Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

sociologia della comunicazione dei media digitali, Appunti di Sociologia Dei Media

appunti presi a lezione integrati con i libri

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 12/07/2023

cst2004
cst2004 🇮🇹

3 documenti

1 / 30

Toggle sidebar

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica sociologia della comunicazione dei media digitali e più Appunti in PDF di Sociologia Dei Media solo su Docsity! Che cos’è la comunicazione? scambio di informazioni o condivisione? Definizione di Williams: comunicazione suddivisa in atto del comunicare (trasmettere info ma allo stesso tempo mettiamo in comune qualcosa), il contenuto che viene messo in comune o trasmesso, e lo strumento attraverso cui passa la comunicazione (emittente, contenuto e ricevente), mettere in comune vs trasmettere. ——————————————————————————————————————————————————————— Il rapporto tra condivisione e trasmissione è il fondamento di tutta la comunicazione. Williams scriveva in un’epoca in cui non c’erano i media, c’erano solo tv e radio, aveva in mente una comunicazione interpersonale (quando io comunico con una persona trasmetto informazioni e c’è anche una cooperazione tra le persone che partecipano alla conversazione). Comunicare attraverso i telegiornali è trasmissione mentre la comunicazione attraverso i media è condivisione o trasmissione. La comunicazione di trasmissione è parte della massa mentre quella di condivisione avviene attraverso due persone o gruppi. PERCHÉ COMUNICHIAMO? La comunicazione è un bisogno, è un’attitudine naturale che appartiene a tutti gli esseri viventi, anche quando non ci sia un linguaggio determinato noi comunichiamo comunque, è una forma con cui creiamo una relazione con l’altro. Noi comunichiamo in quanto esseri umani per creare consapevolezza di noi come esseri umani e degli altri. Da un lato è attitudine naturale dall’altro ha una dimensione relazionale, è un modo per rafforzare legame tra noi e gli altri (per non sentirsi soli). La comunicazione ha anche una dimensione funzionale, cioè che è funzionale al raggiungimento di uno scopo (alexa, chatgpt…), con le intelligenze artificiali non si ha una vera interazione umana, la macchina registra solo quello che stiamo dicendo e poi risponde. Una classica relazione comunicativa è caratterizzata da alcuni elementi fissi, essenziali, che sono presenti in qualunque situazione di interazione: i partecipanti, i messaggi che si scambiano, i codici che usano, le interfacce, gli scopi, le norme, i contesti. Se mancasse anche solo uno di questi elementi tutta la costruzione comunicativa crollerebbe o non potrebbe nemmeno sorgere. Inoltre, questi elementi sono anche strettamente connessi tra loro e funzionano simultaneamente, tanto che analizzandone uno solo è possibile vedere il funzionamento di tutti gli altri. Per comprendere che cosa accade nelle diverse situazioni comunicative dobbiamo sempre considerare chi sono i partecipanti e quali scopi si prefiggono. Sapere chi sono e quale ruolo hanno i nostri personaggi, e quali i loro scopi ci aiuta a capire tutto l’insieme della conversazione, e anzi che non potremmo comprenderla correttamente se non avessimo queste informazioni. Quindi: comunicazione come attitudine che può diventare di relazione o funzionale. ————————————————————————————————————————————————————————————————————— I SOGGETTI DELLA COMUNICAZIONE Il codice linguistico e il codice non verbale. Gli scopi di una comunicazione non sempre sono condivisi e comunicazione può non funzionare. In sociologia si usano varie espressioni per indicare i partecipanti alla relazione comunicativa. “Soggetto agente” è un termine che comprende in se diverse implicazioni: in primo luogo, si riferisce a tutti i partecipanti alla relazione comunicativa, indipendentemente dal ruolo che rivestono; in secondo luogo, implica che i soggetti interpretino i propri comportamenti e quelli altrui come espressioni di intenzionalità e volontà. Ciò vale per le persone che comunicano, ma anche per attori collettivi, come organizzazioni e istituzioni, che perseguono particolari fini ed operano secondo logiche e con effetti che possono anche andare oltre le stesse intenzioni dei singoli. D’altronde, questi attori collettivi parlano e agiscono sempre attraverso soggetti agenti individuali che ricoprono certi ruoli e interagiscono secondo determinate forme. I SOGGETTI AGENTI (i partecipanti): persone che partecipano nella comunicazione indipendentemente dal ruolo che rivestono, anche se nella maggior parte dei casi abbiamo una persona che parla e due che ascoltano o rispondono. Interpretano il proprio comportamento e quello altrui come espressione di intenzionalità e volontà, cioè che si è soggetti agenti nei casi in cui esprimo intenzione e volontà nell’atto del voler comunicare. C’è un punto di partenza dal quale bisogna necessariamente partire per analizzare la comunicazione come fenomeno sociale e culturale: gli esseri umani sono al tempo stesso simili e diversi. Ognuno di noi ne fa continuamente esperienza: l’altro è come me, ma è diverso da me. Percepiamo il corpo dell’altro con i suoi movimenti e i suoi gesti come espressione della sua psiche e da ciò comprendiamo che ha una vita interiore analoga alla nostra, ma i contenuti della sua coscienza, i suoi vissuti non sono per noi immediatamente accessibili. Nella relazione comunicativa i pensieri, le emozioni, le determinazioni della volontà dell’altro non possono essere colti in modo originario, ma solo in modo indiretto e derivato attraverso dei segni esterni che lo esprimono. Esprimere o partecipare degli stati mentali o dei vissuti dell’altro attraverso la comunicazione vuol dire rappresentarsi sulla base della propria esperienza, costruita nel tempo, che cosa egli può pensare, sentire o volere. In ogni azione comunicativa un soggetto della comunicazione è tale perchè è simile e diverso ai soggetti con cui comunica. Simmell (interazione sociale): attraverso interazione con gli altri noi ci distinguiamo dagli altri e ci identifichiamo come diversi, ho un’identità quando capisco cosa mi differenzia dagli altri, definisco chi sono stabilendo cosa non sono. L’azione comunicativa (Simmell) è come interazione sociale dove ognuno di io stabilisce la propria identità e diversità rispetto agli altri. Capisco ciò che mi rende simile e diverso dall’altro: questo è ciò che sta alla base di ogni interazione/comunicazione. Anche quando noi siamo diversi da un altro riusciamo comunque a comunicare, l’alterità riconoscibile (base comunicazione interculturale). Simmell studi l’alterità e l’ulteriorità. Innanzitutto noi percepiamo sempre gli altri come altri, così come noi siamo altri per loro. Non è possibile una piena conoscenza reciproca perchè il conoscere perfetto presupporrebbe un’eguaglianza perfetta. Al tempo stesso, non siamo in un rapporto di totale estraneità, tanto da essere reciprocamente inconoscibili, ma in un rapporto di alterità riconoscibile. Quindi non ci è dato di rappresentare pienamente in noi un’individualità divergente dalla nostra dal momento che ogni riproduzione di un’anima è condizionata dalla somiglianza con essa, ma anche da una contemporanea diseguaglianza. In secondo luogo non siamo totalmente definiti parte di una società, ma siamo ancora qualcosa. C’è sempre un essere inoltre dell’individuo, poichè non tutto dell’individuo è socializzato e socializzabile. La similitudine tra gli esseri umani rende la comunicazione facile non solo con chi è più prossimo e simile a noi, ma anche con chi è più lontano e diverso per la lingua, esperienza di vita e cultura. Le scienze della comunicazione hanno individuato egli universali comunicativi, cioè delle strutture invarianti della comunicazione che precedono e attraversano le diverse culture. Ci sono degli UNIVERSALI COMUNICATIVI, cioè strutture che non variano e che sono comuni a tutte le culture. Ma in realtà noi ci riusciamo a capire perchè la comunicazione è un’attitudine naturale. L’incapacità di non comprendersi rompe la comunicazione. La diversità degli esseri umani fa della comunicazione un evento problematico e improbabile. Noi comunichiamo perchè abbiamo delle motivazioni. Sorridendo, inchinandosi o agitando i pugni per la rabbia gli uomini possono intendersi e far capire le proprie intenzioni anche se non condividono una sola parola. Ma essi possono anche imparare le parole dell’altro, poichè le tante lingue che essi parlano, pur nella loro grande diversità, esprimono l’universale facoltà umana di costruire e comunicare i significati attraverso il linguaggio. Comunicare è dunque sempre possibile anche perchè l’esperienza umana e il mondo a cui la comunicazione attinge e si riferisce presentano fondamentali elementi di similitudine che possono essere universalmente riconosciuti e compresi. Antropologi e sociologi hanno richiamato l’attenzione sull’esistenza di universali della biologia umana e della vita sociale che offrono un comune riferimento di esperienza ai partecipanti alla comunicazione, aldilà delle pur significative differenze culturali. Tuttavia, nonostante questa similitudine, rimane vero che la diversità degli esseri umani fa della comunicazione un evento sempre problematico e improbabile non solo quando l’interlocutore è il più diverso e il più lontano da noi per storia personale e cultura, ma anche quando è il più simile e il più prossimo. Anche di coloro a cui siamo più legati e che frequentiamo più assiduamente non possiamo dire infatti di conoscerli in ogni loro aspetto. In questo senso, gli incidenti e gli errori nella comunicazione ci appaiono immediatamente come fenomeni contingenti, eventi spiacevoli, che turbano il corso normale e prevedibile della comunicazione; se però spingiamo lo sguardo oltre questa apparente ovvietà, la comunicazione si rivela sempre una scommessa e un rischio, che richiede molteplici condizioni perchè accada e abbia successo. Per quanto simile e vicino, come può essere un famigliare o un amico, l’altro rimane diverso da me, per cui la comunicazione è sempre una traduzione di ciò che l’altro mi comunica all’interno, del mio mondo di conoscenze e di esperienze. In conclusione: un soggetto della comunicazione è tale perchè è allo stesso tempo simile e diverso rispetto agli altri soggetti con cui comunica. Un secondo carattere essenziale dei soggetti agenti è che essi non si limitano a reagire a forze e impulsi interni o a cause e stimoli esterni, ma agiscono intenzionalmente sulla basa di interpretazioni, motivazioni e scopi. L’intenzionalità può essere spiegata su 3 approcci che indicano come le persone si muovono attraverso le intenzioni: 1) APPROCCIO FENOMENOLOGICO noi siamo esseri umani in quanto ci sentiamo appartenenti a questo mondo e in qualche maniera sentiamo un sentimento di appartenenza a un mondo comune con tutti gli altri esseri umani. Questo ci distingue dagli esseri animali che agiscono sulla base di istinti e impulsi. 2) APPROCCIO DELL’INTERAZIONISMO SIMBOLICO noi agiamo sulla base di interpretazione di significati che diamo alle azioni. Blumer diceva che attribuiamo dei significati agli stimoli, è come se per farla riflettessimo al significato che stiamo dando a quella azione. L’interpretazione deve essere condivisa. L’intenzione è un significato che noi diamo a quella azione. Noi agiamo con un’intenzione comunicativa e questa intenzione nasce da un’interpretazione che noi diamo. 3) APPROCCIO DELL’INTENZIONALITA’ CONDIVISA l’intenzionalità condivisa si fonda sull’idea della comunicazione cooperativa, cioè che ogni volta che noi comunichiamo questa comunicazione è un modo attraverso cui le persone agiscono in vista di un obiettivo comune. È la capacità di un gruppo di persone di agire in modo coordinato verso obiettivo comune basandosi sulla comprensione reciproca delle intenzioni degli altri membri del gruppo. Sulla base di queste diverse teorie dell’intenzionalità comunicativa possiamo affermare che ci sono specificità umane nella comunicazione che distinguono gli esseri umani da altri tipi di organismi o macchina capaci di interagire con l’ambiente perchè essi interagiscono ma non agiscono comunicativamente. Questo è invece ciò che facciamo noi, continuamente, consapevolmente: appunto, intenzionalmente. Un soggetto della comunicazione è insomma tale perchè il suo agire comunicativo è intenzionale e relazionale. ————————————————————————————————————————————————————————————————————— AGIRE INDIVIDUALE O DI RUOLO Quando le persone comunicano tra loro agiscono come soggetti individuali con le loro particolari caratteristiche psicologiche e di personalità. Tuttavia, come osserva Goffman, quando si esamina la partecipazione dell’individuo all’azione sociale, dobbiamo renderci conto che egli non partecipa come persona totale, ma in termini di una specifica funzione o veste, oppure di un particolare status sociale; in breve, di un se particolare. In molte situazioni ognuno di noi agisce come membro di una categoria sociale o in quanto detentore di determinati ruoli che dipendono dalla particolare struttura della relazione in cui si trova coinvolto. Quindi, il soggetto agirà in certo modo in base al contesto in cui si trova e in base al ruolo che ricopre. I ruoli servono a fissare e a rendere più chiare le aspettative reciproche dei diversi soggetti e canalizzano le loro azioni comunicative in una certa direzione, limitando così l’imprevedibilità del comportamento dell’altro, fraintendimenti e perdite di tempo. Ciò vale soprattutto quando le persone agiscono con un nell’ambito di organizzazioni e istituzioni, cioè in strutture e contesti sociali in cui i compiti e le relazioni sono stabiliti formalmente in termini di gerarchie e di mansioni. In questo caso la comunicazione assume il carattere di una comunicazione tra ruoli e si attua attraverso ordini di servizio, procedure burocratiche, flussi comunicativi più o meno formalizzati: quella che abbiamo chiamato comunicazione come attività funzionale. Non dobbiamo tuttavia dimenticare che la persona concreta che assume un ruolo comunicativo in una determinata situazione non segue un copione in modo automatico e pre-definito, poichè questo è un caso limite ipotizzabile solo in via retorica. Aldilà della definizione normativa del ruolo e dell’agire tipico di ruolo, esiste sempre uno spazio di interpretazione del ruolo, cioè un proprio modo di agire comunicativamente. ————————————————————————————————————————————————————————————————————— SOGGETTI COLLETTIVI E SOGGETTI INDIVIDUALI La forma più immediata ed elementare in cui i soggetti della comunicazione si presentano è quella di un soggetto individuale, di una persona singola fatta in un certo modo. I soggetti possono però essere anche soggetti collettivi, cioè gruppi, organizzazioni o istituzioni. I soggetti collettivi pur essendo composti da una pluralità di soggetti individuali legati da determinate relazioni, agiscono comunicativamente come un’unica entità. Ad esempio, una famiglia che invita degli ospiti a cena può agire come soggetto comunicativo: Goffman direbbe che la famiglia in questo caso agisce come una squadra di rappresentazione, poichè offre un’immagine unitaria di sè, rispetto alla quale i singoli membri possono essere più o meno consenzienti, immedesimati e abili. Anche le aziende, i partiti, le università e gli stati sono soggetti comunicativi e fanno comunicazione. Possiamo considerarli come soggetti collettivi perchè il messaggio che essi producono è unico, sebbene sia frutto del lavoro concentrato di molte persone. Essi possono comunicare attraverso un esponente particolarmente significativo, un rappresentante, un portavoce oppure attraverso i testi scritti, audiovisivi, digitali. Una reazione giornalistica, ad esempio parla attraverso il quotidiano che ogni mattina i lettori acquistano in edicola. EMITTENTE E RICEVENTE I partecipanti alla relazione comunicativa possono svolgere due tipi diversi di azioni o attività comunicative: l’emittente parla, il ricevente ascolta. Per parlare si intende elaborare messaggi in qualunque codice su qualunque case, mediato o no, così come per ascoltare si intende ricevere e riconoscere i messaggi inviati da altri, siano essi gesti, parole scritte o dette, suoni, immagini fisse o audiovisive. L’emittente viene definito anche mittente, parlante, enunciatario, o pubblico quando si ha a che fare con una molteplicità di riceventi. Ciò che li distingue è il tipo specifico di azione che essi svolgono in un preciso momento dello scambio comunicativo. Si tratta di due polarità sempre attive. Ognuno di noi è sempre potenzialmente emittente e ricevente, anche se apparentemente si trova ad occupare di volta in volta solo una delle due posizioni. Talvolta le espressioni emittente e ricevente vengono anche utilizzate per identificare determinati soggetti sociali concreti che in determinate relazioni svolgono con una certa stabilità una delle due azioni comunicative. È il caso, ad esempio, delle comunicazioni di massa in cui specifiche organizzazioni di produzione/emissione si rivolgono a pubblici lettori/ascoltatori/spettatori in una filiera in cui i due contesti di produzione e ricezione sono fisicamente istituzionalmente separati e contrapposti. Sia l’atto di emissione che quello di ricezione possono assumere forme differenziate. Per esempio, l’emittente può agire come animatore, autore o mandante. È un animatore chi materialmente comunica e rivolge all’interlocutore: è la macchina parlante. È autore chi ha ideato e costruito il messaggio e ha deciso di conferirgli una determinata forma. Infine è un mandante, il soggetto nel nome del quale si parla e che assume la responsabilità di ciò che viene detto. Queste 3 dimensioni dell’atto di emissione possono essere concentrate nello stesso soggetto o essere suddivise tra più soggetti. Come l’individuo può funzionare meglio? Ci sono regole della comunicazione che valgono sempre, cioè gli assiomi che sono presenti in ogni comunicazione umana ed è possibile individuare i problemi che hanno le persone nel relazionarmi con altre. Sono 5: 1) È impossibile non comunicare. Anche se si sta in silenzio si comunica qualcosa perchè la comunicazione non verbale è la più importante. Ogni comportamento umano è una forma di comunicazione. 2) Ogni comunicazione ha sempre un assetto di contenuto e un aspetto di relazione. Il contenuto si riferisce al messaggio che viene e trasmesso e quello di relazione si riferisce alla natura della relazione tra le persone che comunicano. Quest’ultimo aspetto è fondamentale poiché può influire sulla percezione del contenuto stesso. È la relazione stessa che definisce l’atto comunicativo. La metacomunicazione è la comunicazione di secondo grado relativa alla comunicazione stessa (ti comunico qualcosa sulla mia stessa comunicazione) definisce e chiarisce la comunicazione stessa. Come comunichi è parte di cosa comunichi. Le modalità di ogni comunicazione sono parte del significato del messaggio. Noi comunichiamo attraverso il contenuto e lo classifichiamo attraverso la relazione, il contesto, il linguaggio non verbale. Nessuna comunicazione sia essa verbale o non verbale, potrebbe essere compresa senza una metacomunicazione che spieghi quale frame interpretativo applicare alla comunicazione stessa. Per goffman il frame è la cornice che inquadra tutti gli eventi della vita, gli danno significati e li orientano, definizione di una situazione sociale. Uno può rompere il frame facendo qualcosa che di solito non si farebbe all’interno di quel frame. 3) La natura di una relazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze comunicative tra i partner. Sostituire la punteggiatura con il punto di vista, dipende dal punto di vista delle sequenze della comunicazione. Quando le due punteggiature non si incontrano le persone non si capiscono, ognuno vede il mondo dai propri punti di vista. La comunicazione comprende diverse versioni della realtà, che si creano e modificano durante l’interazione ta più individui. Queste diverse interpretazioni dipendono dalla punteggiatura della sequenza degli eventi, ossia dal modo in cui ognuno tende a credere che l’unica versione possibile dei fatti sia la propria. 4) Gli esseri umani comunicano sia con il modulo numerico che con quello analogico. Comunicazione digitale quando è convenzionale e arbitraria (linguaggio è una convenzione arbitraria), il linguaggio non verbale è analogico perchè presenta analogie con il contenuto che comunica. La comunicazione verbale è più facile da gestire al contrario di quella non verbale. La comunicazione verbale ha i suoi limiti, non basta che i due soggetti coinvolti abbiano le stesse convenzioni linguistiche ma può essere fraintendibile. Per quella non verbale non serve avere le stesse convenzioni linguistiche, è analogica perchè presuppone un analogia comunicativa con quello che comunica. Ci deve essere perfetta aderenza tra comunicazione verbale e non verbale. L’aspetto di contenuto ha più probabilità di essere trasmesso attraverso la forma digitale e quello relazionale passa attraverso quella non verbale analogica. 5) Gli scambi della comunicazione sono simmetrici o complementari. In ogni relazione di comunicazione ci sono due dinamiche: complementari quando c’è superiorità di un interlocutore (ha potere e l’altro è sottomesso) rispetto a un altro, simmetrici quando i due stanno sullo stesso livello. Complementare perchè di solito un soggetto complementa un altro. Comportamento metacomplementare e pseudosimmetrico. Anche in una relazione paritaria tra due partner può comunque succedere che due partner siano in grado di sviluppare una situazione simmetrica da una parte e complementare dall’altra. (Es. madre e figlio, quando la mamma a volte lo tratta da pari in altri casi come nei primi anni la relazione è complementare) una relazione funziona quando si è capaci di passare da simmetrico a complementare o viceversa. Comportamento metacomplementare: quando uno dei due soggetti consente all’altro di assumere una posizione complementare (o gliela impone). Comportamento pseudosimmetrico: quando uno dei due soggetti consente all’altro di assumere una posizione simmetrica (o gliela impone). È necessario, anche in una relazione paritaria, che i due partner siano in grado di sviluppare una comunicazione simmetrica in alcune situazioni e complementare in altre. ————————————————————————————————————————————————————————————————————— 06/03/2023 LA DIMENSIONE SOCIALE DELLA COMUNICAZIONE: la comunicazione, nelle diverse varianti delle chiacchiere quotidiane online e offline, consente di mantenere e rafforzare le relazioni sociali. Anche durante un difficile momento in cui lo stare fisicamente insieme con gli altri viene impedito o limitato, quando le relazioni sociali routinarie o occasionali saltano, abbiamo bisogno di costruire momenti comunicativi di socievolezza rispondendo al bisogno di stare con gli altri per stare con gli altri, senza cioè uno specifico scopo che non sia mantenere vivo il rapporto con loro (Simmel). Simmel collega la socievolezza umana a una forma di comunicazione, la conversazione, che non si qualifica essenzialmente per il suo contenuto, ma per il fatto di favorire il contatto interpersonale, di fungere da tramite per la relazione stessa. Una persona socievole è quella che crea un collegamento con gli altri. Alla base della socievolezza c’è la sociazione, cioè l’esigenza primaria di essere un collettivo, forma in cui gli individui formano una collettività e insieme raggiungono un interesse collettivo. SOCIAZIONE: forme determinate di convivenza e collaborazione che rientrano nel concetto generale di interazione. La sociazione è quindi la forma in cui gli individui crescono insieme in un’unità in cui questi interessi si realizzano, la sociazione ha scopi e obiettivi definiti, si tratta di “esigenze dell’esistenza in società”. SOCIEVOLEZZA: capacità di usare la comunicazione per creare relazioni con altri. Simmel: mentre la sociazione ha uno scopo e obiettivo preciso, per lui esiste una dimensione dello stare insieme che ha lo scopo di essere uno scambio privo di obiettivi utilitaristi (socievolezza), lo stare insieme è a volte determinato dal piacere della relazione stessa senza doppi fini e lui lo definisce come un dono naturale. Nella socievolezza non è importante il contenuto della comunicazione ma si mantiene aperto il canale comunicativo per avere una relazione, stare con gli altri per il piacere di stare con gli altri. La socievolezza è uno scambio gratuito, privo di obiettivi utilitaristici. È la parte ludica della relazione interpersonale, la sua caratteristica è la leggerezza comunicativa. Tra le persone socievoli si concretizza il piacere di conversare, di stare insieme, di godere degli attimi per ciò che sono, senza pretesti o fini materiali. Malinowski ha coniato il concetto di comunicazione fática: indica la funzione del linguaggio propria dei messaggi che hanno il solo scopo di stabilire, mantenere, verificare o interrompere il contatto tra mittente e destinatario, serve sostanzialmente per far capire che il canale comunicativo è aperto. «Come si può considerare una situazione in cui un certo numero di persone chiacchierano insieme senza fini precisi? La situazione consiste in questa atmosfera di socievolezza, in questa comunione personale, raggiunta in pratica attraverso il discorso. Ogni espressione è un atto che serve al diretto scopo di legare gli interlocutori col vincolo di questo o quel sentimento sociale» Ritroviamo qui l’idea che comunicare significhi principalmente mettere in comune qualcosa, condividere qualcosa, partecipare attivamente a una relazione. Malinowski segnala questa affinità sostenendo che la rottura del silenzio, la comunione della parole è il primo atto per stabilire quei vincoli di amicizia che si consolidano durevolmente solo con la rottura del pane e con la comunione del cibo. Già le semplici formule di saluto o benvenuto, i commenti sul tempo e altri argomenti minimi di conversazione quotidiana sono tutti esempi di comunione fatica. In generale, il comportamento comunicativo che accompagna e include la comunione fatica ha la funzione di gestire le relazioni interpersonali, consentendo di aprire e chiudere le sequenze di interazione comunicativa, dando vita a vere e proprie routine linguistiche. Le informazioni che vengono scambiate in questi processi comunicativi sono info relative ad aspetti dell’identità sociale dei partecipanti, gusti e preferenza, modi di essere, che diventano rilevanti per mantenere la relazione comunicativa anche in vista di comunicazioni future. La dimensione linguistica della comunione fatica e quella argomentativa presente nelle conversazioni socievoli, rientrano in quel campo di funzione della comunicazione che serve a stabilire, confermare e consolidare le relazioni sociali in quanto tali. LA DIMENSIONE IDENTITARIA DELLA COMUNICAZIONE: comunicazione come strumento per affermare la nostra identità. Goffman diceva che quando un individuo si trova insieme ad altre persone queste tendono a voler avere info su di lui, cerchiamo di carpire info da parte sua per definire situa in cui ci si trova e per capire come agire, i due attanti devono definire la situazione in cui si trovan >> prospettiva drammaturgica di Goffman impression management: modo in cui ogni persona cerca di controllare ed influenzare l’impressione del se che lascia negli altri, a seconda della situazione >> retroscena e ribalta. Nella comunicazione manifestiamo la nostra identità e il rapporto che abbiamo con gli altri; nel farlo formiamo, troviamo conferma o modifichiamo ciò che siamo. Quindi, c’è una stretta relazione fra l’attività di comunicazione e la costruzione del sé. Ogni comunicazione è anche sempre un dire di sé: aldilà del contenuto che esprimiamo in una conversazione, in uno scambio di messaggi o in un post sui social, nel farlo lasciamo sempre tracce e indizi per dire chi siamo e come vogliamo essere considerati. Perciò la presentazione di sé contiene sempre un elemento complementare che è la richiesta di riconoscimento da parte dell’interlocutore. Nello scambio di informazioni che si serve di segni verbali e non verbali, ognuno cerca di gestire e controllare le proprie espressioni comunicative con lo scopo di gestire nel modo più vantaggioso le impressioni che gli altri ricavano di lui. Questo tentativo di controllare le impressioni (impression management) degli altri è presente sia nella vita di tutti i giorni, dove avviene in modo relativamente spontaneo, ma può diventare un’azione consapevole e pianificata. Si tratta di comportamenti sociali in cui si cerca di controllare come si appare alle altre persone per ottenere consenso da parte loro influenzandole. Quella dell’impression management è un’attività che riguarda sia i singoli individui sia i soggetti collettivi, le persone nelle loro interazioni quotidiane così come le organizzazioni sociali e politiche o realtà come quella aziendale e pubblicitaria. L’individuo cerca di mettere in rilievo i suoi aspetti migliori secondo le definizioni socialmente accettate, e mira ad ottenere feedback di riconoscimento e di conferma da parte degli altri. GOFFMAN: «Quando un individuo viene a trovarsi alla presenza di altre persone, queste, in genere, cercano di avere informazioni sul suo conto o di servirsi di quanto già sanno di lui [...]. Per quanto possa sembrare che alcune di queste informazioni siano cercate come fine a se stesse, generalmente, alla loro base, stanno motivi molto pratici. Le notizie riguardanti l’individuo aiutano a definire una situazione, permettendo agli altri di sapere in anticipo che cosa egli si aspetti da loro e che cosa essi, a loro volta, possono aspettarsi da lui: tali informazioni indicheranno come meglio agire per ottenere una sua determinata reazione» LA DIMENSIONE MEDIATA DELLA COMUNICAZIONE: un’ultima funzione della comunicazione è relativa alla conoscenza del mondo e ha a che fare con l’acquisizione di competenze sulla realtà senza che ve ne sia un’esperienza diretta. La comunicazione consente di rappresentare il mondo reale attraverso l’informazione e la produzione scientifica, ma anche attraverso una prospettiva funzionale, come nei romanzi, fumetti, serie tv, film. Questo modo di mediare la conoscenza della realtà è una fondamentale modalità conoscitiva che completa quelle che coinvolgono l’immediatezza dell’esperienza. La comunicazione è una esperienza mediata, cioè fare conoscenza del mondo attraverso i media. Conosciamo eventi senza aver fatto esperienza diretta, ma attraverso la comunicazione, e diventano di vitale importanza. La comunicazione ha un’altra funzione mediata: creare dei mondi alternativi, creare una realtà finzionale. I film ci consentono di fare esperienza di mondi finzionali, perchè ci piace proiettarci in altre realtà, possiamo riconoscerci con un personaggio o distanziarci, mettiamo in atto serie di meccanismi di identificazione. Da un lato permettono di dilatare la nostra esperienza/conoscenza del mondo attraverso l’informazione, allo stesso tempo attraverso la fiction creano mondi immaginari. I media consentono di dilatare in modo straordinario la nostra esperienza e conoscenza del mondo. Estendono le nostre informazioni sulla realtà oltre la ristretta portata delle relazioni della vita quotidiana consentendoci di conoscere luoghi, persone ed eventi che altrimenti ci resterebbero preclusi. Possiamo conoscere attraverso un’esperienza diretta del mondo, quando prendiamo parte a un evento. È una modalità che operiamo nella vita di tutti i giorni esercitando una conoscenza immediata delle dimensioni della vita quotidiana, lasciando che la nostra capacità intellettiva sia interrogata dalle attività che stiamo svolgendo e dagli eventi che attraversiamo. Possiamo conoscere anche attraverso l’osservazione e l’imitazione del comportamento di un altro. Possiamo conoscere, apprendere e trasmettere la conoscenza attraverso simboli, cioè attraverso una descrizione, un racconto, una narrazione della realtà che si serve di una qualche forma di linguaggio, sia essa verbale, gestuale, scritta o per immagini. La dimensione simbolica media il rapporto con la realtà consentendo alla comunicazione di costruire una conoscenza del mondo. Possiamo considerare questa come la funzione referenziale della comunicazione, poiché si orienta verso il contesto, cioè verso una realtà extralinguistica per veicolare un contenuto dell’esperienza, sia esso concreto o immaginario. Il referente, quindi, può non essere solo un evento del nostro mondo circostante ma può riguardare mondi che si collocano al di fuori della nostra portata immediata e di cui abbiamo notizia solo attraverso varie forme di narrazione. È attraverso queste narrazioni che possiamo dire di conoscere l’evento e che questo evento riempie il nostro orizzonte di senso. Anche se si tratta di un’esperienza nella comunicazione, dentro il linguaggio, la visione e l’ascolto, che differisce dall’esperienza diretta dell’evento. I media (attraverso le diverse forme di fiction letteraria, cinematografica e televisiva) creano «altri mondi» immaginari che dilatano il nostro orizzonte di esistenza offrendoci in certo modo la possibilità di trascendere il nostro qui ed ora e di vivere in modo vicario, attraverso le storie di altre persone e personaggi, esperienze e situazioni diversissime. Dall’altro lato estendono le nostre informazioni sulla realtà oltre la ristretta portata delle relazioni della vita quotidiana consentendoci di conoscere luoghi, persone ed eventi che altrimenti ci resterebbero preclusi. In sintesi, i media estendono enormemente l’ambito della referenza della comunicazione, il mondo di cui parlare. Con la comunicazione possiamo quindi generare mondi, siano essi bastai su eventi reali o finzionali. Pensiamo ai mondi creati dalla fantasia e dal potere dell’immaginazione degli scrittori. Tuttavia, la funzione referenziale chiede che questi mondi immaginari, per quanto lontani dalla vita reale, mantengano un carattere di verosimiglianza che consenta al pubblico di riconoscervi qualcosa della propria esperienza e del proprio mondo, per quanto deformato e trasfigurato. Questa funzione conoscitiva e simbolica non può prescindere dal ruolo dei media e dal loro potere di mediare la nostra conoscenza della realtà. I media consentono infatti di dilatare la nostra esperienza e conoscenza del mondo. I film, le serie tv, i romanzi e altre narrazioni costituiscono un’opportunità continua di guardare a noi stessi e di riflettere su noi stessi a partire dall’adesione o dalla negazione di quelle motivazioni e di quei comportamenti che osserviamo nelle situazioni che si svolgono e attribuiamo ai personaggi. Parlando di comportamenti e motivazioni ci si riferisce alle rappresentazioni comunicative, cioè a come nella comunicazione si attribuisca agli individui una intenzionalità. In pratica, nelle diverse forme di narrazione mediale si produce un raddoppiamento della realtà; da una parte, quella spazio-temporale dell’osservatore e, dall’altra, quella della narrazione, un vero e proprio mondo che si costruisce a partire dalla distinzione che l’osservatore crea con il proprio: una distinzione tra realtà reale e realtà della finzione. La fiction è una forma di realtà, anche se fittizia, che trae plausibilità da se stessa, dalla costruzione di un mondo coerente e dal proprio modo di raccontarsi. Per questo la costruzione dell’universo narrativo funzionale può richiedere molto tempo nella fase preparatoria. Mass media: comunicazione portata a livello di massa. La cultura di massa confonde spesso i piani del reale e dell’immaginario, della realtà reale e della realtà finzionale. I reality show ti fanno sembrare le cose vere invece non lo sono. La cultura di massa è animato da questo duplice movimento, noi consumiamo la finzione come fosse realtà e viceversa. Gli influencer creano una visione fittizia della realtà, spesso basata su schemi preconfezionati e situazioni drammatiche, spacciandocela per vera e autentica. Nel settore dell’informazione e della cronaca primeggia tutto quello che può diventare spettacolo, che può essere consumato come spettacolo. Un fatto di cronaca può diventare un romanzo. La vita di un politico diventa la storia delle sue qualità umane, dei suoi gusti privati, di suoi sentimenti e della sua intimità. ————————————————————————————————————————————————————————————————————— 07/03/2023 MEDIA E CAMBIAMENTO SOCIALE Mediatizzazione: la realtà in cui viviamo è un ecosistema mediatico, cioè che i media sono una forza (non sono solo uno strumento) che interagiscono e influenzano la cultura e la società (rapporto dinamico), i media sono protagonisti. L’ecosistema dei media è caratterizzato da una pluralità di attori e di relazioni, e da una costante evoluzione tecnologica e culturale che modifica continuamente le dinamiche e le possibilità di comunicazione e partecipazione sociale. I media sono ambienti, qualcosa che modifica la realtà sociale che ci circonda. Oltre che in ambienti biologici e geologici, gli umani vivono in ambienti simbolici e tecnologici, in quanto i media costituiscono gli strumenti attraverso i quali gli umani conoscono, comprendono e modificano il loro ambiente. Di conseguenza, i media modellano e influenzano gli umani come gli ambienti biologici e geologici modellano e influenzano gli organismi e le specie. Sono ambienti che definiscono chi siamo, ci modificano. Questo ci porta alla mediatizzazione. I media hanno un impatto sempre più importante sulla nostra vita quotidiana, sul modo in cui percepiamo il mondo e sulle nostre relazioni sociali. La mediatizzazione ha un impatto sul modo in cui noi percepiamo e valutiamo le cose e le persone. La mediatizzazione ha un effetto importante sulla politica e sulla società in generale, in quanto influenza la percezione del pubblico su una vasta gamma di questioni, come la politica, l’economia, la cultura e l’ambiente. La mediatizzazione è uno studio del modo in cui i media influenzano la realtà. Oggi chiunque ha a disposizione un’infinità di media. Il concetto di mediatizzazione viene utilizzato negli studi sociali sui media per indicare la serie di processi che portano la comunicazione mediata tecnologicamente a penetrare in un numero sempre maggiore di contesti sociali e a trasformarli di conseguenza. Non va confuso con il concetto di mediazione che, invece, riguarda la condizione antropologica di rapporto con il proprio ambiente e con gli altri: in questo senso tutta la nostra esperienza è in qualche modo mediata e i mezzi di comunicazione radicalizzano questa condizione. In breve, possiamo dire che la comunicazione mediata si trasforma in mediatizzazione quando comporta delle trasformazioni sul lungo periodo della società, per esempio nell’ambito della cultura, dell’educazione e della politica. La mediatizzazione è quindi un meta-processo di trasformazione culturale e sociale influenzato dai media. La mediatizzazione ha a che vedere con il rapporto fra i media e le sfere della vita. Essa genera effetti più ampi sulle diverse istituzioni sociali e sulle differenti pratiche della vita quotidiana. Quindi, possiamo dire che la mediatizzazione è un concetto che descrive la complessità dei processi sociali correlati alle caratteristiche dei media. L’approccio della mediatizzazione ci aiuta ad osservare i media come se fossero degli elementi attraverso cui si genera la realtà sociale. I media entrano nei più vasti meccanismi della nostra vita sociale. La mediazione è la condizione attraverso cui la comunicazione media la nostra relazione con la realtà. Attraverso linguaggio e comunicazione si ha una realtà mediata. La mediatizzazione è la mediazione dei Mass media, la mediazione sta alla base. I media sono strumenti attraverso cui si genera la realtà sociale (si pensi alla mediatizzazione dei processi giudiziari, continuamente sottoposti a mediatizzazione, diventano qualcosa fatto per essere consumato dai media) può contribuire a influenzare l’opinione pubblica, possono condizionare un processo giudiziario. Dal punto di vista quantitativo la mediatizzazione è caratterizzata: a) In senso temporale, perchè la maggior parte delle persone nel mondo è connessa praticamente sempre; b) In senso spaziale, perchè la connessione è disponibile ovunque; c) In senso sociale, perchè una varietà sempre più ampia di pratiche quotidiane è influenzata dai media. Dal punto di vista qualitativo, la mediatizzazione può essere osservata guardando: a) Lo sviluppo storico delle trasformazioni relative ai media; b) La diversità delle trasformazioni mediali legate alla varietà dei media e alla molteplicità degli ambiti sociali; c) La relazione con gli altri processi sociali tipici della modernità. MEDIATIZZAZIONE PROFONDA: i media non sono solo una parte della nostra vita quotidiana, ma diventano una sorta di seconda natura per le persone. I media, in questo senso, non sono solo strumenti di comunicazione, ma modellano la realtà sociale e la nostra esperienza della stessa. I media costruiscono la realtà sociale, possono costruire realtà che non esistono, possono monitorare qualsiasi movimento facciamo, possono predire i nostri comportamenti. I media hanno un impatto profondo su come comprendiamo noi stessi, gli altri e il mondo che ci circonda. I media diventano quindi una forma di controllo sociale e culturale, plasmando la nostra visione della realtà e le nostre azioni all’interno di essa. I social si basano sulla valutazione sociale. Con mediatizzazione profonda si indica il fatto che, nell’attuale fase digitale, i media sono sempre più coinvolti nella generazione dei dati e non solo nella loro comunicazione. Ciò significa che i media partecipano sempre di più alla costruzione del mondo sociale. La mediatizzazione profonda rappresenta una sfida per la ricerca sociale e sui media, in quanto richiede di occuparsi di realtà nuove e complesse come gli algoritmi, o i processi di machine learning, di produzione dei dati e del funzionamento delle infrastrutture digitali. CONVERGENZA: è l’esito di un mutamento culturale agevolato dalle trasformazioni digitali che ha a che fare con il flusso dei contenuti su più piattaforme, la cooperazione tra più settori dell’industria dei media e il migrare del pubblico alla ricerca continua di nuove esperienze di intrattenimento. La convergenza si realizza fra le culture istituzionali delle corporation mediali e di quelle dal basso dei pubblici: da un lato i media tendono a coinvolgere le audience nei processi produttivi e distributivi, come nel caso dei fandom o degli influencer, che finiscono per essere strumenti consapevoli di lancio dei marchi o dei prodotti. Dall’altro gli utenti ricercano e consumano contenuti combinando fra loro diversi media. AUMENTO DELLA PROCESSUALITA’: se i media si configurano in se come processi, i media digitali presentano un livello maggiore di trasformabilità. Basti pensare a come la facilità nel modellare il software comporti una condizione die media digitali come realtà che sono in beta permanente, che vengono cioè aggiornati in maniera continua e così rapidamente che non esiste più la distinzione tra la versione di test del prodotto digitale e quella di produzione finale. Un altro aspetto importante della mediatizzazione riguarda l’integrazione fra il sistema dei media e i più vasti meccanismi della vita sociale. Tale processo ha riarticolato il rapporto tra comunicazioni interpersonali e comunicazioni di massa, introducendo nuove forme di disintermediazione e richiedendo nuove competenze per affrontare un modo diverso di essere presenti nella comunicazione da parte di individui e istituzioni. Ha modificato le condizioni spaziali e temporali dell’interazione sociale e il senso di prossimità attraverso tecnologie di rete che connettono ciò che è vicino e ciò che è lontano. Ha trasformato il vissuto nell’ambiente quotidiano attraverso la pervasività dei media di connessione e le infrastrutture dedicate che consentono un rapporto diverso con il consumo, l’informazione, l’intrattenimento e la socialità. Ha cambiato la percezione del ritmo dell’innovazione, rendendo agli individui familiare il senso di accelerazione dei cambiamenti sociali e tecnologici. Ha inserito la dimensione mediale in un gran numero di oggetti non precedentemente considerati come media attraverso la connettività digitale, l’inclusione di software e l’automatizzazione algoritmica. Ha introdotto nella vita quotidiana e nel funzionamento delle istituzioni processi di regolazione algoritmica, che agiscono sui processi di categorizzazione sociale. Tutto questo ci porta alla nascita della radio nel 1901 con Guglielmo Marconi. Nel 1906 riesce a trasmettere per la prima volta la voce umana. Nata come un telegrafo senza fili grazie alle onde elettromagnetiche. All’inizio era pensata come strumento di comunicazione 1 a 1, atnt immaginava di mettere in commercio la radio come strumento i comunicazione interpersonale al posto del telefono (questo progetto fallisce). Dopo diventa il primo mezzo di comunicazione in forma broadcasting. Le agenzie pubblicitarie spinsero per questo perchè avevano capito che potevano vendere meglio i propri prodotti. I primi imprenditori radiofonici capiscono di poter ricavare più profitto così. Negli anni 30 con la guerra diventa strumento di propaganda bellica. Mclhuan >> radio come tamburo tribale che riportava alla società preletteraria. Siamo passati da società orale a scritta, a quella della stampa, a quella dove siamo tornati ad un’oralità. ————————————————————————————————————————————————————————————————————— 13/03/2023 LA NASCITA DELLA MASSA Il XX secolo si apre con la nascita delle masse organizzate, nasce come soggetto sociale nuovo, nasce anche l’arte per le masse. L’avvento della società di massa si lega all’affacciarsi delle masse organizzate sulla scena della società europea del tardo 800. Il termine massa veniva di solito associato a qualcosa di amorfo, magmatico, imprevedibile, pericolosamente instabile. Il concetto di massa assunse centralità e rilevanza euristica nelle riflessioni di studiosi e intellettuali. Molti condividevano l’idea che la massa non è altro che uno strumento di manovra a disposizione delle elites. L’inevitabilità di questa situazione deriva dalla forza dell’organizzazione propria delle élite contrapposta alla dispersione e alla disorganizzazione propria delle masse. Non è sufficiente essere numerosi per avanzare rivendicazioni e proporsi come alternativa al governo della società; è necessario dotarsi di una struttura organizzativa. Opera scritta nel 1895 “psicologia delle folle” di Le Bon, egli era interessato a capire l’impatto che questo fenomeno nuovo della folla. La folla è elemento fisico perchè è un insieme di persone che stanno tutte insieme, vicine, corpi uno affianco all’altro. Anonimato: in una folla la persona perde la propria individualità e diventano anonimi. Questo può essere una sorta di liberazione perchè non si è più responsabili delle proprie azioni. Contagio: gli individui all’interno della folla sono influenzati dalle azioni e dalle emozioni degli altri membri. Suggestione: gli individui all’interno della folla sono molto influenzabili dalle parole e dalle azioni degli altri membri. Di conseguenza, un individuo può essere portato a compiere azioni che non farebbero normalmente. Irrazionalità: le folle sono guidate da emozioni e passioni, piuttosto che dalla ragione. Di conseguenza, le decisioni prese dalle folle possono essere il risultato di impulsi emotivi piuttosto che un ragionamento logico. Leader: le folle sono spesso guidate da un leader carismatico che è in grado di influenzare gli altri membri della folla. Il leader può essere visto come un simbolo di autorità L’oratore che vuole sedurre una folla deve abusare di dichiarazioni violente. Esagerare, affermare, ripetere e mai tentare di dimostrare alcunchè con il ragionamento sono espedienti familiari agli oratori nelle riunioni popolari. Per il solo fatto di appartenere a una massa organizzata, l’individuo scende di parecchi gradini la scala della civiltà. Le folle sono qualcosa che va contro il principio della ragione. Le folle sono una minaccia costante per i principi di ragione e verità. Le Bon trovava un elemento positivo nelle folle: l’unione. Le folle sono spesso unite da un senso di solidarietà e di appartenenza. Questo senso di unità può portare gli individui a dimenticare le loro differenze e a lavorare insieme verso un obbiettivo comune. La storia, tuttavia, ci fornisce innumerevoli esempi di resistenza pacifica delle folle all’oppressione. Non è che queste ultime siano meno emotive delle masse arrabbiate, soltanto che le emozioni sono differenti. Ortega, invece, pone al centro della sua riflessione la qualità dell’uomo-massa in antitesi all’individuo colto: la massa è irrazionale e incompetente, e con il suo avvicinarsi al centro della società rischia di diffondere ignoranza e irrazionalità, facendo venire meno la razionalità tradizionale, ovvero l’unica ritenuta in grado di preservare in vita l’organismo sociale. L’irruzione della massa sulla scena sociale non può che rappresentare una trasformazione profonda, legata alla perdita di un mondo che non tornerà più. Gassett dice che la massa è tutto ciò che non valuta se stesso - ne in bene ne in male - mediante ragioni speciali, ma che si sente come tutto il mondo, e tuttavia non se ne angustia, anzi si sente a suo agio nel riconoscersi identico agli altri. La massa travolge tutto ciò che è differente, singolare, individuale, qualificato e selezionato. Chi non sia come tutto il mondo, chi non pensi come tutto il mondo corre il rischio di essere eliminato. L’uomo-massa è caratterizzato dalla mancanza di pensiero critico e dalla conformità alle opinioni e alle tendenze dominanti della società. L’uomo-massa si sente a proprio agio solo nella collettività, poichè ha perso la propria identità individuale e trova la sua sicurezza nell’ appartenere a un gruppo omogeneo. Simmel sostiene che la massa si fonda sull’esaltazione delle parti che accomunano gli individui. Inoltre, le azioni della massa puntano dritto allo scopo e cercano di raggiungerlo per la via più breve: questo fa si che a dominarle sia sempre una sola idea. Vengono sottolineati ancora i tratti dell’irrazionalità, della disorganizzazione, della difficoltà a trovare tratti identitari comuni e dell’isolamento nel quale versano gli individui che abitano la società di massa. Blumer, sottolinea l’isolamento sostenendo che la massa è un aggregato di individui anonimi tra i quali esiste una scarsa interazione. Questa carenza di interazione si riflette sulla difficoltà da parte degli individui a condividere quadri valorizzi, modelli e aspettative di vita da un lato, e a difendersi dal sogno di modelli estranei alla propria sfera di vita, dall’altro. Senza dimenticare poi che la massa non è in grado di darsi una struttura organizzativa e regole di comportamento. In questo periodo inizia a diffondersi anche la prima teoria sulle comunicazioni di massa: la teoria ipodermica, la prima utilizzata per dar conto della presenza dei mass media nelle società del tempo. Essa può essere ridotta al modello di un dispositivo di connessioni che lega l’emittente al destinatario, annullando completamente ogni variabile interveniente di contesto. I postulati ai quali fa riferimento questa teoria sono: a) Nella società contemporanea si è verificata la scomparsa dei gruppi primari; b) Gli individui sono isolati; c) Gli individui annullano l’esaltazione dei tratti personali per lasciare spazio a quelli impersonali della massa; d) Il pubblico delle comunicazioni di massa è un pubblico atomizzato; e) I mezzi di comunicazione di massa sono onnipotenti e consentono a chi li controlla di manipolare gli individui. Si sostiene che l’isolamento dell’individuo nella massa anonima è il prerequisito della prima teoria sui media. Gli individui rappresentati come isolati e preda di chiunque persegua fini manipolatori vengono posti a confronto con un nuovo tipo di forza unificatrice, un tipo di sistema nervoso molto semplice che raggiungeva ogni occhio e orecchio in una società caratterizzata da una organizzazione sociale amorfa e da una scarsità di relazioni interpersonali. Così la nuova società prodotta dalla rivoluzione industriale è intimamente attraversata da mezzi di comunicazione di massa. ————————————————————————————————————————————————————————————————————— 14/03/2023 LA TEORIA IPODERMICA, conosciuta anche come bullet theory, sostiene che i media di massa abbiano un effetto diretto e immediato sul comportamento e le opinioni delle persone. Essa fa riferimento a un modello comunicativo che si caratterizza per una relazione diretta e univoca che lega lo stimolo alla risposta. Secondo questa teoria, i media sono in grado di iniettare messaggi e ideologie nella mente degli individui, che vengono accettati senza alcuna forma di critica. Definita da Kurt e Gladys Lang come una teoria che “never was”, a causa della profonda estraneità mostrata dagli scienziati sociali, la teoria ipodermica è stata più volte recuperata, soprattutto quando si voleva enfatizzare il carattere massificante e manipolatorio della comunicazione di massa. I postulati sui quali si fonda la teoria ipodermica sono: a) Il pubblico è una massa indifferenziata, all’interno della quale si trovano individui in una condizione di isolamento fisico, sociale e culturale; b) I messaggi veicolati dai media sono potenti fattori di persuasione, in grado di introdursi all’interno degli individui con le stesse modalità di un ago ipodermico; c) Gli individui sono indifesi di fronte al potere dei mezzi di comunicazione di massa; d) I messaggi veicolati sono ricevuti da tutti i membri nello stesso modo. Si ritrovano molti elementi della teoria della società di massa, a partire da quello dell’isolamento degli individui. Gli individui appaiono completamente soli, privi di reti di protezione, esposti senza scampo agli stimoli esercitati dai media. Proprio per questo i messaggi veicolati dai media hanno gioco facile e possono colpire come un proiettile gli individui ad essi esposti. Non essendovi barriere a fermare la traiettoria del proiettile, gli individui risultano indifesi e preda dei messaggi mediali, che vengono ricevuti in modo standard da tutti i destinatari. Questo approccio teorico nasceva da Pavlov (esperimento del cane). Nei famosi esperimenti del cane di Pavlov condotti dal fisiologo russo Ivan Pavlov tra il 1890 e il 1900, lo scienziato faceva suonare una campana ogni volta che offriva del cibo ai cani. Dopo diverse ripetizioni, i cani iniziarono a salivare non appena sentivano il suono della campana, anche se il cibo non era presente. In questo modo, Pavlov dimostrò come il cervello degli animali (e degli esseri umani) possa apprendere e associare stimoli diversi. Il comportamentismo è una teoria psicologica che sostiene che il comportamento umano sia governato principalmente dall’apprendimento attraverso l’esperienza. Secondo questa teoria, l’ambiente esterno h un ruolo fondamentale nella determinazione del comportamento umano, mentre i processi interni della mente e dell’esperienza soggettiva sono meno rilevanti. Ogni atto individuale è solo apparentemente libero, essendo in realtà un comportamento direttamente imputabile a determinati specifiche, esterne al soggetto agente e indipendenti dalla sua volontà, che possono essere variamente manipolate. I postulati della teoria ipodermica: il pubblico è una massa indifferenziata, all’interno della quale si trovano individui in una condizione di isolamento fisico, sociale e culturale. I messaggi veicolasti dai media sono potenti fattori di persuasione, in grado di introdursi all’interno degli individui con le stesse modalità di un ago ipodermico. Gli individui sono indifesi di fronte al potere dei mezzi di comunicazione di massa. I messaggi sono ricevuti da tutti allo stesso modo. Non c’è nessuna traccia di una qualche forma di potere ascrivibile ai destinatari, ridotti a mere comparse sulla scena organizzata e gestita dalle istituzioni mediali. Il disinteresse profondo nei riguardi dell’individuo si estende fino a negare qualsiasi azione interpretativa dei messaggi ricevuti: tutti sono raggiunti dagli stessi messaggi e i messaggi sono ricevuti da tutti esattamente nello stesso modo. Il modello alla base della bullet theory si configura come il primo tentativo di individuare il rapporto esistente tra media e individui. È un modello di grande semplicità che rispondeva all’esigenza conoscitiva di stabilire un nesso tra il momento della veicolazione del messaggio e quello della fruizione. IL MODELLO MATEMATICO DI SHANNON E WEAVER: il loro oggetto di studio sono le possibili fonti di rumore in grado di produrre una dispersione di informazioni. Nel 1949 viene presentato il modello di Shannon e Weaver, due ingeneri informatici che presentarono il modello matematico. Lo scopo degli studiosi era quello di limitare i danni connessi a un processo di trasferimento di informazioni. In questo modello si ha una fonte dell’informazione, il cui messaggio entra in un trasmittente (encoder) che manda un segnale che entra in un canale; questo canale può essere disturbato da una fonte del rumore, ma comunque porta il segnale ricevuto in cui ricevente (decoder) che ricodifica il messaggio che arriva al destinatario. —> secondo Eco questo modello è riconducibile a una comunicazione tra macchine, tra esseri umani e macchine e tra macchine e esseri umani —> es: termostato: quando il termostato raggiunge il valore minimo prefissato la caldaia si mette in moto. Es: spia del livello del sale che si mette in moto per avvisare che manca il sale. La semplicità della bullet theory e del modello matematico però non rispecchiano la realtà. IL MODELLO DI LASSWELL: costituisce il primo tentativo di sistematizzare i dati di ricerca e le riflessioni teoriche raccolte e sviluppate nella fase iniziale della communication research. È un perfezionamento del modello con l’ago. Lui distingue sulla base del tipo di processo che vogliamo analizzare, chi, dice cosa, con quale mezzo, a chi, con quali effetti. Sistematizza i possibili campi di studi e di ricerca della comunicazione. Se vuoi studiare il “chi” devi fare una ricerca sulle emittenti, su chi ha prodotto quel messaggio. Il suo lavoro del 1927 sulle tecniche di propaganda usate da americani, inglesi, francesi e tedeschi durante la prima guerra mondiale non giunge a formulare una teoria generale, ma produce una razionale analisi del campo di indagine, distinguendo i messaggi secondo i pubblici cui sono diretti e individuano i temi ricorrenti, ristretti sostanzialmente a 8 gruppi. Nel descrivere tale modello Lasswell sottolinea come superi la teoria ipodermica, evidenziando le innovazioni introdotte rispetto al modello elementare dello stimolo-risposta. Il modello di Lasswell si configura come una risposta alla necessità di fare ordine nel campo della communication research. Bisogna prestare attenzione a “chi” attiva il processo comunicativo, ciò significa collocarsi nell’area di studio dell’emittenza: vale a dire di quei soggetti che producono i messaggi comunicativi. Il secondo elemento del modello è “cosa” viene comunicato, che, dal punto di vista della ricerca, comporta un’automatica collocazione nell’area di studio del messaggio. Il filone estremamente ricco della content analysis trova in Lasswell il suo padre fondatore, con studi sulle tecniche di persuasione utilizzate durante la prima guerra mondiale. Il terzo elemento è “con quale mezzo”, cioè con quale canale viene divulgato il messaggio. Il quarto elemento è “a chi”, cioè il destinatario del messaggio che implica l’assunzione di un focus di attenzione centrato sul pubblico dei media. Infine, bisogna prestare attenzione a “quali effetti” vengono attivati nei destinatari, ciò significa entrare di forza nel campo di studio che ha attraversato la mass communication research, quello degli effetti: intenzionali o non intenzionali, diretti o indiretti, a breve o a lungo termine gli effetti rappresentano, infatti, l’ambito privilegiato dagli studiosi alla perenne ricerca di conseguenze attribuibili all’azione dei media. CRITICHE A QUESTO MODELLO: critica mossa da Wolf nel 1985: a.L’ASIMMETRIA DELLA RELAZIONE CHE LEGA L’EMITTENTE AL DESTINATARIO: il processo comunicativo ha origine esclusivamente dall’emittente, il ricevente entra in gioco solo come termine ultimo con il quale si conclude il processo;
 b. L’INDIPENDENZA DEI RUOLI: l’emittente e il destinatario vengono raffigurati come due soggetti che non entrano mai in contatto diretto ne appartengono allo stesso contesto sociale e culturale;
 c. L’INTENZIONALITÀ DELLA COMUNICAZIONE: i messaggi veicolati dai medi si prefiggono sempre un obbiettivo; esso può essere nobile o meno nobile., buono o meno buono, in ogni caso, vi è sempre un intenzionalità da parte dell’emittente.
 Collocare il processo comunicativo in un contesto così segnato significa escludere qualsiasi possibilità di attribuire un ruolo più attivo al destinatario, considerare la ricezione del messaggio come un atto interpretativo da parte del ricevente, ipotizzare un interazione tra emittente e destinatario. WILSON 2001 —> ritiene il modello primitivo —> il modello rappresenta una concezione semplicistica della comunicazione con un emittente, un messaggio e uno o più riceventi ma nessuna interazione. La comunicazione stessa è meccanicistica, con nessuna casella dedicata al come e al perché . Il modello di Lasswell è certamente primitivo e ognuno oggi può realizzare che il contesto della comunicazione tecnologica è certamente più complesso. DIFESA AL MODELLO DI LASSWELL—> si trova in un saggio del 2015(non trovo il nome) —> gli studiosi giungono a sostenere la tesi di un intrinseca flessibilità concettuale adatta a interpretare anche i nuovi processi comunicativi —> anche se risulta del tutto infondata perché le trasformazioni avvenute sul fronte delle dinamiche attivate tra emittente e ricevente, dei diversi ruoli coinvolti nel processo, dei canali utilizzati divenuti di sempre più difficile identificazione riguardo al momento del consumo dei messaggi veicolati anch’essi divenuti oggetto di intervento da parte degli stessi destinatari, dei pubblici raggiunti e degli effetti attivati, rendono pressoché impossibile continuare ad assumere a riferimento il modello di Lasswel. Ciò nonostante, tale modello deve essere considerato come un punto di riferimento interpretativo che ha guidato una lunga fase di ricerca e che oggi può essere assunto a riferimento per realizzare una sorta di punto di riferimento sulle trasformazioni avvenute nel corso del tempo. ————————————————————————————————————————————————————————————————————— I PAYNE FUND STUDIES sono un progetto mirato a studiare gli effetti del cinema sulle giovani generazioni. Nascono negli USA grazie a due condizioni: • Sviluppo dei metodi di ricerca empirica. Bisogna ricordare i lavori di Bogardus sulla costruzione di una scala di distanza sociale in grado di misurare i pregiudizi razziali e quelli di Thurstone, finalizzati a costruire una scala di intervalli uguali utile a misurare qualsiasi tipo di atteggiamento; • Incredibile successo del cinema. Alla base di tale successo va collocata la economicità del consumo, di entità tale da poter essere affrontata da intere famiglie con redditi medio-bassi, in un periodo di grande incertezza economica dopo la crisi del 1929. Una maggiore accuratezza metodologica da parte degli scienziati sociali si saldò a una crescente preoccupazione circa gli effetti del cinema. Il cinema costituiva la strada più percorribile per trovare evasione e riposo nelle grandi storie prodotte da Hollywood. Queste storie, però, talvolta raccontavano vicende non proprio edificanti o mostravano condotte ritenute riprovevoli. La preoccupazione per le giovani generazioni esposte a tali messaggi portò alla nascita delle Payne Fund Studies, che finanziarono ben 13 ricerche relative al contenuto dei film e agli effetti esercitati sulle giovani generazioni tra il 1929 e il 1932. Si produssero grandi risultati in merito ai temi trattati, individuando 10 generi maggiormente presenti: crimine, sesso, amore, mistero, guerra, infanzia, storia, avventura, commedia e questioni sociali. I dati di presenza all’interno dell’offerta mostrano come il 75% dei film era nei generi di crimine, sesso e amore. In breve, si trattava di risultati che confermavano la pericolosità di un’offerta che a volte si poneva in contrasto con i valori e i comportamenti delle generazioni adulte e integrate. Il filone della ricerca sugli effetti può essere articolato in 2 grandi aree di interesse: • Lo studio degli effetti del cinema sugli atteggiamenti degli individui. Misurarono l’orientamento nei confronti di alcuni gruppi etnici, pena di morte, etc. I risultati dimostrarono che l’esposizione ripetuta mostrava un effettivo cambiamento di atteggiamento; • Lo studio degli effetti del cinema sul comportamento quotidiano degli individui. Misurarono l’influenza sui giochi, stili di vita, proiezioni e fantasie. I risultati dimostrarono il cinema non si limitava a influenzare il comportamento degli individui, ma proponeva modelli cui ispirarsi. Il cinema influenza la vita delle persone quando propone soggetti nei quali identificarsi e quando suggerisce nuove scene, situazioni e dinamiche di comportamento da adottare in qualunque situazione. Ogni generazione ha avuto i suoi eroi dell’infanzia con i quali si è identificata e ai quali ha donato un’altra vita ambientata nella creatività del gioco quotidiano. Al crescere dell’età, il cinema offre altro: consente l’acquisizione di un linguaggio e di uno stile. Diviene per molti una “scuola di etichetta” da frequentare e alla quale rivolgersi. Sempre grazie al cinema possibile immaginare una vita diversa da quella reale. I MERITI AI PAYNE FUND STUDIES: Anticipano il riconoscimento della capacità dei media di fornire gli elementi con i quali pervenire alla costruzione della realtà: “le immagini dei film propongono tipi di vita estranei a molti individui e, conseguentemente, modellano la loro concezione di tali modelli di vita” (Blumer 1933). Introducono, con molti decenni di anticipo, un esplicito riferimento alla capacità modellizzante esercitata dai media. ————————————————————————————————————————————————————————————————————— LA TEORIA CRITICA Questa teoria ha un approccio totalmente diverso rispetto alle altre: le teorie finora presentate hanno tutte un approccio empirico, mentre questa ha una base totalmente teorica, elaborata dalla scuola di Francoforte. Horkheimer e Adorno fanno una contrapposizione tra tutte queste teorie e lamentano nella cultura americana la presenza di un predominio capitalista e commerciale che è denso di cultura pop e orientato dalla pubblicità e dal marketing, privo quindi di una visione politica di stampo critico. I due autori della scuola di Francoforte volevano studiare criticamente il processo di comunicazione e, a loro parare, la ricerca amministrativa non era stata in grado di affrontare le basi politiche ed epistemologiche dell’ordine sociale e il suo ruolo in quell’ordine. Sono 3 le caratteristiche che differenziano la ricerca critica da quella amministrativa: 1. La comunicazione intesa come processo sociale. Mentre la ricerca amministrativa è mediacentrica e caratterizzata dall’essere a favore dei media, quella critica analizza le istituzioni che si collocano dietro i media e quelle che ne subiscono gli effetti. 2. Le istituzioni mediali come parte del più ampio contesto sociale. La ricerca amministrativa si concentra sull’analisi degli individui e su come finalizzare i media per soddisfare specifici scopi istituzionali mentre quella critica si occupa dei media come istituzioni sociali, collocando la ricerca all’interno del più ampio contesto socio-culturale, analizzando temi come la proprietà e il controllo tecnologico. 3. Struttura, organizzazione, professionalità e partecipazione. La ricerca critica è meno dipendente dalle organizzazioni mediali e dai loro obiettivi, sposta il punto di vista all’esterno di tali organizzazioni e ha come scopo quello di definire policy che le regolino. A differenza di quella amministrativa non accetta la definizione del problema che viene data dalle istituzioni mediali e non si mette al servizio dei professionisti dei media e dei quadri dirigenti. La critica principale all’approccio amministrativo è di concentrarsi unicamente sulla relazione tra il medium e il suo pubblico, portando avanti una posizione mediacentrica e fondata sull’individuo, che non tiene conto delle variabili sociali e culturali delle audience e di come queste modellino le opinioni. Lazerfield suggerisce che la posizione più critica potrebbe spingere il ricercatore amministrativo a concentrarsi su argomenti come le dinamiche di controllo nella produzione e distribuzione di prodotti informativi e culturali e le implicazioni politiche e culturali delle varie forme di contenuto mediale. Ciò che emerge è un contesto di ricerca in cui i due campi, amministrativo e critico, rappresentano parti integranti della stessa riflessione sui media, con il versante amministrativo che si concentra su questioni come la dimensione e la composizione delle audience mediali, le loro risposte ai contenuti mediali e gli specifici effetti e con la ricerca critica che si rivolge al contesto più ampio, mirando a scoprire interessi e forme di dominio, spesso mascherati, delle istituzioni mediali, assumendo così un orientamento normativo. Rispondono quindi a domande diverse: a. La ricerca amministrativa si chiede: chi sono le persone esposte ai diversi media? Quali sono le loro preferenze specifiche? Quali sono gli effetti dei diversi metodi di presentazione? b. La ricerca critica si domanda: come sono organizzati e controllati questi media? In che modo, nel loro assetto istituzionale, si manifesta la tendenza alla centralizzazione, alla standardizzazione e alla pressione emozionale? In che forma stanno minacciando i valori umani? Per i ricercatori amministrativi i mass media non sono altro che strumenti per raggiungere determinati scopi e i media possono persuadere o influenzare gli individui, mentre per i teorici critici il sistema dei media non fa altro che riprodurrei rapporti di forza dell’apparato socio-economico e, nel farlo, manipola gli individui. La vera distinzione sta nella centralità all’interno della teoria critica del concetto di totalità in contrapposizione a quello di frammentazione della ricerca amministrativa. La prima teoria della Scuola di Francoforte: la FUNZIONE DIALETTICA DEL PENSIERO CRITICO—> secondo la Scuola di Francoforte la teoria deve avere sempre una finalità pratica e politica —> deve fondarsi sul pensiero negativo: ti mette di fronte alle ingiustizie e contraddizioni del sistema. —> gli studiosi della scuola di Francoforte analizzano la direzione del cambiamento sociale a partire dalle contraddizioni della società stessa. Per far prendere coscienza alle persone il pensiero critico deve smascherare la FALSA COSCIENZA, ossia l’illusione di vivere felici. Chi crea l’ideologia crea una falsa Se una persona ha già un’opinione su un determinato argomento, tende a cercare informazioni che la supportino e a ignorare quelle che la contraddicono, poiché ciò la fa sentire più sicura e conferma le sue credenze esistenti. Le persone cercano attivamente di ridurre le dissonanze cognitive tra le loro credenze e i fatti che incontrano. LA TEORIA DELLA DISSONANZA COGNITIVA: elaborata da Festinger nel 1963. Le persone tendono ad essere coerenti con l’idea che hanno di se stessi, con i loro comportamenti e pensieri. Se non riesco ad esserlo, vanno incontro ad una dissonanza che gli causa disagio. A questo punto cercheranno di ridurre questa sensazione spiacevole realizzando o una ristrutturazione cognitiva o un cambiamento nel comportamento. “So che fumare fa male, ma mi piace fumare”. Si crea una dissonanza tra ciò che si pensa (che fa male) e ciò che si fa (fumare). Cambiamento del comportamento: smette di fumare. Ristrutturazione cognitiva: cerca informazioni che gli danno conforto e lo sostengono nella scelta di mettere in atto quel comportamento: ad esempio, ricorderà che suo nonno fumava ed è morto a 102 anni con una Marlboro in bocca, che anche un medico di sua conoscenza fuma, che oggigiorno fa male tutto, anche l’aria che si respira, e poi, con tutto questo smog, che sia una sigaretta o due o dici ecc… FATTORI DI MEDIAZIONE RISPETTO AL MESSAGGIO: sono troppo numerose sia le risultanze empiriche che le variabili intervenienti che circoscrivono la validità degli assunti a situazioni particolari: così, può accadere che un messaggio costruito in un certo modo sia efficace per alcuni soggetti ma per altri no. d’altro canto la frammentazione delle risposte è esattamente ciò che guida le pratiche di targettizzazione della comunicazione che si sono diffuse a seguito dell’affermazione dei media digitali. I messaggi elettorali costruiti in base alle caratteristiche e alle preoccupazioni dei destinatari non sono altro che il prodotto della prototype politics, affermatasi con la digitalizzazione della società e finalizzata a offrire messaggi mirati a pubblici specifici. Carl Hovland ha condotto degli studi sull’efficacia della propaganda. La propaganda era efficace nell’influenzare il comportamento dei soldati americani a partecipare alla seconda guerra mondiale, ma solo se la propaganda era considerata credibile e se i soldati ritenevano che fosse stata presentata da una fonte affidabile. L’area di indagine relativa alla credibilità della fonte rimanda all’assunto secondo il quale l’efficacia della comunicazione dipende dal comunicatore. In termini operativi, il concetto è stato articolato nella dimensione della competenza, fonte ritenuta in possesso di una buona conoscenza dell’argomento e di alto livello di expertise, e in quella della fiducia, fonte ritenuta degna di fede, sincera e disinteressata. Il progetto American Soldier fu uno dei primi su larga scala a utilizzare metodi di ricerca scientifici per comprendere il comportamento umano in situazioni di guerra. Per il progetto, i ricercatori hanno intervisto migliaia di soldati americani, utilizzando questionari e interviste di gruppo per raccogliere informazioni sulle loro esperienze, i loro sentimenti, le loro opinioni e le loro motivazioni. Questo progetto di ricerca è stato finanziato dall’autorità militare per preparare e mobilitare i soldati in partenza per la seconda guerra mondiale (Frank Capra conduce una serie di film dal titolo Why We Fight). Gli obiettivi di questa serie di film sono: • Convincere della rettitudine della causa • Rendere consapevoli circa la durezza della missione • Riconoscere agli alleati il massimo impegno nel contrasto al nazismo • Indurre risentimento verso i nemici • Convincere che la vittoria militare avrebbe migliorato l’ordine mondiale I film di Frank Capra, noti anche come la serie Why We Fight, furono realizzati tra il 1942 e il 1945, sotto la supervisione dell'Office of War Information degli Stati Uniti, con l'obiettivo di spiegare ai soldati americani le ragioni della loro partecipazione alla guerra e motivarli a combattere. Nel 1949 Carl Hovland, Arthur Lumsdaine, Fred Sheffield organizzano numerosi esperimenti per valutare l’efficacia dei film trasmessi ai soldati nei vari centri di reclutamento e addestramento. Avevano un ordine delle argomentazioni in cui la persuasione è più efficace quando viene presentata per prima l’argomentazione più forte del pubblico è meno coinvolto nell’argomento e non ha un’opinione già formata. La persuasione è più efficace quando viene presentata per prima l’argomentazione più debole e il pubblico è già coinvolto nell’argomento e ha un’opinione già formata. Per la completezza delle argomentazioni, la persuasione è più efficace quando il messaggio persuasivo è completo, ovvero quando presenta tutti gli argomenti necessari per supportare la posizione difesa (both sides). Se un messaggio persuasivo è incompleto o manca di informazioni cruciali (one side), il pubblico potrebbe essere meno propenso ad accettare la posizione difesa. Solo in presenza di un elevato livello di istruzione e di opinioni presenti sull’argomento, aveva maggiore efficacia il messaggio both sides. Per quanto riguarda l’esplicitazione delle conclusioni, la persuasione è più efficace quando la conclusione è esplicitamente indicata nel messaggio persuasivo. Tuttavia, i soggetti con un elevato livello di istruzione preferivano che le conclusioni non venissero esplicitate, esattamente il contrario avveniva tra i soggetti con un livello basso. Al termine di questa panoramica dedicata all’analisi dei fattori di mediazione rispetto al messaggio si può sostenere che la rilevanza delle differenze individuali sia tale da lasciare da lasciare senza risposte numerosi interrogativi circa la maggiore o minore capacità persuasoria dei messaggi comunicativi. O, meglio, offra una risposta che si definisce in relazione alla collocazione del messaggio persuasorio all’interno del contesto economico, sociale e culturale degli individui nonché alle attuali pratiche di microtargeting, applicazione sofisticata e consapevole della differenziazione del pubblico alla quale si accompagna la frammentazione dell’offerta. L’INFLUENZA PERSONALE, I LEADER D’OPINIONE E IL FLUSSO A DUE FASI DELLA COMUNICAZIONE: i contatti personali hanno un ruolo privilegiato nei processi decisionali degli individui. La ricerca empirica offrì elementi utili a evidenziare il ruolo esercitato dall’influenza personale. L’interesse degli studiosi per tale ruolo si manifestò per la prima volta nell’ambito della ricerca condotta da Lazerfield “et al” sulla campagna presidenziale del 1940. Nel trarre le conclusioni della ricerca, gli studiosi dichiararono che in qualsiasi momento della campagna fosse stato chiesto agli intervistati di ricostruire la loro esposizione ai vari tipi di comunicazione, le discussioni politiche erano state citate più spesso della radio e della stampa. Non solo la comunicazione personale era più citata di quella mediale ma gli stessi intervistati indicavano i contatti personali. La maggiore efficacia dei contatti personali vs la comunicazione mediale deriva da alcune caratteristiche dei contatti face to face, ovvero la casualità e non intenzionalità della comunicazione, la flessibilità degli stessi messaggi, la gratificazione personale dei soggetti coinvolti e l’attribuzione di prestigio e autorevolezza ad alcuni soggetti. • Selettività: l’influenza personale è più persuasiva e meno auto-selettiva di quanto lo siano i media • Flessibilità: nel corso di una conversazione, infatti, si può intervenire minimizzando alcuni aspetti, se percepiti come sgraditi all’interlocutore, ovvero enfatizzarne altri, se ritenuti più vicini agli interessi del soggetto. • Gratificazione: i contatti personali offrono una ricompensa immediata a seguito della condivisione di un’opinione e, nel caso ciò non accada, possono dar vita a forme di emarginazione. Nelle interazioni personali gioca un ruolo fondamentale la fiducia e il prestigio, che sono, per gli individui, importanti fattori di credibilità della comunicazione. Alcune persone nella società hanno un ruolo particolarmente influente nel plasmare le opinioni degli altri: questi individui sono stati chiamati “leader d’opinione”. I leader d’opinione sono persone che hanno una posizione di rilievo nella società, come ad esempio professionisti, opinionisti, insegnanti o politici, e che sono considerati dagli altri come fonti autorevoli di informazioni e giudizi (leader molecolari). Era necessario indagare anche sul rapporto intrattenuto dai leader d’opinione con i mezzi di comunicazione di massa. Quello che ne viene fuori è un profilo del leader d’opinione caratterizzato da un elevato e frequente uso dei media per l’acquisizione di informazioni di natura politica. Per interpretare i dati raccolti e dare conto del diverso rapporto con i media, Lazarsfeld, Berelson e Gaudet elaborarono il famoso modello del flusso a due fasi della comunicazione. La comunicazione è un processo a due fasi. La prima fase è quella della comunicazione limitata dagli opinion leader, in cui i messaggi e le informazioni sono filtrati e interpretati attraverso le opinioni di costoro. La seconda fase è quella della comunicazione che avviene dagli opinion leader ai membri del pubblico, in cui le informazioni vengono condivise e discusse. Le idee sembrano spesso passare dalla radio e dalla stampa ai leader d’opinione e da questi ai settori meno attivi della popolazione. Per quanto riguarda i mass media: • gli individui non sono isolati socialmente; • esistono reti di rapporti sociali all’interno delle quali spicca una figura filtro nei meccanismi di trasmissione delle informazioni; • questo nodo centrale è maggiormente esposto ai flussi mediali primari, che riceve, rielabora e trasmette, in colloqui informali e non strutturati, ad altri soggetti della rete/ comunità. Nel 1955, realizzano una ricerca sull’influenza personale che si svolge nel a Decatur – una cittadina di circa 60.000 abitanti del Middle West. Focalizzò l’attenzione sulla figura del leader d’opinione, sui suoi rapporti con gli altri soggetti e sul suo consumo mediale. Al riguardo, Katz e Lazarsfeld, sostengono che si può tranquillamente affermare che le leader d’opinione in ogni singolo campo tondono a essere più esposte ai mass media. Un diverso consumo mediale si pone, dunque, come il primo elemento della differenziazione tra leader d’opinione e i soggetti influenzati. Nel modello del flusso a due fasi della comunicazione assunto a riferimento, i leader d’opinione si espongono di più ai media e, riguardo agli individui che si rivolgono a loro per avere consigli, assolvono la funzione di sbarramento rispetto ad alcune comunicazioni, ovvero di apertura rispetto alle altre. Prendendo le mosse dalla definizione di leader molecolare, i due studiosi introdussero una distinzione tra i tipi di leadership. Quando si parla di leadership orizzontale d’opinione, si fa riferimento a un’influenza che si esercita tra simili e che può essere intercambiabile. Per leadership verticale d’opinione si intende un’influenza esercitata da soggetti collocati a un livello superiore nella scala sociale, ai quali viene attribuita una maggiore competenza su certe questioni. Un’ulteriore differenziazione è stata individuata da Merton, che distingue tra leader d’opinione locale e leader d’opinione cosmopolita. Il primo è un soggetto che ha sempre vissuto all’interno della comunità, aderisce alle organizzazioni formali in modo tale da pervenire a una elevata conoscenza personale di molti individui, non esibisce competenze specifiche ma è profondamente addentro alla vita complessiva delle collettività. Il leader locale può esercitare un’influenza su aree diverse, tanto da poter essere considerato un leader polimorfico. Il leader cosmopolita non viene percepito come un membro della comunità, spesso vi è arrivato da fuori, intrattiene poche e selezionate relazioni interpersonali, consuma media di qualità elevata e specialisti. A questo soggetto vengono riconosciute competenze specifiche tali da consentirgli di esercitare influenza in relazione a un ambito circoscritto e, per questa ragione, si parla di un leader monomorfico. Gli elementi sinteticamente presentati consentono di cogliere la rilevanza che ebbe questo lavoro nell’ambito della Communication research. I processi comunicativi furono, per la prima volta, posti in un contesto all’interno del quale i destinatari esibivano appartenenze a reti sociali e relazioni interpersonali in grado di mediare rispetto ai messaggi veicolati. Se la comunicazione si articola in un flusso a due fasi, obiettivo degli emittenti non potrà che essere quello di raggiungere quei soggetti che si collocano a un punto di snodo rispetto ad altri. Un approccio del genere, però, presuppone a un ambiente mediale estremamente semplice, quale quello esistente negli stati uniti sul finire degli anni 40. GLI EFFETTI LIMITATI DEI MEDIA: i processi comunicativi furono, per la prima volta, posti in un contesto all’interno del quale i destinatari esibivano appartenenze a reti sociali e relazioni interpersonali in grado di mediare rispetto ai messaggi veicolati. Le comunicazioni di massa non erano così potenti da superare i meccanismi della selettività e le barriere rappresentate dalle relazioni personali. ————————————————————————————————————————————————————————————————————— 26/04/2023 LA SPIRALE DEL SILENZIO È una teoria che spiega come si forma l’opinione pubblica. All’interno di questa formazione i mass media hanno un fortissimo effetto nella costruzione della spirale. Quando si forma una propria opinione e si fa monitoraggio, cioè si vede che è uguale alla maggioranza. La spirale del silenzio è una teoria abbastanza complessa che può essere presentata facendo riferimento all’interazione fra 4 elementi: mezzi di comunicazione di massa, comunicazione interpersonale e rapporti sociali, manifestazioni individuali di opinione, percezioni che gli individui hanno dei climi di opinione nel proprio ambiente sociale. Gli elementi sui quali si basa la teoria combinano le acquisizioni concettuali di anni e anni di riflessione: nell’interazione ipotizzata i media vengono messi in relazione con la comunicazione interpersonale, con le prese di posizione individuali e con la percezione del clima di opinione. Senza dimenticare che essa rappresenta una dei pochi esempi di riflessione sulla natura e il ruolo dell’opinione pubblica nella nostra società che si sia sistematicamente confrontato con la sua analisi e misurazione empirica, dando vita a una ricca letteratura al riguardo. Il mezzo televisivo rende la percezione selettiva più difficile di quanto non avvenga con la stampa o altri media (consonanza e cumulatività). Clima di opinione duale: il clima d’opinione si sdoppia concettualmente sulla base del fatto che due sono le fonti e i luoghi di circolazione delle opinioni. Da una parte c’è quello che comprende tutti i rapporti. Interpersonali di un individuo, dall’altra c’è il clima d’opinione mediale. La consonanza vuol dire che non c’è differenza tra le opinioni, all’interno della televisione si ripetono sempre le stesse cose. La cumulatività, cioè che le opinioni vengono ripetute più volte e questo fa si che l’individualità della persona sia nulla. La concezione integrativa dell’opinione pubblica elaborata dalla Noelle-Neumann si traduce nel fatto che l’opinione dominante costringe alla conformità di atteggiamento e comportamento nella misura in cui minaccia di isolamento l’individuo che dissente. La punizione per chi contrasta l’opinione della maggioranza è l’isolamento. Quindi, la teoria riprende i modelli pessimistici sulla società di massa ed esalta il potere della tv. I media non hanno potere di cambiamento sociale. Questa teoria va verificata questione per questione, funziona molto per le decisione divisive. Elizabeth Noelle-Neumann è stata presidente dell’Allensbach Institut fur Demoscopie, che fondò nel 1947 insieme al marito Erich Peter Neumann. Il suo testo La Spirale del silenzio è stato pubblicato in Germania per la prima volta nel 1980, ma la sua teoria era già presente in un articolo del 1974. Lei racconta di un episodio che le accadde nel corso delle elezioni del 1965. A quel tempo, la studiosa era direttrice dell’Allensbach Institut, uno dei più importanti istituti di ricerca tedeschi. La sera delle elezioni, la seconda emittente televisiva tedesca organizzò una festa elettorale alla quale invitò orchestre e ospiti con l’intento di intrattenere il pubblico fino all’apertura delle buste contenenti le previsioni del risultato elettorale fornite dall’istituto e dall’EMNID, un altro istituto di ricerca. Quando finalmente si ebbero i risultati ufficiali, trascritti dalla stessa Nelle alla lavagna, che decretavano una netta e indiscutibile vittoria per la coalizione CDU/CSU sulla SPD, nella sala scoppiò una gran confusione mista a indignazione per i risultati appena diffusi. Nella ricostruzione dell’evento nonché di ciò che era successo prima, la Noelle ricorda come, in realtà, i dati in possesso dell’istituto di ricerca fossero assolutamente in linea con quelli emersi dalle urne; erano dati che, però, non potevano essere pubblicati. Il processo a spirale di Neumann si basa su un concetto di opinione pubblica integrativa, ovvero il risultato di un processo che coinvolge i cittadini e che è basato sulla natura sociale degli individui. Così, l’opinione pubblica diventa un’opinione ricca di valori in determinate aree, che può essere espressa in pubblico senza paura di subire sanzioni e sulla base di azioni che possono essere realizzate in pubblico. Questa concezione integrativa dell’opinione pubblica si caratterizza per la pressione a conformarsi e per la paura dell’isolamento sociale che muove l’individuo. Tutti i soggetti devono perdere parte; chi va contro l’opinione della maggioranza rischia l’isolamento sociale. La concezione integrativa dell’opinione pubblica elaborata da Noelle si traduce nel fatto che l’opinione dominante costringe alla conformità di atteggiamento e comportamento nella misura in cui minaccia di isolamento l’individuo che dissente. Giorgio Grossi sostiene che nel caso della teoria della spirale del silenzio, l’opinione pubblica è un fenomeno relazionale e sociale per eccellenza, ma è anche conformista e consensuale per definizione. Si tratta di un conformismo e di un consenso che derivano dall’interazione tra il monitoraggio dell’ambiente circostante e gli atteggiamenti e i comportamenti dell’individuo stesso, nell’intento di evitare forme di disallineamento con conseguenti rischi di esclusione sociale. Un contributo che acquisisce ulteriore valore nell’ecosistema attuale, nel quale non è più possibile trattare la comunicazione interpersonale e quella pubblica come due sfere separate della ricerca. Una teoria ancora valida? C’è una complessificazione del sistema mediale: se nel passato pochi e potenti network dominavano l’intero sistema, oggi gli individui possono contare su un’offerta che ricomprende al suo interno i legacy media (tanto a diffusione locale che nazionale o internazionale), gli online news outlet, i social media (con la riproposizione delle news dei legacy media e/o con la condivisione di materiale appositamente prodotto dagli utenti o da altri soggetti). Superamento dell’idea dell’isolamento sociale: come continuare, infatti, a ipotizzare la paura dell’isolamento sociale degli individui quando la contemporanea appartenenza a più network relazionali consente e, talvolta, addirittura premia l’espressione di punti di vista e posizioni minoritarie e di nicchia? GLI ELEMENTI COSTITUTIVI DELLA TEORIA: la teoria della spirale del silenzio assume come oggetto di studio la natura e la formazione dell’opinione pubblica. Nel fare ciò, stabilisce legami diretti e indiretti con altre tradizioni di studio, tanto dei media quanto dell’opinione pubblica in senso stretto. Partendo dalla concezione di opinione pubblica integrativa vale la pena evidenziare immediatamente come essa venga fatta coincidere con l’approvazione o la disapprovazione sociale a un certo tempo e a un certo luogo. Da ciò ne deriva l’articolazione della teoria nei suoi elementi costitutivi: 1. Gli individui temono l’isolamento sociale, perchè hanno bisogno di sentirsi accettati e di appartenere a un gruppo per soddisfare il loro bisogno di appartenenza; 2. Gli individui, per evitare una condizione di isolamento, sono costantemente alle prese con un’operazione di monitoraggio di ciò che gli altri pensano intorno ai temi controversi del momento. L’operazione di monitoraggio viene realizzata soltanto riguardo a temi controversi, relativi a questioni di ordine morale o etico; 3. Gli individui monitorano il clima d’opinione e individuano quello dominante attingendo al coverage mediale e all’esperienza personale. Il clima d’opinione che percepiamo grazie al coverage mediale si combina con gli elementi raccolti nella nostra esperienza quotidiana. Tale combinazione da vita a quella che la stessa Noelle ha definito come opinione pubblica duale, ovvero una combinazione tra la percezione personale e la percezione del frutto della copertura giornalistica offerta dai media. Ed è proprio in tale circostanza che il potere dei media si manifesta, vale a dire quando ciò che i media presentano come degno di attenzione e significativo finisce per imporsi come una seconda forma di conformità sociale, a volte persino in contrasto con la percezione primaria degli orientamenti collettivi; 4. Gli individui, nella continua e complessa operazione di monitoraggio del clima di opinione, sviluppano una competenza quasi-statistica che li mette nella condizione di valutare se il proprio punto di vista rispetto a un tema controverso li collocata coloro che condividono una posizione maggioritaria o minoritaria. Nel caso dell’identificazione con la posizione maggioritaria, non vi saranno problemi a prendere posizione pubblicamente, nell’altro caso, invece, si eviteranno prese di posizione pubbliche. La combinazione tra la percezione del clima di opinione dominante e l’espressione dell’opinione personale costituisce il cuore della ricerca empirica riconducibile alla spirale del silenzio. La competenza quasi-statistica è il risultato di una combinazione tra l’adattamento all’ambiente circostante e l’ambiente virtuale (opinione pubblica virtuale). In tal modo le persone hanno l’abilità di stimare quanto sono forti le diverse posizioni all’interno del dibattito pubblico. 5. Gli individui che si percepiscono come portatori di una posizione minoritaria hanno di fronte a sé due opzioni: abbracciare la posizione maggioritaria oppure tacere per evitare l’ostracismo e la riprovazione sociale. Quando scelgono di confermare la propria posizione difesi dal silenzio, essi scompaiono dal radar dei media, rimanendo così confinati in un cono d’ombra e cui fa da contraltare una grande visibilità di coloro che condividono la posizione maggioritaria. Tutto ciò produce esattamente la spirale del silenzio, che si nutre della scomparsa di alcuni e di una forte visibilità degli altri. Nell’impianto complessivo della teoria, tuttavia, vi è spazio anche per chi non si adegua al clima dominante. La loro presenza non altera il processo a spirale ma può combinarsi con le condizioni che portano a una inversione dei rapporti di forza tra posizioni maggioritarie e minoritarie. Si tratta, quindi, di una teoria che combina la comunicazione interpersonale e la comunicazione di massa, il livello micro e macro di analisi, il contenuto dei messaggi e il pubblico, la sociologia e la psicologia. LE IPOTESI DELLA TEORIA ALLA PROVA DELLA RICERCA EMPIRICA: Sin dalla sua formulazione iniziale, la teoria della spirale del silenzio si è costantemente confrontata con la ricerca empirica. A Noelle-Neuman va ricondotto il primo approccio di ricerca mirato a testare la paura dell’isolamento degli individui, noto in letteratura come il famoso test del treno. Nell’esperimento sul campo, condotto per la prima volta nel 1976, la minaccia dell’isolamento era correlata al tema del fumo in presenza di non fumatori; un tema scelto in base alla rilevanza che esso aveva all’epoca nonché in virtù del fatto che i due schieramenti erano abbastanza bilanciati. Dopo aver letto 2 brani agli intervistati a favore e contro il fumo in presenza di non fumatori e aver registrato la loro adesione alle due posizioni in campo, si chiedeva loro di stimare la posizione della maggioranza della popolazione sulla questione. Le risposte si dividevano tra il 31% che riteneva che i fumatori dovessero rinunciare in presenza di nono fumatori, il 28% che riteneva che si potesse fumare tranquillamente, il 31% che riteneva paritarie le posizioni e il 10% che riteneva impossibile dare una risposta certa. Dopo aver testato la percezione del clima di opinione generale da parte degli intervistati, si procedeva a somministrare il test teso a rilevare la propensione a esprimersi o a tacere. Le risposte alle domande vennero messe in relazione alla percezione del clima di opinione sulla questione e fecero emergere come esse fossero correlate alla condivisione o meno della posizione ritenuta maggioritaria: i fumatori che ritenevano fosse un loro diritto fumare in presenza di non fumatori si mostravano meno propensi a partecipare alla conversazione su questo argomento nel corso del viaggio in treno. Per quanto riguarda sempre i risultati della ricerca empirica connessa alla teoria, si segnalano alcune interessanti meta-analisi che consentono di ricostruire lo sviluppo della ricerca nella sua complessa articolazione. Il primo lavoro risale al 1997 e ha preso in considerazione 17 ricerche empiriche che affrontavano l’analisi del nesso tra percezione del clima di opinione e disponibilità a esprimere opinioni in pubblico. I risultati cui giungeva il lavoro evidenziavano come la percezione di un clima di opinione coerente con il proprio punto di vista e la disponibilità a esprimere pubblicamente un’opinione fosse positiva, sia pure di valore decisamente modesto. Nel corso degli anni la ricerca si è impegnata a offrire sempre nuovi setting per testare le ipotesi di base della teoria, nel tentativo di colmare le lacune esistenti. Al riguardo, tuttavia, riteniamo di poter condividere la posizione secondo la quale la teoria della spirale del silenzio non dovrebbe essere trattata come una teoria applicabile alla lettera. Piuttosto, essa dovrebbe essere considerata come un maneggevole strumento teorico, particolarmente adatto a descrivere alcuni aspetti affascinanti della dinamica dell’opinione pubblica, in particolare l’importanza dell’osservazione delle opinioni altrui. IL RUOLO DEI MEDIA: quando Noelle-Neuman elaborò la teoria della spirale del silenzio, il sistema dei media era profondamente diverso da quello di oggi, tanto che secondo alcuni studiosi si tratta di una teoria che potrebbe andare incontro all’archiviazione. I media hanno un ruolo centrale nell’abbattimento della selettività, pilastro indiscusso per anni dal paradigma degli effetti limitati dei media. La legge della selettività viene messa in discussione dalla ricercatrice tedesca a partire dalla centralità acquisita dal mezzo televisivo all’interno del sistema mediale. Secondo lei è proprio il mezzo televisivo che rende la percezione selettiva più difficile di quanto non avvenga con la stampa o con altri media. Ciò accade a seguito della presenza dei tratti della consonanza e della cumulatività attribuiti al mezzo televisivo: con il primo si rimanda alla presenza di argomentazioni molto simili all’interno dell’intera programmazione televisiva; con il secondo si indica l’apparizione periodica di tali argomentazioni. CULTURAL INDICATORS PROJECT E LO STUDIO DELLA VIOLENZA: la concettualizzazione originaria della teoria della coltivazione si colloca all’interno del progetto dei Cultural Indicators. Tale progetto prese il via sul finire degli anni 60 negli stati uniti, a seguito di numerosi disordini ed episodi di violenza diffusi nel paese, su sollecitazione della Commissione nazionale sulle cause e sulla prevenzione della violenza. Dal 1969 al 1995, nell’ambito del progetto sono stati analizzati oltre 3000 situazioni e 35.000 personaggi ritratti all’interno dei programmi televisivi trasmessi nel prime-time e durante il weekend. In termini generali, l’intento era quello di dare una risposta all’esigenza di conoscere la natura della coltivazione collettiva riguardo all’esistenza, le priorità, i valori e le relazioni rappresentati all’interno dei messaggi pubblici condivisi. Il progetto si caratterizzava nei termini di un’osservazione di lungo periodo sul contenuto complessivo veicolato dai media, differenziandosi nettamente dagli approcci empirici prevalenti. D’altro canto, l’obiettivo di analizzare le conseguenze del crescere e del vivere con la televisione non poteva essere perseguito se non con una prospettiva di lungo periodo. Al riguardo, l’illustrazione della teoria offerta dagli stessi studiosi è abbastanza chiara ed è presentata come fortemente connessa ai risultati della ricerca empirica che mostrano la presenza di un forte e diffuso mainstream televisivo su numerosi valori e atteggiamenti. Per studiare tale fenomeno è necessario ricorrere a un background e ad approcci teorici e metodologici profondamente differenti da quelli propri della ricerca sui media nonché un’appropriata e distinta analisi sulla dinamica televisiva. Questo approccio è stato sviluppato mediante il progetto dei Cultural Indicators. Il progetto si è concentrato sulla ricerca e l’analisi di dati relativi al contenuto della televisione, in particolare sulla rappresentazione della violenza, della criminalità e della giustizia. Il team di ricerca ha monitorato e registrato i programmi televisivi trasmessi dalle reti commerciali e pubbliche negli stati uniti dal 1967 al 1996. La ricerca dei Cultural Indicators iniziò alla fine degli anni ’60 dopo gli assassini di Martin Luther King e Bob Kennedy, quando la National Commission on the Causes and Prevention of Violence commissionò una serie di ricerche sulla violenza in televisione. L’obiettivo della ricerca che diede vita alla teoria della coltivazione era quello di dimostrare che coloro che guardano molta televisione esprimeranno e percepiranno il mondo come un luogo squallido, descritto con parole che riflettono alienazione e depressione. La ricerca sulla violenza televisiva si protrasse dal 1967 al 1985 e prese in esame 2134 programmi e 6206 protagonisti principali, individuati nell’ambito della programmazione della prima serata e del weekend. Il progetto di ispirava a due ipotesi strettamente correlate: la prima sosteneva che i telespettatori forti erano portatori di una visione del mondo come un luogo triste e squallido, descritto con termini riconducibili a condizioni di depressione e alienazione; la seconda voleva individuare l’esistenza del mainstreaming, vale a dire la condivisione di punti di vista comuni tra i telespettatori forti. La selezione del corpus di analisi avvenne a partire da una precisa definizione di violenza: a. Qualsiasi espressione di forza fisica contro se stessi o altri con l’obiettivo di ferire o uccidere; b. Forme accidentali di violenza o catastrofi naturali, in particolare quelle in grado di provocare un numero elevato di vittime; c. Ogni atto che può provocare effetti gravi, pur se collocato in contesti fantastici o umoristici. I ricercatori hanno utilizzato un’analisi secondaria di dati raccolti dai principali istituti statistici nazionali tesi a misurare il livello di sfiducia nel prossimo e il livello di alienazione degli individui (provenienti dall’index of alienation and gloom e dal mean world index). I valori ottenuti dagli intervistati rispetto ai due indici sono stati messi in relazione con il consumo televisivo degli intervistati, articolato in 3 fasce: debole (meno di due ore al giorno), medio (dalle due alle quattro ore quotidiane) e forte (con oltre quattro ore di esposizione al giorno). L’analisi combinata dei valori degli indici e la quantità di esposizione televisiva quotidiana diede vita al cosiddetto “differenziale di coltivazione”. I telespettatori forti ritenevano di avere maggiori probabilità di essere coinvolti in episodi di violenza, di avere una percezione esagerata del pericolo e di avere una visione distorta circa il tasso di criminalità nel paese. Gli heavy-viewer avevano solitamente paura ad uscire per strada di notte, possedevano animali da guardia o armi per proteggersi, avevano poca fiducia nella politica e nella società in generale, ritenevano l’avere un figlio in un mondo così brutto una irresponsabilità. Sebbene negli USA meno dell’1% della popolazione era veramente vittima di un crimine, i telespettatori più assidui tendevano a considerare il mondo in modo più negativo dei telespettatori più saltuari. Erano portati a pensare che non ci si possa fidare della maggior parte della gente e che ognuno pensa solo a se stesso. Questa peculiare visione del mondo venne definita Mean World Syndrome (sindrome dell’uomo malvagio), nell’intento di sottolineare le interrelazioni tra le diverse dimensioni. I forti consumatori elaboravano risposte televisive, frutto di una sovrapposizione tra realtà televisiva e mondo reale. In altre parole, le risposte televisive sono la conferma che poco importa che si viva in una zona dove le percentuali di violenza sono molto basse o inesistenti; importa di più la rappresentazione del mondo che si è costruita e alla quale si fa riferimento. L’uso massiccio del mezzo televisivo non ha effetti immediati sul pensiero ma produce nel lungo termine un effetto di coltivazione. Provoca un cambiamento della percezione della realtà, facendo vivere lo spettatore in un mondo modellato su ciò che viene trasmesso nella televisione. SFUMATURE DI COLTIVAZIONE: la teoria della coltivazione non può essere ridotta alla sua ipotesi principale, ovvero che vi è un nesso tra l’esposizione al mezzo televisivo e la condivisione della rappresentazione televisiva della realtà. Gerbner ritiene che lo studio della coltivazione non può che prendere le mosse dallo studio delle istituzioni che consentono un sistema di produzione di messaggi per poi andare oltre e investigare i contributi che questi sistemi e le loro funzioni simboliche offrono alla coltivazione di opinioni circa la vita e il mondo. l’impianto analitico di Gerbner sembra articolarsi lungo 3 direttrici relative a: istituzioni mediali, messaggi ed effetti. l’analisi delle istituzioni mediali rappresenta il primo passo per comprendere i messaggi prodotti e veicolati ed è mirata a cogliere le forme organizzative e le relative evoluzioni, i rapporti e gli equilibri di potere nonché i processi interni alle stesse istituzioni. L’analisi del sistema dei messaggi vuole individuare i pattern stabili di significato veicolato, prescindendo dal singolo messaggio o prodotto. A suo avviso vi sono alcuni significati di massa che sono presenti e diffusi all’interno dell’intero sistema mediale: e sono esattamente tali significati che devono essere al centro dell’attenzione degli studiosi. Infine, con l’analisi degli effetti, nello specifico degli effetti della coltivazione, si pone l’intento di indagare le conseguenze dei sistemi di messaggi veicolati dai media, in grado di influenzare le credenze e i valori degli individui. Appare chiaro che le tre aree di analisi sono strettamente intrecciate e che richiedono un approccio multidimensionale visto che “vivere in un ambiente simbolico nel quale certi tipi di istituzioni, con certi tipi di obiettivi e che creano certi tipi di soggetti, porta a coltivare (supportare, sostenere e nutrire) certi tipi di coscienza selettiva”. Al centro dell’attenzione sono state poste l’analisi dei messaggi e quella dell’effetto di coltivazione, pervenendo a un ampliamento del ventaglio dei temi presi in esame e producendo alcuni interessanti avanzamenti sul fronte della riflessione teorica. I dati empirici, soprattutto all’inizio degli studi, non offrono un sostegno netto al nesso ipotizzato tra consumo televisivo ed effetti di coltivazione. Tale debolezza empirica trova un elemento di conferma nella meta- analisi condotta su circa 100 ricerche che ha mostrato come il valore medio della correlazione fosse pari a 10. Per dare risposte a tali incongruenze nonché per tenere conto dello sviluppo dell’indagine empirica, sono stati introdotti i concetti di mainstream e risonanza, più idonei a cogliere la complessità del fenomeno di quanto non fossero le risposte televisive. L’introduzione di nuovi concetti permise di rispondere alle numerose critiche formulate al riguardo nonché di tenere conto della rilevanza del contesto entro il quale si colloca il consumo. Il concetto di mainstream fa riferimento alla condivisione di punti di vista sul mondo da parte di forti consumatori di televisione all’interno di gruppi con caratteristiche socio-demografiche diverse. Il mainstream può essere pensato come una comunanza di punti di vista coltivati dalla televisione. La teoria della coltivazione avrebbe dovuto adottare un approccio multidimensionale. All’analisi del sistema dei messaggi e del sistema della coltivazione avrebbe dovuto accompagnatosi anche un’analisi dei processi istituzionali rimasta per lo più incompiuta, cioè lo studio delle scelte politico-editoriali alla base della produzione dei messaggi televisivi. L’uso, le modalità di fruizione del mezzo televisivo, le rappresentazioni sociali che si costruiscono a seguito del consumo televisivo rappresentano problematiche così complesse che certo non possono essere esaurite in una relazione tra numero di ore di esposizione e visioni del mondo. La correlazione tra fenomeni di esposizione televisiva (variabile indipendente) e coltivazione di determinate immagini della realtà (variabile dipendente) può essere rovesciata. Invece di dire chela televisione crea persone impaurite, si può affermare il contrario: le persone impaurite e alienate possono cercare nell’ambito dell’offerta televisiva la conferma di quanto li preoccupa. Con il concetto di mainstream, il consumo di televisione viene posto in relazione con altre variabili e collocato in un contesto nel quale altri fattori di socializzazione sono presenti. Ancora più sensibile ai dati di contesto è il concetto di risonanza, che sostiene che i telespettatori che intraprendono situazioni simili a quelle rappresentate dal mezzo televisivo saranno maggiormente sensibili al contenuto del messaggio. Al riguardo, si parla di una doppia dose di significato che coniuga esperienze reali ed esperienze televisive. Sempre sul versante dell’affinamento degli strumenti teorici si colloca la specificazione di differenti tipi di effetti di coltivazione. Si parla di effetti di primo e secondo ordine. Gli effetti di primo ordine sono quelli che descrivono l’adozione da parte dei telespettatori di letture e interpretazioni del mondo offerte dalla televisione che sovrastimano alcuni fenomeni. Quelli di secondo ordine sono relativi a interpretazioni, attitudini, sentimenti e valori rispetto al mondo mutuati dalla televisione. COLTIVAZIONE E NUOVO SISTEMA SOCIALE: un sistema televisivo centrato intorno a 3 grandi network nazionali appartiene a un mondo che non c’è più e che è anche difficile da descrivere alle nuove generazioni. Quando pensiamo al mezzo televisivo, oggi, inevitabilmente facciamo riferimento a un’offerta che viaggia su strade diverse, che conta un numero di canali facilmente oltre le 100 unità a seconda dei paesi, che è gestito da imprese attive su più piattaforme, che si specializza rispetto ai contenuti proposti e che consente l’accesso on demand ai prodotti desiderati. Accanto a questa diversificazione dell’offerta, si colloca un’analoga differenziazione delle modalità e dei tempi di consumo: lo stesso prodotto può essere fruito mediante il tradizionale apparecchio televisivo, divenuto spesso smart television, mentre viene offerto dall’emittente oppure può essere selezionato all’interno di una Library e visionato in un momento successivo. Si può recuperare un programma tramite internet predisponendosi alla sua visione sul computer o sul cellulare durante ad esempio un viaggio. Oppure si può programmare il consumo di un’intera serie tv nel corso di una serata con gli amici. Tanto la diversificazione dell’offerta che quella delle modalità di consumo implicano una frammentazione/diversificazione dell’audience, che si compone e scompone in relazione alle scelte di consumo che vengono effettuate rispetto all’offerta. Diventa difficile ipotizzare un unico e diffuso sistema di messaggi e diventa altrettanto difficile sostenere che il consumo televisivo sia estraneo a scelte selettive dei consumatori. C’è più televisione oggi di prima? La tv continua ad essere religione di stato: i nuovi media assolvono la funzione di attrarre, organizzare e impacchettare - cioè coltivare - i pubblici in modo addirittura più efficace di quanto avveniva nel passato. UNA COLTIVAZIONE O TANTE COLTIVAZIONI?: sin dalle ricerche a cui ha preso parte lo stesso Gerbner vi è stata una focalizzazione sull’analisi dei messaggi e degli effetti, tralasciando lo studio delle istituzioni mediali. Il tratto distintivo della teoria, che risiedeva nel suo approccio macrosistemico, si è andato ridimensionando nel corso del tempo fino a scomparire del tutto. Le numerose affermazioni circa la condivisione di interessi e offerta da parte delle istituzioni mediali nella loro produzione di uno storytelling di massa non hanno affrontato la prova della verifica empirica, rimanendo ipotesi indimostrate. Si è registrato un duplice movimento che ha portato a uno spostamento dal macro al micro, tradottosi in uno studio dei generi specifici consumati dai soggetti e del significato dei messaggi attribuito dai destinatari. La ricerca si è concentrata sui singoli generi televisivi e su meccanismi della memoria attivati nel fornire le risposte agli item utilizzati per misurare la coltivazione, il pattern di risultati che proviene dagli studi finalizzati a testare gli assunti di Gerbner non è significato. Hirsch sostiene che la teoria nella sua formulazione si presenta come non falsificabile, vista la sua adattabilità ai risultati ottenuti. Sul versante empirico le critiche sono state formulate riguardo all’imprecisione dell’analisi del contenuto dei messaggi e della misurazione del consumo televisivo, all’ambiguità della costruzione delle risposte televisive vs le risposte provenienti dal mondo reale e, infine, alla natura spuria di alcuni nessi casuali stabiliti tra consumo televisivo e risposte televisive. La teoria si basa sulla correlazione che si viene a stabilire tra due fenomeni: esposizione televisiva e coltivazione di determinate immagini della realtà. Lo strumento statistico della correlazione, tuttavia, stabilisce un nesso tra variabili, ma non è in grado di attribuire le etichette di variabile indipendente e dipendente. In questo caso, invece, l’esposizione al mezzo televisivo viene considerata come variabile indipendente e la coltivazione di determinate rappresentazioni della realtà come variabile dipendente, stabilendo un rapporto di causa ed effetto. Questo nesso può essere rovesciato: le persone impaurite e alienate possono cercare nell’ambito dell’offerta televisiva la conferma di quanto li preoccupa o possono cercare conferme circa la composizione della popolazione americana in termini sociali ed economici coerentemente con l’immagine televisiva. In ultimo, le trasformazioni del sistema mediale costituiscono il problema maggiore per la tenuta della teoria, a cominciare dalla difficoltà ad analizzare il contenuto dei messaggi moltiplicati in modo esponenziale e a misurare l’esposizione al mezzo televisivo, sempre più distribuita su più dispositivi e in momenti diversi della giornata. Insomma, la moltiplicazione dell’offerta, la diversificazione dei dispositivi attraverso i quali accedervi nonché la frammentazione dell’audience propongono problemi di ordine tanto teorico quanto metodologico. È innegabile che si assista oggi a quella che è stata definita una demassificazione della comunicazione di massa, tale da mettere in discussione la capacità da parte dei media di omogeneizzare o offrire una visione del mondo mainstreaming. La funzione di socializzazione trasversale attribuita al mezzo televisivo viene fortemente ridimensionata dalla diversificazione dell’offerta e dalla potenziale veicolazione di messaggi ideologici contrastanti, presenti nei diversi canali o nei diversi media. La coltivazione continua ad operare, solo in maniera differente: gli individui sono coltivati con specifiche visioni del mondo, selezionate in base alle loro scelte. ————————————————————————————————————————————————————————————————————— LA COSTRUZIONE SOCIALE DELLA REALTA’: La realtà è una costruzione sociale? >> mito della caverna di Platone: l'uomo scambia per realtà quella che ne è soltanto una proiezione. L'uomo è prigioniero dell'opinione perché crede passivamente alle immagini delle cose sensibili, cioè le ombre delle forme proiettate sulla parete della caverna. Il riconoscimento del ruolo giocato dai media nel processo di costruzione della realtà da parte degli individui costituisce l’elemento comune che caratterizza le teorie più recenti dei media. I media consentono agli individui di accrescere il loro grado di conoscenza e informazione ovvero di cogliere le correnti di pensiero e gli atteggiamenti dominanti in un e gli atteggiamenti in un determinato periodo storico. Consentono, quindi, la realizzazione di molti processi di socializzazione che nel passato venivano garantiti da altri soggetti. Noelle-Neumann—> ritorno ai powerfull media —> Non si studiano più solo le campagne, ma si analizza il sistema dei media per indagare come, a partire da esso, i soggetti costruiscano le loro rappresentazioni della realtà. Si ha quindi un abbandono del modello matematico della comunicazione di Shannon e Weaver, al centro dell’attenzione vengono posti i processi di formazione dell’opinione pubblica, con la piena consapevolezza della complessità delle dinamiche esistenti tra i vari attori, ulteriormente accresciuta a seguito dell’affermazione del Webb e dei processi di convergenza da esso attivati. Al contempo, il contributo complessivo offerto dai mezzi di comunicazione all’elaborazione e condivisione di modelli di significato da parte degli individui viene attualizzato e analizzato in un ottica crossmediale. Si afferma, in breve, un approccio che affonda le sue radici nella sociologia della conoscenza che abbandona definitivamente il modello informazione della comunicazione. Al centro dell’attenzione vengono posti i processi di formazione dell’opinione pubblica, con la piena consapevolezza della complessità delle dinamiche esistenti tra i vari attori, ulteriormente accresciuta a seguito dell’affermazione del web e dei processi di convergenza da esso derivati. SCUOLA DI CHICAGO E IL TEOREMA DI THOMAS: la realtà sociale non è una cosa data e oggettiva, ma piuttosto una costruzione sociale basata su un accordo condiviso sui significati delle cose. Il teorema di Thomas è un principio sociologico formulato da William Isaac Thomas e afferma che se gli uomini definiscono le situazioni come reali, queste sono reali nelle loro conseguenze. Gli individui agiscono sulla base di ciò che ritengono reale, anche se non è detto che questo sia davvero tale. L’individuo medio però non ha la capacità di comprendere la complessità del mondo che lo circonda e che quindi si affida ad una immagine semplificata della realtà fornita dai mezzi di comunicazione di massa. WALTER LIPPMAN - PUBLIC OPINION (1922): dalla necessità della mediazione della stampa nella rappresentazione della realtà sociale prende le mosse il libro Public Opinion di Lippman. Secondo lui la stampa, e più in generale i mass media, forniscono ai cittadini degli stereotipi che compongono uno pseudo- environment attraverso cui accedere ad eventi e argomenti estranei all’esperienza soggettiva. I mass media offrono elementi conoscitivi (rappresentazioni della realtà) e riferimenti contestuali tramite i quali interpretare il mondo. Gli elementi chiave che caratterizzano la posizione di Lippman - la costruzione di stereotipi congiuntamente all’assunzione di condotte derivanti dall’immagine della realtà fornita dei media - permettono di stabilire le coordinate di base che caratterizzano l’approccio massmediologico. Un approccio che si traduce in una focalizzazione dell’attenzione sull’impatto che le rappresentazioni offerte dai media hanno nella costruzione soggettiva della realtà sociale. In questo ambito, i media assumono un ruolo rilevante non solo nel fornire informazioni su specifici eventi ma, soprattutto, nell’offrire i riferimenti contestuali all’interno dei quali collocare e dare senso agli eventi stessi. Un’offerta che di certo non è venuta meno con l’affermazione dei media digitali ma che è addirittura aumentata grazie all’ampliamento del ventaglio delle opportunità. ROBERT PARK E IL CONCETTO DI “SECONDHAND EXPERIENCE”: le news dei giornali costituiscono una forma di conoscenza particolare, definita di seconda mano, rispetto all’esperienza diretta. La conoscenza basata su esperienze di seconda mano può influenzare l’opinione pubblica e le decisioni politiche. Così come l’uomo della caverna di Platone aveva bisogno della parete per vedere riflesse le ombre, noi abbiamo bisogno del sistema dei media per accedere a esperienze, mondi e realtà che difficilmente potremmo conoscere personalmente. Senza dimenticare che agiamo in conseguenza di ciò che vediamo proiettato sulla parete. La consapevolezza della centralità dei media si è andata poi diffondendo sin dai primi anni del secolo scorso per poi modificarsi negli anni più recenti. Il riconoscimento del ruolo giocato dai media nel processo di costruzione della realtà da parte degli individui costituisce l’elemento comune che caratterizza le teorie più recenti dei media. Prendendo le mosse dell’analisi della teoria dell’agenda-setting, essa può essere sintetizzata come la capacità da parte dei media di formare l’opinione pubblica grazie all’influenza esercitata in merito alla rilevanza dei temi nell’agenda pubblica o di costruire un ponte tra the world outside and the pictures in our heads. In questa breve descrizione vi è il riferimento principale della teoria che è costituito dal passaggio di salienza dai media agli individui. Nel corso degli anni, la teoria ha fatto i conti con le trasformazioni del sistema mediale e si configura oggi come una complessa mappa in via di definizione tanto nelle sue parti quanto nelle tradizioni tra di esse, alla luce della nuova frontiera della ricerca rappresentata da internet. MEDIA E COSTRUZIONE SOCIALE DELLA REALTA’: influenza crescente della sociologia della conoscenza, la quale induce i ricercatori a prestare attenzione al ruolo dei processi simbolici e comunicativi. Attenzione agli effetti a lungo termine. Allontanamento dai modelli lineari (ago ipodermico, teoria matematica dell’informazione). LA TEORIA DELL’AGENDA SETTING Il concetto di agenda indica un insieme di temi che vengono comunicati secondo una certa gerarchia di importanza in un determinato momento. Il concetto di agenda setting indica la definizione dell’ordine del giorno. La teoria dell’agenda setting propone l’ipotesi per cui i mezzi di informazione, concentrandosi di più su certi eventi e argomenti e tralasciandone altri, trasferiscono al pubblico l’ordine del giorno della vita politica. Un’anticipazione del rapporto tra i media e gli individui era già stata offerta da Bernard Cohen, sostenendo che la stampa può nella maggior parte dei casi non essere capace di suggerire alle persone cosa pensare, ma essa ha un potere sorprendente nel suggerire ai propri lettori intorno a cosa pensare. I media possono influenzare significativamente la politica estera attraverso il loro potere di definire l’agenda pubblica e di plasmare l’opinione pubblica sulle questioni internazionali. Nella stessa direzione si colloca l’efficace illustrazione degli assunti dell’agenda Setting offerta da Shaw, che possono essere sintetizzati nel riconoscimento che i media non cercano di persuadere gli individui ma offrono loro una lista di temi intorno ai quali pensare. I soggetti, quindi, sono esposti all’influenza dei media per ciò che riguarda l’individuazione dei temi, non già per quello che attiene alla valutazione e soluzione degli stessi. Gli elementi chiave della teoria dell’agenda Setting possono essere sintetizzati in: a. Nel potere che i media hanno di determinare e di ordinare gerarchicamente la presenza dei temi nell’agenda b. Nella costruzione dell’agenda degli individui come conseguenza di ciò che è presente nell’agenda dei media. La prima ricerca, condotta con l’obiettivo di testare l’esistenza di tale nesso, venne realizzata nel 1968 da McCombs e Shaw nel centro di Chapel Hill in occasione della campagna per le elezioni presidenziali di quell’anno, e i risultati principali vennero pubblicati nel 1972 all’interno dell’articolo The agenda- setting Function of Mass Media. I due ricercatori focalizzarono la loro attenzione sul contributo offerto dai media nella determinazione dei temi dibattuti nel corso della campagna, ipotizzando che i mass media determinino l’agenda di ogni campagna elettorale, influenzando l’importanza attribuita dal pubblico ai vari temi politici. Il disegno della ricerca venne articolato in due fasi: una dedicata alle interviste dei cento soggetti prescelti, un’altra tesa a registrare gli argomenti presenti nei media che servivano l’area di Chapel Hill. Si tratta di un tipico disegno ispirato alla teoria dell’agenda Setting, che si caratterizza per il confronto tra i temi segnalati dai soggetti - rilevati mediante lo strumento dell’intervista - e quelli presentati dai media - individuati mediante lo strumento dell’analisi del contenuto. I soggetti intervistati appartenevano a quella faccia di elettorato che ancora non aveva preso una decisione di voto e che era mossa da un bisogno di orientamento. Dal confronto tra i temi segnalati dagli intervistati e quelli registrati nei media, i ricercatori ottennero dati utili a sostenere l’esistenza di un’influenza dei media nella determinazione dei problemi e della loro rilevanza. Consapevoli dei limiti insiti in un disegno di ricerca basato su dati aggregati e ancora in via sperimentale, i due conclusero il lavoro sostenendo che le correlazioni riportate in questa sede non costituiscono una prova della funzione di agenda Setting dei media, ma i risultati da loro ottenuti sono coerenti con le condizioni che dovrebbero sussistere qualora tale fenomeno avvenisse realmente. L’ipotesi dell’agenda Setting non sostiene che i media cercano di persuadere, ma che la comprensione che la gente ha di gran parte della realtà sociale è mutuata dai media. What to Think e what to Think about: i media sono in grado di esercitare una forte influenza sull’ordine di rilevanza che il pubblico attribuisce alle issues - what to think about - ma influenzano solo in modo marginale l’intensità e la direzione degli atteggiamenti - what to think. Negli anni successivi sono state condotte altre ricerche, dando vita a quello che McCombs e Valenzuela hanno individuato come un trend centrifugo, nel senso che vi è stato un ampliamento del tradizionale campo di ricerca oltre i public affairs, e un trend centripeto, teso a esplicitare alcuni elementi centrali della teoria. Tra questi, figurano quelli relativi alla natura dei temi, alle caratteristiche dei media e del pubblico, e alla natura dell’agenda. Secondo Zucker prevale una sostanziale disattenzione verso la natura dei temi tale da ignorare quella che lui definisce la loro caratterizzazione in termini obtrusiveness. Ciò che viene dimenticato in molti disegni di ricerca è la variazione dell’influenza dei media sui livelli di conoscenza del pubblico in relazione ai temi tratti. Queste condizioni invadono la vita quotidiana delle persone. A suo avviso, più rare sono le esperienze dirette che le persone hanno con una specifica area tematica, maggiore sarà la loro dipendenza dalle news offerte dai media per ottenere informazioni e interpretazioni in merito a quell’area. Sulla stessa lunghezza d’onda si colloca Eyal. A suo avviso, la differenza tra un tema e l’altro si può rintracciare nella loro centralità, ovvero nel loro essere più o meno coinvolgenti. La possibilità di esperienze dirette di temi e problemi riduce di molto il potere di agenda dei media, mentre esso viene enfatizzato quando i soggetti non possono averne un’esperienza diretta. In breve, il tema della disoccupazione non richiede una grande copertura mediale per essere percepito da soggetti che vivono quella condizione o che hanno parenti, amici, conoscenti che la vivono. A differenziare i temi è la centralità: l’esperienza diretta riduce il potere di agenda dei media e viceversa (ad es. il tema della disoccupazione). In ultimo, Kurt e Lang parlano dei temi a soglia alta e temi a soglia bassa: i primi sono quei temi che risultano lontani dalla vita quotidiana dei soggetti; i secondi sono vicini ai soggetti o per esperienza diretta o perchè già entrati a far parte delle questioni di cui si dibatte in un determinato momento. Affinché La ricerca dimostra il rapporto positivo tra i forti telespettatori e quelli che guardano poco la televisione, il livello di sfiducia che avevano quelli che guardavano tanta televisione i realtà questo dato non aveva riscontro nella realtà. Questo risultato prende il nome di “differenziale di coltivazione”, cioè che la televisione coltiva le persone ma in modo differente. I telespettatori forti ritenevano di avere maggiori probabilità di essere coinvolti in episodi di violenza, di avere una percezione esagerata del pericolo e di avere una visone distorta circa il tasso di criminalità nel paese. Gli heavy-viewer avevano solamente paura di uscire per strada di notte, possedevano animali da guardia o armi per proteggersi, avevano poca fiducia nella politica e nella società in generale, ritenevano l’avere un figlio in un mondo così brutto una irresponsabilità. Gerbner dice che il tasso di affidabilità del posto in cui viviamo la impariamo guardano la televisione. “Sindrome del mondo malvagio”: sebbene negli USA meno dell’1% della popolazione era veramente vittima di un crimine, i telespettatori più assidui tendevano a considerare il mondo in modo più negativo dei telespettatori più saltuari. Erano portati a pensare che non ci si possa fidare I forti consumatori di fronte a quello che vedevano, sia che fosse reale o immaginario, elaboravano risposte televisive. L’uso massiccio del mezzo televisivo non ha effetti immediati sul pensiero ma produce nel lungo termine un effetto di coltivazione. Provoca un cambiamento nella percezione della realtà facendo vivere lo spettatore in un mondo modellato su ciò che viene trasmesso nella televisione. ————————————————————————————————————————————————————————————————————— GLI USI E LE GRATIFICAZIONI Per dare un’idea delle coordinate entro le quali è stato indagato il rapporto tra individui e media, può essere utile ricordare i punti principali dell’approccio che hanno accompagnato gran parte delle prime fasi della ricerca. Innanzitutto, però, bisogna dire che la gente utilizza i media per i propri benefici. Gli individui, quindi, in base a determinati bisogni, si rivolgono ai media per trovare una gratificazione. Sono stati individuati alcuni elementi: a. L’audience è attiva; b. Il consumo mediale è orientato a un obiettivo; c. Il consumo mediale consente un ampio ventaglio di gratificazioni; d. Le gratificazioni trovano origine nel contenuto mediale, nell’esposizione e nel contesto sociale nel quale si colloca la stessa esposizione. L’articolazione di questi punti è il frutto di un lungo percorso che ha preso le mosse dalla teoria del funzionalismo. Per la prima volta l’audience è attiva, ponendosi come interrogativo “cosa fanno le persone con i media?” piuttosto che chiedersi “cosa fanno i media alle persone?”. La rilevanza del nuovo nesso è stata evidenziata con chiarezza da McQuail e Gurevitch che sottolineano come il consumo mediale sia concepito dalla prospettiva teorica del funzionalismo come un comportamento che soddisfa bisogni che hanno origine dall’interazione tra le disposizioni psicologiche individuali e l’esperienza della situazione sociale. Tutto ciò si traduce in un’analisi della comunicazione in base alle funzioni e alle disfunzioni che vengono attivate. La prima rilevante conseguenza di questo rovesciamento di prospettiva riguarda l’abbandono di una chiave di lettura che assumeva come punto di partenza quello dell’intenzionalità della comunicazione dell’emittente, nella costante ricerca di effetti di manipolazione, persuasione. La seconda conseguenza fa riferimento alla dismissione di un approccio di ricerca basato sullo studio delle campagne a favore di una nuova strategia di analisi che assume la normalità della presenza dei media all’interno della società. La metodologia che viene adottata è il self-report: discussioni informali e relazioni scritte dai soggetti intervistati per identificare le motivazioni della gratificazione del consumo dei media. La teoria funzionalista dei media cerca di individuare le funzioni e le disfunzioni svolte dai mass media all’interno del sistema sociale. Bernard Berelson in una ricerca del 1949 scopre che i giornali svolgono una funzione di «sorveglianza», allorché tramite la diffusione di notizie è possibile esercitare una sorta di controllo sull’ambiente circostante. Lasswell nel 1948 individua 3 funzioni sociali dei mezzi di comunicazione: a. Il controllo dell’ambiente, cioè la raccolta e la distribuzione delle informazioni; b. La correlazione tra le varie parti della società nel rispondere alle sollecitazioni provenienti dall’ambiente stesso, ovvero l’interpretazione delle informazioni relative all’ambiente; c. La trasmissione del patrimonio sociale da una generazione all’altra, vale a dire la veicolazione di norme e valori sociali tra gli anziani e i giovani nonché tra i membri della collettività e i nuovi soggetti che vogliono farvi parte. Wright nel 1960 ne aggiunge una quarta: il divertimento, che include quegli atti comunicativi intesi principalmente a divertire, indipendentemente da qualsiasi effetto strumentale che possano produrre. Una funzione di sorveglianza viene assolta tramite la diffusione di notizie per cui è possibile esercitare una sorta di controllo sull’ambiente circostante. Funzioni: attribuzione di prestigio e rafforzamento delle norme sociali. Un’altra funzione esercitata dai media nei confronti degli individui consiste nell’attribuzione di prestigio a coloro che fanno ogni sforzo per tenersi aggiornati. Questa attribuzione di prestigio deriva dal fatto che essere un cittadino informato è ritenuto un elemento importante e positivo all’interno della società. I media possono riversare la loro attenzione su specifiche persone. Ricevere attenzione da parte dei media comporta un automatico riconoscimento di appartenenza a una sfera alla quale appartengono individui di status più elevato di altri. Lazarsfeld e Merton hanno colto l’esistenza di quel meccanismo in base al quale molti individui desiderano ricevere l’attenzione da parte dei media per poter esibire uno status diverso rispetto ad altri. Quando si parla, invece, di rafforzamento delle norme sociali si è di fronte a un’operazione di moralizzazione tesa a rafforzare il controllo sociale sugli individui, mediante la segnalazione pubblica dei comportamenti devianti. I media possono svolgere una funzione eticizzante, attraverso una propria "politica culturale" in cui vengono proposti come "ovvi" e "naturali" valori, modelli di comportamento e di azioni e denunciati atti devianti all'opinione pubblica. Disfunzioni: disfunzione narcotizzante e spinta al conformismo, che sono entrambe collegate a un eccesso di informazione. A fronte di un’elevata circolazione di informazione sugli argomenti più svariati, i soggetti possono reagire con una sorta di isolamento. Il sovraccarico di notizie che quotidianamente si riversa sugli individui può attivare così un ripiegamento nella vita privata, percepita come più tranquillizzante e facilmente controllabile. Inoltre, questo eccesso informativo può dare vita a una disfunzione narcotizzante, vale a dire che la facilità di accesso alle informazioni può provocare un falso senso di dominio sull’ambiente. Così, il cittadino che consuma molta informazione, senza partecipare agli eventi sui quali si informa, rischia di confondere la condizione di cittadino bene informato con quella del cittadino attivo. Il cittadino informato e interessato può compiacersi per tutto quello che sa, senza accorgersi che si astiene dal decidere e dall’agire. Infine, vi è un’ultima disfunzione attribuibile alla presenza dei media: la spinta al conformismo. È una conseguenza quasi naturale di un approccio che si fonda sull’integrazione piuttosto che sul mutamento. D’altro canto, se tutti i sottosistemi, compreso quello dei media, sono impegnati a mantenere l’equilibrio esistente, ne discende inevitabilmente una spinta a conformarsi alle norme consolidate piuttosto che a innovarle. LE ORIGINI DELLO STUDIO DELLE GRATIFICAZIONI: è diviso in due fasi. Blumler e Katz individuano la fase iniziale a cavallo degli anni 40 e la definiscono come quella dell’infanzia. In quella fase si collocano i primi tentativi di pervenire a una descrizione penetrante degli orientamenti dei sottogruppi dell’audience nei riguardi di selezionati contenuti mediali. L’individuazione degli atteggiamenti degli individui nei confronti dei media, nonché la natura del rapporto attivato, costituì l’obiettivo di ricerca di un significativo numero di scienziati sociali che, pur continuando a cercare gli effetti, iniziò a prestare attenzione anche ad altri aspetti. In questa prima fase, l’interesse degli studiosi si concentrò esclusivamente sulle content gratifications, ovvero sull’individuazione del nesso tra le gratificazioni tratte dagli individui e il contenuto dei media. Il consumo dei media da parte degli individui veniva ricondotto a due categorie di funzioni (Klapper): le funzioni semplici e le funzioni complesse. Tra le funzioni semplici ci sono l’offerta di relax, la stimolazione dell’immaginazione, l’interazione sostitutiva, la creazione di un terreno comune per i contatti social; tra le funzioni complesse ci sono le distensione emotiva e la scuola di vita. L’offerta di relax rimanda alla capacità da parte dei media di offrire occasioni di riposo ed evasione. Con la stimolazione dell’immaginazione si fa riferimento al contributo offerto dai media alla costruzione di giochi, fantasie, proiezioni e quant’altro si può associare a uno stimolo quale quello presente all’interno del materiale mediale. In realtà, questa funzione rimanda alla capacità dei membri dell’audience di interpretare e rielaborare i contenuti dei media a seconda dei bisogni individuali. La funzione sostitutiva è molto più articolata, ben esemplificata da Klapper con la citazione di una conversazione avvenuta tra un conduttore radiofonico e una casalinga in merito alle ragioni del suo ascolto delle soap operas. Invitata a illustrare i motivi dell’ascolto, la donna rispose che con la sua radio riusciva a sintonizzarsi solo con quel programma che neanche apprezzava particolarmente. Incalzata dal conduttore che le chiedeva perchè non spegnesse la radio, la casalinga rispondeva: perchè è una voce in casa. Questo per dire che i programmi radiofonici o televisivi che implicano una interazione sociale esercitano una maggiore presa sulle persone sole. I media offrono un terreno comune per i contatti sociali tramite l’offerta di argomenti di conversazione. Sul fronte delle funzioni complesse, quella della distensione emotiva coglie il bisogno che molti individui hanno di ottenere un alleggerimento delle emozioni. La distensione emotiva si realizza in molti modi diversi, indicando all’ascoltatrice che non è sola nei suoi dispiaceri, e fornendole un modo più comodo di percepirli; facendola sognare di quello che avrebbe potuto essere. La scuola di vita è l’ultima funzione complessa attribuita al sistema dei media. Nela ricerca di Blumer sul consumo cinematografico dei giovani emergeva chiaramente la capacità da parte dei film di offrire modelli, stili di vita e di comportamento ai quali potersi adeguare; in breve, si configurava come una scuola di etichetta. Limiti dei primi approcci: nessuna attenzione ai nessi tra le gratificazioni cercate e le origini sociali e psicologiche del bisogno che deve essere soddisfatto. Nessun tentativo di individuare la complessa rete di relazioni tra le funzioni dei diversi media all’origine della struttura latente delle gratificazioni offerte dal complessivo sistema mediale. Sia le funzioni semplici che quelle complesse si occupano quindi di dare visibilità alle gratificazioni ottenute dai soggetti a seguito del consumo di prodotti mediali. Mettono in relazione il contenuto mediale e le gratificazioni individuali. Anche se spesso si rilevano riferimenti alla situazione di vita dei soggetti, alle modalità di esposizione, all’appartenenza o meno a un gruppo di fedeli alle questioni di contesto del consumo mediale, bisognerà aspettare la maturità dell’approccio degli usi e delle gratificazioni perchè tali questioni assumano rilevanza. Nella fase matura, invece, c’è una maggiore attenzione al modo in cui i diversi media operano per soddisfare i differenti bisogni dei consumatori e anche una maggiore attenzione alle origini psicologiche e sociali dei bisogni soddisfatti dai media. CLASSI DI BISOGNI E CONSUMI MEDIALI: vi sono stati diversi tentativi di costruzione di classi di bisogni che spingono gli individui a consumare i prodotti dei media. I media possono soddisfare: • Bisogni cognitivi, acquisizione di elementi conoscitivi; • Bisogni affettivo-estetici, rafforzamento dell’esperienza emotiva; • Bisogni integrativi a livello della personalità, rassicurazione, stabilità emotiva, incremento di credibilità e status; • Bisogni integrativi a livello sociale, rafforzamento dei rapporti con familiari, amici e colleghi; • Bisogni di evasione, allentamento della tensione e dei conflitti. A partire da tali nessi è plausibile ipotizzare che i soggetti, in presenza di un bisogno cognitivo, si rivolgeranno al mezzo e al prodotto ritenuto più adatto a soddisfarlo: carta stampata, televisione, radio, internet. La presenza di bisogni diversi si correla a mezzi diversi e ciascun mezzo sembra offrire una combinazione di contenuti caratteristici, attributi tipici, tipiche situazioni di esposizione. La consapevolezza della diversità dei vari media è alla base dell’individuazione di una sorta di divisione del lavoro nella gratificazione dei bisogni dei consumatori dei prodotti mediali. Bisogna fare attenzione al modo in cui la presenza di bisogni diversi si correla all’utilizzo di mezzi diversi, che offrono combinazioni uniche. Un individuo che vuole essere informato potrebbe utilizzare diversi mezzi per soddisfare questo bisogno, come la carta stampata, la televisione, la radio o internet. Ciascun mezzo offrirebbe una combinazione unica di contenuti caratteristici, attributi tipici e situazioni di esposizione. Bisogna fare attenzione alle circostanze ambientali e sociali che spingono il soggetto a rivolgersi ai diversi media per ottenere una gratificazione (ad esempio, una particolare situazione crea tensioni e conflitti in un individuo o in un gruppo di individui che possono allentarsi mediante il consumo mediale). Una situazione sociale crea tensioni e conflitti che possono allentarsi mediante il consumo mediale (esempio: la tensione sociale di un immigrato creata dalla solitudine viene alleviata attraverso il consumo mediale). Una situazione sociale fa emergere determinati valori, la cui affermazione e il cui rinforzo sono facilitati dal consumo di prodotti mediali (esempio: persona preoccupata per l'ambiente e potrebbe cercare di soddisfare il suo bisogno di promuovere la sostenibilità attraverso il consumo di prodotti mediali). Rubin ha introdotto la la distinzione tra esposizione al mezzo televisivo di natura ritualistica e strumentale: la prima avviene quando accendiamo la tv semplicemente per guardarla, a prescindere da ciò che viene trasmesso; la seconda si realizza quando la sintonizzazione avviene nell’obiettivo di guardare un programma specifico. Il consumo dei prodotti mediali deve essere posto in relazione al contesto sociale entro il quale si sviluppano i bisogni che spingono gli individui all’esposizione. Katz fa una ricerca sulle dinamiche sociali che hanno influito sulle letture operate da pubblici culturalmente diversi di un singolo episodio di Dallas: a. La situazione sociale crea tensioni e conflitti che possono allentarsi mediante il consumo mediale; b. La situazione sociale crea la consapevolezza circa l’esistenza di problemi riguardo ai quali possono essere acquisite informazioni tramite i media; c. La situazione sociale crea rare opportunità di soddisfazione concreta di determinati bisogni, che si cerca di soddisfare, in modo vicario, tramite i media; d. La situazione sociale fa emergere determinati valori, la cui affermazione e il cui rinforzo sono facilitati dal consumo di prodotti mediali; e. La situazione sociale crea un campo di aspettative e familiarità rispetto a certi materiali mediali, che devono essere costantemente monitorati dagli individui per sostenere la propria appartenenza a gruppi sociali di riferimento. NUOVE GRATIFICAZIONI PER NUOVE TECNOLOGIE?: le profonde trasformazioni del sistema mediale hanno imposto sulla scena nuove domande circa il nesso tra motivazioni del consumo mediale e loro soddisfazione. L’affermazione di internet e del web in tutte le sue versioni ha ulteriormente enfatizzato la necessità di dare risposte a tali domande nonché di rivedere le tradizionali tipologie di gratificazioni mediali. Inizialmente, le ricerche condotte si sono caratterizzate per il tentativo di utilizzare le preesistenti tipologie nell’analisi dell’uso di internet. Rubin giunse alla conclusione che i soggetti che utilizzavano internet erano mossi da ragioni interpersonali, evasione, ricerca di informazioni, utilità e intrattenimento. L’approccio di fondo comune agli studi citati si caratterizzi ancora per una netta prevalenza delle gratificazioni connesse al contenuto mediale, lasciando sullo sfondo quelle connesse allo stesso processo del consumo, così come sembra essere ancora presente un’articolazione del consumo lungo la dimensione della strumentalità. Se, invece, si considera che nel nuovo ecosistema mediale è decisamente problematico considerare i diversi media come fonti monolitiche alla luce della convergenza che li caratterizza, la situazione cambia decisamente, introducendo elementi di complessità. Un contributo nella direzione di individuare eventuali specificità dei nuovi media è stato fornito da Ruggiero che ha chiamato l’attenzione degli studiosi su alcuni attributi di internet assenti nei media tradizionali. Più specificamente, gli attributi di internet dei quali è necessario tenere conto nello studio del consumo mediale sono l’interattività, la demassificazione e l’asincronia. Nella stessa direzione si colloca il contributo di Newhagen e Rafaeli che hanno ampliato la lista degli attributi aggiungendo la multimedialità e l’ipertestualità. Secondo Ruggiero la combinazione di questi attributi con la tradizionale tipologia del consumo mediale dovrebbe essere alla base della ricerca ispirata agli usi e gratificazioni dei nostri tempi. Un invito accolto da Sundar e Limperos nel loro lavoro di analisi del rapporto tra le affondances dei nuovi media e le gratificazioni ottenute dai soggetti. Le affondances prese in considerazione dagli studiosi sono quelle della modality, agency, interactivity, navigability. Queste caratteristiche dei nuovi media sono nella condizione di stimolare, a loro volta, nuove forme di gratificazione legate a bisogni di natura anche tecnologica. Senza dimenticare, poi, che le innovazioni tecnologiche hanno coltivato negli utenti nuovi bisogni che essi cercano di soddisfare grazie alle loro esperienze mediali. Aldilà della tenuta delle specifiche affondances proposte dai due studiosi e della loro traduzione in termini empirici, vale la pena sottolineare il contributo offerto dalle caratteristiche dei media digitali nell’individuazione delle gratificazioni che è possibile ottenere dai media. Si tratta di un contributo che non si esaurisce nell’aggiornamento della tipologia delle gratificazione che i media consentono di ottenere ma che va oltre, prendendo in considerazione la stessa esperienza di uso di alcuni Devices e/o la frequentazione di alcune piattaforme. Di un contributo che sollecita l’attenzione sulle caratteristiche specifiche dei nuovi media, sulle gratificazioni a essi connesse e su quelle da essi attivate, in un’operazione di costante triangolazione tra contenuto, mezzi e processi. PROCESSO DI CONCORDANZA COLLETTIVO SUL SIGNIFICATO: la fruizione di un programma televisivo si presenta come un processo di negoziazione, tra il racconto che si sviluppa sullo schermo e la cultura del telespettatore, che luogo nell’interazione tra gli stessi telespettatori. Come il telespettatore analizza il contenuto o performa la sua analisi strutturale di Dallas? Fino a che punto le letture dei telespettatori corrispondono a quelle operate dai ricercatori attraverso l'analisi del contenuto? E, più in particolare, come i telespettatori producono senso da Dallas e fino a che punto telespettatori di differenti culture attribuiscono differenti significati? Per rispondere a questi quesiti empiricamente, un singolo episodio di Dallas è stato discusso da 65 gruppi di amici, di tre coppie ciascuno, appartenenti a sei comunità etniche: in Israele (arabi, immigrati recenti dall'Urss e immigrati di seconda generazione dal Marocco), a Los Angeles (seconda generazione di statunitensi) e in Giappone, dove Dallas ha “fatto fiasco”. CORNICE REFERENZIALE: i telespettatori si relazionavano alle caratteristiche di Dallas come base per riflettere sulla realtà e sulla loro vita. CORNICE CRITICA O METALINGUISTICA: i telespettatori percepivano Dallas come un prodotto della cultura di massa il cui piacere consisteva nel senso di controllo ottenibile dal riuscire a recuperare il senso del messaggio e della struttura della serie. In entrambe le cornici il coinvolgimento può essere «cold» o «hot». Vedere una serie televisiva statunitense in un altro contesto culturale funziona anche come mezzo per accertare la propria cultura: comparando “loro” a “noi” si riaffermano i propri valori come distintivi. LIMITI DELL’APPROCCIO: Non si può riduzione l'attività dell'audience ad un atto sempre razionale, selettivo e strumentale. Non si può non tenere conto che le gratificazioni sono spesso anche condizionate dai prodotti stessi. ————————————————————————————————————————————————————————————————————— 17/05/2023 GLI STUDI CULTURALI: approcci che studiano cosa le persone fanno sui media. Funzione egemonica dei mass media: concetto di egemonia nasce con Gramsci che si chiedeva in che modo le classi dominanti riescono a mantenere il loro potere all’interno di una società. Il potere non si basa solo sulla forza e sulla repressione, ma anche sulla persuasione culturale (egemonia). Per mantenere il controllo su una società, le classi dominanti devono convincere L’egemonia viene diffusa con l’ideologia, cioè il modo in cui ci spieghiamo la realtà che ci circonda, è qualcosa presente in tutti gli aspetti della vita sociale, viene accettata come verità universale da tutte le classi, non solo da quella dominante. I mass media svolgono un ruolo fondamentale nella creazione e nel mantenimento dell’egemonia culturale. La presenza dell’ideologia nei mass media ha come effetto il suo eclissarsi all’interno di messaggi che appaiono come naturali descrizioni della realtà. NASCITA DEL CENTRE FOR CONTEMPORARY CULTURAL STUDIES: lo studio della cultura di massa trova uno sviluppo autonomo tra gli anni 50 e 60 mettendo al centro una vocazione politica che vede la cultura come luogo in cui osservare le dinamiche di potere della società. Si tratta di una prospettiva critica da volgere allo studio dei fenomeni socio-culturali, attorno ai media e alla comunicazione che prende corpo con i Cultural Studies, nati nel 1964 in Gran Bretagna presso il Centre for Contemporary Cultural Studies (CCCS), fondato nell’università di Birmingham e diretto da Hoggart. Dal 1969 la direzione passa a Stuart Hall, che è l’esponente di questa scuola con maggiore visibilità internazionale. Aprendosi a un approccio multidisciplinare, gli studiosi del CCCS utilizzano il punto di vista sociologico, della storia sociale, dell’economia politica, dell’estetica ecc…, facendo della cultura e dei media un loro terreno d’indagine. L’obiettivo dei Cultural Studies era sviluppare una critica ideologica del modo in cui le discipline umanistiche si presentavano come forme disinteressate di conoscenza, operare quindi una loro demistificazione per svelarne la natura normativa e il ruolo che hanno nel costruire una cultura nazionale. Gli studi culturali britannici si concentrano sull’analisi della cultura e dei suoi molteplici significati nella società contemporanea. Essi analizzano come le forme culturali siano prodotte, consumate e significate dalle diverse comunità e gruppi sociali. Per capire appieno l’approccio degli studi culturali occorre far riferimento al contesto sociale che caratterizza l’Inghilterra degli anni 50, in cui si verificarono profonde trasformazioni che indussero gli studiosi a interrogarsi sulle loro conseguenze. Sul fronte socio-economico si ha una ripresa economica, lo sviluppo del settore industriale, l’affermazione del Welfare State, la ritrovata unità dell’occidente contro il nemico comune dell’URSS e la previsione della scomparsa della classe operaia. Sul fronte culturale, i segni evidenti di una americanizzazione della cultura destavano forti preoccupazioni tra gli studiosi della storia sociale della storia letteraria, timorosi di perdere segmenti rilevanti della cultura popolare inglese. È in questo clima di opinione che vengono pubblicati due testi che costituiscono la principale ispirazione per il tipo di studi che il Centro svilupperà: il primo di Hoggart “the uses of literary” e il secondo di Raymond Williams “culture and society”. Nel volume di Hoggart per la prima volta venivano esaminati prodotti culturali della più diversa natura. Contemporaneamente Hoggart posava il suo sguardo sui luoghi della cultura pubblica pervenendo all’individualizzazione di precise connessioni con la vita quotidiana degli individui. Egli continuava a volgere lo sguardo verso una cultura organica, ormai perduta o fortemente a rischio dopo l’impatto dell’omogeneizzazione dei prodotti culturali. In culture and society Williams studia l’evoluzione del concetto di cultura tra l’inizio della rivoluzione industriale e gli anni 50. La sua tesi è che l’idea che si ha della cultura è influenzata storicamente ed economicamente, è quindi un prodotto socialmente determinato. In particolare, individua due tipi di cultura in competizione: una è identificabile come “l’arte”, che ispira forme elevate e perfette di vita; l’altra è invece data da un intero modo di vivere che va oltre la lettura dei classici o la visione di quadri dei pittori più celebri. L’idea di cultura abbracciata dal CCCS è il risultato di una visione sociale, che porta a costruirla attraverso la complessità delle pratiche. Secondo Hall la cultura non è una pratica, né semplicemente la descrizione della somma delle abitudini e dei costumi di una società. Essa passa attraverso tutte le pratiche sociali ed è il risultato delle loro interrelazioni. Al fondo del lavoro degli studi culturali troviamo l’esigenza di difendere le espressioni della cultura popolare, innanzitutto studiandole e dando quindi loro dignità, superando una contrapposizione rigida con la cultura d’élite e mostrandone tutta la vivacità. La cultura popolare si costruisce nel tempo attraverso un processo di elaborazione e rielaborazione continua delle trasformazioni dovute alla modernizzazione, lavoro caratterizzato da un doppio movimento di contenimento e di resistenza, fatto di appropriazione ed espropriazione. Il lavoro sui significati e la produzione di cultura da parte delle masse non possono però essere analizzati senza tener conto della monopolizzazione dell’industria culturale e della sua dimensione egemonica. Questa visione critica colloca gli aspetti di manipolazione dai parte dell’industria culturale all’interno di un più ampio campo di forza delle relazioni di potere e di dominio culturale. Quindi non vede i membri dell’audience come dei sonnambuli culturali, piuttosto