’ampia possibilità di carriera. Pontificato di Urbano VIII (Maffeo Vincenzo Barberini) iniziato nel 1623 e concluso nel 1644 segna l’apice di un periodo d’intensa attività del mecenatismo e un aumento di controllo. Sebbene l’eresia intellettuale venisse soffocata le sperimentazioni artistiche venivano incoraggiate. Predecessori Paolo V (1605-21) e Gregorio XV (1621-23) delineano un modello: - Completamento di San Pietro - Costruzione e decorazione di un palazzo, residenza di campagna e cappella di famiglia - Mantenimento e arricchimento di fondazioni religiose - Raccolta di gallerie dipinti e sculture I papi si circondano dai loro parenti e amici, che con il loro crescente monopolio di ricchezza e potere diventano dittatori del gusto (sebbene solo per il periodo del pontificato). Schema della carriera degli artisti a Roma come possiamo vedere nella carriera di Annibale Carracci che introdusse a Roma un nuovo stile pittorico: - Giovane artista sistemato in un monastero da un cardinale legato alla sua città - Tramite il cardinale, l’artista veniva a contatto con influenti prelati che commissionavano pale d’altare e decorazioni per palazzo di famiglia - Per molti anni artista lavorerà per un gruppo ristretto di clienti finché non consolida la sua fama, diventando autonomo Motivo dell’ubicazione delle opere più importanti di arte moderna a Roma CHIESE (San Pietro la più importante e con decorazione sotto diretta supervisione del papa): - Cardinale titolare - Venerate da un cardinale (o dove voleva essere sepolto) Nobili potevano contribuire allo splendore di Roma costruendo una nuova chiesa MA richiesta enorme ( nuovi ordini religiosi in risposta alla controriforma) e tempi molto lunghi di costruzione per questo le decorazioni migliori si trovano nelle chiese più antiche 2. Nello schema artista-committente vanno aggiunti intermediari, commercianti, viaggiatori ecc. - Rapporto più stretto definito come servitù particolare: artista assunto dal signore e tenuto nel palazzo, dove oltre il pagamento delle opere percepiva un assegno mensile e spese dei viaggi (x vedere grandi maestri) artista diveniva un membro della famiglia (più spesso capitava con architetti). Questi artisti avevano le migliori opportunità per farsi conoscere, e al mecenate donava prestigio. Spesso questa forma di protezione si limitava al periodo iniziale della carriera dell’artista. - Rapporto più frequente, pittore autonomo che lavorava nel suo studio accettando liberamente incarichi, regolati tramite un contratto: o Dimensioni e collocazione dell’opera dovevano essere specificati nella richiesta o Veniva assegnato un soggetto (spesso al pittore veniva assegnata grande libertà, con soggetto descritto a grandi linee) o Il soggetto dipendeva anche dal prezzo (fissato in base al numero delle figure intere) o Questione del limite di tempo (chiedevano la massima velocità in cambio di un premio, spesso a discapito della qualità) o Clausola finale su accordi economici (solitamente committente pagava materiali) Committente per controllare il lavoro di un artista poteva insistere per un bozzetto (MA pratica rara). Tale consuetudine si diffuse nella seconda metà del ‘600 con il pittore Giovan Battista Gaulli, specialmente per la realizzazione degli affreschi (in cui i modelli erano utili ai committenti e agli aiuti). Nel ‘700 si imporrà il collezionismo di questi disegni preliminare. Nella Roma del ‘600 la prassi del mecenatismo di un committente a diretto contatto con l’artista (formatosi in società solide basate su città-stato e corti feudali) comincia a decadere in favore dell’artista autonomo. Roma, che non aveva molti pittori natali, divenne un centro di costante ricambio di pittori (veneziani, bolognesi e napoletani) e di amatori alla ricerca l'uno dell'altro pittori non sempre lavoravano direttamente su commissione, ma divenne abituale tenere nello studio un piccolo numero di dipinti, spesso non finiti, da mostrare ai visitatori come esempio del lavoro compiuto. 3. Artisti principali venivano trattati con rispetto e forte autorità, ma il loro status era incerto società instabile di Roma barocca, viene resa più difficile d’all’arrivo di stranieri, formazioni di gruppi di artisti bohemien e folla di pittori presenti nella città. Costante = c’era bisogno di artisti che quindi venivano ricompensati (prestigio + economicamente) MA non raggiunsero mai il livello di adorazione di Michelangelo e Raffaello. Arte non era più autosufficiente e aveva perso alone mistico (solo nel ‘700 rinascerà il culto del genio). CAUSE declino status artista dopo alto Rinascimento: - Anni ’80 del ‘500, riconoscimento di Sisto V del ruolo sociale dell’artista - Grandi opere non più prodotte per ammirazione privata Artisti erano soddisfatti perché ampiamente pagati, spiegandone l’ascesa sociale. La conquista di un posto nella società spinse al tentativo di risanare l’associazione professionale dell’Accademia di San Luca Urbano VIII stabilì l’autorità assoluta dell’Accademia negli ambienti artistici romani. - 1633 concede all’Accademia il diritto di tassare gli artisti presenti a Roma, commercianti di quadri e mondo dell’arte - Commissioni pubbliche diventano monopolio dell’Accademia - All’Accademia veniva accettati anche pittori meno capaci e artigiani (dal 1645 membri di seconda classe) Verso la fine del XVI secolo, iniziarono a essere conferiti titoli agli artisti, indicando un cambiamento nella percezione del loro prestigio sociale artisti si impegnavano a dimostrare la tempio di Salomone a Gerusalemme, di cui una conservata a San Pietro), con uno schema iconografico che richiamava Urbano VIII o Api dei Barberini lungo le colonne e sulle nappe bronzee della mantovana o Sole dei Barberini sopra i capitelli o Foglie d’alloro sulle colonne - Il baldacchino è sormontato da quattro statue d’angeli agli angoli e da alcuni putti che, oltre a sorreggere i festoni, tengono tra le mani le chiavi di San Pietro e la corona papale. - Costo dell’opera fu di 200mila scudi (un decimo dei redditi annuali dello Stato Pontificio) - 1633 Bernini inizia a lavorare a un rilievo in marmo di Cristo che affida a Pietro il gregge, per l’interno della chiesa, ma oggi nel portico + disegna una tomba nella navata dx per la contessa Matilde di Canossa - I lavori si protrassero fino alla fine del pontificato di Urbano, ma il prestigio di Bernini si affermò già tempo prima. Dal papa ricevette 10mila scudi per il baldacchino e divenne il dittatore artistico di Roma. - Tra il 1623 e il 1644 Bernini assunse incarichi solo da Barberini (sia per la mancanza di tempo a cause delle monumentali commissioni papali ma anche perché il papa non volveva che immortalasse altri oltre lui) - Metà anni ’20 il papa affida a Bernini la ricostruzione e decorazione della chiesa di Santa Bibiana (di cui durante un restauro si era scoperto il corpo) e realizza anche una statua della santa da collocare dietro l’altare maggiore, combinando per la prima volta sensualità e misticismo. o Agostino Ciampelli (manieristi riformati) fu affidato il ciclo di affreschi sulla vita della santa. Affiancato in seguito da Pietro da Cortona che affresca tre scene nella parte sinistra (pittore segnalato ad Urbano VIII dall’amico Marcello Sacchetti) 3. Il pontificato di Urbano VIII si ricorda per il mecenatismo barocco. Bernini divenne l’artista prediletto del papato ed eseguì numerosi busti in marmo e in bronzo rappresentanti il papa nelle diverse fasi della sua carriera (ma senza l’eleganza esagerata tipica di Bernini, perché tale arroganza non si addiceva a un papa) - 1627 Bernini viene incaricato di realizzare una statua in bronzo del papa, che venne innalzata a Velletri sei anni dopo - 1635 il Senato romano revocò un decreto del 1590 in base al quale non si potevano erigere in Campidoglio statue dei pontefici viventi e affida a Bernini una statua in marmo di Urbano VIII collocata nel Palazzo dei Conservatori - Papa commissiona a Bernini busti dei parenti defunti Opera più importante con cui Urbano VIII celebra la propria gloria è il suo sepolcro, realizzato a più riprese tra il 1628 e il 1647, a San Pietro: - Affidato a Bernini sotto la supervisione di un protetto dei Barberini, Angelo Giori - Si costruisce una nicchi sulla destra dell’abside, rimuovendo la tomba di Paolo III spostandola in una nicchia a sinistra dell’abside - Enorme figura benedicente del papa in bronzo, con la mano destra levata in un gesto autoritario (che al contempo sembra fermare i nemici e benedire), che sovrasta le Virtù (Carità e Giustizia) in marmo. Sacchetti = famiglia di collezionisti d’arte fiorentini molto legati alla famiglia Barberini permisero l’ascesa degli artisti Pietro da Cortona e Andrea Sacchi - Interruzione dei lavori per 8 anni (ripresa nel 1639) Urbano affida a Bernini altri incarichi - Fu scolpita la Carità, accompagnata da due putti, seguita dalla Morte scheletrica che emerge del sarcofago con la pergamena («Urbanus VIII Barberinus Pontifex Maximus») - Lavori nuovamente interrotti fino a maggio 1644, quando il papa sentì l’approssimarsi della morte, ma la Giustizia fu completata solo nel 1647 (quando i Barberini furono cacciati da Roma, con l’accusa di aver sfruttato le risorse della città) Urbano diventa un vero e proprio “dittatore” del gusto - Il fratello minore del papa, il frate cappuccino Antonio (nominato cardinale di Sant’Onofrio) decise nel 1626 di far costruire per il suo ordine una chiesa con annesso convento (Chiesa di Santa Maria della Concezione). Il compito fu affidato a un architetto cappuccino che realizzò un progetto austero, ma Urbano VIII si oppose e non curante dei dinieghi del fratello cominciò ad occuparsi personalmente del progetto 4. I nipoti di Urbano VIII, Francesco, Taddeo e Antonio ebbero ruoli di grande importanza nella vita artistica della città. Francesco Barberini, nominato cardinale a soli 26 anni. - Fu inviato nel 1625 come legato particolare a Parigi per proporre un armistizio generale a Richelieu che minacciava la guerra con la Spagna, ma la missione si concluse con un fallimento. Durante la permanenza la delegazione pontificia ebbe modo di visitare i tesori del Louvre e Fontainebleau, e prima del loro ritorno il re Luigi XIII gli donò sette grandi arazzi eseguiti su cartone di Rubens sulla vita di Costantino. Sebbene prima rifiutò sotto la pressione dello zio di non accettare doni, in seguito cambiò idea iniziando la sua attività di collezionista (mantenendosi in contatto con artisti francesi di ogni genere) - Rientrato a Roma acquistò La presa di Gerusalemme di Poussin - Fallimentare missione diplomatica a Madrid - A Roma si servì della sua ricchezza e fama per promuovere lo sviluppo di arti, scienze e cultura la sua corte divenne il centro della vita artistica e intellettuale - Realizzazione di pale d’altare destinate a San Pietro. Prima di partire per Parigi aveva fatto realizzare un dipinto a Lanfranco ma non fu apprezzato. La commissione preferiva artisti di vecchia generazione, in particolare bolognesi. Il presidente della commissione, il cardinale Ginnasi, voleva assegnare a Guido Reni l’opera più importante, e Francesco dovette accontentarsi di offrire a Pietro da Cortona un dipinto più piccolo Guido Reni abbandonò la città in presa all’ira a causa del controllo della commissione, e il cardinale Barberini suggerì che l’opera più importante andasse a Pietro da Cortona e quella a lui precedentemente destinata a Poussin (= prima decisiva apparizione dei giovani artisti di tendenza neoveneta) - Per la sua collezione privata acquistò delle opere di Poussin (da cui non rimase affascinato), Vouet e Valentin, influenzati dal Caravaggio ma spinti dal cardinale a uno stile più barocco e vivace (entrambi con l’appoggio del cardinale ebbero una carriera fortunata, che si concluse con le pale d’altare per San Pietro). I suoi pittori preferiti erano Pietro da Cortona e Romanelli. - Nel 1625 comprò il palazzo di Alessandro Sforza sul Quirinale che cedette al fratello minore Taddeo 5. Taddeo Barberini, era il più debole, il più brutale e il meno intelligente della famiglia. Spesso protagonista di episodi turbolenti (commise un omicidio e scagionato con il perdono papale). - Nel 1627 gli fu fatta sposare una figlia dei Colonna (tra le più antiche e aristocratiche famiglie romane) - Nel 1631 gli fu conferito il titolo di prefetto di Roma, con un reddito annuo tra i più alti di tutta Italia. - Nel 1626 gli fu consegnato da Francesco il palazzo degli Sforza, che ampliò e trasformò con l’architetto Carlo Maderno in un’elegante e accogliente residenza di campagna. Alla morte di Maderno nel 1629 venne sostituito da Bernini che con l’aiuto di Borromini proseguì il progetto. - Taddeo non provava interesse per le arti, ma a dargli consigli in merito c’era la famiglia ferrarese dei Bentivoglio, specialmente i fratelli Giudo ed Enzo, che sin dall’inizio del secolo avevano aiutato i papi ad acquistare opere di antichi maestri e ad avvalersi di artisti contemporanei aiutarono Taddeo per la decorazione del palazzo: o Affreschi dei saloni di ricevimento affidati ad Andrea Sacchi con il tema della Divina Sapienza (soggetto mai rappresentato prima e il più ambizioso progetto di rappresentazione figurativa di un concetto filosofico dai tempi di Raffaello nelle Stanze Vaticane) o Decorazione salone principale affidata nel 1631 a Pietro da Cortona che lavorò per 6/7 anni al programma iconografico di Francesco Bracciolini, che doveva essere un inno alla gloria dei Barberini: il Trionfo della Divina Provvidenza 6. Antonio Barberini, era il minore dei nipoti del papa, nominato cardinale nel 1627 a soli 19 anni. Era appassionato di arte e cultura. - Nel 1631, con l’annessione di Urbino nello Stato Pontificio, cercò di arricchire la sua collezione ma le opere migliori erano già state portate altrove. - Il più importante contributo alle arti del cardinale fu il mantenimento (con salario mensile) di Andrea Sacchi per il quale ottenne importanti incarichi nella chiesa dei Cappuccini e nel palazzo di famiglia. Sacchi lavorava con lentezza e gran parte della sua produzione era destinata al cardinale: tele di soggetto sacro destinate a chiese, ma anche consulente artistico per la decorazione del suo palazzo presentava grandi soffitti con affreschi di allegorie, ricca biblioteca e un teatro da tremila posti costruito da Pietro da Cortona e inaugurato nel 1638. 7. 1641 scoppiò la guerra di Castro, a seguito delle mire espansionistiche dei Barberini. In seguito alla morte di Urbano VIII, nel 1644 venne eletto Innocenzo X Pamphili - Cardinali Barberini tentarono di far eleggere Giulio Sacchetti, ma preoccupati per la propria incolumità appoggiarono l’elezione di Innocenzo, il quale però minacciò un’inchiesta sulla loro gestione della guerra di Castro Barberini furono costretti a fuggire e le loro proprietà furono confiscate Castro apparteneva al ducato dei Farnese (Parma), ma situata nei territori pontifici. Urbano VIII insieme ai nipoti Francesco e Antonio, decise di spogliare i Farnesi dei possedimenti, e approfittando della crisi finanziaria del duca Odoardo, occuparono il ducato. Francia, Toscana, Venezia e Modena si associarono per porre fine alla minaccia espansionistica dei Barberini, e le loro truppe marciarono su Roma diffondendo il panico e portando nel 1644 a una pace umiliante). La collezione del marchese Vincenzo Giustiniani (ricco banchiere genovese, fazione ispanofila), presentava oltre una raccolta di statue antiche (che all’inizio dell’800 passarono in proprietà alla famiglia Torlonia) una raccolta di dipinti cinque-seicenteschi con cui metteva a confronto coloro che dipingevano di maniera (Barocci) e coloro che dipingevano servendosi del modello (Rubens), seguendo gli esempi di Caravaggio (15 opere), Carracci e Guido Reni. Tra i maestri barocchi di nuova generazione apprezzava Nicolas Poussin, Claude Lorrain e Pietro Testa. I discendenti delle grandi e antiche famiglie romane continuavano a disgregarsi e impoverirsi MA comunque parteciparono al mecenatismo artistico. - Paolo Giordano II Orsini (duca di Bracciano, ispanofilo ma nell’orbita dei Barberini), vanitoso e vittima della moda del tempo si fece ritrarre dagli artisti del momento: nel 1631 Bernini ne realizzò dei busti in marmo. Fu grazie a uomini come lui che le arti poterono entrare anche in ambienti aristocratici e non solo ecclesiastici. 2. Il collezionista privato che domina la scena sotto il pontificato di Urbano VIII è Cassiano del Pozzo, che esercitò grande influenza sulle arti. Interessato all’esplorazione scientifica (amico di Galileo), presentava una vasta raccolta di oggetti di storia naturale e pubblicò opere scientifiche. Nel suo palazzo di Roma (via dei Chiavari) costruì una biblioteca e un museo (embrione del primo laboratorio universitario). Era appassionato di archeologia per comprendere i modi e civiltà scomparse, registrando le tracce della civiltà romana tramite disegni che riproducevano le antichità rimaste, che riunì in volumi in base al soggetto (museum cartaceum). I suoi gusti erano molto elastici e accoglie sotto la sua protezione artisti che condividevano la sua passione per l’antichità e il razionale scientifico. - Simon Vouet, Luigi Cignoli, Pietro da Cortona, Bernini - Poussin, con cui Cassiano approfondì l’archeologia e scienze naturali e di cui collezionò circa 50 opere Camillo Massimi, una delle più antiche e distinte famiglie di Roma. Grandi doti d’intenditore d’arte, dimostrò che l’amore per l’antichità classica non impediva l’apprezzamento della pittura contemporanea: - Poussin, Lorrain, Carlo Maratta - Tra i primi committenti (insieme Innocenzo X) di Velazquez V. IL GRANDE PUBBLICO 1. Poussin diventa uno dei principali pittori di Roma, anche se non realizza grandi progetti e non lavora per papi MA grazie alla fama dei suoi protettori. Agli inizi del ‘600 cominciò a spezzarsi il monopolio della chiesa e dell’aristocrazia grazie ai committenti privati e soprattutto al crescente numero di mercanti (specialmente genovesi e fiamminghi, es. Wannenes) a diretto contatto con pittori viventi, i quali ebbero ruoli decisive nelle carriere di giovani artisti sconosciuti (es. Caravaggio e mercante Valentin). - Con il raggiungimento della fama gli artisti smettevano di avere rapporti con i mercanti valori commerciali degradavano l’arte (es. Accademia San Luca espelleva i membri che si avvicinavano ai mercanti e dal 1633 impose una tassa a quest’ultimi) Con la crisi finanziaria in seguito al pontificato di Urbano VIII e le restrizioni economiche di Innocenzo X la situazione cambiò molti artisti si videro costretti a lavorare per mercanti. Sviluppo del commercio si deve anche al crescente numero di opere italiane mandate in Europa. Oltre i mercanti vi erano i merchands-amateurs, personaggi difficili da definire. 2. Il metodo più efficace per mettere in contatto l’artista con il vasto pubblico fu la diffusione delle mostre d’arte, organizzate in occasione di ricorrenze religiose e processioni, in cui gli artisti (in genere sconosciuti e specializzati in paesaggi e scene di genere) esponevano insieme agli artigiani, per mostrare le proprie opere sperando di attirare l’attenzione. Alla fine del secolo si tenevano a Roma oltre le mostre indipendenti (es. mostra degli artisti del 1607 in cui duca di Mantova fu costretto a esporre La morte della Vergine di Caravaggio, che aveva acquistato su consiglio di Rubens) di mecenati e artisti, quattro mostre regolari (marzo, luglio, agosto e dicembre). - Mostra del 19 marzo presso il Pantheon per San Giuseppe era la più famosa e seguita nella Roma del ‘600 (concluse nel 1764): aveva lo scopo di promuovere le opere e servirsi dell’arte per esaltare la religione ogni artista presentava un quadro che veniva selezionato dalla Congregazione dei Virtuosi, ed erano esposti sia antichi maestri che contemporanei - Mostra di luglio - Mostra del 29 agosto nei chiostri di San Giovanni Decollato , tenuta sotto auspicio delle famiglie patrizie di Roma con i quadri destinati a decorare la chiesa (Sacchetti, Rospigliosi, Medici, ecc.) - Mostra del 10-11 dicembre nei chiostri da San Salvatore in Lauro Nelle mostre regolari prevalevano le opere degli antichi maestri, mentre le opere degli artisti contemporanei fungevano da decorazione. Le mostre contribuirono a rendere l’arte pubblica e accessibile a tutti ( iniziano a formarsi gruppi di connoisseurs che si concentrano sui meriti estetici delle opere e non sul soggetto, portando anche nel ‘700 al trionfo di soggetti prima ignorati come nature morte e paesaggi). 3. I nobili dell’Italia barocca si scontrava contro l’incoraggiamento degli amatori considerati ignoranti delle “bambocciate” = piccoli dipinti di scene di vita quotidiana, con particolare attenzione per personaggi ai margini della società. - Si svilupparono grazie alla rivoluzione estetica di Caravaggio, con cui per la prima volta i poveri emergono dalla penombra dello sfondo (es. Morte della Vergine) - “Bamboccianti” capeggiati da Pieter van Laer (“il bamboccio”) arrivato a Roma nel 1625, introdusse questa pittura caratterizzata da una semplicità campagnola e discreta prosperità senza tracce di protesta sociale (anche se la situazione nelle campagne era grave). Non riuscì mai a diventare famoso e nel 1639 lasciò Roma. - Michelangelo Cerquozzi, essendo tra i pochi bamboccioni italiani ebbe meno difficoltà ad integrarsi venne impiegato da alcune famiglie aristocratiche, riflettendosi nella sua arte in quanto gli risultò sempre più difficile rappresentare la vita dei poveri con empatia. Nel 1648 realizzò La rivolta di Masaniello che segnò una svolta rendendo conosciute questa tipologia di rappresentazione, e diede avvio alla sua collaborazione quasi esotico della vita rustica con il pittore di vedute Viviano Codazzi Bamboccianti rimasero in una situazione di inferiorità, in seguito alla democratizzazione dell'arte e dalla sua adattabilità ai gusti popolari. I nuovi ricchi della società romana cercavano di nascondere le loro origini umili. Le differenze tra il pubblico comune e quelli con raffinatezza erano usate per denigrare i bamboccianti il loro successo derivava dalla vendita a prezzi più bassi rispetto ai pittori tradizionali. 4. Salvator Rosa fu inizialmente accostato erroneamente ai bamboccianti, perché il suo primo committente a Roma, Niccolò Simonelli, era interessato a van Laer. Trasferitosi a Firenze conobbe le famiglie Salviati e Corsini che apprezzavano Cerquozzi, diventando un suo rivale nella pittura di paesaggi. Rosa si considerava un pittore di storie morali costretto a rappresentare paesaggi e battaglie per colpa dei suoi clienti. A Roma il suo più grande protettore fu Carlo de’ Rossi, che creò una pinacoteca privata delle opere di Rosa (La morte di Attilio Regolo) VI. IL DECLINO DEL MECENATISMO ROMANO 1. Con l’elezione al pontificato, dopo un conclave burrascoso, dell’ispanofilo Giambattista Pamphili (Innocenzo X), la crisi economica, le guerre in Europa, la peste e le carestie, si assisté a un declino delle arti declino iniziato già tre anni prima con la guerra di Castro. Innocenzo X non era incline a continuare la politica di fastoso mecenatismo del pontificato precedente (inoltre aveva una cerchia ristretta: un solo nipote, Camillo), esercitando un mecenatismo molto limitato: - Eresse un suntuoso palazzo di famiglia e consueti edifici ecclesiastici - Si servì il meno possibile degli artisti vicini ai Barberini (il ruolo di primi architetti venne affidato a Girolamo Rainaldi e Francesco Borromini e per la scultura da Algardi) 2. Nel 1655 Fabio Chigi divenne papa Alessandro VIII, acculturato e appassionato d’arte, che il giorno stesso dell’elezione richiamò Bernini per i progetti di San Pietro e per proseguire i lavori in Santa Maria del Popolo (riconquistando la sua supremazia totale) - San Pietro: Bernini erige nell’abside la Cattedra di San Pietro Apostolo, mentre all’esterno di costruì l’enorme colonnato + sepolcro papale realizzato dopo la morte) - Pietro da Cortona: decorazione di scene dal Vecchio Testamento al Quirinale e decorazione di Santa Maria della Pace e numerose pale d’altare. MA il declino continua 1656 Europa viene colpita da una pestilenza, e il papa doveva affrontare il nazionalismo di Luigi XIV. - Bernini viene invitato in Francia, dove si reca con il permesso papale per alcuni mesi. Probabilmente il papa aveva accettato per la possibilità di una pace con i francesi: il prestigio del papa risentì di tale scelta 3. Ulteriore causa della relativa povertà artistica era la limitatezza di interessi di Flavio Chigi, che non riusciva a servirsi di artisti di primo piano perché impegnati con i programmi del papa, e vi era una carenza di artisti validi per via del declino dei committenti (le famiglie antiche erano sempre più povere ad eccezione dei Colonna). - Mecenate più importante era Lorenzo Onofrio Colonna, dai gusti eclettici per cui lavoravano tutti gli artisti romani, compresi i bamboccianti. House. Si fece realizzare un busto da Bernini e dal 1642 iniziarono a giungere importanti opere italiane (Bacco e Arianna di Guido Reni). 3. 1640 – 1650 svolta decisiva per la diffusione dell’arte italiana all’estero - 1644 con la morte Urbano VIII venne a mancare il principale stimolo artistico, con una conseguente diminuzione di ingegni. FRANCIA: - Cardinale Mazzarino in seguito alla morte di Richelieu diedi inizio alle sue grandi ambizioni artistiche, anche grazie alla sua amicizia con le maggiori famiglie romane (Barberini, Sacchetti e Bentivoglio) che spesso gli mandavano opere in cambio di favori (marchese Bentivoglio mandò una Carità Romana di Guercino). Il primo a cui commissionò opere fu Poussin grazie anche al prezzo vantaggioso (non era ancora famoso). Nel 1644 acquistò il palazzo dei Bentivoglio per metterlo a disposizione dei suoi ospiti illustri francesi. Acquistò anche la collezione di Carlo I. - Re Luigi XIV, salito al potere nel 1654, cercò in Italia pittori di cui servirsi, anche se si era acceso lo spirito nazionalistico chiese ai progettisti romani di progettare il suo palazzo MA incontrò l’ostilità francese che definiva Bernini, Pietro da Cortona e Rainaldi troppo barocchi. Bernini era quello che più si avvicinava allo stile nazionale francese ma i suoi progetti iniziali furono respinti ma poi venne invitato a Parigi nel 1665 dove riuscì solo a realizzare un busto marmoreo del re e una statua equestre (che arrivò dopo la morte del re) l’insuccesso francese di Bernini segna il crollo del prestigio italiano in Francia. Verrà anche inaugurata l’Accademia Francese a Roma. SPAGNA: - Molti artisti italiani, specialmente napoletani erano protetti dal re - Tra i viceré spagnoli spicca il Marchese del Carpio, grande amante della pittura romana, che a Roma acquistò due ritratti di Velasquez e numerosi pezzi antichi. A Napoli continuò la sua attività di collezionista arrivando a collezionare 1800 dipinti e Luca Giordano (che nel 1692 si spostò in Spagna per 10 anni = il più fruttuoso soggiorno all’estero di un pittore italiano in tutto il ‘600) prese il posto di Maratta come suo pittore principale. 4. Fine del ‘600 i successori dei mecenati italiani erano Sacro Romano Impero e Inghilterra. La Guerra dei trent’anni aveva devastato l’Europa. - VIENNA era illesa ma impoverita collezioni reali erano state saccheggiate dagli svedesi o Arciduca Leopoldo Guglielmo (Asburgo) acquistò parte della galleria di Carlo I, lasciando nel 1662 la sua collezione in eredità al nipote Leopoldo I, che regnò dal 1658 al 1701 e cercò artisti italiani. - MONACO DI BAVIERA, anche la dinastia Wittelsbach si riprese in fretta dalla guerra posizione rafforzata grazie alla pace di Westfalia e nel 1652 con il matrimonio di Ferdinando Maria e Enrichetta Adelaide di Savoia (famiglia regnante più astuta d’Europa), grande appassionata d’arte che portò alla sua corte molti artisti italiani I sovrani ansiosi di rifarsi guardavano all’Italia diventò influente il mecenatismo tedesco, che attirava l’attenzione dei maggiori pittori italiani. i committenti erano quasi tutti cattolici e le commissioni erano spesso pale d’altare e soggetti sacri, ma emerge anche un interesse per l’elemento erotico. Il nudo femminile ebbe, tra fine ‘600 e inizio ‘700, un’importanza mai avuta prima, specialmente con Guido Cagnacci, chiamato a Vienna da Venezia nel 1657 dove dipinse una serie di Cleopatra e Lucrezia. - INGHILTERRA: salito al trono nel 1660 Carlo II cercò di riappropriarsi dei quadri del padre, ma non era interessato alla pittura, specialmente per quella contemporanea italiana. Dopo il 1685 Giacomo II cercò di restaurare il cattolicesimo portando a un aumento di richieste di opere italiane. Ma il mecenatismo reale fu di scarsa importanza rispetto ai numerosi viaggiatori attratti in Italia 5. Nella seconda metà del ‘600 il mecenatismo artistico in Italia era totalmente cambiato (arte romana era rappresentata da Carlo Maratta). Con il declino pontificio i pittori non guardavano più a Roma ma al nord. Iniziano a svilupparsi numerosi centri artistici provinciali: Bologna, Venezia, Napoli, e Torino (Vittorio Amedeo e Filippo Juvarra) Fu un periodo di grandi cambiamenti politici: - Vienna viene salvata dalla minaccia turca - Venezia entra nella Lega Santa con il Sacro Romano Impero e il re di Polonia - Guerra di successione spagnola - Vittorio Amedeo di Savoia emerse come sovrano indipendente d’Italia - Gli austriaci conquistarono la Lombardia e presero Napoli agli spagnoli VIII. LA SCENA PROVINCIALE 1. In Italia il mecenatismo continua ad essere praticato con generosità, come un complemento della ricchezza e del potere. Con lo sviluppo artistico delle città artistiche provinciali (Bologna, Genova, Venezia, Napoli, Torino, Firenze), nascono ovunque scuole di pittura finanziate da famiglie nobili e ordini religiosi. Oltre ai mecenati appartenenti a classi professionali, alla fine del secolo furono i mercanti ad avere un ruolo di grande importanza nella vita artistica delle città. Per la maggior parte del ‘600 la nobiltà e le classi professionali tennero in vita in varie località scuole pittoriche anche di grande valore, ma l’isolamento di queste località provinciali e il vigore di certe tradizioni conducevano a un ristagno dei gusti (era raro trovare opere provenienti da tutta Italia). - Gaspar Roomer fu il più importante mecenate del tempo. Mercante fiammingo, che viveva a Napoli dove possedeva una galleria di quadri: Jusepe de Ribera, caravaggeschi (Carlo Saraceni), Valentin, Vouet, Rubens (Festino di Erode), Guercino, bamboccioni - Don Antonio Ruffo che dedicò la sua vita all’arte, trasformando il suo palazzo di Messina centro della vita culturale del luogo, con oltre 350 dipinti dei maggiori artisti del tempo (3 Rembrandt, 7 Guercino), scelti in base a dimensioni e spesa i quadri dovevano adattarsi a uno schema simmetrico. La pittura napoletana si diffonderà oltre le frontiere dell’impero spagnolo e assunse un’importanza fondamentale alla fine del ‘600, come ad esempio a Firenze dove i fratelli Del Rosso avevano una predilezione per la pittura napoletana (Luca Giordano) 2. Gli amatori “provinciali” riuscirono a riflettere la varietà del mecenatismo romano nelle loro collezioni private. Molti risiedevano in città con grandi tradizioni artistiche e quindi le loro collezioni erano sostenute da artisti locali. Più complesso era il collezionismo nelle città prive di tradizioni locali (Bergamo, Lucca, Macerata), che costringeva i collezionisti a ordinare opere d’arte da città lontane. BERGAMO dal 1430 si trovava sotto al governo di Venezia. La chiesa di Santa Maria Maggiore iniziò la costruzione nel 1137 e venne arricchita nel tempo. Il Rinascimento portò ulteriori modifiche a questa struttura romanica, inclusa la torre campanaria completata nel 1425. Dalla metà del 1500, la decorazione cambiò notevolmente, con pale d'altare locali e venete. Nel 1653, un ampio programma decorativo fu avviato per il centro della chiesa. Non avendo artisti locali, si cercò all'esterno. L'impresa bergamasca fu una delle più ambiziose del periodo, coinvolgendo artisti da tutta Italia nel rinnovamento culturale della provincia italiana. 3. Ferdinando de' Medici, nato nel 1663 da Cosimo III e Margherita d'Orléans, divenne una figura importante nell'arte italiana. Firenze visse un periodo di interesse artistico grazie a lui. Appassionato di musica, organizzava spettacoli teatrali e collezionava quadri attraverso cui si può vedere il passaggio dai gusti del ‘600 a quelli del ‘700. - Studiò e ammirò la pittura veneziana, visitando Venezia nel 1696 per vedere opere di Tiziano, Veronese e Bassano. I suoi primi acquisti comprendevano opere presenti in altre collezioni dell'epoca (es. soggetti sacri di Franceschini). - Apprezzava anche l’arte della tradizione fiorentina, acquistando da alcune chiese opere come La Madonna del Baldacchino di Raffaello e La Madonna delle Arpie di Andrea del Sarto, e il San Marco di Fra Bartolomeo. - Tra i contemporanei mostrò interesse per Anton Domenico Gabbiani e un forte amore per la pittura veneta, evidenziato nei suoi contatti e negli acquisti di opere di attribuite a Tiziano, Bassano e Palma. La passione per l'arte veneta derivò dai suoi soggiorni a Venezia e dall'eredità di suo zio, il cardinale Leopoldo. - La sua conoscenza gli permise di collaborare strettamente con artisti contemporanei, discutendo di composizioni e aspetti tecnici. Il suo mecenatismo era un rapporto profondo e coinvolgente tra principe e pittore, contrastando con le correnti dominanti dell'arte. - Ebbe fruttuosi contatti con artisti come Karl Loth, Giannantonio Fumiani, Niccolò Cassana, Luca Giordano e Sebastiano Ricci (che ispirò Giovanni Maria Crespi che divenne suo “pittore attuale”). - La sua collezione comprendeva oltre 300 quadri, con predominanza veneziana e fiamminga, distribuiti nelle sue residenze (Palazzo Pitti e ville di campagna). - Organizzò mostre di pittura a Firenze per promuovere l'arte contemporanea, in occasione del Corpus Domini MA erano troppo saltuarie nel 1706 organizza una mostra più grande nel giorno di San Luca con circa 250 quadri - Alla sua morte, la scuola veneta era considerata la più viva in Italia e la sua passione contribuì al successo dell'arte veneziana. Mentre l’Europa era in guerra, Venezia rimaneva neutrale i regnanti stranieri venivano nella città per cercare alleanze o ristoro dalle guerre. Venezia, dall’esterno era vista come un rifugio e fantasticamente ricca. - 1703, il primo segretario dell’ambasciatore britannico, Christian Cole conosce Rosalba Carriera e le sue pitture su avorio la persuase a dedicarsi ai ritratti a pastello e in breve tempo le sue opere furono paragonate a quelle di Guido Reni. - 1707, l’ambasciatore Lord Manchester incaricò Luca Carlevarijs di raffigurare il suo ingresso I principi tedeschi cominciano ad acquistare i dipinti tardo barocchi, specialmente di Rosalba Carriera: - Massimiliano di Baviera le commissiona il suo ritratto e quello delle donne più belle della città - Federico IV di Danimarca le commissiona ritratti delle donne veneziane - Principe elettore di Sassonia nutriva una grande ammirazione per lei Con la pace giunsero anche i francesi: - Pierre Crozat, ricco banchiere la cui casa parigina aveva sostituito Versailles come centro di gravità attorno al quale ruotavano i giovani pittori anche lui rimane affascinato da Rosalba Carriera Rosalba nel 1720 lavorava principalmente per i committenti stranieri, che ne lodavano le opere, mentre gli ambasciatori di ogni nazione avevamo a disposizione Carlevarjis e Canaletto per solennizzare i loro ingressi. INGHILTERRA: Gli inglesi seppero convincere gli artisti veneziani a lasciare la città - Lord Manchester, fece costruire grandi ville di campagna ispirate al ‘500 veneto e Palladio. Erano pieni di ottimismo in quanto il loro paese era in un’epoca di prestigio e ricchezza. Affidando a Pellegrini e Marco Ricci il compito di decorare le sue dimore - Lord Burlington divenne il mecenate più influente della prima metà del secolo e protettore di Sebastiano Ricci - John Sheffield duca di Buckingham era riuscito ad occupare nella società di grande prestigio e influenza incaricando Antonio Bellucci di dipingere il suo palazzo Per circa un decennio, fino al 1720, i pittori di storia veneziana trovarono in Inghilterra il più largo appoggio. I ricchi, i potenti e gli arbitri della moda fecero a gara per impiegarli nelle nuove dimore. GERMANIA: Düsseldorf (insieme a Londra e Parigi) diventa un grande centro di attrazione degli audaci artisti veneziani. L’elettore Giovanni Guglielmo accumulò una ricca collezione di opere italiane (specialmente Luca Giordano), tentando anche di convincere Rosalba Carriera a trasferirsi. Aveva una grande ammirazione per l’arte olandese, con opere di Van Dyck, Van der Werff e Rubens, ma anche Raffaello, Tiziano, Carracci, Correggio e Guido Reni. FRANCIA: Parigi fu la terza città in cui la pittura veneta si liberò delle influenze del passato. Sebastiano Ricci si recò nel 1716 entrando in contatto con Pierro Crozat e la sua collezione dei maggiori artisti italiani e fiamminghi. Nel 1720 arrivò a Parigi anche Pellegrini con la cognata Rosalba Carriera costituì l’ultima opportunità dell’arte italiana contemporanea di imporsi in Francia. In seguito alla morte di Luigi XIV di era creata un’atmosfera di rilassamento. - Pellegrini fu incaricato di decorare la galleria del Mississippi - Rosalba Carriera realizzò i ritratti di John Law, del re, di Crozat e dei suoi familiari, nobili e ambasciatori stimolando il gusto della ritrattistica elegante e al contempo intima 2. Londra, Düsseldorf e Parigi diventano i centri di diffusione della pittura veneziana fino alla fine degli anni ’20 del ‘700, ma in seguito la situazione cominciò a mutare: INGHILTERRA: il sentimento nazionale non gradiva il successo degli artisti stranieri, preferendo i compaesani con il Grand Tour diventato abituale il gusto inglese si allontanò dalla pittura di storia. Continuarono a servirsi di artisti veneziani, ma limitandosi a vedute, paesaggi e ritratti. - Owen MacSwiny si dimostrò originale nel suo mecenatismo nei confronti dei veneziani propose di commissionare tombe allegoriche in memoria di personaggi illustri della storia inglese, dipinte dai migliori artisti italiani, tra cui Piazzetta, Canaletto, Creti e altri (10 di questi dipinti vennero acquistati dal Duca di Richmond). Collaborando con Joseph Smith trattò i pastelli di Rosalba Carriera e le vedute di Canaletto (il quale nel 1740 si trasferì in Inghilterra per 10 anni, realizzando vedute di Londra e residenze di campagna per vari committenti inglesi) FRANCIA: nel 1724 fu distrutta la volta di Pellegrini e l’arte italiana (ad eccezione di Carriera) suscitò scarso interesse nei collezionisti francesi. - Conte Tessin, di origine svedese continuava a mostrare grande entusiasmo per l’arte veneziana. Cercò di commissionare a Tiepolo la decorazione del palazzo reale di Stoccolma ma i prezzi erano troppo alti per la sua collezione acquistò opere di Tiepolo e Canaletto 3. GERMANIA: artisti veneziani continuano a trovare appassionati in Germania. Dopo la morte dell’elettore Giovanni Guglielmo nel 1716 Düsseldorf perse importanza. Gli Asburgo accolsero Pellegrini, Ricci e Rosalba Carriera. - 1725 Pellegrini si recò a Dresda attratto dalla fama di Federico Augusto I (re di Polonia con il nome di Augusto II), elettore di Sassonia, dove realizzò solo alcune pale d’altare - Nel 1733 venne eletto il figlio Augusto III, la cui attività di collezionista fu tra le più notevoli d’Europa e sotto la direzione dell’artista veneziano Pietro Guarenti, allestì la galleria di Dresda che superò tutte le raccolte esistenti in Germania. I suoi agenti acquistavano opere in tutta Europa, compresa Venezia (Guarenti fece da agente per la vendita della collezione Estense) ma l’impatto della pittura veneziana contemporanea si ha solo nel 1743 quando Francesco Algarotti tornò a Venezia per acquistare dipinti per il re: due Piazzetta, due scene mitologiche di Sebastiano Ricci, ritratti e teste di fantasia di Nogari e Nazari queste opere vennero apprezzate, nonostante la riluttanza di Augusto per i contemporanei, eccetto Rosalba Carriera di cui arrivò a possedere oltre 150 opere Altro artista che dedicò la sua produzione ad Augusto III fu Bernardo Bellotto (nipote Canaletto), che giunse a Dresda nel 1747 dove divenne pittore di corte - La fortuna dell’arte veneziana in Germania toccò il culmine nel 1750 quando a Tiepolo fu affidata la decorazione di Wurzburg, con un tema tratto dalla storia medievale tedesca (Apollo che conduce la sposa di Federico Barbarossa su un carro), e in seguito li fu affidato l’affresco dei Quattro continenti che rendono omaggio a Carlo Filippo - Le corti tedesche guardavano anche agli artisti di TORINO negli anni ’20/’30 Filippo Juvarra fu direttore artistico della corte sabauda, commissionando a Sebastiano Ricci molti dipinti per il palazzo reale e le chiese MA il suo interesse per la pittura veneta era limitato - Filippo Juvarra nel 1735 idea uno schema per la decorazione del palazzo reale di Madrid, con l’ordine del re di Spagna di commissionare opere a tutte le scuole italiane (romana, bolognese, genovese, napoletana, veneziana) - L’ascesa al trono di Caterina la Grande a San Pietroburgo costituì un nuovo impulso per l’importazione di opere d’arte veneziane acquistò il Banchetto di Cleopatra di Tiepolo. XI. I RESIDENTI STRANIEREI 1. Il console Joseph Smith (1675-1770) A Venezia il più importante collegamento con il mondo esterno era Joseph Smith, che si affermò come il grande mecenate del suo tempo. Si era stabilito Venezia nei primi anni del ‘700 esercitando la professione di mercante e uomo d’affari importando carne e pesce. Divenne presto ricco e influente: ospitò nella sua casa incontri occasionali tra nobili veneziani e diplomatici inglesi. - Negli anni ’30 inizia ad occuparsi di editoria (riscrisse e illustrò alcuni manoscritti) - Nel 1744 divenne console per poi dimettersi nel 1760, vendendo l’anno dopo la maggior parte delle sue opere a Giorgio III. - A 90 anni divenne nuovamente console e morì nel 1770 I suoi gusti artistici rispecchiavano l’influsso dell’ambiente inglese e veneziano. A Venezia come protettore delle arti, Smith godeva di grande fama entrando in contatto con i maggiori artisti. Il suo palazzo sul Canal Grande era il luogo di ritrovo preferito dei nobili e degli intellettuali di tendenze più audaci (di cui ne pubblicava i libri) il palazzo corrispondeva al gusto inglese ma era pieno di dipinti italiani. Agli inizi della sua collezione nel 1720 Smith si era rivolto a: - Sebastiano Ricci con 7 dipinti ispirati al Nuovo Testamento e 13 composizioni di soggetto sacro, 7 cartoni di Carlo Cignani - Dal 1730 iniziò a proteggere Rosalba Carriera (che lavorava per lui già dal ’23) di cui raccolse il gruppo più famoso di opere, compresa l’Inverno I quadri nel suo palazzo di Venezia e nella sua casa di campagna a Mogliano Veneto costituivano la collazione di arte moderna (Sebastiano e Marco Ricci, Piazzetta) più importante di Venezia. Nel suo palazzo si poteva vedere un allontanamento dai quadri di historie, prediligendo vedute e paesaggi. - Smith è ricordato per il suo sodalizio con Canaletto, che in seguito incanalò verso l’Inghilterra, diventandone l’agente commerciale. - Le prime opere di Canaletto entrate in possesso di Smith furono sei vedute di San Marco e dintorni. Tra il 1730 e il 1735 realizzò altre 14 opere durante questo periodo Canaletto ebbe molti importanti incarichi procurati da Smith (duca di Bedford, Sir Hervey, conte Carlisle) - Smith collezionava anche pietre, e dal ’40 riprese ad occuparsi di artisti contemporanei, vendette opere all’elettore di Sassonia e iniziò ad acquistare fiamminghi (Dama al virginale di Vermeer venduta dalla vedova di Pellegrini nel) - Giorgio Pisani cercò riforme, fu eletto Procuratore di San Marco nel 1780. Espose quadri politici, ma fu arrestato con il suo pittore Felice Boscarati per accuse di propaganda sovversiva Verso la metà del Settecento, emerse il dibattito sull'importanza della pittura nella vita moderna: - Gaspare Gozzi enfatizzò il valore sociale delle arti, poiché creavano lavoro e circolazione economica. - Anton Maria Zanetti giustificò il mecenatismo, poiché artisti famosi attraggono stranieri nelle scuole e le opere italiane si diffondono all'estero. - Nel 1772, una Commissione riconobbe il valore economico e reputazionale delle arti, attrattiva per i forestieri. - Nel 1756 nacque l'Accademia di Pittura e Scultura a Venezia, ma non rifletteva le nuove teorie sull'arte. La posizione dell'artista nella società rimase pressoché inalterata, e si discusse principalmente del tradizionale mecenatismo. - Mostre d'arte si tenevano a Venezia, specialmente alla Scuola di San Rocco, ma mancavano l'organizzazione e l'attenzione del Salon parigino. Rimangono poche testimonianze, ma contribuirono ad avvicinare pubblico e artisti. Nel 1777, nobili chiesero mostre annuali nella Piazzetta, ma gli artisti erano insoddisfatti delle spese e nel 1787 le mostre cessarono. XIII. EDITORI E CONOSCITORI D’ARTE Nel Settecento a Venezia, una categoria di persone in stretto contatto con l'Europa esercitava attività artistiche in armonia con gusti internazionali. Gli editori sin dal ‘500 avevano un ruolo chiave nell'economia veneziana, creando un mercato globale di libri illustrati. Leggi sui diritti d'autore favorirono la produzione di edizioni di lusso per acquirenti stranieri. I viaggiatori aumentarono la domanda di incisioni di qualità e molti artisti si dedicarono all'illustrazione di libri, spesso riproducendo opere d'arte veneziane famose. Quattro diversi procedimenti: - Disegnatori e incisori riproducevano opere d'arte veneziane famose - Importanti pittori contemporanei dipingevano opere da riprodurre tramite incisione - Gli artisti creavano disegni per l'illustrazione di libri - Gli artisti realizzavano personalmente incisioni Gli incisori spesso avevano bisogno dell'intermediazione di editori affermati per coinvolgere artisti di rilievo, come Tiepolo o Piazzetta, nella produzione di opere. Gli editori spesso possedevano botteghe e stamperie. A Venezia nel ‘700 venivano pubblicate due categorie di libri: - Raccolte di poesie e panegirici per celebrare eventi nobiliari, spesso con illustrazioni a piena pagina. - Edizioni di autori antichi e moderni, caratterizzate da una cura estetica particolare. Tre editori spiccano al di sopra di tutti per intraprendenza e qualità del loro mecenatismo: Albrizzi, Pasquali e Zatta. - Gianbattista Albrizzi: collezionista di quadri contemporanei e editore di libri curati. Collaborò con artisti come Piazzetta per edizioni eleganti, inclusa la Gerusalemme Liberata, riscuotendo successo anche in Francia. La sua bottega fu un centro artistico fiorente. - Gianbattista Pasquali: editore di lussuose edizioni, sostenne Carlo Lodoli e pubblicò opere di Goldoni in 17 volumi. Si concentrò sulla qualità delle illustrazioni e sulla promozione della conoscenza scientifica. - Antonio Zatta: prolifico editore che ebbe problemi con gli inquisitori per le sue pubblicazioni dei gesuiti contro i domenicani. Le sue prefazioni mostrano spirito critico. Pubblicò edizioni eleganti di classici italiani, spesso con artisti come Fontebasso e Zompini. Tra gli altri editori: - Maffeo Pinelli: collezionista e mecenate con approccio storico all'arte, possedeva opere attribuite a vari pittori, tra cui Giorgione, Veronese e Tiziano. Si occupava di pubblicazioni per lo Stato prive di interesse artistico. - Remondini: editore e venditore di stampe, produzione di fac-simili e stampe a prezzi inferiori. Collaborò con molti artisti e stampatori. - Joseph Wagner, Teodoro Viero, Lodovico Furlanetto: altri venditori e editori di stampe che stimolarono la produzione artistica e contribuirono alla varietà della scena veneziana. La figura più interessante era Anton Maria Zanetti il Vecchio: collezionista, disegnatore, incisore e mecenate influente nel Settecento veneziano. Nato nel 1679, studiò pittura a Venezia e Bologna. Fu connoisseur e collezionista di pietre preziose, interagendo con importanti collezionisti europei. Facilitò contatti tra artisti e collezionisti stranieri, tra cui il conte Tessin, Joseph Smith e Schulenburg. Scoprì il metodo di incisione su legno a chiaroscuro (con cui realizzò cuna cinquantina di incisioni ispirate al Parmigianino). Mecenate di artisti come Gaetano Zompini. Zanetti fungeva da intermediario tra Venezia e l’Europa, per quanto la sua collezione personale poco riflettesse l’arte contemporanea non veneziana. Non acquistò mai opere di autori moderni francesi o inglesi. Possedeva dei pastelli e delle miniature di Rosalba Carriera e ammirava Zuccarelli e Canaletto. Morì nel 1767. - Antonio Maria il Giovane: critico d'arte e cugino di Anton Maria Zanetti il Vecchio. Mancava di rilevanza nell'ambiente artistico contemporaneo, ma aveva gusti raffinati. Gli fu affidato il compito di impedire l'esportazione dei grandi capolavori artistici del passato. Pietro Monaco: Incisore e mercante. Pubblicò una raccolta di stampe basate su dipinti sacri, apparentemente commissionate da Albrizzi o Zanetti, ma in realtà le usava per promuovere il suo commercio. Don Pietro Antonio Toni: prete collezionista e amante dell'arte a Venezia. Nonostante la sua non eccessiva ricchezza, raccolse stampe e si legò ad artisti come Sebastiano Ricci, Pittoni e Novelli. Fu coinvolto nel commercio di quadri e agì come agente per collezionisti di maggiore rilievo, come Zaccaria Sagredo e il console Smith. XIV. FRANCESCO ALGAROTTI Importante mecenate veneziano del ‘700, noto per i suoi gusti artistici chiari e per i rapporti stretti con artisti come Tiepolo e Canaletto e per la sua collaborazione alla raccolta di opere per la Galleria di Dresda. Nato nel 1712, fu educato a Roma e Bologna, coltivando interessi scientifici e matematici. Mantenne contatti influenti nell'ambiente di Bologna e la sua posizione sociale e le amicizie con principi e patrizi lo resero aperto alle nuove esperienze culturali europee. - Lascia Bologna e torna nel Veneto, viaggiando tra Venezia, Padova e Verona periodo del suo primo accostamento alle arti - Gusti convenzionali: Veronese, Guido Reni, Palladio - 1733 va a Firenze - 1734 va a Roma dove rimane colpito da Carracci e Domenichino - A Parigi incontra Crozat e Voltaire torna in Italia nel 1736 dove pubblica l’opera che lo rese famoso, Newtonianismo per le Dame. - Tra il ’37 e il ’43 viaggia tra Francia, Inghilterra e Russia, per poi divenire nel 1740 conte di Federico II di Prussia, ma entrarono in contrasto e nel ’42 va a Dresda alla corte di Augusto. - Nel 1743 tornò a Venezia per acquistare quadri. Tornò in Prussia, poi Venezia tra 1753 e 1756. - Nei suoi tre soggiorni veneziani (1737, ’43-’45, ’54-’56) entrò in contatto con Canaletto e Tiepolo Nel 1742, Francesco Algarotti divenne importante nel mondo artistico internazionale preparando un progetto per l'estensione della galleria d'arte di Augusto a Dresda. Le sue idee riflettevano un approccio erudito all'arte, cercando di rappresentare la storia della pittura nel suo insieme e includere opere di diverse scuole, compresi i contemporanei a causa della scarsità di opere eccellenti sul mercato e del poco interesse accademico la sua proposta non ebbe successo. Questo contribuì alla riscoperta dei primitivi e all'apprezzamento delle opere d'arte antiche come testimonianze storiche e precursori del Rinascimento. Algarotti dimostrava ampie vedute influenzate dai viaggi all'estero. L'effetto del mecenatismo di Algarotti si vede in un dipinto del Tiepolo, il Banchetto di Cleopatra (1743), ordinato spontaneamente da Algarotti per Augusto III. Il dipinto ebbe due versioni (perché originariamente destinato a Smith), un modello iniziale e il quadro completo, entrambi con luminosità e colori accattivanti ma con differenze significative. - Prima versione (schizzo): piccolo e magnifico frontone, sotto al quale un giardino all’italiana con alti cipressi sovrastanti le mura (modello ricorrente di Tiepolo). Banchetto all’aperto suntuoso ma con disinvoltura e non curanza - Seconda versione: la scena si svolge all’interno di un’ampia loggia che la isola da una balconata da cui una folla sta curiosando, il giardino è scomparso così come il cielo rappresenta una grande capitale con l’atteggiamento di Cleopatra più imperioso e teatrale. Enfatizza l’aspetto classico dell’episodio, semplifica lo sfondo, creando una composizione chiara con piani paralleli e linee verticali ed orizzontali evidenti. Algarotti ordinò altri due quadri al Tiepolo, inviandoli poi entrambi al ministro di Augusto, il conte Bruhl. Fece anche realizzare un quadro per sé Diana e Atteone: l’opera presenta delle ninfe nude, in un'atmosfera piena sensualità e di abbandono che ricorda lo stile preso di moda a Parigi dal Boucher, e costituisce un'eccezione assoluta nella sua carriera, riflettendo in tal modo i gusti eclettici e cosmopoliti dell’Algarotti. L'influenza di Algarotti su Tiepolo è notevole, segnandone il periodo classico (dopo il 1740). Tuttavia, l'influenza di Tiepolo su Algarotti è altrettanto forte, visibile nei disegni orientali e nelle XVI. MERCANTI E PICCOLI BORGHESI Gli amatori d'arte più influenti della seconda metà del secolo furono guidati dalle nuove idee portate da Lodoli e Algarotti, ma il loro gusto (severità funzionale e ritorno al classico) si discostava dalla tradizione artistica veneziana. Questa tradizione, rappresentata da maestri come Francesco Guardi, fu continuata da individui di posizione meno elevata, spesso considerati mercanti o agenti che contribuivano per conto di ambasciate straniere a saccheggiare le ricchezze delle città ma creando anche delle loro piccole collezioni. Giuseppe Maria Sasso, proveniente da una famiglia modesta, divenne un mercante d'arte attivo nel commercio britannico. Fondò una piccola collezione personale mentre trattava rapidamente opere veneziane di diversi periodi. In collaborazione per John Strange, acquistò opere di vari artisti veneziani (Giorgione, Tintoretto, Canaletto, Rosalba e Tiepolo), conservandole nella residenza di campagna di Strange a Treviso (Villa Loredan) e a Londra, per poi rivenderle a collezionisti. Sasso ammirava la vivacità e la ricchezza dei colori della pittura veneziana e si oppose alle opere neoclassiche, esaltando specialmente il Tiepolo. - John Strange, ebbe l'idea di pubblicare un'edizione del libro "Le Arti che vanno per via nella Città di Venezia" coinvolgendo Francesco Guardi, un artista poco conosciuto Strange era diffidente nei confronti di Guardi, poiché sembrava non prestare molta attenzione alla precisione delle vedute dipinte. Tuttavia, ammirava l'artista per la vivacità e la ricchezza dei colori tipici della pittura veneziana e non gradiva le opere neoclassiche. Alcuni clienti di Giuseppe Maria Sasso, come il pittore e mercante Armanni, erano più attenti alle nuove tendenze, ma Sasso stesso sembrava ammirare il virtuosismo dei primi pittori settecenteschi. Sasso accumulò opere d'arte, comprese molte opere di Tiepolo, modelli di Sebastiano Ricci, Pinettoni e Piazzetta, disegni e schizzi di Canaletto, un dipinto e sette disegni di Guardi. Alla morte di Sasso nel 1803, la sua collezione fu venduta all'asta. Sasso era il mercante più conosciuto tra gli inglesi, ma ve ne erano molti altri, che con i loro gusti contribuirono a tener desto l'amore per colore e fantasia dell'arte veneta: - L'abate Giacomo della Lena, nato a Lucca nel 1732 ma residente a Venezia, fu Viceconsole spagnolo e amante dell'arte. Come Sasso, collezionò quadri per uso privato, tra cui opere di Canaletto e artisti contemporanei meno noti, così come opere di Francesco Guardi. Questo ambiente favorì lo stile fantasioso di Guardi, in contrasto con l'approccio più rigoroso degli inglesi nel cercare rappresentazioni precise delle vedute. - Don Giovanni Vianello, forse un mercante d'arte, possedeva oltre 200 quadri con una preferenza per opere venete del ‘700 e del ‘600. Aveva un'edizione del diario di Rosalba e una predilezione per gli schizzi e i ritratti a busto. Aveva anche tre opere di Francesco Guardi, dimostrando un apprezzamento per l'artista che andava oltre il numero limitato di dipinti in suo possesso. Il suo pittore prediletto era Pietro della Vecchia di cui possedeva 25 tele (tra cui molte teste di fantasia alla giorgionesca) - Il domenicano Padre Giuseppe Toninotto contribuì a preservare le glorie dell'arte veneziana. Nel 1785 promosse la pubblicazione di 9 grandi stampe di episodi della vita di Sant'Orsola di Carpaccio. La sua collezione privata comprendeva opere di antichi maestri attribuiti a Tiziano e Bassano, oltre a dipinti di artisti trascurati come Giuseppe Zais e Francesco Guardi. - Amadeo Swajer, un ricco uomo d'affari tedesco a Venezia, era un collezionista di manoscritti la cui diffusione dopo la sua morte preoccupò gli inquisitori di stato. Swajer ebbe contatti con Giambattista Tiepolo e suo figlio per commissioni artistiche, e il Canova dipinse il suo ritratto. Morì nel 1792. - L'abate Luigi Celotti, un mercante audace, sopravvisse alla caduta della Repubblica e commerciò per circa mezzo secolo. Era attivo a Londra, Parigi e Venezia, possedeva opere di antichi maestri e quadri veneziani del Settecento. Era abile nel vendere e possedeva un buon gusto artistico. In questi uomini, simili per condizione sociale e ruolo nella società, riconosciamo un unico tipo di collezionista e mecenate delle arti. Operavano come intermediari nella domanda internazionale di opere antiche, ma contemporaneamente collezionavano opere di artisti meno apprezzati a causa dei cambiamenti di gusti dell'epoca. Nel corso del tempo, la prospettiva è cambiata, e ora appaiono come veri custodi della tradizione artistica veneziana. XVII. GLI ULTIMI MECENATI 1. Durante la generazione precedente alla caduta della Repubblica, si diffuse il senso che un'era fosse giunta al termine, influenzando mercanti e collezionisti d'arte. Questo sentimento di transizione si manifestò nell'attività di numerosi uomini che preferirono rivolgersi al passato anziché al presente. Tra i collezionisti più importanti di fine secolo, si distingue Girolamo Manfrin. Partendo da umili origini a Zara, nel 1769 ottenne l'esclusiva delle piantagioni di tabacco in Dalmazia, accumulando una vasta fortuna. Nel 1787, grazie alla sua ricchezza, acquistò il palazzo degli antichi Venier sul Cannaregio (oltre alla loro villa nei pressi di Treviso), dove raccolse una ricca galleria d’arte italiana antica e contemporanea per un totale di 400 pezzi, comprati su suggerimento di esperti che gli fecero acquistare anche la Tempesta di Giorgione. La sua vasta galleria aveva lo scopo di fornire un’idea generale della storia della pittura italiana. Era un omaggio alla grandezza raggiunta dalla pittura veneta (anche se si percepiva la sua fine): cominciava con Mantegna e Bellini, seguiti poi dalla maggioranza dei pittori grandi e medio-grandi fino ai contemporanei Francesco Guardi e Giandomenico Tiepolo. Per quanto riguarda il mecenatismo ottenne risultati meno soddisfacenti rispetto al collezionismo per la mancanza di pittori di talento disponibili. 2. L’altro grande collezionista era Teodoro Correr, nato nel 1750 da una delle più antiche famiglie aristocratiche di Venezia, caratterizzato dall’amore per la cultura fin da giovane. Nel 1776 intraprese la carriera politica e in 3 anni divenne membro del Consiglio dei Dieci, subito dopo però si ritirò e per evitare altre responsabilità si fece abate. La sua raccolta, che lasciò a Venezia, era incentrata esclusivamente sul passato artistico, senza mai commissionare opere a pittori viventi. Correr raccolse molti quadri da famiglie aristocratiche e commercianti, oltre a frequentare vendite e aste. Il suo scopo principale era raccogliere oggetti culturali che illuminassero la storia della città, trasformando il suo palazzo (presso San Giovanni Decollato) in un museo. I contemporanei di Correr avevano dubbi sulla sicurezza dei suoi gusti poiché collezionava opere sia del Quattrocento che del Settecento, periodi che in quel momento non suscitavano particolare interesse così facendo acquistò preziose opere come la Deposizione di Antonello da Messina e la Pietà di Cosmè Tura. Aveva anche molti dipinti di valore più basso e fu particolarmente attratto da Pietro Longhi. Nonostante la sua passione per le scene documentarie, curiosamente, non prestò attenzione ai pittori di vedute. Dopo l'occupazione straniera e la dispersione delle raccolte aristocratiche, numerosi quadri giunsero sul mercato, e Teodoro Correr ne approfittò dopo la fine della Repubblica. Morì nel 1830, lasciando alla città i frutti di oltre mezzo secolo di collezionismo e chiudendo così nobilmente la tradizione di amore per le arti degli aristocratici veneziani.