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Se non diventerete come i bambini, Schemi e mappe concettuali di Letteratura Contemporanea

Manuale di Letteratura contemporanea, contiene tutti i capitoli del libro

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2021/2022

In vendita dal 10/08/2023

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marica-pagano01 🇮🇹

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Scarica Se non diventerete come i bambini e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Letteratura Contemporanea solo su Docsity! BAMBINI DI CARTA Con la denominazione "bambini di carta" si indica un periodo dell'infanzia, dove per il livello scolastico non si erano ancora sviluppati. Il significato etimologico di "Bambino" è legato all'infanzia*. Bambino deriva da " bambo" che significa imbecille, cretino, incapace che ha bisogno di strutture di sostegno per progredire. Savino→ individui inferiori INFANZIA Deriva dal latino "infans" che significa individuo non maturo che difetta nel parlare oppure "puer" (→ non completo che non raggiunge il livello di maturità). Collodi lo definisce un periodo di sospensione tra un adulto che si sta formando e il periodo che sta vivendo di stupori; infatti è il periodo delle favole → visione fiabesca. Non tutti i bambini hanno la fortuna di essere orfani, aforisma che è custodito nei "Diari" di Jules Renan (→ autore di Pel di Carota). Perchè fortuna? Perché si vivono avventure self made, man mano si costruiscono la vita da soli e decidono le sorti del loro destino Cosa indichiamo con il termine orfano? Ci riferiamo all'orfano della virtù romanzesca che si presenta come un eroe che vive all'avventura. È un eroe incompiuto che ricerca il proprio destino, deve superare delle prove per raggiungere il suo scopo. L'orfano è potenzialmente indifeso, perennemente in difficoltà, praticamente isolato. Bisogna differenziare: ● L'orfano maschio→ in un momento ben preciso spalanca la strada all’avventura ● Le orfanelle → sono solitamente destinate a rimanere in famiglia, in balia di una matrigna che quasi sempre ha la meglio pure sul padre della ragazza. I meccanismi della fiaba prevedono che matrigna e orfano entrino in conflitto, a volte in competizione. Le dinamiche della rivalità e della sfida mettono l’orfana in un angolo, la prostrano fino all’introversione facendole rischiare un processo di disumanizzazione fino a quanto accade qualcosa che controbilancia le parti fino alla compensazione vera e propria (gli orfani sono fortunati per una logica di riequilibrio), che di solito consiste in un matrimonio altolocato. Ed è questa logica di riequilibrio che interviene a favore del più debole e giusto. Non è un coso che gli eroi picareschi* sono sempre gli orfani. Il romanzo picaresco è un genere letterario sorto in Spagna nella seconda metà del VI secolo e poi diffuso in Europa. È caratterizzato da picari popolani furbi e privi di scrupoli, avventurieri che vivevano di espedienti. Nella narrativa di avventura viene fuori che la famiglia rappresenta un impedimento alla piena libertà di movimento, di autodeterminazione; una sorta di gabbia, di prigione metafisica. Ad esempio L’isola del tesoro di Stevenson Il padre Jim, proprietario della locanda muore ma senza creare troppo clamori, come se fosse un fatto come tanti, destinato a confondersi con gli altri. Il figlio non si sente neppure in dovere di rimarcare l’accaduto. Nei romanzi di Dickens, gli orfani, i trovatelli spuntano come funghi; infatti nel racconto Grandi speranze gli orfani sono tra gli ingredienti essenziali. Di solito l’autore inizia a narrare dalla nascita dell’orfano: ● Dickens → David Copperfield, figlio di una vagabonda destinato all’inizio a stazionale in un orfanotrofio, ricapitola la sua venuta al mondo (nel corso del romanzo si assisterà alla crescita e alla maturazione del protagonista), David è uno che parla con proprietà e cognizione di causa alla stregua di un adulto. In Henry James che in Che cosa sapeva Maisie descrive una storia di adulteri molteplici esclusivamente filtrandola attraverso lo sguardo di una bambina che ne piange le conseguenze, che osserva ma non comprende appieno quanto accade sotto i suoi occhi. Il romanzo è il racconto dal punto di vista della bambina, ma non tramite la sua voce, l’autore non ricorre mai a uno stile che provi a riprodurre un linguaggio infantile. Stilisticamente questa storia sta agli antipodi rispetto a Il giovane Holden. È articolata in uno stile maturo, elegante, complesso e sottile. momentaneo e sospeso cede la scena a un vero e proprio inferno. Ne viene fuori una lotta tra piccoli clan. La morale è sconfortante: anche i ragazzini sono crudeli, arrivisti, sadici, mossi dal desiderio di prevaricare e sottomettere. L’autore mostra al lettore una verità inaccettabile: lo stato di natura è un luogo oscuro, tenebroso, il buon selvaggio è solo un'invenzione bislacca e fuorviante. La storia novecentesca dell’idea dell’infanzia si era aperta traumaticamente con Freud. Le sue indagini vennero recepite come un attacco alla visione di un’infanzia pura e asessuata. I bambini prima di Freud venivano visti come innocenti, angioletti, impeccabili. Invece con Freud il bambino si sviluppa seguendo delle fasi sessuali in base alla libido. Come anche affermavaWalter Benjamin: nell’infanzia sono stati scoperti lati crudeli, grotteschi e feroci, quindi bisogna rivedere il significato attribuito all’aggettivo latino “innocens” LA “CATTIVA” SCUOLA La buona scuola scuola è solo un’invenzione dei politici, è uno slogan da rifilare periodicamente per alimentare false speranze. Esistono buoni insegnanti, grazie ai quali la scuola diventa un’isola meno infelice. La scuola cattiva invece è sempre esistita, piena di aree di conflitto e zona di contrasti, una scuola piena di durezza, di rigore e di inflessibilità. Per un periodo queste regole non sono state discusse e sono dei sistemi rigidamente consolidati. Gli insegnanti erano muniti di bacchetta e se ne servivano per intomorire, minacciare e percuotere gli studenti. A partire dal IV-III millennio a.C. la scuola ha mostrato il suo volto torvo e intimidatorio. Dalla Mesopotamia all’Egitto ci sono alcuni papiri che alludono castighi corporali riservati a studenti svogliati e distratti. Anche in Grecia, dove però a volte una punizione, se andava bene, poteva essere convertita in esercizio ginnico; a Roma il maestro Orbilio Pupillo, era descritto come uno che procurava ferite, una sorta di maestro contundente. Secondo Agostino di Ippona nelle Confessioni scrive che per i bambini dell’antichità la scuola è stata un luogo di mortificazione. L’uso delle staffilate e dei castighi corporali nell’educazione scolare risulta consuetudine vera e propria pratica endemica che dall’antichità era costante. SecondoMontaigne nei suoi Saggi la scuola appare come carcere di gioventù. Con l’avvento dell’Umanesimo e del Rinascimento si sviluppano nuove concezioni pedagogiche, ma la pratica delle punizioni corporali verrà perpetrata con la complicità di alcune istituzioni rette da precettori conniventi e omertosi. Nell’Ottocento la scuola diventa uno dei temi letterari più frequentati, mosso dall’attenzione mostrata nei confronti dell’infanzia reale, sull'onda dello sforzo filantropico mitizzata a dismisura ( → elevare a valore di mito). Dickens descrive la scuola come il luogo più abbandonato e desolato che egli avesse mai visto. Nelle pagine di David Copperfield, si erge la scuola di Salem House che somiglia a un luogo di tortura e sfruttamento, un luogo era recinto da un alto muro di mattoni e aveva un aspetto uggioso. Creakle era il più rigoroso e severo degli insegnanti, che non passava giorno senza che bastonasse i ragazzi. Nelle pagine di Edmondo De Amicis, che ha scritto Denti, in quelle classi doveva passare nella rissa, nell’urlo, nella minaccia, nella punizione, nella fatica di stare in una stanza fatiscente e superaffollata, rigidi e composti in silenzio pena l’arrivo del Direttore. Anche in Pinocchio la scuola fa venire i dolori del corpo. Come fa notare il dottor Boccadoro alla mamma di Giannettino, protagonista di una serie di libri didattici scritto da Carlo Collodi, i ragazzi sono come i puledri e i puledri hanno bisogno di accorgersi, fin da principio della loro vita, che chi li guarda ha la mano forte e sicura. Mano che sa sia accarezzarli che scapricciarli con qualche colpo di frusta. In Giangiacomo e Giambattista, capolavoro di Antonino Russello, Giangiacomo Gibbard si chiedeva se era possibile che l’umanità per camminare dritta avesse bisogno delle legnate. Giovanni Verga, nella novella intitolata Il maestro dei ragazzi, descrive l’insegnate con il cappelluccio stinto sull’orecchio, le scarpe sempre lucide, i baffetti color caffè, la faccia rimminchionita di uno che è invecchiato insegnando il b-a-ba. Luigi Pirandello immortala la maestrina Boccarmè è vestita sempre di nero, dolce, paziente e affettuosa con le bambine della scuola , non solo per il ricordo di quanto aveva sofferto a causa della durezza di alcune insegnanti ma anche perché le considerava destinate più a soffrire che a godere. Raramente i maestri o le maestre sono esposti all’ironia o al sarcasmo, Federigo Tozzi, il quale diede forma a un ritratto di maestra adottando come punto di vista quello dei bambini, quindi osservando dal basso verso l’altro. Si tratta di un identikit che non risponde all’icone della maestra cui la letteratura per ragazzi ci ha abituato, magari severa, intransigente, di bassa estrazione sociale ma mai orribile e respingente, sfortunata il più delle volte eppure sempre dedita all’insegnamento. Se si assume questa nuova prospettiva muta radicalmente il quadro: i maestri e le maestre possono essere brutti e cattivi. Lo sapeva bene Leonardo Sciascia che è stato maestro nelle aule fredde e grigie di Racalmuto, ma che pure ha vergato le sue cronache scolastiche, raccontate nelle Parrocchie di Regalpetra. Scrive: In un remoto paese della Sicilia, entrò in un'aula scolastica con lo stesso animo dello zolfataro che scende nelle oscure gallerie. Egli sa bene che i braccianti e i piccoli proprietari, i quali odiano i maestri, non vogliono mandare i figli, di consigliarli a resistere per sfuggire all’obbligo. In una scuola come questa lo scrittore si sentiva impotente, poiché trenta ragazzi che non possono stare fermi, che chiedono la correzione manuale che i regolamenti proibiscono e andavano anche le mamme a raccomandargli che li raddrizzasse a botte poiché bisogna usare il timore. Questo timore è l’uso incondizionato del bastone. Secondo l’autore occorrono molti anni ancora perché la scuola sia veramente scuola. Si tratta di un documento sociologico di grande importanza, che dice tanto delle Da quando la mummia ha fatto il suo ingresso nell’immaginario occidentale grazie alla campagna d’Egitto condotta da Napoleone Bonaparte alla fine del millesettecento, continua a presidiare suggestione calamitando curiosità e brividi. Dal resto, dal dialogo leopardiano si affaccia un vitalità della mummia, interrotta e sospesa, da qui l’occasione offerta dal cadavere imbalsamato per far luce sulla dimensione della morte esorcizzando le implicazioni cristiane. Quelle di Leopardi non sono mummie egiziane, trattandosi di preparati anatomici che il medico Frederyk Ruysch, aveva preparato con tecniche di imbalsamazione→ per vedere quanto gli organi vitali durassero a lungo. Ne Lo spazio di un mattino, Dario Piombino-Mascali si occupa dell’esistenza fuggevole di Rosalia Lombardo, la celebre bambina morta a quasi due anni e che da un secolo dorme il suo sonno senza tempo delle Catacombe dei Cappuccini di Palermo. Soprannominata la “bella addormentata”, ed è capolavoro di Alfredo Salafia. A lui si deve un metodo di conservazione della materia organica che si basa sull’iniezione di sostanze chimiche, che sperimentò su cadaveri umani presso la Scuola anatomica del professor Randaccio. L’autore ha ricostruito vita e opere di Alfredo Salafia, infatti ha ricostruito vita e opere in un volume. Questo è un libro che travalica generi, il lettore troverà informazioni dettagliate che riguardano la storia della famiglia Lombardo. Si imbatterà nella precisione scientifica, a proposito dello stato di conservazione della bambina, degli agenti esterni che hanno rischiato di compromettere la bellezza e dei rimedi escogitati. Il lettore avrà modo di immedesimarsi nel dolore della perdita; l’autore si fa carico della pena infinita legata alla morte dei bambini. Questa immedesimazione lo porta a far luce sulla grande questione della mortalità infantile, oggi guardata alla stregua di un tabù, eppure da qualche parte diffusa. Il racconto parte dalla vicenda di Rosalia Lombardo sotto il profilo antropologico e medico, passa poi alle tradizioni popolari e si arricchisce di dettagli e annotazioni che l’autore recupera dallo scrigno della letteratura. Importante è la rilevanza del rapporto sonno e risveglio. L’autore sottolinea il fatto che questo tema ha una rilevanza nelle fiabe: ➢ la Bella addormentata nel bosco ➢ Biancaneva e i sette nani ➢ Tam Lin Nel Lo spazio di un mattino sembra legato all’autobiografia di Charles Darwin*, scritta sei anni prima che il grande scienziato morisse. L’obiettivo mostrare come Dio non ha creato un mondo su cui si può sorprendere e che ci sono delle specie che si adottano. Questo sottolinea la difficoltà dei genitori ad accettare la morte Charles Darwin scrisse l’origine della specie amava osservare i bambini, a loro dedicò grande attenzione. Agevolato dal fatto che ebbe 10 figli e che insieme vivessero in campagna in una dimora sperduta. Ebbe il modo di trascorrere molto tempo insieme ai figli, di osservarli da genitori e forse anche da entologico. Darwin fu un padre segnato dalla morte di una delle sue bambine; si trattò di un’esperienza luttuosa che mutò il suo modo di guardare alle cose e alla vita. Darwin fatta esperienza di questo dolore si è chiesto: “Se Dio è misericordioso, perché muoiono i bambini piccoli?” Da qui inizia la sua sfida titanica contro tutti per dimostrare sia che Dio non fosse misericordioso ma per smascherarlo, è meglio negare la sua esistenza. Laura Pariani scrisse Dio non ama i bambini Questa opere è come se fosse una fiaba/storia alla rovescia in cui all’interno gli adulti se ne fregano dei bambini Questo è ambientato a Buenos Aires e ispirato ad avvenimenti reali accaduti tra il 1904 e il 1912 in mezzo ai conventillos decrepiti e inospitali, dove sono ammassati come animali gli immigrati italiani che di un umano hanno solo una parvenza logora. Ed è li che si verificano alcuni delitti feroci di bambini: una vera e propria strage degli innocenti. Ne viene fuori la manchevolezza colpevolezza degli adulti che appartengono a un altro mondo. I bambini daranno una svolta alla vicenda e sarà uno di loro a sollevare il velo e a sussurrare la verità inaccettabile: “se gli adulti se ne fregano perché Dio dovrebbe averne interesse?” Se Dio dei bambini se ne infischia, allora non c’è che un rimedio: gli stessi bambini devono prendere in mano il loro destino, come in una fiaba rovesciata dove gli adulti guardano da un’altra parte non curandosi dei piccoli. Anche se tutto questo comporta la perdita dell’innocenza. L’INFANZIA CHE BISOGNA RITROVARE DA ADULTI. SUL PIACERE E LA FATICA DI LEGGERE Per cominciare a leggere un nuovo romanzo bisogna rilassarsi, raccogliersi e allontanare ogni altro pensiero; abbracciando la lettura*1 da pratica solitaria, separata, che può trasformarsi in un esercizio comunitario* 2 , di associazione e di alleanza antropologica. *1La lettura solitaria richiede un maggior sforzo perché ti mette in discussione *2 Impresa collettiva: se da un lato si può pensare che ti isoli leggendo o sei solo in realtà senti la voce all’autore e dei personaggi → di conseguenza si allontana dal mondo esterno. Quindi è vero che chi legge non è mai solo: la lettura a tu per tu del lettore con lo scrittore. Chi legge inevitabilmente si isola dal contesto che lo circonda, prova a far sbiadire cose e rumori. Da pratica solitaria la lettura può trasformarsi in imprese collettiva e condivisa (→ come la scuola). L’esercizio della lettura diventa condivisione di un’avventura emozionale e intellettuale. L’esercizio solipsistico della lettura richiede uno sforzo notevole perché implica una fatica da affrontare, un ostacolo da superare. Pavese ribadisce che di solito dà fastidio e ferisce il fatto di scoprire che qualcuno abbia visto diversamente da noi. Il problema è che siamo fatti di abitudine e triste Modesta: perché Giambattista Basile riprende la storia della vita tradizionale e la reinserisce nella sua storia in napoletano Anticanonica perché il tema prevalente è l’omicidio e va contro il pensiero comune. Lu Cuntu de li cunti È uno dei testi più importanti di Basile, sono 50 fiabe raccontate a 10 novellisti in 5 giornate. Però non si può paragonare al Decameron perché Basile riprende tematiche moderne e macabre ed è in contrasto con il periodo. Al suo interno si possono trovare: - la bella addormentata nel bosco - Cenerentola - Petronella → Raperonzolo - Gatto con gli stivali che il lettore di solito riconduce ai libri di Perrault e dei Grimm Ha uno stile ordinato e regolare dato dalle regole, all’interno del quale vi è uno stile iperbolico che permette al lettore di immedesimarsi. Giambattista Basile è lo scrittore più misterioso di tutta la letteratura italiana. Nasce nel 1576, vive nel periodo Barocco*. Viene presentato come uno scrittore folclorista poiché riprende dei racconti popolari per capire i suoi sentimenti, la sua vita quotidiana; infatti scrive in dialetto napoletano. Il suo libro, il Cunto, andò incontro a diverse ristampe per poi lentamente decadere nel dimenticatoio. Bisognerebbe insorgere contro chi considera ancora la fiaba come materiale di scarto, gioco per bambini, confinandola in una zona laterale. La lettura della fiaba è l’evento indelebile dell’infanzia. Cristina Campo sottolineava che attraverso la fiaba il bambino sperimenta come le parole assumono significato simbolico. Grazie a Benedetto Croce, autore della Letteratura della nuova Italia, il cunto ha fatto finalmente il suo ingresso nel pantheon della letteratura italiana, che però era ostaggio degli addetti ai lavori. Va ricordato che le fiabe allineate nel Pentamerone sono racconti fantastici, irreali che si devono a un unico autore, il quale ha messo mano al dialetto napoletano del Seicento, il dialetto della plebe a quel tempo. Basile poteva modellare la storia a suo capriccio, perché il suo stile è la storia rovesciata. Il cunto appartiene allo stadio della narrazione allo stile larvale. La libertà verbale prende forma in metafore iperboliche, fantasiose e paradossali anche se tratte quasi sempre da oggetti dell’esperienza di ogni giorno, che solo il Barocco poteva spiegare. Però il Barocco non è solo forma espressiva. Tra le fiabe di Basile la più famosa è La gatta Cenerentola, nome che ancora oggi si usa per riferirsi a donne di valore iniquamente denigrate e fotografa una condizione che è tipicamente femminile, di dipendenza e senso di inferiorità. È una fiaba di alta frequenza nella tradizione orale, diffusa in Europa, in Medio Oriente, in America e in Asia. La protagonista è sottomessa e fugge da questa vita attraverso il matrimonio con un principe. La fiaba inizia con l’episodio della prima matrigna uccisa da Zezolla con il coperchio di un baule, per incitamento della maestra di cucito che aspira a sposare il padre. Ma il motivo del matricidio è stato espunto e di esso non trova traccia nella tradizione, anche se è presente in diverse fiabe in cui la rivale è una matrigna spietata. Nella maggior parte delle versioni successiva della fiaba domina il tema della matrigna e delle sorellastra. La protagonista della fiaba di Basile appare sin dall’inizio una fanciulla dinamica e intraprendente: anche quando inizia la vessazione praticata dalla nuova matrigna e viene destinata in cucina alla zona del focolare, Cenerentola non ci pensa due volte a riferire al padre le sue richieste e far sentire le sue ragioni. La versione di Perrault è diversa e presenta una fanciulla assolutamente priva di iniziativa, docile e in sospetto di sadomasochismo avanzato. Basile aveva dato forma a un personaggio, Cenerentola, che si affermava quale self made woman → donna che vuole dominare, è attiva Basile riprende dei temi attuali: stupro, matricidio, adulterio e violenza in Sole, Luna e Talia → ovvero la Bella addormentata nel bosco. Italo Calvino avverte che tutte le versioni di questa favola sono simili e posteriori a quella di Basile. La storia racconta di una fanciulla che per un sortilegio è sprofondata in un torpore mortale, di un re con la passione per la caccia che inseguendo il suo falcone viola una proprietà privata imbattendosi nella fanciulla di cui sopra, seduta su una sedia di velluto sotto un baldacchino di broccato eppure ancora bella e piacente, quasi provocatoria: da lì la decisione di approfittarne a mo' di diversivo. Ebbene, siamo di fronte a un vero e proprio stupro, commesso oltretutto da un uomo sposato. Stupro che si somma alladulterio. La fiaba va avanti con il parto della fanciulla, che si chiama Talia, la quale, ancora profondamente addormentata, dà alla luce due bei gemelli: uno di questi le ciuccia il dito e le tira fuori una lisca di lino, responsabile del suo assopimento. Poi è la volta del re cacciatore-traditore, che si compiace dei figli messi al mondo; del tentativo di maldestro di mettere a parte la moglie dell'adulterio compiuto e di farle conoscere il frutto del suo nuovo "amore'; della reazione bestiale della moglie, che indossa la maschera della donna tollerante e docile invitando il marito ad affrettarsi per organizzare il pranzo solenne assieme alla sua nuova fiamma e ai pargoli. La storia sembra a un certo punto precipitare dalle parti dello splatter: la moglie tradita infatti, quando arrivano gli ospiti, prende in carico i piccini e con una scusa li conduce in cucina, laddove lo chef dovrà ammannire un pranzo indimenticabile per il suo signore: il menù prevede carne, in questo caso la carne della carne del padrone. Adesso ci si sposta nel salone, la tavola è quella delle grandi occasioni: su un vassoio luccicante dovrebbero giacere, ben cotti, i figli della colpa. La regina, sadica sino all'inverosimile, invita il marito a servirsi, con fare mellifluo. Fortuna vuole che il cuore dello chef sia più tenero della carne stessa che dovrebbe cuocere. I bambini sono al sicuro, a farne le spese saranno due capretti. Piaccia o non piaccia, Pinocchio è come l’aria che respiriamo, sarebbe più corretto dire che è come la lingua che parliamo. Nel senso che ancora oggi condividiamo l'idioma del burattino, cioè continuiamo a masticare i suoi detti e contraddetti, i suoi modi di dire, come pure quelli dei tanti personaggi che al burattino si affiancano. Pinocchio ha dato forma a una lingua nazionale. Una lingua povera, quella del parlato quotidiano dimesso, improntata a un asciuttezza miracolosa e a una suprema concretezza, distante dalla lingua colta. Se davvero Collodi venisse preso sul serio,oggi sarebbe riconosciuto come un eroe nazionale, come il paladino della modernità letteraria. Era uno che scriveva alla buona come parlava. Pinocchio è un romanzo che ha miracolosamente prodotto sistemi linguistici, generando luoghi comuni della nostra koinè. Lo stile è di tipo colloquiale, semplice, spontaneo e per questo che all’interno di Pinocchio troviamo termini che fanno ancora parte della nostra lingua. La stessa cosa si può dire di Cuore. Picca racconta di un incontro mancato: il suo, da bambino, con il capolavoro di Collodi e sottolinea che però Pinocchio non l’ha mai chiamato. Lo lesse dopo; e l'unica cosa che gli piace sta scritta alla fine della prima versione di Collodi (quella in cui Pinocchio resta un pezzo di legno; che non è sgravato nel futuro) Quindi è una lettura tardiva quella che Picca effettua. Fatto sta che a Picca non piace il Pinocchio bino quello della conversione pedagogica, del ravvedimento del suo autore, che abbandona le atmosfere da romanzo gotico e del terrore per aprirsi a più ariosa scrittura, per dilatare meglio il racconto, che perde velocità, dinamismo, appesantendo di capitolo in capitolo. Secondo Picca: La storia di un burattino (1 generazione) è il racconto perfetto dell'infanzia crudele e irresponsabile di Pinocchio. Non c'è spazio per la metamorfosi consolante: le vicende narrate danno forma a un piccolo universo dominato dal male, dalla falsità, dalla cattiva fede, dalla furbizia. Il burattino rimane tale, appeso per il collo. Picca avrebbe dovuto scrivere un libro non tanto contro Pinocchio tout court, quanto contro il Pinocchio del ravvedimento, della conversione, della presunta metamorfosi finale. Alberto Savinio sottolinea che il riscatto finale cui va incontro il burattino, che si mette da parte a favore del bambino perbene e compunto, saputello e urticante. Se davvero Savinio ha ragione, il burattino sarebbe dunque la figurazione di una segreta personalità del suo autore. Pinocchio è l'autobiografia dello stesso Lorenzini, burattino dalle fattezze umane. È vero, che trattare i bambini come bambini può risultare urticante e controproducente. L'aveva pure spiegato Savinio, in Come vanno trattati i bambini, gli animali e le piante. L'autore di Narrate, uomini, la vostra storia ricorda infatti la rabbia, il dispetto che provava da piccolo quando i grandi cominciavano a pargoleggiare con lui, con le loro facce si torcevano in smorfie ed emettevano onomatopee rivoltanti. Dello stesso avviso è Picca. I libri giusti sui quali la maestra o il maestro devono lavorare moltissimo sono: Cuore e I ragazzi della via Paal. Picca è sfuggente e pindarico, rafforza un discorso che non ha nemmeno preso forma, virando da una parte e dall'altra capricciosamente. La natura divagatoria del saggio può pure a tratti risultare piacevole e sorprendente, eppure il discorso sul burattino rimane monco, zoppicante. A dirla tutta, Pinocchio nelle pagine di Picca sembra quasi un pretesto per parlar bene invece del romanzo di De Amicis e di quello di Ferenc Molnár. Giorgio Manganelli parla del burattino come di una "cifra dell'infanzia", a patto però di intendere che il bambino non solo non è un adulto in potenza,ma la sua non è nemmeno una condizione o un'età: è una via di fuga. Ma se davvero il bambino prova a tenersi il più lontano possibile dall'età adulta, se egli non è un adulto in potenza, è vero anche che da piccoli si guarda al mondo degli adulti come all'universo delle possibilità negate, le possibilità intraviste ma quasi mai a portata di mano. Savinio è tra gli scrittori del Novecento quello che non ha mai smesso guardare all'infanzia con rapimento e stupore, rubricandone prodigi misteriosi senza ignorarne però i difetti funesti. I bambini, per Savinio sono come prigionieri perché come prigionieri*. Come carcerati. Come mutilati. Come sordomuti. Come uomini che sognano non possono quello che vogliono. *Perché si sentono diversi rispetto agli adulti L'infanzia è una anticipata e lunga agonia. Un lungo anelito. Un'aspirazione che sembra senza fine. L’infanzia è la disperata lotta (agonia) per uscire dall'infanzia. In fin dei conti, l’infanzia è dunque una "angosciosa tragedia" per le invincibili impossibilità di cui il bambino fa continuamente esperienza e che l'adulto, quando si mette a pargoleggiare e a onomatopeizzare, gli "rinfaccia" per conquistarlo e irretirlo. Non a caso Cristina Campo ha definito ľ'infanzia rebus di limiti illimitati, di confini malcerti, magnificati dalla piccola statura. Savinio istitu isce una similitudine tra la lingua nazionale e gli adulti, quelli che hanno rotto i ponti tra sé e la propria infanzia. I popoli che hanno tagliato i ponti tra sè e il proprio passato assomigliano ai grandi che hanno rotto i ponti tra sè e la propria infanzia. Alle stesse conclusioni arriverà poi Natalia Ginzburg: che da valore all’infanzia. Nel racconto intitolato Infanzia fa un cenno agli adulti che da bambina l'hanno circondata. Pinocchio fa pensare al puer aeternus, convinto com'è di vivere in una specie di eden senza fatica né studio né doveri morali, capace di tiranneggiare, di distruggere, di vivere di fantasticherie di onnipotenza. Per il bambino, quindi per Pinocchio, la morte non ha importanza perché il puer da l’impressione di poter ricominciare LE FIABE DI CAPUANA, IL VERISTA MAGICO Ci stiamo riferendo al Novecento fiabista. Le sue sono Pagine popolate da reucci, reginette, ministri, che gestiscono la ricchezza e il potere, ai quali si affiancano gli umili, i vinti: i contadini che faticano come bestie per garantirsi il pane, falegnami coi loro poveri attrezzi. Il fantastico diventa una straniante intelaiatura tra questi due mondi divaricati: ne viene fuori una fenomenologia fiabesca da capogiro, spesso spiazzante negli esiti, nella cancellazione del lieto fine. I regnanti sono spesso capricciosi e vanitosi, quasi sempre opportunisti sleali. Nei confronti dei politici lo scrittore è insofferente: li considera arrivisti e senza scrupolo, come viene fuori dalla fiaba, ossia Topolino, quasi alla fine: quando il Re ordina la strage dei topi temendo di perdere perdere il trono e distribuendo titoli nobiliari a iosa, dal momento che non gli costano nulla. Ma le vampe avvolsero il Re e i Ministri, che non trovarono scampo. Fiaba superba, nella quale la distopia più terribile si rovescia nel suo contrario, ossia l’utopia inattesa risolutiva, poiché il re viene fatto resuscitare e obbligato a chiedere scusa per le sue azioni. In questa fiaba dell'antipolitica, in realtà la metamorfosi non è tanto quella del topolino che si muta in un bellissimo giovane quanto quella del regnante che viene resuscitato finalmente pentito di tutte le malefatte. I protagonisti sono grilli del focolare, particolarmente dispettosi, insieme a ranocchini, bambini minuscoli, principesse-serpenti, nani gobbi e sbilenchi, una tartaruga con la testina da bambino, una bimba piccina e miserina che viene donata a una sirena. E vecchie irrise, pronte a lanciare maledizioni. Si sente l'eco e l'influenza di Giambattista Basile, da cui prende il riso → visto come qualcosa che porta alla punizione ed è pericoloso. Proprio dalla fiaba della principessa Zoza prende le mosse la fiaba di Capuana, ossia Piuma d'oro. Storia di una principessa bizzosa e impertinente, che si diverte a tirare lo sberleffo ai danni di una vecchia cenciosa quanto misteriosa, non tarda ad arrivare la punizione meritata: una metamorfosi insidiosa che rende la reginotta sempre più leggera. I genitori per rendere meno monotona la reclusione della figlia, trascorrono le giornate a soffiarle intorno e farla volare lungo i corridoi e nelle grandi stanze del palazzo reale; soffia e soffia, i due si ritrovano coi musi allungati. In balia del vento, la principessa vola via lontano approdando in un palazzo incantato scolpito nel sale e nel pepe. Di queste spezie la fanciulla si ciberà per riacquistare peso il perduto (sembra, oggi, una fiaba contro l’anoressia). InMastro Acconcia-e guasta il protagonista, un carpentiere, alle prese con i suoi attrezzi che di notte si animano assumendo forma umana sembra quasi l'anticipazione del cartone animato. L'elemento fantastico e magico, nelle fiabe di Capuana, si sposa con una formicolante attenzione verista nei confronti del quotidiano, che viene fuori dalle descrizioni di poveri paesi, e di stradine animate da ragazzacci che si inseguono, dalle chiacchiere delle donne intente a cucire ○ cucinare sulla soglia di casa, approfittando del calore del sole. METAMORFOSI DA FAVOLA (ROVESCIATA) La metamorfosi di Kafka? Tratta da Gregor Samsa dopo una notte inquieta e si ritrova trasformato in un insetto.Kafka non spiega perché avviene e mostra questa trasformazione come naturale dopo una notte inquieta. Agli inizi del Novecento un certo Gregor Samsa, dopo una notte inquieta e tormentata, s'è ritrovato sul letto trasformato in un insetto a raccapricciante. Che nell'immaginario collettivo è stato immediatamente classificato come scarafaggio, anche se l'autore non lo specifica mai nel corso della storia. Quando apriamo il racconto, la metamorfosi si è già consumata, ma non viene motivata in alcun modo. Le pagine di Kafka descrivono gli effetti con assurda naturalità e con precisione. La sera, Gregor Samsa era un normalissimo commesso viaggiatore, ma di notte è accaduto qualcosa di terribile e inaudito perché, al risveglio, la sua schiena una specie di corazza, il ventre risulta incurvato e da esso si diparte un grappolo di immonde zampine che si agitano vorticosamente. Per il resto, tutto è uguale a prima: la stanza, la casa , la sorella, il padre soprattutto, che se ne sta seduto in poltrona mentre in casa succede di tutto. La metamorfosi del figlio lo infastidisce e lo perturba: ai suoi occhi forse è il segno del la colpa, di un peccato inestinguibile; per questo motivo una sera, accorgendosi che Gregor se ne sta disteso sul tavolo del salotto, in preda alla disperazione si alza e solleva il piede: il figlio rimane tremendamente colpito dalla grossezza gigantesca dei suoi stivali, come se fosse l’orco delle favole, il padre lo insegue, il figlio potrebbe pure arrampicarsi sulle pareti per mettersi in salvo ma non lo fa. Allora il genitore, furente prende le mele rosse che stanno nella fruttiera e inizia a bombardare il figlio fin quando una di queste mele si conficca nelle spalle di Gregor. La scena è degna di una tragedia greca. Samsa in un primo momento risulta diviso a metà tra animalesca e umana. Egli poco a poco perde i sensi umani solo fino a un certo punto mantiene l’udito, ma i sentimenti sono intatti, per questo motivo la trasformazione si deve considerare in divenire. Siamo di fronte a una creatura scissa, una creatura che sperimenta la sua nuova condizione di diversità, di irriducibile dissomiglianza. Gregor, reitera una condizione archetipica della favola: quella del principe un tempo bellissimo ma poi trasformato in bestia, in una specie di mostro che vive accanto alla bella, in questo caso è la sorella, e spera di sposarla per ridiventare uomo e ritornare alla sua antica fisiognomica. Il dramma comincia a consumarsi quando il protagonista comprende che la condizione animale è ľunica che gli si adatti. Se così stanno le cose, allora in realtà Kafka ha affidato ai lettori una favola rovesciata*, stravolta: la bella non può riconosce la bestia, ormai è tardi perché si possa consumare l'agnizione risolutiva. Ed è proprio la bella a decretare la morte della bestia. Siamo di fronte a complesso con la dittatura, di attrazione prima, di misteriosa fascinazione, e poi di ripulsa negazione. Sciascia introduce una carrellata animali antropomorfizzati che mettono in scena lo spettacolo osceno e violento del Potere assoluto. Ma la tradizione classica della favola viene immersa nell'inchiostro corrosivo del Novecento, come dimostra la citazione tratta da La fattoria degli animali. Orwell, autore di Letteratura e Totalitarismo e Gli scrittori e il leviatano, sottolinea la degenerazione del potere e l'individuo che sotto i suoi colpi soccombe. L’autore adotta un tocco metafisico: “Superior stabat lupus”→ “Stava più in alto il lupo” rispetto all'agnello, che lo vede specchiato nell'acqua. Insieme al leone e alla volpe, il lupo è uno dei tre principali divi delle favole di qualunque epoca. Il suo è il ruolo del cattivo, personifica di volta in volta la forza animalesca, la spietatezza, l’insaziabilità, la voracità debordante, l'empietà, l'ipocrisia. Si tratta insomma di una bestia astuta e mortifera, solitamente più forte degli altri animali in campo. Nella favola di Fedro un diritto sacrosanto è: non conta nulla contro chi è mosso dall'intenzione di perpetrare il male. II lupo è destinato nei secoli a incarnare la crudeltà, l'ingordigia, l'ipocrisia e l'empietà. Egli è il perfetto aguzzino: nella favola di Sciascia l'animale, che si manifesta da subito in una terribile immagine specchiata, già sa a quali argomentazioni l'agnello era ricorso per salvare la propria vita, per sottrarsi alla violenza gratuita. Il lupo è colui il d quale, contando sui propri mezzi, non ha bisogno di accampare scuse: agisce senza una giustificazione. La Storia, che vuole suggerire Sciascia, si premura immediatamente di mostrarci come la visione di Isaia del lupo che dimora con l'agnello, della pantera sdraiata accanto al capretto, del vitello e del leone che pascolano insieme e del bambino che gioca con la vipera, sia soltanto una speranza. Siamo difronte al psicoreato. È un universo questo delle Favole in cui si può praticare la violenza oppure subirla: “tertium non datur”. È la distopia che annulla qualsiasi speranza, che cancella la possibilità di una minima variante. Sciascia prende posizione a favore di chi il torto lo patisce, mostrando sin dal suo esordio di aver fatto tesoro dell'insegnamento manzoniano (la lettura dei Promessi sposi praticata non in direzione della storia d'amore negata, né delle tribolazioni che aguzzano il cervello, né della provvida sventura: qui non c'è proprio posto per nessuna provvidenza). Viene perfettamente fuori lo strazio dei corpi torturati, il martirio, la violenza carnale: come nella favola in cui la faina, , addenta la vittima al collo e succhia, succhia. E subito chiaro la spinta presa da Sciascia: il suo primo testo è una denuncia del Potere violento e prevaricatore, è una presa di posizione contro qualsiasi dittatura, sia essa fascista o comunista, a favore dei perseguitati. Una scelta che di libro in libro sarebbe stata sempre più netta. Nelle favole della dittatura sono profeticamente anticipati i temi più cari allo scrittore siciliano; quegli apologhi brevi e concentrati dell'antelucana cristallizzazione. IL MONDO SALVATO DAI RAGAZZINI. ANNA E LA POST-APOCALISSE SICILIANA ● è un fantasy decostruito ● la difficoltà della storia è il saper fotografare → illusione e disillusione ● si parla di un mondo rovesciato → situazione distopica in Sicilia ● lo stile è libero è un romanzo innovativo e sperimentale nel linguaggio La protagonista del romanzo è Anna ha tredici anni ed è a un passo dalle prime mestruazioni (anticamera della morte), vive in un Sicilia ridotta a un’isola di macerie e rottami per via dei saccheggi, devastazioni e incendi, un vero e proprio spazio post-apocalittico. La parola futuro qui, non ha senso perché il tempo ha fatto un’enorme salto indietro sospinto da un virus sconosciuto e letale che ha già sterminato gli adulti e continua a uccidere gli esseri umani ai primi segni di pubertà. In questa Sicilia spettrale che fa da scenario ad Anna, il romanzo di Niccolò Ammaniti* nel 2015, da cui è stata tratta la serie tv eponima. Con la serie tv ci sono delle differenze: - i protagonisti sono fratellastri - non c’è il cane - il finale è diverso Niccolò Ammaniti* nasce in una famiglia di borghesia romana. Il padre era un neuropsichiatra infantile e scrisse di una sua esperienza in un manicomio per infanti. Era più interessato alle scienze infatti il suo primo libro fu Branchie (1994). Scrisse per Gioventù Cannibale una storia. Erano degli scrittori legati al post-moderno che mettevano in scena storie esasperanti ma Ammaniti non è interessato a questo genere. Scrisse anche Fango, una raccolta di racconti e la vita e intima Io non ho paura ha ottenuto grande successo ma venne criticato. Però Ammaniti più diventa famoso più non ha voglia di presentarsi nei circoli letterali. La storia narrata da Ammaniti fa parte del progetto Cassandra, che studia le situazioni anticipate dagli scrittori che poi si sono avverate. Tutti i dispositivi non potevano essere alimentati, non funzionavano i computer nè i cellulari. Questa una situazione simile è stata raccontata da Don DeLillo nel romanzo Il silenzio. I protagonisti della storia sono gli under 14, unici sopravvissuti costretti ad una regressione (primordiale): nativi digitali alle prese con l’assenza di corrente elettrica. Infatti la parola internet non ricorre nemmeno una volta. I protagonisti sono condannati all’entropia. Prima di morire la mamma di Anna ha compilato un quadernetto delle cose importanti, una sorta di talismano cartaceo dove delinea delle istruzioni → regole e percorsi da seguire per sopravvivere: Scrive: non ci sarà più luce, più televisione, più computer, più la musica, più il telefono più il frigorifero. altri: ľavevano colpita i suoi lineamenti promettenti ma soprattutto il chiodo fisso delle scarpe Adidas, le mitiche Hamburg, che una volta indossate rendono immuni al virus. Ammaniti citando le Hamburg beffeggia il capitalismo. Pietro tiene in braccio Astor: il bambino solleva il capo, guarda la sorella e allunga un braccio. Ammaniti lambisce un climax di visioni apocalittiche e diaboliche. Il paesaggio muta in modo inquietante. Da questo momento in poi Anna, Astor, Pietro e il grosso e puzzolente cane maremmano Coccolone che li segue, diventano un manipolo indissolubile: di lì si spostano verso Palermo. Cambia nuovamente il paesaggio: la città è deserta e silente. Nulla è stato risparmiato dalla furia della devastazione. Una mattina si reca nella casa del padre. E decide di lasciare Palermo e proseguire verso Cefalù: li Anna capisce che si è perdutamente innamorata di Pietro, che vede come un porto sicuro. La convivenza con lui e il fratello fanno di Anna una moglie premurosa e attenta e una madre quasi perfetta, Con il passare del tempo la Rossa diventa un rumore di fondo, Anna compie gli anni in quei giorni tredici o quattordici, le mestruazioni giorni arrivano subito dopo. La comparsa del ciclo è un segno. mentre solitamente rappresenta il momento in cui si diventa fertili, si può procreare, nel romanzo invece indica la prossimità alla morte. Nel frattempo Pietro, che è già segnato dalle macchie scarlatte del virus, ha un incidente con la moto che sta provando a rimettere a nuovo, ma prima di morire ha il il tempo tempo di di raccomandare a Anna di cercare le scarpe, la sua ossessione: ci chiediamo se qui l'autore abbia voluto irridere la civiltà contemporanea, fideisticamente poggiata sull' idolatria delle merci. Un oggetto di consumo come totem di salvezza, forse l'unico ancora a disposizione. Anna per la prima volta sente mancare il terreno sotto i suoi piedi. Sta bruciando le tappe: è già vedova. La ragazza comincia ad avere un sacco di dubbi sulla traversata dello Stretto, eppure continua ad andare avanti assieme a Astor e a Coccolone. Sono diretti a Messina e a un certo punto si manifesta un'apparizione inaspettata: una mandria di mucche, dietro alla quale corrono decine di bambini armati di bastoni. Le mucche si lanciano nel vuoto, incitate dai bambini. I piccoli con i loro bastoni si avvicinano ostili a Coccolone, uno prova a colpirlo e il cane lo fa cadere a terra e gli azzanna un braccio. Anna e Astor fanno mettere a cuccia il cane ma entra in scena una bambina che dice “cane cattivo”. Anna prova a convincerla: è buono, La biondina si avvicina e allunga la mano verso la testa del maremmano, che la scruta e l’annusa. La bambina indietreggia di un passo e dice: “Buono, buono”. Anna capì che quei bambini erano troppo piccoli per ricordare che i cani, un tempo, erano stati animali da compagnia. Si sente vecchia Anna nel momento in cui s'imbatte nella nuova generazione di piccoli, che non ha memoria dei cani da compagnia, perché non li ha mai vissuti. Avverte sempre più la mancanza di Pietro. Finalmente arrivano a Messina, si avvicinano al mare: per fortuna la giornata è giusta. Trovano un pedalò, salgono su, Coccolone recalcitra: Anna e Astor alla fine cominciano a pedalare, pedalare, a malincuore. Lasciano il pedalò sulla spiaggia e si inoltrano verso la città col cuore in gola. Il solito spettacolo: insegne cadute, negozi saccheggiati, palazzi disabitati. I due fratelli si intrufolano in uno stanzone senza finestre, accendono la torcia e appesi ai muri vedono magliette, stivali, jeans. Anna entra in una stanzetta cubica: c'è una pila di scatole, all'interno di una di esse intravede un paio di scarpe Illumina l'etichetta: "Adidas Hamburg" Sono le uniche di quella marca: le indossano una per uno. Astor chiede a Anna se così non funzionano. Anna gli dà la mano e dice: che non importa. Così il romanzo si chiude. Leggere i romanzi post-apocalittici, distopici come Anna, significa anche rimanere accecati da grandi visioni, abbagliati da inquietanti epifanie. Visioni ed epifanie che per effetto ecolalico, essendo la letteratura una vasta landa di risonanze, ne richiamano altre. E lo stesso Ammaniti a disseminare qua e là indizi, piccoli segnali: che richiamano La strada* di Cormac McCarthy. In entrambe le storie un evento disastroso ha ridotto il mondo in ginocchio, mettendo a rischio la specie umana. Bande di selvaggi praticano il cannibalismo seminando morte e terrore. Ma soprattutto, i due romanzi sono accomunati dal tema del viaggio: intrapreso da Anna, Astor e Coccolone, nel romanzo di Ammaniti, nel tentativo di mettere piede in Calabria; nelle pagine dello scrittore americano, un padre e un figlio sono diretti a Sud, in cerca di un clima più mite e di un paesaggio meno ostile. *La strada è una storia del mondo dopo un disastro nucleare. Una vita fatta di paure, fobie e cannibalismo. Una vita senza morale ed etica McCarthy, con La peste scarlatta, racconta di un'epidemia scoppiata nel 2013 che in breve tempo cancella l'intera razza umana: il primo sintomo del morbo è un rossore diffuso su tutto il viso e tutto il corpo, la peste scarlatta. Sessant’anni dopo nello scenario post apocalittico di una California che ritorna all’età della pietra, un vecchio (l’unico sopravvissuto) e il nipote avanzano verso l’accampamento di due pastori, dove una volta sorgeva San Francisco. A distanza di sette anni la rossa dell’America si sposta in Sicilia e il primo ad essere contagiato è Cola Pesce, il ragazzo che per ordine del re (come racconta Anna) va in fondo al mare perché una delle tre colonne su cui la trinacria poggia rotta e occorre qualcuno che la regga. Anche il romanzo diWilliam Golding, l'autore di Il Signore delle mosche, il quale narra di un gruppo di bambini su un'isola deserta osservando quasi in provetta l’infanzia dell’umanità, la regressione ai primordi di alcuni giovani civilizzati. Appunti: Il mondo salvato dai ragazzini è un romanzo di formazione perché il mito dell’infanzia diviene capolavoro, non si