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Sintesi Diritto Internazionale, C. Focarelli, Diritto Internazionale, Sintesi del corso di Diritto Internazionale

Sintesi seconda parte del libro, cap. 4, 5, 7

Tipologia: Sintesi del corso

2016/2017

Caricato il 14/11/2017

Sara2196
Sara2196 🇮🇹

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Scarica Sintesi Diritto Internazionale, C. Focarelli, Diritto Internazionale e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Internazionale solo su Docsity! PARTE II NORME INTERNAZIONALI PROTETTIVE DEI VALORI COMUNI DELL’UMANITÀ CAP IV: ORDINE INTESTATALE Sezione 1 – Privilegi e immunità degli organi stranieri 122. Premessa Da un punto di vista giuridico, è dalle norme oggettivamente dimostrabili che si può risalire ai valori comuni giuridicamente rilevanti e al grado della loro protezione effettiva, non dai valori indentificati in astratto alle norme giuridiche. Un valore che il diritto internazionale persegue è l’“ordine intestatale mondiale”. Le norme che più delle altre sono dirette a salvaguardare l'ordine intestatale mondiale sono quelle che regolano: a) il trattamento degli organi stranieri; b) il trattamento degli stati stranieri; c) il trattamento delle organizzazioni internazionali. Le immunità esistono per proteggere il sistema mondiale e proteggono un valore comune dell'umanità 123. Immunità degli agenti diplomatici La ratio delle immunità diplomatiche è tradizionalmente espressa con la formula ne impediatur legatio: le immunità sono concesse agli Stati per evitare che lo Stato territoriale, esercitando il potere di governo nel suo territorio, possa ostacolare l'attività dei rappresentanti di altri Stati e le relazioni internazionali nel loro complesso. Per ogni Stato, il rispetto dei propri diplomatici all'estero, implica il rispetto dei diplomatici altrui. Le immunità spettanti agli agenti diplomatici stranieri sono regolate dalla Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche del 1961 la quale definisce le regole indispensabili al mantenimento di relazioni pacifiche tra Stati e accettate in tutto il mondo dalle nazioni di tutte le fedi, culture e appartenenze politiche. Lo stabilimento di relazioni diplomatiche avviene per mutuo consenso. Una volta che un diplomatico straniero viene accettato, attraverso il “gradimento”, e avvenuto l’“accreditamento” e la presentazione delle lettere credenziali, di solito rilasciate dal Capo di Stato accreditante al Capo di Stato accreditario, lo Stato accreditario ha l'obbligo di riconoscere le immunità diplomatiche. Titolari delle immunità diplomatiche sono: gli agenti diplomatici e familiari conviventi, il personale amministrativo e tecnico della missione e relativi familiari conviventi, il personale di servizio della missione, i domestici privati dei membri della missione. Le immunità diplomatiche previste sono: immunità personale, immunità domiciliare, immunità giurisdizionale e immunità fiscale. a) immunità personale: La persona dell'agente diplomatico non può sottostare a misure coercitive da parte delle autorità locali senza il consenso del suo stato di invio. b) immunità domiciliare: La sede diplomatica e il domicilio privato dell'agente diplomatico sono inviolabili dalle autorità dello stato ricevente. La libertà di movimento per il paese e la libertà di comunicazione devono essere garantite. Così come l'inviolabilità dei mezzi di trasporto, della corrispondenza ufficiale della valigia diplomatica. c) immunità giurisdizionale: Lo stato ricevente non può, salvo eccezioni, esercitare la giurisdizione (civile, amministrativa e penale) nei confronti degli agenti diplomatici dello stato di invio. Sono incluse le immunità funzionali (ratione materiae) sia le immunità personali (ratione personae). La distinzione tra i due tipi di immunità è che l'immunità funzionale spetta al diplomatico non soltanto quando è in carica ma anche quando la carica è cessata e copre gli atti compiuti prima, durante e dopo il mandato. L'immunità personale vale solamente per quanto è in carica per gli atti compiuti prima e durante il mandato. Secondo i termini della Convenzione di Vienna del 1961 mentre l'immunità giurisdizionale penale è assoluta, quella giurisdizionale civile e amministrativa ammette 4 eccezioni: azioni concernenti immobili situati nel territorio del paese accreditario di cui il funzionario si proprietario privato; azioni concernenti successioni aperte dello stato accreditario nel quale il funzionario sia erede etc a titolo privato; azioni concernenti l'esercizio di professioni liberali o attività commerciali svolte dall'agente al di fuori delle sue funzioni ufficiali; azioni che lo vedono implicato in un processo civile. d) immunità fiscale: Lo stato territoriale ha l'obbligo di riconoscere agli agenti diplomatici stranieri l'esenzione del pagamento delle imposte dirette personali. Le imposte indirette sono incluse nei prezzi dei beni. I rimedi che lo stato può attuare in caso di abuso sono: dichiarazione di persona non grata, espulsione, rottura dei rapporti diplomatici. Di solito il diritto diplomatico è considerato un regime autosufficiente. 124. Immunità dei Capi di Stato, dei Capi di Governo e dei Ministri degli esteri Si è recentemente affermata la tendenza a escludere l'immunità giurisdiziale funzionale quando il capo di stato non è più in carica ed è accusato di crimini internazionali. In generale l'immunità funzionale è di regola esclusa negli Statuti dei Tribunali penali internazionali competenti a giudicare crimini internazionali. Anche ai capi di governo e ai ministri degli esteri in visita ufficiale all'estero spetta l'immunità giurisdizionale. 125. Immunità dei consoli e dei membri di missioni speciali I consoli svolgono funzioni amministrative all'estero per la protezione degli interessi dello stato d'invio e dei suoi cittadini. Ai consoli viene riconosciuto una serie di immunità: domiciliare, personale e fiscale. Non viene riconosciuta l'immunità funzionale per le azioni svolte al di fuori delle funzioni consolari. Le immunità diplomatiche non vanno riconosciute neanche ai membri di “missioni speciali”, cioè per missioni create ad hoc per un specifico affare, in questo caso possono essere riconosciute ma con accordi ad hoc. 126. Immunità di corpi di truppa stazionanti all'estero e di altri enti annessi al territorio Lo stato territoriale, nel concedere il passaggio o lo stazionamento, in principio rinunci alla giurisdizione per i fatti puramente interni, che restano di competenza dello stato di invio. Gli accordi che regolano la giurisdizione e le immunità dei corpi di truppa all'estero sono i “status of forces agreements” tra i quali vanno inclusi gli accordi stipulati per le operazioni di peace keeping delle Nazioni Unite. La norma internazionale consuetudinaria prevede il principio della giurisdizione esclusiva dello stato di invio delle truppe. 127. immunità internazionali giurisdizionali, protezione internazionale della persona umana, diritti costituzionali fondamentali e diritto di accesso alla giustizia protetto da specifiche norme soltanto nella misura in cui era cittadino di un altro stato, cioè come straniero, oggi invece il cittadino viene protetto a prescindere dalla cittadinanza grazie a norme internazionali sui diritti umani. 137. Norme internazionali sul trattamento degli stranieri: a) diritto internazionale consuetudinario Lo stato può dichiarare di applicare un trattamento “nazionale”, cioè un trattamento uguale rispetto a quello riservato ai propri cittadini, o un trattamento “internazionale minimo”. Lo stato territoriale può esercitare la sua autorità sugli stranieri nella misura in cui sussista un “legame sufficiente” tra gli stranieri e lo stato stesso. Problemi: 1. Ammissione, estradizione ed espulsione. In principio lo Stato è libero di regolare l'ingresso e l'uscita di stranieri dal proprio territorio purché non si metta in atto un trattamento oltraggioso ma che venga lasciato il tempo di regolare i suoi interessi.Anche l'espulsione collettiva non è consuetudine e sono escluse le espulsioni, estradizioni o allontamenti di uno straniero quando esiste il rischio che nel paese di destinazione verranno commesse gravi violazioni dei diritti umani nei suoi confronti. La cattura o il trasferimento forzato di un cittadino straniero in un altro stato nel quale venga sottoposto ad un procedimento penale sia contrario al diritto internazionale come forma di estradizione o di espulsione mascherata. Le cd “consegne straordinarie” sono ritenute reato. 2. Amministrazione della giustizia. I cittadini stranieri hanno diritto alle garanzie processuali minime in particolare ad assistenza legale adeguata. Il diritto di assistenza consolare può essere previsto da un trattato. L'illecito conseguente al diniego di accesso alla giustizia e al mancato riconoscimento delle garanzie processuali essenziali viene denominato “diniego di giustizia” e costituiva in passato spesso motivo per azioni coercitive in protezione diplomatica da parte dello Stato nazionale dello straniero. 3. Prevenzione e repressione degli illeciti. Gli stati hanno l'obbligo di proteggere la persona o i beni dei cittadini stranieri prevenendo e reperimento offese nei loro confronti. Viene preso come riferimento uno stato civile medio secondo il modello occidentale. 4. Nazionalizzazione ed espropriazioni. Il problema del trattamento dei beni stranieri si è posto negli ultimi decenni soprattutto con riguardo alle espropriazioni e/o nazionalizzazioni. 5. Rispetto del debito pubblico dello stato predecessore. Nel caso di un mutamento di sovranità di uno stato la prassi vede l'applicazione della regola di continuità per i debiti localizzabili mentre la regola della tabula rasa viene applicata per i debiti generali. 6. Rispetto dei contratti. 138. b) Diritto internazionale convenzionale In assenza di norme internazionali generali si applicano trattati, sia bilaterali che multilaterali. L'Italia è sottoposta alle norme dell'UE concernenti la libertà di circolazione delle persone e in generale i diritti connessi alla “cittadinanza europea”. Il principio di non-refoulement non corrisponde al diritto internazionale consuetudinario e non vincola anche Stati che non abbiano ratificato trattati che lo prevedono. La clausola Calvo prevede la rinuncia da parte dello straniero alla protezione diplomatica del suo stato nazionale e la competenza esclusiva, in caso di controversie dei tribunali locali. 139. Protezione diplomatica La protezione diplomatica può essere esercitata soltanto a condizione che siano soddisfatte alcune condizioni: la nazionalità dell'individuo deve essere continua ed effettiva, lo straniero deve aver esaurito i ricorsi interni, deve cioè aver ottenuto nello stato territoriale una sentenza definitiva. La protezione diplomatica può essere esercitata anche a favore di persone giuridiche e di società commerciali. Secondo il diritto internazionale consuetudinario, lo stato nazionale dei singoli soci può esercitare la protezione diplomatica in loro favore per far valere “diritti direttamente spettanti” ad essi e distinti da quelli della società. Sezione 2 – Diritti umani 140. Premessa Nel corso del XIX sec si sono intensificate le norme internazionali per la difesa dei diritti umani. Ex: tratta degli schiavi, diritti dei lavoratori, protezione delle minoranze, libertà religiosa. Oggi le norme sui diritti umani sono le norme più importanti del diritto internazionale e la loro funzione è di assicurare che gli stati governino le rispettive collettività secondo standard comuni e di permettere così, all'insieme degli stati, di assolvere al meglio la funzione di governare l'umanità. 141. I diritti umani nel diritto internazionale generale. Alcuni sostengono che i diritti umani siano universali, altri che siano concetti imposti dalla cultura occidentale. Dal punto di vista giuridico esistono norme internazionali per proteggere i diritti umani sia a livello universale che regionale. A livello universale ci sono le norme internazionali consuetudinarie, i trattati multilaterali (dichiarazione universale dei diritti umani 1948). Tra le norme a carattere regionale ci sono le convenzioni stipulate tra Europa, America ed Africa (convenzione europea dei diritti dell'uomo 1950). Evoluzione storico-concettuale e problema del fondamento dei diritti umani L'evoluzione storico culturale dei diritti umani è avvenuta in tre fasi: 1. Positivizzazione: dalla seconda metà del XVIII sec e in concomitanza delle riviera americana e francese, la dottrina sui diritti umani elaborata in ambito filosofico si traduce in norme giuridiche sotto forma di dichiarazioni dal carattere programmatico. La positivizzazione dei diritti umani intesi come diritti umani di libertà e non interferenza dal potere politico (prima generazione) non erano universali ma valevano solo nello stato che li proclamava. 2. Generalizzazione: ampliamento tra il XVIII fino alla metà del XX sec della categoria dei diritti umani fino a comprendere: diritti di libertà, di partecipazione politica, diritti che lo stato intervenga in campo sociale, economico, culturale (seconda generazione). 3. L'internazionalizzazione: nel secondo dopoguerra si sono create norme internazionali dirette a proteggere i diritti umani sia di carattere civile e politico, che di carattere economico, sociale e culturale. Lo strumento fondamentale di questo processo è la Dichiarazione Uni dei diritti umani del 1948. 4. La specializzazione corrisponde alle norme int che si occupano di specifici diritti di pace, sviluppo, ambiente (terza generazione) o di soggetti specifici. Per individuare i diritti umani, si considera un minimo invalicabile per ogni essere umano che il diritto deve proteggere a qualsiasi costo. Come possibili fondamenti dei diritti umani si sono individuati: la natura umana, all'auto evidenza e al consenso. Nella natura umana rientrano tutte quelle pretese o aspirazioni minime e necessarie per condurre una vita umana. I diritti umani a volte vanno in contrapposizione, si rischia di dare più a uno togliendo all'altro. Lo stesso diritto può anche essere invocato da due persone diverse. I diritti umani sono anche autoevidenti, così elementari ed immediati che discutere sul loro fondamento è controproducente. Tuttavia il principio di autoevidenza presuppone la fede in una autorità che certifichi una det idea della natura umana. Si è cercato il fondamento dei diritti umani nel consenso: è oggettivo se la gran parte dei consociati soggettivamente pensa che sia oggettivo. Tuttavia possono sembrare creati dalla tirannia della maggioranza e pone il problema del grado di affidabilità dei consenso e delle fonti dalle quali ricavarlo. I tre possibili fondamenti vengono di solito associati. 142. Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 e patti delle Nazioni Unite del 1966 La Dichiarazione del 1948 sui diritti umani non è giuridicamente vincolante ma viene annoverata tra il diritto internazionale consuetudinario. La Dichiarazione è stata ribadita dalla Dichiarazione e programma d'azione di Vienna adottata nel 1993 alla Confederazione mondiale sui diritti umani. Soltanto nel 1966 vennero adottati due Patti sui “diritti civili e politici” e “sui diritti economici, sociali e culturali” giuridicamente vincolanti. I due patti contengono norme sia sostanziali che procedurali. Ex: diritto all'autodeterminazione dei popoli, diritto alla vita, divieto di tortura, divieto della schiavitù, diritto all'equo processo etc. I meccanismi di controllo sul rispetto dei diritti sostanziali fanno capo al Comitato dei diritti umani delle NU. I meccanismi di controllo sono tre: rapporti periodici, rapporti interstatali, ricorsi individuali, non sono vincolanti ma producono cmq effetti sugli stati e l'opinione pubblica. a) rapporti periodici: gli stati contraenti hanno l'obbligo di presentare rapporti periodici al Segretario generale dell'ONU che a sua volta li invia al Comitato dei Dir Umani o al consiglio economico e sociale. Il comitato emette commenti generali non vincolanti. b) rapporti inter-statali: gli stati parte del trattato sui dir civ e pol possono presentare al Comitato dei diritti umani ricordi nei confronti di stati contraenti accusandoli di aver violato il patto. c) Comunicazioni individuali: anche gli individui possono accusare uno stato di non rispetto. Il Consiglio per i diritti umani ha il compito di procedere ad un controllo universale periodico, può svolgere verifiche rispetto ad uno stato o una questione. Altri trattati a carattere settoriale: convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio del 1948, convenzione sulla soppressione e la repressione dell'apartheid, convenzione 1984 contro la tortura e altri trattamenti crudeli, inumani o degradanti, la convenzione di NYU sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale 1965, Convenzione Onu contro la discriminazione verso le donne del 1979, Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989, Convenzione di New York sui diritti delle persone con disabilità 2007. • Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati del 1951 143. Convenzione Europea sui diritti umani del 1950 e Carta sociale europea del 1961 La convenzione è stata firmata a Roma del 1950 ed è entrata in vigore nel 1953. Ha istituito due organi di controllo, la Commissione Europea e la Corte Europea dei diritti dell'uomo. 144. Diritti umani e “sovranità responsabile” La convenzione obbliga gli stati contraenti a rispettare i diritti fondamentali nei confronti di persone di qualsiasi nazionalità, compresa quella di stati terzi, o anche privi di nazionalità a condizione che La cessazione definitiva di un conflitto armato ha luogo in virtù della conclusione di un trattato di pace. Hanno natura temporanea; a) il cessate il fuoco: interruzione per scopi umanitari; b) l'armistizio: sospende le azioni belliche soltanto tra alcune fazioni e in un raggio limitato; c) la capitolazione: resa delle truppe nemiche, totali o solo di singole unità. Il trattato di pace è un accordo avente natura internazionale sottoposto alle regole della convenzione di Vienna sul diritto dei trattati 1969. L’obiettivo è il ristabilimento di relazioni pacifiche fra i belligeranti, soluzione di controversie territoriali, rimpatrio di prigionieri, riparazione per i danni di guerra. Il diritto internazionale umanitario si basa su norme consuetudinarie e trattati. Durante il conflitto armato si applica non solo il diritto internazionale umanitario ma anche l'insieme delle norme convenzionali sulla tutela dei diritti umani a meno che non sia prevista una clausola di deroga e a condizione che le operazioni militari si svolgano entro la giurisdizione degli stati parti dei trattati di diritti umani applicabili. Il diritto internazionale umanitario si applica anche alle forze delle Nazioni Unite, le forze militari delle NU devono rispettare il diritto internazionale consuetudinario applicabile nei conflitti armati 148. Principi fondamentali Il diritto internazionale umanitario comprende numerose norme dirette a disciplinare una verità di aspetti rilevanti durante i conflitti armati. I principi fondamentali che ispirano il dir internazionale umanitario fondati sulla netta contrapposizione tra combattenti e civili si basano sui principi di: a) Distinzione: sono vietati gli attacchi contro i civili o contro i beni civili; b) Proporzionalità: sono vietati gli attacchi contro obiettivi militari che producono danni ai civili sproporzionati al vantaggio militare conseguito e conseguibile. Sono vietati i metodi e mezzi di guerra che causano mali superflui e sofferenze non necessarie. * il principio di necessità militare ha un duplice significato: intende mettere un limite all'azione bellica, ma può essere considerato anche un limite all'applicazione del dir int umanitario considerando lecito qualunque mezzo pur di raggiungere il fine della guerra. c) Precauzione: sono vietati gli attacchi senza previo avvertimento della popolazione civile e gli attacchi che il belligerante ha facoltà di scegliere. Le violazioni del diritto internazionale umanitario comportano sempre una responsabilità internazionale dello stato e possono comportare anche una responsabilità penale individuale in caso di commissione di crimini di guerra contro l'umanità. Il rispetto del diritto internazionale umanitario è garantito dal sistema delle Potenze protettrici, dalle rappresaglie belliche, dai tribunali penali internazionali per la punizione dei responsabili di crimini, dai tribunali sui diritti umani per la condanna degli stati responsabili e dall'obbligo di risarcire i danni della violazione. Combattenti legittimi: La peculiarità della guerra è di rendere lecita l'uccisone di altri essere umani. Il diritto internazionale umanitario si fonda sulla distinzione tra: a) combattenti: può essere colpito lecitamente, può colpire il nemico, se catturato può essere trattato da prigioniero di guerra, non può essere punito per gli atti commessi b) civile che partecipa alle ostilità: è combattente illegittimo, se catturato non ha diritto al trattamento da prigioniero di guerra e può essere punito per gli atti commessi. Per distinguere i combattenti, vengono definite forze armate: insieme di tutte le forze, gruppi e unità armate organizzate, sottoposte ad un comando responsabile per la condotta dei suoi subordinati di fronte a tale parte. Sono considerati illegittimi i belligeranti vestiti da civili. Le forze irregolari di uno stato devono comunque soddisfare alcuni requisiti di riconoscibilità: a) devono essere comandate da una persona responsabile per i propri subordinati; b) devono portare un segno distintivo di riconoscimento; c) portino apertamente le armi; d) rispettino le leggi e gli usi della guerra. Il trattamento di prigionieri di guerra esteso anche ai movimenti di resistenza organizzati appartenenti ad un belligerante devono inoltre: e) essere un movimento organizzato; f) essere collegati ad una delle parti in conflitto. Sono definiti “civili” al negativo, chiunque non ricada tra le categorie di legittimi combattenti. Non sono combattenti nemmeno i membri del personale medico e religioso. I civili non possono essere direttamente attaccati se non prendono parte alle ostilità. Prendono parte alle ostilità se: a) hanno influito negativamente sulla capacità militare di un belligerante; b) vi è un causale diretto con il danno; c) se ha danneggiato un belligerante a sfavore dell'altro. Non sono combattenti legittimi e non hanno diritto al trattamento di prigionieri di guerra le spie, i sabotatori e i mercenari. Prigionieri di guerra: I combattenti legittimi hanno diritti al trattamento di prigionieri di guerra, la sua detenzione si giustifica per impedire che ritorni nel suo esercito. Non è un ostaggio e non può essere usato come contropartita per un vantaggio. Il prigioniero è tenuto a fornire solo alcune tassative informazioni relative all'identità e non informazioni di carattere militare. Devono essere trattati con rispetto della persona e dell'onore. La fuga può essere impedita con le armi solo come misura estrema, sempre preceduta da un avvertimento. Al termine delle “ostilità attive” i prigionieri di guerra devono essere rimpatriati immediatamente, il rimpatrio è da escludere quando esiste un rischio di tortura o maltrattamenti nello stato di rimpatrio. Luoghi e obiettivi di combattimento: Le operazioni belliche possono essere condotte sul territorio dello stato nemico, comprensivo del mare territoriale e dello spazio aereo sovrastante, o occupato dal nemico o sul mare internazionale. Non è ammesso sui territori neutrali o neutralizzati mediante trattato. Gli obiettivi legittimamente attaccabili sono definiti da tre principi: distinzione, proporzionalità, precauzione. Obiettivo militare: oggetti che per loro natura, ubicazione, destinazione o impiego contribuiscono efficacemente all'azione militare e la cui distruzione totale o parziale conquista o neutralizzazione offre un vantaggio militare preciso. Mezzi e metodi di combattimento: L’art 35 del protocollo di Ginevra del 1977 vieta le armi e i metodi di guerra capaci di causare mali superflui o sofferenze inutili o concepiti con lo scopo di provocare danni esteri, durevoli e gravi all'ambiente naturale. E' vietata la perfidia come metodo di guerra, cioè gli atti che fanno appello, con l'intenzione di ingannarlo, alla buona fede del nemico per fargli credere che ha il diritto di ricevere o l'obbligo di accordare la protezione prevista dal diritto internazionale consuetudinario (stratagemmi di guerra). La CIG ha ammesso che generalmente l'uso di armi nucleari è incompatibile con il diritto internazionale consuetudinario ma non è escluso se in ballo c'è la sopravvivenza di uno stato. Occupazione bellica: L'occupazione militare riguarda il territorio, o la parte di territorio di uno stato che si venga a trovare nel corso di un conflitto armato internazionale sotto l'autorità effettiva e stabile dell'esercito nemico a prescindere dell'intento che l'ha motivata. L'occupazione militare è una situazione di controllo effettivo, stabile, esclusivo e temporaneo dello stato occupante sul territorio del nemico. L'OM non comporta l'acquisto della sovranità del territorio occupato con le conseguenze che ciò comporterebbe per gli abitanti. Esistono norme per diritti e doveri sia per lo stato occupante che per la popolazione locale. a) mantenere l'ordine sul territorio occupato; b) non può modificare le leggi in vigore; c) non può costringere i civili a fornire informazioni militari o prestargli giuramento. d) non può confiscare la proprietà privata; e) non può infliggere punizioni collettive; f) non può procedere a deportazioni di massa. Diritto dello stato occupante: a) appropriarsi dei beni mobili del nemico; b) chiedere contribuzioni e requisire beni dietro compenso; c) amministrare come usufruttuario i beni pubblici. Nelle ipotesi di uso della forza autorizzato dal CdS e di missioni di peace keeping le nomre di applicazione bellica occorre far capo alle risoluzioni del CdS. Mezzi di garanzia: Gli strumenti disponibili ad un belligerante per garantirsi dalle violazioni del dir bellico sono pochi e poco efficienti. 1. Le rappresaglie, quando sono ammesse, devono soddisfare alcune condizioni di esercizio ben stabilite nel diritto consuetudinario: a) adottate solo come estrema ratio; b) soltanto dopo che i vertici politici e militari di uno stato hanno valutato gli effetti che potrebbe produrre; C) sia proporzionale; d) rispetti le leggi di umanità e i dettami della coscienza pubblica. 2. Il sistema delle potenze protettrici: ricorso a stati neutrali per svolgere il controllo dell'esecuzione delle norme designati dagli stessi stati belligeranti. 3. Commissioni per l'accertamento dei fatti: non hanno una competenza obbligatoria e non si pronunciano con effetti vincolanti. 4. Repressione dei crimini di guerra da parte di tribunali statali e int. 5. Risarcimento dei danni conseguenti alla violazione del diritto umanitario. Il risarcimento dei danni per violazione del diritto internazionale umanitario non va confuso con le riparazioni di guerra che riguardano il ricorso illecito alla guerra e che vengono imposte dal vincitore sul vinto di solito nel trattato di pace Neutralità: La neutralità è la posizione giuridica degli stati non partecipanti ad un conflitto armato in corso tra altri stati. Lo scopo delle norme sulla neutralità è da un lato nell'interesse dei belligeranti per evitare che terzi aiutino il nemico e dall'altro per permettere a terzi di continuare i loro rapporti commerciali con le parti in guerra. I doveri del neutrale sono riassunti in: prevenzione, astensione, imparzialità. Diversa dalla neutralità è la “non belligeranza” che implica la possibilità di aiutare uno dei belligeranti pur senza entrare in conflitto. 149. Conflitti armati non internazionali d) Imprescrittibilità del crimine. E' in dubbio se il divieto di farli cadere in prescrizione decorso un certo periodo di tempo sia prevista dal diritto internazionale consuetudinario. e) Inammissibilità del crimine. È illegale qualunque legge di amnistia che estingua i crimini impedendo di essere perseguitati penalmente. Con l'amnistia, alla giustizia penale viene contrapposto una sorta di obbligo di oblio per poter ricominciare una convivenza dopo periodi di conflitto anche se in alcuni casi, le clausole di amnistia sono state inserite per sottrarsi ai procedimenti penali futuri. f) Estradabilità facoltativa del presunto criminale. g) Irrilevanza dell'illiceità internazionale della cattura CAP VII: SICUREZZA GLOBALE Sezione 1 - Criminalità transnazionale 178. Premessa Il sistema inter-statale globale è strutturato per garantire la sicurezza delle persone nella loro vita quotidiana ovunque si trovino, a livello micro-strutturale, anzitutto attraverso lo stato e il coordinamento tra stati. La globalizzazione ha incentivato il jurisdictional shopping da parte dei gruppi criminali nella scelta dello stato più conveniente in cui commettere il reato o una parte di esso. Alcuni stati incentivano la criminalità transnazionale, soprattutto quella di carattere finanziario attraverso offerta di spazi off shore (paradisi fiscali). Ancora oggi vale il principio secondo cui la cattura di un delinquente e la repressione della criminalità spetti esclusivamente alle autorità dello stato territoriale. Negli ultimi tempi il significato del termine sicurezza tende a riferirsi ad una vita sufficientemente libera dal bisogno e dalla paura, per survival plus si intende una sicurezza che non solo tiene in vita ma fa vivere. Si ricollega ai basic needs configurandosi come sicurezza umana. Questa considerazione però può essere utilizzabile per fini militari per giustificare interventi umanitari. 179. Estradizione I crimini internazionali vengono disciplinati dal diritto penale internazionale mentre i reati transazionali dal diritto penale transnazionale. La distinzione si basa sulla gravità del reato l’idoneità del reato a colpire la comunità internazionale nel suo insieme. I crimini internazionali sono reati così gravi da colpire non solo la vittima diretta ma l'intera comunità internazionale. I reati transnazionali si considerano lesivi soltanto delle vittime dirette e puniti solamente dai giudici statali. Elementi comuni nei trattati sulla repressione della criminalità transnazionale Il tema è regolato da numerosi trattati sia bilaterali che multilaterali che condividono alcuni principi comuni: 1) Principio dell'uguaglianza sovrana e dell'integrità territoriale degli stati. 2) Obblighi tipici: lista di condotte illecite; previsione delle sanzioni penali; predisporre meccanismi di monitoraggio, gestione, cooperazione; cooperazione con gli altri stati. La Convenzione nelle NU contro la criminalità organizzazione transnazionale è stata conclusa a Palermo nel 2000. E' stata utile per dare una definizione a cosa vi si intende per criminalità organizzata. Organizzata: gruppo organizzato criminale: gruppo strutturato, esistente per un periodo di tempo, composto da tre o più persone che agiscono di concerto al fine di commettere uno o più reati gravi o stabiliti dalla convenzione per ottenere un vantaggio materiale, economico, finanziario. Transnazionale: reato commesso in più stati, commesso in uno stato ma con una parte significativa in un altro stato, commesso in uno stato ma produce effetti in un altro stato, commesso in uno stato ma coinvolge gruppi criminali che svolgono attività in un altro stato. Gli obblighi assunti sono internazionali ma l'autorità per attuarli resta ripartita spazialmente tra gli stati contraenti, che mantengono intatta la loro esclusività di potere di governo sul proprio territorio. L'obbligo principale delle convenzione per gli stati contraenti è di sanzionare penalmente, adottare quindi leggi che qualifichino alcune condotte come reati. Protocolli connessi: 1. Protocollo sulla tratta delle persone 2. Protocollo sul traffico di migranti 3. Protocollo sul traffico di armi Criminalità informatica: Convenzione di Budapest sulla criminalità informatica del 2001. Le tre parti principali riguardano: le misure penali, l'ambito della giurisdizione, cooperazione tra gli stati contraenti. Gli stati contraenti hanno l'obbligo di adottare provvedimenti che sanzionino penalmente una serie di reati. Sul piano procedurale gli stati hanno l'obbligo di istituire misure e meccanismi ai fini delle indagini. Gli stati devono fornire misure legislative o di altro tipo necessarie per stabilire la propria giurisdizione su ogni reato. Nel caso in cui più stati siano coinvolti, devono votare la giurisdizione da applicare e cooperare (estradizione, fornire informazioni, istituire una autorità centrale competente a rispondere alle richieste di assistenza degli altri stati contraenti. 180. Regola aut dedere aut judicare Di solito nei trattati sulla criminalità transnazionale è prevista la regola aut dedere aut judicare secondo cui gli Stati parti hanno l’obbligo di processare il presunto autore del reato regolato dal trattato o di estradarlo verso un altro Stato che intende processarlo. 181. Terrorismo internazionale La convenzione di Ginevra del 1937 sulla prevenzione e la repressione del terrorismo definisce atti di terrorismo: atti criminali diretti contro uno stato il cui scopo o la cui natura è di provocare il terrore in particolari persone, in gruppi di persone o nel pubblico. L'indicazione di “terrorista” viene spesso utilizzato come qualificazione intrinsecamente unilaterale utilizzata da ciascuno stato per indicare chi mina il proprio ordine politico. Il CdS ha evitato di fornire la definizione di terrorismo internazionale e ha fissato un regime di repressione dove ha il potere di stabilire autoritativamente precisi individui o gruppi, precisi eventi delittuosi debbano essere qualificati come terroristici ai fini delle misure repressive da adottare. La comunità internazionale può convergere su ipotesi specifiche e concrete di terrorismo e a certi specifici fini, ma non su una definizione astratta valida sempre e ovunque ed a qualsiasi fine. Il terrorismo internazionale è oggetto di numerosi trattati: a) Convenzioni dell'ONU b) ambito dell'ICAO per gli atti che possono compromettere la sicurezza sulle aeromobili civili c) ambito IMO per la sicurezza della navigazione marittima d) ambito AIEA per la protezione fisica del materiale nucleare. Tutti i trattati prevedono obblighi di prevenzione e di repressione dei reati ivi previsti. Particolarmente importanti sono anche le risoluzioni dell'ONU, l'Assemblea generale ha definito gli atti terroristici come: atti intesi a provocare uno stato di terrore nel pubblico, un gruppo di persone o determinate persone per motivi politici, prevedendo che tali atti siano ingiustificabili in ogni circostanza e quali che siano le ragioni politiche, ideologiche o religiose. Gli stati devono altresì astenersi da qualunque forma di sostegno attivo o passivo. Le misure adottate contro il terrorismo internazionale hanno posto il problema dei limiti delle misure repressive per garantire il rispetto dei diritti umani nonostante l'emergenza, anche in relazione alla predisposizione, nell'ambito del CdS di una lista di individui, enti o organizzazioni che si ritiene siano associati al Al Queda e nei cui confronti sono state adottate sanzioni. Viene contestata la discrezionalità degli stati nel decidere chi mettere in lista senza dare motivazioni del legame e senza la possibilità che l'altra parte possa difendersi. Sezione 2 – Divieto dell’uso della forza 182. Premessa In ogni società la sicurezza dei singoli consociati al sistema nel suo complesso costituisce un valore essenziale. Il diritto internazionale prevede misure idonee a garantire la sicurezza di singoli stati, ad esempio consentendo la legittima difesa in risposta ad un attacco altrui, ma anche la sicurezza dell'insieme degli stati e del loro modo di formare un ordine globale. La sicurezza globale è assicurata dal divieto generale dell'uso e della minaccia di uso della forza sancito dall'art 2 par 4 della Carta delle Nazioni Unite e dal diritto internazionale generale. Gli stati non possono ricorrere unilateralmente alla forza militare a meno che non dimostrino la sussistenza di una giustificazione prevista dal diritto internazionale vigente. Se la giustificazione risulta infondata l'azione diventa un illecito. Una azione incontestata è la legittima difesa, una seconda è l'uso della forza da parte del CdS. La Carta vieta ai singoli stati di ricorrere all'uso della forza accentrandola al CdS ma lasciando comunque agli stati la facoltà di reagire per leggittima difesa finché non interviene il CdS. Il CdS quindi non interviene direttamente ma autorizza l'intervento dei singoli stati rendendo leciti comportamenti individuali. Art 11 della Costituzione italiana: l'Italia ripudia la guerra... consente le limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le nazioni e promuove le org int rivolte a tale scopo. 183. Il divieto della minaccia e dell’uso della forza armata nella Carta delle Nazioni Unite e nel diritto internazionale generale Concezione della guerra giusta e concezione non discriminatoria della guerra. Nel diritto romano venivano definite guerre giuste: punizione per un torto subito, respingimento del nemico o recupero dei beni. Dottrina medioevale, motivazioni di una guerra giusta: se autorizzata da un principe, se sussiste una giusta causa, se il belligerante è mosso dall'intenzione di promuove il bene o di evitare il male. Nel XIX sec il ricorso alla guerra era sempre lecito anche per perseguire un interesse non difesa” è stato fermamente condannato dalla prassi basandosi sul presupposto che le azioni contro le quali si reagiva non fossero imputabili agli stati. e) interventi per la democrazia: l'intervento militare per stabilire o ristabilire la democrazia non è avvallato dal diritto internazionale attuale. Cyber war: diversi tipi di reazione, informatica o meno, ad attacchi informatici. L'ipotesi più importante, più problematica mai avvenuta ma prospettata dagli stati è quella dell'attacco informatico con risposta convenzionale. Il problema maggiore è l'identificazione della fonte e l'attribuzione della condotta ad uno stato. E' infatti praticamente impossibile individuare il computer e la persona che ha lanciato l'attacco e dimostrare che sia coinvolto direttamente o indirettamente uno stato. Caratteristiche: a) un attacco informatico di regola non coinvolge l'impiego della forza ma può produrre effetti ben peggiori. Tuttavia non può essere imputato ad uno stato quindi la forza non è attribuibile. b) nei casi più gravi il CdS può determinare che un certo attacco informatico costituisca una minaccia alla pace e possa quindi adottare misure, anche armate. c) poiché la legittima difesa presuppone un attacco armato, non necessariamente da intendersi nel senso della forza si pone il problema di come rispondere ad un attacco informatico. d) se si accetta l'idea che certi attacchi informatici, per gli effetti che determinano, costituiscono usi della forza, è ragionevole supporre che possano dar luogo a “conflitti armati” e soggiacere ai principi del diritto internazionale umanitario. L'uso del termine cyber war si inserisce nella tendenza a militarizzare la repressione della criminalità. Tuttavia si tratta piuttosto di atti che devono essere repressi sul piano giudiziario e dell'attività di polizia attraverso la più stretta collaborazione di tutti gli stati. 186. L’uso della forza armata nel diritto italiano È frequente oggi che l’uso della forza armata venga disciplinato dalle Costituzioni nazionali. Nel prevedere che l’ordinamento italiano “si conforma alle norme internazionali generalmente riconosciute” immette nell’ordinamento italiano le norme internazionali consuetudinarie relative al divieto dell’uso della forza armata e l’eccezione della legittima difesa in quanto norme internazionali generali. Le uniche eccezioni ammesse al divieto dell’uso della forza armata nel diritto internazionale sono la legittima difesa successiva, individuale o collettiva, e l’intervento armato su autorizzazione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. L’art. 11 Cost. dispone anzitutto che “l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” (1° fase). L’art 11 vieta quindi la guerra di aggressione e implicitamente ammette la legittima difesa. Inoltre consente in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni (2° fase) e promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolto a tale scopo (3° fase). Le tre fasi dell’art. 11 vanno lette congiuntamente sono da respingere quei tentativi, spesso evocati nell’opinione pubblica quando si discute se l’Italia debba o meno partecipare ad una missione militare all’estero. La delibera del Parlamento sullo stato di guerra è il presupposto, non solo per la dichiarazione dello stato di guerra ad opera del Capo dello Stato ma anche per l’applicazione del diritto italiano valevole in tempo di guerre. L’art. 117 Cost prevede che la potestà legislativa dello Stato è esercitata nel rispetto degli obblighi internazionali. Ne deriva che hanno il rango di norme interposte i trattati di diritto internazionale umanitario così come ogni altro impegno pattizio assunto dall’Italia in relazione a missioni militari all’estero. Sezione 3 – Sistema di sicurezza collettiva delle Nazioni Unite 187. Premessa La Carta delle Nazioni Unite vieta la minaccia e l’uso della forza militare unilaterale da parte degli Stati, eccetto in legittima difesa, e consente al Consiglio di adottare misure coercitive sia pacifiche che militari nel caso di minaccia alla pace, di violazione della pace o di aggressione. È questo il cd sistema di sicurezza collettiva, diretto a regolare il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. La Carta assegna competenze in materie di mantenimento della pace e della sicurezza internazionale anche all’Assemblea generale e al Segretario generale. 188. Il sistema di sicurezza collettiva previsto dalla Carta delle Nazioni Unite Il sistema di sicurezza collettiva delle Nazioni Unite è disciplinato dal cap. VII il quale si occupa delle principali competenze del Consiglio di sicurezza in materia, occorre far riferimento all’art 39 che fissa i presupposti affinché il Consiglio possa adottare le misure, pacifiche o armate, previste nelle disposizioni successive. Il Consiglio gode di un’ampia discrezionalità. Nella prassi il Consiglio ha di fatto considerato in termini di minaccia alla pace situazioni assai eterogenee e sempre più di carattere interno agli Stati. Il Consiglio di sicurezza può agire soltanto dopo aver constatato che esiste una minaccia alla pace o una violazione della pace o un atto di aggressione, occorre vedere quali misure il Consiglio possa allora adottare. Una volta stabilito discrezionalmente se sussistono i presupposti per agire, in caso di risposta affermativa il Consiglio deve poi stabilire come agire ossia con quali misure. L’art. 39 stabilisce che il Consiglio può fare raccomandazioni al fine di facilitare una soluzione amichevole. Ai sensi dell’art. 40 il Consiglio di sicurezza può adottare misure provvisorie e di urgenza cioè limitate temporalmente al fine di prevenire un aggravarsi della situazione, misure che non devono pregiudicare i diritti, le pretese o la posizione delle parti interessate. L’art. 41 della Carta attribuisce al Consiglio il potere di adottare non solo raccomandazioni ma anche decisioni vincolanti che impongono misure non implicanti l’uso della forza, le quali costituiscono fonti di norme internazionali cd di terzo grado. L’art. 42 prevede il potere del Consiglio di sicurezza di adottare misure implicanti l’uso della forza. 189. Operazioni delle Nazioni Unite di peace-keeping, amministrazione di territori e State-building La prassi del peace-keeping, cioè di missioni militari con compiti circoscritti in aree di crisi, si è molto estesa nel periodo successivo alla guerra fredda. Le operazioni del peace-keeping sono svolte sotto il controllo politico del Consiglio che lo delega al Segretario generale. Un problema giuridico centrale che le operazioni di peace-keeping pongono è quello della loro legittimità ossia della loro conformità alla Carta delle Nazioni Unite. Tali operazioni infatti non sono immediatamente riportabili al sistema previsto dalla Carta. Oltre al peace-keeping in senso stretto è accaduto che il Consiglio di sicurezza abbia agito organizzando lo svolgimento delle funzioni di governo in toto in territori rivendicati da più Stati o in grave crisi di effettività in seguito ad un conflitto internazionale o interno State-building. Altro problema di grande rilievo è quello della responsabilità per le violazioni del diritto internazionale da parte delle autorità e/o degli Stati che provvedono al governo di un territorio o più in generale delle forze di peace-keeping. 190. Operazioni coercitive degli Stati autorizzate dal Consiglio di sicurezza In mancanza di un esercito proprio, il Consiglio di sicurezza si è trovato nell’impossibilità di operare direttamente come previsto dalla Carta e non ha potuto far altro, appena è riuscito a deliberare senza i veti incrociati dell’epoca della guerra fredda, che autorizzare singoli Stati ad usare la forza armata nei casi in cui avrebbe dovuto per l’appunto provvedervi direttamente ricorrendo i presupposti di cui all’art. 39 della Carta. Come per le operazioni di peace-keeping e per le amministrazioni transitorie anche per le autorizzazioni agli Stati dell’uso della forza, data la mancanza di una precisa norma della Carta che a sua volta le autorizzi si pone il problema del loro fondamento normativo. Secondo l’opinione più diffusa le autorizzazioni sarebbero soggette a 4 limiti: a) dovrebbero essere date ex ante, cioè prima dell’intervento; b) dovrebbero essere esplicite; c) dovrebbero stabilire la durata o quanto meno l’obiettivo dell’intervento; d) dovrebbero essere accompagnate dal controllo effettivo dello svolgimento dell’intervento da parte del Consiglio. Le forze degli Stati membri le cui operazioni sono state autorizzate dal Consiglio di sicurezza sono tenute in principio all’osservanza del diritto internazionale generale, in particolare del diritto umanitario, per essi vigente al di là della Carta. A parte la condotta autorizzata ogni altro obbligo degli Stati resta inalterato. 191. Le missioni di sicurezza collettiva all’estero nel diritto italiano Da anni l’Italia partecipa a missioni militari all’estero sollevando diversi problemi sulle norme interne applicabili. Si sostiene che le operazioni militari all’estero comportano l’uso della forza armata, che tale uso della forza non può essere definito se non guerra e che il Parlamento e non l’Esecutivo deve decidere con dibattito pubblico se intervenire o meno. Oltre al problema della necessità di una deliberazione parlamentare ai fini dell’invio si è posto il problema del regime giuridico dei militari italiani operanti all’estero durante la missione. Manca una legge organica e le poche disposizioni rilevanti esistenti nel codice dell’ordinamento militare. Sezione 4 – Disarmo e non proliferazione delle armi di distribuzione di massa 192. Premessa Le norme internazionali sul disarmo e sulla non proliferazione delle armi di distruzione di massa hanno lo scopo di proteggere il valore della sicurezza globale vietando l'esistenza o la diffusione di armi particolarmente pericolose per il sistema nel suo complesso. 193. Disarmo La carta dell'Onu si occupa esplicitamente del disarmo 1. L’assemblea generale può dare raccomandazioni in materia di disarmo e di armamenti 2. Il CdS può, di concerto con il Comitato di Stato Maggiore, formulare piani per la disciplina degli armamenti. La Conferenza del Disarmo, organizzazione autonomo dell’ONU istituito nel 1979 adotta progetti di accordo per consensus da sottoporre all'Assemblea Generale dell'ONU. Durante la guerra fretta sono stati conclusi numerosi trattati sul tema che in generale prevedevano il divieto di produzione e di trasferimento e l'obbligo di distruzione delle armi. Alcuni trattati si limitano a stabilire un regime di smilitarizzazione o di denuclearizzazione, altri un regime di non proliferazione. Obblighi di disarmo possono anche derivare da decisioni adottate dal CdS delle Nazioni Unite al termine della guerra. Spesso si raggiungono risultati nel campo del disarmo dopo l'adozione delle c.d. Misure per rafforzare la fiducia o misure per rafforzare la sicurezza: misure con le quali uno stato rassicura gli altri stati che non farà ricorso alla forza militare se non in legittima difesa. Tali misure non sono giudicate vincolanti. 194. Non proliferazione delle armi di distruzione di massa Armi di distruzione di massa: armi nucleari, batteriologiche o biologiche, armi chimiche.