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sintesi di Arte contemporanea, Schemi e mappe concettuali di Storia dell'arte contemporanea

Testi di riferimento: Arte contemporanea: Le Avanguardie storiche (Covre) Arte contemporanea: Metafisica, Dada, Surrealismo (Schiaffini) Arte contemporanea: Dall'Espressionismo Astratto alla Pop Art (Zambianchi) Arte contemporanea: Dal Minimalismo alle ultime tendenze (Pancotto)

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2021/2022

Caricato il 13/04/2023

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Scarica sintesi di Arte contemporanea e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia dell'arte contemporanea solo su Docsity! 1 STORIA DELL’ARTE CONTEMPORANEA INDICE: 1. MODERNISMO Pag. 3 2. I FAUVES Pag.4 3. DIE BRUCKE Pag.7 4. IL CUBISMO Pag.10 5. L’ORFISMO Pag.16 6. DER BLAUE REITER Pag.19 7. IL FUTURISMO Pag.22 8. LA METAFISICA Pag.28 9. L’AVANGUARDIA RUSSA E SOVIETICA Pag.35 10. MONDRIAN E “DE STIJL” Pag.39 11. BAUHAUS Pag.42 12. DADAISMO Pag.43 12.1.1. NEW YORK Pag.47 12.1.2. BERLINO Pag.52 12.1.3. COLONIA Pag.54 12.1.4. HANNOVER Pag.55 12.1.5. PARIGI Pag.56 13. SURREALISMO Pag.60 14. ESPRESSIONISMO ASTRATTO Pag.73 15. NEW DADA – POP ART Pag.84 16. ALLAN KAPROW E L’HAPPENING Pag.87 2 17. POP ART Pag.87 18. NOUVEAU REALISME Pag.90 19. FLUXUS Pag.92 20. MINIMAL ART Pag.94 21. LAND ART Pag.96 22. ARTE CONCETTUALE Pag.97 23. PROCESS ART – ANTIFORM Pag.100 24. ARTE POVERA Pag.101 25. IL POSTMODERNISMO Pag.103 26. LA TRANSAVANGUARDIA Pag.104 27. PITTURA VIOLENTA -NEUE WILDEN Pag.105 28. NEW IMAGE, BAD PAINTING, GRAFFITI ART Pag.106 29. ALTERNATIVE ALLA TRADIZIONE FIGURATIVA Pag.107 29.1.1. NEO.POP Pag.107 29.1.2. NEO-CONCETTUALE Pag.108 29.1.3. NEO-OP E NEO-GEO Pag.109 30. YOUNG BRITISH ARTISTS Pag.110 31. FOTOGRAFIA Pag.111 5 All’esperienza di Matisse risponde Braque nel 1907 con Piccola baia a La Ciotat. Il procedimento tecnico sembra analogo ma ci sono anche delle differenze. Non c’è interesse per il mito; Braque utilizza pochi elementi come l’orizzonte, riflessi caldi e contro riflessi contrastanti, rapide stesure diagonali sul cielo e sul terreno e anche qui un albero con la funzione di una cornice sul margine sinistro del quadro. Derain dipinge, nel 1906, invece la serie dei controluce di Londra: un esempio è Westminster in cui Derain costruisce la composizione su fasce di toni freddi, che esaltano per contrasto il bianco puro dell’astro e i suoi riflessi caldi nell’acqua accendendo di rosa l’elemento immateriale trasparente del vapore del battello. Il cielo è costruito dal ventaglio di raggi che esplodono in una progressione dai toni azzurri verso quelli più caldi e infine nebbiosi; negli edifici i trattini si dispongono secondo il senso di gravità nell’acqua del Tamigi secondo il senso della corrente. In Derain sono forti la meditazione su Cézanne e l’amore per l’arte africana. Vlaminck, soprannominato le flamand, segue ancora un’altra strada per solidificare il colore, guardando nella direzione di Van Gogh. Tra il 1905 e il 1906 la sua esperienza di Chatou traduce l’esempio degli amici in un moto istintivo e irruento, che lo indurrà ad appropriarsi del fauvisme come di cosa da lui stesso creata: colori puri e caldi stesi in porzioni irregolari; decostruzione prospettica spinta al massimo da sorta di horror vacui che riempie al massimo lo spazio. Certi paesaggi di Chaotu, con la loro vegetazione che non sostiene la composizione ma affonda nel rosso del terreno e disorienta lo spettatore, presentano il massimo del dis-ordine fauve. Da mettere in evidenza, inoltre, che dopo questa sua massima libertà espressiva di periodo fauve, segue un rapido raffreddamento in forme assimilabili a protocubismo. Quindi la violenza del colore, gli audaci accostamenti cromatici di tinte pure, le stesure per superfici larghe negano la spazialità naturalistica degli impressionisti. La nuova maniera di pensare il colore nella purezza delle sue tinte si mescolava a un’organizzazione dello spazio pittorico dagli esiti decorativi, in molti casi voluti e ricercati come in Matisse. Elemento importante in pittura fauve e di Matisse è l’elemento decorativo: composizione è arte di sistemare in modo decorativo i diversi elementi di cui la pittura dispone per esprimere i propri sentimenti: il posto che occupano i corpi, i vuoti che sono intorno ad essi, le proporzioni. Nello stesso contesto Matisse ripropone analogia tra la pittura e la musica, cara all’ambiente simbolista soprattutto francese e, prima ancora, ai romantici. 1907: Nudo blu “souvenir de Biskra” (fig.1) di Matisse inserisce nel quadro il Nudo sdraiato (Aurora) (fig.2) scolpito nello stesso anno e si può accostare al Nudo con drappeggio di Picasso (fig.3) e al Grande nudo di Braque (fig.4). È iniziato un dialogo tra Matisse e Picasso. Nel Nudo blu il riferimento si sposta verso Cézanne; il braccio alzato e la gamba a squadra, nonché il colore più freddo e sommesso, sono riferibili a un tipo ricorrente nelle Bagnanti di Cézanne; al tempo stesso il sottotitolo della scultura, L’Aurora, fa ipotizzare una componente michelangiolesca che prende le distanze dai modelli africani di Picasso. (fig.1) (fig.2) (fig.3) (fig.4) 6 Per Matisse si tratta di una fase di passaggio. Ma tra il 1908 e il 1910, anno in cui sono completati i 2 dipinti: La musica e La danza (fig.5), l’esercizio strutturale è riportato all’interno dell’accensione cromatica, dove i ritmi decorativi e musicali proseguono tuttavia anche il sintetismo dei Nabis e le figure si riducono e semplificano. Siamo già nel solco di quell’attenzione per il decoupage, per le figure ritagliate ed essenziali che Matisse amerà negli anni a seguire. Il soggetto sono cinque figure danzanti le cui braccia sono protese nello slancio di afferrarsi l’un l’altra mentre si muovono in cerchio: i corpi sono rappresentati in maniera sbilanciata e in torsione per confluire nell’accentuazione del movimento rotatorio. Il quadro è tripartito presentando degli elementi focali: il cielo, la terra e le figure danzanti. Il mondo appare quasi plastico agli occhi dell’osservatore, con una forte inclinazione alla deformazione come si evince dallo schiacciamento causato in maniera netta dal piede di uno dei danzatori. I colori utilizzati risentono della medesima tripartizione ed infatti Matisse utilizza solo il colore rosso-marrone delle figure, il blu per il cielo e il verde per il prato. La tridimensionalità viene totalmente sacrificata in favore del colore e della bidimensionalità che esso trasmette. Anche l’abolizione del chiaroscuro è un punto notabile del dipinto, oltre che stile principale dei Fauves. È sempre l’accostamento dei colori complementari - in questo caso quelli riguardanti le figure e il cielo - a garantire l’illuminazione del dipinto grazie a tinte vivaci e dinamiche come lo stile pittorico in questione. La Danza riassume tutta la poetica di Matisse, trasmissibile in primis mediante la tecnica messa in mostra: le pennellate vengono applicate in maniera rapida e confusa per manifestare il dinamismo insito dell’opera. Simbolicamente questo dipinto rappresenta la gioia di vivere e la felicità di una danza musicale. I ballerini danzano insieme, nudi, al ritmo di una musica felice. Per trovare, all'interno del fauvisme, una linea geometrizzante fondata sull'impiego del colore puro, dobbiamo pensare soprattutto a Raoul Dufy che, come Braque, appartiene all’Ecole du Havre. Dufy cederà forse più di tutti al fascino del protocubismo. Lo vediamo per esempio nella serie del 14 luglio (La via imbandierata) che interpretata il tema urbano, il sentimento di patriottismo e l'esaltazione delle strade imbandierate. Ehi lo sguardo del pittore piomba dall’alto, tuttavia, la prospettiva a volo d'uccello si annulla nella griglia cromatica in cui si intarsiano su un unico piano le superfici tricolore, le facciate delle case con le finestre squadrate e il piano stradale. Assistiamo ad un interesse diverso rispetto alle tematiche predilette dai fauves (pensiamo alle bagnanti, ai ritratti, alle nature morte), sostituite da scene di città e da sagome semplificate ispirate allo stile cartellonistico. (fig.5) 7 DIE BRUCKE (di briuke) Al confronto con gli altri movimenti d'avanguardia, la pittura dell'espressionismo tedesco appare più impacciata sul piano tecnico-formale e più esplosiva su quello della motivazione comunicativa. l movimento Die Brücke, in italiano il ponte, nacque a Dresda nel 1905 dal lavoro di quattro studenti di architettura: Ernest Ludwig Kirchner (kirscnar) (1880-1938), Erich Heckel (ekel) (1883-1970) e Karl Schmidt-Rottluff (scmit rotlof) (1884- 1976). Al nucleo originario si unirono presto altri artisti come Emil Nolde (nold) (1867-1956). Si tratta quindi di un gruppo di artisti espressionisti tedeschi il cui nome intendeva esprimere la fede dei suoi membri nell’arte del futuro, verso la quale le loro opere costituivano un ponte. Die Brücke rappresentò in effetti il cuore originario dell’espressionismo tedesco. Ottennero presto i primi riconoscimenti, ma iniziarono a perdere l’identità di gruppo man mano che gli stili individuali si facevano più evidenti e questo aspetto sarà fondamentale per lo scioglimento del gruppo. L'avanguardia tedesca, a differenza per esempio dei francesi, non ha alle spalle una dimestichezza con la sperimentazione pittorica e in generale possiamo dire che i pittori di Dresda si ispirano soprattutto al romanticismo di Friedrich, fondato sull'“occhio interiore”, con le sue forme taglienti e spigolose, il senso religioso della natura, il conflitto dell'uomo di fronte all'immensità del creato; al tormento esistenziale di Van Gogh; al cristianesimo problematico e le maschere di Ensor; all’immedesimazione in una natura enigmatica ed ostile di Munch; al gotico, interpretato in strutture triangolari e spigolose, e più tardi anche al ricorso del linguaggio cubista. Gli artisti del Die Brücke si discostavano dai Fauves francesi, anch’essi espressionisti (ricordiamo che il termine espressionismo è nato in riferimento proprio all'avanguardia francese, nella dichiarazione del 1908 di Matisse troviamo una riflessione sul termine espressione), per i soggetti e la tecnica artistica. Con l'espressionismo tedesco il “brutto” entra sistematicamente in una poetica, e con esso tutto in negativo che gli artisti avvertono nella scena urbana, irta di pericoli, di presenze ostili, di corruzione. I loro soggetti consistevano principalmente in paesaggi e composizioni di figure, soprattutto nudi all’aperto. Lo stile pittorico con cui erano trattati era molto carico, si serviva di colori forti e spesso non naturalistici e di forme semplificate, energiche e spigolose. C’è un senso di ansia e inquietudine che traspare nelle opere di questi pittori che spesso erano quasi privi di una formazione pittorica accademica e professionale. Furono influenzati non solo dall’arte tardo- medievale tedesca, ma anche dall’arte dei popoli primitivi. Un esempio da citare è la xilografia a colori Bambina in piedi di Heckel: Una bambina non ha ancora donna, ma privata della serenità e dell'innocenza della fanciullezza, presenta un'immagine sproporzionata, goffa, dolente, sprigionate un'anima smarrita dai grandi occhi persi nel vuoto. La xilografia diventò una delle tecniche predilette al gruppo, perché particolarmente adatta nella resa dei forti contrasti cromatici e dei tratti deformati tipici dell’arte di questi pittori. Una scelta che prese spunto dal passato, dall’estetica cruda e audace delle incisioni su legno realizzate verso la fine del Quattrocento. Le xilografie create da Kirchner furono le più efficaci, forse perché l’artista aveva da subito compreso le qualità e le possibilità di questa tecnica. La stessa grafica poteva essere prodotta in molti esemplari, raggiungendo un pubblico molto più ampio a differenza di un quadro a olio. Proprio una xilografia di Kirchner, incisa nel 1906, è il manifesto della Brücke. Per divulgare le idee del gruppo ed entrare in stretto contatto con il grande pubblico, vennero creati dei giornali e delle riviste. Tra i più famosi Der Sturm*pag8 (1909) fondata da Herwarth Walden e presto divenne la più famosa e vi lavorò, tra gli altri il pittore e drammaturgo Oskar Kokoschka, Die Action (1911) e Relovution (1913) che avranno il compito di far conoscere gli artisti a livello nazionale. Un altro particolare riferimento importante è l’interesse per la scultura nera, una categoria che oggi sarebbe difficile riproporre per l’attualità e che chiaramente è frutto di una visione eurocentrica che guarda ai prodotti e manufatti provenienti dalle colonie e dall’Africa in generale. 10 IL CUBISMO Il termine cubes era stato usato da Vauxcelles per indicare in modo sbrigativo le sintesi Quello che comunemente definiamo cubismo va ripensato nell’ottica di quella condizione di temi, spazi di ricerca, sodalizi tra vari artisti. Quindi l’esperienza non la possiamo inscatolare in un periodo preciso. Da un altro lato ci sono degli stereotipi ma ci sono anche delle questioni che anche se stereotipate sono certamente presenti. Nel cubismo i ruoli importanti sono della coppia Picasso-Braque e il gruppo che continua a presentare le proprie opere nelle esposizioni pubbliche, in particolare al Salon des Indépendants, dove una sala di cubisti viene individuata nel 1911. Picasso e Braque hanno firmato un contratto con il gallerista Kahnweiler e le loro opere sono in realtà meno note e diffuse di quelle di Gleizes, Léger, Metzinger e Gris, che espongono nel 1911. E quindi quell’idea che si va a strutturando nel 1900 di uno stretto legame tra le posizioni di poetica e le posizioni di mercato, le quali non sono secondarie. Certamente non dobbiamo dire che l’arte contemporanea è una questione di mercato, ma studiare il mercato dell’arte contemporanea ci aiuta per capire contatti e legami tra le varie personalità, e perché ciò influisce anche sulla poetica. Kahnweiler non è stato solo mercante ma anche scrittore sulla pittura cubista; infatti, scrisse a partire dal 1920 opere su artisti cubisti. Apollinaire è un altro scrittore che parla di cubismo. Questa fase la possiamo definire “protocubista” Dal protocubismo al cubismo analitico: il termine cubismo nasce dalla penna di Vauxcelles e nasce in un’accezione non positiva perché chiama “bizzarrie cubiche” i paesaggi dipinti da Braque nel 1908. Case a L’Estaque (1908) presenta una solida architettura sorretta da due tronchi d’albero; al centro un paesaggio in cui le rocce, le case, il fogliame non hanno un riscontro mimetico ma si incastrano con lo stesso valore plastico in una costruzione ascensionale, dove gli elementi vicini e lontani sono ugualmente presenti gli uni sugli altri e i colori sono drasticamente ridotti ricostruzione mentale del brano naturale. Non si parla ancora di scomposizione per piani ribaltati sulla superficie del quadro. Il punto di partenza del processo è Cézanne il cui cubo emergeva dalla consistenza delle macchie regolari di colore. L’inizio della fase protocubista di Picasso viene in genere fissato nel quadro Tre donne (1907-1908) in cui il tema delle bagnanti di Cézanne è ripreso amplificando e solidificando in moduli stereometrici la struttura a blocchi, riducendo ulteriormente il colore a due toni fondamentali, ocra e verde, ed eliminando la sensazione del vuoto e dell’aria. La figura di sinistra riprende la posizione della donna col braccio alzato dietro al collo presente nelle Demoiselles d’Avignon e in Cézanne stesso (iconograficamente definita la figura della tentatrice), mentre la squadratura quasi lignea e le ombreggiature nei volti riprendono l’esperienza della scultura negra da poco affrontata. Questa fase che possiamo definire “protocubista” ruota intorno ad alcuni lavori come Demoiselle d’Avignon di Picasso, oggi conservata a New York al MoMA. Il pittore, giunto a Parigi nel 1904 proviene da esperienza legata al simbolismo di Barcellona, attraversata nelle cosiddette fasi blu e rosa, e sperimentando anche suggestioni parigine (Toulouse-Lautrec) in ritratti e scene di ambienti notturni di accentuata cruenza. I temi più noti di questi anni d’esordio sono ritratti sommessi di amici o di figure povere, dimesse, silenti e quasi svuotate di consistenza corporea o temi legati alla vita dei saltimbanchi in mondo degli emarginati avviene rapporto di pittura con realtà; il tutto è arricchito dall’azzurro che indicava uno stato d’animo doloroso. Il Ritratto di Gertrude Stein terminato nell’autunno 1906 segna la svolta verso una figurazione nuova e il distacco definitivo da poetiche ancora venate di struggimenti simbolisti e estetismi ottocenteschi. La scultura iberica influirà sul volto della donna: semplificazione dei tratti, eliminazione dei dettagli inessenziali, la monumentalità quasi classica della testa, tutti elementi che sembrano entrare a forza nel quadro. 11 Intorno al 1906, al termine del periodo rosa, appare infine, con l’Harem e gli studi che vi si affiancano, il tema delle Demoiselles, al momento affrontato sotto l’impressione di una grande retrospettiva di Ingres, che lo spinge verso una strutturazione luminosa più accentuata, ma anche di Matisse. Il grande quadro, al quale lavora per sei mesi, con una sterminata serie di studi preparatori, è il frutto di un’esperienza umana che si traduce in una rivoluzione profonda del concetto di pittura. Preceduto da sedici abbozzi e numerosi studi in tecniche diverse Picasso pervenne alla sua progettazione attraverso anche i disegni e quadri prodotti precedentemente in cui esplorò varie gamme di proposte. Uno schizzo dell’artista testimonia che inizialmente Picasso pensava di raffigurare sette figure, ossia cinque prostitute e due uomini (un marinaio e uno studente), raggruppate all’interno di un bordello e con una natura morta in primo piano. In un secondo tempo, l’artista decise di eliminare gli uomini. In questo periodo Picasso sta vivendo una fase di sbandamento, frequenta bordelli: di qui il titolo che ricorda una strada famosa per questa attività. La prima idea del dipinto presenta a sinistra uno studente di medicina che scosta una tenda per entrare, mentre al centro del gruppo di donne è un marinaio: il giovane esitante e l’uomo a suo agio sono le due anime di Picasso che sta saggiando nuove vie anche per la pittura. Con il procedere degli studi per il quadro, assistiamo alla scoperta dell’arte primitiva, della scultura iberica e dell’arte africana; parallelamente è riscoperta la pittura di Cézanne attraverso il tema delle bagnanti. L’impostazione narrativa è abbandonata con arte negra e alla fine le forme arrotondate diventano spigolose e con i tratteggi tipici della scultura negra, i maschi scompaiono, estensione orizzontale lascia il posto a quella verticale con quasi una funzione totemica. In basso la natura morta ribaltata è sorta di citazione di Manet passata attraverso impressionisti e fauves. Tutto ciò non è ancora cubismo ma è la rottura con tutto ciò che viene prima. Cubismo nasce quando l’operazione intellettuale sull’immagine prende le distanze dalla sensibilità. Les Demoiselles d’Avignon rappresentano un punto di rottura e una svolta nella pittura di Picasso nel 1907, e anche se non si possono considerare un quadro cubista, è considerato universalmente il manifesto del Cubismo.. Les Demoiselles d’Avignon di Pablo Picasso sono cinque ragazze che si propongono alla vista dell’osservatore. Sono disposte frontalmente e mostrano in modo sfacciato la loro nudità. Si pongono inoltre come modelle e la loro posizione prende direttamente in considerazione l’esistenza di qualcuno che le sta osservando. Lo sfondo infine è rappresentato da zone frammentate di diversi colori che si integrano con quelle dei corpi delle ragazze. In realtà le protagoniste potrebbero essere state ragazze di una casa di tolleranza frequentata dal giovane Picasso. Le due ragazze centrali hanno uno sguardo più riconoscibile e diretto e hanno una impronta più classicistica, giacché la posa con le braccia alzate e raccolte dietro il capo richiama il Prigione morente di Michelangelo e alcune figure femminili del pittore neoclassico Ingres. Le due donne laterali a destra invece richiamano, con la deformità del loro volto, le maschere di tradizione africana amate da Pablo Picasso. L’immagine della ragazza di sinistra poi ricorda lo stile egizio con l’occhio frontale e con il volto disegnato di profilo. La prostituta accovacciata, con le gambe oscenamente aperte, infrange tutti i canoni della prospettiva rinascimentale: pur essendo ripresa di spalle, mostra il volto allo spettatore. L’artista propone, insomma, una rappresentazione “totale” di questa donna, mostrandone contemporaneamente la parte posteriore e quella frontale. In primo piano, in basso, si scorge un tavolino su cui è posata una essenziale natura morta. L’artista non era interessato a rendere il senso dei volumi e quindi non elaborò alcuna ombreggiatura né chiaroscuri. Inoltre, spinto da un desiderio di semplificazione estrema, adottò solo due colori, proponendo semplici variazioni dell’ocra e del blu. La ricezione tardiva di questa opera non ha però limitato l’influenza. Negli anni ’20 il collezionista Doucet intese lasciarlo al Louvre ma non fu accettato. Il quadro non ebbe quasi pubblico per trent’anni. Nel 1924 (anno del manifesto surrealista) fu acquisito da Doucet per una cifra irrisoria, grazie al suggerimento di Breton. Solo alla morte del collezionista il quadro fu venduto dalla vedova a un mercante che lo portò negli USA e che nel 1937 lo vendette al MoMA (nasce nel 1929) che lo consacrò come il quadro più importante della collezione. 12 Nel 1939 Barr dedica a Picasso un’enorme retrospettiva al Moma e introduce così Le Demoiselles d’Avignon: “Le demoiselle d'Avignon è uno dei pochissimi dipinti nella storia dell’arte moderna che abbia segnato un’epoca è infatti considerato il primo dipinto cubista. In poche opere d’arte moderna l’arroganza del genio si afferma con tanta potenza. Esso marca l’origine di una nuova era della storia dell’arte moderna.’’ Che Picasso e Braque a partire dal 1908 lo abbiano fatto in modo più geniale non esclude che tutti siano partiti dallo stesso problema. Oltre all’accostamento tra le Bagnanti di Derain (1907), Les Demoiselles d’Avignon di Picasso e le Tre donne, c’è altro confronto che chiarisce la nascita del cubismo su fronti diversi ed è quello tra il Nudo blu di Matisse, il Nudo con drappeggio di Picasso e Il grande nudo di Braque. *pag.4 Tutti e tre i pittori hanno affrontato quasi contemporaneamente il tema, derivato da una bagnante di Cézanne, della figura femminile con una gamba piegata ad angolo che imprime una torsione e un contro movimento all’intera struttura. Nel 1909 e nel corso dell’anno successivo i solidi geometrici di Braque e Picasso acquistano una luminosità ed una trasparenza nuove, mentre il colore si attenua fino a gamme perlacee sempre più vicine al grigio ispirate alla pittura di Corot (1796-1875), pittore romantico di matrice neoclassica e considerato uno dei più interessanti paesaggisti dell’Ottocento.. È il momento dei paesaggi di Horta de Ebro di Picasso (fig.1) e delle varie versioni del Castello a La Roche-Guyon di Braque (fig.2). I piani si sovrappongono l’uno sull’altro assumendo struttura piramidale. Braque applica lo stesso procedimento di montaggio sugli strumenti musicali (Piano e mandola) che ama spesso dipingere; In questa fase, entrambi affrontano più rigorosamente la scompaginazione prospettica e la pluralità dei punti di vista, fino a scomporre, nella fase del cubismo analitico (dalla fine del 1909), gli oggetti in piani incastrati gli uni agli altri e ribaltati sulla superficie bidimensionale della tela. Lo si vede ne Il Portoghese di Braque (1911-12) in cui il processo di scomposizione è arrivato a celare il soggetto e a renderlo irriconoscibile. In quest’opera si nota il primo dei procedimenti (1)* adottati per recuperare la realtà: l’inserimento di lettere e cifre dipinte, che necessitano di essere ricostruire dallo spettatore in quanto si tratta di scritte mai complete o decifrabili facilmente. Viene chiamato in causa anche il fattore “tempo”, implicito nella lettura. *gli altri procedimenti che si manifesteranno: 2. il papier collé: vede l’uso di brani di carta, giornali, solo parzialmente leggibilità. Un esempio è la Natura morta con sedia impagliata di Picasso È stato notato che nei papiers collés di Picasso , spesso questi brani sono stati tratti da fogli anarchici o allusivi a sommosse, avvertimenti violenti, eventi politici già interpretabili con arie di guerra. 3. il trompe-l’oeil: consiste in una rappresentazione che tende a una concretezza tale da generare l'illusione del reale. Il materiale extrapittorico viene dipinto con estrema accuratezza, cosa che induce nell'osservatore l'illusione di guardare oggetti reali e tridimensionali. In questi anni, i quadri di Braque e Picasso sfidano l’illusorietà; l’oggetto non viene più rappresentato come si vede nella realtà esteriore ma come viene intuito attraverso la conoscenza, non solo dei sensi ma anche dell’intelletto. Importante è anche la scelta dei soggetti: vengono proposti prevalentemente ritratti, di personaggi comuni o dei loro mecenati, e nature morte con oggetti comuni. (fig.2) (fig.1) 15 La scultura di Picasso negli anni del cubismo sviluppa un discorso interferente con i papiers collés e i collages, di cui sembra interpretare le istanze proiettandole nello spazio. Violino (1914-15): sorta di bassorilievo, struttura piramidale tipica di dipinto di cubismo sintetico, forti cromatismi, motivi decorativi. La scultura cubista a partire dal 1914 non segue una poetica coerente al pari della pittura ed è percorsa da sollecitazioni futuriste, dadaiste, puriste, che la proiettano in molteplici direzioni. Con la guerra le cose cambiano: un’atmosfera di pessimismo colpisce molto l’opera di Picasso, che sceglie di tornare alla figurazione, esegue molti ritratti in cui si avverte l’interesse verso il naturalismo. L’interesse per il teatro ispira a Picasso nuove immagini di figure monumentali che corrono o nuotano in natura bagnata di luce solare o figure mitologiche da solida presenza e deformazione sensuale. Esagerati e terrificanti, questi corpi riavvicinano Picasso allo studio della costruzione delle masse e alla scomposizione cubista che sempre più si purifica nella semplificazione lineare. La drammatica notizia del bombardamento di Guernica darà un ulteriore svolta alla sua pittura (è considerato dagli storici un dipinto appartenente al Cubismo sintetico. Tale momento creativo del maestro seguì il Cubismo analitico che Picasso condivise con Georges Braque). Braque invece non abbandona il cubismo. Pablo Picasso realizzò il grande dipinto intitolato Guernica nel 1937, poco dopo il bombardamento della cittadina basca ad opera di un gruppo di volontari dell’aviazione tedesca. La lettura di Guernica procede da destra a sinistra per adeguarla alla sua collocazione all’ingresso del padiglione spagnolo. In alto a destra una donna ferita alza le braccia al cielo, tra le case in fiamme. Alla sua sinistra poi una figura spettrale tiene in mano una lampada ad olio. In basso avanza trascinandosi una donna svestita. Al centro della grande tela un cavallo avanza verso destra ma volta la testa a sinistra e nitrisce terrorizzato. Sotto gli zoccoli dell’animale il cadavere di un soldato giace in basso con una ferita sulla mano sinistra. La mano destra impugna una spada dalla lama spezzata. Dalla stessa mano però sorge un fiore. In alto brilla una lampadina alimentata elettricamente e diffonde la sua luce nel buio. Nell’opera è raffigurata una madre che stringe il figlio neonato. Sopra la donna compare infine un toro, simbolo del suo sacrificio nell’arena durante la corrida e della Spagna. La scena ricorda una natività sconvolta dal bombardamento. Tra i due animali è dipinta una colomba, simbolo della pace ormai ferita. Guernica non è un’opera dal significato solo documentario. Oltre a ricordare il bombardamento della città basca ne rappresenta anche una denuncia morale del fatto. Inoltre, col tempo il dipinto di Picasso è diventato il simbolo della condanna contro la distruzione della guerra che causa tanta sofferenza al popolo. 16 L’ORFISMO Il cubismo orfico è un atteggiamento sacrale, che innesta sull'originario cubismo ricerche sulla luce e sul colore, fondate su analogie con la musica che preludono a soluzioni astratte (Orfeo era il mitico musico-poeta dell'antichità dotato quasi di poteri magici). Il movimento deve il suo nome allo scrittore e critico francese Guillaume Apollinaire, che lo aveva scelto per definire il gruppo di artisti chiamati Section d'Or, su suggerimento di Jacques Villon. Il termine fu infatti usato la prima volta da G. Apollinaire nel 1912, in occasione di una mostra di R. Delaunay a Berlino. Con il riferimento a Orfeo, cantore e poeta della mitologia greca, G. Apollinaire, che aveva scritto 12 anni prima il Bestiaire d’Orphée, intendeva esaltare il carattere libero, giocoso e lirico della pittura di Delaunay e dei suoi compagni, in opposizione al rigore formale di Braque e Picasso. Apollinaire, in Meditazioni estetiche, individua 4 tendenze, (di cui la seconda non è un’arte pure e la quarta si avvicina all’orfismo): - Cubismo scientifico: vuole rappresentare la realtà conoscitiva; • Cubismo analitico 1909 ­1911(Picasso, Braque): Prima fase del cubismo: la sfaccettatura dell’oggetto è fitta e minuziosa. Prendendo per esempio una chitarra o un tavolo Picasso ne mostra contemporaneamente le sezioni verticali e orizzontali, facendo vedere contemporaneamente il profilo e la rotondità. • Cubismo sintetico 1911­12 (Picasso, Braque, Gris): Seconda fase ricostruzione più libera e intuitiva dell’oggetto; opere polimateriche; la struttura si semplifica, gli oggetti non sono più scomposti in una miriade di faccette. Sintesi in forme più ampie degli elementi che denotano gli oggetti. Appaiono frammenti prelevati dalla realtà (caratteri tipografici, ritagli di carta, materiali imitati illusionisticamente). - Cubismo fisico - Cubismo orfico: è un’arte che trae i suoi soggetti dalla creatività dell’artista; le opere degli artisti orfici devono offrire simultaneamente un piacere estetico puro, una costruzione che colpisce i sensi, e un significato sublime; si parla di una pittura svincolata dalla realtà visiva e razionalmente concepita, essenzialmente una pittura non-oggettiva. - Cubismo istintivo Mentre il Cubismo è considerato un'analitica enumerazione di successive percezioni dell'oggetto, colto e riconosciuto in tutti i suoi profili prospettici, senza nessuna sensibilità per il colore, l'orfismo recupera il concetto di simultaneità, che è vita e creazione e fa del colore e della luce un attributo essenziale alla ricomposizione della sensazione. Uno dei principali esponenti fu Robert Delaunay. Delaunay aveva iniziato a presentare dipinti di natura impressionista dal 1904 al Salon des Indépendants, dipinti in cui il colore era già di importanza centrale. Si arricchì poi del lavoro scientifico di Chevreul sui colori, il lavoro di Seurat, poi quello di Cézanne, che scoprì nel 1907 durante una retrospettiva a lui dedicata. Nel 1910, Vassili Kandinsky dipinse il primo dipinto completamente astratto, chiamato Acquerello astratto, che provocò un putiferio nei circoli artistici. A questo lavoro aggiunge il suo libro Du spirituel dans l'art (Lo spirituale nell’arte), che vuole essere il manifesto dell'arte astratta, e che Delaunay legge con attenzione. A quel tempo, Delaunay fece anche molte ricerche sui colori e più precisamente sulla legge del contrasto simultaneo dei colori . Con Sonia Delaunay crea il simultaneismo, una tecnica che mira a trovare l'armonia pittorica attraverso la disposizione simultanea dei colori, e che si concentra principalmente sul ruolo della luce, che è percepita come il principio creativo originale. 17 Nel 1912, dipinge una serie di tele che chiama Finestre. Si tratta di composizioni rettangolari disposte verticalmente e talvolta accompagnate da titoli allusivi a tre momenti di una sonata. Le finestre prendono proprio come punto di partenza la rappresentazione della luce e la dinamica dei colori. Anche se questi dipinti rappresentano una realtà esterna, sono comunque considerati astratti, perché l'oggetto ha perso la sua importanza. A differenza di Kandinsky, Delaunay non sono i suoi dipinti da un'esplorazione interiore, ma dall'osservazione diretta della natura, della sua essenza luminosa. Eppure, a quel tempo, Delaunay era considerato un cubista, e la sua pittura può quindi essere vista come tale. Delaunay propone qui un'uscita al cubismo, che di solito punta sulla frammentazione percettiva e produce solo un dipinto in monocromia estinta: provoca con la disposizione dei colori una sensazione di ritmo, e i piani colorati si susseguono in tinte piatte. Piuttosto che parlare di pittura astratta, Delaunay preferisce il termine “inoggettivo”, mentre il poeta Guillaume Apollinaire parla di “pittura pura” . La purezza della luce non è quindi definita in relazione alla realtà ma rappresenta uno spostamento della fonte di ispirazione del pittore verso la fonte stessa del dipinto. Successivamente, Delaunay parte, come i cubisti, dalla scomposizione dell'oggetto reale analizzato nei vari suoi aspetti e da vari piani prospettici. Ma questo oggetto, come accade per esempio ne La Tour Eiffel (1910) viene inserito nella realtà che lo circonda, scomposta ed analizzata anch'essa nei suoi vari aspetti, conferendogli una forza dinamica rotatoria e verticale. C'è una visione simultanea non soltanto di tutte le facce degli oggetti che definiscono i volumi (soluzione cubista) ma anche la sintesi dei tempi successivi durante i quali noi abbiamo conosciuto l'oggetto. Si tratta di uno spazio- tempo intuitivo, che ricorda la filosofia di Bergson, appunto detta intuizionismo e le contemporanee ricerche dei Futuristi. Nella rappresentazione della città di Delaunay (La città, 1910) si rintraccia sia l'analisi cubista del volume degli spazi urbani, quanto la suggestione dei nuovi elementi non ricavati dalla realtà visuale, ma creati totalmente dall'artista e dotati di una possente forza dinamica. La serie di Forme circolari, come si desume dai sottotitoli (Sole, Luna, Simultaneo), intrecciano una tematica astrale, complicata dal riferimento ad un principio maschile e ad una femminile e alla possibile suggestione di un'eclissi di sole. Questa serie non si colloca nell'evoluzione di un astrattismo geometrico, ed è anche da segnalare la sua comparsa in contemporanea con il passaggio definitivo di Kandinsky l'estrazione, che è pure disegno non geometrico, nelle grandi Composizioni del 1913. Oltre a Delaunay gli artisti che Apollinaire citava come sperimentatori dell’orfismo (o cubismo orfico) sono Marcel Duchamp, Fernand Léger e Francis Picabia (tutti membri della Section d’Or), anche se di fatto era Frantiìek Kupka, un altro membro della cerchia, il più vicino allo stile di Delaunay. Nel 1912 sia Delaunay che Kupka dipingevano quadri completamente astratti, caratterizzati da colori frammentati intensamente vibranti. František Kupka (1871-1957) è stato un pittore ceco, fra i maggiori esponenti della pittura astratta e dell'orfismo. Le opere astratte di Kupka nascono dal realismo, poi evoluto in pura arte astratta. 20 macchie arancione si integrano con segni e macchie più scure a formare un agglomerato di maggiore importanza rispetto agli altri. Altri segni e macchie sono disposti lungo una parabola che parte dall’angolo sinistro in alto. La costellazione scende verso il centro e risale verso l’angolo destra in alto. La poetica di Kandinskij si basa su alcuni nuclei fondamentali. Il problema della forma passa in secondo piano rispetto all’esigenza di esprimere quanto detta la “necessità interiore”, obbedendo alla capacità intrinseca di linee e colori di trasmettere immediatamente la sensibilità dell’animo. I mezzi espressivi possiedono una libertà assoluta e costruiscono la composizione pittorica secondo un suono interiore, come è capace di fare la musica. L’artista potrà realizzare con più forza la sua costruzione servendosi del linguaggio delle altre arti, in quella che Kandinskij definisce “l’opera d’arte monumentale”, costruita da forme e colori, suoni, elementi poetici e movimenti del corpo: pittura, musica, poesia e ritmo della danza. La liberazione della rappresentazione oggettiva non implica in linea teorica l’annullamento dell’oggetto, perché può aver luogo con due diverse vie: “massima astrazione” e “massimo realismo”, nella prima è eliminato il fattore oggettivo, nella seconda si rappresenta l’oggetto nella sua nuda risonanza interiore e viene eliminato il fattore artistico esteriore della rappresentazione. Nelle tematiche delle prime opere kandinskijane è ravvisabile anche un’altra componente, la cultura sciamanica fusa nei temi biblici e cristiani di moltissimi dipinti. Rimanendo poi negli scritti teorici dell’almanacco, ci sono tre componenti fondamentali: l’Einfühlung (empatia, realtà espressa da forme simboliche; potremmo definirla come l'immediata corrispondenza sentimentale tra l'io contemplante e l'oggetto contemplato), il wagnerismo (capacità emozionale dell’armonia e melodia musica passa nei colori e nelle linee) e la teosofia (la vibrazione, la conquista dello Spirito). Kandinskij sente, infatti, sin dagli inizi della sua attività, quanto l’armonia e il linguaggio musicale siano fondamentali per la sua arte e soprattutto Wagner, sul finire dell’Ottocento, suscita nel pittore un incredibile fascino. Tra simbolismo e astrazione: Nei dipinti di Kandinskij precedenti al 1911, il linguaggio fauve consente di superare il pesante postimpressionismo, influenzato dall’ambiente tedesco, del periodo precedente; tuttavia, si distingue dai francesi per alcuni accenti particolari che riguardano la gamma cromatica (dominano toni più freddi e accostamenti inediti); è spesso presente un blu intensissimo. Un esempio è Il monte blu (1908-09): il monte si staglia su una fascia bianca mentre in basso scorre la romantica cavalcata, altro soggetto prediletto dell’artista. I colori puri sono punteggiati da piccole macchie, che ricordano le stesure cromatiche della pittura simbolista russa, in una sorta di rievocazione di uno scintillante mosaico. La forma ascensionale del triangolo ha un significato particolare nell’iconografia e teoria kandinskijana, in cui questa figura è anche designata a rappresentare il movimento della vita spirituale verso conquiste sempre più alte. Come possiamo vedere dal colore del monte, il blu è il colore più amato dall’artista: è considerato il colore tipicamente spirituale, dotato di un movimento che conduce lo spettatore all’approfondimento. Il bianco, infine, imprime una nota inconfondibile a numerosi dipinti perché è il non colore che contiene in sé infinite possibilità, come un nulla precedente alla nascita. L’allontanamento dal soggetto e dalla rappresentazione del reale si vede anche in Paesaggio con torre (1908), tela non più ispirate a una figurazione esteriore e oggettiva ma suscitata da emozioni simili all’allusiva percezione di ritmi e variazioni musicali. Il quadro rappresenta una torre sulla sinistra, dove il comignolo si fonde nell’oscurità del cielo fatto di un blu che in alcuni punti diventa nero. Nella parte di sotto, la composizione è composta da un bosco fitto, i cui colori variano dal verde al nero, che copre quasi completamente la costruzione sulla parte sinistra, da cui si innalza imperiosamente la torre. I colori di questa piccola foresta nera contrastano con i campi arati che impongono in primo piano la luminosità del giallo e del rosso. L’artista russo arriva così ad una pittura fatta di masse di colore contrapposte, questo è reso possibile dall’utilizzo di una gamma cromatica che va dai colori chiari e luminosi a quelli scuri e tenebrosi. L’artista così facendo abbandona il dato oggettivo della rappresentazione per dare invece forma alle proprie sensazioni soggettive. 21 Inoltre, le composizioni astratte dipinte da Kandinsky, in questo periodo, sono dominate dal tema della catastrofe e da quello del riscatto finale; ad esempio, Composizione VI nasce dal tema del diluvio universale, la Composizione VII da quella della resurrezione finale, testo tema affrontato nella Composizione V del 1911. La gigantesca Composizione VI è una delle opere più significative del periodo monacense, un dipinto che impegnò a lungo l'artista. Punto di partenza dell'opera fu un dipinto su vetro intitolato Diluvio di un anno precedente e di cui ad oggi si è conservata solo una mediocre riproduzione. Ma se là ancora sopravvivevano elementi figurativi e narrativi, come animali, persone, piante, lampi e la pioggia, qui ogni ricordo di mimetismo si perde in forme frantumate, lunghe strisce, linee, forme scure e colori, rendendo il dipinto la prima opera astratta in senso stretto della serie delle Composizioni nella quale «il motivo originario del quadro si dissolve e si trasforma in un'essenza interiore puramente pittorica, autonoma e oggettiva». Si individuano nel dipinto 2 centri corrispondenti ad una lotta tra principi opposti: un lato (a sinistra) più calmo, ed uno più agitato. Da questi due centri principali del dipinto, a sinistra un nucleo che Kandinskij definisce «dolce, rosaceo» e a destra un nucleo «grossolano, rosso-azzurro, dissonante», ne scaturisce un terzo al centro che «determina il suono interiore dell’intero quadro» dove i colori rosa e bianco sembrano galleggiare sulla tela. Un’altra celeberrima tela è Composizione VIII: si tratta innanzitutto di un’opera che descrive i rapporti di forza e movimento che si possono stabilire tra figure geometriche e colori puri. Presenta elementi geometrici e linee precisamente disegnati. Infatti, il fondo chiaro è realizzato con aloni di colori che creano una superficie uniforme. Gli elementi della composizione si distribuiscono così secondo un preciso equilibrio e interagiscono fra essi. Il grande cerchio scuro emerge tra le altre figure. Inoltre, altri tondi di dimensioni minori sono sparsi sulla superficie e si sovrappongono alle altre forme. Verso il centro poi due forme triangolari racchiudono una porzione di superficie ma lasciano aperta la loro base. Il modulo rappresentato dalla semi-circonferenza si ripete verso il centro su diverse posizioni. In corrispondenza dell’angolo di destra sei linee si incrociano a formare una griglia quadrata mentre altre linee interagiscono nelle diverse parti dell’opera. Ancora altre linee curve corrono quasi parallele in alto. Altre invece serpeggiano intorno ad una retta. Alcuni cerchi sono racchiusi da linee nere mentre altri sono descritti dal solo colore della campitura. Altri artisti: Javlenskij: dipinge paesaggi e ritratti, volti in cui combina decorativismo alla Matisse con un modo di sottolineare il profilo, il contorno degli occhi, la linea del naso e della bocca, improntato alla stilizzazione delle icone bizantine; questa interpretazione del ritratto, lo porterà più tardi sempre più verso soggetti religiosi, come la Meditazione e Teste mistiche. Macke: il tema più trattato è la passeggiata nel parco urbano, gli piace la serena atmosfera della città e cogliere gli abitanti nei momenti di svago; ci sono anche rari dipinti astratti di soggetto musicale come Composizione colorata I (Omaggio a Bach) del 1912. Indubbiamente però, il soggetto preferito è costituito dalle silhouettes allungate, quasi senza peso, di donne, uomini e bambini immersi nel verde e in un’orgia di colori brillanti e purissimi. 22 IL FUTURISMO Il Futurismo italiano è stato un movimento artistico nato a Milano agli inizi del XX secolo, e considerato, fra le avanguardie storiche, quella che forse ha subito le discussioni più accese a livello internazionale. A differenza delle altre avanguardie storiche, il futurismo nasce nelle dichiarazioni scritte prima che nelle opere. Venne ideato e fondato dallo scrittore e poeta Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944), che individuò in una serie di dettami da seguire nella cultura, nell’arte e anche nella vita un modo per raggiungere il rinnovamento negli uomini e nella società, evitando e spesso rinnegando tutto ciò che era avvenuto nel passato. Il contesto in cui nacque era caratterizzato da grandi cambiamenti che stavano avvenendo nella società italiana. La modernizzazione tecnologica, con l’avvento delle macchine, della radio, dei primi aeroplani e delle cineprese, aveva infatti portato una ventata di novità, che affascinò il pubblico e generò il mito della velocità e del dinamismo. Il movimento riuscì ad intercettare questi cambiamenti e a farli propri, facendo leva proprio sulla rottura con il passato e sulla ricerca di inedite modalità di espressione. L’irruenza, sia nelle parole che nel modo di relazionarsi che nella pittura e scultura, è una delle caratteristiche principali delle opere e delle dichiarazioni degli esponenti della corrente, per far arrivare diretto e chiaro il messaggio di modernità. Più degli altri gruppi e movimenti si presta ad una lettura molteplice perché molteplici sono i soggetti coinvolti. Non è un movimento visuale e figurativo, e non è un caso che il manifesto, il Manifesto del Futurismo, sia apparso sul quotidiano Le Figaro nel 1909 a firma di Tommaso Marinetti. Il manifesto programmatico è centrale per il gruppo, e lo sarà anche per i surrealisti. Nello scritto vennero riportati tutti i principi fondanti del movimento, basati sull’esaltazione dell’audacia, del coraggio e della modernità, e sul netto rifiuto di guardare al passato, per concentrarsi piuttosto sul presente e sul futuro, definito “assoluto”. Tra i punti del manifesto si legge, inoltre, il boicottaggio dei luoghi preposti alla custodia delle opere d’arte e letterarie, ovvero musei e biblioteche, e l’esaltazione della “guerra come sola igiene del mondo”. In effetti, per i Futuristi anche la guerra era sinonimo di modernità e quasi tutti gli esponenti si arruolarono volontariamente per combattere durante la Prima guerra mondiale. Il Futurismo ha sempre ricevuto critiche per questo aspetto. I futuristi credono nella completa adesione dell’arte alla vita reale, realizzabile solo attraverso una violenta sovversione culturale e sociale. Uno dei grandi meriti del futurismo è dunque quello di superare la separazione netta tra arte e vita reale: un artista è un artista sempre in qualsiasi momento della sua vita, sia quando realizza un’opera sia quando vive un momento quotidiano. Marinetti stimola le aperture del Futurismo ai vari campi di espressione, dal teatro, alla tipografia (con le parole in libertà che sovvertono la consueta disposizione del testo sulla pagina), alla musica, al cinema e alla fotografia, e gli artisti delle altre discipline aderiscono entusiasti contribuendo a conferire al Futurismo una più concreta e forte identità. Nascono così altri manifesti futuristi, quello della pittura, della tecnica, della scultura, del cinema, del teatro, della cucina, del vino, ecc. Circa un anno dopo la pubblicazione del Manifesto del Futurismo, un gruppo di artisti formato da Umberto Boccioni (1882-1916), Carlo Carrà (1881-1966), Luigi Russolo (1885-1947), Romolo Romani (1884-1916) e Aroldo Bonzagni (1887-1918) firmarono il Manifesto dei pittori futuristi. Da questo episodio nacque la corrente artistica. Poco dopo entrarono anche Gino Severini (1883-1966) e Giacomo Balla (1871-1958). Per ciò che concerne le date, sappiamo che: I futuristi italiani nel 1912 si recano per una mostra a Parigi, dove vengono influenzati dall’arte francese e dove Boccioni parla esplicitamente del concetto delle linee di forza (consiste, al posto delle linee orizzontali e verticali tradizionali, nel rappresentare i movimenti mediante linee ondulate e spezzate che schizzano in ogni direzione, simboli del dinamismo della materia, nel suo perenne fluire. Sono le traiettorie di espansione del movimento e costituiscono le direzioni di lettura del quadro; attraverso queste linee noi spettatori siamo coinvolti e catapultati, trascinati, all’interno del quadro). Nel 1912 Boccioni scrive, che sottoscrive con Carrà, Russolo, Balla e Severini il suo Manifesto tecnico della scultura futurista. 25 orizzontali. Il fronte della locomotiva riporta il numero che la identifica. Più in alto è visibile la nuvola di vapore che esce dalla ciminiera. Il fronte della locomotiva è immobile mentre intorno si propagano le onde che registrano il dinamismo fisico ed emotivo dei viaggiatori. La figura di una coppia abbracciata, di colore verde, si ripete nell’opera e aumenta le dimensioni saturando lo spazio che la ospita. La sensazione di tristezza che emanano le due figure satura lo spazio e l’intera stazione risuona dello stesso sentimento. In questo dipinto si coglie il passaggio ad un linguaggio più aderente alla teoria futurista e l’abbandono della pennellata divisionista. Inoltre, si evidenzia lo spunto della scomposizione formale che deriva dalle esperienze cubiste. Il 1913 costituisce una data fondamentale per il futurismo italiano: Boccioni crea una serie di capolavori in cui il soggetto non è più percepibile, come Dinamismo di un corpo umano, un dipinto che si avvicina molto alla La città che sale per i suoi frenetici ritmi svolti dall’artista in uno stile più libero e consono a quello del suo periodo, lasciando immutata la geometria impiegata nelle precedenti composizioni. È il periodo in cui realizza anche la celebre scultura Forme uniche nella continuità dello spazio: è il risultato più alto dell'intera opera scultorea di Boccioni. Qui il corpo si prolunga in una traiettoria di movimento magistralmente semplificata in una forma unica e assoluta di tutte le possibili variazioni di un movimento. Una sintesi assolutamente stupefacente e fiorente dell'interconnessione dinamica tra un oggetto e il suo ambiente. Boccioni afferma che l’oggetto è concepito nelle sue linee vive che rivelano come esso si scomporrebbe seconda la tendenza delle sue forze. Boccioni in essa dà prova della ricerca intuitiva della forma unica che dia la continuità nello spazio, senza la ripetizione di gambe, braccia o altro questa è la forma-tipo. Le parti del corpo diventano spazi concavi e convessi. Sono, comunque, ancora riconoscibili per via della posizione che ricorda una persona che sta compiendo un ampio passo. Le gambe, infine, sono trasformate in scie di bronzo lasciate dietro di sé dall’arto in movimento. Quindi porta alle estreme conseguenze una ricerca che parte da La signora Massimino del 1909.*pag.24 Sembra difficile tenere insieme queste due immagini, ma dimostra la ricerca costante che parte dalla ritrattistica e si volge poi alle questioni della scultura; rispondono entrambe ad un analogo desiderio di ricerca; partono entrambe dall’idea della luce che attraversa i piani e che trasforma gli oggetti. Dopo questa fase poi Boccioni farà un passo indietro rispetto all’avanguardia. Giacomo Balla fu uno dei massimi esponenti del Futurismo, ma anche il più legato alla matrice divisionista. Dapprima legato ad una pittura più tradizionale di stampo sociale, si legò presto all’avanguardia futurista in cui assunse un ruolo fondamentale, al punto che arrivò a firmarsi con lo pseudonimo di FuturBalla. Vicina alle suggestioni divisioniste è La giornata dell’operaio del 1904, un trittico dallo schema irregolare che monta in un’unica struttura geometricamente scandita tra la luce del mattino, gli operai in sosta nel meriggio e lo stanco ritorno a casa al tramonto. A differenza della maggior parte dei futuristi, Balla era un pittore lirico, non interessato alle macchine moderne o alla violenza. Nell’opera Lampada ad arco del 1909, per esempio, è possibile notare la rappresentazione dinamica della luce. Una lampada brilla nella notte. Dal vetro che protegge il filamento si sprigiona una intensa luminosità che si propaga a raggiera. La lampada è sorretta da una alta struttura metallica e si trova nella parte superiore del dipinto. A destra oltre l’alone creato dai tratti di colori puri, si intravede una falce di luna. Il colore della luna e quello della lampada ad arco sono gli stessi ma la lampada brilla in modo più intenso. La luce elettrica si frammenta in una serie di colori che coprono in parte la luna ponendola in secondo piano. L’alone luminoso è circoscritto da una cornice scura simmetrica ma irregolare. L’utilizzo di un soggetto banale e comune come una lampada elettrica fu una scelta teorica di Giacomo Balla. Era infatti sua intenzione esaltare l’utilizzo dell’energia elettrica e dimostrare che vi era della bellezza anche nell’emissione luminosa di una lampada industriale. Lo stesso artista dichiarò che era sua intenzione dimostrare la superiorità di un bagliore elettrico rispetto all’ispirazione prodotta da un chiaro di luna romantico. 26 Bambina che corre sul balcone, (1912) è un esempio di dinamismo futurista ottenuto grazie alla sovrapposizione delle forme. Balla scompone la corsa del soggetto rappresentandola attraverso una serie di immagini in sequenza. Nel dipinto si individua con una certa difficoltà una figura ripetuta. In basso, in modo più evidente, si riconoscono immagini di stivaletti, riprodotte in modo regolare e ritmico. Si percepisce con maggiore fatica, in alto, la capigliatura di una bambina con una treccia che ricade verso il basso. In seguito a questa prima lettura si può ipotizzare che la parte centrale dipinta di azzurro rappresenti la dislocazione spaziale verso destra dell’abito della piccola. La griglia ortogonale che si percepisce sovrapposta alle immagini della bambina è l’inferriata del balcone. Dello stesso periodo e con lo stesso obiettivo è anche Dinamismo di un cane al guinzaglio. I piedi della donna e le gambe del cane sono dipinti più volte all’interno dell’arco della traiettoria del loro movimento (come ben sappiamo, la rappresentazione del movimento fu la principale preoccupazione dei futuristi, poiché, il movimento simboleggiava l’esaltazione del moderno attraverso la velocità e l’azione). Altra componente del Movimento futurista era la rappresentazione della quarta dimensione cioè il tempo. Mentre gli artisti cubisti rappresentavano il tempo tramite l’osservazione da più punti di vista dell’oggetto, gli artisti futuristi scelsero di rappresentare il movimento attraverso la registrazione contemporanea dell’oggetto che si sposta nello spazio. Balla segue un percorso diverso per interpretare il principio del Manifesto tecnico. Nel corso del 1912 due fatti imprimono una svolta nella sua ricerca orientata verso il dinamismo luminoso: l’incarico di decorare lo studio del marito di una sua ex allieva a Dusseldorf ed una particolare attenzione dedicata ad Anton Giulio Bragaglia ed alle ricerche di Marey. Il soggiorno in autunno nella città tedesca e il tipo di incarico lo avvicinano agli studi sulle arti applicate e sulla decorazione geometrica, diffusi nell’ambito mitteleuropeo; ed è qui che nasce la prima idea delle Compenetrazioni iridescenti. Nella serie delle Compenetrazioni iridescenti dipinte tra il 1912 e il 1914, Balla prosegue lo studio tra movimento e scomposizione della luce. Analizza e sperimenta il rapporto luce-colore. Come in Lampada ad Arco, suggerisce il senso della progressione ritmica con l'uso di triangoli che si incastrano gli uni negli altri e si compenetrano. Nel frattempo, a Firenze nasce la rivista “Lacerba” (1913-15) in cui Ardengo Soffici prima avversario del futurismo, vivacissimo sostenitore del cubismo, affronta in modo indipendente alcuni problemi del nuovo movimento. La sua fortuna si affermerà dopo la guerra nel clima del ritorno all’ordine; ma anche in questo momento vanno segnalate le sue sperimentazioni vicine a Carrà, nell’ambito della tecnica del collage e in un impiego originale delle parole in libertà marinettiane. In generale, gli altri futuristi, pur condividendo la stessa poetica, manifestano delle tendenze personali rispetto a Balla o Boccioni. Carrà comincia a mostrare, con una sempre più approfondita astrazione delle forme in senso dinamico, elementi di successiva fase primitivista e poi il ritorno critico alla tradizione. 27 Il legame di Carrà con il reale e con il sociale è evidente nella grande composizione I funerali dell’anarchico Galli dove la folla si spezza e si piega in potenti linee diagonali mossa da un’ideale comune e il tono rosso-bruno diffuso dall’immagine simbolica del sole assume un carattere apocalittico. Si riconoscono le figure dei manifestanti, che corrono e si divincolano, delle guardie a cavallo, che intervengono con violenza. Attraverso la disposizione delle linee percepiamo l'impressione di caos. Il ruolo dei colori è altrettanto importante: il rosso domina su tutti e accentua il carattere aggressivo e caotico della scena. I dipinti di Russolo spaziano inizialmente tra il simbolismo e il divisionismo, per poi assimilare i dettami futuristi della scomposizione e della compenetrazione di piani. Inoltre, studiò il movimento di persone e macchine, in affinità con le ricerche di Giacomo Balla e di Umberto Boccioni. Russolo, infatti, riflette su come la vita degli uomini si fosse svolta fino a quel momento «in silenzio o per lo più in silenzio» e come, con l’avvento della società industriale, tutto fosse cambiato: il rumore ha catalizzato l’attenzione degli uomini, non solo nelle periferie e nei centri delle grandi città ma anche in campagna, con l’introduzione di macchinari agricoli. La musica, secondo Russolo, si è lentamente adattata a questa condizione. In questo senso, parliamo di “rumorismo”, con il quale si rivendicava il rumore come elemento essenziale del linguaggio musicale. Legato al tema musicale è La musica, dove dal movimento, che moltiplica le mani del pianista sulla tastiera e dalla sua figura volta verso lo spettatore, si sprigionano un’energia bianca ed una serie di onde sonore che colorano di sentimenti differenziati le apparizioni dei volti, nonché la spirale blu che cresce e sale verso una lontananza indefinita. Severini predilige in questi anni il tema della danza, come si può vedere nella Ballerina ossessiva, dominata da sagome ancora segnate da linee prevalentemente rette e da un colore puntinato, sdoppiata dalla luce, dal movimento, dall'atmosfera del locale e, come suggerisce il titolo stesso, dal proprio frenetico ritmo interno. 30 dimensione creativa primordiale, che trova in Eraclito la figura-simbolo dell’interrogazione originaria sull’enigmaticità della natura. Un altro apporto di Schopenhauer che gli fornisce una serie di confronti con fenomeni psichici, aurici, allucinatori e magici, oltre all’idea dell’isolamento del mondo da parte del genio come condizione necessaria allo squarciamento del velo di Maya del visibile. L’enigma dell’ora (1911) si pone tra i quadri più emblematici della sua ricerca spirituale e artistica. In questa tela è rappresentato il tema, già affrontato dai cubisti, dello spazio pittorico sviluppato da molteplici punti di vista, colti simultaneamente. Nella tela De Chirico utilizza due differenti prospettive: nella figura in primo piano il punto di vista è centrale, mentre le arcate del portico sono viste da destra verso sinistra. L’ambientazione, che richiama le “Tre arcate in un paesaggio” di Bocklin (1872), richiama il centro storico di Torino, che ha fornito diverse scenografie ai suoi quadri e di cui si riconosce proprio l’orologio al centro dell’attenzione. Il dipinto, infatti, si colloca nella serie delle opere “Piazze d’Italia”. Tra le arcate della stazione, compaiono, oltre l’orologio, anche tre figure umane. Una donna di spalle in primo piano, un uomo nella seconda arcata di destra e una terza persona affacciata al primo piano. Nelle “PIAZZE D’ITALIA” inaugurate a Parigi nel 1912, dominavano citazioni di porticati sabaudi, treni fumanti all’orizzonte, statue di Arianna e della storia risorgimentale. La statua di Arianna presente in 8 quadri di questo periodo, divisa tra l’apollineo legato alla sua vicenda con Teseo e il dionisiaco della sua successiva unione con il re dell’ebbrezza e delle passioni animali, Arianna interpretata da Nietzsche come simbolo dell’anima in relazione con la logica e con il corpo. In Giorgio De Chirico la figura è connotata agli stati d’animo della solitudine e dell’abbandono, come in Melanconia 1912. Il soggetto, una scultura di donna dormiente, è tratto da un marmo romano dei Musei Vaticani, copia di un originale ellenistico, e raffigura Arianna tra l'abbandono di Teseo e l'arrivo di Dioniso che la prende in sposa. Contraltare maschile di Arianna giacente sono i monumenti agli uomini politici, sviluppano il “vaticinatore” dei primi enigmi in simboli dell’autorità civile, militare e anche famigliare, per alcuni particolari che rimandano alla figura paterna (la calvizie). Si aggiungono le ciminiere, le torri, trasfigurazioni della mole Antonelliana, i cannoni questi sono stati interpretati come espressioni di archetipo maschile. Un altro elemento introdotto a Parigi sono le ombre, scurissime e allungate in cui i profili sono resi immateriali dall’accentuato carattere disegnativo. I titoli dei quadri di questo periodo rimandando a stati d’animo angosciosi legati al tema del viaggio, di chiara allusione biografica, simboleggiata del treno che scorre fumante in senso orizzontale. Dalla fine del 1913 la veduta urbana si fonde con la natura morta, collocata su un primissimo piano, molto scorciato, ove compaiono oggetti particolari: carciofi, ananas e caschi di banane. In L’incertezza del poeta (1913), le banane propongono un’antinomia (paradosso che indica la compresenza di due affermazioni contraddittorie), non priva di echi sessuali, tra un primitivo esotico e modello classico, cui allude il busto femminile. All'interno di uno spazio costruito come una scatola prospettica ben definita è affiancato sulla destra da una quinta architettonica ritmata da portici vuoti, si collocano in primo piano il frammento di un torso femminile di una statua classica e un casco di banane. Sullo sfondo si staglia un muretto di mattoni sopra il quale si possono scorgere un treno sbuffante e il pennone di una nave, motivi iconografici che ricorrono spesso nelle opere di de Chirico sia come allegoria del viaggio sia in quanto ricordi di infanzia e dei numerosi spostamenti della famiglia del pittore; tali soggetti sono inoltre simboli di progresso e modernità. Nel 1914 compaiono giocattoli e forme geometriche, sfere, bacchette e scacchiere che rimandano alla sua infanzia. Sono anni di intensa frequentazione del circolo d’avanguardia: dallo stretto legame con Apollinaire al contratto con Paul Guillame (mercante di monti artisti, da Picasso a Matisse e Modigliani), questi legami forniscono il suo successo in Francia. 31 In relazione al tema del manichino, questo conosce diverse varianti: oltre a manichino da sartoria, compare bendato con una sorta di schematica mascherina-orifizio artificiale su un volto senza connotati, in versione femminile panneggiata all’antica (a sx, il viaggio senza fine 1914), infine costruito su incastri di sagome geometriche colorate e sorretto da stampelle (il trovatore o Ettore e Andromaca). Ettore e Andromaca sono immobili, immersi in una dimensione adinamica, atemporale e aspaziale. Nonostante i due pilastri sullo sfondo sembrino richiamare le porte Scee, essi potrebbero far parte della scenografia di qualunque luogo o città, in una qualsiasi epoca: il color rosso-brunastro è l’indizio più consistente della drammaticità del momento. Eppure, ad uno sguardo più attento, queste due figure svelano un lato inquietante, un profilo irreale. Strette una all’altra, con il capo che si volge a indicare un’espressione di profondo dolore, pur senza l’appoggio dei muscoli facciali, Ettore e Andromaca mancano degli arti superiori. Il loro tentativo di un ultimo abbraccio non può avere luogo e sono costretti a fermarsi con quell’espressione di profondo dolore che ne tormenta irrealmente il volto. L’abbraccio è protezione e conforto. Ettore non può dare ad Andromaca né protezione né conforto: continuerà a combattere contro gli Achei onde evitare di cadere nel biasimo e nella condanna dei Troiani. Un altro segnale della vicinanza con la cerchia di Apollinaire riguarda il prelievo iconografico di lettere, segnali e insegne che è da ricordarsi all’influenza di Picasso. Il guanto che campeggia in varie opere del periodo (come Chant d’amour) deriva dall'insegna di zinco di un negozio parigino. Nel quado Chant d’amour, il calco classico dell’Apollo del Belvedere è appeso alla parete esterna di un grande edificio. Accanto ad esso, a destra, un chiodo fissa alla muratura un enorme guanto di plastica. Sul piano stradale una grande palla è immobile in primo piano. A destra un tratto di colonnato si sviluppa in altezza con murature vuote. A sinistra, infine, dietro ad un muretto a mattoni transita un treno sbuffante vapore. In questo clima, si apriva per Carrà, nel 1916, il periodo “antigrazioso”, che deriva dal titolo (boccioniano -> il termine antigrazioso deriva da Boccioni e dal titolo dei suoi ritratti deformati e dialoganti con lo spazio circostante) che lo scrittore fiorentino Giovanni Papini, che lo aveva acquistato, volle attribuire al suo quadro Bambina. È un periodo questo derivato dalla crisi del futurismo, maturata fra il 1914 e il 1915, che porterà l’artista a elaborare un linguaggio formale elementare e una nuova poetica che prenderà il nome da quest’opera-manifesto. In questo quadro si colgono citazioni tre-quattrocentesche tratte da Giotto, Masaccio e Paolo Uccello (nella prospettiva della casa, nella sodezza dei corpi, nella scacchiera del pavimento). Carrà giunge, qui, a una sintesi arcaizzante dello spazio, bidimensionale e geometrico, definito da pochi elementi volutamente semplificati, la casetta levitante, la tromba e la bambina-fantoccio spaventosamente tendente alla maschera dell’adulto: tutti staccati e accostati insieme in uno stato di antigrazia e in un’astrazione quasi grottesca, dove solo la scacchiera del pavimento allude a una stabilità reale. Carrà rifiuta, qui, la dimensione di spazio e di tempo e si rifà al primitivismo assoluto dell’immagine lineare e sintetica, che emerge dalla cromia primordiale degli ocra, delle terre rosse e del bianco grigio che sembra intonaco. Nello stesso anno Carrà scriveva i suoi saggi su Giotto e Paolo Uccello, pubblicati su La Voce, e forse i principi della pura e autentica ricerca formale di questo periodo sono da rintracciare in quelle sue indagini approfondite sui maestri toscani. 32 Modellato su polittici trecenteschi per la ieraticità e il corredo di attributi è il quadro I Romantici, un’opera allegorica che ha subito diverse modifiche anche iconografiche nel corso dell’ideazione. La parata di ambigui esponenti del potere (in un disegno iniziale c’era anche un prete) attorno all’erede al trono, bambino inerme minacciato dal coltello del personaggio di destra, è stata letta in relazione a una ideologia di ispirazione anarchica, oppure come portato di un credo artistico personale. Mentre era ricoverato all'ospedale militare di Ferrara nel 1917, de Chirico conobbe il pittore futurista Carlo Carrà, che inizialmente si era si presentato sospettoso della “razionalizzazione letteraria” della pittura di de Chirico, ma con cui iniziò il percorso che lo portò a perfezionare i canoni della pittura metafisica: a partire dal 1920, tali teorizzazioni furono divulgate dalle pagine della rivista Pittura metafisica*pag.32. Nei quadri dei primi anni ferraresi si fa strada un cromatismo più vivido, fatto di rossi accesi, verdi veronese e blu cobalto, che conferiranno monumentalità e qualità visionaria ai capolavori della pittura metafisica realizzati nel 1917, quali Il trovatore, Ettore e Andromaca, Il grande metafisico, dove la tematica parigina dei manichini, ormai canonizzata, si cala in una inedita ambientazione ferrarese. La cittadina estense aveva colpito de Chirico per le sue atmosfere misteriose e fuori dal tempo, grazie anche alla guida preziosa di Filippo de Pisis. Carrà non è da meno: nel corso dello stesso anno vedono luce opere celeberrime, come: Musa metafisica (fig.1), Solitudine (fig.2), La camera incantata (fig.3), Madre e figlio (fig.4), L’idolo ermafrodito (fig.5). Al confronto con le sue opere precedenti, queste ultime evidenziano una netta ripresa di iconografie e impostazioni formali da de Chirico. L'impatto di una così radicale invenzione pittorica viene però riassimilato da Carrà secondo caratteristiche proprie. Inoltre, gli oggetti dei quadri di Carrà vivono nell’aria e nella luce, denunciano peso e volume nel morbido scivolamento delle ombre sulle rotondità dei corpi, mentre in de Chirico l’ambiguità del disegno equipara volumi, ombre e proiezioni geometriche, svuotando le cose di consistenza fisica e aprendo tra esse vuoti e distanze incolmabili. A differenza di quest’ultimo, Carrà si concentra sullo stile, avviandosi verso una purificazione e semplificazione delle forme in direzione archetipica. L’Idolo ermafrodito 1917, (fig.5) è senz’altro un’opera dove c’è il recupero di un mito positivo del classico. Le proporzioni tra i segmenti della porta e dei parallelepipedi celano una riduzione armonica del cosmo a misure e colori archetipali. Carrà attinge alla tradizione in continuità con il suo presente, mentre le citazioni dal passato di de Chirico non fanno che confermare la metafisica “solitudine dei segni”, costitutiva della modernità. Il confronto tra quelle che sono state definite le “due metafisiche” riflette la competizione per il primato nella cultura artistica italiana, che si giocò a suon di mostre e libri pochi mesi dopo il fecondo incontro ferrarese. Competizione persa in partenza da de Chirico, i cui enigmi densi si citazioni archeologiche stratificate, occasionati da una nostalgia “nordica”, di origine romantica e simbolista risultavano alieni, oscuri, o, nel migliore dei casi troppo “letterati” rispetto al rassicurante spirito mediterraneo recuperato da Carrà, che, facendo leva su risvolti di identità nazionale confermava il valore eterno dello stile. I risultati del sodalizio ferrarese avrebbero dovuto essere presentati nella prima mostra italiana di pittura metafisica presso la galleria Chini di Milano alla fine del 1917. Quando de Chirico spediva le sue opere carico di speranza, la mostra era già stata inaugurata come una “personale del pittore futurista Carlo Carrà”. L'esclusione di de Chirico segnò una prima seria frattura fra i due, temporaneamente ricomposta per ragioni di opportunità strategica. Seguì infatti la Mostra d’arte indipendente a Roma tra il maggio e il giugno 1918. Carrà e de Chirico spiegarono in prima persona le novità della loro pittura. Sempre a Roma de Chirico terrà la sua prima personale nel febbraio 1919. Alla 35 L’avanguardia russa e sovietica PREMESSA STORICA: Alla fine dell'Ottocento la Russia occupava un territorio enorme. La Russia, come in parte gli USA, aveva promosso lo stesso processo semplicemente espandendo i propri confini e cercando di russificare le popolazioni sconfitte (per esempio i ceceni). La crescita territoriale della Russia però contrastava con la sua arretratezza economica e sociale. All'inizio del 1905 la situazione sociale ed economica della Russia era estremamente deteriorata. E a questi problemi si aggiunsero quelli causati dalla guerra con il Giappone, fallimentare. La situazione interna precipitò il 22 gennaio del 1905 a San Pietroburgo. Una grande folla di operai guidati da un pope, si recò di fronte al Palazzo d'Inverno, residenza dello zar, per consegnare a questi una supplica. Malgrado la dimostrazione fosse pacifica e composta da fedeli sudditi (molti reggevano nelle mani il ritratto dello zar), le truppe di guardia caricarono la folla facendo uso di fucili e sciabole. Questi eventi produssero una serie di effetti a catena: si formarono i primi soviet, cioè assemblee di delegati operai, soldati e contadini che decidevano le forme di lotta e le forme di autogoverno là dove avevano preso il controllo della situazione. Spaventato da ciò che stava accadendo, il regime fece delle concessioni per riportare l'ordine. Lo Zar Nicola II concesse una costituzione prevedendo l'elezione di un parlamento (Duma) anche se con poteri molto limitati. Una volta tornata la normalità, lo zar la sciolse, per fare eleggere una Duma più asservita. Negli anni successivi la Russia tornò ad essere una monarchia assoluta facendo così crescere le contraddizioni interne che sfoceranno nelle rivoluzioni del 1917. La rivoluzione del 1905 era fallita, ma aveva in qualche modo favorito un'aria nuova in campo culturale. Sbocciarono movimenti, si formarono associazioni, apparvero pubblicazioni che diffondevano nuove idee. Alcuni artisti ebbero un'evoluzione personale fuori dal loro Paese, come Wassilij Kandinskij e Marc Chagall. Altri artisti svilupparono il loro percorso in Russia, spesso associandosi in gruppi e movimenti organizzati. Tutti miravano a contestare duramente l'arte accademica del secolo precedente. Si erano sviluppate molte correnti poetiche di avanguardia, che seguivano con interesse, ma anche con autonomia, i movimenti culturali dell'Europa occidentale. In particolare, il simbolismo russo aveva raggiunto risultati poetici di grande valore e aveva preparato un terreno su cui il futurismo poteva facilmente attecchire, come avvenne nel resto d'Europa. Già nel 1905 la rivista letteraria simbolista di Marinetti, "Poesia", era letta in Russia e promuoveva scambi letterari tra i due Paesi. Così non stupisce che tra il 1909 e il 1910 comparvero su riviste russe molti articoli sul futurismo italiano. In quegli stessi anni Balla espose le sue opere in quattro città russe. Nel 1911 e poi nel 1912 vennero in Italia diversi artisti cubisti russi che cominciavano a essere contagiati dal futurismo ( si consideravano dei cubofuturisti). Queste avanguardie avevano solidi legami con le contestazioni del secolo precedente legate al movimento populista ed erano caratterizzate sempre da due elementi: l'attenzione alle novità dell'Europa Occidentale, soprattutto francesi, viste come il frutto di società più avanzate di quella russa, e il contemporaneo legame con le tradizioni contadine russe. Tra questi artisti vi era Natalija Goncharova che era interessata all'arte popolare russa e al suo folclore ed ebbe un ruolo fondamentale di animatrice culturale con la rivista Il Vello d'Oro tra il 1906 e il 1909, e MiKhail Larionov che fondò un movimento tra il 1912 e il 1913 autodenominatosi Raggismo. Ambedue erano influenzati dal cubismo e dal futurismo. Una nuova generazione di giovanissimi artisti irrompeva negli scenari urbani cercando di sovvertire le vecchie regole fondendo arte, modo di vivere, performance di strada. Le avanguardie artistiche dell'Unione Sovietica (note anche come avanguardia russa) furono un importante e influente fenomeno dell'arte moderna del XX secolo che fu attivo durante l'Impero russo e l'Unione Sovietica tra il 1890 e gli anni '30 (anche se alcuni indicano i suoi inizi nel 1850 e la sua fine nel 1960). Il termine comprende numerosi distinti, ma strettamente connessi, movimenti artistici che fiorirono in quel periodo: suprematismo, costruttivismo, raggismo (è una sintesi di Cubismo e Futurismo), zaum e neo-primitivismo. Le avanguardie artistiche russe si manifestarono nella loro massima creatività durante la Rivoluzione russa del 1917 fino all'inizio degli anni '30, quando esse si scontrarono e furono sopravanzate da un generale ritorno all'ordine, artisticamente rappresentato dal figurativismo del realismo socialista, coincidente con l'ascesa politica della figura di Stalin. 36 Il fenomeno più noto nell’ambito della prima avanguardia russa è il suprematismo di Kazimir Malevič, che costituisce una delle prime manifestazioni astratto-geometriche in Europa; divenne il principale esponente dell'astrazione pittorica. Partendo dallo studio delle opere di Cézanne e Picasso operò per ridurre i soggetti alla loro essenzialità, sino a farne puri modelli geometrici. I corpi diventavano cilindri, i colori metallici, la composizione acquisiva un ritmo dinamico. Questa fase cubofuturista fu superata nel 1913 quando Malevic radicalizzò la sua impostazione per liberare la pittura dal "peso" del soggetto. Iniziò così il suo periodo "suprematista": l'opera diventava autonoma dal soggetto che voleva rappresentare, si faceva essa stessa soggetto. Come sappiamo, parlando delle avanguardie russa, la prima tendenza d’avanguardia si configura come “PRIMITIVISMO”: vengono riscoperti i temi contadini, la vita dei poveri e degli emarginati in uno stile immediato. In Malevic, un esempio è Contadina con secchi e un bambino di Malevic, esposti alla mostra Coda d’Asino. I suoi contadini sono costruiti su forme cilindriche che rifrangono la luce e accolgono, in particolare nella deformazione di mani e piedi, in una certa rigidità e schiacciamento prospettico, stilemi derivati dalle icone bizantine. Su questa esperienza si innesta l’influenza futurista, evidente in L’arrotino (1912-13) in cui emergono la scomposizione cubista delle forme, la moltiplicazione dell’immagine e il soggetto dell’uomo moderno che usa un mezzo meccanico tipiche del futurismo. Il movimento è l’elemento centrale di quest’opera, l’arrotino appare in movimento e così anche l’ambiente che lo circonda. Anche la scelta dei colori induce alla dinamicità l’osservatore non permettendo all’occhio di stare fermo. L’origine russa di questo artista emerge dal suo forte interesse per le icone. Le sue opere rivelano un’affinità di linguaggio con queste espressioni artistiche della tradizione popolare attraverso richiami cromatici legati all’uso di colori vivaci, le forme essenziali e il profondo misticismo e simbolismo, anche se reinterpretati alla luce di un linguaggio completamente astratto. Svolta fondamentale nella sua pittura con dei dipinti tra il 1913 e il 1914 come Un inglese a Mosca che presenta accostamenti tra oggetti e personaggi che non hanno contiguità nella realtà quotidiana; ampie porzioni geometriche di colori puri e dalla stesura uniforme si collegano a forme scomposte e accostate a scritte ed elementi di collage. Una linea verticale immaginaria divide in due questa tela nella quale irrompono due mondi: il volto visibile, sociale del soggetto, e quello, più intimo, del suo inconscio. Al busto e al volto della figura stilizzata in un cilindro, che dovrebbe rappresentare un inglese, sono sovrapposti, nella tela, un grande pesce con una candela e una sciabola, una scala in miniatura, una piccola chiesa in stile russo e un cucchiaio rosso, tutti elementi privati del loro colore naturale. Secondo l'artista di Kiev, il pittore moderno doveva lavorare assecondando una pura sensibilità plastica e ricercando un percorso che conducesse all'essenza dell'arte, ormai svuotata da fini pratici ed estetici. L'arte astratta, secondo Malevic, caratterizzata esclusivamente dal colore, avrebbe avuto la “supremazia” su quella figurativa, popolata invece di oggetti o forme viventi. Nel 1915 Malevic pubblicò il "Manifesto del Suprematismo", cui collaborò anche Majakowskij, in cui teorizzava un'arte indipendente da qualsiasi imitazione del mondo esterno. Questo nuovo movimento, il SUPREMATISMO da lui teorizzato prevede che l’arte abbandoni la figuratività e l’imitazione della natura concentrandosi sulle pure forme geometriche: l’arte deve liberarsi da finalità pratiche e narrative e diventare autoreferenziale per permetterci di basare il nostro giudizio estetico sulla pura sensibilità plastica. Il termine Suprematismo indica infatti “la supremazia della pura sensibilità dell’arte”, a prescindere dal contenuto figurativo. Un tipo di arte nuova, libera dal contenuto e basata solo sull’estetica delle forme pure, geometriche, dai colori netti e spesso monocromi; un decisivo passo avanti rispetto alla figuratività tradizionale, da cui Malevič era partito poco più di un decennio prima. In sintesi, i suprematisti vogliono un’arte astratta, non oggettiva. Non vogliono riprodurre le apparenze ma l’essenza delle cose che si trova nella geometria. L’arte astratta non deve esprimere l’interiorità dell’artista né la sua soggettività ma è una suprema schematizzazione fatta di forme geometriche essenziali e semplici. L’artista vuole arrivare alla purezza massima. L’arte deve esprimere idea di assoluto. Per questo bisogno si liberano dagli oggetti e rendono l’essenza suprema del reale. 37 Malevič divide il Suprematismo in tre fasi: 1. il periodo nero, esemplificato per esempio da Quadrato nero su fondo bianco (1915); Come tutti i lavori suprematisti, l’opera non ha cornice in quanto sarebbe stata una allusione a dei confini terrestri, al contrario il bordo bianco si fonde con la parete su cui l’opera era appesa conferendole un senso di infinito. L’opera ricorda le icone sacre anche dal punto di vista del rapporto di forte contrasto tra figura e sfondo e porta al limite massimo il processo di stilizzazione che era caratteristico delle icone. Il quadrato nero stava a identificare un elemento prettamente umano che eclissava la luce materiale e quella che sembra una banale figura geometrica, fredda e un po’ lugubre, è invece viva ed è un volto. In una lettera indirizzata al compositore Matiushin, Malevich afferma: "Questo disegno avrà un’importanza enorme per la pittura. Rappresenta un quadrato nero, l'embrione di tutte le possibilità che nel loro sviluppo acquistano una forza sorprendente. È il progenitore del cubo e della sfera, e la sua dissociazione apporterà un contributo culturale fondamentale alla pittura…." 2. il periodo colorato, con l’opera Suprematismo (1915); Durante questa fase le opere di Malevič si arricchiscono gradualmente di colori e di forme. 3. infine, il periodo bianco, che culmina con l’opera apice del movimento, Quadrato bianco su fondo bianco (1919). In questo quadro, Malevic afferma la totale semplificazione di forma e colore, arriva al culmine espressivo. Qui i limiti della figura geometrica sono appena percettibili e si distinguono solo attraverso la linea sottile del perimetro. Successivamente con il nuovo corso del regime sovietico basato su una politica più autoritaria, Malevich viene accusato di essere un soggettivista ed un sognatore in un momento storico in cui si affermava l’esigenza di un’arte concreta. Nel 1930 Malevich viene interrogato e arrestato. In questi anni Malevich sogna di poter espatriare dalla Russia che tanto amava. Negli ultimi anni della sua arte ritorna al figurativo. L’ultimo quadro è “l’uomo che corre”, simbolo di sé stesso che vuole evadere. Un’altra manifestazione che si colloca tra orfismo e futurismo, brillante ed effimera, è il RAGGISMO, che si sviluppò nel secondo decennio del Novecento (1912-16) ed ebbe come punti di riferimento il Futurismo, l’Orfismo e il Cubismo. Il Raggismo aveva come fine l’integrazione delle istanze futuriste con quelle del movimento neoprimitivista. La nuova pittura acquisiva più forza nella rappresentazione della luce e dei suoi effetti, nel conglobamento dello spettro cromatico, nella diffusione, rifrazione e diffrazione dei raggi luminosi sui vari oggetti. I suoi protagonisti Larionov e Goncarova, dopo aver conosciuto direttamente la pittura francese a Parigi, hanno già percorso l’esperienza primitivista e cubo-futurista, tendendo ad accentuarne la componente russa. Lo stile di questa pittura si occupa delle forme spaziali conseguite con l’intersezione dei raggi riflessi da vari oggetti e delle forme individuate dall’artista. In modo convenzionale il raggio è rappresentato da una striscia di colore, simbolo assoluto di luce e movimento, dove il colore riunisce la cultura visiva occidentale (orfismo e futurismo) e orientale (brillantezza degli smalti, mosaici, icone). In altre parole, i raggisti videro nel “raggio” il simbolo assoluto della luce amata dagli orfisti e della velocità, decantata dai futuristi; quindi, usarono la lezione del Cubismo per elaborare attraverso le sue regole, nuove forme da portare all’arte. 40 Albero rosso è un esempio di opera vicina alle esperienze Fauves. La figura dell’albero ritorna frequentemente nella prima fase artistica di Mondrian che però assume simbolicamente questo processo di deformazione che diventa sintesi estrema della forma che abbandona le sembianze dell'oggetto naturale per evidenziare alcune forme. Con Albero grigio, l’artista, abbandona il colore e cerca una sintesi formale attraverso il Cubismo, è ormai una composizione quasi astratta. Al centro, una fascia curva di colore grigio rappresenta il basso tronco deviato leggermente verso sinistra. Il suolo è poi delimitato semplicemente da una linea scura e da pennellate più piccole e ravvicinate. Infine, lo sfondo che si intravede tra i rami è grigio, dai toni chiari e scuri che creano una vibrazione atmosferica. In Composizione in blu, grigio e rosa, Piet Mondrian compie un ulteriore passo avanti verso la definizione del Neoplasticismo. Le sue prime Composizioni totalmente prive di riferimenti al reale e sostanzialmente composte da rettangoli colorati. È un dipinto nel quale Mondrian ha abolito la figura. Il termine composizione, infatti, indica l’intenzione dell’artista di elaborare gli elementi del suo linguaggio visivo senza definire forme riconoscibili. I colori, quindi, vengono semplificati, come nell’intenzione di Mondrian, e dichiarati nel titolo. I tre colori sono utilizzati nella loro tonalità più chiara che si smarrisce ulteriormente ai bordi del dipinto. In Composizione n°10 (molo e oceano) del 1915 Mondrian realizza il suo primo dipinto in bianco e nero. Il dipinto è un riferimento astratto ed estremamente sintetizzato alla superficie dell’oceano che incontra un molo. Sono presenti solo brevi tratti di linee verticali e orizzontali che si incrociano e formano una rete a maglie aperte. Tra i segni astratti si forma quasi un labirinto negli spazi lasciati al fondo bianco. In questo disegno è sparita ogni figurazione. Nel caso di Albero Rosso la realtà viene interpretata in modo fauves. La ricerca dell’artista lo aveva già portato ad eliminare gran parte dei colori come in Albero grigio del 1911. Iniziò, poi, ad abbandonare ogni naturalismo con Melo in fiore del 1912. L’esigenza di trovare, anche nell’arte una pratica minimale, lo portò, progressivamente, a ridurre al minimo gli elementi del suo linguaggio espressivo. In Composizione in blu, grigio e rosa, del 1913 sono scomparse le linee oblique e il colore è diventato un pallido accenno alle tinte fondamentali. Composizione n°10 (molo e oceano), come gli altri dipinti della serie, rappresenta un passo avanti verso la sintesi finale che lo porterà a realizzare i dipinti che lo hanno reso famoso: Ritmo di linee nere, del 1935 un dipinto che rappresenta il punto di arrivo della sintesi neoplastica. Ritmo di linee nere è stato realizzato utilizzando un linguaggio e una sintassi molto semplici ma rigorosi. L’opera si presenta come un insieme di linee nere, sempre tracciate in modo ortogonale tra loro, orizzontali e verticali, su un fondo bianco. Gli elementi linguistici che utilizza Mondrian nei suoi dipinti minimali sono pochi. È bandita ogni linea curva. Colori primari giallo, rosso, blu. Fu, tuttavia, a partire dal 1920 che, attraverso i suoi articoli (raccolti in seguito nel volume Il Neoplasticismo, pubblicato proprio nel 1920), ricercò una giustificazione teorica alla sua pittura. In questi scritti, egli propose un nuovo linguaggio artistico rigorosamente intellettuale, capace di dominare le forze ostili e le vicende oscure dell’esistenza e, allo stesso tempo, di raggiungere l’obiettivo di una superiore e universale armonia. Il Neoplasticismo si può tradurre con nuovo modo di trattare la forma. Mondrian sostiene che l’arte debba essere sfrondata da significati oggettivi e soggettivi, cioè l’arte non esprime una componente emotiva, ma deve esprimere un'idea del reale; valutava indispensabile l’abolizione di ogni modalità artistica nella quale si potesse manifestare facilmente un dato soggettivo, individualistico, sentimentale o perfino passionale. 41 Composizione con rosso, giallo e blu ad esempio: L’opera è stata dipinta nel 1929 l’epoca, a cavallo delle due guerre mondiali, che consentì all’artista di svolgere in modo più sereno le sue ricerche artistiche e spirituali. All’interno della superficie dipinta le righe spesse nere sono ortogonali tra loro e creano delle campiture rettangolari e quadrate. La composizione non ha un centro geometrico ma si può scalare all’infinito. Infatti, il bordo del dipinto taglia di netto le campiture che si presuppone possano continuare al di fuori dal campo dipinto. I colori sono quello primari, giallo rosso e blu, legati ad una precisa simbologia spirituale (il giallo legato all’energia solare, il rosso l’unione tra luce e spazio, infine, il blu, simbolico della spiritualità) e disposti secondo un ordine compositivo che ricerca l’equilibrio formale e cromatico. Nel 1940, la minaccia della Seconda guerra mondiale convinse Mondrian a lasciare l’Europa e a trasferirsi a New York, città frenetica e ricca di stimoli. Qui, il suo stile subì una significativa evoluzione. Mondrian sostituì la riga nera con fasce composte da piccoli rettangoli di colore, capaci di conferire un ritmo dinamico alle sue opere, che alludono ai rumori e alle velocità delle metropoli statunitensi. I titoli, come nel caso di Broadway Boogie Woogie, del 1942-43, rimandano invece alla vitalità della musica americana di quegli anni. Il boogie woogie era, difatti, uno stile pianistico del blues affermatosi negli Stati Uniti negli anni precedenti, caratterizzato da una linea ostinata di basso e dalla ripetizione di frasi in variazione. Parliamo di un dipinto così luminoso, vivace e ottimista da costituire una vera e propria rivoluzione nel percorso dell’artista olandese, che per certi versi parve rinunciare alla sua proverbiale intransigenza artistica (che lo aveva portato a litigare con Van Doesburg) e perfino sconfessare, almeno in parte, l’assoluto rigore matematico del suo percorso precedente. Le Controcomposizioni iniziate Théo Van Doesburg nel 1924 sembrano presentare gli stessi ingredienti, ma il loro uso, come dice lo stesso titolo, vai in direzione contraria: riprende i colori puri, ma con un andamento pittorico diagonale, legato allo studio del movimento, quindi più dinamico. Utilizza la diagonale come armonizzazione di quella rigida opposizione tra verticale e orizzontale presente in Mondrian. Contro-composizione XIII è l'ottavo dipinto della serie di contro-composizioni che Van Doesburg iniziò nel 1924. Il dipinto è indicativo della diversa concezione che l'artista aveva del neoplasticismo rispetto all'asciutto, quasi monacale rigore di Mondrian. Alle linee orizzontali e verticali, Van Doesburg aggiunge le diagonali che, rispetto alla calma e l'equilibrio dei dipinti di Mondrian, danno luogo a un maggiore dinamismo. Sembra poca cosa, ma era sufficiente sconvolgere i principi di “De Stijl” e di Mondrian che li aveva formulati. Il dinamismo, infatti, è movimento, azione, cioè sinonimo di intervento personale dell'artista, quando, al contrario, il dipinto neoplastico deve tendere con i suoi mezzi limitati (linee orizzontali e verticali, i tre colori primari, i non colori bianco e nero) all'eliminazione delle emozioni e del particolarismo. La composizione diagonale dà origine a 5 triangoli isosceli e a tre poligoni che si rivelano triangoli solo se mentalmente ne proseguiamo i lati oltre la cornice. Il triangolo, più che il quadrato o il rettangolo di Mondrian, suggerisce vitalità e scatto. Lo spirito indipendente che anima l'attività di Van Doesburg nella rivista è soprattutto strettamente collegato ai suoi rapporti con il dadaismo, singolarmente paralleli a quelli che intrattiene con il Bauhaus*, dove cerca di svolgere un'attività di insegnamento osteggiata e stroncata da Gropius (uno dei fondatori del Bauhaus. Assieme a Le Corbusier, Frank Lloyd Wright, Alvar Aalto e Ludwig Mies van der Rohe è ricordato come uno dei maestri del Movimento Moderno in architettura.). Strinse forti rapporti con questi artisti dada, tanto da fondare una nuova rivista con Schwitters chiamata Mécano, in cui ricorreva il celebre principio dadaista del rifiuto del passato. 42 Sempre con la collaborazione di Schwitters, nel 1922 realizzò il famoso manifesto Kleine Dada Soirée (Small Dada Evening). Il poster presenta una combinazione casuale e affollata di diversi caratteri, con l’aggiunta della scritta “DADA” in rosso disposta in diverse direzioni. Emerge anche un aspetto strettamente legato al De Stijl, cioè l’utilizzo di una tavolozza composta esclusivamente da rosso bianco e nero. L’operato di Theo Van Doesburg per la modernizzazione delle arti grafiche è stato dunque determinante anche in virtù di questo crocevia di correnti neoplastica e dadaista, movimenti che seppure opposti sono in qualche modo complementari: se Dada voleva eliminare le vecchie convenzioni, De Stijl voleva costruirne di nuove a partire da una precisa struttura. Anche Mondrian ha un passeggero e positivo contatto con il dadaismo, di cui lo attrae l'abolizione delle barriere tra arte e vita, ma ben presto se ne allontana. *BAUHAUS La più importante scuola d'arte del Novecento Nel 1919 Walter Gropius decise di fondare a Weimar, nel cuore della Germania, un nuovo modello di scuola d'arte che denominò Bauhaus ("casa del costruire"). Ebbe sede a Weimar dal 1919 al 1925, a Dessau dal 1925 al 1932, e a Berlino dal 1932 al 1933 quando chiuse perché invisa al nazionalsocialismo. Erede delle avanguardie anteguerra, non fu solo una scuola, ma rappresentò anche il punto di riferimento fondamentale per tutti i movimenti d'innovazione nel campo del design e dell'architettura legati al razionalismo e al funzionalismo, ed ebbe come obiettivo principale quello di conciliare creazione artistica e metodo artigianale con la produzione industriale, unendo cioè il valore estetico di un oggetto, la sua bellezza, con la componente tecnica e funzionale. Nel 1926 il Bauhaus viene trasferito a Dessau, in un nuovo edificio progettato dallo stesso Gropius. L'edificio ha ricoperto un'importanza fondamentale per lo sviluppo dell'architettura razionalista, cioè di una concezione del costruire basata su criteri essenziali, privi di aspetti decorativi, attenti principalmente alla funzione. L'edificio si sviluppa in tre volumi asimmetrici, differenziati in base alle funzioni da ospitare (alloggi, aule, laboratori) e collegati da corpi di fabbrica nei quali si trovano i servizi comuni e gli uffici. Ogni parte definita da volumi regolari, con tetti piani, finestre e ampie superfici vetrate nella zona dedicata ai laboratori. Questi principi di razionalità, rifiuto della decorazione fine a sé stessa e funzionalità erano applicati e insegnati in qualsiasi attività artistica. I maestri del Bauhaus erano spesso artisti noti, in attività, capaci di stimolare gli allievi. Tra i più noti i pittori: Vasilij V. Kandinskij, Paul Klee, Josef Albers, lo scultore Oskar Schlemmer (impegnato anche nella sezione delle scenografie teatrali), l'ungherese Laszlo Moholy-Nagy insegnava nella sezione della lavorazione dei metalli, occupandosi inoltre della grafica: gran parte della grafica moderna e dello stile d'impaginazione dei nostri libri deriva dal Bauhaus. La disciplina più importante era considerata tuttavia l'architettura, intesa come sintesi delle diverse arti. Veniva insegnata da Adolf Meyer, architetto collaboratore di Gropius nel progetto del nuovo edificio della scuola. Gropius si dimette nel 1928 e la direzione della scuola fu assunta dall'architetto svizzero Hannes Meyer, che riorganizzò i corsi dividendoli in quattro sezioni principali: edilizia, produzione di oggetti in legno e metallo, pubblicità, tessuti. La scuola fu poi diretta dall'architetto tedesco Ludwig Mies van der Rohe, ma alla fine del 1932 venne trasferita a Berlino e l'anno seguente fu chiusa definitivamente dal regime nazista. 45 Gli artisti che partecipano a queste serate provengono da vari paesi europei perché sono in fuga e trovano nella svizzera neutrale della Prima guerra mondiale un luogo in cui possono evitare proscrizioni e andare al fronte. Al Cabaret si tenevano mostre d'arte russa e francese, danze, letture poetiche, esecuzioni di musiche africane. Spettacoli provocatori e dissacranti che si trasformavano in autentici "eventi" culturali. Specchiando la situazione generata dalla Prima guerra mondiale l'arte esibita è caotica e brutale. Vengono presentati artisti radicalmente sperimentali, molti dei quali finiscono col cambiare l'espressione delle loro discipline artistiche; gli artisti in questione includono Kandinsky, Paul Klee, de Chirico ed Ernst. Hugo Ball proveniva dall’ambiente artistico e teatrale espressionista: A Berlino fondò nel 1913/1914 la rivista Die Revolution confiscata per i contenuti violenti. A Monaco a stretto contatto con il movimento Cavaliere Azzurro aveva cercato di riaprire insieme a Kandinskij il “Teatro degli artisti di Monaco”, e questa esperienza influì sulla forte vocazione spiritualistica di Ball e sul suo orientamento verso l’astrazione sia nella parola poetica che nell’immagine artistica. La matrice espressionistica di Ball insieme alle ricerche cubiste e costruttiviste convergeranno in una proposta di astrazione dominante nell’ambiente zurighese. La forma del cabaret aveva già fatto il suo ingresso nel 1914 nella cittadina svizzera e da questa derivano alcune caratteristiche centrali delle serate di Zurigo: - La dimensione performativa che puntava ad un coinvolgimento diretto del pubblico, già ampiamente sperimentata con forte valenza provocatoria dal futurismo per lo più declinato come opposizione morale rispetto la guerra, - Lo spirito satirico, declinato come opposizione morale rispetto alla guerra, - La contaminazione polemica tra generi “alti” e “bassi” nella musica e nelle declamazioni poetiche, che avrebbero trovato riscontro nell’introduzione di materiali quotidiani nella creazione artistica. Dai primi spettacoli del luglio 1916 venne via via crescendo l’atteggiamento ironico, dissacratorio, provocatorio, riconosciuto come Dada (un nome che non significava niente in particolare, e che sembra sia stato trovato cercando a caso una parola nel dizionario). Poiché, infatti, il movimento rifiutava i significati tradizionali attribuiti alle parole e i concetti universalmente accettati, scelsero di chiamarsi con un’espressione che in sé non vuole significare nulla di preciso. È per questo che sono nati molti racconti, l’uno diverso dall’altro, sull’origine precisa del nome: Hans Arp disse che il primo ad utilizzarlo fu Tzara, suscitando in tutti enorme entusiasmo, anche per via del fatto che “dada” potesse significare lo stesso (o niente) in tutte le lingue, poiché il gruppo era dichiaratamente internazionalista. Tzara a sua volta narrò di avere trovato la parola a caso nel vocabolario francese Larousse. “Dada” è un termine colloquiale francese che può indicare un cavallo da tiro, ma che allude anche alle prime sillabe che impara a dire un bambino, e questi suggerimenti di infantilismo e assurdità garantivano una presa di distanza dalla convenzionale sobrietà del linguaggio borghese. Il Dadaismo si manifestò subito come un’organizzazione libera, che senza un programma estetico preciso divenne un modo di concepire la realtà e l’opera d’arte. Non interessava il valore artistico di un manufatto, ma piuttosto lo shock provocato nello spettatore, necessario per distoglierlo da pigre abitudini mentali. L’arte, come si era sempre considerata, per loro non esisteva più e tutto poteva diventare arte: pezzi di legno grezzo inchiodati e colorati, per esempio, come in Trousse d’un Da del 1920 di Arp, oppure un oggetto comune, messo in una certa posizione invece che in un’altra. “Libertà: DADA DADA DADA”, scriveva Tzara nel 1918 nella riscrittura del loro Manifesto Dada (reso pubblico nel luglio1916), “urlo di colori contratti, groviglio degli opposti e di tutte le contraddizioni, del grottesco e dell’incongruenza: la vita”. La diffusione di Dada avvenne dal 1917 attraverso la sette pubblicazioni di una rivista di arte e letteratura intitolata, naturalmente, “Dada” e numerose mostre d’arte, incentrate sulla performance e l’arte tipografica. Proprio nel 1917, dopo la chiusura del Cabaret Voltaire, e dopo che Ball partì per Berna per dedicarsi al giornalismo, Tzara fondò la Galerie Dada in Bahnhofstrasse, dove si tenevano altre serate e altre numerose mostre di ricami, arte negra e disegni infantili. Tzara divenne il motivatore del movimento e iniziò una campagna inesorabile per diffonderne le idee, inondando di lettere d’invito scrittori e artisti internazionali. La galleria si contraddistinse, infatti, per l’apertura alle ricerche 46 d’avanguardia internazionali, con una iniziale prevalenza dell’area espressionista, e con le significative presenze di de Chirico, Modigliani e Prampolini in una mostra nel maggio, frutto dell’intensa attenzione di Tzara verso l’Italia. Nel corso del 1917 si assiste a una significativa svolta verso l’astrazione, che Tzara intende come abbandono della realtà per una dimensione interiore. Tra i maggiori detrattori dell’espressionismo era allora Arp, che dal 1916 stava affinando la tecnica del collage chiamato Secondo le leggi del caso. Nato da un puro gesto di negazione dadaista, ovvero dal gettare a terra un lavoro mal riuscito, Arp avrebbe poi rinvenuto nella disposizione casuale dei pezzi di carta sul pavimento un nuovo ordine artistico, che avrebbe infine trasferito nel collage rispettando la composizione che il caso aveva creato. La casualità è stata una parte fondamentale del lavoro di Arp, il quale la vedeva come legge a cui sottostare per produrre opere d’arte. Secondo l’artista, infatti, si doveva accettare ciò che egli definiva “la legge del caso” e la sua idea era quella di lavorare nello stesso modo in cui la natura genera le sue forme. La ricerca di Arp è quindi elementare e spontanea, di modo che le sue opere d’arte costituiscano una realtà e non un’imitazione. (Questo è un concetto che lo avrebbe avvicinato al surrealismo a partire dal 1925.). Ed è questo ci racconta molto sull’abitudine dada, della messa in discussione del valore di produzione poetica che abbiamo visto per tutte le esperienze. Matisse descrive il colore, racconta come ha scelto il colore. Qui c’è un atto dissacratorio perché mette in discussione la potenza della scelta dell’artista. Ora è il caso a guidare l'artista. L’effetto è quello di messa in discussione di valori borghesi, ma la finalità dell’opera non è lo scandalo, ma una totale libertà dell’arte, per cui ciò che è addirittura buffonesco può essere utilizzato al pari di ciò che pertiene all’arte alta. La volontà è quella di liberare l’arte, a tal punto che si identifica della vita dell'artista, che non lavora più nell’atelier, ma è nel cabaret. La prefigurazione di un principio automatico di creazione artistica anticiperebbe gli esperimenti di Breton (teorico del surrealismo) nel periodo dada parigino. Per Arp il caso non serve a far emergere l’inconscio, come sarà per Breton, ma è simbolo dell’unione di micro e macrocosmo all’interno di una visione spirituale nutrita dall’interesse per le scienze occulte (come la Teosofia), per la letteratura mistica, e le filosofie orientali, rifiutando tutto ciò che era copia o descrizione, per lasciare l’Elementare e lo Spontaneo reagire in piena libertà. Per questo limita al massimo la manualità, che potrebbe tradire espressioni individuali, arrivando a sostituire le forbici con la taglierina in alcuni collage tra il 1917 e il 1918, e a delegare il taglio del legno a un carpentiere nei suoi rilievi dipinti, realizzati a partire dal 1917. Un esempio è il legno dipinti de Il funerale degli uccelli e delle farfalle. L'importanza del caso, la riflessione sull’oggettualità dell’opera d’arte, l’uso di materiali umili, come la carta da pacchi nei collage, il gioco tra immagine e parola, evidente ad esempio nell’evocatività del titolo, avvicinano il percorso di Arp a quello di Duchamp. Con la conclusione della guerra l’esperienza dada zurighese era giunta alla fase finale. L'ultimo atto di questa avventura fu l’arrivo di Picabia nel gennaio 1919, che si trovava già da qualche mese in Svizzera per curarsi da una crisi nervosa. Il numero “Dada 4-5", redatto a quattro mani da Tzara e Picabia, ospitò il simbolico omaggio di quest’ultimo alla Svizzera, ovvero la celebre impronta dei meccanismi rotti di un orologio intitolata Réveil Matin (Sveglia del mattino), che suscitò la stupefatta ammirazione di Arp. Il fascicolo sancisce l’unione tra gruppi dada diversi, evidenziata anche nel disegno di Picabia Dada Mouvement. 47 MONTAGGIO INTELLETTUALE significa che l’arte non somministra un’immagine, ma costruisce un discorso che si fa con immagini e sequenza filmica, in cui è lo spettatore che non guarda passivamente ma riflettere sui significati e ricostruire. Anche il dada berlinese condivide un’idea di montaggio. Questi fotomontaggi prevedono un rapporto diretto con lo spettatore che ha un ruolo attivo e non passivo. È una costruzione di discorso e il fotomontaggio si presta molto bene a tenere aperte le possibilità di significato, proprio perché gli elementi che combinano le immagini sono a volte incongrui. Un altro aspetto importante legato all’idea di montaggio è quello SPAZIALE: gli artisti dadaisti interpretano con molta enfasi l’idea di un teatro che accoglie tutte le arti con una proposta totale. I dadaisti sono quelli che più da vicino lavorano a questa idea totalizzante. Vicina all’idea di totalità, l’opera di Schwitters. Schwitters è stato un grande esponente della corrente dadaista, anche se non ne ha mai davvero fatto parte come membro attivo nel gruppo, preferendo lavorare in solitaria, circondato esclusivamente dalla propria concezione artistica. Non viene arruolato in guerra a causa di un problema di epilessia, e questo lo porta a vivere l’esperienza del conflitto mondiale in modo diverso rispetto ai compagni al fronte. Non vede la violenza in prima persona, come loro, ma ne subisce più che altro le conseguenze, che si abbattono devastanti su ogni terra coinvolta, su chi è rimasto e chi è riuscito a tornare. Schwitters rimane profondamente segnato da queste visioni e inizia ad accumulare oggetti di ogni tipo, dai biglietti usati dei mezzi di trasporto, a vecchi giornali, pezzi di corda logora, fino a oggetti che recupera dalle strade di Hannover (la sua città natale). La guerra mette in dubbio ogni cosa, non c’è più nessuna sicurezza, e come meccanismo di difesa a questa costante precarietà, Schwitters raccoglie e conserva ogni cosa gli capita sottomano. Così nasce Merz, la sua opera di vita, il suo maggiore contributo alla storia dell’arte moderna.*pag55 Questa attitudine all’occupazione dello spazio si vede tanto nell’esperienza dei singoli artisti quando nell'attitudine di gruppo. E racconta questa attitudine la Dada-Messe inaugurata a Berlino nel 1920 *pag53. È una specie di fiera di opere dada che accoglie tutti gli artisti dada che in quel momento era a Berlino. Ma quello che ci interessa è che, come vediamo, la stessa stanza mostra tutti questi elementi, per esempio la dimensione ambientale allestita. Vediamo sul soffitto un manichino con una divisa da poliziotto e una maschera da maiale. Ancorare un manichino al soffitto è un modo per mettere in discussione l’idea dell’arte come genere precostituita e di ascendenza borghese. Effetto scandalistico forte nel pubblico comune che sceglie di tenersi alla larga dalla messa dada. NEW YORK La diffusione di Dada toccò varie città europee e New York. La neutralità rispetto al conflitto mondiale mantenuta dagli USA fino alla dichiarazione di guerra alla Germania nel 1917 aveva reso il paese una meta di molti esuli europei, come era avvenuto per la Svizzera. L’innesto di artisti come Duchamp, Picabia e Man Ray *pag.70, già orientati verso una concezione mentale dell’opera d’arte, in un clima culturale dinamico, segnato dalla fiducia nel progresso tecnologico e soprattutto dal desiderio di rivendicare la modernità dello spirito americano determinò una prima messa a fuoco di tematiche tipicamente Dada come la “religione del caso” e l’ispirazione meccanica, che crearono il terreno di coltura della frattura capitale dell’arte del XX secolo rappresentata dal ready made. Nonostante la ruota di bicicletta fosse già stata ideata e “realizzata a Parigi” nel 1913, fu a New York che il prelievo di un oggetto “pronto-fatto” provocò anche uno scandalo senza precedenti in seguito al rifiuto della Fontana da parte della Society of the Independent Artists nell’aprile 1917. Quello che avvenne a New York non è una filiazione del movimento europeo, del quale fino ai primi anni Venti si sapeva ancora relativamente poco, ma un fenomeno con caratteristiche proprie in un certo modo indipendenti avanzate da un gruppo di artisti internazionali radunati attorno un ricco committente: Walter Arensberg. Rispetto al movimento di Zurigo l’ambiente proto-dada di New York si caratterizza per una certa gratuità dei gesti artistici condita di una buona dose di ironia dissacratoria e per l’accentuazione dell’aspetto canonico e anti-antropomorfico. 50 Attraverso questi due ambienti Duchamp mette in luce impulsi, desideri e forze che intervengono quando l'uomo viene stimolato da una donna. Quello superiore, mostra una Sposa, l'oggetto del desiderio, in basso i suoi corteggiatori, frustrati per l'impossibilità di unire i due piani. Quello inferiore, l’apparecchio Scapolo, invece, è mosso dal desiderio di raggiungere il Regno della Sposa, ma perché questo accada è necessario che il complesso meccanismo che ne regola il funzionamento non si inceppi e lavori alla perfezione. Da un punto di vista stilistico la composizione dell’opera ricorda le pale d’altare, come l’Assunta di Tiziano o la Trasfigurazione di Raffaello, in cui vediamo una parte superiore – il mondo divino – e una inferiore – che rappresenta l’umano. Il Vetro è dunque bipartito: in alto la femminilità, la provocazione e forme fluide, in basso la mascolinità e forme rigide. L’interpretazione più accreditata, anche perché fondata sugli scritti dello stesso Duchamp, vuole che il Grande Vetro rappresenti il desiderio erotico e, allo stesso tempo, l’impossibilità di conciliare l’universo maschile con quello femminile. L’apparecchio-Scapolo è composto da nove divise maschili che rappresentano categorie e non più individui – il becchino, il barista, il poliziotto, il corazziere. Questi uomini ridotti ad automi compiono un movimento doppio in avanti e indietro, come in un rapporto sessuale, muovendo la macinatrice di cioccolato, già presente in un altro dipinto di Duchamp del 1914. L'opera inoltre nasconderebbe la firma dell'autore nelle lettere iniziali dei protagonisti (MAR e CEL) di questo rito di corteggiamento tra gli scapoli e la sposa. L’artista sceglie questa macchina come simbolo del desiderio e del piacere. Tuttavia, i nove colpi sparati verso l’alto dagli Stampi maschi non centrano il bersaglio, la Sposa, anch’essa già presente nel Nudo che scende le scale, e vanno a creare nove buchi sul vetro superiore. Questa macchina si rivela, quindi, inutile e decisamente poco eroica. Il caso è un elemento centrale del Grande Vetro. Infatti, l’opera presenta gravi lesioni causate da una caduta durante un trasporto in camion. Duchamp non ha mai voluto che il vetro fosse riparato, considerando queste lesioni un intervento del caso e, quindi, parte integrante dell’opera. La scelta del supporto, inoltre, crea continue e nuove commistioni tra l’immagine dipinta e l’ambiente circostante. Il vetro, infatti, data la sua trasparenza, accoglie dentro di sé ciò che accade al di là, cambiando continuamente. L’opera, quindi, è il Grande Vetro con tutto ciò che gli passa intorno, anche lo spettatore che si specchia in esso. Per come è concepita, l’opera rappresenta l’impossibilità di una relazione tra la Sposa e lo Scapolo, ribaltando il potere di genere e, più in generale, l’ideologia patriarcale presente nelle società umane. Infatti, la fioritura arborea della Sposa e i complessi meccanismi della trebbiatura dell’apparecchio-Scapolo contrappongono il maschile, e quindi, l’uso della tecnologia applicata alla vita, e il femminile associato all’acqua come simbolo della forza primordiale della natura. Questo artificio che si ibrida con la natura senza che sia più necessaria la fecondazione del maschio implica un ribaltamento delle relazioni di potere tra i sessi. Tutto ciò che accade senza un progetto affascina Marcel Duchamp, al punto da indurlo a lasciare per alcuni mesi l’opera il Grande vetro in posizione orizzontale, in modo che la polvere potesse posarsi su di essa. Poi, nel 1920, prima che quindi il lavoro sia terminato, Man Ray scatta una fotografia dell’oggetto che ne diviene, a sua volta, una provocazione artistica: Allevamento di polvere. Trasfigura il grande vetro in una sorta di paesaggio fantastico, prototipo ante litteram della Land art (si basa sull’intervento dell’artista sull’ambiente circostante che diventa parte essenziale dell’opera d’arte). In seguito, Duchamp incollò la polvere su una parte dell’opera come simbolo di ciò che accade per caso. 51 D’altra parte, la questione del passaggio di stato o condizioni accumunava le ultime ricerche pittoriche dell'artista: dal movimento fisico del Nudo che scende le scale alla trasformazione sociale ed esistenziale del Passaggio dalla vergine alla sposa (1912), uno dei quadri confluiti poi nel Grande vetro. La critica ha proposto diverse interpretazioni per questo dipinto, in cui un essere meccanico verticale composto da piani di volume, da segmenti e da imbuti si muove simbolicamente da sinistra verso destra: il movimento esprime un'iniziazione che si può interpretare in termini sessuali ma anche come la trasposizione figurata di un processo psicologico, quello cui è sottoposta la donna che con il rito del matrimonio passa dalla condizione di Vergine a quella di Sposa. Nella relazione fluida tra reale e possibile, tra oggetto e processualità, tra arte e vita si trova l'origine dell'altra grande invenzione di Duchamp: il ready made (oggetti di uso comune decontestualizzati e riproposti con una funzione diversa da quella per cui sono nati. È l’oggetto di uso comune elevato ad opera d’arte.) Ready-Made è una messa in discussione attraverso due procedimenti: • “Ready-Made assistito” in cui c’è l'intervento dell’artista che unisce due oggetti appartenenti a due realtà diverse. Esempio Ruota di bicicletta di Duchamp. • “Ready-Made”: gesto di dislocamento di un oggetto quotidiano dalla sua realtà, senza intervento dell’artista. Esempio Scolabottiglie di Duchamp. Questo per dire che l'artisticità di un’opera non dipende solo dai colori, dalla prospettiva o dall’uso del colore strutturale come in Matisse o nella simultaneità dei piani come i cubisti. Per Duchamp l’artisticità è legata al gesto dell’artista. Duchamp parla per la prima volta di ready made in una lettera alla sorella Suzanne nel 1916 in riferimento ad un'opera che aveva lasciato a Parigi nel suo studio, la Ruota di bicicletta (1913), e allo Scolabottiglie (1914). Ruota di bicicletta è un oggetto ibrido creato dall’incastro tra una ruota di bicicletta e uno sgabello. Nell’opera avviene uno spiazzamento concettuale: un oggetto della vita quotidiana, con una funzione pratica, viene inserito nel contesto artistico risultando completamente fuori posto. Grazie ad un’operazione di defunzionalizzazione, i due oggetti si neutralizzano. Lo sgabello non può più essere utilizzato per sedersi e l’elemento statico diviene il nuovo piedistallo di un oggetto legato al concetto di dinamicità, ovvero la ruota che girando a vuoto diviene inutile. L’artista prosegue qui quell’interesse per il movimento che caratterizzava il Nudo che scende le scale. Duchamp anticipa qui il gusto provocatorio del Dadaismo e vuole mettere in crisi l’idea di “opera d’arte” fino ad allora esistente e quella di “oggetto di massa”. Scardina il concetto di arte affermando l’irrilevanza del lavoro dell’artista e dell’attrattiva estetica. Per Duchamp l’Arte non è più fare, mostrare una bravura e una competenza tecnica, ma scegliere e quindi operare a livello di puro intelletto. Il vero e primo ready-made è però Scolabottiglie, poiché l’unico gesto compiuto da Duchamp è stato apporre la sua firma alla base dell’oggetto. Il nome dell’opera a primo impatto può sembrare banale, ma ogni titolo delle opere di Duchamp ha un significato nascosto, a volte è anche un gioco di parole: in questo caso Egouttoir, scolabottiglie in francese, deriva da egoutter che significa sgocciolare, ma assomiglia alla parola égoûter che significa in francese “togliere il gusto”. Duchamp intende far diventare l’opera come l’emblema di un’arte senza gusto, buono o cattivo. Il ready-made diviene il metodo di sconvolgimento e derisione dell’arte tradizionale preferito dai dadaisti, in particolare dopo la polemica suscitata dalla più celebre delle opere “già pronte” di Duchamp, una Fontana (1917), un’opera che scatenò una vera e propria ondata di sconcerto tra il pubblico e costringendo esperti e teorici a rivedere il concetto stesso di opera d’arte. Fontana 52 (Firmata con un alter ego Richard Mutt), è un orinatoio appoggiato al contrario ed esposto come fosse una scultura. I ready made non furono tuttavia l’unica innovazione che l’artista francese apportò all’arte del suo tempo. Duchamp, infatti, aveva bene in mente la propria idea di arte, rifiutando tutte le opere che riproducevano la realtà, ad esempio quelle degli impressionisti, e prediligendo piuttosto un approccio più intellettuale, da decifrare, annullando tutte le correnti d’avanguardia sviluppatesi nei cento anni precedenti. A volte, invece, i ready made consistevano in interventi di alterazione di grandi capolavori del passato, come nel caso della Gioconda di Leonardo da Vinci. In questa prospettiva, un’altra celeberrima opera è senz’altro la sua gioconda con i baffi: la sua L.H.O.O.Q. Sillabato in francese, il titolo L.H.O.O.Q. sembra suggerirci “Elle a chaud au cul” cioè “Lei è eccitata, ha caldo al culo”. È un’opera del 1919 e rappresenta una riproduzione fotografica della Gioconda a cui Duchamp ha aggiunto baffi e pizzetto. Duchamp ripensa alla Gioconda al di là dei luoghi comuni e della retorica secondo la quale debba essere forzatamente apprezzata da chiunque. Mette in ridicolo tutti coloro che osservano l’arte in maniera superficiale conformandosi acriticamente al gusto della maggioranza Parlando di ready made: Regalo – Ferro da stiro con chiodi (Cadeau) è un ready made di Man Ray riprodotto in 5000 esemplari. L’opera originale venne rubata durante la prima esposizione a Parigi nel 1921. Un ferro da stiro dei primi anni del Novecento è esposto nella sua posizione di riposo. L’attrezzo domestico è composto da una piastra di metallo, solitamente ghisa. Per riscaldarlo veniva poggiato sulla superficie incandescente della stufa e così scaldato per la stiratura. Il manico è anch’esso in metallo e sulla piastra sono stati saldati 14 chiodi metallici. Sul lato sinistro è inciso il titolo dell’opera e la data di realizzazione. In questo caso CADEAU – 1970. Il ready made Ferro da stiro con chiodi è intitolato anche Cadeau (regalo). L’opera assume così un significato contraddittorio. La sua apparenza aggressiva è contraria a quella di un dono che dovrebbe invece generare piacere. Questa è una delle cifre Dada, l’ambiguità di unire un ferro da stiro e dei chiodi affilati. Il ferro da stiro è un oggetto utile per migliorare l’aspetto di un abito. I chiodi invece sono uno strumento di lavoro. La vanità e la bellezza contro la cruda necessità esistenziale del lavoro. Inoltre, l’applicazione dei chiodi proprio al centro della piastra del ferro rende l’oggetto inutilizzabile come strumento domestico. I 14 chiodi saldati nella piastra inoltre rendono Ferro da stiro con chiodi quasi un oggetto di tortura. Il fascino del ready made è quindi ulteriormente incrementato dall’inquietudine che genera nell’osservatore. BERLINO Dalla vicina Svizzera, alla fine della guerra, Dada si diffonde in Germania. La stagione del dada berlinese è avviata dal rientro da Zurigo di Richard Huelsenbeck, uno dei fondatori del Cabaret Voltaire, che nel febbraio 1918 promuove una serata alla Galerie Neumann. Nel 1918 a Berlino viene fondato il Club Dada, cui aderiscono molti artisti, fra cui Raoul Hausmann (1886-1971). Nel manifesto dada dell’aprile 1918, letto da Huelsenbeck, si stabilisce una precisa distanza dall’astrazione dominante tra gli artisti di Zurigo: “la parola dada simboleggia il rapporto più elementare con la realtà circostante, con il dadaismo una nuova realtà afferma i suoi diritti”. Nel rivendicare che “il vero dadaismo è vita, è azione, non è arte astratta”, Huelsenbeck ricondurrà questa componente vitalistica al futurismo di Marinetti, ben conosciuto in Germania. Inoltre, Huelsenbeck definisce 3 ingredienti chiave del dada tedesco: 1. Il rumorismo 2. La simultaneità 3. I nuovi materiali (Non senza qualche forzatura possono essere inseriti tra i materiali moderni le riproduzioni fotografiche prelevate dai quotidiani, riviste, libri illustrati o da archivi privati, che sono all’origine del fotomontaggio. Rispetto ai ritagli di giornale dei collage cubisti o futuristi, l’introduzione massiccia della fotografia aggiunge, oltre al sapore moderno delle immagini pubblicitarie e dei rotocalchi, un “indice” di realtà ben diverso dalla qualità sensoriale di altri materiali.) 55 Nel frattempo, Ernst approfondiva il tema della casualità, considerata il grimaldello per allentare il controllo razionale nella percezione abituale delle cose, attraverso diverse tecniche, che saranno poi assunte dai surrealisti come strumenti di liberazione dell’inconscio. Nel 1920 si sancisce la conclusione del Dada di Colonia, oltre che di Berlino. HANNOVER Fra le espressioni migliori del dadaismo in Germania non va scordata quella di Hannover, forse la più dadaista e radicale. Quella di Hannover non fu una vera e propria "scuola" dato che in fondo era rappresentata da un solo artista valido: Kurt Schwitters (1887-1948). Tenuto ai margini del gruppo berlinese, Kurt Schwitters rappresenta un’altra anima di Dada in Germania, maggiormente legata alla cultura romantica ed espressionista. Dopo una formazione all’accademia di Dresda conosce le ricerche d’avanguardia internazionali tramite una stretta frequentazione dell’ambiente berlinese di Der Sturm, dove esordisce nel luglio 1919 con la sua prima personale di rilievo. Influenzato da espressionismo e cubismo, nel 1918 crea la sua propria forma di Dada che chiama ‘Merz’ divenendo ben presto un termine omicomprensivo per descrivere tutte le sue attività creative: dall’arte alla poesia, dal cabaret alla musica, dalla fotografia all’architettura. Il primo esempio di Merz sono i Merzbilder, realizzati a partire dal 1919. Si tratta di collage e assemblaggi di oggetti incollati su tela in modo compulsivo. Il termine “merz” deriva infatti da un ritaglio di giornale originariamente in un’opera oggi perduta “Merzbild I”. Si tratta di una sorta di marchio di fabbrica che sarà applicato a un ampio spettro di creazioni artistiche, oltre che alla sua rivista (Dal 1923 al 1932): Dal quadro, al collage, al teatro, fino all’installazione dell’ambientale. Spiega l’autore “I quadri Merz” sono opere astratte. La tendenza alla contaminazione, in collages come Merzbild 32 (Il quadro della ciliegia), fa produrre a Schwitters immagini nuove: i vari elementi non sono incollati sulla superficie come nei collages dei cubisti, con semplice valore cromatico, per cui i pezzi di carta erano usati al posto dei colori a olio o a tempera: qui sono pezzi di materiale umilissimo, rifiuti a cui nessuno può far caso, stracci, frammenti corrosi, che hanno già una loro vita e acquistano quindi risonanze psichiche inquietanti e rendono l’immagine profondamente espressiva: il concetto di contaminazione tra vita e arte cui è portato a nuovi valori, in uno sviluppo di origine espressionista. Al centro di questo assemblaggio si trova una scheda del vocabolario stampata con un grappolo di ciliegie arancioni e le parole tedesche e francesi per il frutto. Sopra, scarabocchiata a matita, fluttua la frase Ich liebe Dir!: tedesco errato per "ti amo" (Ich liebe dich). Le parole richiamano la poesia di Schwitters del 1919 “To Anna Blume”, che per prima ha stabilito la sua fama. In questo periodo Kurt Schwitters realizza anche manifestazioni, come i Merz-Matineen e i Merz-Abende, durante i quali presenta anche le sue poesie. Tra i suoi lavori più celebri come scrittore troviamo la poesia provocatoria An Anna Blume, ma anche esempi di poesia concreta, prosa satirica e manifesti di critica d'arte. La nascita di un gruppo Dada a Hannover fu suscitata dallo scandalo delle poesie di Schwitters dedicate alla sua musa immaginaria Anna Blume, pubblicate nell’agosto 1919 su “Der Sturm” e raccolte in volume nel 1920. Il tono falsamente sdolcinato di una dichiarazione di amore si fessura piano piano di ripetizioni, incongruenze e immagini paradossali e assurde, in una contaminazione di generi letterari, intonazioni e sfere dell’esistenza molto distanti tra loro, che proseguono ricerche poetiche di Ball e Huelsenbeck. La parola Merz significa nella sua essenza l’assemblamento di tutti i materiali possibili e immaginabili per scopi artistici. A differenza dei dadaisti berlinesi Schwitters vuole eliminare ogni indicazione concreta d’identità, qualità percettiva o destinazione degli oggetti per “sceglierli”, “ripararli” e “deformarli” secondo fini artistici, a essi virtualmente estranei. La derivazione del termine Merz dalla parola Kommerz (Commercio) implica evidentemente anche una critica anticapitalista non tanto sul piano politico ma antropologico. 56 Materiali e simboli della modernità sono riportati in un tempo gravido di memorie, di vissuti individuali e di caducità opponendosi diametralmente all’ottimismo propulsivo futurista, aspira a una spontaneità pre-culturale, dai rivolti ludici e irrazionali, che contraddistingue il suo inserimento nella temperie dadaista. Tra i lavori realizzati da Schwitters durante la sua vita uno dei più maestosi e imponenti è sicuramente il Merzbau (noto come anche Cattedrale della misericordia erotica) del 1923, letteralmente edificio Merz. Avviato ad Hannover all’inizio degli anni ‘20 accumula elementi giorno per giorno in una sorta di architettura al contrario, costruita non secondo un piano complessivo determinato ma per aggregazione imprevedibile. È una costruzione che occupa tutto lo spazio che l’artista aveva a disposizione. Monta pezzi di legno, carta, metallo, oggetti trovati e si sposta dalla dimensione dell'oggetto quadro alla dimensione ambientale. La struttura cresce e aumenta fino a sfondare il soffitto. Rappresenta luoghi e momenti della sua vita, ma anche persone, conoscenti, amici e affetti. A questi, Schwitters dedica delle vere e proprie cappelle all’interno della struttura architettonica (per Hans Arp o Hannah Hoch, per esempio), che somiglia sempre di più a una enorme camera delle memorie, anche perché l’artista invita esplicitamente gli amici a lasciare un oggetto personale che ricordasse il loro passaggio. L’opera di Hannover viene distrutta nel 1943 dai bombardamenti. Successivamente, l’artista ne assembla una nuova versione nei pressi di Oslo, dove si sposta nel 1937, per scappare dalla guerra. Anche questa andrà distrutta a causa di un incendio, nel 1951. PARIGI Il movimento Dada sorse anche a Parigi quando nel 1920 molti dei suoi fondatori vi si trasferiscono in massa. Ispirati da Tzara, il Dada parigino presto pubblica manifesti, organizza dimostrazioni, mette in scena esibizioni e produce un buon numero di giornali. La stagione Dada parigina ha sofferto un’attenzione limitata negli studi storico-artistici sia per la stretta contiguità con il realismo, sia per il predominio dell’espressione letteraria sulle arti visive. Nella capitale francese il Dadaismo è caratterizzato dalla stretta connessione con il mondo letterario, grazie alla presenza di alcuni letterati che già dal 1918 scrivevano sulla rivista “Zurich-Dada”. Sono, fra gli altri, André Breton, Louis Aragon, Philippe Soupault, Paul Éluard che traghetteranno l’esperienza Dada verso il Surrealismo. Abbandonate le schematiche contrapposizioni tra i due movimenti d’avanguardia, indagini recenti hanno puntato l’attenzione sulla specificità del contesto politico e culturale parigino dei primi anni Venti, rispetto al quale dadaisti e surrealisti diedero risposte più vicine tra loro di quanto non si possa riscontrare a prima vista. Gli intellettuali che generalmente avevano appoggiato l’intervento come una battaglia di civiltà su motivazioni nazionalistiche e difensive faticavano ora a giustificare gli altissimi costi umani della vittoria e a identificarsi nel governo retrivo eletto alla fine del 1919. I dadaisti impersonarono la coscienza critica di questa situazione, non esente da implicazioni etiche, del quale Breton e compagni furono i diretti continuatori. Nella rapida trasformazione di Parigi in capitale dello spettacolo e dei consumi, i dadaisti seppero appropriarsi delle nuove strategie comunicative curando con molta attenzione i rapporti con la stampa, con la pubblicità e il marketing, come ad esempio annunci scandalistici di illustri partecipazioni alle serate Dada. Il tema del mercato dell’arte fu centrale nella riflessione e nella pratica del Dada parigino: Si pensi alle parodie di transizioni finanziarie di Duchamp e alla sua proposta di coniare il marchio Dada per vendere Gadget oppure a Picabia che inventò il “disegno” e il “quadro” Dada, opere messe sul mercato da etichettare come oggetti comuni. In questo contesto si possono chiarire gli atteggiamenti di Breton rispetto alla vendita di oggetti d’arte, troppo sbrigativamente liquidato come moralistico. L’apertura, infine, a una cultura quotidiana e popolare, con uno sguardo privilegiato su quella americana che costituisce un significativo connotato dell’anti-arte Dada, trapasserà nel surrealismo. Il Dada parigino fu segnato essenzialmente da tre personalità: Breton, Tzara e Picabia, questi ultimi esponenti di spicco di dadaismo internazionale, come anche Marcel Duchamp e Man Ray. Nel 1919 Tristan Tzara si stabilisce a Parigi, dove incontra Francis Picabia (Parigi 1879-1953), che aveva trascorso gli anni della guerra a New York insieme a Duchamp. L’incontro di Tzara e Picabia infonde nuova linfa allo spirito Dada, e 57 la ville lumière diventa, da quel momento sin verso il 1922, il centro del Dadaismo internazionale: la corrente assume una connotazione antiborghese e anarchica ed esalta il non-senso e la dimensione negativa, di opposizione totale alle forme d’arte tradizionali. La scena artistica Dada fu inizialmente dominata dallo scandaloso Picabia e il più vasto terreno di confronto-scontro nella sfera artistica era il recupero della grande tradizione francese, che canonizzava più che Cézanne, Seurat e soprattutto Ingre con una indubbia valenza nazionalistica. L'ultima grande avanguardia parigina prebellica, il cubismo, abbandonava ora pratiche rivoluzionarie come il collage per rifluire in un generale ritorno all'ordine. Picabia nasce a Parigi il 22 gennaio 1879, da padre spagnolo e madre francese. Dopo aver frequentato l'École des Arts Décoratifs di Parigi dal 1895 al 1897, studia con Albert Charles Wallet, Ferdinand Humbert e Fernand Cormon e nel 1902-03 inizia a dipingere alla maniera impressionista, esponendo per la prima volta le sue opere al Salon d'Automne e al Salon des Indépendants del 1903. Due anni dopo tiene la sua prima personale alla Galerie Haussmann di Parigi. Dal 1908 le sue opere presentano elementi del Fauvismo, Neoimpressionismo, Cubismo e altre modalità astratte. A partire dal 1912 elabora una propria sintesi del Cubismo e del Fauvismo, lavorando in maniera astratta fino ai primi anni ’20. In questo periodo stringe amicizia con Marcel Duchamp e Guillaume Apollinaire e nel 1911-12 frequenta il gruppo Puteaux. Espone all'Armory Show del 1913, e in quell'occasione visita New York frequentando i circoli d'avanguardia. Nello stesso anno Alfred Stieglitz gli organizza una personale nella sua galleria 291. Nel 1915, anno che segna l'inizio del suo periodo meccanomorfico, con Duchamp e altri promuove e partecipa alle manifestazioni Dada a New York. Nel 1916-17 vive a Barcellona; nel 1917 pubblica il primo volume di poesie e i primi numeri della rivista “391”, elaborata sul modello del periodico “291” di Stieglitz. Negli anni successivi partecipa al movimento Dada a Zurigo e a Parigi, suscitando scandali al Salon d'Automne, ma già nel 1921 accusa il Dadaismo di non essere più "nuovo". L'anno seguente si trasferisce nei dintorni di Parigi, a Tremblay-sur-Mauldre, e ritorna all'arte figurativa. Nel 1924 attacca André Breton e i surrealisti sulla rivista “391”. Nel 1925 si trasferisce nuovamente, questa volta a Mougins. Negli anni ‘30 diventa grande amico di Gertrude Stein. Alla fine della Seconda guerra mondiale ritorna a Parigi, dove riprende a dipingere in maniera astratta e a scrivere poesie. Nel marzo del 1949 la Galerie René Drouin a Parigi allestisce una retrospettiva della sua opera. Muore a Parigi il 30 novembre 1953. Durante i suoi studi di medicina, André Breton frequentava con altri giovani poeti Apollinare che fino alla sua morte prematura del 1918 rimase punto di riferimento imprescindibile della cultura d’avanguardia parigina, tenendo sempre aperti i contatti con Picabia e aiutando Tzara a introdurre le sue poesie sulle riviste francesi. Ad Apollinaire furono legate due importanti rappresentazioni che destarono scandalo nel 1917: Parade uno spettacolo di balletti russi e Le Mammelle di Tiresia dove alla prima Jacques Vaché irruppe armato travestito da militare. Nel 1919 viene fondata da Breton, Aragon e Soupault, “Littérature” (1919-24), rivista il cui titolo, tratto da un verso del poeta Paul Verlaine (“E tutto il resto è letteratura”), si collocava in una tradizione alta di dibattito letterario, confermata dalla serietà del titolo e dall’asciuttezza della veste grafica, che la distingueva dalle altre riviste militanti, ed esprime chiaramente un atteggiamento ironico verso le forme letterarie tradizionali. I tre direttori della rivista Littérature Louis Aragon, André Breton e Philippe Soupault, principali elementi del primo dadaismo francese, diventeranno i primissimi esponenti del movimento surrealista. È proprio sulle pagine di questa rivista che vedrà la luce la prima opera considerata surrealista e cioè La Révolution surréaliste opera scritta congiuntamente da Breton e Soupault verso la fine del 1919 sui numeri 8, 9 e 10 della rivista. Attorno ad essa nacquero nel 1919 “I campi magnetici”, fondamentale esperimento di scrittura collettiva di Breton e Soupault che sarà rivendicato nel manifesto del surrealismo come primo esempio di automatismo psichico. L’automatismo surrealista è un metodo di creazione artistica in cui l’artista sopprime il controllo cosciente sul processo decisionale, consentendo alla mente inconscia di avere una grande influenza. I dadaisti del primo Novecento, come Hans Arp, fecero un uso di questo metodo attraverso operazioni casuali. Gli artisti surrealisti, in particolare André Masson, adattarono all’arte il metodo di scrittura automatica di André Breton e Philippe Soupault che compose con esso Les Champs Magnétiques (The Magnetic Fields) nel 1919. Il messaggio automatico (1933) fu uno dei significativi lavori teorici di Breton su automatismo. 60 SURREALISMO Tra dada e surrealismo, benché si dica comunemente che ci sia una rottura in realtà non possiamo considerare l’esperienza surrealista senza fare riferimento all’esperienza dada. In un certo senso c’è una continuità di temi tipici della contestazione dada (l'uso di procedimenti meccanici virgola la trasversalità di tecniche e generi virgola lo scardinamento della logica razionale, l'attacco al formalismo delle avanguardie e al sistema di commercializzazione dell'arte), permangono delle istanze già sviluppate dagli artisti dada, altre invece vanno a radicalizzarsi con il surrealismo. Il 22 giugno 1924 si dichiara ufficialmente la chiusura di Littérature essenzialmente per ragioni sufficienti dell'esistenza e nello stesso anno nasce ufficialmente il SURREALISMO ad opera di André Breton con la pubblicazione del “Manifeste Surréaliste” dove esplicita la definizione del nome del movimento: SURREALISMO: Automatismo psichico puro col quale ci si propone di esprimere, sia verbalmente, sia per iscritto, sia in qualsiasi altro modo virgola e il funzionamento reale del pensiero. Dettato del pensiero virgola in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica o morale. La poetica surrealista è infatti caratterizzata da un’estrema libertà di ricerca. I surrealisti sperimentano tecniche e linguaggi diversi, spaziando da esiti figurativi a elaborazioni formali orientate verso una maggiore astrazione dell’immagine. Fra il 1924 e il 1929, anno dell’elaborazione del Secondo Manifesto surrealista, giunge a definizione anche la posizione politica del gruppo, con un conseguente avvicinamento al marxismo. I surrealisti sono, infatti, molto sensibili alle questioni politiche e sociali e considerano inscindibile la rivoluzione artistica da quella politica, attuando un’azione di denuncia delle problematiche, delle contraddizioni e dei disagi che caratterizzano la società europea postbellica. Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale molti artisti si trasferiscono a New York, influenzando notevolmente lo sviluppo delle ricerche dell’Espressionismo astratto. Più in generale, il Surrealismo sarà alla base delle ricerche gestuali, segniche e materiche che si diffondono internazionalmente nel secondo dopoguerra. L’esperienza surrealista troverà spazio sue due riviste, che segnano un momento di passaggio, - La Révolution surréaliste - Le surréalisme au service de la révolution Nel nuovo movimento si compie una cesura definitiva con l'anti-arte dadaista, proponendo una “nuova dichiarazione dei diritti dell'uomo all'insegna della libertà dell'immaginazione”, come si legge in copertina del primo numero di La Révolution surréaliste. Notevole, tuttavia, è l'eredità che il surrealismo raccoglie dai tentativi del gruppo di Littérature di scardinare la logica abituale: dall'automatismo psichico di Champs magnétiques (1919) alle pratiche di comunicazione extrasensoriale, dai giochi di parole ai disegni di sogni e di trans, fino alle inchieste collettive. Il surrealismo non fu semplicemente un movimento artistico letterario, ma una rivoluzione globale della coscienza di sé e del mondo. La cornice teorica di fondo è quella della psicoanalisi freudiana (Freud nel 1921 aveva sostituito alle spiegazioni neuro fisiologiche un modello culturale, basato sulle relazioni tra sessi originariamente strutturatesi nel triangolo edipico), e con l'aiuto di questa e del materialismo dialettico di Marx, Breton intendeva liberare l'uomo, considerato come individuo e come “animale sociale”, dalle costrizioni della società borghese. Il manifesto si apre con l’obiettivo di recuperare quell’intensità di sentire tipica dell’infanzia, di manifestazioni di devianza psichica. L’immaginazione può liberarsi dal conformismo della logica e dalla limitatezza del realismo attraverso il funzionamento onirico dell’inconscio, per approdare alla fusione di sogno e veglia in una realtà superiore, o surrealtà; il surrealismo si fonda, dunque, sull’idea di un grado di realtà superiore, sull’onnipotenza del sogno e sul gioco disinteressato del pensiero. Breton considera la surrealtà una dimensione universalistica e astorica, una sorta di rivelazione attraverso i secoli, le civiltà e le diverse dimensioni dello spirito umano, il surrealismo si identifica in toto con l’automatismo psichico “col quale ci si propone di esprimere il funzionamento reale del pensiero”. Dettato dal pensiero, in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica o morale”. 61 Il surrealismo subisce influenze dal punto di vista letterario: - dell’immaginazione spontanea di Apollinaire - della poesia cubista di Pierre Reverdy - delle alchimie linguistiche di Raymond Roussel - dell’umore grottesco e anticonformista di Alfred Jerry - della distruzione della realtà apparente e della morale mediante iperboli di immagini e germinazioni verbali di Isidore Ducasse. Presupposto della creazione surrealista è una sorta di distacco dalla realtà quotidiana. I riferimenti alle arti figurative, infatti, nel manifesto sono sporadici, mentre un ruolo importante viene assunto dall’immagine, capace di manifestare l’inconscio in maniera originaria; “l’immagine è una creazione pura dello spirito, che nasce dall’accostamento di due realtà più o meno distanti”. L’accostamento di realtà diverse è più assimilabile a pratiche artistiche, come il collage, di quanto non potesse esserlo l’automatismo, inteso nell’accezione temporale di pensiero parlato. Nella seconda parte del manifesto si affaccia un contrasto tra il principio dell’immagine poetica (giustapposizione nello spazio di elementi logicamente incongrui) e l’automatismo verbale (procedimento inconscio dispiegato nel tempo); in tale contrapposizione ha origine il dibattito sulla possibilità di una pittura surrealista. In merito si confronteranno nella rivista “Rivolution Surrealiste” le opinioni di Max Morise, che voleva limitarla a casi di espressione grafica dal carattere gestuale (ossia trascrizioni di sogni, trance o disegni di folli), e di Pierre Naville, che contrapporrà alla pittura pratiche di visione anonima e comunitaria, ovvero cinema e fotografia. Il dibattito sarà superato nell’estate del 1925 quando Breton prenderà in mano le redini della rivista. Non tutti i surrealisti attribuivano all’automatismo la stessa centralità, per esempio Louis Aragon, affascinato dal senso di irrealtà della vita quotidiana, aveva proposto di invertire il rapporto tra veglia e sonno per esaltare la dimensione onirica della vita; oltre alla realtà, ci sono altri rapporti che lo spirito può cogliere, come il caso, l’illusione, il fantastico e il sogno, tutte specie riunite in un unico genere, la surrealtà. Redazione della rivista del gruppo è il “bureau de recherches surrealistes”, destinato a raccogliere tutte le comunicazioni possibili relative alle forme che può assumere l’attività inconscia dello spirito. La “Revolution Surrealiste” raccoglie soprattutto testi in prosa e versi e racconti di sogni. Nei primi anni, soprattutto nel 1925 sotta la direzione di Artaud, il Bureau diventò centro propulsivo di proclami insurrezionali contro istituzioni e simboli collettivi del mondo occidentale. Il surrealismo, dunque, intende dare voce all'io interiore senza intervento dei meccanismi inibitori legati alla ragione e alla razionalità che tendono a reprimere gli istinti naturali. Per conquistare questa libertà bisogna farsi guidare dall'inconscio, come avviene nei sogni quando le immagini si alternano senza apparenti legami svelando i pensieri e le pulsioni reali, spesso sconosciuti per noi stessi. Questo è il metodo adottato dalla psicoanalisi, la disciplina ideata da Sigmund Freud di cui Breton era per l'appunto un sostenitore. Ma surrealismo non è solo la trascrizione dei sogni appunto, piuttosto è il tentativo di scoprire il meccanismo con cui funziona l'inconscio, svelando il processo interiore durante la fase della veglia attraverso l'automatismo psichico, cioè la libera associazione delle idee. In questa prospettiva il dadaismo, che precede il surrealismo e ne costituisce la pars destruens, ha liberato l'uomo azzerando tutte le convenzioni sociali. Tuttavia, si tratta di un'azione negativa, che non propone espressioni alternative, legata alla tragedia della Grande guerra. Con la fine del conflitto, il surrealismo recupera il concetto della libertà totale dai condizionamenti esterni, ma alla distruzione dadaista oppone la ricostruzione, basata sull’interiorità dell'uomo. Quindi: È una evoluzione del dadaismo ma al contrario del dadaismo, che ha l’obiettivo di abbattere tutte le “restrizioni” artistiche radicate da secoli, il surrealismo rovescia l’idea distruttiva dadaista attribuendo all’arte un ruolo edificante suggerito dall’interiorità dell’uomo. Un precedente importante per il surrealismo è la pittura metafisica di de Chirico che cerca di cogliere l'essenza intima delle cose al di là della loro apparenza sensibile. Questo lo portò ad accostare oggetti tra loro incompatibili creando situazioni in inquietanti. Tuttavia, la metafisica non cerca di portare alla luce l'interiorità dell'individuo ma l'enigma già presente nelle cose. Per questa sostanziale differenza de Chirico rifiuterà di aderire al nuovo movimento. 62 A differenza delle altre avanguardie il surrealismo non si è esaurita rapidamente ma ha continuato ad influenzare la pittura di tutto il 900, nonché il cinema e le arti visive. Fra i principali esponenti vanno ricordati di Duchamp, Arp, Man Ray, Max Ernst, Joan Miró, René Magritte e Salvador Dalì. anche Picasso attraversò un periodo surrealista tanto che spesso, nelle mostre dedicate al surrealismo, sia usa esporre la terna spagnola Dalì-Mirò-Picasso. Si tratta di artisti molto differenti raggruppabili in due filoni: - SURREALISMO REALISTICO (quelli che utilizzano immagine realistiche), come Magritte -> Gli artisti come Magritte non abbandonarono mai la figurazione, e pur dando forma al sogno e all’immaginario, non si scostarono mai da un linguaggio naturalistico in cui gli elementi fossero rappresentati secondo un realismo fotografico. Usavano la pittura per descrivere il lavoro onirico, ossia illustrare le particolari modalità con cui le immagini si organizzano nel sogno. Per effetto dei meccanismi di spostamento e condensazione (tipici dei processi inconsci), cose che alla coscienza sembrano irrelazionabili appaiono in sogno collegate tra loro. È il metodo delle associazioni incongrue, il più tipico dei procedimenti surrealisti: consiste nel combinare in un solo contesto immagini non logicamente relazionate. - SURREALISMO ASSOLUTO , come Ernst -> Gli artisti come Max Ernst sperimentarono tecniche e procedimenti che puntavano all’automatismo pittorico. Usavano la pittura per far emergere i contenuti dell’inconscio. L’artista si pone in una condizione di automatismo, escludendo dal proprio lavoro, attraverso la massimizzazione della velocità esecutiva, ogni possibilità di riflessione razionale. Freud stesso aveva inventato un metodo diagnostico (le associazioni libere) basato sullo stesso principio. Dopo aver pronunciato una parola qualsiasi, invitava il paziente a rispondere subito con un altro termine, il primo che gli fosse passato per la mente. La rapidità della replica è un fattore essenziale: il soggetto analizzato non deve avere il tempo di riflettere (mobilitando così le attività consapevoli e censorie della propria psiche), ma rispondere d’istinto senza pensarci. Solo in questo modo è possibile mettere fuori gioco la vigilanza della coscienza ed aprire un varco all’emersione dei contenuti latenti dell’inconscio. Si arriva poi ad artisti come Dalì, che giungono a forme mostruose e irreali. IL SURREALISMO E LA PITTURA Nei primi numeri della “Rivolution Surrealiste” sono riprodotti prevalentemente disegni e fotografie (Boiffard, Man Ray, Atget), tra i pochi artisti presenti si segnala Andre Masson, campione dell’automatismo grafico per la rapidità gestuale. Destò l’interesse di Breton con la tela “I quattro elementi”, che investiva di forza espressiva alcuni oggetti simbolici (uccello, pesce, candela, fiamma, globo) emersi da una scomposizione (Gris e Derain). Fu inoltre autore di diversi disegni automatici, nati da un’espressione gestuale irriflessa; seguiranno poi nel 1926/1927 le pitture su sabbia: dopo aver cosparso la tela di colla con gesti automatici la ricopriva di sabbia e la scuoteva per lasciarne cadere gli eccessi, con l’aggiunta di qualche tratto di colore, spremuto direttamente col tubetto in modo da ricreare uno spessore materico passibile di evocazioni multiple. Un esempio è Battaglia di pesci (1926). Masson esprimeva una concezione sofferta della pittura, nata da profondi tumulti interiori a seguito della sua partecipazione alla Prima guerra mondiale; sono ricorrenti scene di violenza, animali e uomini feriti, in un’esplorazione di pulsioni primarie di vita e di morte. Ricorrenti sono nella sua pittura scene di violenza, animali (uccelli, cavalli, pesci) e uomini feriti, in un'esplorazione di più pulsioni primarie di vita e di morte che lo porteranno nel 1929 a lasciare Breton e a stabilire una collaborazione molto stretta e duratura con il suo antagonista, Bataille. Un importante precursore dell’automatismo fu Klee, la cui concezione psicografica della linea fu considerata alla stregua di una registrazione di moti inconsci. Influenzò Ernst e Mirò e fu elemento di forte suggestione per il gruppo, dato lo stretto dialogo intrattenuto nei suoi quadri tra immagini e titoli, ovvero lettere e figure. Dal 1925 Breton prese la direzione della rivista e dà una svolta decisiva verso la pittura inserendo riproduzioni di alcuni dei maggiori artisti del movimento e pubblicando gli scritti poi raccolti nel “Surrealismo e la pittura” (1928); apre definitivamente le porte ai pittori, riconducendo la visione verso l’interiorità, anziché verso la realtà esterna. 65 L'Interno olandese II è una versione del dipinto Lezione di Danza da Jan Steen (1665) La graduale trasformazione del dettaglio reale in forma eccentrica e evocativa avviene attraverso schizzi preliminari di singoli elementi, poi riuniti in un meticoloso disegno preparatorio dell’intero quadro. Una modifica ben visibile dell’originale olandese è l’ingrandimento e la focalizzazione delle forme umane e animali e la contemporanea abolizione o attenuazione degli oggetti inanimati. Il quadro di Steen non ha in verità come protagonista il gatto, ma il suono, il movimento e l’ilarità suscitati dalla lezione di danza. Mirò coglie questo punto nella sua versione: per quanto il gatto serva da perno alla composizione centrifuga, egli enfatizza la cacofonia e la vivacità della lezione attraverso il moto vorticoso di una miriade di particolari e il ritmo danzante di punto e contrappunto. Eppure, le sue due più grandi fonti di ispirazione furono le opere e le teorie dei suoi compagni surrealisti e quelle di Pablo Picasso. Joan utilizzò questi modelli per creare il suo stile, caratterizzato da un forte spiritualismo e un’incessante ricerca di un linguaggio universalmente comprensibile. Mirò sviluppa un’iconografia infantile, basata su simboli ricorrenti di origine autobiografica. Il rapporto tra il surrealismo e Miró fu molto particolare, perché l’artista catalano non aderì mai completamente al movimento, ma vi rimase sempre affiancato e in parte autonomo. Tra i capisaldi del movimento Joan si appropriò di quello dell’automatismo psichico, ovvero la trascrizione in pittura dei propri pensieri, senza il filtro della ragione. Nel 1925 Joan Miró partecipò alla sua prima mostra surrealista alla Galleria Pierre, che riscontrò un notevole successo. Tuttavia, a seguito di una serie di scontri ideologici, nel 1929 Miró decise di uscire dal movimento surrealista, anche se non se ne distaccò mai completamente almeno dal punto di vista ideologico. • Durante una prima fase compresa tra il 1917 e il 1923, Mirò si dedicò alla realizzazione di opere dal carattere descrittivo e ingenuo. In queste tele è presente il forte rapporto tra l’artista e la storia della sua terra natia, la Catalogna, che da secoli rivendicava l’indipendenza nei confronti della Spagna. I paesaggi catalani e i suoi abitanti diventano i protagonisti delle sue opere e la dimensione popolare si fonde con quella poetica e politica. Un esempio è L’Orto e l’asino (1918), eseguito nello stile minuzioso tipico delle sue prime opere, “alla fiamminga”, in cui rappresenta un paesaggio tipico delle campagne catalane, in cui i colori caldi e familiari della sua patria si fondono con un immaginario cubista. Infatti, il cielo viene scomposto in varie fasce cromatiche e la disposizione geometrica dei campi dà vita a un mosaico composito e innaturale. Inoltre, Miró sembra preannunciare il mondo favolistico e onirico che poi si scatenerà con l’adesione all’avanguardia surrealista. • Intorno al 1924 Joan Miró si avvicinò all’avanguardia surrealista, che condizionò per sempre il suo stile. La strada di accesso al surrealismo passa per Mirò tramite una sorta di decostruzione di un alfabeto primario di forme e lettere che si dispongono su uno sfondo omogeneo in una specie di scrittura simbolica, nella quale immagini e parole si completano l’un l’altra in un libero attraversamento di codici diversi. Da questo momento le sue opere si colorarono di immagini policrome e fantasiose, in cui i soggetti catalani vennero sostituiti da creature carnevalesche e vivaci. Il manifesto artistico di questa fase è riscontrabile nel dipinto Il Carnevale di Arlecchino (1924) (vedi pag.61). Ancora vicino al realismo analitico del periodo catalano per l’affollamento claustrofobico e l’impianto miniaturistico, il quadro segna l’apertura a un mondo di esseri fantastici, fluttuanti in uno spazio chiuso e costruiti dall’assembramento di forme geometriche archetipiche, dai colori squillante e la stesura sostanzialmente bidimensionale. La tela fu realizzata in una fase di estrema povertà della vita di Miró, che lo costrinse a soffrire la fame. Stando ai racconti del pittore la fame e l’isolamento nel suo studio gli causarono numerose allucinazioni, che il pittore cercava di immortalare nelle sue opere. Nell’opera è rappresentato un interno in cui sono raffigurati numerosissime creature polimorfe, con l’accompagnamento di alcune note musicali. Tra i vari elementi compare anche la scala, uno dei soggetti più ricorrenti nell’immaginario di Miró, che simboleggia la continua sperimentazione artistica. Il protagonista dell’opera è Arlecchino, un personaggio comico tappezzato di colori diversi, che ama fare scherzi. In realtà si tratta dell’autoritratto metaforico dell’autore, che si raffigura come un giocoso padrone di casa pronto ad andarsene dalla festa da lui stesso organizzata, perché annoiato da un’invenzione ormai priva di nuovi spunti creativi. 66 • Nella fase successiva alla parziale adesione al movimento surrealista, Miró studiò delle nuove forme di rappresentazione, per andare oltre i modelli consolidati. La pittura di questa fase si svuotò dell’elemento figurativo, lasciando ampio spazio a sfondi monocromatici e a figure stilizzate, talvolta accompagnate da scritte. Uno dei più grandi capolavori di questo periodo fu il Ritratto di Madame K. (1924), in cui il dato figurativo sembra scomporsi e stilizzarsi. È evidente che l’artista sceglie di distanziarsi quanto più possibile dalle apparenze ordinarie della figura per scomporre, separare, sostituire. La testa diviene un manichino, la chioma si contrae nei tentacoli di una piovra. Sopravvive un solo orecchio e il corpo smarrisce il proprio contorno. Vediamo la colonna vertebrale, ridotta a una fascia verticale; il cuore; il bacino (trasformato in un semplice anello); i due seni, magnificati e proposti secondo due punti di vista differenti, alla maniera “cubista”; il pube e le gambe divaricate. • Il periodo seguente la scomposizione dei soggetti pittorici fu quello della sperimentazione delle opere polimateriche, composte di materiali inusuali. Si trattava di composizioni realizzate con oggetti in grado di riecheggiare un determinato soggetto mediante una serie di allusioni sensoriali o metaforiche. Per esempio, nella serie delle Ballerine spagnole (Ritratto di una ballerina spagnola, 1928) non compaiono mai figure o silhouette che richiamano le danzatrici. Tuttavia, l’essenza delle ballerine è suggerita da elementi delle composizioni, come la piccola immagine di una scarpetta ricavata da un giornale o una leggerissima piuma. • Dopo una prima fase di turbamento, dovuta alle vicende belliche che scossero tutta Europa, Miró riuscì a ritrovare uno stato di quiete, che lo portò all’esecuzione della serie delle Costellazioni. Un esempio è Costellazione amorosa Si tratta di 23 tempere su carta, realizzate tra il 1940 e il 1941, in cui l’artista dialoga con i corpi celesti, che fin da bambino lo appassionarono. In mezzo alle rappresentazioni varie costellazioni compaiono alcuni dei soggetti tipici dell’immaginario di Miró, come gli arabeschi, le donne, le note musicali, gli uccelli e le scale. Tra le 23 opere è degna di nota una delle ultime tempere eseguite da Joan: L’Uccello meraviglioso rivela l’ignoto a una coppia di amanti. In questo capolavoro l’artista collega le varie figure tramite una linea sottilissima, che accentua il collegamento intrinseco tra ogni immagine, comprese quelle all’apparenza meno importanti. • Alla fine della sua carriera, Miró rimase affascinato dalla cultura giapponese, che conobbe mediante delle mostre realizzate a Tokyo e a Kyoto. In particolare, ciò che impressionò Joan fu la scoperta dell’estrema vicinanza tra la sua poetica e l’haiku (dei brevi componimenti giapponesi dal significato molto profondo). Un parallelismo tra queste poesie e la sua arte è riscontrabile nel dipinto L’oro dell’azzurro (1967), in cui una grande macchia blu viene equilibrata da altre nere più piccole, su un luminoso sfondo dorato. In questa opera la scoperta della cultura giapponese si fonde con alcuni dei simboli tipici dell’arte di Miró, come le costellazioni e la sua passione per la musica. Nel marzo 1926 apre la Galleria surrealista, dove, oltre a mostre personali, si introduce l’arte primitiva: sculture oceaniche (esposte con i quadri di Man Ray) o oggetti dei nativi americani (presentati con Tanguy) costituiscono l’alternativa surrealista all’arte africana, troppo strettamente identificata con il cubismo, e preludono a un apprezzamento del valore rituale e magico dell’oggetto. Un altro dei più grandi esponenti del surrealismo è: Renè Magritte (1898-1967), soprannominato “le saboteur tranquille” per via della sua abilità di riuscire ad insinuare dubbi sulla realtà. Renè Magritte nasce a Lessines, una piccola cittadina belga. La sua infanzia è segnata da numerosi trasferimenti e soprattutto dal suicidio di sua madre, che nel 1912 decide di togliersi la vita gettandosi nel fiume Sambre, venendo ritrovata con una camicia avvolta sul viso. Questo evento traumatico influenza profondamente l’attività artistica del pittore tanto da rappresentare in diversi quadri (L’histoire centrale e Les amants), figure con il viso completamente coperto da un velo bianco. 67 Trasferendosi nella città di Charleroi, Magritte terrà lontani i suoi traumi infantili cercando di cominciare una nuova vita. Inizia così gli studi classici e successivamente si concentrerà sulla pittura. Seguendo la sua grande passione deciderà di iscriversi nel 1916 all’Accademia di belle arti di Bruxelles dove comincia ad appassionarsi ai movimenti d’avanguardia come il Cubismo e il Futurismo. Il suo interesse verso il movimento surrealista avviene nel 1923 con la scoperta del quadro Canto d’amore*vedi pag.30 di Giorgio de Chirico di cui ammira la capacità di rappresentare un nuovo modo di vedere, andando oltre alle apparenze. Dalla metafisica Magritte prende il senso di mistero degli oggetti quotidiani, l'incongruità di alcune compresenze nello spazio, il tema del quadro nel quadro, l'iconografia del manichino e quella degli occhi chiusi. Il primo quadro surrealista che dipinge è Le Jockey Perdu (il fantino perduto) (1926), collage ad acquarello in cui è rappresentato un fantino sopra il proprio cavallo a galoppo che corre, su un palco di legno con tende, verso alberi a forma di pedine degli scacchi: l’intera scena è contornata da un sipario che va ad accentuare una visione scenografica. Rene ha progettato set teatrali a Bruxelles nei primi anni '20 per il Theatre du Groupe Libre. The Lost Jockey è uno dei tanti scenari teatrali con un sipario che Magritte ha prodotto nei suoi primi lavori. Utilizza anche bilboquet che assomigliano ad alberi con notazione musicale come corteccia, forse come omaggio a Mesens, il pianista e compositore ea suo fratello Paul, un musicista che ha studiato con Mesens. Nonostante la rappresentazione di soggetti apparentemente realistici, la grandezza di Magritte si trova nella trasformazione del quotidiano in illusione e in sogni scovando significati insoliti e dichiarando guerra aperta alla ragione. La caratteristica centrale dei quadri di Magritte è quella di suscitare enigmi nei quali una lettura non riesca a escludere del tutto l’altra: lo si vede per esempio in L’assassino minacciato*pag.62 . La scena propone un gioco di scatole cinesi legato all'identificazione di vittima e aggressore: se nella stanza centrale la prima è senz'altro la donna morta sul letto e il secondo l'uomo biondo, intento ad ascoltare la musica, quest'ultimo potrebbe tramutarsi in potenziale vittima dei due uomini armati in primo piano; nel frattempo i tre personaggi sullo sfondo, identici salvo la capigliatura, oscillano tra il ruolo di testimoni, complici, o chissà cos'altro. Va tenuta presente, per questo scopo l'importanza della tecnica del collage il quale può dare vita ad immagini composite difficilmente ideabili altrimenti: è il caso dei Giorni giganteschi (1928), dov'è il corpo dell'aggressore è letteralmente ritagliato all'interno di quello della donna, dando l'impressione di una mostruosa fusione tra i due; oppure del Doppio segreto, dove la riflessione sul tema del doppio e sul rapporto tra interno ed esterno è innescata da uno strappo del volto. L'esempio più tipico di critica l'illusionismo pittorico può essere rintracciato nella serie del “quadro nel quadro”, dove la parziale obliterazione confini tra il dipinto e l'ambiente nel quale lo vediamo, mina la realisticità dell'immagine di Magritte anziché confermarla: lo si vede, ad esempio, in La condizione umana II Le opere di Magritte, di conseguenza, si spingono aldilà del razionale, varcando le soglie dell’ordinario in una chiave umoristica. “La realtà non è mai come la si vede: la verità è soprattutto immaginazione”: attraverso questa celebre affermazione del pittore possiamo inquadrare perfettamente il pensiero dell’artista, notando in lui un desiderio di trovare sempre nuove forme di suggestioni della realtà, continuando ad interrogarsi su dove sta il confine tra reale e finzione. La svolta degli anni ‘30 Costellato e profondamente intessuto di polemiche sempre più virulente, che spesso investono la sfera privata oltre che quella pubblica, il secondo manifesto del surrealismo è pubblicato sull’ultimo numero della rivista del gruppo (15 dicembre 1929) e riedito in volume l’anno successivo. L'ottimismo profetico del 1924 lascia qui lo spazio a un tono amaro e disilluso, che riflette la crisi interna oltre che un panorama internazionale drammaticamente segnato dalla crisi del 1929 e dalla svolta progressiva verso il totalitarismo. 70 sembra voler richiamare a un atto di fellatio. In questo dipinto ritroviamo tutti gli elementi che contraddistinguono l’arte di Dalì a cominciare dai paesaggi della sua infanzia, perlopiù spazi desertici in cui manca totalmente la vegetazione. Il centro del quadro è occupato da un volto di profilo rivolto verso il basso, con una palpebra chiusa e l’enorme naso a punta appoggiato al terreno. Al viso è attaccata una cavalletta gigante che ha il ventre ricoperto di formiche. L’enigma del desiderio era considerata dallo stesso Dalì una delle più importanti di tutta la sua carriera. Venne eseguito a Figueras nell’autunno del 1929 e costituisce anche una delle pochissime opere in cui Dalì si riferisce alla madre. L’opera è una sorta di teorema visivo delle ossessioni del Bambino, nel suo rapporto col Padre (simboleggiato dal leone). In mezzo al deserto emerge, da un silenzio assordante, una strana roccia gialla, dura e molle allo stesso tempo, a forma di ala. In basso a destra un volto umano, dalla grande palpebra chiusa, già protagonista del dipinto Il grande masturbatore, è preda di innumerevoli formiche. In alto a destra una testa leonina con un sorriso tra l’ebete e il trionfante. La formazione rocciosa appare come bucherellata e dentro questi incavi arrotondati che la caratterizzano è possibile leggere la scritta ma mére, ossessivamente ripetuta: l’opera si presenta allo spettatore come una congerie di ossessioni daliniane. A sinistra si scorge una coppia di figure: la più piccola abbraccia l’altra col capo grigiastro. Quest’ultimo brandisce un coltello pronto, forse, a colpire la piccola figura che lo sta cingendo. Le due figure abbracciate in lontananza sono padre e figlio e il coltello che brandisce il primo non è altro che un riferimento alla paura della “castrazione” in senso freudiano. Percorrendo visivamente lo spazio pittorico in profondità emerge un ulteriore enigmatico elemento: un corpo femminile che si lascia intravedere da una roccia. Da Freud inoltre derivano anche le categorie di “molle” e “duro”, legate rispettivamente a idee di putrefazione e repulsione la prima, e di ordine e controllo la seconda. Dalì avvia così un processo metamorfico nel quale fluidificazione e irrigidimenti di alcuni dettagli dell'immagine ne stravolgono il significato: importante in questa prospettiva è il celeberrimo esempio degli orologi molli di Persistenza della memoria. All’interno di un paesaggio fantastico sono disposti alcuni oggetti irreali. Dominano la scena alcuni orologi dalla consistenza deformata. Sono chiamati, infatti, orologi molli. Pur segnando ancora il tempo, sembrano aver perso la loro solidità. Sopra al parallelepipedo dipinto a sinistra, un orologio è poggiato per una metà sul piano. Sopra di esso, si è appoggiata una mosca che crea una lunga ombra verso le dodici. La metà inferiore, invece, pende mollemente lungo il fianco del solido. Un altro orologio, con la cassa però chiusa, è poggiato più a sinistra. Su di esso alcune formiche, grandi e piccole, creano un motivo decorativo. Verso il bordo posteriore del solido, un esile tronco morto si alza verso il cielo e un suo ramo di ulivo sostiene un altro orologio che pende verso il basso. Sul terreno, un essere mostruoso composto da un grande occhio chiuso, con lunghe ciglia, sopracciglia e la lingua al di fuori porta come una groppa un altro orologio. Verso il fondo dello spazio rappresentato, si apre uno specchio d’acqua. A destra, alcuni faraglioni avanzano verso l’acqua. A sinistra, invece, è dipinto un piano geometrico che avanza verso la riva. Il cielo è limpido e privo di nubi. Oltre alla spiegazione data dall’artista, si può immaginare che gli orologi molli rappresentino la relatività einsteiniana della percezione temporale. Ognuno di noi, infatti, ha una propria sensazione temporale rispetto alle medesime situazioni. Ogni orologio, inoltre, segna ore diverse. La seconda fase del surrealismo si caratterizza essenzialmente per una ricerca continua di un equilibrio tra ricerca estetica e dimensione politica. A differenza dei suoi compagni, Dalì non prende mai posizioni politiche definite, mantenendo così un distacco tra arte e politica. Successivamente realizza dipinti ispirati al nazismo, ritraendo più volte Hitler, come L’enigma di Hitler (1939). André Breton, dichiaratamente di sinistra e anti-nazista, lo accusa di favoreggiamento al nazismo e di non porre 71 resistenza proprio come gli altri membri del gruppo. Da questo dibattito politico iniziano i primi conflitti che portano all’espulsione di Dalí dal gruppo surrealista. La fotografia La fotografia riveste un ruolo di primo piano nella teoria e nella pratica surrealista. La fotografia poteva presentarsi come autentica traccia del reale proprio perché prodotta senza manipolazioni consapevoli, almeno in linea di principio. Di conseguenza, era vista dai surrealisti come uno dei mezzi più efficaci per far emergere gli aspetti più profondi e sorprendenti della quotidianità. L’autore più significativo del corredo fotografico della “Révolution surréaliste” fu Man Ray*pag.46. Rivendicando una nuova ed assoluta libertà creativa, artisti come Duchamp e Man Ray misero in campo, manipolarono e riproposero ogni materiale, concetto ed oggetto a loro disposizione. I surrealisti ricorrono a una serie di pratiche e di artifici che ne enfatizzano la natura di segno, saggiando le possibilità espressive del mezzo fotografico: solarizzazioni, fotomontaggi, sovraimpressioni, esposizioni multiple, collage, bruciature e pietrificazioni, tecniche di manipolazione che rendono la fotografia un'esperienza al servizio dell'esplorazione dell'immaginario o dell'inconscio, che permettono di realizzare uno stile che tende all’onirismo, al fine di svelare ciò che è celato dietro le apparenze. Tali sperimentazioni sono strettamente correlate ai temi del surrealismo, che privilegiano in particolare il corpo nudo femminile che, come in pittura, subisce processi di ibridazione, frammentazione, distorsione, deformazione, mimetismo, che lo impregnano di una forte carica erotica e che, soprattutto, generano dei ribaltamenti di senso che mettono in crisi le convenzioni percettive del corpo umano, dando vita all’ ‘informe’. Tra i numerosi esperimenti ed i vari percorsi artistici se ne vuole segnalare uno in particolare, che ha preso il nome dal suo ideatore e ne ha caratterizzato il lavoro negli anni a venire. Si tratta della tecnica Rayografica o "Rayografia". La tecnica inventata e perfezionata nel tempo dall’artista consiste nell’esporre oggetti a contatto con la carta fotografica, ed il risultato è molto simile – visivamente – ad una radiografia. In questo caso però l’immagine non mostra la struttura interna degli oggetti, ma una natura «altra», non governabile dall’uomo e per questo, appunto, misteriosa. Un altro espediente tecnico usato da Man Ray è la solarizzazione, ovvero l’esposizione del negativo a luce improvvisa durante lo sviluppo, scoperta per caso nel 1920. L'effetto derivato (noto anche come “effetto Sabatier”), ovvero un pesante ispessimento nero dei contorni in corrispondenza delle zone più chiare, è spesso utilizzato da Man Ray per introdurre una sorta di aura di mistero nei ritratti, o per accentuare l'irrealtà di fenomeni fisicamente impossibili come la “liquefazione” del corpo femminile in Primato della materia sul pensiero (1929), in cui un nudo femminile emerge dal buio grazie all’azione modellante della luce. La parte inferiore, tuttavia, grazie a un intervento di solarizzazione (cioè di esposizione della carta fotografica o della pellicola negativa ad una fonte luminosa in fase di sviluppo), ha i contorni alterati. In tal modo, la luce sembra liquefare i confini del corpo, fondendolo con lo spazio circostante, derealizzandolo in quanto ne intacca la materia e la forma riconoscibile. L'oggetto L'oggetto surrealista è lo sbocco più esemplare dell’esigenza di presa sulla realtà propria della seconda fase surrealista. L'annuncio di una mostra surrealista di oggetti, tuttavia mai realizzata, testimonia la presenza del tema fin degli anni ‘20, sebbene la svolta decisiva si avrà all’inizio del decennio successivo con gli “oggetti dal funzionamento simbolico” di Dalì. Al modello onirico bretoniano (dove un oggetto appare in sogno “difficilmente giustificabile in termini di utilità e piacevolezza”), l’artista sostituisce una definizione fondata su un feticismo di origine sessuale. 72 Alberto Giacometti (1901-66) Nel 1928 Giacometti entrò a far parte del gruppo surrealista (con cui ruppe nel 1935). In questo periodo, sul lavoro a memoria prevalgono l'immaginazione e, spesso, l'inconscio, che conducono Giacometti alla creazione di sculture assai importanti per l'idea surrealista di oggetto a funzionamento simbolico: Uomo e donna, (1928-29): i contrasti formali tra pieno e vuoto e tra linea e superficie, ereditati dal cubismo, si caricano di valori affettivi e psicologicamente sofferti. Qui si rileva in effetti un’esplicita aggressività sessuale. Sfera sospesa (1930): una forma sferica oscillante che sfiora una mezza luna allungata dentro un’ingabbiatura di ferro introduce il problema dello spazio e della sua delimitazione, che da allora si precisa come una costante della ricerca estetica di Giacometti. La sfera sospesa deriverebbe essenzialmente da una reversibilità completa dei ruoli di maschile e femminile (la mezzaluna in quanto “passiva” potrebbe diventare maschile e viceversa). Alla sfera sospesa di Giacometti seguono le descrizioni di oggetti di Breton (oggetti vari alloggiati su un sellino di bicicletta) e Dalì (scarpa con zolletta di zucchero da inzuppare in un bicchiere di latte), che denunciano spesso un simbolismo sessuale talmente scoperto da minare la qualità poetica. 75 Il Ratto di Persefone (Gottlieb) È un’opera appartenente a una delle tipologie di “pittogrammi, a cui l'artista lavorava nei primi anni ‘40. L’immagine è centralizzata e fa riferimento sia alle predelle dei dipinti religiose che all'arte dei nativi americani. L'intenzione di entrambi dipinti, comunque legati anche ad artisti contemporanei come Picasso, Dalì e Mondrian, era quello di trasmettere il Mondo interiore dell'artista. I due artisti risposero a tale critica, con una lettera sarcastica inviata ad un giornale, in cui difendevano i quadri che il grande pubblico non capiva (tipica strategia di avanguardia). Questo episodio rappresenta la polemica di un piccolo gruppo che combatte contro la massa che ama invece l’arte comune e il kitsch. Alcuni dei temi della lettera rispecchiano le idee del Greenberg di “Avanguardia e Kitsch”, dove diceva che l'avanguardia si trovava alla fine di un percorso pieno di storia, mentre secondo Rothko e Gottileb dicono che questa è un ritorno all'arte delle origini, quella primitiva. Bisogna essenzialmente riacquistare autenticità davanti ad un mondo moderno, sentito come estraneo ed inautentico. Secondo gli artisti dell’Espressionismo Astratto, l’arte non può essere un’arte vuota o nulla, ma deve invece avere un profondo significato, per questo si decide di tornare al momento in cui l’arte fornì all’uomo un primo principio di individuazione per distaccarlo dal caos, come avvenne nei tempi primitivi. L'esigenza del ritorno alle origini segna tutta la prima fase dell'Espressionismo Astratto, e corrisponde a un mondo figurativo che si nutre del mito classico e del riferimento al primitivo. In una seconda fase, che va grossomodo dal 1947 al 1950, l’immagine mitologica o primitivistica lascia il posto all’inconscio, questo come fonte privilegiata dell’arte. Come dice Graham, l'arte primitiva si ricollega subito all'inconscio ed alle pulsioni primarie, al contrario delle società civilizzate. Jackson Pollock Il lavoro di Jackson Pollock può essere suddiviso in tre periodi: 1. All'inizio della sua carriera artistica, scrisse principalmente nello stile del realismo, anche se con una discreta dose espressiva (una delle sue opere più famose di quel periodo - " The West" , 1934). 2. Dopo un soggiorno di quattro mesi in un ospedale psichiatrico per alcolisti di New York nel 1938, l'artista si dedicò all'arte astratta e al surrealismo. 3. E infine, il terzo periodo è arrivato dopo l'invenzione della tecnica del "gocciolamento" alla fine degli anni '40. Come altri membri della New York School Jackson Pollock risente, nei suoi primi lavori, dell’influenza di Joan Miró e Pablo Picasso e fa proprio il concetto surrealista dell’inconscio come fonte d’arte. Nelle opere giovanili, infatti, si notano molto chiaramente gli influssi dei due pittori : un esempio lampante è il dipinto The Moon Woman (La donna luna) del 1942, rimanda all’impianto cromatico e alla composizione di Picasso. Nell’opera, Pollock fu influenzato dal poeta Charles Baudelaire e dal simbolismo francese. Al centro è raffigurata una donna solitaria che emerge dal fondo e ai lati ci sono simboli misteriosi legati all’archetipo della femminilità. Il corpo affusolato restituito da un semplice colpo di pennello nero si contrappone all’inquietante volto che rimanda alle figure femminili rappresentate da Picasso in Demoiselles d’Avignon (1906-07). Progressivamente si avvicinano all’astrazione. Questo lo possiamo riconoscere in Guardian of the secret del 1943: il titolo narrativo che fa riferimento a delle immagini, e in particolare fa riferimento ad una simbologia legata alle culture autoctone che Pollock ha conosciuto in due mostre dedicate dal MoMA del 1941 all’arte degli indiani d’America. Indian art of the United states. La mostra veicola l’idea che l’arte dei nativi americani fosse una parte del passato, presente e futuro della storia americana. 76 Tuttavia, il retroterra culturale-artistico assorbito dall’artista è ampio e variegato; egli conosce molto bene anche le opere di Kandinsky, a tal punto da percepirne l’influenza nelle opere della metà degli anni ’40, come si evince chiaramente dal “Senza titolo” del 1946. Nelle sue opere si colgono anche riferimenti alla pittura fauve e specificatamente a Matisse: ad esempio in The Tea Cup (La tazza da tè), del 1946. Sebbene Pollock sia noto come il creatore dell'Action Painting, questo pezzo mostra in realtà più delle sue radici cubiste. A differenza delle opere successive che facevano molto affidamento sull'artista che gocciolava la vernice sulla tela, questo mostra linee più spigolose e meno curve. Pollock era stato scoperto nel 1942 da Putzel, uomo di fiducia di Peggy Guggenheim. Nel 1943 il MoMa (Museum of Modern Art) acquistò un’opera di Pollock, The She-Wolf (1943), dopo la mostra dell’anno prima Art of This Century che si tenne alla galleria-museo di Peggy Guggenheim. All'inizio degli anni '40 Pollock, come molti dei suoi colleghi, esplorò temi primordiali o mitologici nelle sue opere. La lupa in questo dipinto potrebbe alludere all'animale che allattò i gemelli fondatori di Roma, Romolo e Remo, nel mito della nascita della città. She Wolf si riferisce al secondo periodo in cui Pollock si interessa seriamente alle idee della psicoanalisi e degli archetipi junghiani e trae ispirazione dalla mitologia indiana, creando un'immagine dell'artista-mistico. L’opera fu esposta e vide la luce nel 1943 presso Art of this Century per la prima esposizione individuale dello stesso Pollock. Sebbene siamo ancora molto lontani dall’invenzione del dripping*, ovvero i pennelli che non toccano mai la tela e creano tramite il gocciolamento di colore linee e forme sul frame, è già possibile osservare degli schizzi di colore sulla tela, alcune parti mostrano delle forme prive di linee e colore in cui è possibile avvertire un primo passo verso l’astrazione. La lupa, che avanza verso sinistra, è realizzata con spesse linee nere e bianche. Il suo corpo è ricoperto di pesanti linee, macchie e segni calligrafici illeggibili. * L’action painting con Pollock diventa un mezzo, non un fine. Una miriade di suggestioni (da Picasso e Mirò a De Kooning, dall’analisi Junghiana alla sand painting dei Navajo) gli frullano in testa come intuizioni ossessive. La scoperta dell’inconscio e dell’irrazionale, durante le terapie psicanalitiche per i demoni infantili che affoga nell’alcol, gli rendono d’intralcio tavolozza e cavalletto. Abbandonata qualsiasi parvenza di forma preconcetta, come scrisse Palma Bucarelli in un saggio relativo alla storica mostra che la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea gli dedicò nel 1958: “il Pollock si affida interamente al puro impulso dell’atto fisico del dipingere, affermando che il quadro compiuto sarà l’immagine di quel gesto e del suo potere emotivo. Al di fuori di ogni richiamo analogico, la pittura può dunque esprimere per sé stessa i moti profondi dell’essere” Il dripping di Pollock non è altro che il segno visibile del suo “trip” dentro l’inconscio che lo guida come in uno stato di trance. In un certo senso la stessa funzione di foto e video nella performance art. Nell’opera di Pollock non esiste centro compositivo, non c’è alcuna idea prestabilita, nemmeno a livello embrionale, di forma o di colore. Sul pavimento può letteralmente essere parte nel dipinto e la sua danza che lo guida dall’inconscio rende visibile il suo essere. Il caos, l’energia, lo smarrimento. L’opera non ha spazio e non ha tempo, sembra volgersi all’infinito e rievocare un’emozione vitale, abisso dell’inconscio. Nel 1943 Jackson Pollock dipingeva per la casa di Paggy Guggenheim un grande quadro intitolato Mural in cui compaiono una serie di segni che si intrecciano. Quelli di colore nero sono più spessi, ad andamento curvilineo e orientati in verticale. Altri segni di forma circolare avvolgono le tracce nere. Il fondo è rappresentato dal bianco che separa ed evidenzia le tracce colorate. Jackson Pollock descrisse il suo dipinto come una fuga precipitosa di animali delle pianure del West America. Il dipinto, quindi, si ispira alle manifestazioni artistiche dei nativi americani e ai murales messicani. Infatti, i segni sono manifestazioni spontanee che suggeriscono movimento distribuito sull’intera superficie. 77 L'aspetto più rilevante di Mural è quello della dimensione ambientale del quadro, la relazione tra l'ampiezza del gesto e la grande dimensione del quadro, per eseguirlo l'artista ha dovuto muovere non soltanto il braccio ma anche tutto il corpo. Da queste prime opere emersero temi intimamente legati alla natura, alla magia e al simbolismo, caratteristiche queste che, tuttavia, rimasero anche della produzione artistica più matura del pittore. Negli anni successivi la tendenza all’astrazione fu sempre più prorompente come in Number 1 (1948). L’artista, muovendosi intorno alla tela, lasciava gocciolare il colore sulla superficie, così da emanare una forte energia: linee nere e bianche convergono creando un’intricata rete di colori. Il modo in cui il colore si trova sul piano suggerisce la velocità e la forza di procedere dell’artista. Le superfici di Pollock sono fisicamente presenti, e attirano lo spettatore che si confronta direttamente con il campo astratto della tela. Autumn Rhythm venne realizzata nel 1950, ed è una delle opere più celebri del pittore. Il pigmento venne applicato con i mezzi più disparati: coltelli, bastoncini e mani. Non c’è un punto focale centrale, ogni parte della superficie ha il medesimo significato. Anche le dimensioni (266 x 525 cm) assumono un’importanza significativa, poiché lo spettatore, trovandosi di fronte a quadro così travolgente, si sente rapito. Seguendo le vorticose e rigogliose linee è possibile quasi immaginare la “danza rituale” di Pollock. In queste opere manca la premeditazione che, tuttavia, non si traduce in una mancanza di controllo poiché Pollock, come ebbe a dire in varie interviste, gestì il flusso della vernice. Per Pollock l’arte doveva trasmettere contenuti significativi e rivelatori. Lavander mist (1950) incarnò la svolta artistica che l’artista americano raggiunse a inizio anni ‘50. L’opera fu dipinta nei pressi di Long Island, nella casa-studio in cui visse con la moglie. Per l’artista evocare queste trame di colore così liriche ed equilibrate fu quasi un atto rituale, infatti, Pollock ebbe modo di conoscere i nativi della sua terra, i quali consideravano la pittura un rituale. E come un artista nativo, Pollock firmò Lavander Mist nell’angolo in alto a sinistra: nella parte superiore della tela ci sono le impronte delle sue mani. La tecnica all over (totale, a tutto campo) permise all’artista di ottenere uno spazio omogeneo, privo di gerarchie, tutto si confonde: la superficie e la profondità, l’alto e il basso. È legittimo considerare il rapporto che Pollock ebbe con la tela come un anticipo delle performance, che ebbero massima vitalità tra gli anni ‘60 e ‘70. Così come nelle performance, anche nelle tele di Pollock il valore espressivo è dato dal corpo, dalla mente e dai sentimenti. Arshile Gorky Gorky è stata una figura fondamentale nello sviluppo dell'arte moderna in America. Arshile Gorky nasce in Armenia nel 1904 e arriva a New York nel 1920. Gorky ha elaborato idee e movimenti d'avanguardia come l'impressionismo, il cubismo e il surrealismo, spesso seguendo da vicino le orme di maestri come Paul Cezanne, Joan Mirò e Pablo Picasso. Le tragiche circostanze della sua vita infantile si traducono in temi ossessivamente ripetuti, i ricordi infantili dell’Armenia sono le immagini originarie di tutta la pittura di Gorky come dimostra ad esempio: The Artist and His Mother, ritratto basato su una fotografia che lo ritrae a 12 anni insieme alla madre, ma si trova anche dietro composizioni apparentemente astratte come Come il grembiule ricamato di mia madre si dispiega nella mia vita (1944). Nell'estate del 1942, Gorky trascorse quasi un mese nel Connecticut, realizzando schizzi dal paesaggio della zona. Waterfall, (1943) è il risultato di questi schizzi, un paesaggio astratto in cui Gorky sviluppa il proprio linguaggio e il proprio stile, libero dalle influenze di Cézanne o Picasso. È uno dei quadri in cui Gorky è più naturalistico, più ben disposto con le sue emozioni; torna il contatto con la natura, con l’infanzia, con i paesaggi attraversati durante la sua fuga dai Turchi. I colori che usa sono quegli degli impressionisti, colori complementari, soprattutto rosso e verde, che se accostati acquistano maggiore luminosità. 80 Fra il 1944 e il 1946, la pittura di Rothko acquisisce una trasparenza sin qui assente; l’artista riesce a far galleggiare le forme su uno sfondo appena accennato, ottenuto tramite una stesura leggera, allo stesso tempo rende le superfici in movimento mediante velature sovrapposte di colore (stesura di uno strato di colore sopra un altro già asciutto). Nel 1947 Rothko aveva terminato anche l’esperienza “surrealista” per darsi a composizioni non oggettive. Risale all’inizio degli anni ‘50 l’elaborazione dei Color field paintings, opere cui Rothko giunse dipingendo due o tre rettangoli luminosi dai bordi morbidi e sfumati, sospesi come se fluttuassero. Sull’elaborazione della nuova poetica ebbe un impatto determinante la conoscenza dell’arte astratta di Clyfford Still, uno dei primi espressionisti astratti. Rothko lavora tra 1947 e 1949 sui Multiform, in cui l’artista trova sé stesso nel colore che si effonde sulla superficie sotto un attento controllo della saturazione del colore, e dà un effetto di lenta pulsazione all’osservatore. Uno o più rettangoli che galleggiano su uno sfondo allusivo a una fluidità originaria caratterizzano i dipinti eseguiti dall’artista a partire dal 1950 che dimostrano come la forma astratta potesse divenire una modalità più diretta di trasmettere contenuti dell’opera d’arte. Un esempio è No. 10 Barnett Newman L’arte di Newman della metà circa degli anni ’40 è molto vicina alle forme primarie della vita dell’arte di Rothko. Newman è tornato alla pittura dopo anni di silenzio, interrotta dalla guerra, aveva ripreso eseguendo lavori su carta fra il 1944 e il 1946, ad esempio “Canzone di Orfeo” del 1944-45. La ripresa della pittura è sempre attribuita alla tragedia della guerra. Newman attribuisce al surrealismo il merito di aver riportato l’attenzione sul soggetto dell’opera d’arte, il tema di questo gruppo di lavori su carta risponde a un’esigenza diversa da quella dell’espressione dell’inconscio attraverso associazioni automatiche. L'idea di Newman era quella che dopo la guerra bisognasse ricominciare daccapo virgola non come se la pittura fosse morta, ma come se non fosse mai esistita. L’interesse di Newman per la Terra e per i miti di origine del mondo e della cultura si manifesta anche nei quadri del 1945 e del 1946, che si raggruppano attorno a due tipologie: - La prima è basata su organismi di struttura cellulare, come Pagan Void (Vuoto Pagano) del 1946; - l’altra si basa su strisce luminose dritte o rastremate che dividono la superficie del quadro secondo ritmi verticali o leggermente diagonali, ottenuti mediante l’applicazione e la successiva rimozione di una banda di nastro adesivo. Un esempio è The Beginning (1946). Le strisce dei dipinti eseguiti tra il 1945 e il 1947 sono tracciate in un campo dove sono individuabili le pennellate o le differenze negli spessori della materia. Solo a partire da Onement I del 1948, il campo diventa uniforme e impersonale. L’artista decide di liberarsi da ogni residuo d’immagine, anche dalle minime allusioni simboliche, e propone all’osservatore il dipinto come oggetto di un’esperienza primaria. Da quest’opera in poi la ricerca di Newman si orienta verso un’estrema purificazione del linguaggio, sino ad arrivare al “grado zero” dell’espressione, che consente al pittore, e allo spettatore, di trovare una realtà autentica, senza allusioni alla figura e senza l’evidenza del segno pittorico. Secondo la critica, Onement I potrebbe assumere il senso di un gesto primario, nel vuoto, e la banda verticale andrebbe a rappresentare un atto di separazione analogo a quello di Dio al momento della genesi. Ma tale interpretazione non è del tutto convincente. Bois suggerisce invece che la pittura di Newman nasca dal bisogno di offrire allo spettatore la possibilità di vivere un’esperienza. La grande dimensione nell’espressionismo astratto Nella congiuntura che si crea tra Newman, Rothko e Pollock si riconoscono i sintomi di una spazialità nuova. A partire dalla fine degli anni ’40 Greenberg parla della crisi della pittura da cavalletto: - Pollock: dipinge sul pavimento in quanto si sentiva più a suo agio; - de Kooning: si dichiara affine a questa nuova tendenza essendo per lui tatto e vista due sensi importanti per la pittura; - Rothko: preferisce quadri grandi perché gli permettono di creare una situazione di intimità che trasporta l’osservatore. 81 In questa nuova tecnica, la tela diventa la superficie sulla quale l’artista lascia la traccia del suo passaggio e questa nuova spazialità è legata direttamente al corpo: le tracce lasciate dal pennello, mosso non più solo dalla mano e dal braccio ma da tutto il corpo in movimento, sono le impronte e i segni primitivi (autentici) di un momento esistenziale. Questo passaggio ad una pittura che distacca dalla parete e invade lo spazio circostante, avvenuto all’interno dell’Espressionismo Astratto tra il 1947 e il 1950, implica una serie di conseguenze sulle esperienze successive. La situazione italiana In Italia, da un punto di vista politico e culturale, la situazione era ben diversa. Il fascismo non aveva imposto uno stile artistico ben definito, ma anzi, lasciò piuttosto liberi di movimento gli artisti che non affermavano esplicitamente di essere antifascisti. Le eccezioni al clima di tolleranza erano quindi ben poche. Negli anni immediatamente successivi alla guerra vediamo l’aggregazione di forze giovani in Italia spinte dalla necessità di riallacciare i rapporti con l’Europa bruscamente interrotti dalla guerra; i centri principali dell’arte italiana sono ovviamente Milano e Roma. A Milano, sono i reduci dal progetto “Corrente” a diventare i propulsori di una nuova tendenza artistica, mentre a Roma la situazione è più frammentata poiché esistono ancora numerosi esponenti della vecchia Scuola Romana che credono in un’arte dal valore prettamente figurativo. A Roma, nel 1947, un gruppo di artisti dell’ala più modernizzante della scuola romana (quella formata da Carla Accardi, Ugo Atttardi, Pietro Consagra e altri) dà vita a una proposta completamente astratta, Forma 1. Gli artisti appartenenti al gruppo si definivano marxisti e formalisti. Un anno prima della fondazione di Forma I, a Milano si andava delineando la Nuova Secessione Artistica Italiana, ovvero un gruppo di giovani aggregatisi con l’ambizione di costituire un punto di riferimento per gli artisti emergenti italiani all’immediato indomani della guerra. Dopo qualche mese dalla sua fondazione, il gruppo cambiò il suo nome in Nuovo Fronte delle Arti e con questa nuova identità gli artisti appartenenti ad esso ebbero la possibilità di esporre prima alla Galleria della Spiga a Milano e nel ‘48 alla Biennale. Proprio nel contesto della Biennale, gli artisti del fronte dovettero scontrarsi con la dura presa di posizione del dirigente del PCI Palmiro Togliatti che definì le opere esposte come “schifezze” oppure “scarabocchi”; gli artisti risposero spiegando che la loro non era un’arte soltanto formalistica, ma di lotta sociale, anche se questo comunque non servì a placare le critiche del segretario. Da questo momento in poi all’interno del fronte si formeranno due fazioni: - quella degli astrattisti da un lato - e quella dei realisti dall’altro Nel panorama artistico italiano del secondo dopoguerra, il maggior contributo lo hanno dato: Alberto Burri e Lucio Fontana. Alberto Burri (1915-1995) Alberto Burri, la cui arte costituì uno degli esempi più significativi di Informale del secondo dopoguerra, è stato tra gli artisti materici più importanti al mondo. Un’arte, quella di Burri, che rinunciò alla tradizionale nozione di “bella pittura”, abbandonò l’antico strumento del colore ad olio, adottò materiali poveri rivestendoli di valenze esistenziali. Burri è un medico, e in guerra viene catturato dagli americani, trascorre un periodo in un campo di prigionia di lavoro, e la fine della guerra segna l’inizio della sua ricerca artistica. Il percorso artistico di Alberto Burri vede infatti la sua spinta evolutiva nel 1943, durante la prigionia oltreoceano nel campo di concentramento di Hereford, nel Texas, dove la visione di atroci torture e corpi sottoposti al martirio della guerra lo portano a ragionare sulla formalità delle sue opere. La prima mostra personale si svolse nel luglio 1947 presso la galleria La Margherita, e vedeva opere ancora di carattere figurativo con qualche debito verso la pittura tonale della Scuola romana degli anni ‘30. La sperimentazione inizia nel 1948 con l’utilizzo di materiali inusuali operati su supporti di diverso tipo come legno, ferro, plastica e cellophane. La particolarità che rende Burri il capostipite dell’informale materico è la tipologia di utilizzo che faceva di questi materiali, intervenendo su di essi in modo violento e distruttivo. Ciò è evidente con la serie Combustioni dove Burri attraverso l’utilizzo del fuoco brucia legni o plastiche con i quali poi realizza le sue opere. (vedi Rosso Plastica) Nella sua seconda mostra personale: Bianchi e Catrami, nel maggio 1948, propose per la prima volta opere astratte che, con le loro forme ora amebiche e organiche, ora filiformi e reticolari, rivelavano alcune affinità con il linguaggio di Jean Arp, Paul Klee e Joan Miró. 82 Nel 1950 comincia con la serie le Muffe e i Gobbi. Il 1950 fu un anno di grande sperimentazione, durante il quale dipinse diverse muffe, sfruttando le efflorescenze prodotte dalla pietra pomice combinata alla tradizionale pittura a olio, ma anche il primo gobbo, dal caratteristico rigonfiamento ottenuto con rami di legno sistemati su retro della tela, e il primo sacco, realizzato interamente con la juta, rattoppata e ricucita. Nel 1950, Burri iniziò anche a realizzare i suoi celebri Sacchi, ottenuti cucendo vecchie pezze di tela di sacco, di grana e colore differenti. A differenza che nei dipinti tradizionali, in questo caso la tela non è destinata a fare da supporto per la creazione artistica ma diventa, essa stessa, elemento pittorico. Pezzi di tela rattoppati sono cuciti secondo una sostanziale simmetria; gli effetti cromatici, plastici e materici sono affidati alle diverse tonalità e agli spessori dei sacchi. Un esempio è Sacco Rosso (1954). L’opera di Burri appartiene all’Informale materico, quel filone dell’Informale che, al posto dei mezzi tradizionali dell’espressione artistica, impiega materiali eterogenei come sacchi, plastica, legno, ferro, catrame. Questi materiali poveri, talora vecchi e logori, sono elevati da Burri a livello d’arte. Ai sacchi si aggiunsero in seguito i legni, le carte, i ferri e soprattutto le plastiche bruciate, come Rosso plastica, che fa parte della serie delle Combustioni: più fogli di plastica vengono applicati su una tela e su di essi l’artista interviene con il fuoco, provocando pieghe, lacerazioni e grinze. La reazione della plastica al fuoco e la scelta del colore rosso danno all’opera un forte carattere di drammaticità. La combustione non è mai casuale ed il controllo sulla forma da parte dell’artista è assoluto. Il grande cratere nella parte inferiore del quadro rivela la tela scura sottostante: come nelle tele lacerate di Fontana, questo rimanda a percezioni spaziali oltre la superficie dell’opera. Nel 1973 Burri iniziò a sperimentare una nuova tecnica e inaugurò la serie dei Cretti. Si tratta di un altro ciclo in cui la superficie si spacca. L’artista crea sulla superficie di colore uniforme, solitamente bianco o nero, delle crettature, che ricordano quelle della terra arsa dal sole. Come nelle Combustioni, i materiali sono i protagonisti assoluti: non simboleggiano nulla, ma suggeriscono stati d’animo, sofferenze e tormenti profondi, radicati nella natura stessa dell’uomo. Un esempio è Grande cretto di Gibellina: opera di arte ambientale realizzata tra il 1984 e il 1989 nel luogo in cui sorgeva la città vecchia di Gibellina, completamente distrutta nel 1968 dal terremoto del Belice. Grazie all’intervento dell’esercito, le macerie furono raccolte, compattate e tenute insieme da reti metalliche. Sopra questi blocchi, Burri fece colare del cemento liquido bianco. Attraversare i blocchi isolati significa ripercorrere le strade della città ormai distrutta; mantiene il tracciato del paese e conserva la rovina. Lucio Fontana (1899-1968) Mentre Burri indaga la materia, Fontana indaga lo spazio (fonda anche il movimento Spazialismo*). Figlio dello scultore italiano Luigi Fontana e di madre argentina, comincia l'attività artistica nel 1921 lavorando nell'officina di scultura del padre. Durante la Seconda guerra mondiale tornò in Argentina dove l’artista firma, assieme ad alcuni suoi allievi e giovani artisti argentini, il Manifiesto Blanco (“Manifesto Bianco”), che può essere considerato il testo fondante dello spazialismo. Una volta concluso il conflitto rientra a Milano. Inizia, nel 1949, ad avvicinarsi a nuovi materiali su cui opera in maniera provocatrice con buchi o strappi ricercando uno spazio oltre la bidimensionalità della tela. Attraverso una manipolazione dello spazio fisico vuole superare i limiti di bidimensionalità e tridimensionalità rispettivamente della pittura e della scultura con i cosiddetti ambienti spaziali che andavano poi quasi sempre smantellati. Se in Burri la potenza espressiva dell’opera deriva dalla tensione tra materiali di scarto, in Fontana ciò che risaltava all’occhio era la trasgressione della superficie che viene oltraggiata prima da buchi e successivamente da tagli, con il fine di voler aprire uno spazio al di là della tela che fosse infinito come l’immaginazione dell’artista. 85 - Mostra “Man, Machine and Motion” (1955) Altra mostra organizzata da Hamilton nel 1955 è “Man, Machine and Motion” basata su fotografie con le quali lo spettatore viene catapultato nell’intenso rapporto con i mezzi di trasporto, inoltre il movimento era il tema principale della mostra (rapporto con la tecnologia). - Mostra “This is Tomorrow” (1956) La mostra più associata a questa fase è This is Tomorrow, la mostra non fu un’iniziativa del gruppo ma fu animata da due nuclei distinti, il primo legato all’astrattismo gestito da Victor Pasmore e il secondo dall’IG. L’aspetto più innovativo della mostra resta la locandina realizzata da Hamilton (Just what is it that makes today’s homes so different so appealing), un collage di immagini prese da rotocalchi americani che rappresenta un salotto all'ultimo grido, con televisione e registratore a bobina, abitato da un forzuto in slip, con un grande lecca-lecca in mano, sul quale campeggia in grande la scritta "Pop"; sul divano moderno siede una pin-up nuda, mentre una donna sullo sfondo passa l'aspirapolvere sulle scale. La scena si apre sull'ingresso di un cinema dove si proietta The Jazz Singer mentre il tappeto sul pavimento è in realtà la foto in bianco e nero di una spiaggia affollata. Sul tavolino, accanto alle tazzine del caffè, campeggia una confezione di prosciutto in scatola, e il quadro più grande appeso alla parete è n realtà una scena isolata da una striscia di fumetti; al posto del soffitto appare un lembo ricurvo del pianeta Terra, così come appare dalle immagini via satellite. In questo collage l’idea principale dell’Independent Group è quello di iniziare a guardare all’estetica dell’abbondanza. Il collage di Hamilton costituisce un'antologia di temi, un catalogo, un risultato formale ottenuto mediante una modalità di comporre fredda, come il montaggio e nello stesso tempo un'allegoria. Ed è su questa linea che Hamilton porta avanti il suo lavoro, nel prosieguo degli anni ‘50 e nei ‘60, accentuando tuttavia il carattere frammentario della rappresentazione, alla ricerca di immagini simbolo della modernità massmediatica. Così facendo Hamilton avvicina le immagini del moderno in una maniera assai più sofisticata e indiretta che nel piccolo collage, con una concentrazione sul prelievo di un frammento di realtà, eredità duchampiana. Mentre a Londra gli artisti dell'Independent Group pongono con forza la questione dell'interferenza tra arte e kitsch massmediatico, e si elaborano nuove pratiche artistiche basate prevalentemente sul collage e sul montaggio, a New York alcuni giovani cominciano a ripensare al rapporto tra oggetto comune e opera d'arte, nel più generale quadro di una riflessione sul rapporto fra arte e vita quotidiana. Si approda a una profonda revisione delle premesse moderniste da cui partiva l’Espressionismo Astratto. In questa presa di distanza, 2 sono le figure di maggior rilievo: Robert Rauschenberg e Jasper Johns Robert Rauschenberg (1925-2008) È stato uno degli artisti più importanti del panorama internazionale e membro del movimento New Dada. Quest’ultimo nacque a New York, intorno alle figure del musicista avanguardista John Cage e Merce Cunnigham. I due teorici rielaborarono alcuni concetti dell’avanguardia dadaista, dando vita a opere nate dalla commistione tra diversi generi artistici, con lo scopo di assottigliare la distanza tra la vita e l’arte. Tuttavia, la differenza sostanziale tra l’avanguardia di primo Novecento e quella del gruppo New Dada consisteva nel significato delle loro opere. Mentre i Ready Made dadaisti, come la Fontana (1917) di Duchamp, erano soltanto degli oggetti decontestualizzati che rivendicavano la loro natura artistica, le opere New Dada venivano trasfigurate dall’intervento dell’autore con rimandi all’esperienza personale. Rauschenberg si inserì a pieno all’interno del movimento di Cage e di Cunnigham realizzando delle opere che fossero dei frammenti di vita. Nel corso della sua carriera, l’artista texano non si limitò unicamente alle tecniche tradizionali, ma sperimentò anche quelle più inusuali, spesso combinandole tra loro al fine di aumentare le sue possibilità artistiche. Infine, Robert fu molto attento anche a diverse tematiche sociali, quali la tutela dell’ambiente e la critica al sistema consumistico. Sappiamo che R. nel 1948 si iscrisse al Black Mountain College (un innovativo college statunitense), dove era diventato professore di pittura Josef Albers (Bottrop, 1888 – New Haven, 1976), uno dei fondatori della Bauhaus*pag40, celebre istituto d’arte tedesco chiuso negli anni Trenta dai nazisti. 86 Negli anni a seguire Robert intraprese un viaggio in Europa e in Nord Africa, durante il quale iniziò a combinare dipinti, sculture e oggetti di tutti i tipi per creare un’unica opera. Questi progetti furono importanti per la futura elaborazione della serie Combines (1954-1964), le opere più importanti di Rauschenberg. Infatti, già in questi collage era ravvisabile l’intento del giovane statunitense di diminuire la distanza tra l’arte e la vita di tutti i giorni. Nello specifico, parliamo di combinazioni tra pittura e scultura, che andavano ben oltre le solite categorie artistiche. Infatti, la serie di combine-paintings includeva delle opere molto diverse tra loro: alcune venivano appese al muro, altre stavano in piedi da sole e i materiali adoperati cambiavano di opera in opera. L’artista iniziò a raccogliere oggetti per strada, nelle discariche e in ogni genere di negozio per poi assemblarli e trattarli insieme. Tramite questo processo Rauschenberg riusciva a dare una nuova vita agli oggetti scartati dalla società: da una parte elevandoli allo stato di opere d’arte, dall’altra utilizzando il loro effetto di straniamento e sorpresa. Quest’ultimo era causato dalla presenza di elementi inusuali, poiché scartati dalla società, all’interno del contesto artistico, finora esclusivo di opere dall’alto valore intellettuale ed estetico. Tra le Combines più famose ricordiamo Bed (1955) e Monogram (1955-1959). Nel primo caso, Robert Rauschenberg appese un materasso a una parete completo di coperte, lenzuola e cuscino. Le tracce di pittura gli aggiungono però qualcosa di vissuto, a tratti drammatico. L'opera presenta il carattere del quadro. Tramite questo oggetto Rauschenberg riuscì a trasportare la dimensione intima dell’artista dinanzi agli occhi dello spettatore, dal momento che il letto costituisce il luogo in cui si susseguono le tappe principali della vita di ogni essere umano. In Bed l’effetto sorpresa è ottenuto tramite la sostituzione della tela con un letto, ma è in Monogram che lo straniamento è perfettamente raggiunto da Rauschenberg. Infatti, lo spettatore si trova davanti a una capra imbalsamata, appoggiata su una tela stesa per terra, simile a quelle di Jackson Pollock. In un’intervista Rauschenberg spiegò che l’opera non aveva alcun intento polemico, ma che aveva lo scopo di sorprendere lo spettatore. In questo caso l’effetto di straniamento è ottenuto tramite la presenza di un essere vivente ormai morto, che acquista nuova vita, grazie all’elevazione a oggetto artistico. Jasper Johns Anche Jasper Johns si oppose nettamente alla gestualità dell’Espressionismo astratto per proporre atti creativi il più possibile privi di intervento personale dell’artista. Condivide con Rauschenberg questo l’interesse per il dada, ma non nei termini di quell’attacco anarchico alle strutture borghesi, non c’è questa volontà di messa in discussione di una società borghese, ma guarda all’effetto Duchamp, quindi in mettere al centro una dimensione individuale. La sua posizione fu molto vicina al Nuovo Realismo francese che metteva in discussione la realtà e la sua rappresentazione. Le azioni New Dada di Jasper Johns iniziarono col rappresentare il simbolo americano con tecniche diverse e in contesti di vario tipo. Fu una rivisitazione del ready-made utilizzato da Marcel Duchamp, artista Dada del primo Novecento, con le quali, le prime opere di Johns condividono ilo carattere anaffettivo e anestetico. Importante specificare che in Johns, gli oggetti non sono reali ma dipinti. Con una operazione di ready-made l’oggetto di uso comune, mai osservato con uno sguardo estetico, veniva decontestualizzato e rappresentato attraverso la sua esposizione in ambiente artistico. Flag fu un esempio di questa scelta creativa elevando ad oggetto artistico il simbolo della Nazione Americana. Nella traduzione pittorica, specie all'inizio, Johns si serve di una tecnica desueta, quella dell’encausto, creato immergendo fogli di giornale nella cera liquida facendoli poi aderire alla tela, con parsimoniosi interventi del pennello. Usato in questo modo l’encausto produce una superficie densa, ricca metaforicamente di tante informazioni nascoste. Si tratta di una tecnica il cui segno non è dettato dal gesto dell'artista, ma dal comportamento di una materia che, lontana dal fuoco, a contatto con l'aria si raffredda rapidamente e perde viscosità. L'immagine della bandiera di Jones, rispetto al prototipo del mondo reale appare quindi sfocata. Oltre le bandiere, un altro soggetto caro a Johns sono i Bersagli , come Target with Plaster Casts (1955), che introducono un altro tema: quello dell'impronta. Si tratta essenzialmente di opere basate sulla tensione fra il visivo e il tattile, fra la superficie e le tre dimensioni. 87 ALLAN KAPROW E L’HAPPENING L'happening è una forma d'arte contemporanea che nasce a opera di Allan Kaprow e si focalizza non tanto sull'oggetto ma sull'evento che si riesce ad organizzare: «L' "happening" è una forma di teatro in cui diversi elementi alogici, compresa l'azione scenica priva di matrice, sono montati deliberatamente insieme e organizzati in una struttura a compartimenti». Nel 1956 Allan Kaprow riflettendo sull’eredità di Jackson Pollock immaginò un’arte nuova, che contemplasse vista, suoni, movimento, persone, odori, ogni sorta di materiali e di oggetti. Quando la nuova forma d’arte si concretizzò ad opera sua e di un gruppo di giovani artisti la identificò con il termine happening, che letteralmente significa accadimento, da lui stesso definita come “assemblage di eventi che si svolgono in più di una situazione spaziale e temporale e un lavoro artistico attivato da performer e dal pubblico”. Mutuata dall’esperienza del New Dada, l’idea dell’assemblaggio, riletto in chiave metropolitana da Robert Rauschenberg e Jasper Johns, approda negli happening (accadimenti) inaugurati da Kaprow con l’intento di abolire la distanza tra fruitore e autore dell’opera e avvicinare arte e vita. L’evento che segna la nuova attitudine dell’arte si apre a New York nel 1959 con il primo happening organizzato da Kaprow nella Reuben Gallery, 18 happenings in 6 parts. L'Happening è qualcosa che avviene, collocato in una trama strutturale a comparti, in ognuno dei quali accade un evento, o autonomo o sequenzialmente collegato con gli altri o contemporaneo ad essi, un accadimento che viene oggettivizzato fino a costituire esso stesso l'opera compiuta. Il fatto che l’Happening abbia una durata e si svolga comunque nel tempo introduce un nuovo elemento come parte integrante ed importante dell'opera, che alla fine della rappresentazione resterà nella memoria o nella documentazione come tempo vissuto. Si serve spesso di oggetti quotidiani, pone quindi il rapporto tra arte e vita quotidiana. negli anni successivi si passa dall’oggetto comune all’uso di immagini provenienti dal mondo della comunicazione di massa. In alcuni casi ci sono performer che eseguono azioni, ma quello che ci interessa è che l’happening non è una sceneggiatura o un testo teatrale che può essere replicato. In alcuni casi vengono date istruzioni ai performer ma non sono azioni replicate, e se vengono riproposti lo si fa dando delle coordinate ma certamente non saranno identici. Ci sono anche casi in cui non ci sono performer ma è il pubblico che svolge azioni. Quindi in caso, ciò che accade, non è ripetibile. Per esempio Yard di Kaprow. Il pubblico può spostare i copertoni delle ruote quindi cambiare la forma. Yard è stata riproposta in molte occasioni nel cortile del museo madre. Non è lo stesso happening precedente perché ora si identifica con i singoli elementi che identificano l’azione; quindi, azione legata al singolo ed è irripetibile nella stessa maniera perché cambia il pubblico. Senza pubblico gli happening non avrebbero successo perché è proprio la partecipazione importante, anche in termini temporali, il tempo dedicato a quell'evento. POP ART Questo interesse per l’evento non è solamente condiviso da Kaprow ma anche da una serie di artisti che faranno parte dell’esperienza della pop art. Con la generazione degli artisti pop si pone il problema dell’oggetto così come appare nel mondo delle comunicazioni di massa. È un’arte costruita su immagini e oggetti quotidiani, che assumono le vesti dei mass- media, sia sotto il profilo visivo, sia sotto quello delle pratiche esecutive, oltrepassando il confine tra arte e kitsch (cosa ritenuta impossibile da Greenberg) La Pop Art è un’arte costruita su immagini e cose appartenenti alla vita quotidiana come, ad esempio, le scatole da imballaggio proposte da Andy Warhol in una celebre mostra del 1964, non sono contenitori anonimi ma le copie esatte degli imballaggi disegnati dal grafico James Harvey per la compagnia di detergenti Brillo, così come le immagini dei fumetti, selezionate e ingigantiti da Roy Lichtenstein. Lui nelle sue opere mostra il lato oscuro della società di massa, lutto, morte come nella Marilyn e Jaqueline Kennedy (vedova del presidente degli stati uniti), la sedia elettrica, scontri fra polizia e molto altro. 90 NOUVEAU RÉALISME Mentre, intorno al 1960, a New York si sviluppava il fenomeno pop, l’interesse per la cultura di massa si diffondeva rapidamente anche in Europa prende forza il suo corrispettivo movimento artistico, denominato Nouveau Realisme, con rappresentanti come Arman, Yves Klein, Daniel Spoerri, Tinguely e Mimmo Rotella. Il Nouveau Réalisme è uno dei movimenti più importanti tra quelli che hanno caratterizzato la stagione artistica degli anni '60, di diretta derivazione dalle avanguardie dadaiste di inizio scorso secolo, delle quali riprende l'atteggiamento dissacrante nei confronti dell'arte tradizionale. In questi termini, si può dire che rappresenti la risposta europea al movimento New Dada americano, anch'esso di derivazione dadaista, che diventerà poi Pop Art. Poiché, negli anni immediatamente precedenti, nel frattempo si è sviluppata ed ha fatto scuola l'Action painting di Pollock, della quale è giunta l'eco anche in Europa, per il naturale processo di osmosi che lega tutti i fenomeni della storia non solo dell'arte, nel Nouveau Realisme ne ritroviamo qualche contaminazione sotto forma della valorizzazione che viene fatta dell'azione dell'artista sull'oggetto e delle possibilità di intervenire su di esso, anche in termini fortemente incisivi. Con la sua esclusiva azione, l'artista compie così un processo di dissemblage, quando l'oggetto di consumo ordinario non viene semplicemente esposto, ma sottoposto ad un'azione distruttiva (Arman, Rotella), metafora della violenza che la società esercita sui valori morali, oppure violentemente compresso (Cesar), così come il sistema comprime l'esistenza e la libertà dell'individuo. L'oggetto decontestualizzato che il Dadaismo di Duchamp eleva ad opera d'arte conferendogli dignità estetica, è visto, nel Nouveau Realisme, nella sua banale oggettività, elemento d'uso quotidiano, rifiuto ingombrante ed inquinante, con atteggiamento più affine a quello degli artisti pop americani. Nel complesso, gli artisti del Nouveau Réalisme esprimono un messaggio che è, sì, ironico e dissacrante quanto il Dadaismo di un Duchamp, ma pervaso da una drammaticità più intensa, percorso da un filo di disperazione impotente davanti alla società degli egoismi individuali e del benessere soggettivo. Nello stesso tempo viene accentuato il valore mentale dell'operare dell'artista, della sua azione sia fisica che intellettuale, che costituisce il vero evento artistico, in contrapposizione all'opera vera e propria, che perde in parte il significato un po' feticistico del ready-made dadaista. Secondo alcuni storici, la definizione di Nouveau Réalisme viene dall'America, dove è associata all'opera di Jasper Johns e Robert Rauschenberg e alla loro tecnica dell'assemblage, che precorre per certi aspetti la Pop Art, anche se la maggior parte delle fonti accredita l'invenzione della definizione a Pierre Restany. Arman Arman, inizia come artista disimpegnato, che ricapitola in una serie di opere influenzate dalle correnti più disparate, dal Cubismo all'Astrattismo, i suoi primi tentativi nel mondo dell'arte. Non è un artista precoce né particolarmente dotato, finché, verso gli anni '60, elabora un suo linguaggio che egli stesso definisce "della quantità", dando vita, con altri artisti contemporanei, a quel Nouveau Réalisme di cui troviamo tracce negli americani Jasper Johns e Robert Rauschenberg, movimento che non diventerà la Pop Art solo perché in Europa il mercato dell'arte non monopolizza i capitali e le transazioni finanziarie che la ricca America mette in moto ed i potenti personaggi che lo controllano sono tutti là, oltreoceano, italiani, francesi, soprattutto ebrei. La matrice di partenza degli accumuli è chiaramente dadaista, come è dadaista la matrice della Pop Art (o new dada), tuttavia Arman ne trae una sua personale versione strutturata in modo del tutto originale e programmato, dimostrando che "la presunzione apparente era una lucidissima volontà". 91 Certo queste sue opere, di cui è efficace esempio questa La Poubelle de Jim Dine, 1961, dalla tematica di forte significato simbolico (la poetica dello scarto, indice di un atteggiamento collettivo proprio di una civiltà, quella industriale virgola che elimina invece di conservare; in certi casi i rifiuti possono essere rivelatori per esempio della personalità o dei gusti di un singolo individuo: sono infatti così concepiti i portrait-poubelle, in cui egli raccoglie i residui abbandonati da persone a lui note virgola che denunciano le abitudini del soggetto “ritratto”), farebbero la gioia di qualunque dadaista, ironica celebrazione dell'objet trouvé, anonimo scarto della civiltà dei consumi che il gesto demiurgico dell'artista decontestualizza facendone oggetto artistico, trasformando la pagina bianca in poesia, tuttavia, ad un più approfondito esame, le differenze e le innovazioni rispetto al dada non sono poche. Il concetto dell'accumulo è in realtà estraneo alla poetica duchampiana, basti pensare alla ruota di bicicletta enfaticamente esposta così com'è su un alto sgabello, l'accumulo presuppone infatti un intervento diretto sulla materia, una sua trasformazione, anche violenta, che invece il ready-made duchampiano non prevede: nel caso di Arman l'azione sia fisica che intellettuale esercitata dall'artista sul materiale costituisce il vero evento artistico, quasi in contrapposizione all'opera vera e propria, che perde in parte il significato un po' feticistico del ready-made dadaista. Differenza rilevante di questo linguaggio eminentemente quantitativo rispetto al Dadaismo è anche una certa sovrabbondanza del messaggio, la uniforme continuità materica della composizione, nella quale gli oggetti, fittamente accostati, incastrati e compressi, invadono tutto il campo visivo con un effetto di copertura totale, addivenendo ad un risultato quasi pittorico: l'occhio dell'osservatore vaga in circolo da un oggetto all'altro, senza soluzione di continuità, senza trovare spazi vuoti, né soste, né buchi, in composizioni all over che ricordano da vicino il dripping di Jackson Pollock e la superficie indifferenziata dei suoi dipinti senza verso né centro, né sopra, né sotto. Yves Klein Nell'ambito del Nouveau Realisme, la personalità di maggior rilievo è rappresentata da Yves Klein, straordinario personaggio artistico ed umano, che per tutta la sua breve vita si divise tra sperimentalismo spinto e spiritualismo di tipo zen, alla ricerca di valori metafisici ed assoluti da lui associati al potere simbolico del colore. È agli antipodi di Arman. Klein iniziò a esporre quando aveva circa trent’anni, a metà degli anni Cinquanta, e lo fece con dipinti in cui la tela era coperta da un unico colore uniforme, principalmente il blu, che l’artista chiamava “International Klein Blue”. L’artista spiegò la sua teoria della pittura monocroma come sforzo di liberare il colore dall’emozione soggettiva, attribuendogli così un’importanza quasi spirituale. La preferenza per le tonalità del blu-azzurro, che nella psicologia del colore rappresenta il colore spirituale per eccellenza, denuncia una tensione verso l'illimitato, l'immateriale, in natura rappresentati dal cielo e dal mare, entrambi blu, che sono per lui "il supporto di intuizioni non racchiudibili in formule". Il blu diventerà per Klein il veicolo per esprimere emozioni, intuizioni, stati mentali profondi in relazione ad un suo personale concetto di transmentalismo cosmico. Klein usò, in periodi successivi, vari linguaggi formalmente molto diversi tra loro, dai mezzi "naturali" quali il fuoco di un lanciafiamme o la pioggia battente per ottenere determinati effetti, ai "pennelli umani" (Anthropometries), corpi nudi di modelle immerse nel colore e poi fatte sdraiare sulla tela per imprimervi il profilo del corpo, ma oggi, a distanza di tempo, le sue opere più tipiche sembrano essere i "monocromi". Si tratta di una serie di opere, di cui una è quella presentata in questa pagina, realizzata tra il '46, anno della "rivelazione" del blu, ed il '61, dove si assiste al consolidamento della sua poetica, che si struttura in cromie monotone entro spazi vuoti, su grandi tele fuori dimensione standard. Egli utilizzò poi questo stesso colore anche per altre opere come sculture e rilievi di spugna su tela. Un esempio è la Nike di Samotracia (1962): la scultura è in resina sintetica sostenuta da un blocco di pietra tramite un tubo metallico. Riproduce una delle più grandi icone dell’arte classica, la Nike di Samotracia, conservata al museo del Louvre ma chiaramente non è una rappresentazione fedele. Le forme sono semplificate e la statua è interamente ricoperta da un colore blu oltremare che modifica le ombre e la percezione dei volumi. Qui Klein, in generale, compie un'operazione dissacratoria che rammenta quella duchampiana nel disegnare i baffi alla Gioconda, con l'intento di mettere alla berlina gli stereotipi della cultura alta. 92 FLUXUS Negli anni ’60 sono tanti i movimenti artistici italiani e internazionali che hanno attraversato il mondo dell’arte, come l’arte Povera, Pop, optical e decine di altri movimenti e sotto movimenti che vantano ad oggi anche discrete collocazioni sul mercato. Tra tutti c’era un gruppo di artisti, giovani e rivoluzionari, amanti di Duchamp e legati da un certo approccio Dada nei confronti dell’arte e della vita, uniti intorno alla figura di John Cage, e guidati da un architetto lituano di nome George Maciunas, a cui la vita non diede la fortuna, o forse fu meglio così, di vedere gli sviluppi della sua creatura. Il movimento Fluxus sorge tra il 1961 e il 1962. Il nome Fluxus, viene dal latino che significa flusso, fu dato dall’artista lituano George Maciunas (1931-1978) e sta ad indicare un fenomeno in continuo mutamento, che non ha né forma né luogo. La corrente fonda le sue radici in manifestazioni d’avanguardia come l’happening, la performance, filmati, concerti di musica sperimentale, festival, eventi occasionali senza apparente pianificazione, oltre che assemblages che prevedono la ricombinazione di oggetti quotidiani secondo modalità casuali. Per questo ultimo aspetto si differenzia dal Dadaismo, nel quale è presente una intenzionalità verso un risultato estetico dell’oggetto manipolato nel suo significato attraverso la decontestualizzazione. Su questa scia, Fluxus promuove l’idea di un’arte ibrida, alla ricerca di strumenti nuovi che la relazionino con la vita e ne permettano una più ampia comprensione, attraverso la simbiosi tra varie forme espressive e tra realtà e creazione artistica. Fluxus conosce una diffusione planetaria, dall’America all’Europa, dal Giappone alla Corea. Si diffonde presto anche in Francia, Italia e Gran Bretagna. Il movimento intende rompere le divisioni e la frantumazione dell’arte per scuole, gruppi e mercato, chiamando intorno a sé artisti americani, europei, giapponesi, coreani, al di là delle distanze geografiche e culturali. Alla frammentazione della comunità artistica voluta dal sistema, Fluxus risponde con la concentrazione e l’affermazione di un’unica comunità, in cui fluidamente entrare e uscire. Fluxus non è mai stato un gruppo unificato né ha avuto manifesti programmatici, ma ha rappresentato un insieme di individui e di artisti, che hanno partecipato attivamente al movimento portando avanti le loro personali sperimentazioni. Se si parla di Fluxus come movimento, non lo si deve intendere come movimento d’avanguardia. I fluxers, infatti, rifiutano qualsiasi definizione che li ingabbi in schemi preconcetti. Dell’avanguardia – nonostante segua le orme del dadaismo e la poetica del ready-made- non ha più quella fiducia in un’utopia unificante, nel progresso scientifico e in quello storico che sono propri dell’Action Painting, del New-Dada, della Pop-Art o del Nouveau realism. Fluxus si muove piuttosto come un fronte mobile di individui e non come un gruppo codificato di “addetti ai lavori”. Se in questo fronte confluiscono senza pregiudizi le esperienze delle avanguardie precedenti, si vogliono però abolire per quanto possibile i confini fra le varie discipline artistiche, fra artista e pubblico, fra arte e vita. Il termine, infatti, viene coniato per rappresentare un progetto mirato alla fusione di tutte le arti, rispettando comunque le specifiche di queste. Il pubblico è parte attiva delle azioni fluxus, in alcuni casi agisce insieme agli artisti. Alison Nolde invita il pubblico a salire sul palco e a descrivere ciò che indossa e raccontare come ha comprato ciò che indossa. Oltre ad un movimento artistico espressivo, Fluxus può dunque essere definito un atteggiamento nei confronti della vita, un tentativo di eliminare la linea di divisione tra esistenza e creazione artistica. Rifacendosi all’happening americano, Fluxus teorizza un modo di fare arte che è un fluire ininterrotto di situazioni, percezioni e molteplici esperienze estetiche e sperimentali. La caratteristica di Fluxus è l’interdisciplinarietà dei suoi eventi e ingloba svariate correnti artistiche, per esempio la musica sperimentale, il Nouveau Réalisme, la videoart, l’arte povera, il minimalismo e l’arte concettuale. Gli artisti di tale movimento esprimono la casualità e la quotidianità delle cose: essi, infatti, non si basano sullo studio di oggetti privilegiati o sacri ma rappresentano l’arte attraverso un concetto ludico, abbandonando i valori estetici (in reazione all’Espressionismo astratto) per concentrarsi su Humor e Non-sense. In sostanza, si caratterizza: 1. Carattere performativo 2. Festival: Maciunas trova spazi di esposizione assolutamente diversi rispetto agli spazi istituzionali come gallerie. Essi rifiutano questi spazi preferendo organizzare eventi diversi in cui proporre le loro azioni. Il festival poteva addirittura 95 Più avanti, per esaltare l'aspetto plastico e bidimensionale dei suoi quadri, pose l'accento sul loro supporto testimoniandone la fisicità e la capacità strutturale. Nacquero così le cosiddette Shaped Canvases, tele sagomate nelle quali la struttura del quadro coincide con le bande di colore dipinte su di esse. Nel 1960, inaugurò le Alluminium Series, piani in alluminio o in rame dai colori compatti; a seguire le serie Concentric Squares e Mitered Mazes (1962-63), dai colori sempre più accesi e disposti seguendo un rigido andamento regolare. Per quanto concerne la scultura: la scultura minimal è caratterizzata dalla scelta di volumi geometrici primari organizzati in sequenze seriali poste in diretto rapporto con lo spazio espositivo e sviluppati spesso con materiale di tipo industriale: acciaio, alluminio, plastica, plexiglass, etc. Uno dei protagonisti della scultura minimal fu Robert Morris. Al principio degli anni ‘60 produsse i primi Unitary Objects, semplici volumi simili a prodotti industriali ma, a differenza di questi, dotati di lievi irregolarità. Nel 1964, presentò alla Green Gallery di New York le Primary Structures, elementi geometrici in legno dipinto, dove l’intervento dell’artista consiste sia nell’ideazione che nella disposizione ambientale. Un esempio sono gli L-Beams (Strutture a L), volumi a forma di L, ci sono tre elementi che hanno le stesse caratteristiche dimensionali, ma che essendo collocate diversamente nello spazio sembrano essere una di diversa dall’altra.. Nel 1967 seguono i Felts*pag.98 (l’immagine: Brown Felt), ovvero grandi panni di feltro le cui forme sono determinate dallo loro peso specifico e non dalla disposizione, un gesto che può essere posto in maniera simbolica come momento di chiusura della corrente minimale. Questo tipo di ricerche è segnalato dall’uso del peso e della gravità, e dall'ingombro; quindi, il tipo di arte tradizionale viene messa in discussione. Si nota che l’ingombro delle sculture che: 1. Non accetta più di essere manipolata a fini decorativi 2. Per provare un rapporto dirette con le sculture bisogna entrarci dentro, percorrerle fisicamente. Quindi per la prima volta il fruitore p costretto a confrontarsi con il volume, con il peso e l’ingombro. ALTRI ARTISTI Carl Andre con i suoi Elements series con cui ricopre intere zone di spazio. Realizza questa serie di blocchi dove c’è tridimensionalità attraverso la sovrapposizione, ma notiamo che nell’opera manca il piedistalllo che viene abolito dai minimalisti. Inizia poi ad applicare questo sistema al suolo che invase con pavimenti regolari. Sol Lewitt nel 1965 presenta Open cube module dove ridusse il linguaggio a quartato e cubo e al colore bianco. La situazione europea è più complessa e frazionata. In Europa, la cultura minimalista si diffuse in maniera più eclettica e meno sistematica. ciascun artista, infatti, diede ad essa una propria, originale interpretazione sviluppando formule e codici espressivi differenti raramente inscrivibili in un contesto teorico o espositivo unitario. In Italia si segnalano le precoci esperienze di Francesco Lo Savio con i suoi Filtri, i suoi Metalli e le sue Articolazioni Totali, tutti datati entro il 1962 e di Mario Schifano, con le sue carte monocrome applicate sulla tela. Se il minimal utilizza strutture primarie che parlano di sé stesse, del peso e della forma dell’opera, e quindi non si misura con questioni sociali e politiche, Morris introduce un altro elemento: l’osservatore, che non è più solo occhio e non guarda esclusivamente, ma entra nel campo dell’opera e percepisce lo spazio e l’opera che è colei che costruisce la spazialità percepita dallo spettatore. 96 LAND ART Verso la fine degli anni 70 prende vita la LAND ART, ovvero operazioni artistiche compiute direttamente sul territorio e al di fuori dei centri espositivi tradizionali. Spesso sono operazioni realizzate in luoghi inaccessibili, come regioni desertiche e hanno un carattere provvisorio perché si degradano con il tempo e non rimane altro che documentazione fotografica o cinematografica. La Land Art è una forma d’arte contemporanea sorta negli Stati Uniti tra il 1967 e il 1968 che si basa sull’intervento dell’artista sull’ambiente circostante che diventa parte essenziale dell’opera d’arte (temporanea, il più delle volte). La land art rappresenta l’espressione della presa di coscienza della questione ambientale da parte del mondo dell’arte. È la prefigurazione artistica di nuovi modelli di vita. È una riflessione sul rapporto dell’uomo con l’ambiente che si inscrive pienamente nella costruzione epistemologica delle categorie natura-cultura, sviluppatasi in seno al pensiero moderno occidentale. La land art è arte fatta con, e nella, natura: abbandonati i confini della tela e della scultura e uscendo dalla cornice stessa del museo, le opere artistiche iniziano a essere composte direttamente nel paesaggio, in formato macroscopico e con l’utilizzo di materiali ed elementi naturali. Alcuni esempi: Richard Serra: è noto per la pulita monumentalità delle sue sculture in metallo. Realizzato in lastre di acciaio ricoperte da una soluzione specifica che conferisce loro un aspetto arrugginito che si trasforma nel tempo inducendo una dialettica sottile con l'ambiente naturale. Attraverso il potere spaziale delle loro forme rettilinee o curve, si integrano nelle particolarità fisiche del paesaggio ingrandendolo. Nel 1979 il General Service Administration (GSA), un’agenzia indipendente del governo degli Stati Uniti, in accordo con il National Endowment for the Arts (NEA), decide di commissionare una scultura all’artista Richard Serra. Collocata nella Federal Plaza, la scultura, chiamata Tilted Arc, una linea di acciaio color ruggine di quaranta metri, alta quattro, leggermente curva e inclinata, taglia in due lo spazio, bloccando visuali e percorsi a chi frequentava la piazza. Serra ha detto del progetto: "Lo spettatore diventa consapevole di sé stesso e del suo movimento attraverso la piazza. Mentre si muove, la scultura cambia. La contrazione e l'espansione della scultura risultano dal movimento dello spettatore. Passo dopo passo, la percezione non solo della scultura, ma dell'intero ambiente cambia". L'acciaio è autoossidante ed è progettato per sviluppare nel tempo un aspetto arrugginito naturale. Per Serra, una parte importante del significato dell'opera era che avrebbe interagito con il pendolare che passava per la piazza, un luogo che di solito attraversava velocemente sulla strada per un altro posto. Dieci anni dopo viene smantellata, segata a pezzi, i suoi resti immagazzinati a Brooklyn. Michael Heizer: Tra il 1969 e il 1970, Michael Heizer, pone nel deserto del Nevada la sua opera più nota, Double Negative: due lunghi solchi profondi 15 metri scavati con le ruspe come a formare due canyon artificiali in asse tra loro e solcati nel mezzo dal declivio naturale del terreno. I due solchi gemelli creano tra di loro un vuoto, uno “spazio negativo”. Come Fontana “scolpiva” le sue tele con tagli attraverso i quali lo spazio bidimensionale accoglieva la terza dimensione, lasciando l’infinito “fluire” attraverso i tagli, così i solchi di Heizer tagliano l’enorme tela degli altipiani del deserto del Nevada aprendo, col vuoto, lo spazio all’Infinito. Robert Smithson: Nel 1970 realizza Spiral Jetty. Si tratta di una enorme spirale creata sulle rive del Grande Lago Salato dello Utah e composta da cristalli di sale, sabbia e rocce basaltiche. L’idea originale era di creare una spirale che incorniciasse una piccola isola artificiale, ma poi fu realizzata una figura più semplice. Ricordiamo anche i Non sites (1968): Questa serie presenta delle installazioni composte da involucri geometrici, strutture simili a bidoni in cui l'artista ha depositato rocce, sabbia, cemento rotto e altri elementi che ha raccolto in vari siti nel New Jersey. Decisamente più monumentale è Asphalt Rundown: In una cava fuori Roma, Smithson ha versato un camion carico di asfalto caldo lungo un ripido terrapieno, che si è raffreddato e indurito mentre cadeva. La scultura che ne risulta può essere vista come un tempo congelato, a metà flusso o come un altro strato sedimentario nell'infinito accumulo del tempo. In Europa le ricerche ambientali assunsero un carattere meno invasivo rispetto a quanto avviene negli USA. In Gran Bretagna un centro importante fu Londra dove si ebbero gli esordi di alcuni dei principali artisti di questa tendenza. Un caso è quello di Richard Long che operò sul paesaggio urbano attraverso gesti come camminare su un caso po’ al fine di tracciare una linea sull’erba (A Line Made by walking) 97 ARTE CONCETTUALE L’arte concettuale è, prima di tutto, un modo di concepire la pratica artistica, che si è poi declinata, a partire dagli anni ‘60, in diversi movimenti e correnti. Ne sono un esempio la Minimal Art, l’arte povera, la performance art degli anni ‘60 e ‘70 con i relativi happenings. Arte concettuale è un termine che riporta l’attenzione su un mutamento generale del fare e concepire l’arte, che continua a dialogare con le forme del contemporaneo. Questo mutamento avviene all’interno di un contesto storico ben preciso, quello della seconda metà del ‘900, e ha degli antefatti nella storia dell’arte che risiedono nelle avanguardie storiche, che hanno anticipato l’idea di happening artistico (come le serate futuriste e il Cabaret Voltaire dadaista). L’arte concettuale rappresenta il punto di arrivo di un processo che, partendo dall'Impressionismo, prova a sottrarre l’arte dai vincoli formali che ne costituiscono la tradizione, come la mimesi, e delinea un nuovo orizzonte per l’azione artistica, caratterizzata da una costante riflessione verso il rapporto tra fruitore e opera, e dal permanere di un atteggiamento critico verso le sue premesse. Dentro questa cornice rientrano esperienze anche molto distanti tra di loro, come la land art, la body art e l’arte povera, che possiedono però un comune denominatore. In questo senso, le prime esperienze concettuali sono senz’altro quelle dei movimenti neo-Dada e Minimal degli anni ‘50 e ‘60, consistenti nella pratica di utilizzo di oggetti quotidiani inseriti all’interno dell’opera d’arte. Gli artisti precursori dell'Arte Concettuale si trovano nella Corrente francese Dada interpretata da Marcel Duchamp, Man Ray e Francis Picabia che portano in primo piano il pensiero ed il concetto rispetto all’impatto visivo ed emotivo dell'opera d'arte. Il primo artista ad aver usato la definizione "concettuale" per definire il suo programma artistico è stato l'artista americano Joseph Kosuth. Una delle sue opere più famose, che spiega bene il concetto di Arte Concettuale, fu Una e tre sedie (1965), in cui l'artista espone una sedia in legno pieghevole disposta contro la parete bianca. Alla sua sinistra sulla parete è appesa una immagine in bianco e nero che riproduce la sedia nella stessa posizione. A destra invece si trova un pannello allineato con il bordo superiore della fotografia che riporta la definizione del termine sedia tratto da un dizionario in lingua inglese. Joseph Kosuth con quest’opera riflette sul concetto di realtà e di rappresentazione. Nell’installazione infatti l’artista si interroga sul concetto di sedia. Per fare questo espone un oggetto reale accanto ad una sua immagine e ad una sua definizione letterale tratta da un dizionario. L’artista si muove quindi su tre livelli di realtà. Utilizza la tridimensionalità dell’oggetto reale, l’immagine dell’oggetto e la definizione del termine linguistico. Nel 1967 inaugura Art as Idea as Idea, una serie composta da gigantografie di testi scritti come frasi o voci di dizionario. L’Italia ha una lunga tradizione di artisti che sono appartenuti alla corrente del concettuale. Tra questi ricordiamo Alighiero Boetti, incluso da Germano Celant nella prima mostra dedicata all’Arte Povera nel 1967*pag.99. Alighiero Boetti Alighiero Boetti, o Alighiero e Boetti come si firma a partire dal 1971, duplicandosi in due personalità, scrivendo con entrambe le mani, fino ad arrivare all’impossibilità di sdoppiarsi realmente, si avvicina all’arte da autodidatta, legandosi a numerosi interessi che si porta avanti per tutta la sua carriera, come la filosofia e l’esoterismo. Boetti è affascinato dai sistemi che l’umanità ha utilizzato nella sua storia per organizzare le proprie conoscenze. Le sue opere possono essere considerate come pienamente concettuali, seppur spesso viene inserito all’interno del movimento Arte Povera. Questo è ravvisabile in molti suoi lavori, come Cimento dell’armonia e dell’invenzione, in cui un processo mentale viene trasferito con dei segni su dei fogli quadrettati. Boetti esaminò concetti tanto elementari quanto fondamentali per la vita quotidiana, dando loro manifestazione visiva attraverso rappresentazioni pittoriche, grafiche, plastiche dense di ironia e sviluppate spesso in forma seriale. Ad esempio, affrontò il tema del doppio (Gemelli, 1968), della tautologia (Niente da vedere, niente da nascondere, 1968-69), del tempo (i cicli postali), della storia (le Mappe ricamate in Afghanistan).