Scarica Marino: La Vita e l'Opera di Giovan Battista Marino, Poeta Napoletano e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! I LETTERATI MAGGIORI GIOVAN BATTISTA MARINO Pochissimo è noto dei primi anni del Marino: si sa della nascita nel 1569, di studi giuridici condotti senza entusiasmo, e di una passione letteraria contrastata dal padre, una passione che dovette alimentarsi anche per il passaggio a Napoli, a più riprese del Tasso. A quell'altezza il Marino frequenta gli ambienti di Matteo di Capua, principe di Conca, ed entra in contatto con Giovan Battista Manso, due dei signori più impegnati nella promozione di una nuova cultura a Napoli. Gli esordi poetici del Marino avvengono in questo contesto, in un clima che prevede anche la lezione del naturalismo filosofico di Bernardino Telesio, lezione approfondita nell'Accademia degli Svegliati, riunita appunto intorno a Matteo di Capua. In parallelo a questi anni di formazione letteraria, Marino conduce un'esistenza all'insegna dell'eccesso: nel giro di un biennio, tra il 1598 e il 1600, viene per due volte condannato al carcere. Nel 1600 lascia Napoli e si sposta verso Roma, centro della cultura italiana del tempo. All'arrivo a Roma Marino si guadagna con rapidità la protezione di alcune delle famiglie più importanti: prima quella dei Crescenzi, nel cui ambiente conosce Caravaggio; poi persino quella del cardinale Pietro Aldobrandini, nipote del papa Clemente VIII. È una scalata che conferma la straordinaria abilità di autopromozione del Marino, la sua capacità di farsi largo come protagonista di una nuova stagione poetica. Sono ormai maturi i tempi per l'esordio a stampa: le Rime vengono pubblicate a Venezia, nel 1602, e ottengono uno straordinario successo. RIME Su un piano generale di strutture, le Rime chiudono definitivamente con il modello del canzoniere unitario, sull'esempio petrarchesco, e vanno verso una divisione per capi, di ordine tematico, che era stata già avviata da Tasso e che viene organizzata dal Marino in amorose, marittime, boscherecce, eroiche, lugubri, morali, sacre e varie. La raccolta del 1602 e le successive ristampe sanciscono il ruolo di Marino quale guida della nuova generazione di letterati. Per ottenere una piena consacrazione occorre però la prova nel genere più alto dell'epica, in un confronto obbligato con Tasso. Nonostante Marino annunci la stampa (mai realizzata) di un poema dal titolo di Gerusalemme distrutta, in chiave agonistica con la Liberata, egli si sente piuttosto portato all'esercizio su scala più contenuta, lontano dalle regole e dalle altezze stilistiche dell'epica. Nel 1605, infatti, in una lettera all'artista Bernardo Castello, annuncia di aver pronti cinque poemetti, tra cui l'Adone «in tre libri», per i quali teme però le opposizioni dell'Inquisizione: segnale indiretto che i testi mariniani spingevano sul versante licenzioso, espressione di quella vena lasciva che sarà sempre presente nel Marino maggiore. Nel 1605, al seguito di Pietro Aldobrandini, Marino si trasferisce a Ravenna, dove rimane negli anni successivi. Tuttavia, dopo la morte di Clemente VIII (1605), la protezione dell'Aldobrandini comincia a stargli stretta, e il poeta si mette alla ricerca di una nuova e più prestigiosa sistemazione cortigiana: l'occasione migliore viene offerta dalla celebrazione delle doppie nozze che, nel febbraio del 1608, uniscono le due figlie di Carlo Emanuele I di Savoia con i principi delle casate d’Este e Gonzaga. Per i due matrimoni torinesi Marino compone due testi encomiastici (Il balletto delle Muse e Il letto) e si dedica poi a un omaggio indirizzato al Duca: il Riatto del serenissimo Don Carlo Emanuello, nel 1608. Si tratta di una politica di encomio con cui Marino riesce a mettersi subito in luce presso la corte torinese, anche perché, accanto agli omaggi alla casata Savoia, scrive e la circolare una serie di testi parodici contro Gasparo Murtola, con l’evidente intenzione di scalzarlo dalla posizione di poeta di corte. Lo scontro, iniziato forse in maniera scherzosa, diventa presto mollo aspro e violento: Marino scrive una serie di sonetti burleschi (oggi noti come Murtoleide), cui Murtola risponde o cerca di rispondere per le rime (sono i testi oggi noti come Marineide. Nel gennaio del 1609 tende al Marino un agguato per strada e cerca di ucciderlo. Marino si salva miracolosamente, mentre il Murtola viene arrestato: l'episodio ha un'eco clamorosa e vede il Marino uscire da trionfatore, e per di più insignito del titolo di cavaliere dei santi Maurizio e Lazzaro, nomina assegnatagli da Carlo Emanuele: da qui in avanti il poeta di umili origini napoletane si trasforma nel cavalier Marino. Il trasferimento a Torino alla fine del 1609 sembra dunque l'ennesimo riconoscimento di un'eccellenza, ma in realtà nasconde un versante in ombra. Marino, accusato di aver composto «poesie oscene ed empie», lascia frettolosamente Ravenna e il territorio dello Stato Pontificio perché inseguito da un ordine del tribunale dell'Inquisizione che ne impone l'arresto e una poco tranquillizzante estradizione a Roma. La protezione di Carlo Emanuele risulta, da questo punto di vista, una difesa decisiva; e tuttavia Marino non si astiene ancora una volta da una condotta rischiosa. Già nei suoi primi mesi torinesi, infatti, scrive dei testi poco riverenti verso il Duca, e per tutta risposta viene subito rinchiuso in prigione. La durata di questa reclusione, di oltre un anno, e la misura congiunta di un sequestro dei manoscritti dicono della gravità dell'episodio. Marino si lamenta a più riprese nell'epistolario, protesta la sua innocenza, richiede il perdono del Duca e la restituzione delle proprie carte. Allo stesso tempo dalla prigione continua a scrivere lettere burlesche, ancora giocate tra l'osceno, l'irriverente o persino un registro di empietà che doveva essere molto rischioso per un poeta già inseguito dall'Inquisizione. Quando ritorna in libertà e in possesso dei suoi manoscritti, alla metà del 1612, Marino si impegna per pubblicare alcune delle opere cui ormai lavora da molti anni. All'inizio del 1614, in un passaggio decisivo, Marino pubblica la terza parte delle sue rime, intitolata la Lira, nella quale raccoglie le liriche composte negli anni dopo il 1602 e allo stesso tempo chiude la propria esperienza lirica. LA LIRA Rispetto all'esordio, la Lira del 1614 presenta quella che viene definita una nuova maniera mariniana: conserva una struttura per capi (Amori per le liriche amorose, Lodi per i componimenti encomiastici, Lagrime per i testi in memoria, Divozioni per i testi sacri, e infine Capricci, di materia varia), ma offre ora dei testi in cui la ricerca di metafore e la pratica dei concetti in clausola diventano più marcate. Ogni quartina è scandita su una metafora iniziale («fabro celeste», «frettoloso cursore», «generoso campione») che sposta il momento della Passione di Cristo su una nuova area semantica, secondo un meccanismo di rielaborazione metaforica potenzialmente inesauribile. Il 1614 rappresenta un passo in avanti nella sperimentazione di metafore e nell'oltranza dello stile.